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IL PERIODICO ON LINE PER GLI AMANTI DELLA PALLA A SPICCHI D’OLTRE OCEANO

Blake Griffin The next chosen one? N C A A North Carolina, Villanova, Uconn e Michigan State, chi ne uscirà ‘viva’?

Si alza il sipario sulle Final Four


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Dopo il placet a Ainge per l’arrivo in biancoverde del suo ex compagno di squadra ecco le parole di Garnett su Marbury

«Ci darà una grossa mano» Il momento lo si attendeva ormai da facendo e farà qui con noi. Non solo tanto tempo. Quando la situazione di è versatile anche perché forse qualMarbury a New York si sbloccò il cuno dimentica che è stata una delle nome di Dannie Ainge sul display del prime e migliori guardie di questa cellulare di KG arrivò puntuale come Lega. Sta lavorando duro da quando un orologio svizzero e The Big è arrivato qui ed è inutile dire che ci Tickett da gran signore e pensando aspettiamo delle cose da lui cosi prima alla squadra che agli interessi come sappiamo che ci può dare una personali ha dato il proprio assenso mano nel lungo periodo». all’affare. Insomma Steph deve ringraziare anche il compagno dal quale è fuggito ai tempi di Minnesota se quella in corso potrebbe essere l’annata della rinascita della freccia di Coney Island. Fino a questo punto il ringraziamento di ‘Starbury’ è arrivato sotto forma di gestione del gioco impeccabile, pochi tiri, e quei pochi anche sbagliati, e di un inserimento graduale senza voler interrompere l’equilibrio dei Celtics. Alla fine le dichiarazioni di sono arrivate, cosi come ad un certo punto di questa stagione arriverà la richiesta da parte dello staff tecnico di una maggiore responsabilità dell’ex Suns e New York. «Quando si nasce leader si resta leader. Questo è quello che ho detto alla maggior parte dei nostri giovani che fino a questo momento non hanno ancora visto niente di quello che è capace di fare e di cose che potrebbero apprendere dal modo in cui gioca. Il passato è il passato e tutto quello che gli è successo in termini di ‘reletionship’ durante le tappe della sua carriera, fanno parte del passato, quello che conta è il presente e quello che Steph sta The Big Tickett Kevin Garnett

Niente più doppia carica per Dunleavy Sr. e la ‘pazza’ idea di affidare quella di Gm a Isiah Thomas L’incontro c’è stato. L’incontro tra Donald Sterling e Isiah Thomas per ricoprire il ruolo di giemme dei Los Angeles Clipper. Secondo i media a stelle e strisce l’incontro è stato organizzato da parte dello stesso Dunleavy che ormai da qualche settimana svolge ad interim il ruolo di general manager che di sicuro dalla prossima stagione verrà sicuramente affidato ad altro soggetto con il papà Mike Jr che ricoprirà solo quella di allenatore. Posto e ruolo che lo stesso Thomas potrebbe svolgere anche

gratuitamente dal momento che l’ex Pistons è ancora nel libro paga dei Knicks. Venisse confermato tutto potrebbe essere non proprio la scelta dell’anno specie considerando il curriculum del diretto interessato in tema di gestione e di costruzione della squadra sia ad Indiana che a New York finendo in entrambe le occasioni sulla panchina a dirigere il bel quadretto messo assieme. E se l’intento di Sterling fosse questo? Coach Dunleavy è avvisato e lo si sa: uomo avvisato mezzo salvato.

Dunleavy Sr. e Isiah Thomas si troveranno a lavorare faccia a faccia?

NBA REPORT NEWS

Stars ‘N’ Stripes Stephen Jackson finisce Posey scaglia la palla addosso sotto i ferri stagione finita all’arbitro e viene espulso Periodico on line ideato e scritto Stephen Jackson sarà operato bilità di posticipare il tutto l a p r o s s i m a s e t t i m a n a p e r alla fine della stagione, ma rimuovere non era il un framcaso visto m e n t o che il doloosseo nel re è abbaalluce del s t a n z a piede siniforte, senza stro, cosa contare che che porterà in questo il leader in m o d o punti dei avrebbe G o l d e n tutta la off S t a t e season per Warriors a rimettersi perdere il in sesto per resto della la prossima Stephen Jackson stagione. stagione «E' un vecmentre noi chio propotremo blema a cui bisognava porre far crescere i nostri giovani». rimedio. Certo c’era la possi- Queste le parole di Nelson.

C’è chi nel derby di Bologna ha Knicks per aver lanciato la palla deciso di prendersela, vigliacca- addosso all'arbitro Gary mente, con Zielinski. chi in Zielinski c a m p o aveva segnastava giolato fallo a cando, e chi rimbalzo di invece dalPosey, il l’altra parte quale non dell’oceano ha esitato a decide di raccogliere prendersela la palla e direttamenscagliarla te con chi la verso l'arbipartita la tro, colpengestisce. dolo sul Quessto è p i e d e quanto è destro. James Posey accaduto a Zelinski ha J a m e s immediataPosey che è stato elspulso dalla mente sanzionato un fallo tecnipartita persa 103-93 contro i co ed espulso Posey.

da:

Domenico Pezzella Alessandro delli Paoli Leandra Ricciardi Tommaso Staro

info, contatti e collaborazioni: domenicopezzella@hotmail.it


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Rhode Island, Los Angeles Clippers, Miami Heat e infine Los Angeles Lakers. Viaggio attraverso le tappe ed il cammino nella NBA del talento di South Jamaica: Lamar Odom

What a ‘Lamarvelous’ world

LE STATISTICHE 2008/2009

DI

A LESSANDRO

DELLI

PAOLI

Se hai l’anima jazz scegli la versione di mr. Louis Armstrong, se hai l’anima rock decidi per la versione “agitata” di Joey Ramone, stiamo parlando di “What a Wonderfull World”, storico brano che ha dato l’ispirazione al titolo di quest’articolo; se però hai il basket nel cuore, la rivisitazione del “mondo meraviglioso” la fai cantare a Lamar Joseph Odom, in

arte Lamarvelous. C’è di tutto nel mondo di Lamar. La storia di questo ragazzo di talento parte il 6 novembre 1979, dal South Ozon Park nel Queens, quartiere di New York ad ovest di Manhattan ed è una storia dura. La guerra restituisce papà Joseph disabile e dedito principalmente alla droga, se ne andrà di casa quando Lamar compierà sei anni; sei anni più tardi un tumore si porterà via anche la madre Cathy e, come spesso capita in queste situazioni, sono i parenti prossimi, la

PPG

11,1

RPG

8,1

APG

2,6 Data di nascita: 6-11-1979 Altezza: 6-10 / 2,08 Peso: 230 lbs. / 104,3 kg. College: Rhode Island Anni da Professionista: 9 Salary: $14,148,596


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oltre alla reputazione. Il front office dei Clippers non crede più in Lamarvelous e, nella stagione 2003-2004 lo cede ai Miami Heat. Un solo anno al sole della Florida basta per rigenerare Odom 17,1 punti, 9,7 rimbalzi e 4,1 assists ad allacciata di scarpe. Nell’estate del 2005, però, si perfezionala trade che cambia la storia degli Heat, Shaq “the diesel” approda agli ordini di Pat Riley, ritornato in

nonna Mildred in primis, ad occuparsi del piccolo Lamar. I problemi di Odom nascono da qui, con una situazione familiare piuttosto complessa, comincia a frequentare gli ambienti sbagliati, a dedicarsi più all’attività da playground che non agli studi. Ben tre sono le high school che cambierà; si comincia dalla celebre Christ The King High School sotto gli ordini di coach Oliva che capì subito di avere tra le mani un giocatore dal talento cristallino; la Christian Redemption, a Troy, nella parte alta dello stato di New York. Nella sua unica stagione a Redemption, Lamar divenne il giocatore dell’anno delle high shool viaggiando a 25 punti 17 rimbalzi 12 assist e 5 stoppate di media. L’insofferenza, la convinzione di aver sbagliato a lasciare la Christ The King, ma soprattutto la volontà di seguire il suo mentore cestistico, vale a dire Jerry DeGregorio, conosciuto nei vari campionati estivi della zona, gli fa cambiare ancora direzione; questa volta alla St. Thomas Aquinas High School di Mildford, Connecticut. La guida di DeGregorio fu fondamentale per Lamar, un secondo padre, che lo portò lontano dal Queens e da tutti i problemi che ne avevano condizionato la crescita. Gli scarsi risultati scolastici condizionarono il passaggio dalla high school al college facendo scappare le principali università. Fu UNLV ad assicurarsi le prestazioni di Odom ma l’ennesima rappresentazione del fato avverso si scatenò su di lui: l’accusa, verso i vertici del college, di aver falsificato i test di ammissione. I sospetti ed il timore di essere nuovamente coinvolti in uno scandalo, ed ecco che UNLV scaricò

Odom il quale, si affidò nuovamente al suo secondo padre Jerry. Coach DeGregorio era divenuto, nel frattempo, assistente allenatore di Jim Harrick a Rhode Island. Risultato? Trascorso l’anno da “redshirt”, ossia l’anno in cui un giocatore che cambia college non può giocare, Lamar Odom diventa il giocatore più forte della storia di Rhode Island, il tutto in un solo anno, un anno da 17.6 punti di media, il 48.2% dal campo (33% da 3), 9.4 rimbalzi e 3.8 assist a partita, condito con il titolo di MVP dell’Atlantic 10. I paragoni cominciano ad essere “pesanti”, quale altro giocatore alto 2.08 per 108 chili, con la visione di gioco, il ball handling e la potenzialità di andare in tripla doppia ad ogni partita, può ricordare? Esatto, Earvn “Magic” Johnson. Il punto debole, invece, è il carattere difficile e la tendenza cronica a cacciarsi nei guai di ogni tipo. Un solo anno, dicevamo,e Lamar si rende eleggibile, però ci mette tutto il peggio di se nell’estate che precede il draft; licenzia l’agente, vuole ritornare al college ma il regolamento glielo impedisce, salta numerosi provini e, i GM della NBA lo puniscono facendolo “precipitare” al numero 4, facendolo “cadere” nell’inferno dei Los Angeles Clippers. Nella totale desolazione dei fratelli poveri dei Lakers, Odom nelle prime due stagioni produce cifre da vera stella 16,6 punti e 7,8 rimbalzi a partita 4,2 assist alla prima da rookie e 17,2 punti, 7,8 rimbalzi e 5,2 assist al secondo anno. Poi, tra fato avverso, sotto forma di infortuni, e problemi caratteriali che riemergono, leggi doppia sospensione per abuso di sostanze stupefacenti, gli fanno saltare numerose gare,


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panchina per l’occasione, in cambio di Caron Butler, Brian Grant e lo stesso Odom, che così torna nella città degli angeli. Dopo un primo anno interlocutorio, i Lakers si affidano a Phil Jackson che intende costruire la squadra attorno a Kobe Bryant e fare di Lamar Odom, quello che Pippen fu per Jordan, un’ala piccola in grado di portare palla e far girare la squadra, un fedele scudiero, una seconda opzione offensiva. Nella Triple post offense di Tex Winter, Lamar sembra essere a suo agio, anche se è sempre costretto a passare dal ruolo di ala grande a quello di ala piccola senza trovare fissa dimora; la versatilità diventa quasi un problema che gli impedisce di realizzarsi appieno. E’ la trade che porta Pau Gasol in maglia gialloviola a determinare il suo salto di qualità nei Lakers; Lamar diventa il terzo violino, si abbassano le statistiche ma si alza il rendimento e l’impatto sulla squadra (15.3 punti, 12 rimbalzi e 4 assist a partita dall’arrivo del catalano). I losangelini raggiungono la finale NBA perdendo dai Boston Celtics, nella riedizione delle finali degli anni 80, e Odom, splendido protagonista per tutta la durata dei playoff, scompare miseramente sotto i colpi di Garnett. Un brutto colpo che avrà conseguenze nella stagione in corso. I Lakers versione 2008-2009, senza nascondersi troppo, puntano al titolo. “Coach Zen”, considerata l’ascesa del centrone Bynum e il calo di rendimento di Odom, decide di farlo partire dalla panca. Nel mese di febbraio, il fisicone di Bynum fa di nuovo crack e termina, così, la carriera da sesto uomo di Lamarvelous che, a 29 anni, sembra finalmente maturato. Ne sono prova le prestazioni realizzate proprio contro le più forti rivali al titolo, per lo meno sulla costa est. Nella riedizione della finale NBA dello scorso anno, il nostro Lamar realizza la sua prestazione più brillante: 20 punti (60% dal campo) 6 rimbazli e 3 assist, la cattiveria e l’atletismo sono quelli di Rhode Island e la vittima è proprio quel Kevin Garnett che lo asfaltò in giugno. Contro i Cavs, altri candidati alla finale per la costa est, la prestazione è super. 28 punti con 13 su 19 dal campo, 17 i rimbalzi, 2 gli assist, 1 stoppata in 38 minuti di gioco, sono il bottino di Lamarvelous alla Quicken Loans Arena, casa del ”Prescelto” Lebron James. Il rendimento di Odom migliora di partita in partita, così come dimostrano i dati statistici che parlano di 9.1 punti e 6 rimbalzi per gara fino alla fine di gennaio; dopo l’infortunio di Bynum i numeri si impennano vertiginosamente: 13.5 punti e 11.3 rimbalzi, un salto notevole, una fiducia ritrovata. Lamar è tornato, pronto a dare il suo contributo ai Lakers nella lotta al titolo. Se poi a giugno dovesse arrivare davvero l’anello, allora si che sarebbe ancora più giusto cantare “What a Lamarvelous world”.


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DI

D OMENICO P EZZELLA

Primo anno di vita per la franchigia che ha preso l’eredità dei Seattle Sonics segni di vita. La stella in assoluta resta Kevin Durant, attorno il giemme Sam

Oklahoma City Thunder L’eredità è grande. L’eredità di una franchigia che durante la sua permanenza nella città della pioggia ha raggiunto per 22 volte I playoff ed una finale Nba persa nel 96 contro i Bulls di Michael Jordan. Un’eredità che dopo i primi mesi di attività sembrava essere già stata gettata al vento all’interno di una franchigia che sembrava già alla deriva e pure alla sua

priam stagione nella sua nuova location, nella sua nuova casa, nei suoi nuovi confini. Da Seattle ad Oklahoma City. Da una città che ha vissuto di pane e basket per tantissimi anni (il passaggio è stato reso possibile per le tante controversie tra il proprietario dei Sonics e l’amministrazione locale e riguardanti l’affitto o se vogliamo i canoni che la franchigia Nba doveva alla città per palazzetto e quant’altro ndr) ad un’altra che il basket l’ha sempre masticato ma fino a questo momento solo ed esclusivamente dal punto di vista collegiale con la rivalità tra i Sooners di Oklahoma e la formazione di Oklahoma State. Ora i due atenei avranno di sicuro molta più concorrenza e molto più da sgomitare per cercare ed attirare consensi. Certo in determinati periodi dell’anno, come quello che si è chiuso da poco e che porta il nome di March Madness, è inutile dire che il College è la principale fonte di attrazione, ma il

Kevin Durant, da stella di Texas a quella di Oklahoma

pubblico di Oklahoma City si è dimostrato frizzante e voglioso di palla a spicchi anche quando la parola vittoria non era proprio all’ordine del giorno o quella più usale per i Thunder. Due soli i gridi di gioia esplosi dalla gola dei tifosi sugli spalti nel mese di novembre (tre contando anche l’unica partita di ottobre con 43,8% dal campo, 16,7 da tre ndr). Due soli successi a fronte di 15 sconfitte e numeri in campo non proprio entusiasmanti: 43% abbondante dal campo, 37,4% da tre e 91,8 in termini di punti totali (inutile dire che la maggior parte di quei punti provenivano dalle mani della scelta numero due di due stagioni fa Kevin Durant con 22,9). Numeri che prima della fine di novembre portano anche alla prima mossa da parte del front office dei Thunder che decidono di licenziare Pj Carlesimo ed il suo assistente Paul Westhead e assegnare baracca e burattini a Scott Brooks con quella che viene indicata con il termine di carica ad interim. Le cose per Brooks e per Oklahoma non migliorano certo nel mese immediatamente successivo: ancora due le vittorie, ma questa volte le sconfitte sono 13 (96,1 punti a partita e percentuale totale ancora sotto il 50%,. Mentre i punti dell’ex Texas salgono a quota 25,1) e spettro della peggiore squadra Nba che iniziava ad aleggiare per il Ford Center, ma solo per chi lo viveva da fuori. Già perché intanto la voglia di vedere basket e di vivere una squadra professionistica, a prescindere dai risultati, ha portato sempre migliaia di appassionati pronti con hot dog, bevanda o sacchetti di patatine ad incitare i ragazzi in campo. Ancora una


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Record negativo ma nell’ultimo mese i Thunder di Brooks hanno dato enormi Presti gli ha piazzato Russell Westbrook e Jeff Green. Ora l'obiettivo è Griffin

il nuovo che avanza..... volta sono i venti i giorni nel mese di dicembre per Sam Presti per prendere una decisione, importante. Questa volta nessun licenziamento, nessun addio, ma solo un’aggiunta al roster. Dall’Europa i Thunder si assicurano i servigi di un centro Nba come Nenad Krstic che aveva conservato, nella sua decisione di tornare nel vecchi continente, lo status di unrestricted free agent. Status che quindi permetteva ad Oklahoma di presentare la propria offerta con la postilla che i New Jersey Nets avrebbero potuto pareggiare la stessa, dal momento che i diritti sul serbo appartenevano ancora ai Nets. Dal New Jersey nessun interesse e allora Krstic riprende la via a stelle e strisce e i Thunder si assicurano un uomo d’area interessante, non uno che sposta milioni di equilibri, ma un albatross da mettere a presidio dell’anello arancione. Una mossa azzeccata già nell’immediato. Anno nuovo vita nuova, recita un vecchio detto, e il 2009 dei Thunder è veramente un anno migliore. Tanti passi in avanti rispetto ai primi mesi di regular season e cifre in rialzo a differenza dell’economia nazionale e americana in uno dei momenti più difficili dal periodo della grande recessione. Passi in avanti che oltre ad essere legati al momento migliore di colui che è stato insigni-

to già da ora come l’uomo franchigia, il solito Kevin Durant (27,8, 8,8 rimbalzi e 3,7 assist), anche dai miglioramenti in campo del rookie da UCLA Russell Westbrook: 16,5 punti, 5,5 assist (tanti per un giocatore che non è proprio un playmaker ndr) e 43,8% dal campo. Un duo che a tratti diventa un tris interessante con l’aggiunta di Jeff Green che nell’ottica e nei piani di Sam Presti rappresenta il terzo pilastro sul quale fondare il futuro della franchigia. Da un record nettamente perdente si passa ad uno pari: 7 vittorie e 7 sconfitte a 102,8 punti di media. Febbraio è notoriamente il periodo degli scambi e delle trade. Quella avviata tra i Thunder e i New Orleans Hornets poteva sembrare anche una sorta di svolta per la franchigia dell’Oklahoma, visto che da New Orleans era arrivato Tyson Chandler per sostanzialmente Chris Wilcox (poi finito a New York) e Joe Smith. Il tutto saltò il giorno seguente, ma il 19 arriva una nuova mossa. Una sorta di maxi scambio porta Tabo Sefolosha da Chicago Bulls, da Oklahoma va via Chris Wilcox e una prima scelta futura. L’aggiunta dello svizzero rappresenta un altro dei valori aggiunti dei miglioramenti dei Thunder sia nel finale di febbraio (chiuso di nuovo con risultato al di sotto del par con 3

vittorie e 9 sconfitte ma 106 abbondanti a partita e massimo in carriera per Westbrook con 20,6 punti e 5,9 assist, mentre per Durant il tutto sale a 30,6 come realizzazioni, 6,3 carambole e 3,5 assist) che in questo mese di marzo. Un mese che al momento di scrivere vede i biancoblù al disotto di sole due partite dal 50% con sei vittorie e otto sconfitte con i numeri dei maggiori protagonisti tutti in calo. Fine di un qualcosa di magico? Non proprio. Tra i corridoi della Nba, infatti, si vocifera che ci sarebbe anche un Draft a cui pensare, Draft che l’innalzamento del numero di successi negli ultimi due mesi ha allontanato i Thunder da quella scelta assoluta che tradotta in termini di giocatori significa al momento rinunciare al talento di ‘casa’ Blake Griffin. Addirittura dalla possibile prima scelta Oklahoma è scivolata alla 5 dove potrebbe trovare un altro pezzo necessario del roster, il play, e mettere le mani sul giocatore attualmente alla Lottomatica Roma: Brandon Jennings. Non una scelta da buttare, ma se l’intento è quello di assicurarsi Blake The Great, allora c’è una sola cosa da poter fare: perdere e perderemo, prendendo in prestito il famoso motto del mitico film l’allenatore nel pallone di Lino Banfi.

LE STATISTICHE DEGLI OKLAHOMA CITY THINDER


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‘Desaparecidos’ Prima tappa di Stars ‘N’ Stripes attraverso il mondo dei giocatori che sono passati dallo status di ‘stelle’ a quello di ‘dimenticati’ della NBA

DI Marchio di fabbrica: cross over terrificante e D OMENICO P EZZELLA senza speranza per gli avversari. Provenienza: Washington DC o meglio Maryland, professione: basketball’s player. Nick name: Stevie Wonder o se volete Steve Franchise. Insomma per gli amici Steve D’Shawn Francis. Parte da questo particolare, da questa provenienza e dai vari nomignoli che gli sono stati appiccicati la nostra corsa ed il nostro viaggio verso quelli che potremmo definire, a malincuore, come ‘desaparecidos’. Talenti inestimabili, storie a tratti inverosimili e incredibili, ma che per un motivo o per una altro non sono certo finite nel modo giusto o meglio nel modo che forse meritavano. Per una questione di talento l’attuale protagonista meritava molto di più di finire durante il periodo di Natale come merce di scambio, ma solo per questioni salariali o se vogliamo di buy out, in quel di Memphis con provenienza Houston Texas che ironia della sorte rappresenta anche il punto di partenza di tutta la sua storia e della sua corsa all’interno e sui parquet Nba. Ma andiamo per gradi. Quella alle spalle del ragazzo poco più basso di 1,90 è quella che potremmo definire la classica storia americana, la classica storia di ‘un fratello’ che ce la fa, di un ‘negro’ (niger il termine usato come disprezzativo e che ora viene generalmente utilizzato per strada per chiamare un uomo una persona di colore quando i toni non sono certo amichevoli ndr) tolto dalla strada e strappato ad una fine non certo

edificante per andare in giro per gli States, guadagnare quei soldi che non ha mai avuto ed il tutto portando avanti un pallone arancione. Soldi. Questa la parola chiave della vita di Steve Francise. Gli stessi che gli mancavano quando era con la mamma nei sobborghi di Takoma Park nel Maryland quando per tutti era ancora ‘Wink’. Gli stessi che gli sono mancati quando arrancando da una scuola all’altra (tra l’altro è uno dei pochi giocatori ad aver svolto un solo anno di high school ad aver frequentato il College ndr) dovette abbandonare l’idea della formazione primaria dopo la morte della madre nel 1995 per un tumore. Un periodo terribile in cui Francis interruppe anche la sua frequenza, un po’ per la strada intrapresa, un po’ per mancanza di soldi e di fondi per pagare le rette della MIllford Academy alla quale il ragazzo si era presentata per riparare i voti. Una serie di eventi che stavano per trasformare il 1995 nell’anno che avrebbe potuto far fuori dal radar del basket giocato uno dei miglior talenti sugli esterni che sono passati negli ultimi anni. Niente istruzione, niente scuola e maggior parte del suo tempo Steve lo trascorreva nella palestra Takoma Park famosa per essere quella adiacente se non sul retro della locale stazione dei pompieri. In quel periodo i palleggi incrociati, i canestri e i voli al di sopra del ferro potevano anche passare inosservati ai comuni mortali, ma non alle Divinità di questo sport. Non agli De del


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Basket che decisero di concedere a Francis quella che di solito viene indicata come l’emblema della filosofia americana: una seconda possibilità. Per caso, o se vogliamo spinti dagli dei di cui sopra, ad una Lega estiva in Florida come rappresentante di tutta una serie di talenti del Maryland, insomma una vetrina cestistica bella e buona, visto che gli show messi in piedi gli consentono di essere reclutato dal San Jacinto Junior College. Tutto bello, tutto stupendo, ma durò solo un anno. Motivo? La lontananza. Francis non seppe resistere al richiamo della propria terra, al richiamo delle proprie origini e decise di tornare indietro o meglio di tornare a casa iscrivendo il proprio nome accanto a quello dell’Allegany Community College. Le cifre di quell’anno gli valsero qualcosa di più di una chiamta di un College secondario nel Texas. A bussare alla porta di Steve ‘WOnder’ questa volta c’era niente di meno l’università di ‘casa’ quella del Maryland pronta ad offrirgli una possibilità. Nemmeno il tempo di finire di parlare che il fatidico si fu pronunciato quanto meno a ripetizione per un sogno che diventava realtà all’improvviso: un College della ACC e a meno di 10 km dalle sue origini. Il suo impatto fu immediato e di quelli produttivi di un’onda d’urto non indifferente. Le scorribande del cresciuto ‘Wink’ avevano fatto innalzare le quotazione dei Terrapins addirittura già durante la pre-season. Secondo gradino del podio, la posizione finale nel ranking della ACC alla fine della stagione regolare e secondi in assoluto nel susseguente torneo Ncaa dove Francis si presentava in campo fresco della nomina nel primo quintetto Ncaa dell’anno. Purtroppo il cammino si fermò di fronte a St. Johns nelle Sweet Sixten e un record di 28 vinte e 6 sconfitte (17 punti, 4,5 assist e 2,8 recuperi le sue statistiche). Numeri e Torneo Ncaa che gli valsero i favori di non poche franchigie Nba pronte a puntare sul piccolo grande uomo del Maryland. Un’ulteriore occasione, un’ulteriore occhio di riguardo delle Divinità pagane del Basket e Francis che tempo qualche mese è li sul palco con la seconda chiamata assoluta con il cappellino dei Vancouver Grizzlies a stringere la mano con un sorriso luccicante a David Stern. La sua vita in Canada durò poco meno di 24 ore (se si vuole escludere l’incidente diplomatico all’aeroporto di Vancouver per il semplice fatto che aveva già deciso ndr), visto che sceso dal palco la prima parola che pronunciò fu un no secco e deciso al Canada. I Grizzlies non ci pensarono su due volte misero su un maxi scambio al temine del quale Steve, ironia della sorte, si ritrovò di nuovo in Texas a vestire però questa volta la maglia degli Houston Rockets.

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Questa volta però nessun capriccio, nessun rifiuto, nessun desiderio del Maryland o di casa, Francis aveva capito che se voleva essere un giocatore professionista era ora di crescere e pensare da professionista, ed allora Rockets fu. Pari merito con Elton Brand nel Rookie of the year, secondo dietro a Carter nel famoso e storico Slam Dunk Contest del 2000 e 34-48 il record di Houston alla sua prima esperienza Nba. Record migliorato (4537), ma ancora niente playoff nella stagione immediatamente susseguente, ma altro titolo personale: la prima convocazione all’All Star Game per voto popolare. Da quel momento la sorte ha iniziato a pretendere, forse, quello che gli aveva regalato. Primo infortunio e primo stop pesante per Francis (19,9 punti; 6,9 rimbalzi e 6,5 assist) e texani che finiscono addirittura nella lotteria dove però pescano il cinese di 220 cm rispondente al nome di Yao Ming. Una coppia che nel Texas ha fatto sognare non pochi aficionados, che iniziarono a sognare ad occhi aperti prematuramente dopo la contemporanea convocazione alla gara delle stelel e a seguito dei 44 punti contro i Lakers. Il risveglio fu brusco e doloroso e ancora senza post season. Via Tomjanovich, dentro Jeff Van Gundy e altro momento decisivo della carriera di Francis. Calma, ragionamento e attacco a difesa schierata i principi cardini della pallacanestro dell’ex coach dei Knicks. Principi che mal si conciliavano con la velocità e la predilezione al campo aperto del talento del Maryland, risulta-

LE STATISTICHE PPG

18,1

RPG

5,60

APG

6,0

BPG

0,3

SPG

1,5

3PG

34,1 Data di Nascita: 21-feb-1977 Altezza: 6-3 / 1,91 Peso: 210 lbs. / 95,3 kg. College: Maryland

Alcune immagini delle tappe NBA di Steve ‘Wonder’ Francis

Anni da professionista: 9


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to? Tutto nelle statistiche: da 21.0 punti 6.2 assist 6.2 rimbalzi a 16.6 punti; 5.5 rimbalzi e 6.2 assist. Paradossalmente, però, quella fu la prima stagione ai playoff dei Rockets dal 1999 e la prima di Francis nella sua carriera (9.2 p, 8.4 rimbalzi, and 7.6 assist) dove furono però spazzati via dai Lakers per 4-1; questa fu anche l’ultima stagione Francis in maglia Houston. Gambe in spalle in estate e direzione Orlando Florida da dove fece il cammino inverso Tracy McGrady (Cuttino Mobley, Kalvin Cato, Juwan Howard e Tyronn Lue gli altri giocatori interessati nella trade). Dopo un primo momento di incredulità, e di diffidenza le sue cifre all’interno del ‘run and gun’ di Jent tornarono a lievitare (21.3 PPG, 7.0 APG and 5.8 RPG), ma ancora una volta niente playoff. Scontento e irrequieto nella stagione seguente arriva la sospensione per comportamento dannoso per la squadra pietra miliare nella rottura prolungata con i Magic che dopo tante voci nell’estate del 2006, nell’ultimo giorno disponibile prima della chiusura della ‘Tradeline’ lo spediscono nella Grande Mela in cambio del contratto di Penny Hardaway e Travor Ariza. Nemmeno il tempo di ambientarsi che ancora un infortunio (tendinite al ginocchio), l’arrivo di Stephon Marbury e un sistema, quello di Isiha Thomas, non proprio comprensibile a tutti lo portassero all’ennesimo cambio di residenza.

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Da Est ad Ovest da New York a Portland, dove però Francis rimane pochissimo prima di pagare buy out, rifare le valige e decidere che era il tempo di tornare all’ovile e cioè agli Houston Rockets nonostante qualche ‘presidente spirato’ in più offerto dagli Heat rispetto ai 6 milioni in due anni dei texani. Il feeling con il nuovo ‘re’ di Houston, Rick Adelman, non decolla: 10 partite e 5,5 punti e 3 assist di media, prima di finire in lista infortunati dopo l’operazione al tendine del quadricipite. L’anno successivo The Franchise ci riprova, esercita l’opzione per tornare ai Rockets, ma non ha il tempo nemmeno di mettere piede in campo per l’inizio della stagione che deve finire di nuovo sotto i ferri. Natale del 2008 Francis non ha ancora messo piede in campo ed è chiaro che il suo ‘came back’ in Texas era finito. Houston lo manda a Memphis per racimolare spazio nel tetto salariale, Francis rifà le valige passa circa un mese a Memphis prima di ritornare a casa dopo il taglio dei Grizzlies. Oggi trentunenne, Francis potrebbe anche tornare per una personale rivincita in qualche squadra da titolo come esperto per portare a casa quell’anello che gli renderebbe quanto meno un po’ di pace interiore, cosi come potrebbe definitivamente finire e restare nell’oblio dei ‘desaparecidos’ della Nba.


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Primo piano sul talento newyorkese Jamaal Tinsley: ‘The Abuser’

Passato attraverso tre squadre già lo steso giorno in cui venne scelto dopo i due anni ad Iowa State: scelto alla 21 dai Vancouver Grizzlies, girato ad Atlanta che a sua volta lo girò ai Pacers. Quel giorno Jamaal pensava che il suo sogno si era avverato, di aver trovato una squadra pronta ad accogliere il nuovo Marc Jackson che dei Pacers fu una sorta di bandiera e di anima. Il perché era facilmente intuibile, visto che messe a confronto le due carte di identità dei soggetti in questione il nome della città denominata come la Grande Mela spiccava subito agli occhi di tutti. Di sicuro Jamaal (Tinsley ndr) sarà cresciuto ammirando le magie cestistiche dello stesso Jackson sui vari campetti newyorkesi, gli stessi

magari che lo stesso Tinsley ha frequentato per gran parte della gioventù. Forse al riguardo sarebbe meglio restringere il campo di azione e dire che il principale nome e luogo della gioventù di Jamaal portava il nome di Rucker Park che vista l’importanza e la fama che gode tra coloro che seguono un po’ di vicende cestistiche a stelle e strisce, omettiamo di dire cosa rappresenta per un giocatore di pallacanestro e soprattutto cosa rappresenta per un giocatore newyorkese puro sangue (Brooklyn la città natale ndr). Asfalto, retina di ferro e gabbia attorno per recintare il tutto, la location principale dove Tinsley non era più Jamaal ma ‘Mel Mel The Abuser’ per il modo in cui il figlio di

LE STATISTICHE PPG

10.4

APG

7.0

3P%

30,4

RPG

3.4

BPG

0.3

SPG

1.7

Data di Nascita: 28-feb-1978 Altezza: 6-3 / 1,91 Peso: 185 lbs. / 83,9 kg. College: Iowa State Anni da professionista: 7

Brooklyn ‘abusava’ dei suoi avversari costretti a notti insonni dopo aver cercato di tenerlo in difesa. Palleggiatore sopraffino, ball handling da paura, capace di saltarti e di arrivare da solo al ferro anche se non dotato di una velocità ‘flashiana’. Una visione di gioco celestiale e a 360° con passaggi, preferibilmente quanto più difficili possibile e al di sopra del ferro, che a volte potevano sorprendere anche il diretto destinatario. Tutte qualità sopraffine ed affinate durante gli anni trascorsi con gli 1vs1 e partite a tutto campo dove il gioco era tutt’altro che amichevole. Doti che, nonostante il ragazzo non avesse frequentato un singolo giorno, figurarsi un anno di High School, gli valsero la chiamata di coach John Chambers e di Mount San Jacinto College. Due gli anni trascorsi con la maglia di MSJC e due volte Mvp di conference. Dai piani alti collegiali qualcuno se ne accorse. Il primo fu Larry Eustachy che lo portò con se ad Iowa State dando a Tinsley di giocare per una Università della Big East. La scelta fu azzeccata visto che The Abuser guidò i Cyclones alle Elite Eight dell’Ncaa del 2000. L’anno successivo senza Marcus Fizer Iowa State conquistò il secondo posto nel ranking Nazionale ma fu vittima del più classico degli ‘upset’ da parte di Hampton. Ma per Tinsley quello fu anche l’anno di uscire dall’esperienza al college e decidere di tentare il grande salto nella Nba. Il giro della morte prima ancora di vestire una maglia professionistica l’abbiamo indicato in apertura fino ad arrivare a quella Indiana che poteva rappresentare l’oasi felice della carriera. E a dire il vero il suo approccio e il suo esordio tra i professionisti sotto la guida di un signore che il playmaker l’aveva pure fatto qualche stagione addietro tale


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vetta alla Eastern Conference e mettono assieme la più lunga serie di playoff dopo quella della Finale del 2000, fermandosi all’ostacolo Detroit Pistons (altra finalista Nba e questa volta vincitrice del titolo sempre contro i Lakers). Sedici partite per 8,1 punti, 5 assist e 39% totale dal campo. Le cose dal punto di vista dei numeri e del rapporto con Rick Carlisle continuano a peggiorare, però, anche nelle due stagione immediatamente dopo (le ultime). L’attuale coach dei Mavs la sua idea, quella che Tinsley non era un playmaker Nba o quanto meno di una squadra da titolo o se vogliamo ancora della sua squadra, in più ci si mette anche il fato con una serie di infortuni che ne rallentano la corsa. Dentro e fuori dal campo, Tinsley si perde le prime 4 partite della serie contro i Boston Celtics per poi tornare nella vittoriosa gara5, ma i Pacers escono al secondo turno (42 partite giocate in regular season e 9 in post season). L’annata 2006/2007 l’ultima di un certo livello di The Abuser. Una sorta di ritorno di fiamma anche perché trade e mercato avevano portato Anderson e Johnson abbastanza lontani; Jamaal Tinsley si ritrova proiettato in quintetto dove gioca 72 gare su 72 con la migliore statistica, con più di 50 partite, della sua carriera: 12,8 punti e 6,9 assist, anche se alla fine niente playoff dopo 5 apparizioni di fila. Poteva sembrare la rinascita di un amore in una stagione sfortunata, ma invece piove sul bagnato: gli acciacchi fisici non gli danno tregua, Carlisle nemmeno e la sua ultima stagione giocata la chiude con 39 partite a 10,4 di media e ancora niente playoff. Quella in corso rappresenta il clou della discesa agonistica del talento del Rucker Park. Nemmeno un singolo minuto in campo, fatto fuori da O’Brien con l’arrivo di Tj Ford e fatto fuori materialmente dagli allenamenti Isiah Thomas, non fu nemmeno male, anzi. Due le stagioni sotto la guida dalla dirigenza dei Pacers. Nel periodo degli scambi sembrava tutto pronto dell’ex Bad Boys di Detroit e due stagioni altrettanto buone sia dal punto di per una trade ed invece non se ne è fatto nulla anche perché poco e niente vista dei numeri che dal punto di vista del gioco. Thomas ne fa subito la sua c’era da fare. Una sorta di braccio di ferro tra le due parti dove Indiana vorpoint guard titolare, Tinsley gioca e guida i Pacers (di Jermaine O’Neal, di rebbe un buy out e magari Tinsley una trade che lo riporti quanto meno ad Trevis Best, di Reggie Miller, di Jalen Rose) per 80 partite (78 in quintetto base) chiudendo con 9,4 punti (38% totale e 24% da tre) e 8,1 assist a parti- allenarsi e a giocarsi anche un solo minuto in campo o un posto su una ta e Indiana che agguanta l’ultimo posto disponibile nei playoff dopo essere panchina. stata addirittura in finale la stagione precedente. Nella post season I Pacers vengono eliminati la primo turno dai Sixers poi volati alle Finals Nba contro i Lakers. Malina la serie con Phila chiusa con 3,6 punti e 5 assist e a volte l’incombenza di marcare il miglior Allen Iverson della Lega. L’idea di base degli Indiana di Thomas alla stagione susseguente è sempre la stessa cosi come la presenza in campo di Tinsley in cabina di regia. Ancora una volta la stagione di The Abuser è quanto meno sufficiente svolgendo a pieno il ruolo di gestore del gioco e di inventore per i compagni chiudendo con 7,8 punti e 7,5 assist. Ancora una volta i giallo neri (che intanto cambiano faccia con l’arrivo di Brad Miller, di Ron Artest, di Ron Mercer) portano a casa l’ottava posizione nella griglia ad Est e ancora una volta ai Pacers tocca una numero uno: i New Jersey Nets e ancora una volta una squadra poi finita in Finale sempre con i Lakers che intanto festeggiavano il threepeat. Al di sopra di ogni aspettativa la spot season di Jamaal che alza tutte le sue cifre comprese le percentuali dal campo tirando con il 57% abbondante e concludendo la stagione personale con 8,5 punti e 6,5 assist. La stagione 2003/2004 rappresenta il primo capitolo della svolta, in negativo, della carriera di The Abuser. Avvicendamento in panchina: via Thomas ed ecco Carlisle, ed ecco che cambiano le cose. Dentro nel roster anche Anthony Johnson e Kenny Anderson e magicamente Tinsley si ritrova dal passare da regista della squadra a terzo playmaker e a giocare praticamente quando i due sono fuori per problemi fisici, insomma facendo quella che in Italia viene chiamata la ruota di scorta (stagione in cui arrivano paradossalmente anche le sue migliori cifre: 15,4 punti e 6,4 rimbalzi). La scelta di Carlisle, però, ha i favori dei numeri e dei risultati: i Pacers chiudono in


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di

D OMENICO P EZZELLA

Nba Hot Spots: Danny Granger Non il nome di un noto Night Club, ma solo la sigla utilizzata dalla Lega americana per le posizioni più calde (Hot) e più fredde (Cold) dei giocatori Non il titolo di un noto Night Club, ne quello di un nuovo film per adulti, ma solo la sigla che negli Stati Uniti viene utilizzata per indicare le cifre e le zone di campo preferite di un giocatore. Una parte molto in voga del versante statistico a stelle e strisce che serve principalmente agli allenatori della parte difensiva, quando di fronte ti ritrovi principalmente una super star. E al riguardo non sarà ancora una super star, ma il titolo d ‘stella’ è già bello che impacchettato all’interno del suo armadietto, quello con sopra il numero 33 ed il nome di Danny Granger. Se tre anni fa qualcuno guardandolo giocare o quanto meno nel pensare di proiettare il ragazzo dopo le segue stagioni di New Mexico, avesse detto alzi la mano chi vede Danny come una futura stella anche al piano di sopra e dove per futura stelle si intende anche e soprattutto prima opzione offensiva e punta di diamante di una squadra anche di alto livello, il numero delle mani che si sarebbero alzate sarebbero state non tantissime per usare un eufemismo. Tre gli anni, però, che Danny Granger, in una delle più classiche storie americane, ha impiegato per ritagliarsi prima il suo spazio sgomitando nello spogliatoio di Indianapolis e poi diventarne il leader offensivo in campo e un giorno

anche morale della franchigia dell’Indiana (sempre che la stessa sopravviva e resti li dov’è nel corso dei prossimi anni ndr). Tra anni in cui le sue cifre sono lievitate sproporzionalmente specialmente dal punto di vista realizzativo. Numeri che sono passati dai 7,5 della stagione da rookie fino ai 25 ad allacciata di scarpa che ne fanno uno dei primi 5 realizzatori della Lega e ripetiamo i primi cinque. Da quasi anonimo al suo arrivo nel 2005, ad essere il primo nome a finire sul taccuino degli allenatori avversari quando di fronte si ritrovano gli Indiana Pacers. Taccuini che poi conterrà, cosi come viene anche raffigurato dal grafico a fianco, anche la mappa che allo mstato attuale rappresenta il Granger realizzativo. Una mappa sulla quale gli allenatori delle difese incentrano gran parte del proprio lavoro cercando di portare il pericolo numero uno avversario in quelle zone che possono essere definite ‘hot’ o ‘cold’ o magari lasciandogli quelle intermedie dove ti puoi anche affidare alla buona sorte. E la mappa di Granger parla chiaro anzi chiarissimo: le sue peggiori statistiche arrivano nei tiri dalla media distanza e soprattutto ai due lati del campo e vicino la linea di fondo. Quindi molto meglio mandarlo in fondo per un tiro in sospensione, ancor meglio mandarlo nella parte destra del campo dove le sue percentuali al tiro scendono vertiginosamente (17/50 e 34% dalla media distanza a destra e numeri via via in discesa quanto più ci si avvicina alla linea laterale e quindi al tiro da tre punti: 6/23 dai 5 metri e 1/4 dalla lunga distanza). Numeri che si raddrizzano e migliorano quando riesce ad andare a sinistra a partire dai 5 metri (10/31 dai 4 metri in giù) con 17/36 (47,2%). Considerata ‘hot’, invece, l’angolo sinistro da dietro la linea dei tre punti dove Granger spara con 10/23 e 43,5% con il tutto che migliora ed aumenta anche in termini di tentativi man mano che si va verso il centro: 76/180 (42,2%) sul versante centro sinistro, una sorta di sentenza quando riesce a mettere i piedi fronte a canestro visto il 44,2% e 44/95. Considerata ‘hot’ anche la parte vicinissima al canestro visto il talento del prodotto di New Mexico di fintare far saltare il difensore e partire alla volta e alla ricerca dell’anello con anche tiri ad altissima percentuale (165/321 e 51% abbondante). Insomma questi gli accorgimenti che la difesa deve tenere principalmente presenti durante i 48 minuti in cui si ritroverò di fronte Granger, lasciando alla sorte quando mette piede nelle altre parti del campo non menzionate anche non sempre affidarsi alla sorte paga con il 33 in maglia Pacers (32/69 e 46,4% la cifra più alta da due e riguardante il versante centro destra della metà campo avversaria).


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Blake ‘The Chosen One’ Griffin Stella del liceo, stella assoluta al College dove ha riscritto qualche pagina di troppo della storia della franchigia collegiale dei Sooners di Oklahoma. E ora occhi puntati sul Draft

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Predestinati. Una categoria ed un’etichetta però le numero uno che poi hanno poi fatto la fortuna di una franchi-

D OMENICO P EZZELLA che una volta che ti si è appiccicata addos- gia. Un tema che appena affrontato o intavolata a qualsiasi tipo di

so è difficile da lasciare per strada. Sia chiaro essere il centro di tutte le attenzioni del College Basketball , essere il centro principali di interesse di tutto il mondo Nba, non è che poi sia cosi tanto male o dispiaccia a qualcuno. Magari col senno di poi alcuni potrebbero anche rinunciare a tutto questo solo ed esclusivamente meno pressione o magari meno critiche sul groppone. La storia Nba è fatta di tante prime scelte non proprio azzeccatissime, non proprio quelle giusto, cosi come altrettanto sono

gradi e livelli, dai salotti Nba fino al più classico del bar del quartiere o del paese dove un paio di persone amanti della palla a spicchi le si trovano sempre, genere una sorta di viaggio nel tempo. Facile salire sulla ‘Deloryan’ pensando di essere Martin Mcfly e mettere sul banco della discussione di cui sopra i nomi di Magic Johnson, quello di James Whorty, quello Hakeem Olajuwon, quello di Shaquille O ‘Neal, Ralph Sampson, quello di David Robinson o Tim Duncan, quello di Allen Iverson per poi arrivare a quelli recentissimi di Dwight Howard e


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Lebron James (ci scuserete per la lista approssimativa, ma mettere assieme tutte le numero uno dal 1979 in poi che hanno fatto le fortune ed i successi di una franchigia Nba sarebbe significato dedicare loro un’intera sezione). Ma altrettanto facile salire a bordo della solita ‘Deloryan’ e imbucarsi in quello che è l’altro passaggio alternativo legato a quella possibilità di essere il primo giocatore in quella notte di luglio a salire sul palco e stringere la mano al Commissioner che ti consegna cappellino, pallone e tutto il necessario per le foto di rito. Quale altro passaggio? Quello dei flop. Se ricordare i nomi celebri scelti alla numero uno (dove manca ovviamente il nome di Michael Jordan ma tutti sanno come è andata la questione ndr) considerare facilissimo quelli che verranno ricordati per sempre come una macchia indelebile del general manager che lo ha scelto è un vero e proprio eufemismo. Ne sa per esempio qualcosa Air Jordan che da poco ha alleggerito il peso sulle spalle e ripulita la ‘fedina’ da dirigente dopo quella che forse può essere considerata come una delle prime scelte più sbagliate della storia ossia quella corrispondente al nome di Kwame Brown. L’high schooler scelto da Washington di Michale Jordan che ha passato più tempo a trovare se stesso che ha dimostrare il proprio valore. Ma Kwame non è stato ne il primo e nemmeno l’ultimo. Ce ne sono di nomi che quando nominati immediatamente nella tua mente si accende quella lampadina con affianco tutta una serie di nomi che invece avrebbero fatto molto più comodo. Michael Olowokandi ed Andrew Bogut i

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nomi che fanno compagnia all’attuale giocatore dei Detroit Pistons e che verranno ricordati più per essere stati scelti al posto dei vari Mike Bibby, Vince Carter, Antwan Jamison, Paul Pierce, Dirk Nowitzki per quello del 1998 e prima dei vari Deron Williams, Chris Paul, Danny Granger, Andrew Bynum per il 2005. Insomma ‘predestinati’ nel bene o nel male che sia. A quale categoria delle due appena affrontate apparterrà Blake Griffin lo scopriremo solo vivendo prendendo in prestito i versi di una nota canzone. L’etichetta gli è stata attaccata e non da adesso anche se si sta parlando di un ragazzo praticamente nato ‘ieri’. Merito del padre che non appena si è reso conto di quello che il figlioletto minore (Taylor il fratello più grande) riusciva a fare con una palla a spicchi tra le mani lo ha subito infilato nella lista dei ‘convocati’ della Oklahoma Christian School dove ovviamente il coach era il capo famiglia Griffin. Il piccolo Blake, però, non è certo fatto pregare, messo su di un campo da gioco guida immediatamente i compagni a quattro titoli statali regalando al papà quattro statuette da mettere nella vetrinetta di casa, che resta l’oggetto immancabile all’interno della casa di uno sportivo. I riconoscimenti fioccano come neve d’inverno ("Player of the Year" per The Oklahoman In 26 partite Griffin ha chiuso con 21.7 punti, 12.5 rimbalzi, and 4.9 assist, 49 stoppate e 45 recuperi che gli sono valsi anche la nomina nel primo quintetto del Tulsa World "Boys All-State). I numeri e i trofei continuano ad aumentare nel 2006 cosi come nel 2007 quando si porta a casa in una sola sera, quella del McDonalds All America, il trofeo principale e quello accessorio della gara delle s c h i a c c i a t e . A que l punto tutti lo vogliono, tutti lo cercano, ma l’amore per le terre natie ha la meglio su qualsiasi tipo di offerta provenienti dalle più disparate Università degli St a t e s e a l l a f i ne la de c i s i o n e f i ni s c e s u Oklahoma. La stagione 2007/2008 è la sua stagione da freshman e la sua stagione di esordio in un mondo del tutto di v e r s o : i l Colle ge Basket. The Terminator (uno dei tanti nomigno-

LE STATISTICHE 2008/2009 PPG

22.7

APG

2.3

3P%

37,5

RPG

14.4

BPG

1.2

SPG

1.1

Luogo di nascita Oklahoma City Altezza 6-10 Peso 251 lbs. Position Forward Esperienza al College 2 anni Classe Sophomore


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li che lo contraddistinguono insieme a Blake The Great, Zeus e Superman) ci mette poco ad ambientarsi, anche perchè il rito di alzare trofei al cielo continua a ripetersi ( primo quintetto della Big 12 Conference e primo quintetto All-Rookie con l’aggiunta di essere stato il primo Sooners a finirci dal 1983 quando l’onore toccò a Wayman Tisdale). Quella che in corso d’opera è la stagione decisiva per l’etichetta di predestinato. Lo ‘Zeus’ dell’Oklahoma diventa il primo e forse miglior prospetto del College Basket a suon di punti e rimbalzi (22,5 punti e 14,4 rimbalzi ad allacciata di scarpa). Ma nonostante le cifre, nella vita di un ‘predestinato’ c’è sempre un momento che segna il tuo destino ed illumina il tuo cammino. Per Blake quel momento è arrivato il 14 febbraio scorso o meglio il giorno di San Valentino. Dopo quanto ammirato nel match casalingo contro Texas Tech, qualcuno ha iniziato a pensare e valutare l’idea dell’esistenza di un cupido del Basket. Già perché solo con la fantasia ed un’immaginaria freccia miracolosa si possono spiegare i 40 punti, 23 rimbalzi in 31’ minuti di impiego. Di li in poi fino ad arrivare all’attuale Torneo Ncaa è storia recente, storia fatta anche di tanti altri riconoscimenti quali: il tutto costellato da una serie di riconoscimenti quali record di doppie-doppie con 22 e terzo giocatore ad aver segnato almeno 40 punti in un match dietro i 43 di Alvan Adams nel 1975 e i 61 e 22 rimbalzi di Wayman Tisdale nel 1983. Una storia recente che lo porta e comporterà sicuramente da qui ala fine della stagione e prima di quel giorno fatidico di luglio, sul gradino più alto del podio sia nelle varie previsioni di Draft, sia nel ranking dei migliori Sophomore della nazione e sia in quello dei migliori 100 prospetti a stelle e strisce. A dire il vero non si sprecano nemmeno i paragoni o se vogliamo i complimenti, nel bene o nel male che sia, tanto i segni distintivi del suo gioco e del suo talento non potranno certo che migliorare nel tempo. Già perché anche per un predestinato come Griffin non manca la classica la voce ‘waekness’ all’interno dei vari ‘report’ degli scout Nba. Voce che comprende lacune difensive specialmente nei fondamentali, leadership, percentuale non alta ai liberi, movimenti in post alto, un campo di azione dello jumper al quanto limitata oltre ad un punto interrogativo legato alle ginocchia dopo gli infortuni accorsi sostanzialmente nella sua prima stagione ai Sooners. Ma in ogni cosa c’è sempre un rovescio della medaglia e quella legato ai punti di forza di ‘Blake The Great’ sono davvero tanti: eccellente rimbal-

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zista, corpo da Nba, fluidità, esplosività, atletismo, coordinazione e controllo del corpo specie nei contatti a centro area dove riesce sempre a concludere il movimento nonostante l’avversario, etica del lavoro, mentalità vincente, intelligenza cestistica fuori dal comune, energia, intensità, una mano docile anche nel palleggio e dulcis in fundo capacità nel crearsi un tiro dal nulla. Tutte voci che hanno fatto il giro dell’America cestistica intesa nel suo insieme (media compresi) dalla quale non si sono risparmiati nemmeno i paragoni. Quello più frequente lo vuole essere una sorta di Antonio McDyess del futuro (anche se con meno tiro frontale dalla media) o magari chi non contento della pressione che già generalmente viene posta sulle spalle di chi sarà l’oggetto di tutti gli sguardi alla sua prima stagione Nba, lo ha paragonato addirittura a Karl Malone. Paragone un po’ azzardato e pericoloso specialmente per la crescita del giocatore stesso, che magari sotto pressione potrebbe anche trasformarsi in una sorta di David Lee figura e nome a cui viene accostato nel peggiore dei casi, ma anche in questo caso inserito nel sistema giusto sarebbe un bell’accontentarsi, visto i numeri e la stagione di quest’ultimo ai New York Kincks.


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di

A LESSANDRO

DELLI

PAOLI

That’s Final Four time L’atto finale del torneo collegiale vedrà sfidarsi una contro l’altra: i Villanova Wildcats, i Tar Heels di North Carolina, gli Spartans di Michigan State e gli Huskies di Uconn


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“Ne resterà soltanto uno”. Queste sono le celebri parole di Connor McCloud, l’immortale del film “Higlander”, ben applicabili ad ogni torneo che propone uno e uno solo vincitore. Le quattro regine della NCAA 2008 sono North Carolina, Villanova, Connecticut e Michigan State, e ne resterà soltanto una. La prima delle due semifinali di Detroit vedrà opporsi la formazione di Roy Williams, North Carolina, contro i Villanova Wildcats allenati da coach Jay Wright. I Wildcats ,qualificatisi al bracket con il numero 3 della parte dell’East Regional, hanno conquistato la Final Four eliminando al primo turno la piccola American, poi UCLA, quasi a sorpresa i Blue Devils di Duke e, infine, in un altro “upset”, la numero uno Pittsburgh. L’uomo simbolo è il junior Scott Reynolds, guardia che finora ha prodotto 12,5 punti di media in questo torneo e il tiro della vittoria, a 2 secondi dalla fine, contro i Panthers di Pittsburgh; ma i pericoli per i Tar Heels arriveranno dall’esperienza dei due senior Dwayne Anderson (15 punti e 8 rimbalzi di media) e Dante Cunningham (17.8 punti e 8 rimbalzi a uscita). Si preannuncia un’altra bella sfida sotto le plance per Tyler Hansbrough,leader carismatico, se ce n’è uno, di North Carolina, che ha trascinato i giocatori in maglia bianco azzurra, producendo finora un torneo da 17 punti e 7 rimbalzi di media, alla vittoria nel South Regional. La “cinderella” Bradford, Louisiana State, Gonzaga e, infine Oklahoma, le vittime dei Tar Heels. Nulla ha potuto il prossimo unmero uno del draft NBA Blake Griffin di Oklahona di fronte ad un collettivo decisamente collaudato, in cui emergono, oltre a Psyco T, le personalità ed il talento di Ty Lawson, folletto che nelle tre gare da lui disputate ha realizzato 20 punti di media conditi con 6.6 assist e Wayne Ellington, guardia junior che contribuisce alla causa con 19 punti. Così UNC conquista la diciottesima Final Four nella sua prestigiosa storia. L’altra semifinale vede opposte Connecticut e Michigan State. Uconn arriva alla Final Four dopo aver fatto fuori nell’ordine Chattanouga, Texas A&M, Purdue e, nella finale del West

Regional, Missouri con il punteggio di 82 a 75. Gli Huskies raggiungono così la loro terza Final Four, dopo le due vittoriose del 1999 e del 2004. Coach Jim Calhoun si affida ai suoi big three, i due senior Jeff Adrien, finora in doppia doppia di media (14 punti e 10 rimbalzi) ed A.J. Price, principale terminale offensivo con i suoi 20 punti cui aggiunge 4 rimbalzi e 5 assistenze. A completare il terzetto, tutta l’energia del centro dominante Rasheed Thabeet (11.5 punti e 11.2 rimbalzi accumulati nella March Madness). Non sarà facile, per gli Spartans, superare l’ostacolo Uconn. Una grossa mano potrà darla il pubblico del Ford Field di Detroit, distante solo 90 miglia dal campus di East Lansing, il campus della squadra uscita vincitrice dai West Regionals. Gli Spartans sueperano al primo turno Robert Morris, poi affrontano e battono Southern California del nostro Daniel Hackett, Kansas alle Sweet Sixteen e i favoritissimi Cardinals di Louisville alle Elite Eight. Coach Tom Izzo ha una squadra quadrata in difesa, dove spicca Travis Walton, eletto appunto miglior difensore della Big Ten, che ha esercitato una pressione tremenda sui Cardinals determinado così la vittoria schiacciante per 64 a 52. La coppia formata da Goran Suton, 14.3 punti e 11.5 rimbalzi di media, e Kalin Lucas, 12.7 punti e 5.2 assist in quattro gare, è temibilissima, così come l’apporto di Durrell Summers dalla panchina. Non ci sono pronostici che tengano, sono le Final Four, è l’atto conclusivo della March Madness. Ne resterà soltanto una.

Ty Lawson di NC, Dante Cunningham di Villanova, Lucas di Michigan State ed Aj Price di Uconn


Lente di

ingrandimento sulla LegaA


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DI

TOMMASO S TARO

18 punti, tredicesimo posto in classifica distante lo spazio di due vittorie dalle zone incandescenti, 3 successi nelle ultime quattro uscite e, sopra ogni cosa, un dato inconfutabile: la consapevolezza di aver intrapreso la strada giusta per tirarsi, quanto prima, fuori dalla bagarre-salvezza. Sarebbe troppo scontato ingaggiare un gioco con il lettore per fargli scoprire l’oggetto misterioso che si nasconde dietro queste cifre, dietro questa piccole cornice; già, perché la soluzione è evidentemente a portata di mano ed ha un nome ben preciso: Carife Ferrara. Una matricola di questa LegaA che sta vivendo un momento d’oro; un momento che, nell’economia della sua stagione, potrebbe rivelarsi decisivo per scrivere un destino che tutti, all’ombra del Castello, fanno coincidere con la permanenza nella massima serie; un momento, a dirla tutta, impreziosito con una gemma di inestimabile valore portata in dote dalla trasferta romana al cospetto di quella che, alla vigilia della palla a due, era la seconda forza del campionato. Nell’insolita location del Palatiziano (complice l’indisponibilità del PalaLottomatica), infatti, gli estensi hanno mandato un messaggio fortissimo alla concorrenza; un messaggio che è risuonato fin troppo forte anche nei padiglioni auricolari di Bodiroga e dei suoi adepti, usciti dalla contesa tra i fischi del pubblico giallorosso e con la mente offuscata da innumerevoli pensieri. Difficile poter capire se quello dei giallorossi sia stato un peccato di presunzione o altro; e adesso, tutto sommato, poco importa. Perché, allo stato delle cose, rivolge-

Carife Ferrara, il ‘castello’ si trasforma in un fortino Dopo la vittoria di domenica scorsa contro la Lottomatica Roma i riflettori di ‘Made in Italy’ tutti sul team estense. Il coach Giorgio Valli: «Ora dobbiamo essere bravi a capitalizzare il fattore campo»

re lo sguardo alla truppa del presidente Toti significherebbe implicitamente mortificare i meriti del Club estense su cui, invece, è doveroso puntare il fatidico “occhio di bue”. «Indubbiamente -dichiara coach Giorgio Valli- quella a Roma è stata per noi una vittoria che potrebbe cambiare l’intera stagione. Due punti importantissimi in ottica futura, a condizione che riusciremo a non perdere una certa di continuità di rendimento soprattutto nelle partite che disputeremo in casa. E’ stata una sfida intensa nella quale abbiamo sempre creduto ed alla quale eravamo arrivati senza alcuna preclusione mentale. Probabilmente è stato questo il segreto che ci ha consentito di espugnare il Palatiziano. Dal punto di vista tattico, abbiamo avuto il merito di non farli correre e di non farci sovrastare dalla loro fisicità. Tenendo sempre i ritmi bassi siamo arrivati punto a punto all’ultimo quarto nel corso del quale è venuto fuori tutto il talento di Allan Ray». Una partita che ha avuto qualche strascico polemico in ragione, soprattutto, di quel fallo antisportivo sanzionato a Datome. Senza entrare nel merito della decisione arbitrale, sei d’accordo in linea teorica con la nuova formulazione di questo fallo e su altre regole che continuano a suscitare forti perplessità? Non ultima, quella del possesso alternato con la conseguente abolizione della contesa in caso di contestazione del possesso di palla. «Senza ombra di dubbio sono tutte cose da rivedere e da riprendere in considerazione a campionato finito. Credo che la cosa più importante sia quella di togliere quanta più discrezionalità possibilità all’operato degli arbitri: è una cosa, questa, che vogliamo tutti noi e che vogliono anche gli stessi uomini in grigio. Quanto alle polemiche del post-partita, mi sento di dire che il match non è assolutamente girato su quell’episodio». Coach, facciamo un passo indietro. Fabriano, 14 Aprile 2008:

una data storica per Ferrara. Che ricordi hai di quel giorno? «Ricordi stupendi. Venivamo da una stagione incredibile e da dodici vittorie consecutive dopo la sconfitta a Caserta; è stato il coronamento di un sogno per noi e per tutta la città. La partita di Roma, per certi versi, mi ha riportato indietro nel tempo; abbiamo ritrovato quell’equilibrio di gioco che avevamo in passato». La scorsa estate avete deciso di confermare in blocco (fatta eccezione per Charlie Foiera) tutti i ragazzi che avevano conquistato sul campo la promozione in LegaA. E’ stato un giusto premio alla compattezza del gruppo o una scelta figlia della consapevolezza del valore tecnico di un roster meritevole soltanto di piccoli aggiustamenti in vista del salto di categoria? «Entrambe le cose. Sicuramente i ragazzi hanno meritato la fiducia di giocare anche in un campionato diverso e, senz’altro, più difficile come la LegaA; nello stesso tempo, però, pensavamo e pensiamo tuttora di disporre di un roster composto da giocatori anche italiani in grado di fare la differenza. Le ultime prestazioni di Allegretti e Zanelli lo dimostrano ampiamente». Il vostro mercato si è concentrato, quindi, sull’arrivo di due volti nuovi: oltre a Ebi, è stato ingaggiato Mykal Riley. Un rapporto, con quest’ultimo, durato poco; cosa non ha funzionato, visto tra l’altro il suo ottimo rendimento in Legadue nelle file di Imola? «Anzitutto, c’è da dire che Mykal era un rookie; e come tutti i rookie, forse anche lui avrebbe avuto bisogno di un anno in Legadue per assorbire meglio il trauma di giocare per la prima volta lontano da casa. D’altronde, se guardiamo al passato, ci accorgiamo che per la Legadue sono transitati fior di campioni: penso a Terrell McIntyre o a Drew Nicholas. Considerate le sue difficoltà, quindi, abbiamo pensato di cederlo in prestito a Imola anche se rimane, come detto, un giocatore di cui dete-


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niamo i diritti. Andato via Riley, abbiamo dovuto trovare le risorse economiche per acquisire un giocatore esperto nel contesto di una squadra composta da molti esordienti». Rick Apodaca. Quali sentimenti ti suscita questo nome? Rabbia, rammarico, fastidio o cos’altro? «Mah, un giocatore che riprenderei. E’ stato sicuramente leggero nel non affrontare una situazione importante; se mi avesse messo al corrente di tutto, probabilmente adesso staremmo qui a parlare di uno dei giocatori più forti del campionato. Purtroppo non l’ha fatto; ed ha così pagato una leggerezza più mentale che legata a qualche sua cattiva abitudine». A Gennaio arriva Allan Ray, mandato via da Roma forse a causa della sua eccessiva “esuberanza”. Quanto è stato difficile inserirlo nel contesto del gruppo e come sono cambiati i vostri equilibri e le gerarchie interne? «Avevamo sicuramente bisogno di un giocatore del genere; di uno in grado di assumersi importanti responsabilità grazie al suo incredibile talento. In merito al suo carattere, più che di esuberanza parlerei di entusiasmo. E’ venuto qui con tanta umiltà e voglia di allenarsi all’interno di una squadra che avrebbe lottato non per un titolo ma per una semplice permanenza nella categoria. In questo senso, devo dire che è stato bravissimo a calarsi in questa realtà; e i risultati gli stanno dando ragione». Quale è, in questo momento, il punto di forza della tua squadra? «Adesso abbiamo più fiducia in noi stessi e la consapevolezza di potercela giocare su tutti i campi contro chiunque. Il segreto è riposto in una sola parola: squadra. Una squadra con tante motivazioni». Sei incontri da disputare, di cui 4 in casa contro compagini alla vostra portata (oltre alla più quotata Virtus Bologna), Farabello&c. se la vedranno con

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Udine, Biella e Montegranaro). La vostra salvezza, insomma, passa dal PalaSegest. «Sì, è così. Giocare in un palazzetto pieno di entusiasmo darà più entusiasmo anche a noi. Come ho già detto, dovremo essere bravi a capitalizzare il fattore campo; un fattore campo che, forse, verrà annullato solo quando giocheremo contro la Virtus Bologna, considerato che sarà un derby e considerato, oltre tutto, il valore dell’avversario». Credi che la classifica rispecchi i reali valori tecnici delle squadre? «Grosso modo, direi di sì. Magari potrà esserci qualche squadra che meriterebbe 2 o 4 punti in più o in meno; ma i valori sostanzialmente sono questi. Come in ogni campionato, ci sono le sorprese in positivo e in negativo: Teramo è la sorpresa nella parte alta della classifica, la Fortitudo Bologna in quella bassa». Escludendo la Carife, su quale squadra punteresti 1 euro in ottica salvezza? «Sulla Fortitudo. Credo, in effetti, che la Effe abbia tutte le carte in regola per venire fuori da questa situazione; a Bologna devono solo capire che il campionato con cui sono chiamati a confrontarsi è un altro rispetto a quello che si erano prefigurati alla vigilia. Se, invece, affronteranno il resto della stagione in chiave delusione, allora il discorso potrebbe prendere tutta un’altra piega». Per finire, un saluto a tutti i lettori di “Stars ‘n’ Stripes” versione Made In Italy. «A loro dico di avvicinarsi al basket e di divertirsi. Quando inizi e finisci una partita tra gli applausi del pubblico a prescindere dal risultato, capisci davvero che tutto il movimento sta facendo importanti passi in avanti». In bocca al lupo, coach.


MADE IN ITALY

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Si è conclusa a Siena la terza giornata della Commissione di valutazione Fiba in Italia per la candidatura ai campionati del mondo

Parte il progetto Italia 2014 Con il ricevimento a Palazzo Pubblico, a Siena, si è conclusa la terza giornata della Commissione di Valutazione della Fiba in Italia. La Commissione, guidata dal segretario emerito della Fiba, Borislav Stankovic e composta da Markus Studer (direttore ufficio operativo) e Predrag Bogosavljev (responsabile eventi), è arrivata nel città toscana direttamente da Milano. Siena, nel caso la candidatura italiana andasse a buon fine, potrebbe ospitare un girone di qualificazione del Campionato del Mondo. La Commissione Fiba, accompagnata da Massimo Cilli, vicepresidente esecutivo di Italia 2014 e dal presidente del Comitato Fip Toscana Gabriele Grandini, è stata ricevuta in Comune dal sindaco Maurizio Cenni e dall’assessore allo sport Massimo Bianchi. Sono intervenuti all’incontro Gabriello Mancini, presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Marco Parlangeli, direttore generale della Fondazione Monte dei Paschi di Siena e il presidente della MPS Mens Sana Basket Ferdinando Minucci. Nel corso dell’incontro è stato illustrato è stato illustrato alla Commissione Fiba il progetto Città dello Sport, concepito con criteri di biosostenibilità nel pieno rispetto dell’ambiente e del territorio. I tempi per la realizzazione del nuovo impianto sono di due anni e prevedono un inizio dei lavori per la fine del 2010. Prima del ricevimento in Comune, la Commissione aveva incontrato il presidente della Fortitudo Bologna Gilberto Sacrati insieme al

gm Zoran Savic. Sacrati ha sottoposto alla Commissione Fiba il progetto Parco delle Stelle, che prevede nella città di Bologna, altra possibile sede per il Campionato del Mondo, un nuovo parco tematico sportivo con alberghi ed impianti sportivi di nuova concezione, tra cui un palazzetto dello sport da 13mila posti. Domani mattina la Commissione si sposta a Roma. Il programma del 2 aprile prevede nella tarda mattinata un sopralluogo a

Tor Vergata, poi alle 16 l'appuntamento in Campidoglio con il sindaco di Roma Gianni Alemanno (incontro con i media a seguire nella Sala dell'Arazzo). Il 3 mattina invece alle 10,00 incontro a Palazzo Chigi con il sottosegretario Gianni Letta e con il sottosegretario Rocco Crimi. La Commissione Fiba sarà accompagnata nella tappa romana dal presidente Fip Dino Meneghin e dal Comitato Promotore Italia 2014.

Dino Meneghin presidente della FIP

Il gesto di Terry salva la Fortitudo, per il team del patron Sacrati sanzionati solo 3.000 euro di multa Era già capitato in passato, il 5 marzo 2006, quando una monetina scagliata dagli spalti del PalaDozza colpì alla testa l’arbitro Ramilli, rischiando di rovinare in anticipo una partita che si rivelò invece epica e vide la Fortitudo battere Napoli dopo due tempi supplementari, dopo che proprio Ramilli scelse di continuare ad arbitrare. E’ ricapitato ieri nel derby, quando nel finale del primo tempo una moneta ha colpito il giocatore bianconero Terry. E si è rischiato di rendere del tutto inutile la rimonta biancoblù della ripresa, poi sfumata sul tiro di Vukcevic. L’americano ha poi scelto di tornare in campo, e tenendo conto di ciò il Giudice Sportivo ha limi-

tato il provvedimento ad una multa di 3.000 euro. Ma il fatto è da condannare a prescindere e avrebbe potuto causare conseguenze gravissime: in primo luogo per qualsiasi dei protagonisti presenti sul parquet, a prescindere dalla maglia indossata. Ed in secondo luogo per la stessa Fortitudo, perché una squalifica del campo per più giornate avrebbe potuto costare ben più del derby. Di fronte a un simile episodio di inciviltà e nonsportività, la Fortitudo è pronta a dire basta e prendere seri provvedimenti, chiedendo l’aiuto del proprio pubblico per individuare l’autore di questo gesto scellerato.

Rayshawn Terry colpito da una monetina durante il derby con la Effe


STARS ‘N’ STRIPES ON THE ROAD

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DI

LEANDRA RICCIARDI

Il tour ‘On The Road’ di Stars ‘N’ Stripes fa tappa a Los Angeles, la ‘casa’ dei Lakers di Kobe Bryant e di Phil Jackson in vetta alla Western Conference

LA...The City of Angels Quanti di voi si saranno domandati almeno una volta.. perché LOS ANGELES è chiamata CITY OF ANGELS (città degli angeli)?? Beh..probabilmente qualcuno di voi avrà buttato giù qualche ipotesi del genere: -Grazie al film interpretato da Nicolas Cage e Meg Ryan ? - Perché la gente lì è più buona? - Probabilmente qualcuno ha visto degl’angeli aggirarsi per la città? Beh.. Mi dispiace profondamente deludervi ma la storia è ben diversa!:), in realtà Los Angeles è solo un diminutivo.. il nome originario è : Ciudad de la Iglesia de Nuestra Señora de Los Angeles sobra la

Porziuncola de Asís, cioè: “Città della Chiesa della Nostra Signora degli Angeli della Porziuncola di Assisi”. L.A. è la più grande città della California e la seconda di tutti gli Stati Uniti d’ America. Insieme a New York e Chicago è una delle tre metropoli più importanti del paese ed è un centro economico,culturale e scientifico di rilevanza mondiale. Ad una prima impressione essendo tanto diversa dalle nostre città può non sembrare un granchè: un rettangolo che si estende per circa 100km lungo la costa del Pacifico e per 40km, con varie diramazioni, all’interno. Non vi è un centro, una piazza, un monumento particolare come punto di riferimento: si tratta di una distesa di case moderne di varie tipologie, interrotte da qualche edificio storico e da palazzi relativamente vecchi e belli, come quelli di Wilshire boulevard, con le sue palazzine tipiche ed i negozietti. I grattacieli svettano solo nella zona degli affari, a Downtown. Per il resto si susseguono edifici bassi, in aree a più o meno alta densità abitativa, intervallate da autostrade, aree commerciali con negozi e fast food, zone industriali, immensi canali di cemento (immortalati nella scena dell’inseguimento in Terminator 2 n.d.r.) che fungono da cloaca a cielo aperto. Eppure il fascino di questa città permane intatto da quando fu fondata nel 1781, proprio per il suo disordinato insieme di quartieri e contee molto diverse tra loro: una città cosmopolita abitata da gente di tutti i tipi, dalle notevoli differenze economiche, che in più incarna, con Hollywood, il mito e la storia del cinema. Ma probabilmente queste sono informazioni che avrete già sentito, visto al cinema o googlato!:D Tuttavia.. quanti di voi sanno che è l unico posto

Fotogrammi del panorama di LA e lo Staples Center

al mondo in cui hai la possibilità di alzarti al mattino ed andare a sciare e poi concludere la giornata sulle lunghe spiagge mentre il sole tramonta dientro le palme?? ebbene si! Basta allontanarsi nella parte Nord-ovest,a Big Bear Lake nella San Bernardino National Forest per trovare canaloni e gobbe ottimi, ma non aspettavi neve molto farinosa! COME ARRIVARE E COME MUOVERSI. Arrivando a Los Angeles con l'aereo è possibile atterrare in uno dei suoi 5 aeroporti: Los Angeles International Airport “ LAX” (sicuramente il più grande); Hawthorne Municipal Airport ; Long Beach Municipal; John Wayne International Airport; Ontario International Airport. Per raggiungere il centro della città (Downtown, Hollywood, Santa Monica) diverse sono le soluzioni ma, vista l'estensione della città, preparatevi a viaggi piuttosto lunghi, se intendete rimanere a Los Angeles più di un giorno, è preferibile noleggiare una macchina. Il costo di noleggio non è estremamente alto,si può noleggiare una Chevrolet Aveo a 150 per settimana, (potete farvi un’idea sul sito www.interprise.com o su www.easycar.it ). Oppure con un po’ di pazienza potete capire come funzionano gli autobus e la metropolitana, il problema è che la città è così estesa che senza un mezzo proprio avrete bisogno di 2 belle gambe forti..perchè camminerete come non avete mai fatto in vita vostra! Per orientarvi dovete munirvi di una cartina oppure, collegatevi ad un sito di mappe online come: www.mapquest.it o www.yahoo.it e stampatevi il tragitto che vi serve. DOVE DORMIRE Come ho già detto in precedenza, Los Angeles è molto estesa,e sarà necessario muoversi parecchio per andare da una parte all ‘altra, quindi a differenza delle altre città non è così fondamentale trovare un albergo al centro, ed è possibile risparmiare qualche dollaro alloggiando più in periferia. I prezzi sono, in genere, molto variabili e dipendono dal periodo dell'anno. Più turisti significa prezzi più alti. Gli hotel più economici con posizione centrale sono : Hotel Cecil a South Main Street nel cuore storico del centro della città.Troverete prezzi tra i 40 e 50 per camera doppia a notte. The Mayfair Hotel in west 7th Street a 2km dal centro della città prezzi dai 50 a 60 sempre per camera doppia a notte Hotel Kawada S Hill Street nel cuore della città , prezzi tra I 60 e 70 per camera doppia a notte. Per i più Spendaccioni invece ci sono hotel anche da 300-400 a notte, come: Four Seasons, Beverly Wil in Wilshire Boulevard, Meridien Beverly Hills in S. la Cienega Boulevard, Beverly Wilshire in Wilshire Boulevard. Per tutte le altre informazioni potete consultare il sito www.octopustravel.com e www.tripadvisor.it


STARS ‘N’ STRIPES ON THE ROAD

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IL TEMPO Il clima è subtropicale temperato, estremamente piacevole quindi. Con le sue scarsissime precipitazioni (solo 38cm l'anno) e le numerosissime giornate di sole (291 l'anno) il clima è l'ideale per fare turismo e non solo. Tra ottobre ed aprile la temperatura media è di 18° o 19° C di giorno e scende a 8° o 9° C la notte. Maggio e giugno hanno una temperatura più mite, tra i 23° edi 25° C. Tra luglio e settembre invece la temperatura diurna oscilla tra i 27° ed i 28° C mentre la notte tra i 16° e 17°C. Per visitare una città ed un paese è comunque indispensabile conoscere le previsioni del tempo che potete trovare sui siti: www.infortunisti.com e www.ilmeteo.it COSA VEDERE I L C ALIFORNIA S CIENCE C ENTER : (chiamato anche California ScienCenter) è il museo della scienza e della tecnica di Los Angeles situato nel Exposition Park. Tra le sezioni più importanti è possibile ricordare: World of Life: La vita e la crescita di diversi esseri viventi viene esplorata in modo originale. Transportation: Tutto sulle automobili. Creative World: In questa sezione è possibile avere informazioni molto varie, dalla fisica della terra alla costruzione di una casa ed ovviamente non poteva mancare una sezione dedicata ai terremoti ed agli effetti sulle abitazioni. Discovery Room: Completamente dedicato ai videogiochi interattivi. IMAX Theater: L'animazione 3D è di sicuro effetto. Vale la pena anche se il biglietto (circa 8$) non è compreso in quello d'entrata. Aerospace Building: Espone pezzi dedicati al mondo aerospaziale. DISNEYLAND: Situato a circa 50 chilometri dal downtown di Los Angeles, ad Anaheim in California. è il primo e più famoso parco a tema del mondo costruito nel 1955. Nel 1990 Disneyland Park diventò Disneyland Resort, ad indicare che ormai la sua estensione ed i servizi messi a disposizione. IL GETTY CENTER: è la sede principale del J. Paul Getty Museum e di uno dei centri di culturali più importanti al mondo. L'edificio principale è costituito da 4 padiglioni disposti secondo i punti cardinali;tanto per avere qualche idea dei capolavori che si trovano è possibile citare L'Incoronazione della Vergine di Gentile da Fabriano, Natura Morta con Mele di Cezanne, Iris di Van Gogh, Le Rue Monsier di Manet, Passeggiata di Renoir, Maddalena Penitente di Tiziano. HOLLYWOOD: è probabilmente la zona più famosa di Los Angeles grazie ai numerosissimi studi cinematografici che vi si trovano. È la città dei VIP di ogni genere e il debutto di molti film americani avviene nei suoi immensi cinema. Oltre tutto, in una delle sale di Hollywood, vengono consegnati i premi oscar. Prima dell'avvento del cinema Hollywood non era ancora parte integrante del centro urbano di LA. Si trattava di un quartiere collinoso ed ancora rurale. RODEO DRIVE: oltre che per i numerosi film della produzione hollywoodiana, è conosciuta per essere la via principale dello shopping di lusso. Numerosissime le griffe:Armani, Bulgari, Gucci, Cartier, Channel, Dior, Dolce & Gabbana, Fendi, Hermes, Lacoste ma anche Louis Vuitton, Prada, Valentino e Versace solo per citarne alcune. I negozi più chic sono ospitati, e non poteva essere altrimenti, in un centro comerciale chiamato Rodeo Collection. UNIVERSAL STUDIOS: sono un parco a tema di proprietà della famosissima Universal, produttrice di film e cortometraggi. Si trova ad Hollywood ed è solo uno (anche se probabilmente il più grande) dei parchi a

tema della Universal presenti nel mondo. Inizialmente la Universal proponeva delle visite guidate direttamente negli studi dove venivano girati i film. Oggi sono in realtà un parco a tema con numerose attrazioni basate, ovviamente, sulle più celebri produzioni cinematografiche. Il parco in realtà sorge accanto ai veri studi cinematografici che sono solo in parte visitabili e solo con una visita guidata. Nel parco, oltre alle ovvie e normali montagne russe, è possibile assistere a diversi spettacoli, alla costruzione delle scenografie dei film e ci si può tuffare alla scoperta di alcuni dei trucchi cinematografici più usati. VENICE: La Venezia d’ America è un quartiere abbastanza particolare che si trova ad ovest di Los Angeles e che deve il suo nome per lo più alla fitta rete di canali (molti dei quali artificiali) che lo attraversano e che la fanno (in realtà abbastanza vagamente) assomigliare a Venezia,è un bellissimo quartiere che si affaccia sull'oceano ed è famoso anche per le sue bellissime spiagge. MALIBU’: essa è famosa per le sue afose spiagge e anche perché è residenza di molte stelle del cinema e dello spettacolo in genere. DOWNTOWN: è la zona centrale di Los Angeles ed anche quella in cui si trovano i principali uffici e negozi. Vi si trovano alcuni luoghi interessanti dal punto di vista culturale come il MOCA, il Museo delle Arti Contemporanee e la zona turistica di El Pueblo de Los Angeles, che costituisce anche il primo nucleo della città. Qui è possibile visitare interessanti edifici in stile spagnolo quali l’Avila Adobe, e la chiesa di Nostra Senora la Reina de L.A.. Tutte le strade dei circondario offrono numerosi negozi dove poter acquistare souvenir. Altri posti da visitare e non perdersi sono anche: Guinness Records Museum, Hollywood Cemetery, Griffith Park, Beverly Hills, l’Università della California,il Westwood Memorial Park, Norton Simon Museum e Los Angeles County Museum of Art . SPORT

Los Angeles è priva di una squadra di football americano cittadina, ma è rappresentata nelle principali altre leghe sportive: Los Angeles Lakers e Los Angeles Clippers nella NBA (pallacanestro), Los Angeles Dodgers e Los Angeles Angels of Anaheim nella MLB (baseball), Los Angeles Kings nella NHL (hockey su ghiaccio), Los Angeles Sparks nella WNBA (pallacanestro femminile), Los Angeles Galaxy (calcio). CURIOSITA’ • La squadra di pallacanestro dei Los Angeles Lakers era in origine una importante squadra del Minnesota ,trasferitasi a LA nel 1960. • Nonostante le sue dimensioni, Los Angeles ha una sola linea di metropolitana sotterranea • Dato che a Los Angeles, come in altre zone degli USA, il traffico sulle strade è causato in particolare dall'abitudine degli automobilisti di usare il proprio veicolo in solitario, negli ultimi anni ci sono state molte iniziative (con tanto di corsie speciali) per chi viaggiasse in macchina con più persone a bordo. • È veramente raro trovare persone a piedi nei Boulevard di Los Angeles. Ciò perché sono lunghe vie di collegamento tra più quartieri, per giunta densissime di traffico e smog • Il luna park posto sul molo di Santa Monica è uno dei ritrovi più frequentati e uno dei più grandi al mondo su palafitte. • A Los Angeles - come in tutta la California e in altri stati americani - è severamente vietato circolare per strada con alcolici in vista. • Al contrario di cosa si possa pensare, uno dei quartieri più pericolosi e malfamati di Los Angeles è proprio il centro (Downtown). Infatti, essendo un quartiere quasi completamente composto da uffici, esso si svuota di notte ed è meta di molti malintenzionati. Allora ricapitoliamo… Non dimenticatevi la mappa della città.. fate tante foto, portatevi il costume e …..Sullo shopping No Comment perché sono di parte!…insomma..Buon Divertimento…

Hollywood, Venice, Santa Monica e Downtown LA


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1.AEROPORTO DI LOS ANGELES, 2.LA NEVE DI SAN BERNARDINO INTERNATIONAL FOREST, 3. LA VECCHIA VERSIONE DELLA MAPPA DI DISNEYLAND DATATA 1956, 4. SANTA MONICA, 5. UNIVERSAL STUDIOS HOLLYWOOD

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