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L’Hindenburg, incidente o attentato?

Furono i nemici del Reich all’origine della tragica fine del fiore all’occhiello dell’aeronautica nazista? Oppure l’idrogeno? La tesi dell’incidente pare più plausibile.

Bastarono appena 34 secondi per metter bruscamente fine al dominio dei dirigibili nei cieli dell’anteguerra. Il 6 maggio 1937, a Lakehurst (USA), il dirigibile tedesco Hindenburg prese fuoco durante le manovre d’attracco, dopo un volo transatlantico senza problemi. Bilancio: 36 morti. Un numero sufficiente di vittime per valergli il soprannome di «Titanic dell’aria». Con una differenza, però: 25 anni dopo quel celebre naufragio, le immagini della caduta del gigante del cielo furono immortalate in diretta dalle cineprese americane, prima di fare il giro del mondo. La condanna a morte fu irrevocabile. Bisognerà attendere la fine della guerra prima che l’aviazione civile riprenda il testimone per garantire dei collegamenti tra vecchio e nuovo mondo.

La causa della catastrofe? Il Reichsluftfahrtministerium privilegiò rapidamente la tesi dell’attentato. È vero che, passata la fraternità di facciata ostentata alle Olimpiadi di Berlino, nel 1936, il regime mostrava un viso meno simpatico. Occupazione della Renania, sostegno al franchismo in Spagna, antisemitismo palese: non mancavano di certo i motivi per voler attentare al simbolo del successo dell’aeronautica tedesca e mettere in cattiva luce questa potenza. E, secondo alcune fonti, la polizia segreta di Stato, la Gestapo, si sarebbe autoinvitata a bordo…

Accendini confiscati

Ad appoggiare la tesi dell’incidente, sostenuta fin da subito dalle autorità d’inchiesta americane, vi sono alcuni fatti da ricordare.

Innanzi tutto, i ricercatori tedeschi – vittime del protezionismo degli Stati Uniti in materia di vendita d’elio all’estero dal 1927 –, avevano ripiegato sull’idrogeno, più facile da produrre. L’Hindenburg racchiudeva 190 000 m3 d’idrogeno, un gas altamente infiammabile. A titolo aneddotico, fiammiferi e accendini venivano confiscati all’imbarco. Inoltre, poco tempo prima del volo fatale, erano state effettuate delle prove in Germania per tentare d’ancorare in volo un aereo Focke-Wulff Stieglitz all’aeromobile, per poter caricare la posta in direzione degli Stati Uniti dopo il decollo. Ernst Udet, l’asso dell’aviazione tedesco reduce della Grande Guerra, era a capo della manovra, giudicata però inconcludente, tanto da essere rapidamente interrotta. Ma i ripetuti urti durante le prove avrebbero indebolito e provocato la rottura di un cavo di tensione interno, che avrebbe colpito una cella d’idrogeno prima dell’attracco.

Temporali ed elettricità statica

Una tesi questa avvalorata dalle condizioni meteo avverse durante la fase d’avvicinamento alla stazione di Lakehurst. L’Hindenburg avrebbe attraversato una zona temporalesca e si sarebbe caricato d’elettricità statica. Tentando di assicurarlo al pilone d’ormeggio, il team di terra avrebbe causato una scintilla che avrebbe infiammato il gas disperso e fatto esplodere tutto l’idrogeno contenuto nell’involucro dell’aeronave. lj

Assistente di ricerca volante

Pegasos, ossia Pan-European-GasAerosol-Climate Interaction Study. Scaglionato tra il 2012 e il 2013 e finanziato dalla Commissione europea, il progetto che coinvolgeva 26 partner di 14 paesi europei e Israele è stato sostenuto materialmente dalla ditta di Friedrichshafen e dal centro di ricerca tedesco Jülich. Per 20 settimane, uno Zeppelin NT equipaggiato in modo speciale –con a bordo un esperto e più di una tonnellata di materiale – ha sorvolato 16 nazioni d’Europa dal sud al nord, seguito a terra da una quindicina di scienziati e tecnici. L’operazione mirava a misurare i rapporti tra la chimica dell’atmosfera e il cambiamento climatico. L’attenzione dei ricercatori era rivolta soprattutto a due componenti: gli aerosol e il radicale idrossile. Il ricorso ad un dirigibile della nuova generazione ha permesso di completare le misurazioni prese in precedenza da aerei e stazioni a terra, a quote molto basse e fino a 2000 metri.

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