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Il richiamo delle ruote

Forse avevamo guardato troppo spesso «Easy Rider». In ogni caso, io e il mio compagno di scuola decidemmo di partire appena possibile alla scoperta dell’America del Nord. Non in moto come gli eroi del mitico film – troppo faticoso – ma in un pulmino VW comprato di seconda mano.

Nel 1979 ecco arrivato il momento tanto sognato: a 20 anni appena compiuti, ci licenziammo dai rispettivi posti di lavoro, salutammo a tempo indefinito ragazza e genitori ed imbarcammo il minibus su una nave cargo diretta oltreatlantico. Ritirandolo a New York, ci aspettò una brutta sorpresa: durante l’attraversata dei ladri ci avevano rubato i costosi altoparlanti, il potente amplificatore, equalizzatore e subwoofer. Come avremmo fatto ad ascoltare «Born to be wild» degli Steppenwolf come Dio comanda? Decidemmo di fare una visita a Radio Shack, lasciando una fortuna nel negozio per rimpiazzare l’impianto audio. Ed eccoci finalmente pronti a seguire il richiamo del West. In viaggio ci nutrimmo quasi esclusivamente di hamburger e dopo aver ingurgitato qualcosa come un centinaio di Big Mac raggiungemmo Dawson Creek in Canada, il miglio zero della famosa Alaska Highway. Lunga 2300 km, ai tempi non era molto più di una polverosa strada di ghiaia, piena di grosse buche. Era percorsa prevalentemente da giganteschi truck per i cui autisti il nostro minibus rosso fragola era un fastidioso ostacolo da superare senza tante storie. Mentre ci sorpassavano, eravamo praticamente ciechi per alcuni minuti a causa della pro nube di polvere e pietrisco sollevata dalle ruote dei mastodonti. Ma la necessità è madre dell’invenzione: per rimediare ci fabbricammo un parasassi che assomigliava ad una rete di tennis e la montammo davanti al parabrezza. Quest’espediente ci fece arrivare a Fairbanks sani e salvi e con vetri intatti.

Set e match alla Federer. Per proteggerci dai sassi alzati dai camion sulla loro scia ci costruimmo una specie di rete da tennis improvvisata.

L’Alaska fu la prima tappa del nostro fantastico viaggio on the road. Nei sei mesi successivi attraversammo il Canada, gli Stati Uniti e il Messico. Rientrammo solo quando il nostro compagno di viaggio esalò l’ultimo sospiro con 35mila chilometri sotto le ruote.

M. Freuler

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