Trantran numero 16

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www.trantran.net | n. 16 mensile | 22 febbraio_2011 | Distribuzione gratuita |

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[ MUSICA ]

[ EVENTI ]

[ CARNEVALE ]

Intervista ai Litfiba

L’Assessore Sassoli ci racconta Le immagini della Fantasia

La tradizione di Schignano

[ TEATRO ]

[ SPORT ]

Gli Etiopi

Al Manzoni con Caterina Murino

I L’eccellenza della ritmica a Desio

[ INCONTRI RAVVICINATI ] [ ATTUALITA’ ]

Le sette


SERRAMENTI

LA DIMORA

PERSIANE PORTE INTERNE PORTE BLINDATE GRATE DI SICUREZZA MONZA - VIA CAVALLOTTI 36 TEL.

039.3900759

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[ SOMMARIO ]

5 Editoriale Chi si loda, s’imbroda. O no?

Anno II - numero 16 - 22 febbraio 2011 Editore: Trantran Editore s.r.l. Sede e Redazione: Viale Cesare Battisti, 121 Vedano al Lambro C.F./P.I./RIMB 06774520966 REA MB1864900 Reg. Trib. di Monza n.1995 del 29/06/2010

In questo numero...

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Fondatori Marta Migliardi, Elena Gorla, Adriana Colombo, Guido Bertoni Direttore Alfredo Rossi Capo Redazione Marta Migliardi Vice Capo Redazione Elena Gorla Inviata Speciale: Adriana Colombo Redazione Alberto Citterio, Juri Casati, Giulia Cavaliere, Gabry, Claudio, Fabio Paolo, Guido, Niccolò, Gaber, Lorenzo, Sara Tripaldi, Giulia Trapanotti e Fatima Bianchi. Si ringraziano per questo numero Andrea Pelù, Valentina e Alberto, Stefania Pedrazzani dell’associazione la M.A.SCH. E.R.A., Elena Aliprandi per le foto della ritmica, Oreste de Faberi, Giancarlo e Chiara Cazzaniga, Susanna Vincze, le due adorabili creature Asia e Dominga, la più bella e brava del mondo Alice, le mamme, Antony DiNozzo, tutti gli amici che non vediamo più e i pochi che vediamo e ci sopportano, l’ingegnere e l’avvocato del Bar Boulevard, zia Paola per l’agenda rossa. Un ringraziamento speciale a Umberto Grasso.

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Per contattarci

Direttore Responsabile e Amministratore Unico Genesio Ferrari Sede Via Degani, 1 - 42124 Reggio Emilia (RE) Tel. 0522.232092 - 926424 Fax 0522.231833 info@eridania-editrice.it www.eridania-editrice.it Filiale Via Betty Ambiveri, 11 - 24126 Bergamo Stampa Grafiche2000 - Cassinetta di Lug. (MI) Tiratura 14.000 copie È vietata la riproduzione di testi, grafica, immagini e impostazione. Eridania Editrice s.r.l. non si assume nessuna responsabilità diretta e indiretta sull’esattezza dei dati e dei nominativi contenuti nella presente pubblicazione, nonchè sul contenuto dei testi, degli slogan, sull’uso dei marchi e delle foto da parte degli inserzionisti.

Clochart

Gli Etiopi: più che un gruppo, una tribù! La forza degli elementi: il ritorno dei Litfiba

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Manzoni di Monza con “Dona Flor e i suoi due mariti” Alice nel Paese delle Meraviglie, il musical L’Assessore Martina Sassoli ci racconta la mostra Le immagini della Fantasia, ma non solo… Convegno

11 Bis! 11 Caterina Murino al Teatro

18 Altrove

London Calling

23 In cuccia 23 Emergenza conigli 23 Divertente il circo? Per gli animali no!

24 Verdissimo

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di GARANET DI GABRIELE GATTO www.garanet.net

Progetto grafico, impaginazione, raccolta pubblicitaria

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L’aromaterapia: gli oli essenziali

Foto di copertina

direzione@trantran.net redazione@trantran.net trantran@trantran.net raccontiamoci@trantran.net

6 Spunti di vista Le sette: un fenomeno anche italiano

25 Brigantia

Il Carnevale di Schignano e l’antica tradizione delle sue maschere 27 NonsoloMonza Metti un giorno ad Arcore

28 I segreti dello chef Malloreddus alla Campidanese 29 Reality 30 Raccontiamoci Nel nome di Dio

25

32 L’angolo del pendolare L’ultimo metrò Le lettere dei lettori

33 Di tutto un pò

Texas Hold’em: continuation bet, l’arma del giocatore aggressivo

34 Dalla Provincia

Il Lambro un anno dopo

35 Dal Comune

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Statale 36. Anas accoglie la proposta di acceleramento dei lavori fatta dal Comune

36 Sportivamente

Ginnastica ritmica: oneri e onori

37 Le sciure 38 Cultura

Edificati sulla parola


SERRAMENTI “LA

DIMORA”

Onestà, preparazione e professionalità: quando l’etica incontra l’azienda Oggi parliamo di sicurezza, ma non solo. Vi raccontiamo la filosofia di un’azienda, la filosofia di una vita. La vita e l’azienda del sig. Ruggero Sacchetto, titolare della ditta di serramenti “La Dimora”. Forse potrà stupire il sentire affiancare i termini azienda e filosofia ma il signor Sacchetto è l’esempio concreto di come nella vita tutto, anche l’apertura di un’azienda, sia inscindibilmente legato a un’etica: umana e professionale. Lo incontriamo presso il bellissimo show room di Monza, in via Cavallotti 36. Ci racconta della sua lunga carriera che è iniziata nel settore commerciale di grandi imprese per finire, prima di mettersi in proprio, con la direzione di alcune importanti aziende, tante fra le quali nel settore dei serramenti. I punti di forza della professionalità del sig. Sacchetto sono onestà e voglia di lavorare, doti che da sempre comunica al cliente. Trasmettere la certezza che ci si trovi davanti ad una persona onesta, preparata, che quando dice una cosa sa con precisione di cosa si sta parlando, una persona che, in quanto umana, può sbagliare ma, se sbaglia, è subito disposta a porvi rimedio a proprie spese, è la filosofia che da sempre caratterizza il suo lavoro. “Questo”, racconta, “mi ha portato a ottenere costantemente la fiducia dei miei clienti, clienti che sono aumentati progressivamente anche grazie al passaparola di quelli soddisfatti: e la loro soddisfazione è così diventata subito anche il mio più importante simbolo di garanzia e affidabilità. Sono queste le linee guida con cui da sempre conduco la vita e gli affari e sono, ovviamente, anche i cardini su cui ho impostato la mia attività in proprio con la creazione de La Dimora”. In effetti, l’idea del “La Dimora” nasce proprio dalla volontà di unire tutte queste esperienze in un’unica impresa che sia il perfetto connubio tra la parte commerciale, incentrata sul cliente, sul contatto diretto e sulla conoscenza precisa delle sue esigenze ed aspettative, con la conoscenza tecnica del prodotto, indispensabile per offrire una consulenza ottimale. Con queste premesse nasce il primo show room di serramenti La Dimora, 200 mq di esposizione a Legnano: ed è subito un successo. Da qui l’azienda rapidamente e solidamente cresce. Nascono lo show room di Monza, 120 mq di esposizione con 6 vetrine e, in primavera, saranno inaugurate altre due esposizioni a Milano: una di 200 mq a pochi passi dal Duomo e l’altra di 150 mq in zona centralissima. Il sig. Sacchetto è soddisfatto e giustamente orgoglioso: “ Il progetto che nel lontano 1999 ho deciso di realizzare, passo dopo passo, è finalmente compiuto!” racconta sorridendo. I primi ad essere stati “contagiati” dalla filosofia del sig. Sacchetto sono, naturalmente, i suoi

addetti commerciali, il cui lavoro è incentrato, oltre che su di un’approfondita conoscenza tecnica dei prodotti, anche sull’ascolto attento del cliente. Ogni cliente, infatti, è diverso, e diverse sono le sue esigenze. Per questo motivo, appena entrato a La Dimora, ognuno viene non solo accolto con cortesia ma anche “intervistato”, così da comprendere appieno quali siano le sue necessità ed aspettative. Solo così, infatti, è possibile fornire le soluzioni su misura e un servizio ottimale. Ma il team del sig. sacchetto non sarebbe al completo senza la presentazione di chi si occupa del trasporto e della posa del prodotto. Anche in questa delicata fase La Dimora è in grado di offrire il meglio: “Mi avvalgo di 3 squadre di posatori, professionisti preparati e serissimi, assicurati per qualsiasi danno che possa verificarsi nell’abitazione in cui si trovano ad operare, anche per eventuali danni ad oggetti o tendaggi. I miei posatori si presentano sempre in divisa e con tanto di cartellino di riconoscimento. Può sembrare un eccesso ma di questi tempi la prudenza non è mai troppa ed è importante poter verificare chi stiamo facendo entrare in casa

nostra! Spesso il cliente tende a sottovalutare l’importanza di questa fase, credendo che con la scelta del prodotto giusto al suo caso il più sia fatto. Questo, però è un grosso errore! Ci tengo che il cliente capisca l’importanza di una posa effettuata a regola d’arte: un buon prodotto posato in modo grossolano, infatti, riduce notevolmente la sua efficacia, sia in termini di riduzione della dispersione termica che in termini di sicurezza! Spesso giungono nei miei negozi clienti insoddisfatti della resa di un prodotto acquistato altrove: talvolta, il prodotto acquistato a caro prezzo si rivela essere un prodotto già di per sé scadente ma, molte volte, il problema risulta dipendere dalle operazioni di posa che sono state effettuate in modo dozzinale. Per questo ci tengo a ribadire che noi ci assumiamo la piena responsabilità di come operiamo affinché il cliente sia sempre soddisfatto” spiega il signor Sacchetto. In fine, ma non certo per importanza, nell’illustrazione de La Dimora, resta la presentazione del prodotto: una vasta gamma di serramenti e un’ampia scelta di sistemi di protezione dell’abitazione che spazia dalle porte blindate alle grate di sicurezza. “Presso i miei show room”, prosegue il titolare “troverete unicamente prodotti qualificati e certificati: PVC ad estrazioni di massa in classe A, Veka e Rehau…basta andare su internet e digitare questi nomi per far capire, anche ai più inesperti, l’altissima qualità dei prodotti che offro. Per quanto concerne molti prodotti in PVC (materiale termoplastico usato nella produzione d’infissi, porte e finestre), mi avvalgo della collaborazione con un’azienda specializzata che costruisce appositamente il mio prodotto su mia licenza tecnica, cosa che mi consente di offrire al cliente un prodotto ottimo ad un prezzo molto competitivo e con tempi di consegna molto più brevi rispetto alla media del settore. A tal proposito faccio un esempio: mi sono capitati clienti che, dopo aver subito un furto, si sono sentiti prospettare tempi di consegna di oltre 60 giorni per l’installazione di grate. Una cosa inaccettabile. Io sono riuscito a fornire e installare il mio prodotto in soli 8 giorni, ed il cliente ha presto potuto riprendere a fare sonni tranquilli. Per le grate e le porte blindate, invece, ho affinato una mia struttura operativa interna che collabora con un marchio molto affermato. Insomma, sono molti i fattori che concorrono in un’offerta d’eccellenza ed io posso affermare con orgoglio di averli riuniti tutti ne La Dimora!”.

Show Room La Dimora Monza - via Cavallotti, 36 Tel. 039.3900759 la.dimora.s@alice.it Legnano - Corso Sempione, 170 Milano - Piazza Mentana, 3


[ EDITORIALE ]

[ Il Direttore ALFREDO ROSSI foto di Gabriele Benini ] Chissà perché tutto questo gran parlare, a volte a vanvera, dei 150 anni dell’unità d’Italia a me ha fatto venire a galla dai ricordi scolastici delle elementari una cosa che all’unità d’Italia è antecedente: la Carboneria. Era il 1820 o giù di lì e gruppi di rivoluzionari, nel nostro paese e nel resto d’Europa, si radunavano di notte, quasi al buio, a parlare e a discutere dei futuri destini degli stati in cui vivevano. E le idee, dette a bassa voce, si scontravano con altre idee, sempre dette a bassa voce per non farsi sentire dai gendarmi, che altrimenti avrebbero portato tutti, con l’accusa di alto tradimento, in gattabuia o al patibolo (oggi si direbbe in carcere o alla pena di morte). E in questo modo, sempre a bassa voce, le idee si fortificavano e diventavano sempre più forti, sempre più sicure. In questi giorni sono successi due fatti che mi hanno colpito. Il primo è la messa in scena, al teatro San Carlo di via Mentana, a Monza, della commedia “Arsenico e vecchi merletti”. A proporla, nell’ambito della rassegna delle compagnie teatrali monzesi, la compagnia “Amici del teatro”, di cui faccio parte. La sera dello spettacolo, cinque minuti prima dell’inizio della commedia, Mike, il regista, ci ha detto: “Sold out, tutto esaurito, sia in platea sia in galleria. Ci sono più di 360 persone”. Dal palco ho scostato leggermente il sipario chiuso per dare un occhio nella sala ancora illuminata: era proprio

Chi si loda, s’imbroda. O no? Era il 1820 o giù di lì e gruppi di rivoluzionari, nel nostro paese e nel resto d’Europa, si radunavano di notte, quasi al buio, a parlare e a discutere dei futuri destini degli stati in cui vivevano tutto pieno! E subito dopo, io che dico sempre di essere impermeabile alle emozioni, andavo verso il bagno, per fare pipì. E lì c’era il resto della compagnia, qualcuno con la faccia (lo si capiva anche sotto il cerone) più bianca del sedere di un bambino dopo un mese di mare. Il secondo fatto. A cavallo della messa in scena del nostro spettacolo, in tv andavano, e vanno tuttora, in onda il “Grande Fratello 11” e “L’isola

dei famosi 8” (qui, per molti, di famoso c’è il cognome o qualche parentela). A vedere davanti alla tv i due programmi, numeri da riempire il teatro San Carlo con il “sold out” quasi 20.000 volte! E mi sono detto che qualcosa non quadra. Nei due reality televisivi di cui sopra, i protagonisti si mettono in luce per qualche rutto, qualche furtiva scena di sesso, qualche litigata di troppo, qualche parolaccia di troppo. Invece noi, e con noi tutti gli altri che si sono esibiti durante la rassegna delle compagnie teatrali monzesi, per sei/sette mesi ci siamo radunati due volte la settimana, con il sole, il freddo, la pioggia, a ripetere quel testo (che poi avremmo portato in scena) cambiando il tono della voce alla ricerca di quello giusto, cercando di trovare il movimento perfetto. E a costo di prendermi un proverbiale “chi si loda, s’imbroda”, mettendo poi in piedi uno spettacolo godibile, dove la gente ha riso o ha partecipato attenta, prima dell’applauso finale. La morale? Forse tutti noi che abbiamo partecipato come attori (dilettanti, ovviamente, ma appassionati) alla rassegna teatrale abbiamo fatto un po’ di Carboneria prima di uscire allo scoperto. Sarebbe giusto che un po’ di Carboneria, prima di mettersi davanti alle telecamere la facessero anche i gieffini di Alessia Marcuzzi e i naufraghi di Simona Ventura. O no? Alfredo Rossi


[ SPUNTI DI VISTA ]

Le sette: un fenomeno anche italiano [ di Valentina Rigano ] “Un Dio unico, grande e giusto, ha a cuore l’umanità e per ogni individuo ha previsto un cammino, unico e imprescindibile”. Tutte le religioni, qualsiasi sia il nome attribuito alla massima divinità, portano in seno un messaggio analogo a questo. La religione cattolica, con i suoi anni di storia, e quella islamica, di poco più giovane, sono le più grandi “famiglie” e scuole di pensiero del mondo. Dalle loro costole si sono via via distaccate altre famiglie, nel corso dei secoli, fino ad arrivare a piccolissime unità di preghiera, dove la divinità arriva spesso a coincidere con il celebrante o, come preferisco chiamarlo io, il “santone” di turno, diventando qualcosa di molto diverso dalla semplice interpretazione divina della vita e del mondo: le sette. La spiritualità, intima e personale propensione alla meditazione, alla riflessione, sia essa filosofica sulla vita e la morte o critica verso se stessi, è una dimensione che ciascun essere vivente pensante sperimenta. Ciò che ciascuno di noi sceglie di professare come religione, è un diritto sacrosanto e inviolabile, fin quando, però, la professione della fede non diventa manipolazione dell’essere umano. Questo accade, purtroppo, in moltissime sette o religioni di piccolo calibro, ma anche in alcuni nuclei di medie e piccole dimensioni, che dalle grandi correnti hanno solo attinto o addirittura copiato stralci, trasformandoli e mescolandoli come deciso dal fondatore e di cui molti tristi esempi sono noti a tutti. In Italia, e soprattutto qui in Brianza, la vicenda più famosa è quella riguardante le “Bestie di Satana”, il gruppo di giovani che negli anni novanta si trovava nei boschi, si drogava e dava la caccia alle streghe, arrivando ad uccidere i propri membri o istigandoli a farlo da soli. I loro nomi, che per anni hanno occupato le prime pagine dei giornali sono l’esempio lampante della capacità manipolatoria che una mente umana può infliggere ad un’altra, sfruttando un credo religioso o pseudo tale. Andrea Volpe, leader della setta, era un ragazzotto di periferia, il classico “bello e dannato” quando ha conosciuto la giovanissima Mariangela Pezzotta, figlia borghese di buona famiglia, che per lui ha perso la testa. Il ritrovamento del corpo della giovane, trucidata a badilate e finita a colpi di pistola in uno chalet nei boschi del Varesotto nel 2004, per mano di

Volpe e della diciannovenne Elisabetta Ballarin, ha sconvolto gli occhi della Brianza e di tutto il paese sulla setta delle Bestie. Con il processo a loro carico, concluso nel 2008 con pene pesantissime, si sono calcolati circa quattro omicidi e due istigazioni al suicidio, riconducibili a Volpe, Nicola Sapone, Pietro Guerrieri, Mario Maccione, Eros Monterosso, Paolo Leoni e Marco Zampollo. Ancora avvolto nel mistero è il caso di Christian Frigerio, scomparso nel 1996 da Carugate, il cui corpo non è stato mai ritrovato. Sua madre, Annalia Ferrarese, ricorda gli ultimi giorni con Christian «E’ sempre stato un ragazzo solare e preciso. Improvvisamente è diventato cupo, prelevava molti soldi e spariva per notti intere. Gli vidi addosso bruciature di sigarette ma non riuscii a sapere nulla da lui. Pochi giorni prima di sparire era terrorizzato». Le Bestie di Satana, che con il Satanismo vero e proprio avevano davvero ben poco a che spartire, sono uno di quei tristi esempi a cui accennavo prima. La “religione”, in questo caso, è stata solo il pretesto, l’esca appetitosa utilizzata dal leader, per attirare a sé adepti e trasformarli in ossessionati, allucinati e furie omicide. In tutto il paese, e anche qui, nella terra di Teodolinda, vi sono altri e svariati esempi, di filosofie religiose e gruppi di preghiera, alcuni anche riconosciuti a pieno titolo, che si avvicinano molto più ad una setta che ad una religione. La differenza è facilmente comprensibile; le religioni sono interpretazioni divine della creazione del mondo, di quanto ci attende post mortem e portano in seno morali e linee guida per la vita terrena. Sappiamo bene, comunque, quanto le stesse grandi correnti religiose siano state o siano ancora oggi pericolose, se portate all’esasperazione ed utilizzate da un governo per assicurarsi la fedeltà e l’obbedienza di un popolo. Infime e molto pericolose per il singolo individuo,

Santoni e guru spirituali spesso utilizzano tecniche di manipolazione psicologica e fisica

più che per la sicurezza o la libertà della comunità, io ritengo siano quelle correnti relativamente “giovani”, create prendendo spunto da qualche fondamentale di grande respiro, appiccicando alla meno peggio pezzi di cattolicesimo, islam, buddismo, rimescolandoli e trasformandoli in dogmi ah hoc, nel tentativo di dare un messaggio “originale”. Sono proprio queste correnti, uno tra i tanti esempi è la Scientology americana, ma ve ne sono anche di più vetuste, che rischiano di trasformarsi in grandi esperimenti scientifici sulla manipolazione delle menti o creare invasati incapaci di condurre una vita autonoma e indipendente dalle “leggi” religiose o, peggio ancora, di spingerli a formare un sottogruppo sempre più piccolo a cui poi presentarsi come “Guru”. A spiegare con precisione quanto possa essere pericoloso affiliarsi ad una setta, è Maurizio Alessandrini, Presidente dell’associazione nazionale Famiglie Vittime delle Sette «Chi viene obbligato a digiuni forzati o notti insonni, alla privazione del patrimonio personale è vittima di una setta. Santoni e guru spirituali spesso utilizzano tecniche di manipolazione psicologica e fisica, droghe e medicinali, riuscendo ad assicurarsi devozione». Porre rimedio ai problemi, far dimenticare la sofferenza e fornire uno scopo di vita, è la tecnica più veloce per far entrare le vittime “in famiglia”. Con la scusa di votarsi a Dio, Buddah o ad un santo, i componenti delle sette vengono instradati verso la totale devozione nei confronti dell’aldilà, l’ultraterreno e il maestro che ne è tramite in terra. Oltre a ciò, entrando nel circolo vizioso e settario di queste correnti, si finisce per credere di essere gli unici portatori della verità, un popolo di “eletti” che come missione hanno quella di “redimere” il resto del mondo. Capire se un amico o un familiare sia stato avvicinato o sia entrato in gruppo di preghiera anomalo, non è sempre così immediato. Croci e musica metal, baluardo dei seguaci di Satana, sono abbastanza semplici da riconoscere (ovviamente non me ne vogliano gli appassionati di metal & C., la scelta musicale e l’abbigliamento non sono affatto sinonimi dell’essere satanisti). Non è lo stesso per altre sette che si spacciano per rami del buddismo o di altre religioni. Va quindi posta molta attenzione su cambiamenti drastici nella vita di una persona, come l’alimentazione, l’umore, il sonno e l’utilizzo del proprio tempo libero e del denaro.


[ CLOCHART ]

GLI ETIOPI

PIU’ CHE UN GRUPPO, UNA TRIBÙ! [ di Adriana Colombo ] Gli Etiopi un gruppo che, come dicono loro stessi nel loro sito, già dagli esordi, che ormai risalgono a più di 25 anni fa, fu definito: “gruppo demenziale nel Nord di Milano composto da gente fuori di testa, pronta a tutto se si tratta di suonare”: Stefano il Kappe, Sergio Ska, Alessio, Gianluca, Pepo, Marco il Balla, Claudio, Maniglino, Bucc, Costantino... in una parola gli Etiopi, più di una band, un gruppo di amici. Per me incontrare gli Etiopi è come fare un viaggio a ritroso fino alla mia adolescenza, in effetti li conobbi al tempo del liceo Al tempo in cui io lo frequentavo, loro erano già maturati da un po’, ma rimanevano impressi sulle mura della scuola (Ndr. Liceo scientifico “P. Casiraghi” meglio conosciuto come Parco Nord di Cinisello). Oggi ho il piacere di incontrare tre di loro: il Kappe (Stefano Capelli, cantante storico del gruppo), Ska (Sergio Scaldati, la prima chitarra) e Pepo (Pierpaolo Anselmi, il bassista). Come e dove nascono gli Etiopi? Kappe: avevamo tra i 15 e i 16 anni, io e Sergio eravamo compagni di banco al liceo e, Sergio

già suonava in un gruppo. Io, in quel periodo, vivevo a Monza con i miei genitori ed alcuni del nucleo fondante del gruppo sono di Monza, tra i “miei compagni” di cortile (Ndr. Alessio, Gianluca, Bucc). Anche alcuni dei musicisti del gruppo di Sergio sono entrati nel gruppo ed altri erano del suo stesso palazzo. Insomma possiamo dire che gli Etiopi sono nati tra i banchi di liceo e i cortili. Quella degli Etiopi è, sostanzialmente, una tribù allargata, siamo un gruppo di amici che in primis si diverte insieme e poi, facciamo anche musica! Ancora oggi chi non suona più con noi è rimasto: per esempio nella nostra operetta (Ndr Il Saracino Travestito) ricompaiono anche facce che erano scomparse da anni. Pepo: quando ci troviamo a fare le prove, parliamo, giochiamo, ci facciamo gli scherzi. Ska: noi non siamo mai stati il gruppo serio che si trova per fare le prove, noi ci siamo sempre trovati davanti ad una birra… e tra una birra e l’altra nascevano le canzoni. Noi non abbiamo mai preso nulla, nemmeno noi stessi, troppo sul serio. Chi, negli anni, provò ad impostare le cose troppo seriamente si trovò automaticamente fuori dal gruppo.

Da dove nasce il nome Etiopi? Kappe: Nasce da un libro di Freak Antoni che si intitola Stagioni del Rock demenziale dove lui si inventa questa scena del rock demenziale nella Bologna degli anni ‘70 e si inventa una rassegna infinita di nomi e ce ne erano in ballottaggio 2 o 3 e francamente, gli Etiopi, era il nome che all’epoca (nell’82, quindi ben prima anche della nascita del gruppo consolidato) non aveva veramente alcun riferimento con nient’altro e quindi lo scegliemmo perché era il più neutro in assoluto. Quasi trent’anni di carriera, cos’è cambiato? Ska: quasi tutti i musicisti, negli anni ne sono ruotati almeno una quindicina.... Kappe: anche se in realtà il nucleo storico è rimasto, ufficialmente non è uscito nessuno...però c’è da dire che tutti quelli che si sono susseguiti in realtà facevano parte del gruppone Etiopi. Per esempio Piero che è uno dei più nuovi in realtà suona con noi da almeno 15 anni ed era un nostro compagno del liceo, Maniglino che è un altro dei più nuovi faceva le elementari con Ska, è il fratello di un altro che ha suonato con noi. Forse Claudio è l’unico più scollegato anche se faceva


[ CLOCHART ] parte di un gruppo più allargato di amici, sapendo che suonava le tastiere l’abbiamo coinvolto Ska: poi era comodo, aveva la mansarda per suonare... (Ndr. Scoppiano a ridere tutti e tre) Kappe: lo spirito non è cambiato, ma il linguaggio sicuramente si è raffinato., ed anche i contenuti: l’ultimo nostro lavoro Tornerà il futuro? (Ndr. Finito nel 2009 a 25 anni dalla nascita del gruppo) è un bilancio dei primi 40 anni di vita e, ovviamente, parla e racconta di cose che vent’anni fa non potevamo nemmeno immaginare. Il messaggio che ha caratterizzato un po’ tutta la nostra attività, anche la nostra operetta, è rimasto lo stesso: la provocazione, la parodia, la goliardia talvolta anche fine a se stessa. Il vostro pubblico invecchia con voi o si rinnova? Kappe: Diciamo che la risposta è bivalente: dal vivo vediamo ancora il nostro pubblico di 20 anni fa! Ma, anche grazie ad internet e i suoi mezzi, abbiamo scoperto che, in effetti c’è un pubblico anche di giovanissimi che, però, va a recuperare primissime cose che facemmo, quelle di maggior rottura… e la cosa non ci sorprende! Manca, quindi, il ponte con le cose che abbiamo fatto dopo, e questo probabilmente un problema di comunicazione fra generazioni. Negli anni ‘80 e ‘90 voi suonavate molto spesso dal vivo ed avevate molto seguito fra i coetanei, oggi, suonate molto meno e in alcuni periodi siete addirittura scomparsi, come mai? Ska: diciamo che delle pause sono fisiologiche per un gruppo, magari litighi, si scioglie il gruppo, poi arriva un’occasione e ricominci a suonare, chiami un nuovo componente, si riprendono le prove, si preparano pezzi nuovi.... Il vero problema è che adesso non ci sono più posti dove suonare! Una volta c’erano molti più locali che facevano musica dal vivo sia a Milano che nell’hinterland, c’erano più gruppi che facevano pezzi loro: adesso è molto più difficile. Il problema è che quasi nessuno investe più sulla musica dal vivo. E, inoltre, siamo quasi tutti ultra quarantenni con famiglie, lavoro etc., quindi è anche più difficile organizzarci e metterci tutti d’accordo, tanto più che siamo in 8 sul palco.

Kappe: Sergio (Ndr. Ska) ha ragione: ci sono stati dei momenti in cui qualcuno è uscito ci sono state difficoltà organizzative. È anche vero, però, che fino alla fine degli ’80, inizi ’90 suonavamo tantissimo in giro ed è, anche, subentrata un po’ di stanchezza. Alla fine ti ritrovavi a ripetere sempre la stessa scaletta, talora persino le stesse battute, perché sapevi che funzionavano, che avevi fatto due sere prima e, quindi ci siamo fermati per produrre i nuovi pezzi. Tra l’altro Ritornerà il futuro? È stato un lavoro molto impegnativo, perché oltre ad essere una sorta di bilancio dei nostri primi quarant’anni di vita è caratterizzato dal fatto che ogni pezzo ha anche un “colore” musicale diverso. Quindi se all’esterno siamo quasi spariti, in realtà abbiamo lavorato molto su di noi e tra di noi, fino ad arrivare all’uscita del prodotto completo. Ma è vero che voi negli anni ‘80 rifiutaste un contratto? Kappe: diciamo un contatto più che un contratto. Noi nell’87 vincemmo il Banderia, che è il concorso che poi divenne Scorribande, allora era organizzato dalla Magia Music Meeting e, grazie a quel “successo”, chiamiamolo così, ci fu anche una certa eco sulla stampa, specializzata e non, e ci misero in contatto con un musicista importante, che era Franz di Cioccio (Ndr. il batterista della PFM) che avrebbe dovuto seguire un po’ il gruppo… ma per un nostro certo modo di interpretare, più che la musica, lo spettacolo, non ci siamo ritrovati in una serie di schemi. In quegli anni, che erano anni fertili dal punto di vista musicale, abbiamo un po’ tenuto chiuse le serrande del gruppo... Ska: …anche perché la prima cosa che ci chiesero fu di cambiare il nome del gruppo: “cambiate il nome, cambiate i testi, rendeteli più commerciali...” Kappe: e non solo dal punto di vista della terminologia usata ma anche dei concetti che andavamo a raccontare, insomma di renderli meno crudi, il che avrebbe snaturato quello che era lo spirito del gruppo: cinismo a manetta! Per ognuno dei tre: la canzone a cui sei più affezionato e perché? Ska: è difficile, oltre 300 canzoni, a me piace Cappuccetto Rosso, mi piacciono quelle più

stupide, perché sono divertenti, sono divertenti da riarrangiare...e Skazzo Blues perché è storica, ti diverti a suonarla e a cantarla. A me piacciono quelle “da compagnia”, da spiaggia. Pepo: mi piace Zombie, mi piace anche La Signora che è anche un po’ porno alla fine...c’è del sesso. (Ndr. ride) Kappe: per quanto mi riguarda quelle più autobiografiche o falsamente autobiografiche per cui sicuramente Quartiere dormitorio, anche se il titolo in realtà è Safari metropolitano: sono nato in un quartiere dormitorio, e la sento mia, è quella che probabilmente mi piace di più. Poi ce ne sono alcune dell’ultimo album, per esempio, Atlantide che io adoro sia musicalmente che per testo che è mio mentre la musica è di Sergio. Ce ne sono anche alcune scritte a cavallo degli anni ‘80 e ‘90 presentate nel Sorpasso che sono poco conosciute e che anticipavano un po’ i temi che abbiamo ripreso adesso: MM, Un amore diverso, Larve, sono quelle più legate ad esperienze dirette Una canzone che siete stanchi di suonare? Ska: più che esserne stanco ce ne sono alcune che mi diverto meno a suonare, ad esempio Safari metropolitano, a me piace meno rispetto ad altre ma per ovvi motivi la suoniamo sempre! Kappe: una canzone che ero stufo di proporre era La Signora, perché diventava un po’ una forzatura fine a se stessa… ora che la rifacciamo più in veste acustica, mi diverto di più a cantarla ed è tornata a piacermi. Pepo: io decido ciò che si suona o meno quindi mi piacciono tutte quelle che facciamo (Stefano e Sergio ridono grassamente). La Brianza? Kappe: Monza è una città concreta, forse troppo. In Brianza (Ndr. Vive ad Arcore) mi ha sorpreso l’essere riconosciuto da ragazzi giovani come uno degli Etiopi. Devo dire che la Brianza è una scoperta continua, è un territorio in fermento. Un motto di ognuno di voi? Kappe: Etiopi per sempre Ska: forza e coraggio la vita è di passaggio. Pepo: chi si loda si imbroda. Un aggettivo per definirvi reciprocamente? Ska: Etiopi! (Ndr. Sorride) Stefano è geniale. Piero si emoziona ancora ad ogni concerto. Pepo: Stefano è bravo sul palco: soprattutto quando ha bevuto! (Ndr. Ricordano tutti e tre il concerto dei trent’anni di Stefano!) Ska è il chitarrista che tutti vorrebbero. Kappe: Sergio e Alessio sono assolutamente creativi. Tutti gli Etiopi comunque si distinguano per creatività! Tento di smascherarli chiedendogli un pregio e un difetto di ognuno, ma è impossibile tirar loro fuori i difetti reciproci! Sono compatti, complici ma, soprattutto amici, si accettano, si coprono e si spalleggiano: che bel gruppo! Per ulteriori approfondimenti sugli Etiopi e la loro discografia visitate il sito: www.etiopi.it


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La forza degli elementi: il ritorno dei Litfiba [ di Marta Migliardi ] Lugano, 6 Dicembre 2010. Concerto dei Litfiba. Il cuore batte forte, dopo dieci anni, rivedere Piero e Ghigo insieme ci spinge, a causa del sold out dello show di Milano di Novembre, verso la Svizzera, sotto un’incredibile nevicata. Sono convinta che sia la loro energia a scatenare gli elementi perché, l’ultima volta che avevo assistito ad un loro live fu proprio al Monza Rock Festival, nel 1999, sotto un diluvio universale che presagiva la loro imminente separazione. Pioggia, fulmini, neve e ghiaccio. Niente ci fermò allora, come oggi. Il Palazzetto del Ghiaccio di Lugano è freddo, freddissimo. Ma, non appena la band sale sul palco, tutto sembra prendere di nuovo vita, una sorta di magia che scalda le ossa. Mi guardo intorno: un pubblico entusiasta, eterogeneo, lo stesso di sempre ma rinnovato. Oltre a chi aspettava il loro ritorno da dieci anni, ci sono molti giovani e giovanissimi. Tutti partecipano, cantano le canzoni. Le aspettative non sono state deluse, in barba a quanti, per partito preso e per invidia, annunciavano la loro reunion come una mera operazione commerciale. Non amo le chiacchiere di chi ha il potere della penna, non quelle aprioristiche, quei critici che neanche aspettano e già sono pronti a sentenziare dalla scrivania della loro frustrata vita. Piero è un vulcano: il tempo non è passato.

Lui e Ghigo sono complici di un calore e di un atmosfera che attanagliano lo stomaco. Hanno litigato e hanno fatto pace: solo gli stupidi non cambiano idea. Ci risentiamo, telefonicamente, per l’intervista i primi di Febbraio. Per l’occasione sperimentiamo un nuovo sofisticatissimo metodo di registrazione che però, nonostante l’avessimo testato accuratamente, rimanda le voci con una sorta di riverbero satellitare, e sento le loro con uno strano eco papale. Un attimo di panico. “Marta Buongiorno”. E’ la voce di Piero, con il suo inconfondibile accento fiorentino. Tutto si illumina: questione di energia. C’era un sole abbagliante, che invadeva la redazione: non esistono le vie di mezzo quando si parla di Litfiba. 11 Dicembre 2009. Viene annunciata la reunion dei Litfiba. Dopo un anno (intensissimo tra concerti e album) qual è il vostro bilancio emotivo? Piero: i bilanci di solito si fanno a fine carriera! Noi, al contrario l’abbiamo appena ricominciata. Abbiamo fatto pace e siamo contenti di aver ricominciato a fare musica insieme perché penso che ci riesca abbastanza bene. Poi è molto divertente, oltretutto. Ghigo: siamo contentissimi, avevamo litigato dieci anni fa! Alla fine non è che si può star

sempre a litigare, la viviamo come una cosa abbastanza normale e naturale. Con il vostro album Stato libero di Litfiba (che contiene due inediti) avete fatto felici tutti i vecchi fan come noi. Alla luce dei vostri concerti in Italia, credete di aver conquistato anche un nuovo pubblico? Piero: è stato interessante vedere il pubblico che ci ha seguiti durante lo scorso anno perché abbiamo visto anche tantissimi ragazzi e questa cosa ci ha confortati perché dopo tutti questi anni che non si suonava insieme rischiavamo magari di trovarci un pubblico di 40 o 50 anni, che sarebbe la nostra fascia più naturale dato che siamo anche noi di questa età, però è stato sorprendente scoprire anche i giovani ventenni sotto il palco, che pogavano, si divertivano e conoscevano benissimo tutti i pezzi. Era un pubblico molto allargato ma anche molto rock! Un pubblico che viene ai concerti per divertirsi certo, ma anche per impegnarsi, per affrontare anche un po’ i loro problemi e la loro quotidianità anche attraverso le canzoni e la musica. Dalle cantine ai talent show: cosa ne pensate di questa nuova strada per arrivare al successo, spesso effimero e poco duraturo? Piero: credo sia molto rischioso per un ragazzo pensare di toccare il cielo con un dito per un


[ CLOCHART ] mese o due e poi dopo riaffrontare di nuovo la quotidianità di essere un artista oggi, soprattutto in Italia dove non si investe un cazzo per la musica e quindi io personalmente sono un po’ dubbioso sul fatto che possano servire a chi li fa. Servono molto alle case discografiche perché fanno sei contratti campestri a questi giovani artisti e quindi si rimpinguano le casse. Li guardiamo con un occhio un po’ critico, quindi. Ghigo: vorrei aggiungere che ci sono anche delle persone molto brave. Non è che stiamo criticando il livello degli artisti, ma stiamo criticando il sistema Per Piero: esiste ancora Peter Punk? Peter Punk è vivo è lotta per voi! Per Ghigo: anche tu punk! Cosa ricordi della tua esperienza da supporter dei Clash a Bologna? Tantissimi ricordi. Intanto ho vissuto al Londra dal 1976 al 1978, quindi l’ho vissuto appieno, vivendo a Londra, il periodo punk! Era abbastanza diverso da ora. Poi sono tornato in Italia ed ho fondato una band che si chiamava Cafè Caracas e abbiamo fatto i supporter in Piazza Maggiore a Bologna ai Clash! Ricordo bene quel concerto: ci hanno tirato di tutto sul palco. Piero: Una volta Ghigo mi raccontò che il loro cachet se lo fecero raccogliendo le monetine che gli avevano lanciato sul palco! Vi piace la versione di Regina (Regime) di cuori di Elio e le storie Tese? Piero: Bellissima, davvero bellissima. Più bella ancora di Litfiba tornate insieme (altra can-

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zone di Elio del 2003 che inneggiava ironicamente alla reunion) a parer mio (Ndr Ride) Il tour in Europa: Berlino, Parigi, Barcellona..l’energia del pubblico cambia? Ghigo: Sì, cambia, diciamo che, normalmente il pubblico all’estero è diverso rispetto a quello italiano. Diciamo che è un pubblico un po’ più “acculturato”, non perché all’Italia non piaccia la musica, diciamo che sono più preparati musicalmente. In Italia, forse, si risente moltissimo anche delle mode da un punto di vista musicale. Diciamo che all’estero è un pubblico più difficile, perché tecnicamente devi essere perfetto. Comunque abbiamo fatto tantissimi spettacoli in Europa e all’estero. Ci fa sempre molto piacere ma è una cosa che non ci lasci sconvolti. Anche quest’anno i primi concerti della reunion li abbiamo fatti all’estero, a Losanna per la precisione. E il club era stracolmo anche se non avevamo fatto per niente pubblicità. Progetti per il futuro? Ci aspettiamo un album per il 2011. Piero: diciamo entro un anno, via… (Ndr da leggere in fiorentino) Siete stati a Monza nel lontano 1999, durante il Monza Rock Festival, tornerete? Piero: Volentierissimo, anche ad Arcore molto ma molto volentieri (Ndr. Ride). Due domande suggerite dai nostri fidati lettori via facebook: Bruno chiede: Lo “spirito” c’è ancora? Le vene poetiche e poietiche degli anni ‘80 fanno ancora parte di voi? E’ ancora perio-

do di “eroi nel vento”? Ghigo: quando uscirà il disco si risolverà l’arcano e se ti piace lo prendi! Deciderai tu! Piero: non è facile rispondere però di sicuro noi siamo cambiati ed è cambiato il mondo intorno a noi. Quindi diciamo che una parte di quello spirito è sempre con noi, quello un po’ punk, poetico e ribelle, però, naturalmente, lo interpretiamo non più da ventenni come trent’anni fa, ma in maniera più matura. Ghigo: più matura, attenzione, non vuol dire più morbida, anzi stiamo affinando delle idee e lavorando a cose anche molto dure. Selenia chiede: chi salvate nel panorama musicale italiano attuale (rock e non solo)? Piero: salviamo tutto e tutti. Non ci piace fare le pagelle a nessuno. Ghigo: sono tutti bellissimi e bravissimi. Chi si loda s’imbroda. (Ndr ridono) L’astruso marchingegno per registrare in diretta si spegne e con lui l’eclettico vociare fiorentino. Il tour europeo dei Litfiba avrà inizio il 3 Marzo a Londra. Le altre date: 5 Marzo Berlino 7 Marzo Bruxelles 9 Marzo Amsterdam 11 Marzo Ginevra 13 Marzo Zurigo 15 Marzo Parigi 17 Marzo Barcellona. (www.litfiba.net) Buon viaggio, lacio drom! per la foto di copertina si ringrazia Gabriele Gatto, www.garanet.net


[ BIS! teatro, musica ed

eventi a monza e brianza ]

Caterina Murino al Teatro Manzoni di Monza con “Dona Flor e i suoi due mariti” [ di Marta Migliardi ] Al Teatro Manzoni di Monza è stata in scena niente meno che Caterina Murino, attrice di fama internazionale. Riduttivo ricordarla per essere stata scelta come bond girl nel 2006 nel film Agente 007 Casinò Royale, in quanto la sua bravura d’attrice nasce da molto prima, dal teatro, e si è affermata come artista in tutto il mondo: Italia, Francia, Inghilterra e America. Dona Flor e i suoi due mariti, commedia ispirata dall’omonimo libro di Jorge Aamado, è una storia appassionante, moderna nei suoi contenuti e sensuale. La storia di una donna consapevole dei suoi desideri, che vive l’amore nelle sue due forme opposte: il primo marito, Vadinho, defunto, giocatore d’azzardo e indomabile donnaiolo e il secondo Teodoro, mediocre e pacata persona. Dona Flor è un personaggio femminile universale e godibile sia nella lettura del romanzo di Aamado, sia sul palcoscenico. E’ qui al Teatro Manzoni con Donna Flor e i suoi due mariti di Jorge Amado, cosa ama di più della personalità di questa donna e dello spirito di questa animata commedia? E’ una donna che ama l’amore e l’uomo, in tutti i suoi aspetti. È una donna selettiva che, per chi conosce la storia, vive il lutto per il suo primo marito e dopo un anno si risposa con un uomo che è totalmente l’opposto. E’ innamorata delle personalità diverse di questi due uomini e, alla fine, farà capire che lei per vivere ha bisogno di queste due persone estremamente diverse ma ugualmente importanti per completare Donna Flor. La sua prima apparizioni teatrale risale al 2001 con Dieci piccoli indiani per la regia di Danilo Ghezzi, che emozione è stata la sua prima volta sulla scena? Un’emozione di paura, sperando di non dimenticarmi le battute e di essere all’altezza, anche perché per chi conosce Dieci Piccoli Indiani, io interpretavo Vera Elisabeth Claythorne, che è un personaggio che rimane tre ore sul palcoscenico, per cui è stato un bel debutto! Un’esperienza però talmente meravigliosa da consentirmi di continuare ad amare il teatro ancora dopo undici anni.

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[ BIS! ] E’ da sempre molto attiva in campo sociale, attenta soprattutto ai problemi del continente africano (testimonial Amref -African Medical and Research Fondation e volto del progetto Adotta un ambasciatore). Cosa le hanno lasciato queste esperienze, cosa si può fare ancora? Io ho votato il mio impegno per l’Amref (Ndr African Medical and Research Foundation, è una organizzazione non governativa internazionale fondata alla metà del XX secolo e tutt’oggi attiva, che si propone di migliorare la salute in Africa attraverso il coinvolgimento attivo delle comunità locali). Non cerchiamo di risolvere i problemi del momento ma cerchiamo di risolverli per il futuro, in modo che l’Africa possa camminare con le sue gambe. Questo è un sistema davvero unico perché ci sono molte ONG che lavorano per le emergenze. Con l’Amref, invece, lo scopo è quello di tentare di costruire un futuro solido. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma possiamo impegnarci a contribuire a partire dalla nostra vita. Questa è una cosa molto importante: siamo sempre convinti di non poter cambiare da soli il volto dell’Africa ma, ribadisco, con l’impegno di ogni singolo possiamo cambiare qualcosa.

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Sappiamo che lei parla ben quattro lingue (e che nei film in cui ha lavorato si è doppiata personalmente), quanto studio c’è dietro una carriera come la sua? E’ uno studio continuo e senza fine. Le lingue non basta impararle, ma bisogna continuare a praticarle perché tanto è facile apprenderle altrettanto lo è dimenticarle! A volte si recita in inglese e per qualche mese ci si butta a capofitto su questa lingua, poi si passa al francese, allo spagnolo e all’italiano che, anche se è la propria lingua madre, si può perdere la dimestichezza! Quindi c’è un lavoro estremo di precisione e continuo, perché non finisce mai. Non siamo delle macchine impeccabili, spesso, anzi troppe volte, tendiamo a dimenticare, per cui bisogna continuare a oliare la macchina senza fine.

Quando vado in Africa, rimango incantata dagli animali, ci sono delle specie meravigliose e rimango affascinata come una bambina

Che consiglio darebbe a una ragazza che volesse ora intraprendere la carriera di attrice? Sicuramente non i metodi che abbiamo ora in Italia! Deve studiare, fare una buona scuola di teatro e di preparazione perché il talento, ammesso che ci sia, va sempre affinato e raffinato e compensato con la tecnica. Deve capire che

è un mestiere estremamente duro e che bisogna amarlo profondamente. Sicuramente è un lavoro bellissimo che può portare grandi gioie e soddisfazioni ma anche delusioni e depressioni. Bisogna essere anche coraggiose, perché agli occhi di tutti quanti, può sembrare estremamente semplice però spesso non sanno i sacrifici che ci sono dietro.


[ BIS! ] Perché molto spesso i nostri talenti sono costretti a migrare per affermarsi professionalmente, cosa manca in Italia? Cosa manca? (Ndr ride) In questo momento basta leggere i giornali! Purtroppo è un periodo molto grigio per il nostro paese per quanto riguarda la cultura. Abbiamo creato noi la cultura per tanti secoli, ora sembra che vogliamo quasi distruggere quello che i nostri avi hanno costruito. Le risposte, negli altri paesi, sono sicuramente ben diverse! E’ stata anche la Bond Girl in Agente 007 – Casino Royal, che esperienza è stata? Può raccontare qualche aneddoto da set ai nostri lettori? E’ stata un’esperienza molto dura perché era un James Bond che ha cambiato il volto di questo eroe, questo personaggio mitico del cinema mondiale. C’era un Daniel Craig estremamente impegnato in un ruolo la cui scelta dell’interprete non era stata molto approvata dai giornalisti di tutto il mondo. Quindi è stato un lavoro molto duro e non così fantasioso e divertente, come si può pensare, in un film tra virgolette leggero, fatto però da grandissimi professionisti. Quindi un lavoro molto impegnativo con grandi attori! La nostra testata collabora con l’ENPA, lei che rapporto ha con gli animali? Li adoro, però non ho nessun animale in casa. Quando vivevo a Sant’Antioco, una piccola isola della Sardegna, con i miei genitori, avevamo tantissimi animali. Sono, quindi, cresciuta con loro e li amo, ma in questo momento della mia vita non c’è tanto spazio per gli animali, perché credo che siano degli esseri straordinari che meritano il rispetto e che vanno accuditi quasi come un bambino. Siccome non ho ancora deciso di avere un bambino nella mia vita, perché mi muovo continuamente, non posso avere neanche un animale! Anche quando vado in Africa, rimango incantata dagli animali, ci sono delle specie meravigliose e rimango affascinata come una bambina. Era già stata in Brianza, a Monza? Cosa pensa della nostra verde terra? No, è la prima volta che vengo a Monza, per cui sarà una grande sorpresa scoprirla. Purtroppo non rimarrò molti giorni, ma farò il possibile, durante, il giorno per visitarla. Progetti per il futuro? Su Mediaset questa primavera usciranno i tre film che ho girato la scorsa estate per la BBC, sono tre film inglesi Le Avventure del detective Aurelio Zen, poi uscirà al cinema un thriller psicologico italo- canadese che si chiama Die, e XIII che è una serie americana e credo che su Sky uscirà a breve… Un suo motto di vita? Andare sempre avanti e cercare di migliorarsi, senza dubitare di quello che si è fatto e anzi, cercare di vedere gli errori che si sono fatti per non commetterli più…

Alice nel Paese delle Meraviglie, il musical Nel Regno del Paese delle Meraviglie tutto è cambiato da quando la Regina di Cuori ha sconfitto la Regina Bianca e nel giorno della sua incoronazione sta dettando le sue regole: Ordine, Disciplina e Razionalità. Nessuno le potrà mai mettere in discussione! Ma a sconvolgere i suoi piani arriverà una bimba: Alice, giunta fino a lì inseguendo un coniglietto bianco. In questo mondo fatto di colori, immagini, giardini e tante meraviglie incontrerà tanti personaggi, alcuni un po’ matti, alcuni divertenti e simpatici, altri misteriosi e particolari: il Cappellaio Matto, il Bruco, Priccio e Sticcio. Questi gli ingredienti fantastici che popolano le pagine di Lewis Carroll ne Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, opere care a moltissime generazioni di bambini. Bambini poi cresciuti ma senza perdere la capacità di fantasticare su quelle pagine. Dall’amore per quel regno fantastico nasce questo spettacolo: Alice nel Paese delle Meraviglie, il musical. Un family show per imparare che è bello sapere restare bambini e riuscire a guardare il mondo e tutte le sue follie con ironia e semplicità. Coinvolgente ed emozionante, un’avventura indimenticabile per grandi e piccoli. “Questo spettacolo” racconta il regista Christian Ginepro, “porta in scena la favola nel suo aspetto più onirico e fiabesco: quello dell’immaginario dei bambini. Al pubblico verrà offerta la possibilità di ritrovare la poesia del mondo infantile e, nel contempo, di confrontarsi con i significati simbolici e reconditi della fiaba. Mi piace definire questo spettacolo follia allo stato puro, potrebbe, infatti, essere questo l’immaginario sottotitolo del nostro Alice nel paese delle meraviglie! Questo perché il vantaggio dell’essersi potuti aggirare per questo paese fantastico muniti del doppio passaporto adulto-bambino ha permesso a tutto il cast creativo di poter raccontare due mondi, quello puro dell’immaginifico infantile e quello folle di chi, come me, a quell’immaginifico non vuole rinunciare. Perché raccontare Alice in questa epoca? La risposta è semplice come bere una tazza di the: per ricordarci che i nostri bambini sono sempre e semplicemente dei bambini e che trattarli come degli adulti sarebbe come mandare al potere una Regina Rossa in un paese dove ancora dovrebbe regnare il Bianco più candido e innocente, ma soprattutto perché non ci può essere follia più triste del pensare che i confini di quel regno siano confini non più valicabili per l’adulto. In questo spettacolo l’abbiamo dimostrato usando le sole armi che abbiamo e che nessuno mai ci potrà togliere: fantasia, libertà, creatività. Attraverso i cambi di scena allo spettatore sembrerà di sfogliare un libro di favole grazie alle tante suggestioni prodotte con luci e colori, scenografie incantevoli, costumi spettacolari ed effetti visivi di grande impatto. Divertimento e paura, dubbi e certezze, balli e canzoni si alternano in una serie di situazioni in cui realtà e sogno sono i primi protagonisti di questo musical”.

Teatro Manzoni di Monza

Sabato 12 marzo ore 21.00 e domenica 13 marzo ore 16.00 REGIA di Christian Ginepro MUSICHE di Giovanni Maria Lori TESTI di Eduardo Tartaglia COREOGRAFIE di Christian Ginepro SCENOGRAFIA E COSTUMI di Annalisa Benedetti COLLABORAZIONE alla REGIA e ai TESTI: Enrico Botta

Inoltre a Febbraio per voi al Teatro Manzoni di Monza In abbonamento da mercoledì 23 a domenica 27 febbraio 2011 ore 21.00 e domenica solo ore 16.00, MAURIZIO MICHELI E TULLIO SOLENGHI ITALIANI SI NASCE E NOI LO NAQUIMO di Maurizio Micheli e Tullio Solenghi collaborazione ai testi di Marco Presta consulenza artistica di Michele Mirabella regia Marcello Cotugno

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[ BIS! ]

L’Assessore Martina Sassoli ci racconta la mostra Le immagini della Fantasia, ma non solo… [ di Adriana Colombo ] E’ stata inaugurata il 6 Febbraio e proseguirà fino al 6 Marzo, presso il palazzo dell’Arengario di Monza, la mostra Le immagini della fantasia, la prestigiosa rassegna internazionale d’illustrazione per l’infanzia oramai giunta alla sua 14° edizione. Un viaggio fantastico attraverso i racconti e le illustrazioni provenienti da ogni paese del mondo. Una mostra dedicata ai bambini nei toni fiabeschi della narrazione visiva ed artistica ma non meno affascinante per gli occhi dell’adulto che voglia lasciarsi guidare dall’arte alla ricerca della propria isola che non c’è, desideroso di concedersi il piacere del sogno ad occhi aperti, della fuga nell’infanzia ritrovata e nell’immaginazione. Una mostra bellissima e ricchissima, sono, infatti, presenti oltre 40 artisti internazionali con oltre 300 opere originali. Accanto alle opere, inoltre, per meglio coglierne contesto e valore, sono presenti anche i libri per le quali, nel corso del 2010, sono state realizzate. Oltre all’esposizione presso il palazzo dell’Arengario, gli organizzatori e gli enti promotori hanno curato anche una serie di attività didattiche e momenti d’incontro ad essa collegate (come i laboratori di DiscaricArte, le letture animate e gli incontri con gli autori) riservate ai bambini e ai ragazzi delle scuole. Questo per sottolineare il valore pedagogico dell’illustrazione per l’infanzia e del libro. La mostra presenta, come al solito, anche due aree tematiche: una dedicata all’ospite d’onore dell’edizione: Beatrice Alemagna, artista italiana fra le più interessanti nel panorama internazionale contemporaneo; l’altra, quest’anno, è intitolata A ritmo d’Incanto, fiabe dal Brasile. Il ritmo della sua musica ipnotica, il suono melodioso della sua lingua, tutto in brasile è ritmo ed incanto, e la sua magia antica diventa regina in tante fiabe e leggende che, nelle bellissime illustrazioni, si vestono di colori e di vita. Per capire meglio questa importante rassegna, incontriamo Martina Sassoli (assessore con deleghe alle Politiche Giovanili, Pari Opportunità, Sistema Bibliotecario Urbano e BrianzaBiblioteche, Carta dei Servizi e Carta della Donna “Politiche degli Orari - Sportello Cittadini) che ha promosso ed inaugurato la mostra e ne approfittiamo per conoscere un po’ meglio il suo lavoro e lei: giovane donna che ama e lavora per la sua città!

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[ BIS! ] Hai inaugurato il 5 febbraio la mostra Le immagini della fantasia che è arrivata alla sua XIV edizione in città. Secondo te a cosa è dovuta questa longevità e, soprattutto, che cosa ha di speciale? Questa rassegna è ormai diventata un appuntamento tradizionale per la città di Monza e, ogni anno, il numero dei visitatori aumenta in modo esponenziale. Credo che la caratteristica che rende questa mostra così apprezzata sia il target di riferimento. La rassegna Immagini della Fantasia è, infatti, visitata sia dagli adulti che dai bambini: si tratta di un appuntamento per tutta la famiglia, di un momento di condivisione. Credo che sia anche questo il segreto del suo successo, oltre, ovviamente, il grande livello qualitativo delle opere esposte. Legata ormai da anni alla mostra c’è l’iniziativa ‘DiscaricArte la Biblioteca del riciclo’, anche qui, però, quest’anno ci sono novità salienti, ce le racconti? DiscaricArte, allestita in Galleria civica a Monza, è l’area didattica legata alla Mostra Le immagini della fantasia che si propone come caleidoscopico spazio funzionale in cui gli oggetti inutilizzati potranno essere impiegati dagli studenti per creare con fantasia veri capolavori d’arte. La novità di quest’anno è legata al tema affrontato che si ispira al libro di Beatrice Alemagna, ospite d’onore dell’edizione 2011, Un leone a Parigi, sulla base del quale verranno realizzate delle installazioni sulla città invasa e trasformata da un “fenomeno anomalo”. L’allestimento di DiscaricArte vede la fattiva collaborazione degli studenti del Liceo Artistico Preziosissimo Sangue, Monza Bisogna dire che, da quando ti occupi di politiche giovanili e pari opportunità, hai fatto molto, le scatole rosa, i bonus per la prima casa, tu ci dai un’idea, noi ti regaliamo un’impresa: ci racconti alcune delle più importanti iniziative in tal senso? La vera novità che ho introdotto è il ricorso ai bandi che consente di elargire fondi o aiuti a chi veramente li merita: ci permette di essere realmente meritocratici. Il bando di gara mette dei canoni rigidi sia per identificare chi ha diritto di partecipare al bando sia per inquadrare i criteri di partecipazione, da cui poi diventa impossibile prescindere. Io sono da sempre convinta che ognuno abbia un talento, di qualsivoglia genere: artistico, musicale, giornalistico, imprenditoriale e che il compito di un’amministrazione sia quello di aiutare i giovani a trovare e a sviluppare il proprio peculiare talento. Altro dovere di un’amministrazione è quello di non essere anacronistica. Non pretendo di essere addirittura preventiva, ma di riuscire a dare risposte al momento delle urgenze, mettendo in campo iniziative che rispondano alle urgenze e alle attualità. Ti faccio l’esempio del bando 1° casa: siamo partiti nel 2009 e a marzo uscirà per la terza volta, sono 50.000 euro all’anno messi a disposizione dall’amministrazione. Siamo partiti quasi in concomitanza con l’emergenza lavoro; all’inizio abbiamo incontrato non pochi ostacoli perché in molti sostenevano che 1000 euro non cambiano la vita e, su questo sono d’accordo, però è pur vero che possono coprire circa due mesi e mezzo d’affitto e dare, quindi, un po’ di respiro. Hai citato il bando Tu ci dai un’idea, noi ti regaliamo un’impresa e, in effetti, quello è stato una vera e propria innovazione: il primo incubatore d’impresa pubblico. In genere questo tipo d’iniziative veniva sponsorizzato e finanziato dalle Banche in Italia, ma a seguito della crisi delle banche, ovviamente la cosa è diventata più difficile e quindi era dovere delle amministrazioni dare delle risposte. Noi, anche grazie alla vincita di un bando europeo che ci ha permesso di avere circa 3.000.000 di euro a disposizione, abbiamo potuto mettere in piedi questa iniziativa che ci ha permesso, coinvolgendo anche altri enti sul territorio quali: Confindustria, la Camera di Commercio e l’associazione Brianza solidale (Ndr. Composta di manager e consulenti d’impresa in pensione che si sono messi a disposizione), non solo di sovvenzionare ben 72 progetti ma anche di poterli affiancare passo passo nel loro sviluppo.

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[ BIS! ] Insomma, per noi le politiche giovanili non si limitano a essere le politiche del tempo libero. Dobbiamo dare gli strumenti ai giovani per realizzarsi sia nella loro vita privata sia in quella professionale. Ci sono ulteriori nuovi progetti in cantiere? Abbiamo vinto da poco un altro bando e stiamo lavorando al bando Talenti musicali che prevede un percorso pluriennale di formazione musicale che potrà per i più meritevoli anche concludersi con la registrazione di una demo e l’eventuale produzione. Ci piacerebbe far conoscere un po’ meglio ai nostri lettori Martina e non solo l’assessore Sassoli, ce lo consenti? Martina, tu nasci e vivi a Monza, raccontaci questa tua città prima da cittadina e poi da amministratrice? Io sono innamorata della mia città. Anche se al primo impatto può apparire un po’ freddina. I monzesi non sono mai portati a parlare bene di loro stessi, anzi a volte sono i primi a denigrarsi, però vorrei sottolineare quanta solidarietà e umanità c’è nei nostri animi. Da amministratrice mi viene da dire (ma è una considerazione che non si chiude alle porte di Monza) che vedo tantissimi giovani, sicuramente la maggioranza che non sono né bamboccioni, né deviati ma, che, anzi, si danno tantissimo da fare per portare avanti le loro responsabilità ed è proprio a questa stragrande maggioranza che io come amministratrice devo tentare di dare risposte e opportunità. Martina: donna, giovane, giornalista, imprenditrice e politica, hai trovato un giratempo per avere la giornata di 48 ore? A quanto e cosa hai dovuto rinunciare? No, non ho un gira tempo, qualcuno lo vende? A parte gli scherzi, non lo vorrei nemmeno a me piace la mia vita, se no non la farei. Sono da sempre convinta che la vita s’imposti in base a delle priorità ed è così che organizzo la mia. Come ti piace passare il tuo, pochissimo, tempo libero? Come a tutti i ragazzi di 28 anni, con gli amici ecco, forse la mia più grande paura è quella di perdere i contatti con gli amici per cui sono sempre lì a organizzare momenti d’incontro, anche se diventa sempre più difficile, ma per gli impegni e la vita di tutti, non solo i miei. Per il resto mi piace andare in discoteca, uscire a cena, fare l’aperitivo... insomma una vita normale! Libro preferito? Il libro che ho letto più volte è Orgoglio e pregiudizio, mi piacciono tutti i libri di Jane Austen. Poi alcuni gialli e thriller di autori contemporanei come La biblioteca dei morti e Il libro delle anime di Cooper Glenn e tutti gli autori svedesi: mi piace leggere! Piatto preferito? Se cucino io, la “mia pasta” ovvero pomodori datterini, mozzarelline, capperi, aglio rigorosamente senz’anima, basilico e olio d’oliva a crudo. La chiamo la “mia pasta” perché è quella che propongo sempre! Se penso in generale: le lasagne della mamma! Canzone o genere musicale? Una delle canzoni che amo di più è Last good day of the year (Cousteau). In gioventù ho ascoltato molto i Nirvana. In generale, però, mi piace un po’ tutta la musica: dalla classica alla house, un po’ a seconda dello stato d’animo del momento.

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[ BIS! ]

convegno [ di Juri Casati ] Cadete giù per le scale. Vi fa male il ginocchio destro. Andate al Pronto Soccorso. Il dottore non vi visita e non vi sottopone ad accertamenti strumentali, ma vi dice che vuole operarvi comunque. Accettereste di essere operati? Ovviamente no. Tuttavia questo è quello che accade in Italia quando si deve intervenire per restaurare i beni del patrimonio culturale. Sabato 29 gennaio si è tenuto nei Laboratori delle Scuderie di Villa D’Adda Borromeo ad Arcore un convegno dal titolo “Leonardo: scienza e tecnologia nella conservazione dei beni culturali” che esprimeva bene la necessità di formulare una diagnosi preliminare sullo stato di salute di un’opera d’arte - e stiamo parlando non solo di quadri, ma anche di opere monumentali - al fine di programmarne un eventuale restauro. Il relatore principale del Convegno è stato Maurizio Seracini, professore all’Università di San Diego che, forte di 35 anni di esperienza sul campo e di migliaia di opere d’arte “visitate”, propone da tempo una “diagnostica per opere d’arte” basata sull’utilizzo delle più moderne tecnologie disponibili: dai classici zoom, all’uso di raggi ultravioletti e raggi infrarossi, all’uso di particolari radar e via dicendo. È bene precisare che sono tutte tecniche non invasive, cioè tecniche che non toccano minimamente l’opera d’arte. Lo scopo di tale diagnostica è quello di fornire dati oggettivi che consentano di capire lo stato di salute di un’opera artistica e le sue eventuali patologie. Inoltre, ripetendo le stesse analisi a distanza di tempo, si potranno monitorare le condizioni dell’opera per capire se sono stabili o se stanno peggiorando. Maurizio Seracini propone che il restauratore – pur seguendo un corso di studi dell’Accademia delle Belle Arti - diventi uno scienziato che segua un approccio metodologico rigoroso e non casuale, cioè che non faccia gli esami con le sole macchine che ha a disposizione in quel luogo e in quel momento; un restauratore scienziato che di fronte ad un’opera d’arte segua un protocollo medico definito come si fa in Ospedale e faccia un’anamnesi - e in questo senso non c’è solo l’uso di tecnologie, ma anche studio storico sui documenti archivistici che ci parlano di quell’opera, della sua evoluzione, collocazione, degli interventi che ha subito…-, una diagnostica ed infine una refertazione. Solo a questo punto il quadro diagnostico potrà suggerire se è necessario “operare” e con quali rischi. Nel suo intervento Seracini esemplifica questi concetti portando il caso di Leonardo e analizzando il caso della tavola dell’Adorazione dei Magi (1481-82) dove, utilizzando una serie di tecniche scientifiche, ha riportato alla luce particolari invisibili ad occhio nudo come ad esempio le cromie originali, dettagli del disegno originario corretti dall’autore in una seconda fase, particolari di parti ormai logore, addirittura il disegno di un elefante.

Qualche parola deve essere spesa anche sulla location del convegno: Villa D’Adda Borromeo ad Arcore. In questo contesto prestigioso la Scuola di Restauro l’Accademia delle Belle Arti di Brera ha posto i propri laboratori per i corsi che prepareranno i nuovi restauratori. L’edificio delle Scuderie è stato ristrutturato in modo esemplare per renderlo utilizzabile da studenti, tecnici e professori. Si tratta di uno spazio ampio, su due piani - il piano terra per i laboratori e il primo piano per aule e uffici. Nel tetto delle vecchie scuderie è stata praticata un’ampia apertura che diffonde una bella luce naturale in tutti gli ambienti grazie al fatto che i laboratori hanno porte e pareti trasparenti. Un luogo di lavoro ideale. Un’ultima curiosità. Il professor Seracini lavora da decenni al progetto di riportare alla luce La Battaglia di Anghiari, una pittura che Leonardo fece a Palazzo Vecchio a Firenze nel 1504 e che non ha lasciato tracce perché fu successivamente ricoperta (rimangono solo gli studi preparatori e le oltre venti copie che ne vennero fatte all’epoca). Oggi, proprio grazie alle scoperte di Seracini, il posizionamento de La Battaglia di Anghiari a Palazzo Vecchio è stato determinato con certezza. Rimane solo da costruire una particolare strumentazione portatile che consenta l’ultimo passo, cioè “vedere” l’opera. Ahimè servono ancora due milioni di euro…

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[ ALTROVE racconti e consigli di viaggio ]

London Calling [ di Elena Gorla ]

Londra ci chiama dalle città più sperdute, cantavano i Clash nel lontano 1979… Londra chiama e, anche oggi, non si può non risponderle: andare a Londra, infatti, è sempre bello, la prima volta come la centesima, perché Londra è una città dai mille volti. Adatta a tutti i gusti e a tutte le età, ricca di proposte in tutte le stagioni, vivace, chiassosa e multietnica. Tradizionale e alternativa, vive e si rigenera nelle tante contraddizioni che la caratterizzano. E’ un polo magnetico che attrae incessantemente flussi diversificati di persone generando, di conseguenza, sempre nuove idee, mode, tendenze capaci di influenzare la cultura europea (ma non solo) sotto moltissimi aspetti: costume, arte, street wear, musica, cinema, ecc. Una città che da secoli è l’ombelico del mondo, eterno luogo di passaggio, in cui tutti, almeno una volta nella vita, sono transitati. Insomma, per dirla con le parole di Samule Johnson (letterato britannico del XVIII secolo), Londra ha tutto, Londra è tutto e “When a man is tired of London, he is tired of life; for there is in London all that life can affar” (trad. Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra si trova tutto quanto la vita possa offrire). Offrire una sintetica ma esauriente guida di Londra è, pertanto, un’impresa impossibile, tanto più nel breve spazio di un paio di pagine. Per

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questa ragione ho preferito una presentazione della città che mi sembra più idonea a rappresentarne l’infinita varietà senza snaturare il suo frizzante fervore: piccoli spot dedicati alle diverse tipologie di viaggiatori. La Londra del tradizionalista: per gli amanti della tradizione e dei cerimoniali è consigliato un tour classico, che includa tutti i principali luoghi simbolo della monarchia britannica, spostandosi da un punto all’altro della capitale a bordo dei classici autobus rossi a due piani. Iniziando da Buckingham Palace per assistere al rigoroso rito del cambio della guardia (il più pomposo, nei giorni in cui il cambio è previsto, si tiene alle 11 del mattino) e spostandosi, poi, verso la Queen’s Gallery (sita sul lato occidentale di Buckingham Palace), per ammirare opere d’arte, oggetti d’arredo e tanti piccoli tesori amministrati direttamente dalla regina per conto della nazione. Immancabile una visita alla Torre di Londra dove è possibile rimirare i pezzi più preziosi del tesoro della corona: gioielli, diamanti e pietre rare, previo pagamento di un oneroso biglietto d’ingresso. La visita si svolge sotto lo sguardo vigile dei sette grandi corvi reali, accuditi costantemente dal Ravenmaster (il Maestro dei corvi), figura storicamente preposta al loro allevamento e alla loro cura. Questi animali sono, infatti, legati da un’antica profezia alle sorti della monarchia britannica: la leggenda vuole che la Torre di Londra e con essa l’intero regno, cadranno quando dalla torre fuggiranno i sette corvi custodi del tesoro.

La Londra per l’amante della storia e dell’arte: gli appassionati di arte, trovano in questa città un’offerta quasi illimitata che spazia dagli albori della civiltà umana sino alle più radicali manifestazioni dell’arte contemporanea. Stiamo, ovviamente, addentrandoci nello sterminato e affascinate territorio dei musei londinesi, primo fra i quali è d’obbligo citare il British Museum, che offre un viaggio sconfinato attraverso epoche e continenti, ospitando preziosi manufatti provenienti da ogni angolo del globo e che, già nelle sue architetture, celebra il valore dell’ingegno creativo dell’uomo. Imperdibile, a tal proposito, la Reading Room, costruzione rotonda nel cortile centrale del museo, luogo molto amato da tanti celebri londinesi, primo fra tutti Karl Marx. Gli amanti delle arti figurative, invece, non hanno che l’imbarazzo della scelta, perché l’offerta delle gallerie londinesi è ampia e ben caratterizzata. Per gli appassionati di arte moderna e contemporanea la Tate Modern è il tempio indiscusso in cui ammirare le opere più significative delle tendenze internazionali degli ultimi due secoli. La struttura, adagiata sulle rive del Tamigi e ricavata dalla ri-


[ ALTROVE ] conversione di una centrale elettrica, già nel suo aspetto incarna appieno lo spirito della creatività contemporanea oltre ad offrire bellissime panoramiche del fiume e del Millennium Bridge che in prossimità dell’edificio attraversa il Tamigi. Per un incontro ravvicinato con i grandi maestri della pittura, invece, il posto ideale è la National Gallery, nella centralissima Trafalgar Square: Leonardo, Tiziano, Caravaggio, Canaletto, Cezanne, Van Gogh e tantissimi altri impreziosiscono le sale di questa famosissima galleria. Ultima informazione, ma non di poco conto, è che tutti questi musei e gallerie (come la maggior parte di quelli londinesi) sono a ingresso gratuito. La Londra per il patito di shopping: nell’offerta infinita di questa città, ovviamente, lo shopping non fa eccezione, anzi offre delle vere e proprie chicche per gli amanti dell’acquisto “alternativo”. Se negli ani ’60, epoca della Swinging London (tendenza in cui la moda s’incontrò con la pop art dando vita ad un look nuovo, incentrato su colori vivacissimi e provocatori), la strada dove nascevano le mode era l’incomparabile Carnaby Street a Soho (in cui Mary Quant aprì la sua prima boutique imponendo così la minigonna al mondo della moda), oggi “di tendenza” in Carnaby St. è rimasto assai poco e gli amanti del look particolare devono orientarsi verso altre zone. Una passeggiata a Soho, comunque, merita sempre di essere fatta e, già che siete da quelle parti, raggiungete le strade della colorata ed odorosa Chinatown (che segna uno spartiacque fra i due quartieri), e spingetevi a dare un’occhiata anche alla vicina Covent Garden (rinomata per i tanti teatri e ristoranti che la popolano). Gli estimatori del vintage hanno varie possibilità: Notting Hill che, oltre all’affollato mercato del sabato in Portobello Road (famoso in tutto il mondo per i suoi colori e odori caraibici, da oltre cinquant’anni tappa obbligata per i turisti più giovani in visita a Londra), vanta tantissimi negozi specializzati in abbigliamento vintage, antiquariato e bric à brac; un poco più a nord c’è, poi, Camden Town in cui visitare il Camden Market (aperto tutti i giorni dal mattino sino al tramonto). Qui è possibile acquistare un po’ di tutto: dalla gioielleria artigianale al cyber wear finendo, magari, con il farsi decorare il corpo con un tatuaggio in uno dei tantissimi saloni di tatuatori presenti nell’area. I londinesi più all’avanguardia, tuttavia, sostengono che la zona più trendy per fare shopping si sia, oggigiorno, spostata nella zona che partendo da Brick Lane si estende fino al mercato di Spitalfields e, un poco più in là, verso Shoreditch, ai confini estremi del west end londinese. In questa zona si trovano tantissime boutique di stilisti emergenti, negozi di desing e arredi particolarissimi e molti atelier riservati agli amanti del genere bourlesque. Per gli appassionati di libri, antichi come moderni, segnaliamo, invece, un’importante indirizzo: Cecil Court, la via delle librerie. Questa piccolissima via ha mantenuto inalterato il suo carattere tematico che caratterizzava nei secoli passati molte strade dello shopping di Londra. Qui le librerie sono tantissime e piccolissime, ognuna dotata di una speciale caratteristica. Vi si possono scovare manoscritti antichi e rari, libri esoterici, antiche mappe come libri moderni dedicati ad argomenti specifici. La Londra del buongustaio: certo la cucina inglese non è rinomata nel

Una vetrina a Spitalifields

mondo per la propria varietà e salubrità ma anche qui a Londra i buongustai potranno trovare ristoro e soddisfazione in tantissimi luoghi. Primi fra tutti gli innumerevoli pub in cui fare scorpacciate di birra e cucina inglese a un prezzo relativamente contenuto. Non siate prevenuti, portate come il tipico fish and chips (merluzzo fritto e patatine) o le tante e gustosissime pie (torte salate) a base di pollo, funghi, carne e verdure sono davvero deliziose e perfette per essere accompagnate con una pinta di birra inglese, sia essa chiara, rossa o scura. Il carattere multietnico di questa città, ovviamente, emerge anche a tavola offrendo una varietà strepitosa di ristoranti etnici: da quelli cinesi a quelli indiani (che hanno colonizzato le zone circostanti ad Earl’s Court), passando, ovviamente, per qualsiasi altra specialità etnica possiate desiderare: anche in questo frangente a Londra c’è di tutto. Per i palati più viziati vogliamo ricordare che la città è costellata da moltissimi Oysters bar dove è possibile gustare ottime ostriche per la modica cifra (modica nel panorama londinese ovviamente!) di 15 sterline per mezza dozzina, accompagnate, però, dall’immancabile birra anziché dal più classico champagne. La Londra degli amanti del verde: la proverbiale passione botanica degli anglosassoni ha disseminato per la città innumerevoli parchi e giardini aperti per visite al pubblico. Dai favolosi Kew Gardens, patrimonio mondiale dell’umanità, fino ai Giardini Reali, oltre ai tanti parchi pubblici di Londra. Non c’è che l’imbarazzo della scelta e, scegliendo, da porre un po’ di attenzione al periodo dell’anno e alle fioriture del momento. Insomma Londra è unica ma ha mille volti, prima di partire, quindi, spendete qualche minuto davanti ad un metaforico specchio e riflettete: qual è il volto più simile a voi?

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[ IN CUCCIA Due chiacchere a quattro zampe ]

Emergenza conigli Dall’acquisto all’abbandono un gesto di amore vero [ rubrica a cura di GABRIELLA ] L’inverno ha visto l’arrivo in ENPA di numerosi conigli. Pur noto con il nome di “canile”, il rifugio in via Buonarroti 52, gestito dalla Protezione Animali di Monza e Brianza, in realtà accoglie tantissimi altri animali abbandonati. Tra questi molto spesso sono proprio i coniglietti a farla da protagonisti. Il coniglio è un animaletto dall’aspetto molto mite e invitante; è facile cedere alla tentazione di comprarlo ma, come tutti gli esseri viventi, ha il suo carattere, le sue abitudini e richiede una buona dose di impegno per essere gestito. L’entusiasmo legato all’acquisto di questo peluche vivente svanisce alla svelta quando non è supportato da serie intenzioni e dalla consapevolezza di volersene occupare responsabilmente per una decina d’anni. Il destino del coniglio abbandonato Da lì all’arrivo in canile il passo è breve. Molti di loro vengono abbandonati nei campi o nei giardini. A colui che se ne disfa con questa modalità fa comodo pensare che comunque il piccolo se la caverà, e anzi forse starà meglio così, non sapendo che la sorte che gli toccherà sarà di finire nel becco di un corvo o di una cornacchia o di qualche altro predatore, oppure di ammalarsi, e finire tragicamente la bella favola iniziata in un negozio di animali. Purtroppo solo alcuni di questi conigli vengono ritrovati e finiscono da noi: per questi piccoli superstiti cerchiamo il meglio: una famiglia consapevole di cosa significhi convivere con questo simpaticissimo e testardo animaletto e che de-

Noisette

Giulio

Liquirizia

cida di farlo con tutta la convinzione possibile. I conigli che cercano casa Presentiamo brevemente alcuni dei coniglietti ospiti dell’ENPA monzese che aspettano una nuova famiglia! Noisette, carinissima coniglietta color visone, tranquilla e docile, è stata trovata vagante e spaesata alla vigilia di Natale. E che dire di Giulio, delizioso coniglio nano nero e bianco, con i buffissimi orecchi tipici della razza ariete? Abbandonato in un giardino, è molto buono e simpatico. Poi ancora c’è Liquirizia, tutta nera con musetto bianco. Molto tenera, si fa accarezzare volentieri ma è ancora un po’ spaventata, forse per l’abbandono in canile da parte della sua proprietaria. Lillo, dal soffice pelo grigio/beige, è arrivato invece con altri conigli da una scuola dove li usavano come “fattoria didattica”. Quando non servivano più, la maestra ha proposto di cucinarli alla mensa dei bimbi. Che bella lezione di civiltà e rispetto. Un’adozione del cuore per Fiona Lanciamo infine un appello speciale per Fiona. Aveva solo due mesi quando è stata trovata chiusa in una scatola; ora è accudita provvisoriamente a casa di una volontaria ENPA. Timida ma dolcissima e affettuosa, ama stare in braccio e farsi coccolare. Purtroppo Fiona è affetto da encefalite, un’infiammazione del cervello causata da un protozoo (parassita); tra i sintomi la testa storta, come potete vedere nella foto. Ma grazie alle amorevoli cure ricevute, e all’appetito che non le è mai mancato, ora è guarita. Il protozoo però rimane latente, e in un periodo di abbassamento delle difese immunitarie potrebbe riavere una crisi. Tuttavia, avendo superato la malattia da cucciola, è facile che la supererebbe anche da adulta e che farà una vita lunga e serena. Per Fiona cerchiamo una persona sensibile e attenta che avrà cura di lei. Potete leggere i profili dei conigli ospiti dell’ENPA sul il sito www.enpamonza.it alla pagina Adozioni > Animali da adottare > Altri animali. Per informazioni sulle caratteristiche e sulla gestione dei conigli, consigliamo il sito dell’Associazione Animali Esotici: www.aaeconigli.it.

Lillo

Fiona

Divertente il circo? Per gli animali no! Ogni anno le famiglie vengono chiamate ad assistere a spettacoli circensi che, in buona parte, fanno ancora uso di animali: proprio a febbraio si è attendato a Monza il Circo Amedeo Orfei. Ma le deprimenti condizioni di detenzione degli animali negli zoo circensi rendono tutt’altro che gioiosa la vita degli animali obbligati ad esibirsi in questi grotteschi spettacoli. Gli animali del circo, durante i costanti viaggi e le soste nelle città, sono inevitabilmente costretti in spazi ristretti ed in condizioni paragonabili spesso ad una vera e propria schiavitù. Pochi metri quadrati di gabbia metallica per i grandi felini e, spesso, le doppie catene alle zampe degli elefanti. Le tecniche di addestramento, più volte descritte e rivendicate dai circensi, si basano, nel migliore dei modi, sul condizionamento degli animali all’assunzione del cibo solo dopo avere eseguito correttamente un esercizio. Fino allo sfinimento. Queste tecniche, definite dai circensi di “addestramento con dolcezza”, sono efficaci perché basate sulla paura inflitta dall’uomo. I danni pedagogici sui bambini I circhi però non nuocciono solo agli animali. Sotto il profilo pedagogico, uno spettacolo circense basato sull’uso degli animali dà un messaggio altamente negativo ai bambini. Si è infatti portati a vedere, spesso divertendosi, animali totalmente soggiogati alla volontà dell’uomo e costretti a tenere comportamenti innaturali. In questa allucinante immagine, vediamo una tigre e un cavallino - predatore e preda – obbligati a “esibirsi” insieme. Cosa può esserci di educativo e di divertente in uno spettacolo basato sulla coercizione, sulla violenza, sulla privazione della dignità di un essere vivente? Di recente oltre 500 psicologici italiani hanno condiviso un documento proposto dalla psicologa Annamaria Manzoni, in cui si esprime la preoccupazione sulle conseguenze pedagogiche, formative e psicologiche causate dalla frequentazione di giovani spettatori allo spettacolo circense. “Tali contesti - si legge nell’appello -, lungi dal permettere ed incentivare la conoscenza della realtà animale, sono veicolo di una educazione al non rispetto per gli esseri viventi; inducono al disconoscimento dei messaggi di sofferenza; ostacolano lo sviluppo dell’empatia, che è fondamentale momento di formazione e di crescita, in quanto sollecitano una risposta incongrua, divertita e allegra, alla pena, al disagio, all’ingiustizia”. L’appello mette in evidenza la privazione della libertà e il mantenimento degli animali in contesti innaturali e irrispettosi dei loro bisogni e delle caratteristiche etologiche della specie di appartenenza. Preghiamo i genitori di boicottare i circhi, e qualsiasi altro spettacolo o manifestazione che sfrutti gli animali, e di insegnare ai propri figli che il loro “divertimento” corrisponde alla quotidiana sofferenza di migliaia di animali.

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[ VERDISSIMO CURIOSITà, PROPRIETà E USI DELLE PIANTE INTORNO A NOI ]

L’aromaterapia: gli oli essenziali Ancora una volta la natura, le piante, ci vengono incontro nella cura del nostro corpo. Parliamo degli oli essenziali, miscele aromatiche complesse, contenute in molte piante ed estratte tramite distillazione. Le proprietà di questi oli sono molteplici, a seconda della pianta da cui sono estratti e anche le applicazioni possono variare sia per uso esterno (per la salute e la bellezza del corpo.) sia per uso interno (come coadiuvanti della salute o miscelati all’olio d’oliva per aromatizzarlo). Sono, inoltre, sufficienti, poche gocce di oli essenziali in un diffusore di essenze per respirarne i benefici, profumare e purificare l’ambiente. Ad esempio, in estate, la citronella (melissa) è un ottimo rimedio naturale per tenere lontano le zanzare e potersi godere cene e passeggiate all’aperto senza dover per forza far ricorso ai ben più nocivi spray repellenti per insetti. L’aromaterapia, anche se non è stata ancora riconosciuta come una vera “terapia” scientifica, ha origini molto antiche. A partire dal 2000 a.c. gli egiziani si occupavano già delle proprietà curative di queste essenze e moltissimi medici e studiosi si recavano in Egitto per apprendere i segreti degli oli anche se, per la precisione, gli utilizzi medico-religiosi o razionali delle piante aromatiche in antichità si

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riferiscono all’utilizzo della pianta in toto e non all’olio essenziale. Lo stesso Ippocrate, ossia il predecessore della medicina moderna, utilizzò questa metodologia per tentare di arginare la tremenda peste che si abbatté su Atene nel 429 d.c. Ma veniamo all’utilizzo più moderno degli oli essenziali. Ad esempio è notizia fresca di questi giorni (fonte il Sole 24 ore, 20/01/2011) la creazione di un mix di oli essenziali che parrebbe essere un’ottima cura per i dolori della sindrome premestruale. Non volendo però, per prudenza, addentrarci negli usi più specificatamente sperimentali e medici ci limiteremo a darvi alcuni consigli per l’utilizzo di queste sostanze per la cura del corpo. Se avete capelli secchi, ad esempio, potete ottenere ottimi risultati con l’olio essenziale di sandalo e di lavanda. Al contrario, per i capelli grassi ginepro, limone e salvia possono aiutarvi a riequilibrare la vostra cute. Per questo tipo di uso esterno basta aggiungere, ad uno shampoo neutro, qualche goccia (da 10 a 20 gocce di olio essenziale in 10 cl di shampoo = diluizione 1) dell’olio essenziale da voi scelto a seconda delle vostre esigenze (ve ne sono anche contro la forfora e contro la caduta dei capelli) e il gioco è fatto! L’aromaterapia è molto usata anche nei più mo-

derni centri estetici per eseguire i massaggi. In questo senso si da molta importanza all’odore, al profumo che, stimolando la nostra cavità nasale, provoca degli impulsi che arrivano al cervello in maniera rapida e di cui abbiamo ricordo già dall’età intrauterina. Ad esempio, se ci facciamo massaggiare con un olio a base di limone, the verde e lavanda avremo una sensazione di fresco benessere e pulito mentre il ginger ci darà una carica energizzante e rinvigorente questo perché, per l’appunto, già nella pancia della mamma ci vengono trasmesse queste informazioni tramite l’alimentazione. Proprio per questo, i massaggiatori professionisti, nella scelta dell’olio essenziale, tengono sempre in considerazione la parte emotiva del cliente e, in alcuni casi, fanno addirittura scegliere, a seconda del momento e dello stato d’animo, al cliente stesso. Benefici per il corpo e per la mente possono quindi derivare, in molte forme, dall’aromaterapia e dall’uso degli oli essenziali. Essendo lo studio di queste proprietà ancora in fase di sviluppo vi consigliamo comunque di rivolgervi sempre ad erboristerie o personale qualificato di modo che possa indicarvi come, in che quantità e in che modo trarre giovamento da queste antiche e moderne soluzioni olistiche.


[ BRIGANTIA STORIA,

LEGGENDE ED ESCURSIONI NELLA NOSTRA VERDE TERRA ]

Il Carnevale di Schignano

e l’antica tradizione delle sue maschere [ di Elena Gorla

(con la preziosa collaborazione di Stefania Pedrazzani dell’associazione la M.A.SCH.E.R.A. di Schignano) Foto di Alberto Cameroni ]

Ci sono feste nelle quali i riti e le usanze più arcaiche tornano a vivere, anno dopo anno, con uguale forza e fervore. Feste dal sapore passato, capaci di ricordare ed insegnare in modo diretto e non mediato anche alle generazioni presenti le proprie antiche origini, i costumi, i modi di vita e i problemi della gente di un paese che fu ma che ancora in quello stile di vita si riconosce. Il carnevale di Schignano, con i suoi colori e la sua frenesia, è un esempio integro e genuino di una società che non vuole scordare l’importanza del passato e della tradizione. Schignano è un paesino di montagna in una valle laterale della Val d’Intelvi che, grazie al suo carnevale storico, attira ogni anno molti visitatori con una festa che fino a qualche decennio fa costituiva l’ultima occasione di gioia e condivisione prima della partenza degli emigranti verso i lontani luoghi di lavoro.

Con i suoi colori e la sua frenesia, è un esempio integro e genuino di una società che non vuole scordare l’importanza del passato e della tradizione A Schignano, la manifestazione del carnevale si sviluppa secondo un modulo teatrale arcaico, che accomuna parecchi carnevali alpini e non solo, riproponendo il cliché della contrapposizione fra tipi e fra classi. Il rituale messo in scena, come tradizionalmente accade anche nella commedia dell’arte (le cui

famose maschere regionali sono alla base di tutte le celebrazioni carnevalesche d’Italia), è giocato sulla contrapposizione tra due diverse tipologie sociali incarnate appunto da due diverse maschere: in questo caso i Bèi e i Brùt. Belli e i brutti, divisione antica ma ancora vitale che incarna l’eterna lotta fra potere e popolo, fra benessere e miseria. Si recita su un palco costituito dalla piazza principale del paese, la centralissima piazza San Giovanni, in frazione Occagno. La struttura teatrale si snoda su un canovaccio rigoroso, nei tempi e nei modi di svolgimento ma, come in ogni canovaccio, con ampi spazi di libertà e di fantasia, permettendo a ogni maschera di esprimere il proprio personale estro. Tre gli attori principali di questa rappresentazione: il brutto, il bello e la sua povera moglie. Il bello, il Mascarùn in dialetto schignanese, vuole apparire e ostenta la sua ricchezza con incedere signorile. Quando si muove fra la gente, sfila altezzoso e fiero, le sue movenze sono superbe, esagerate, sintomo della sua voglia di esibire se stesso e il proprio benessere, si pavoneggia e mostra oggetti inutili. Il suo arrivo è an-

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[ BRIGANTIA ] nunciato dall’aggraziato suono delle bronze, le quattro campane di bronzo (dal peso complessivo di ben otto kg) che porta legate alla vita. Il bello, col suo aspetto spavaldo e pomposo, è il personaggio che attira la prima attenzione dello spettatore, grazie al bùtasc, il suo pancione prominente simbolo di abbondanza ricoperto da bellissime stoffe dai colori vivaci e al suo ricco costume finemente confezionato e ornato con pizzi, collane e ori. Il suo cappello è rivestito da fiori colorati e arricchito da una cascata di bindèi, un fascio di nastri colorati che si allungano lungo schiena e indossa una preziosa maschera lignea, intagliata a mano, dai lineamenti dolci e aggraziati. Contrapposto al mascarun, è il Brut, il brutto, personaggio sgraziato e povero che indossa un costume fatto di stracci, vecchie scarpe e cappelli deformi. Il suo pancione, a differenza di quello del bello, è cadente e deformato dalla fame e dalla cattiva nutrizione. Il suo incedere è incostante, stanco ma con ridicoli scatti frenetici.Vinto dalla stanchezza spesso si getta a terra sfinito con un tonfo improvviso. Porta con sé oggetti poveri e malridotti, scope, gerle e, oggetto ricorrente dalla forte simbologia, una valigia logora contenente poche cose vecchie, stancamente e tristemente trascinata, come quella dell’antico emigrante. Il suo arrivo è anticipato dal suono sgradevole delle cioche, i suoi campanacci di ferraglia. La maschera del brut, anch’essa di legno intagliato a mano, ha lineamenti molto forti e marcati che esaltano la deformità del personaggio: bocche storte, denti mancanti o nasi sproporzionati. Oltre a questi due personaggi protagonista della festa è anche la Ciocia (un personaggio femminile tradizionalmente interpretato da un uomo), moglie e serva del mascarùn che la tiene legata con una corda e se la trascina ovunque. La ciocia porta con sé una cesta in cui tiene un po’ di lana con il fuso e il rocchetto, simbolo del suo

Arrivano i belli!

incessante lavorare anche quando, costretta dal bello, lo deve seguire. Il costume della ciocia ricorda i poveri vestiti delle donne schignanesi dei secoli scorsi: calze di lana, zoccoli di legno, gonna lunga e nera, camicia, scialle di lana e fazzoletto in testa. La ciocia è l’unica maschera parlante del carnevale (non reca, infatti, maschera in viso, ma il suo volto è annerito) e il suo verso è un continuo inveire contro il marito, il bello, che da sempre la sottomette, la trascina per la sfilata, quasi fosse un animale, mentre egli se la spassa corteggiando le donne che trova fra il pubblico. Talvolta la ciocia, grazie all’intervento dei brutti, riesce a fuggire ma la sua libertà è breve perché subito il bello le è addosso per imprigionarla nuovamente. Il lato grottesco, al tempo stesso ridicolo e drammatico della situazione, è continuamente evidenziato dall’incessante lamento della donna, una litania in dialetto con cui racconta tutte le angherie subite dal marito. Il suo racconto è una libera improvvisazione di aneddoti e trovate sceniche in cui la capacità d’inventiva e l’arte oratoria di chi interpreta questo personaggio

Programma 2011 Domenica 27 Febbraio • Sfilata dei Bambini: Mascarun, Brut e Sapeur in miniatura - ritrovo ore 14 in piazza san Giovanni, sfilata fino alla frazione Auvrascio e ritorno. Sabato grasso 5 Marzo • Sfilata fino alla frazione Auvrascio e ritorno - ritrovo in Piazza San Giovanni ore 13.45; • Serata danzante in maschera - presso Centro Civico schignanese dalle ore 21. Martedì grasso 8 marzo • Sfilata fino alla frazione Auvrascio e ritorno; Ritorno in località Cima, processione con il Carlisep, fuga e consegna del prigioniero ritrovo in piazza San Giovanni ore 13.45 • Serata danzante nel salone del ristorante Carpigo; • Partenza con la processione notturna del Carlisep condannato al rogo - ore 23.30; • Rogo del Carlisep - piazza San Giovanni a mezzanotte.

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Brutti e Carlisep

sono estremamente importanti. Anche altri caratteristici personaggi movimentano il carnevale schignanese: il Sapeur, la Sigurtà e, ultimo ma importantissimo poiché incarna il carnevale stesso, il Carlisep. I sapeur, personaggi interamente vestiti con pelli di pecora, cappellaccio cilindrico, baffoni e volto annerito, aprono le sfilate del carnevale (il sabato e il martedì grasso): il loro ruolo quello di dirigere e guidare il corteo con passo marziale e nel far ciò sono affiancati dai rappresentanti della sicurezza, che indossano un cappello militare ed una fascia con la scritta “Sigurtà” che fa il verso al tricolore indossato dalle autorità. Il Carlisep, simbolo della festa, è, inizialmente, un fantoccio con le sembianze di un brutto che viene appeso, il sabato grasso per essere rimosso il martedì, ad una finestra in piazza San Giovanni ,dove si svolgono le principali rappresentazioni carnevalesche e luogo da cui partono i cortei. Il martedì grasso i cortei dalla piazza si dirigono in località Cima, per recuperare il Carlisep fuggito: qui entra in gioco il personaggio in carne ed ossa, vestito e truccato come il fantoccio, sdraiato su di una barella giacché moribondo (egli, infatti, rappresentala la festa che è in procinto di concludersi, come la sua esistenza). Egli, per ben due volte, tenterà la fuga per evitare la condanna al rogo ma sarà presto riacciuffato. La seconda volta, però, sarà nuovamente il fantoccio a tornare in scena poiché il suo destino appare segnato: a mezzanotte sarà bruciato in piazza San Giovanni, segnando la fine del carnevale, la fine della festa. Sono tante le simbologie che si mescolano in questa tradizionale rappresentazione popolare, tante come le generazioni che le hanno incarnate e fatte rivivere arricchendole di sempre nuovi significati con il passare dei secoli. Una visita a Schignano in occasione del carnevale è un momento di allegria genuina, un’occasione unica per grandi e piccoli di trascorrere una giornata felice alla scoperta del nostro passato.


[ NONSOLOMONZA... ]

METTI UN GIORNO AD

ARCORE [ di Adriana Colombo ]

Oggi è una bella giornata, c’è il sole e ne approfittiamo per raggiungere Alessandro Ambrosini (Ndr. Presidente del Consiglio Comunale di Arcore) che molto gentilmente si presta a raccontarci questa cittadina brianzola. Come prima cosa Alessandro ci tiene a sottolineare che Arcore è fatta in primis dalla sua gente. Gli arcoresi portano sulle spalle una lunga storia e, in quest’epoca di individualismo riescono ancora a essere una comunità. Gli arcoresi si dedicano molto all’associazionismo, partecipano alla vita pubblica e se ne interessano. Per farci meglio comprendere da dove nasce questo sentimento ci parla della storia di Arcore, in particolare di quella dell’ultimo secolo e l’evento da cui restiamo più colpite, anche per una frase detta da Alessandro: “Una comunità deve sempre avere eroi di riferimento!”, è la morte del giovane conte Alfonso Casati (Milano 13/07/18 - Corinaldo 6 /08/44) che, durante la seconda guerra mondiale, mentre il padre era ministro della guerra, si sacrificò da eroe nella battaglia di liberazione di Corinaldo (Ndr. A Corinaldo, un Sacrario e un cippo ricordano il sacrificio di Alfonso Casati e dei suoi uomini. Al nome del giovane è stata, anche, intitolata una Fondazione per gli studi storici, che ha pubblicato anche le sue Lettere dal Fronte), ci racconta che ancora oggi ad Arcore ci sono persone che si ricordano di lui, ma soprattutto, in molti si ricordano del padre! Ovviamente venire ad Arcore non può prescindere da una visita alle sue quattro ville di delizia: Villa Cazzola, Villa Ravizza, Villa San Martino e Villa Borromeo; quest’ultima sorge su una collinetta proprio nel mezzo del parco Borromeo che, come ci dice Alessandro e verifichiamo di persona, è un luogo affascinante dove trascorrere un po’ di tempo: un parco a misura d’uomo! Tra l’altro ci racconta, con malcelato entusiasmo, che da pochissimo nella scuderia della Villa si è trasferita l’Accademia di Brera e già ci immaginiamo insieme quando, con l’arrivo della bella stagione, si potranno incontrare in giro per il parco alcuni degli studenti, magari con carta e matita in mano! Poi andiamo a vedere la Biblioteca di Arcore che ha sede nella vecchia sede del Comune ed è intitolata a Nanni Valentini (Sant’Angelo in Vado1932-Arcore 1985), famoso scultore e si possono anche ammirare in loco alcune delle sue opere (Ndr. Valentini è stato anche professore

all’Istituto d’Arte di Monza dal 1969 al 1985.) Ovviamente Arcore è anche tante altre eccellenze, anche per quanto riguarda il mondo del lavoro; è stata sede della Gilera e, negli anni d’oro, almeno un arcorese su due vi lavorava. Arcore è anche Peg-Perego, Lat – Bri, Unimec, Soges. Gli imprenditori attivi su Arcore sono anche attenti al sociale e alla vita comunitaria. Ormai si è fatto tardi ma ci sarebbero ancora tantissime altre cose da dire e da vedere tra cui, spicca per fascino il PLIS dei Colli Briantei (Ndr. PLIS Parco locale d’interesse sovracomunale) che è situato al nord di Arcore al confine con i comuni di Usmate Velate e Camparada, ma è buio e, soprattutto merita una gita tutta sua, magari ve ne parleremo in uno dei prossimi numeri di Trantran nella rubrica Brigantia. Salutiamo e ringraziamo il nostro cicerone Alessandro che ci ha fatto, grazie alle sue parole che lasciano trasparire l’amore che ha per la sua città, scoprire e apprezzare Arcore.

Alessandro Ambrosini, presidente del consiglio comunale di Arcore

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[ I SEGRETI DELLO CHEF ]

Malloreddus alla Campidanese Un po’ di Sardegna nella verde Brianza

Hosteria al Nabucco, interno

[ di Adriana Colombo ] Siamo a Lissone, in via Gramsci 44 presso l’Hosteria al Nabucco. Questo luogo è stato inaugurato il 20 Febbraio del 1999, dodici anni fa esatti. Dopo due lunghe carriere nella ristorazione Aldo, sardo doc e Noveno, calabrese doc, hanno deciso di portare un po’ del sapore delle loro terre in Brianza. La longevità della loro attività ci fa capire che anche noi “polentoni” sappiamo bene apprezzare tutte le gustose pietanze della nostra penisola. La ricetta che ci propongono è una tipica ricetta sarda: i malloreddus alla Campidanese. Preparare la salsa soffriggendo la cipolla e l’aglio con un filo d’olio extravergine. Unire la salsiccia fresca tagliata a pezzi e i pomodori. A cottura quasi ultimata, aggiungere lo zafferano. Cuocere i malloreddus (i tipici gnocchetti sardi) in acqua salata. Scolarli al dente e condire con la salsa preparata separatamente e completare il tutto con un’aggiunta di basilico tritato e abbondante pecorino grattugiato. Importante è anche servire questo piatto caldo, per poter meglio assaporare l’armonia degli ingredienti. Per ottimizzare il gusto di questa portata ci consigliano di accompagnarla con un buon bicchiere di Cannonau (tipico vino sardo).

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La ricetta è semplice e gustosa e vi consigliamo di provarla! Fateci sapere se siete riusciti ad assaporare un po’ di Sardegna anche voi! Buon appetito. La video ricetta sarà online su www.trantran.net!

Ingredienti Per persona: 80gr di malloreddus 30gr di salsiccia fresca 80gr di pomodori Cipolla Aglio Zafferano Basilico Olio extra vergine Pecorino di media stagionatura


[ REALITY ]

REALITY Venti domande per vedere la Brianza con gli occhi dei brianzoli

GRAZIA Nome Grazia Età 49… fra qualche mese… Dove sei nata? Sono nata in Puglia, a Foggia. Dove vivi? Vivo a Carate Brianza. Vivi da sola o con la famiglia? Vivo con la mia famiglia: mia figlia che ha quasi ventuno anni e mio marito. Destra o Sinistra? Centro destra. Che lavoro fai? Sono un’artigiana, una creativa... lavoro a maglia, realizzo capi per alcune aziende che fanno abbigliamento per bambini. Ho iniziato un po’ per caso, realizzando un cappellino, poi da cosa nasce cosa… ed è diventato il mio lavoro.

Cosa ti piace di Monza e Brianza? Mi piace la tranquillità, il verde, il fatto che ancora è possibile vivere con ritmi un po’ più stemperati rispetto a quelli delle grandi città. Ho lavorato per molto tempo a Milano e per i miei gusti era davvero troppo caotica anche venticinque anni fa. Quando, tornando dal lavoro, arrivavo all’altezza di Vimercate mi sembrava di ricominciare a respirare! Associazione d’idee. Se ti dico verde… Un prato. Cena… A due, con i figli grandi è più facile concedersele. Vai al parco? Non molto. Chi è Dario Allevi? Il presidente della provincia di Monza e Brianza.

Dai un voto a Monza e Brianza Non ne conosco benissimo l’operato ma è ancora una realtà molto giovane e credo che nel tempo potrà fare molto per il territorio. Ai trasporti in Brianza? Non li uso ma mi sembra che i collegamenti principali, anche con i paesini più piccoli, siano garantiti, almeno negli orari di punta. Al commercio in Brianza? Il commercio purtroppo non va molto bene... solo chi ha un nome, un’attività affermata da decenni, continua a farcela. Le realtà nuove sono sempre meno anche perché si trovano ad affrontare una lunga serie di problematiche: concorrenza dei centri

commerciali, crisi economica, pressione fiscale, affitti alti, ecc. Se non in Brianza dove vorresti vivere? In Puglia, la mia regione d’origine, dove c’è una luce stupenda! Esprimi un desiderio. Vent’anni in meno con la testa di adesso! Scherzo, desidero solo la salute. Metropolitana a Monza: favorevole o contrario? Contraria perché temo che la metropolitana possa ridurla a una città dormitorio, impoverendola delle sue particolarità territoriali e portando anche a una svalutazione degli immobili… Dimmi un proverbio Per quanto un ragno tessa la tela fine ce n’è sempre un altro che la fa anche più fine!

Dì qualcosa ai nostri lettori Una riflessione e un invito… sentivo proprio oggi che l’occupazione è in calo ma c’è un aumento dell’occupazione femminile. Cedo che questo dipenda dal fatto che le donne

sono più pronte ad adattarsi, ad accettare qualsiasi lavoro pur di lavorare, inviterei anche gli uomini in cerca di lavoro a lamentarsi di meno e adattarsi di più: ogni lavoro è degno ed è un inizio. Se non si comincia non si può andare avanti.

MAURIZIO Nome Maurizio Età 44 Dove sei nato? A Seregno. Dove vivi? A Seregno. Vivi da solo o con la famiglia? Vivo da solo. Destra o Sinistra? Destra. Che lavoro fai? Fotografo... Cosa ti piace di Monza e Brianza?

Mi piace la mia città, Seregno! Associazione d’idee. Se ti dico verde… Blu. Cena… Divertimento. Vai al parco? Poco. Chi è Dario Allevi? Non lo so. Dai un voto a Monza e Brianza Otto. Ai trasporti in Brianza? Otto. Al commercio in Brianza? Sei.

Se non in Brianza dove vorresti vivere? In Toscana. Esprimi un desiderio. Espresso! Metropolitana a Monza: favorevole o contrario? Favorevole. Dimmi un proverbio Non mi piacciono i proverbi perché il più delle volte esprimono delle credenze non vere… passo la domanda! Dì qualcosa ai nostri lettori Pace!

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[ RACCONTIAMOCI ]

Nel nome di Dio [ di Marta Migliardi ] Ci viene segnalato, tramite mail, la lettura di questo libro Nel Nome di Dio (Edizioni Clandestine, 15 euro), scritto dall’americana Flora Jessop. Ce ne arrivano tante, tutti i giorni, di mail da varie case editrici che, sapendo della nostra rubrica dedicata ai libri e alla scrittura, ci propongono di recensirne alcuni o di intervistare gli autori. Normalmente, per affinità territoriali, ci dedichiamo a libri scritti da brianzoli ma a volte sono i temi a farci propendere alla scelta del testo da presentare. Questo è uno di quei casi. Un tema forte. Un tema a cui abbiamo voluto dedicare anche la rubrica Spunti di Vista. Parliamo di sette. Parliamo di sette religiose come quella narrata nel libro della Jessop e di sette sataniche (si veda pagina 6), che hanno, purtroppo, riempito molto spesso le pagine delle nostre cronache. Parliamo quindi di due aspetti legati alla fragilità della mente umana e alla viva crudeltà di chi sa approfittarne.

L’indifferenza spesso fa più danni della violenza, come si può leggere in questo libro

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Flora Jessop è riuscita a fuggire dalla setta religiosa più pericolosa d’America, conosciuta come Chiesa fondamentalista di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni (FLDS). Banalmente mi chiedo, come credo tutti coloro che hanno letto questo libro, come sia stato possibile che tutto ciò sia avvenuto in quella che viene sempre chiamata la “democratica America”, in quel paese che lotta da anni contro l’integralismo islamico, che espone bandiere ed invia soldati al fronte in nome di guerre che si basano su giochi e ruoli di potere oramai smascherati, oramai indifendibili anche da coloro che li hanno venduti, sull’onda del terrore, come guerre necessarie per salvaguardare i diritti umani, i diritti delle donne, dei bambini contro la follia talebana o contro dittatori, senz’altro crudeli, le cui armi, però, non furono mai trovate. Ma torniamo a Flora, a quando a 8 anni fu violentata ripetutamente dal padre, a quando le venne insegnato a prostrare il suo corpo, ad obbedire ciecamente, a quando fu fatta abortire, con una pinza di metallo, senza anestesia. A quando, trovato il coraggio di fuggire, senza l’aiuto, senza alcun appoggio delle autorità dell’Arizona, complici e partecipi dell’orrore della setta, si trovò sbandata nel mondo, facile preda della droga e di altri uomini più banalmente violenti. I servizi sociali che raccoglievano le poche testimonianze delle rare bambine che avevano il coraggio di fuggire, con sadismo, il sadismo tipico dei fanatici (implicati loro stessi nell’omertà della setta), le restituivano ai loro carnefici. Warren S. Jeffs (40 mogli e 56 figli), leader della setta dal 2002 al 2007 è il suo attuale Profeta. Gli adepti negli Usa sono ancora migliaia. Praticano la poligamia e sono accusati di matrimoni con minorenni. Jeffs, inserito dall’FBI nella lista degli uomini più ricercati d’America, è attualmente in prigione per stupro. Ho letto le 272 pagine di questo libro-documentario tra l’orrore e la speranza di un lieto fine che stentava ad arrivare e che, molto più realisticamente, credo non sia mai arrivato. 272 pagine che non si riferiscono ai primi del 900 o alle sempre tanto sbandierate storie di soprusi e lapidazioni nel mondo islamico, ma a fatti testimoniati avvenuti fino al 2005 (ma che, con ogni probabilità avvengono ancora, con altri nomi, altri leader) nella felice America, nella terra dei sogni.


[ RACCONTIAMOCI ]

Flora Jessop è riuscita a fuggire dalla setta religiosa più pericolosa d’America, conosciuta come Chiesa fondamentalista di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni Cinque anni fa (per attenerci rigidamente alle fonti), in America, c’erano spose bambine, stuprate, umiliate, a cui veniva fatto un devastante lavaggio del cervello, abbandonate dalla legge, picchiate dai padri. Ma di questo si è parlato poco. Se si cercano pagine in italiano su questi sconcertanti avvenimenti, non si trova quasi niente. L’apparenza di quella che ci ostiniamo a chiamare società civile. L’America come l’Italia, che nasconde i suoi orrori e sbandiera dettami sulla famiglia e difende, un po’ ipocritamente, le donne. Non parlo di politica. Parlo da donna. Non giustifico, sia chiaro, la lapidazione islamica o qualsivoglia violenza fanatica. Ma vi vorrei far riflettere, e fare due conti. 30.000 morti in Iraq nella Seconda Guerra del Golfo. Guerra in Afghanistan, ancora in corso, di cui vorrei consideraste anche le incalcolabili morti civili e non solo le disgraziate dipartite dei nostri soldati, che tornano in patria fasciati dalla nostra bandiera. Questa guerra, venduta anche per contrastare la mentalità (ferocissima) dei talebani che ha fatto arretrare la condizione femminile a uno stadio assai peggiore di quello esistente nella fase monarchica dell’Afghanistan, precedente all’invasione da parte dell’Armata Rossa. Eppure sotto i nostri occhi, nell’America del primo Presidente di colore, ecco che scopriamo che, l’atrocità degli esseri umani, più o meno estesa, più o meno accettata, più o meno resa legge, è uguale. Le guerre e le sette. Non so perché è questa la prima riflessione che ho fatto dopo aver letto il libro. Certo, ce ne sarebbero molte altre di considerazioni. Dall’evidenza macroscopica dell’umiliazione delle donne da parte dei talebani, alla più nascosta crudeltà della setta della Chiesa fondamentalista di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni. Ma mi soffermerei anche nelle case dei nostri vicini o tra le pareti domestiche delle nostre stesse abitazioni. Non è politica, non sono antiamericana, mi limito solo a constatare, tristemente, quanto la violenza e la crudeltà dell’animo umano siano, in fondo, uguali in ogni dove. Sempre verso chi è più debole, nel sadismo fallocentrico, che colpisce donne e bambini, bambini che diventeranno, se ignorati dalla società, come i loro padri.

Conosciamo la casa Editrice Edizioni Clandestine…

zioni più o meno accettabili che non possono essere semplicemente ignorate.

Edizioni Clandestine, solo il nome della vostra casa editrice è emblematico e fa comprendere uno stampo e una scelta di autori/argomenti particolari. Com’è nata la vostra casa editrice? Edizioni Clandestine è nata nell’ottobre 1999 dal sogno visionario di alcuni ragazzi (provenienti dal settore musica e praticamente senza una lira ed è stata aperta grazie un piccolo contributo elargito dalla provincia per le nuove aziende, 18 milioni di lire spalmate su circa 18 mesi) che avevano come obiettivo quello di creare un polo editoriale indipendente che in venti- trent’anni doveva giungere a contrastare i grandi marchi. Adesso quei ragazzi sono più vecchi di dieci anni e a loro si sono aggiunte persone (in ambito societario e lavorativo che sostengono e condividono finalità, linea editoriale e filosofia di vita). Bene abbiamo ancora quasi vent’anni di tempo per raggiungere qualcuno degli obiettivi che ci siamo posti). Il nome? Quale marchio è più appropriato a un progetto messo in atto da gente che può fare affidamento solo sulle proprie forze in un paese in cui si può aspirare a qualcosa solo se si è figli di... e il lavoro, ormai, oltre che una chimera, è divenuto di carattere ereditario?

Quant’è difficile, in Italia far arrivare messaggi così forti e spesso contrastati da un’ipocrisia dilagante? Purtroppo l’ipocrisia è figlia dell’ignoranza ed entrambe in Italia sono più diffuse del concime. Ciò che risulta particolarmente doloroso è vedere come ne siano intrisi anche gli ambienti di sinistra, che dovrebbero essere più aperti all’autocritica e alla libertà di espressione e di pensiero. Al contrario, ci siamo sentiti rifiutare recensioni di libri o spazi per le presentazioni proprio da giornali e da associazioni di estrema sinistra, che non potevano accettare la nostra scelta di “pubblicare quel negazionista (in realtà non lo è affatto) di Irving”. Fa tristezza che nessuno di coloro che ci ha criticato tale pubblicazione, abbia mai letto un libro di quell’autore, conosciuto solo per sentito dire. Posso capire che la Mondadori lo abbia escluso dalle sue collane, ma questo fascismo al contrario da parte della sinistra è a dir poco deludente.

Come scegliete i temi (spesso forti e controtendenza)? Scegliamo argomenti che riteniamo sia giusto conoscere anche da punti di vista, per così dire, “non ufficiali” e “non necessariamente condivisibili”. Il nostro motto è: se cercate libri rassicuranti, rivolgetevi altrove! Questo perché pensiamo che di libri “leggeri”, che addormentano la mente in Italia e nel mondo ce ne siano anche troppi. E’ ora che le persone comincino a riflettere su quanto accade attorno a loro e a farsi una propria idea in proposito. Sia chiaro: non abbiamo pubblicato la storia vera di un terrorista dell’ETA perché siamo favorevoli al terrorismo. Né pubblichiamo i libri di Irving perché condividiamo quanto da lui espresso nelle sue numerose interviste. Semplicemente, riteniamo che non si possa criticare prima di conoscere e per conoscere occorre leggere anche ciò che pensano gli altri. Dietro ogni atto o discorso estremo vi sono motiva-

Parliamo di Nel nome di Dio, come siete venuti a conoscenza di Flora Jessop e della atroce realtà della setta? Allo stesso modo di come abbiamo scoperto gli altri. Attraverso Internet, attraverso i contatti che abbiamo con gli editori stranieri grazie alla nostra partecipazione alle fiere del libro di Francoforte e Torino e alla reputazione guadagnata in tanti anni di lavoro sul mercato nazionale e internazionale. La Wiley è una grossa casa editrice americana che ormai conosce la nostra linea editoriale e ci contatta spesso quanto ha a disposizione qualche libro su argomenti scomodi. Il problema delle sette forse non è molto sentito in Italia, ma sono in gioco diritti umani basilari di donne e bambini. L’indifferenza spesso fa più danni della violenza, come si può leggere in questo libro. Secondo voi cercare di aprire gli occhi su realtà così “pesanti” è una lotta contro i mulini a vento o può davvero servire ad aprire le menti? Mio Dio, spero che serva davvero a qualcosa. Non posso pensare che quello che stiamo facendo praticamente gratis non abbia alcun senso! D’altra parte, Don Chisciotte è una figura indubbiamente ricca di fascino!

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[ L’ANGOLO DEL PENDOLARE ]

L’ULTIMO METRO’ [ rubrica a cura di Juri Casati ] Per comodità, velocità ed imperturbabilità di fronte alle condizioni meteorologiche avverse il metrò è il mezzo di trasporto sognato dai pendolari brianzoli. Se ne parla da decenni. Ora qualcosa, seppur lentamente, si sta muovendo verso il nord est Milano. Vediamo cosa. In queste settimane, dopo svariati anni dall’approvazione del progetto e salvo imprevisti,

LETTERA DEI LETTORI Carissimo Juri, sono una sua collega (intendo che come lei sono una condannata al pendolarismo), lo dico con sicurezza perché leggendo la bellissima rubrica che lei cura risulta evidente la perfetta conoscenza dei meccanismi diabolici delle ferrovie italiane… Le scrivo per sottoporre alla sua sagace penna un problema che, solo in apparenza, è slegato dalle molte problematiche ferroviarie che ci affliggono. Io prendo il treno in una piccola stazione della Brianza, Villaraverio per la precisione, ma non abito in quella frazione del comune di Besana in Brianza. Sono, quindi, costretta a recarmi in stazione con la mia automobile. Il parcheggio antistante la stazione, però, è un parcheggio con obbligo di disco orario, come tanti altri parcheggi adiacenti ad altre stazioni brianzole. Perché? E’ ovvio che chi parcheggia fuori da una stazione abbia necessità di sostare per ben oltre un’ora! Perché le pubbliche amministrazioni locali, anziché cercare di semplificare la vita di chi è quotidianamente costretto a spostarsi per lavoro, sembrano coalizzarsi con le ferrovie per renderci tutto ancora più difficoltoso? Mi piacerebbe avere una risposta… Luciana

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cominceranno i lavori di prolungamento della linea 1 rossa del metrò fino a Monza. Due fermate, Cinisello e Monza, per complessivi due chilometri di tracciato. Alla fine dei lavori - prevista nel 2014 - il nuovo capolinea della rossa non sarà più a Sesto Primo Maggio, ma sarà a Monza Bettola, cioè poche centinaia di metri all’interno del territorio del Comune di Monza e al confine con Cinisello, dalle parti del centro commerciale Auchan. Non è esattamente quello che servirebbe – perché, come capite, il metrò non arriverà nemmeno lontanamente in centro a Monza e figuratevi se arriverà nel resto della Brianza -, ma è meglio che niente: almeno i quartieri meridionali di Monza saranno serviti. Anche per la linea 2 verde qualcosa in queste settimane si è mosso, ma in questo caso non in senso positivo. Il progetto di massima del prolungamento della linea verde fino a Vimercate è stato approvato. Tuttavia, poiché non si è capito ancora bene chi dovrà pagare i 400 milioni di euro necessari per la sua costruzione, la Corte dei Conti ha bloccato la stesura di un progetto più accurato considerando uno spreco di denaro pubblico voler spendere per progettare in dettaglio un’opera che non ha ancora una copertura finanziaria certa. Qui sembra di capire che si andrà per le lunghe. Passiamo alla linea 5 lilla (hanno scelto il lilla perché scegliere il viola avrebbe portato un po’ sfiga). Fra circa un anno cominceranno le corse. La nuova linea sarà lunga 12 kilometri e attraverserà Milano in 25 minuti congiungendo Bignami al quartiere di San Siro, passando per zone assai frequentate e di pubblico interesse, dall’Università Bicocca all’Ospedale Niguarda fino allo Stadio, e incontrando tutte le altre linee del metrò, il Passante e le FS. In realtà l’anno prossimo sarà pronta solo la prima tratta che congiungerà Bignami al quartiere Isola (per intenderci: viale Zara e piazzale Lagosta). Nel 2013 la lilla scenderà fino alla stazione di Porta Garibaldi e nel 2015 arrive-

rà fino a San Siro. È bene precisare che l’opera si farà sicuramente perché tutte le tratte della linea lilla sono state finanziate e sono tutte in costruzione. Anzi: ormai la prima tratta è finita. Sulla linea lilla è meglio però fare un po’ di chiarezza perché si è detto molto e talvolta a sproposito. Infatti da alcuni era stata presentata come la Milano-Monza, ma ciò non è corretto perché il capolinea si attesterà in via Bignami, una traversa di viale Fulvio Testi nel Comune di Milano, all’altezza per intenderci della fermata del metrò di Sesto Marelli, anche se più ad ovest rispetto a questa. In pratica il capolinea nord della lilla sarà più lontano da Monza dell’attuale capolinea della linea rossa. Tuttavia la lilla sarà più comoda della rossa per tutti quelli che oggi vanno a Milano passando per viale Fulvio Testi perché è stata progettata per intercettare proprio questo flusso di traffico. Facciamo il punto anche sulle altre linee. In queste settimane verranno aperte alcune fermate nel versante nord della linea 3 gialla nel quartiere Comasina. Inoltre verrà aperto – l’inaugurazione ufficiale è già stata rimandata un paio di volte, ma ormai l’opera è fatta e rimangono solo gli ultimi problemi tecnici – il prolungamento della linea 2 verde a sud fino ad Assago e soprattutto a Milanofiori. Si tratta di un prolungamento utile per quelli di noi che (purtroppo) devono andare a lavorare fino a là. Infine lavori della nuova linea 4 blu da Linate a san Cristoforo, finanziati solo in parte, dovrebbero partire quest’anno, ma non metteteci la mano sul fuoco. Sicuramente con queste nuove linee e fermate ci si muoverà molto meglio a Milano città. Mentre per quelli come noi che arrivano da fuori non ci sarà il tanto agognato cambiamento epocale. Consoliamoci pensando che Kennedy, parafrasando un proverbio cinese, aveva detto che “per fare un viaggio di cento miglia bisogna fare un primo passo”, mentre a noi in fondo di miglia ne servirebbero molte meno di cento.


[ DI TUTTO UN PO’ SVAGO GIOCHI CURIOSITà ]

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TEXAS HOLD: CONTINUATION BET, L’ARMA DEL GIOCATORE AGGRESSIVO [ rubrica a cura di UTGaber ] Lo scorso mese abbiamo discusso di alcuni diversi tipi di puntata che un giocatore può decidere di piazzare dopo il flop. In questo appuntamento analizzeremo in modo più esauriente un tipo di mossa estremamente diffuso tra i giocatori di Texas Hold’em. Per Continuation Bet si intende una puntata piazzata dopo il flop (quindi anche nelle street successive) da parte dell’original raiser, cioè del giocatore che per primo preflop aveva aperto il gioco rilanciando. Continuando a puntare si perseguono fondamentalmente due obiettivi, e cioè mostrare forza spaventando l’avversario e cercando di dissuaderlo dal call, e aumentare la dimensione del piatto. Proprio perché è una mossa molto diffusa spesso la continuation bet viene piazzata anche in bluff totale, e solo l’abilità di lettura della mano da parte di un giocatore potrà suggerirgli quale opzione possa essere la migliore qualora avesse chiuso un punto non molto forte. Probabilmente in questo caso (soprattutto se il nostro avversario ha dimostrato di abusare della continuation bet e il nostro stack è superiore) controrilanciare è la mossa più giusta, magari triplicando la puntata dell’avversario. Non è invece il caso di rischiare eccessivamente se ci sono altri giocatori che parlano dopo di noi, o se l’original raiser è un giocatore molto aggressivo e con uno stack molto superiore al nostro. Personalmente preferisco sfruttare la continuation bet in semi-bluff, con cioè un progetto (o un punto mediocre), che però può chiudersi o migliorare risultando vincente al river. Uscire puntando senza assolutamente nulla in mano, o con solo due carte alte – tipo AK, può essere pericoloso con qualsiasi tipo di flop, ma se siamo convinti di essere comunque in vantaggio è sicuramente la scelta più giusta. Non bisogna però intestardirsi su una mano e continuare a giocare solo perché ci siamo già dentro. Se la nostra puntata in bluff viene coperta bisogna chiedersi il motivo e riflettere prima di piazzare una seconda e una terza scommessa, e comunque in generale non bisognerebbe mai bluffare se il nostro stack non ci permette di sostenere una eventuale sconfitta. Il fatto che spesso si abusi della continuation bet la rende a volte un’arma spuntata, perde

Mini Glossario Backdoor Letteralmente porta sul retro, noi diremmo dalla finestra. Equivale a Runner Runner e si usa per indicare un progetto che per realizzarsi necessita l’uscita in fila di due carte specifiche. (e.g. Tre quinti di scala o colore, o addirittura un poker da una coppia). Draw Il termine inglese, e quindi pokeristico per indicare un progetto. Si usa quindi per indicare 4/5 di scala o colore. (Straight draw, flush draw). Gutshot Il peggiore dei progetti, cioè la scala a incastro. Il termine, con ovvi riferimenti alla difficoltà di mettere chips in un simile progetto, significa colpo alle budella ed è alternativo a Belly Buster (spezza stomaco). di efficacia perché è troppo ovvia per essere credibile. Tipicamente è una strategia da adottare nelle fasi avanzate del torneo, quando i livelli sono più alti e i piatti sono resi più ricchi dagli ante, anche perché la dimensione della puntata diventa maggiormente significativa in proporzione allo stack e diventa più difficile piazzare una contromossa se non si è sicuri della propria mano. Come sempre il punto fondamentale è interpretare correttamente il gioco degli avversari per capire quando è il caso di continuare a spingere senza rischiare di perdere una grossa porzione del nostro stack. Scontrarsi con un giocatore particolarmente aggressivo può essere rischioso, ma al contempo possiamo sfruttare tanta aggressività a nostro vantaggio. Se ad esempio il board è doppiato (se cioè è presente una coppia) uscire con una puntata potrebbe non essere l’opzione migliore. Parlando per primi potremmo subire un rilancio, o essere vittima di un check-raise se parliamo dopo il nostro avversario. La tattica del check-raise è infatti probabilmente la soluzione migliore per spaventare l’avversario in caso di coppia sul flop. Con un bet comunicheremmo sostanzialmente di avere un punto forte, magari avendo centrato la terza carta sul board, ma se avessimo invece incrociato un tris probabilmente la nostra

scelta cadrebbe su un check in attesa di una puntata da parte dell’avversario per poterlo poi controrilanciare. Ecco che (in bluff o meno) in un simile caso otterremmo il massimo da un check-raise piuttosto che da una continuation bet. Naturalmente, come sempre nel poker, è vero anche l’esatto contrario di quanto appena detto. Una sorta di bluff al contrario. Dato lo stesso caso di prima e avendo centrato proprio la carta doppia, e avendo quindi un tris, uscendo puntando contro un avversario aggressivo potremmo indurlo a pensare in un nostro bluff portandolo quindi a controrilanciare nel tentativo di simulare un punto forte (che invece è in mano nostra) e così condannandosi a pagarci buona parte delle sue chips. Si potrebbe invece optare per una Probe Bet, una puntata esplorativa, o “interlocutoria”, per tastare la reazione del nostro avversario. La dimensione deve essere abbastanza piccola tale da apparire quasi come un tentativo di far salire il piatto con un punto molto forte, ma non così piccola da essere ininfluente rispetto al piatto. Come sempre abbiamo detto è fondamentale la lettura della situazione per compiere la scelta più corretta, ma a volte un po’ di fortuna è indispensabile per evitare una brutta sconfitta. Buona fortuna quindi, e anche buon divertimento al tavolo da gioco.

Sudoku

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[ DAL COMUNE... ]

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Anas accoglie la proposta di acceleramento dei lavori fatta dal Comune La nostra intenzione è quella di recuperare, come prospettato, almeno un intero semestre rispetto alla scadenza fissata da Anas per novembre 2013 Anas risponde positivamente alla richiesta di acceleramento dei lavori per l’interramento del tunnel di viale Lombardia accogliendo l’invito del Comune di Monza in modo da ridurre sensibilmente i tempi di consegna dell’opera aprendo il cantiere 24 ore su 24 anche nei giorni festivi. La richiesta era stata fatta dall’Amministrazione Comunale nei mesi passati e ribadita dal Sindaco Marco Mariani nell’incontro istituzionale con l’Assessore Regionale ai Trasporti Raffaele Cattaneo e i vertici di Anas e Impregilo tenutosi alla fine del mese di novembre presso la sala Consiglio. Lo studio per rimodulare l’organizzazione del cantiere ed estendere le attività lavorative sull’intero arco settimanale e su più turni giornalieri rende necessarie alcune deroghe ai vigenti regolamenti comunali ed in particolare: 1. la deroga alle limitazioni di orario di lavoro con estensione all’intero arco della giornata; 2. l’estensione dei lavori anche ai giorni festivi e prefestivi; 3. la deroga ai limiti di emissione acustica per ogni area di lavoro per tutti i giorni anche festivi e per tutte le fasce orarie. “L’obiettivo dell’estensione dei giorni e degli orari di lavoro nel cantiere di viale Lombardia è stato imposto dalla nostra Amministrazione ad Anas nell’ottica di consentire a chi esegue i lavori l’acceleramento massimo possibile nel rispetto di leggi e regolamenti – commenta l’Assessore alla Mobilità Simone Villa -. La nostra intenzione è quella di recuperare, come prospettato, almeno un intero semestre rispetto alla scadenza

fissata da Anas per novembre 2013. Come Comune siamo disposti ad agevolare ogni deroga plausibile con la finalità di velocizzare i tempi dei lavori e contenere i pesanti disagi che la nostra città sta subendo”.

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[ SPORTIVAMENTE ]

GINNASTICA RITMICA: ONERI E ONORI [ di Adriana Colombo ] Per questo numero abbiamo pensato di parlarvi della ginnastica ritmica: quale bambina non è mai stata affascinata da questo sport?. Ricordo che quando c’era il cartone animato Hilary, la regina della ginnastica ritmica, a scuola, su nostra insistenza, ci facevano usare i nastri, che bello: ma quanto era difficile! Ma forse non tutti sanno che la ginnastica ritmica è anche uno dei fiori all’occhiello della Brianza, per quanto concerne il mondo sportivo e questo grazie alla San Giorgio79 di Desio società plurimedagliata di ginnastica ritmica (Ndr. Sul sito www.sangiorgio79.it potrete trovare l’Albo d’Oro delle medaglie internazionali). La San Giorgio è nata nel 1979 e ora ha in gestione il Palasport di Desio diventato nel 2001 centro tecnico federale, e da allora sede degli allenamenti invernali, da ottobre a giugno, della squadra nazionale di ginnastica ritmica: campione del mondo 2009 e 2010. Per farci un po’ da Cicerone nel mondo della ginnastica ritmica e di questa realtà desiana incontriamo il Segretario della San Giorgio il Sig. Oreste De Faveri (Ndr. Segretario regionale della Federazione Ginnastica d’Italia), la cui squadra, formata da otto ginnaste, molto giovani, è arrivata 5^ al Campionato Nazionale di serie “A1”, senza la straniera (Ndr. Camilla Patriarca 16, Veronica Bertolini 15, Arianna Facchinetti 15, Daniela Pintus 15, Giulia Pala 15, Giulia Di Luca 14, Arianna Malavasi 11 e Giulia Cantoni 12). Domenica 30 gennaio Arianna Malavasi (categoria allieva di seconda fascia), Daniela Pintus (categoria senior) e Giulia Di Luca (categoria junior seconda fascia) hanno vinto la prima pro-

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va del campionato regionale di categoria; Camilla Patriarca seconda nella categoria senior e Giulia Cantoni seconda nella categoria junior prima fascia. Pala e Bertolini non hanno partecipato in quanto ammesse di diritto al campionato nazionale poiché titolari agli Europei juniores di Brema nell’Aprile 2010. Ricordiamo che Veronica Bertolini è Campionessa Italiana junior in carica, vincitrice del torneo internazionale di Prato nel Giugno 2010 e Medaglia di Bronzo con la compagna Giulia Pala in Agosto 2010 a Pesaro in occasione della Coppa del Mondo. Giulia Pala, 3^ classificata al campionato nazionale junior 2010 è anche medaglia di Bronzo alle clavette in Aprile 2010 nella coppa del mondo di Portimao (Portogallo). È da poco che i più seguono questo sport, prima a lungo snobbato in favore della ginnastica artistica, assai più popolare e di moda, certo è che guardando le competizioni di questa disciplina in televisione, si resta affascinati dalla naturalezza delle atlete, in realtà per ottenere quei movimenti così armonici necessitano impegno e dedizione. In effetti, ci spiega il Sig. De Faveri che le ragazze della San Giorgio, entrano in palestra alle 9 del mattino e ne escono, sostanzialmente alle 8 di sera, dopo avere seguito le lezioni scolastiche e fatto 6 ore di allenamenti all’interno della struttura: vivono in un vero e proprio regime di ritiro, con il vantaggio, non da poco dal punto di vista psicologico, di tornare a casa la sera. Questo, ovviamente, comporta moltissimi sacrifici anche da parte delle famiglie; oltre ad una ferrea disciplina. Questo tipo di allenamento e di regime di vita è limitato al gruppo con ambizioni internazionali e, quindi può iniziare, per più ragioni, solo dalle scuole medie anche perché

l’educazione scolastica, la forma mentis, deve essere, secondo me, prosegue il Sig. De Faveri, strutturata da una scuola vera e propria; qui ci sono rapporti numerici tra docenti studenti molto più limitati. La San Giorgio 79 è la società che ha avuto più ragazze in maglia azzurra (Ndr. Elena e Laura Patelli, Emanuela Cazzaniga, Laura Vernizzi, Francesca Pasinetti, Alessandra Bellocco, Paola Colzani, Silvia Ravasio per quanto riguarda la specialità di squadra e attualmente con le individualiste Giulia Pala e Veronica Bertolini) ma, ci tiene a sottolineare il Segretario, è molto importante non illudere le ragazze che si avvicinano a questa disciplina di potere fare altrettanto, anche perché, spesso devono iniziare giovanissime. Tra l’altro le ragazze della San Giorgio è già da 2 anni che partecipano ad Io canto di Jerry Scotti e, ci hanno appena richiesto di partecipare nuovamente, perché pur essendo così giovani, sono molto disciplinate e professionali. Noi non abbiamo solo ginnaste di valore, ma abbiamo anche la nostra responsabile tecnica nonché direttrice tecnica della regione Lombardia Elena Aliprandi (tecnico federale e giudice internazionale) che da poco ha ottenuto il brevetto di tecnico internazionale di 3° livello. Insomma San Giorgio 79 vuol dire Desio nel mondo: e che Desio! Ovviamente la San Giorgio è anche ben radicata nel territorio e integrata con la cittadinanza attraverso i numerosi corsi di salute fitness che coinvolgono le persone dai 3 agli 80 anni.

Per ulteriori informazioni sulla ginnastica ritmica e sui riconoscimenti attribuiti alla San Giorgio ‘79 http://www.sangiorgio79.it


[ LE SCIURE ]

[ GLI SBALZI D’UMORE ]

Care Sciure, mi fanno morir dal ridere le lettere che vi arrivano dove vi chiedono consigli d’amore, ma mi piace molto come rispondete, quindi eccomi qui ad esporre le mie pene d’amore. Il problema, fondamentalmente, sono io. Da sempre, mia mamma non fa che ricordarmelo, soffro di sbalzi d’umore. Nel senso che passo dalla felicità alla rabbia nel giro di pochi minuti e spesso, senza alcun motivo particolare: basta una parola detta male, un gesto anche minimo ed ecco che io, tipo incredibile Hulk mi trasformo dalla creatura più dolce e affabile del mondo ad una piccola iena. Preciso subito: non sono affetta da alcun disturbo borderline o bipolare (ho interpellato tutti gli specialisti del caso!) sono semplicemente… molto lunatica. Il mio ragazzo, con cui sto da 3 anni, all’inizio ci rideva sopra, ora però comincia a dirmi insistentemente che, dato che non c’è niente che non va in me, dovrei sforzarmi, avere la volontà di contenere un po’ questi sbalzi. Ma come, dico io, mi ha conosciuto e gli andavo bene così ed ora devo” sforzarmi”? Ho 22 anni e vi scrivo dalla bella Seregno. Baci Silvia Cara Silvia, che bel peperino che sei! Ci piacciono le persone vivaci e dotate anche di una certa capacità di autoanalisi e lungi da noi dirti che, anche qui in redazione, a volte basta davvero poco per fare scintille. Il tuo ragazzo però un po’ di ragione ce l’ha. Proprio perché sei sana e consapevole credo che capirai bene che in una coppia, ma nell’interazione tra persone in generale, è importante giungere sempre a compromessi. Non credo che il tuo paziente fidanzato voglia snaturarti ma che si aspetti collaborazione e che anche tu, andandogli incontro, capisca che l’egocentrismo a volte va messo un po’ da parte. Va bene un po’ di pepe, va bene anche esternare le proprie emozioni, purchè non si esageri nel diventare iraconde e isteriche alla minima mossa sbagliata. Che ne dici di un bel corso di yoga? Con affetto. Le sciure

[ GIULIO CASALE ]

Trantran ti amo! Quando ho visto che avevate intervistato Giulio Casale per poco svengo. E’ bellissimo, intelligente e, come spesso accade, troppo poco considerato dalla stampa e dai media… Ho letto sul vostro sito che avete anche la videointervista, quando sarà online? Oltre che a leggere le belle parole non vedo l’ora di ammirarlo… Ciao Susy Ciao Susy, anche noi siamo rimaste davvero affascinate da questo artista straordinario ed intelligente. Aspettiamo le liberatorie e il montaggio e vedrai che quanto prima potrai vederlo sul nostro sito! Un abbraccio.

[ ANIMALI ESOTICI ]

Care Sciure, mio marito si è fissato di voler comprare un pitone. Sì, un pitone, un serpentaccio lungo e grosso che mangia topi. Io sono inorridita solo all’idea ma lui insiste. So che voi collaborate con l’ENPA e volevo avere da voi informazioni più precise in merito ai rischi che il tenere l’orribile rettile in casa può arrecare. Non soffrono anche loro a stare in spazi ristretti? Che ne pensate? Sabrina Cara Sabrina, intanto rigireremo la tua mail ai nostri amici dell’Enpa sez. Monza e Brianza che sapranno di certo ragguagliarti meglio di noi. Personalmente il solo consiglio che possiamo darti, e che i nostri amici dell’ENPA sottolineano sempre, è che un animale, qualsiasi esso sia, non è un giocattolo e richiede cure e attenzioni e un habitat consono al suo benessere. Sai quanti si fanno prendere dall’impeto di avere l’animale esotico o strano e poi, dopo qualche mese, lo abbandonano? E poi, questa è una nostra riflessione personale, ti piacerebbe vivere in un teca di vetro tutta la vita?

[ DU GUST IS MEJ CHE UAN ]

Ve la ricordate la pubblicità del famoso gelato che diceva: du gusti s mej che uan (ndr. due gusti sono meglio di uno) in quell’inglese maccaronico? Ebbene è diventato il mio motto di vita. Dopo storie sbagliate e fidanzamenti dove ho dato tutta me stessa, mi sono trovata, alla veneranda età di 29 anni con due fidanzati!! Abitano anche vicino ma uno lavora di notte (ha un bar) l’altro di giorno (impiegato) e frequentano ambienti completamente diversi. Uno mi fa divertire e ridere un sacco, con l’altro ho tante affinità culturali e mi rende sicura. Le mie amiche dicono che devo scegliere, perché non è corretto… ma in fondo è solo un mese che li frequento entrambi ed io non sono ancora pronta a scegliere! Sono così immorale? In fondo loro stanno benissimo, occhio non vede e cuore non duole e nessuno dei due, tra l’altro, mi ha messo l’anello al dito… Pamela Cara Pamela, noi siamo dalla tua parte! In fondo un mese è davvero poco per poter capire. In fondo, finché sarai scaltra e non vorrai far male a nessuno, puoi concederti questa piccolo, come dire, menage a trois. Ma attenzione: più le cose andranno avanti più tutto si complicherà e quello che ora ti sembra un innocente gioco potrebbe trasformarsi nell’inferno in terra. Non è mai bello far soffrire gli altri. Se ambedue sin ora non si sono sbilanciati puoi prenderti ancora un lasso minimo di tempo per decidere. La domanda che ti poniamo noi è diversa e non è assolutamente moralizzatrice: sei sicura che sia tra loro due il Principe Azzurro? Non è che, in fondo, non ti piace realmente nessuno dei due? Facci sapere…. Baci. Le Sciure

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[ CULTURA ]

Edificati sulla Parola fede e comunicazione attraverso l’alfabeto armeno La Brianza, per tradizione consolidata, è una terra profondamente segnata dall’apporto di fede e culturale del Cristianesimo. La sua storia stessa coincide in gran parte con l’irraggiamento del messaggio cristiano la cui trasmissione avviene dapprima oralmente, e poi attraverso l’edizione delle Scritture realizzata da san Gerolamo o Vulgata. In altre parole i testi della fede vengono trasmessi attraverso una lingua -il latino- universalmente riconosciuta nella nostra regione come veicolo di comunicazione per eccellenza e comunque preesistente. Questa caratteristica, che è poi alla base della comunicazione per tutta la civiltà occidentale non è cosi scontata. Altrove è stato creato ex novo un alfabeto con caratteristiche specifiche per l’esigenza di cristianizzazione di un popolo. E’ il caso degli Armeni. Questo antichissimo popolo, alla fine del III secolo conosce una vera e propria conversione al cristianesimo come religione di stato e da allora si identifica mirabilmente nel nuovo credo. Per agevolare l’attività missionaria e per dare luogo a una letteratura nazionale (che vede le Sacre Scritture come prima opera fondante) il monaco Mesrop Mashtos e i suoi aiutanti hanno elaborato un alfabeto nazionale, che si è rivelato meravigliosamente adatto alla lingua e alle sue caratteristiche di trasmissione. Da queste premesse prende luogo la proposta della mostra “Edificati sulla Parola - fede e comunicazione attraverso l’alfabeto armeno” aperta il 14 febbraio all’Urban Center di Monza. Impostata con criteri didattici e divulgati la mostra ha visto la collaborazione di varie realtà di volontariato tra cui l’associazione Mito in Villa e il Circolo Numismatico Monzese. Il Lions Club Monza Corona Ferrea ha contribuito alla parte didascalica attraverso le versioni in inglese. Un altro club di servizio, il Rotary Club di Meda e delle Brughiere ha sostenuto l’assicurazione dei materiali. La mostra si propone in coincidenza con il giubileo -i 500 anni- del primo libro armeno dato a stampa. Questo è un evento fortemente significativo perchè investe non solo la comunità Armena, ma si inserisce pienamente nella storia d’Italia.

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miniature armene dalla Bibbia della famiglia Abro, XVII sec.


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Il prossimo numero uscirà martedì 29 marzo

Carabinieri ............................................. 112 Centro antiveleni (Ospedale Niguarda) .................. 02 66101029 Croce Rossa Italiana.... 039 322384-32365 Emergenza sanitaria ........................... 118 Guardia medica ......................840 500092 Guardia Igienico Veterinaria .............................................. 039 2323501 Guasti acqua e gas . ...................039 23851

Guasti illuminazione strade. .800 901050 Guasti ENEL .............................800 023421 Polizia di Stato......................... 039 24101 Polizia Municipale Monza ........039 28161 Polizia stradale Arcore: ........039 617333 Polizia stradale Seregno: .... 0362 239077 Protezione civile ......................039 28161 Soccorso stradale ........................... 116 Vigili del fuoco .................................. 115

DOVE TROVARE LA RIVISTA • Stazione di Monza • Stazione di Seregno • Stazione di Desio • Stazione di Seveso • Stazione di Meda • Stazione di Lissone • Stazione di Arcore • MM Cologno Monzese/Brugherio ..nelle stazioni la distribuzione avverrà la mattina del giorno d’uscita tramite hostess • Edicola Sira, via Solferino, davanti all’Ospedale Vecchio, Monza • Edicola Enrico, via Cavour 142, Seregno • Bar Boulevard viale Cesare Battisti 121, Vedano al Lambro • Ottica Mottadelli, via Preda 13, Verano Brianza • Bar Zapin, via IV Novembre, Vergo Zoccorino (Besana Brianza) • Tennis Concorezzo, via Libertà 1, Concorezzo • Tambourine, via Carlo Tenca 16, Seregno • Comune di Vedano al Lambro (info point) • Comune di Monza (info point) • Enoteca Brambilla, via Cattaneo 57, Lissone • Flu-on laboratorio, S. Rocco Monza • Speedy Bar,Via Appiani 22 Monza • Studiofluido, via Leonardo da Vinci 30, Seregno • Osteria dei Vitelloni, via Garibaldi n.25, Seregno • Bloom di Mezzago

• Bar Tabacchi Ambrosini, Monza • Baby College - Oxford Group, via Verdi 83, Seregno • Biblioteche comunali di Monza • Biblioteca di Lissone • Biblioteca di Carate • Biblioteca di Muggiò • Biblioteca di Seregno • Biblioteca di Albiate • Biblioteca di Biassono • Biblioteca di Villasanta • Biblioteca di Desio • Biblioteca di Giussano • Biblioteca di Verano Brianza • Biblioteca di Triuggio • Bar la Piazzetta, via S.Bernardo, Carate Brianza • Pescheria Satalino, Corso del Popolo 94, Seregno • Turnè trattoria e bistrot, via Bergamo 3 Monza • Buffetti Corso Milano 38, Monza • Ambrosini Tabacchi, Piazza Carducci 2, Monza ..e inoltre presso tutti i bar, i purrucchieri uomo/donna, gli studi medici di base dei Comuni di: Brugherio, Monza, Vedano al Lambro, Desio, Muggiò

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