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Federico Klausner direttore responsabile Federica Giuliani direttore editoriale Devis Bellucci redattore Silvana Benedetti redattore Maddalena De Bernardi redattore Francesca Spanò redattore Paolo Renato Sacchi photo editor Isabella Conticello grafica Willy Nicolazzo grafico Paola Congia fotografa Antonio e Giuliana Corradetti fotografi Vittorio Giannella fotografo Fabiola Giuliani fotografa Monica Mietitore fotografa Graziano Perotti fotografo Emanuela Ricci fotografa Giovanni Tagini fotografo Bruno Zanzottera fotografo Progetto grafico Emanuela Ricci e Daniela Rosato Indirizzo: redazione@travelglobe.it Foto di copertina: BRUNO ZANZOTTERA | R. D. del Congo Tutti i testi e foto di questa pubblicazione sono di proprietà di TravelGlobe.it® Riproduzione riservata TravelGlobe è una testata giornalistica Reg. Trib. Milano 284 del 9/9/2014 2
EDITORIALE I CLICK DI AGOSTO
ferenza sostanziale tra analogico e digitale è il numero delle immagini che si possono riprendere del medesimo soggetto. I miei 400 rullini sarebbero stati contenuti in una piccola scheda di memoria da 64 Gigabyte delle dimensioni di un’unghia. Potendo scattare praticamente senza limiti, utilizzando per di più gli infiniti automatismi delle moderne macchine fotografiche, almeno una foto buona deve venire, se non altro per una questione statistica. Ma il pericolo sta proprio nel rischio di sostituire la qualità, la creatività, il cuore e l’emozione con la quantità, rimandando a un momento successivo la scelta delle foto, quando invece un recupero è impossibile, a meno di non ripetere il lavoro. La facilità della ripresa paradossalmente fa emergere la capacità del fotografo di vedere, di esserci che è poi ciò che fa la differenza tra un professionista e un bravo amatore. Un fotografo, osserva un soggetto, lo studia, pensa all’immagine, che si forma prima nella sua testa che sul sensore, e che raramente è neutra, poiché rappresenta la sua interpretazione della realtà. Non scatta grandi quantità di foto (anche per non doverle post produrre poi). Se posso darvi un suggerimento questa estate imitate i fotografi. Non le loro immagini, ma il loro modo di lavorare. Scattate più consapevolmente cercando di vedere prima. Scoprirete il mondo originale che avete sempre avuto davanti agli occhi, ma che raramente avete osservato e vi stupirete delle vostre capacità. Buone vacanze a tutti!
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Cari lettori, molti di voi si staranno preparando alle vacanze portando con sé, sotto forma di reflex, compatta, mirrorless o semplice telefonino, una macchina fotografica destinata per i più a immortalare parenti e amici, luoghi cari, nuovi o conosciuti, situazioni differenti, che rimarranno un ricordo piacevole per tutto l’anno. Qualcuno giocherà anche a fare il photographer, come spesso si autodefiniscono i dilettanti evoluti, cercando di imitare i maestri. Sotto l’ombrellone si discuterà di megapixel, di raw e di jpeg, di full frame, quattro terzi e micro quattro terzi. Tutte le foto vanno bene e hanno una loro dignità, almeno per chi le scatta. Non farò qui il discorso di retroguardia – meglio l’analogico, meglio il digitale, vantaggi di uno e dell’altro – vorrei invece affrontare il discorso di come il digitale ha cambiato il nostro modo di fare fotografia. Un tempo quando si usava la pellicola, le immagini avevano un “costo” ed erano, per dirla in gergo economico un bene se non scarso, comunque limitato. Non si poteva partire con centinaia di rullini. Ricordo che quando nel 1998 sono partito da Milano verso Calcutta con un camioncino, per un viaggio lungo 8 mesi, avevo con me 400 rullini regalo di Kodachrome (sviluppo incluso) quindi un po’ meno di due rullini (72 foto) al giorno per raccontare l’anima di posti meravigliosi e sconosciuti. Con tutte le difficoltà per proteggerle dal caldo, freddo, polvere ecc. 72 foto al giorno, meno di quelle che si scattano in una serata tra amici, a una mostra di gatti, o ai figli in spiaggia, o sui campi di neve. Ecco: la dif-
Il richiamo delle isole‌
Seychelles Tourism Board, Via Pindaro 28N, 00125, Roma, tel: (+39) 0645090135 fax: (+39) 06 50935201, info-turismo.it@seychelles.travel, www.seychelles.travel/it
S O M M A R I O
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EDITORIALE di Federico Klausner
MADAGASCAR
Splendido isolamento
Foto e testi di Vittorio Giannella italia
Mare nostrum
Foto e testi di Graziano Perotti lituania
NEWS
REP. DEM. CONGO Piccoli uomini delle grandi foreste
Foto e testi di Bruno Zanzottera GERMANIA
Berlino. A tavola non si invecchia
Foto e testi di Giovanni Tagini
Palanga, balaustrata di brezza
Foto e testi di Antonio e Giuliana Corradetti
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LEGENDA
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M E N T E C U O R E N AT U R A G U S TO CORPO
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HOTEL
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ARTE&GUSTO CAMMINI
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| SPLENDIDO ISOLAMENTO
Staccatasi dal Gondwana 140 milioni di anni fa, ospita il 5% delle specie animali e vegetali del mondo, 80% delle quali endemiche. Che l’isolamento ha preservato facendone un autentico laboratorio della natura.
MADAGASCAR
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Apertura: Nosy Iranja. L’isola fa parte delle quattro perle che fanno da corona a Nosy Be. Un’escursione organizzata dal Bravo Andilana Beach con barche veloci permette in un solo giorno di visitarle e conoscerle al meglio. Pagina precedente: a Nosy Iranja il mare incontra la terra ed è possibile fare una “passeggiata” nell’oceano su questa lingua di sabbia-borotalco, che si scopre al ritmo delle maree. In questa pagina: il villaggio di pescatori a Lokobe, dove si arriva in piroga pagaiando per tre chilometri attraverso un fitto mangrovieto.
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Orchidee Angraecum nel folto della foresta nella riserva integrale di Lokobe. Sotto: una pianta di agave cresce sui terreni lavici del monte Passot a Nosy Be. A destra: su un tronco di palma un geco enorme (Phelsuma madagasacariensis), endemico del Madagascar, si ricarica di energia solare.
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Nella pagina precedente: dall’alto Nosy Be appare come un gigantesco gruviera, bucato com’è da decine di laghi vulcanici, infestati da coccodrilli. Sui fianchi del monte Passot, il più elevato di Nosy Be, poco di 300 metri, c’è un luogo a dir poco mozzafiato: si cammina tra le radici di un plurisecolare ficus, che ha lo stesso valore di una visita in chiesa. Per i malgasci alcune piante vengono elette a luoghi sacri, avvolti e abbelliti con lenzuola colorate e protette gelosamente, come una cattedrale.
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Due operai della distilleria Bimanondro con un cesto di fiori di ylang-ylang. Un luogo dantesco con temperatura interna di oltre 50°gradi e pieno di fumo.
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Ci vogliono 60 chilogrammi di fiori e due ore di bollitura sul fuoco per ottenere un litro di essenza, che serve come fissatore dei piÚ noti profumi al mondo. Un lavoro durissimo spetta agli operai della distilleria di ylang-ylang Bimanondro di Nosy Be. Tra questi muri scalcinati la sauna è garantita e a fine giornata i polmoni sono pieni di fumo acre. Per un litro di distillato i grandi nomi di profumi mondiali pagano 130 euro circa. Pensate che basta una goccia di questo distillato per profumare una confezione di profumo, che in occidente paghiamo moltissimo.
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Gli appariscenti fiori di Cassia, una pianta largamente utilizzata dalla popolazione locale per le proprietĂ lenitive e antiinfiammatorie delle sue foglie. Una sorta di cortisone naturale. A destra: una farfalla Danaus crysippus nella foresta pluviale.
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Lenzuola e tovaglie messe ad asciugare al sole sull’isola di Nosy Iranja. Le donne di queste isole sono molto abili a cucire e ricamare tessuti che, una volta lavati, vengono stesi per mostrarli e venderli ai turisti.
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Pagina precedente: il peperoncino locale, chiamato piri piri, in vendita al mercato e nei villaggi. Gamberetti seccati al sole in vendita al mercato di Hell Ville, capoluogo dell’isola. Vengono usati per brodi e zuppe calde. A destra: Il jack fruit cresce lungo il tronco ed è tra i frutti più grandi al mondo. In Madagascar è molto consumato, sia cotto che fresco.
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Noci di cola (Erythroxlium cola) una pianta molto diffusa nelle culture dell’Africa occidentale, per il suo concentrato di sostanze benefiche ed energizzanti, che migliorano anche il tono muscolare. Si utilizza per superare la fatica e la spossatezza. A destra in alto: il camaleonte piÚ piccolo al mondo (Brookesia minima). Vive esclusivamente nelle foreste della riserva integrale di Lokobe. Solo gli occhi allenati delle guide locali riescono a individuarlo tra le foglie della foresta. Sotto: il jack fruit viene spesso consumato fresco per il particolare sapore della polpa.
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Assomiglia a un fuoco d’artificio il fiore del baobab con il lungo stimma centrale, atto a raccogliere il polline portato dagli insetti.
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Una giovane madre di Nosy Komba con il viso abbellito da una mistura di foglie e terra che, oltre ad avere una funzione estetica, protegge dai forti raggi solari.
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Pagina precedente: l’interno di Nosy Iranja, dove le terre dilavate dalle piogge monsoniche mettono alla luce un terreno rosso, ricco di ferro, che contrasta col mare turchese. Nella foresta di Nosy Komba è facile avvistare i lemuri macachi, lungo un sentiero ben segnalato e accompagnati da una guida locale. Abituati alla presenza umana non hanno alcun timore e si lasciano avvicinare facilmente.
A destra: la lucertola gigante malgascia (Zanosauris madagascariensis) vive nelle foreste più fitte alla ricerca di vermi e insetti. Non passa inosservata perché quando si muove fa un gran rumore tra le foglie morte. Sotto: ben mimetizzato tra la vegetazione, è difficile scorgere il camaleonte (Furcifer pardalis). Schivo e solitario difficilmente scende a terra. Si nutre di insetti che cattura con la sua lingua a dardo appiccicosa.
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Un deltaplano sorvola la costa sud di Nosy Iranja, ricca di spiagge e calette nascoste, dove la foresta pluviale sfiora il mare.
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Il faraglione di Nosy Tanikely, isola parco nazionale e riserva marina. Una scheggia di lava raffreddatasi qualche milione di anni fa, luogo ideale per gli amanti dello snorkeling e per avvistare tartarughe e coralli di tutte le fogge e colori.
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Vista aerea dell’Andilana Beach Resort, immerso in un magnifico parco privato di oltre 150000 mq, che ospita Palme da cocco, Palme del Viaggiatore simbolo del Paese, Buganvillee, Hybiscus, piante di vaniglia, cacao e cotone per un’esplosione di colori e di profumi, tra lemuri, tartarughe giganti, spiagge di sabbia fine e un mare turchese.
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INFO UTILI Foto di Vittorio GIannella Quando andare Per visitare al meglio l’isola di Nosy Be è preferibile scegliere, i mesi che vanno da maggio a novembre, i più secchi. Evitare febbraio-marzo soggetti a piogge intense e a volte uragani. Visto Rilasciato all’aeroporto di Nosy Be, pagando 25 € ed è valido tre mesi. È necessario essere in possesso di un passaporto con sei o più mesi di validità Moneta L’ariary malgascio 1euro = 3.709 ariary. Come arrivare Neos Air vola una volta a settimana su Nosy Be da Milano, Roma e Verona a tariffe convenienti. Info e prenotazioni Dove dormire L’ Andilana Beach Resort è la perfetta soluzione per esplorare la zona. Il resort è immerso in un magnifico parco privato di oltre 150.000 mq, che ospita oltre 500 Palme da cocco, 150
Palme del Viaggiatore simbolo del Paese, quasi 500 Buganvillea e 400 Hybiscus, piante di vaniglia, cacao e cotone per un’esplosione di colori e di profumi. L’ Andilana, che fa parte dei villaggi Bravo, ha un’offerta “Tutto Compreso” che permette di godersi la vacanza in totale relax. Il giardino tropicale, abitato da lemuri e tartarughe giganti, le spiagge di sabbia fine e il mare turchese fanno tutto il resto. Infine, l’attenta gestione italiana garantisce una cura particolare della cucina, del servizio, dell’igiene e risponde perfettamente a tutte le esigenze degli ospiti. Il villaggio sorge lungo l’omonima spiaggia bianca di Nosy Be, dista circa 40 km dall’aeroporto, raggiungibile con un trasferimento della durata di circa 50 minuti, e 25 km dal capoluogo Hell Vill. Info Andilana Villaggi Bravo Libri consigliati Io e i lemuri di Gerald Durrel, Adelphi del 2003. Madagascar di Malcon Ian, Tranchida editore del 2004.
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| PICCOLI UOMINI DELLE GRANDI FORESTE
Perfettamente adattati alla vita nelle foreste, che curano e venerano, i pigmei rischiano la scomparsa a causa della deforestazione e della espropriazione delle loro terre ancestrali. E si affidano a Jengi, lo Spirito delle Foreste.
R. D. DEL CONGO
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In apertura: un giovane pigmeo Mbuti-efe va a caccia in foresta nella regione dell’Ituri nella Repubblica Democratica del Congo. Pagina precedente: panorama della foresta intorno al villaggio di Nduye, dove vivono le comunità di pigmei. Qui sopra: Il fiume Ituri, un affluente del grande fiume Congo, attraversa il territorio di foresta abitato dagli Mbuti-efe. L’ultima volta che si è parlato di loro è stato per le atrocità commesse alcuni anni fa dai miliziani di Jean-Pierre Bemba, protagonisti di orribili atti di cannibalismo in questa regione, durante la guerra civile che ha insanguinato la Repubblica Democratica del Congo negli ultimi 20 anni. Le vittime, i pigmei Mbuti-efe, continuano ancora oggi a vivere nelle remote e impervie foreste tropicali della regione.
Papà Bruxelles, così si fa chiamare per far sapere a tutti dei suoi contatti con i colonizzatori belgi, dice di essere il capo dei pigmei che vivono in questa zona. Si tratta principalmente di un riferimento per i pochi stranieri che vi si avventurano. La sua autorità si esaurisce in una sorta di ruolo morale all’interno della comunità. Ma è lui ad occuparsi di portare le lunghe reti che i pigmei di questa regione utilizzano per la caccia, in alternativa ad archi e frecce.
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Queste pagine e precedenti: i pigmei sono stati definiti ‘il popolo della foresta’. Un appellativo che suona in parte letterario e un po’ leggendario, finché non si entra effettivamente in foresta con loro. È questa l’esperienza più suggestiva e sconvolgente. Perché la foresta, per chi non la conosce, è un mondo a sé: luogo di tenebre e di misteri - oltre che di animali e insetti più o meno pericolosi - dove è impossibile orientarsi e trovare dei punti di riferimento. Per i pigmei, invece, la foresta è casa. Ancor più dell’accampamento o delle capannucce di foglie che servono solo per dormire o ripararsi dalle piogge. Piedi scalzi, un pagne in vita, o pochi vestiti stracciati, si muovono nella foresta con una naturalezza impressionante. Accompagnano la marcia con grida rapide e acute, degli yeye, che potrebbero essere richiami, ma anche risposte a suoni più misteriosi. Dicono che servano anche a tenere lontani gli spiriti cattivi. Una volta individuata una possibile preda, come il nido di qualche uccello commestibile, si arrampicano sugli alberi con un’agilità assolutamente impensabile per un qualsiasi altro essere umano.
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Un cane con una piccola campana di legno al collo, è uno degli accompagnatori indispensabili durante la caccia in foresta. In realtà non sembra fungere da vera guida verso le prede, spesso segue i cacciatori scodinzolando silenzioso, ma i pigmei non si avventurano mai in una battuta di caccia senza la sua compagnia.
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Durante le battute di caccia o piÚ semplicemente gli spostamenti nella foresta, i pigmei non portano con sÊ praticamente nulla. Tutto quello di cui hanno bisogno per il proprio sostentamento – cibo e acqua - lo trovano direttamente nella giungla. Quando hanno fame cercano degli alberi dove le api hanno le loro riserve di miele, mentre quando sono assetati una foglia si trasforma in un comodo bicchiere per bere da un corso d’acqua o da una pozza.
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Oltre alla caccia con archi e frecce, i pigmei usano le reti per procurarsi la selvaggina necessaria alla loro dieta. Quella che le comunità Mbuti-efe conducono oggi nella regione dell’Ituri è una vita in bilico tra la foresta e la strada, fra usi e costumi frutto di una saggezza antichissima e il contatto forzato con una ‘modernità’, che spesso si traduce in abusi e sfruttamento. Il richiamo della foresta resta comunque fortissimo: un mondo di ombra e di vita, dove i pigmei si fondono istintivamente e mirabilmente con la natura.
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Quando vanno a caccia, oltre a cani, archi, frecce e lance, i pigmei si portano anche un tizzone ardente. Il fuoco è una costante nella loro vita, resta acceso nell’accampamento e accompagna le incursioni in foresta. Serve ad assicurarsi la benevolenza degli spiriti e a ristabilire l’armonia dopo l’uccisione di un animale. Appena entrati nella foresta, accanto a un tronco, l’uomo che regge il tizzone raduna alcuni rametti secchi. I ragazzini che lo accompagnano fanno lo stesso, soffiando poi energicamente perché prendano fuoco. Oltre a propiziarsi gli spiriti, la direzione del fumo rivelerà se la caccia avrà successo.
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Attorno al grosso villaggio di Nduje ci sono diversi accampamenti di pigmei Mbuti-efe., costituiti da non più di otto-dieci capanne, costruite rigorosamente dalle donne. Una di loro è da poco uscita dalla foresta con in mano un gran mazzo di foglie di ficus. Deve riparare la porta della sua capanna a forma di cupola. Le capanne sono disposte a semicerchio intorno a uno spiazzo, abbastanza largo per lasciar spazio alle danze. Al centro c’è il fuoco. In ogni accampamento si contano una ventina di adulti e moltissimi bambini e ragazzi, tutti in qualche modo imparentati, o per consanguineità o per acquisizione. Il più anziano ha l’autorità morale. 59
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I pigmei sono un popolo felice di ‘essere’ e non di ‘fare’, nonostante i profondi cambiamenti che stanno stravolgendo il loro stile di vita e le relazioni con le popolazioni circostanti. L’avvicinamento alla strada, la ‘contaminazione’ con le popolazioni bantù, lo sfruttamento da parte di quest’ultime, tentativi non sempre edificanti di ‘civilizzarli’ ne hanno fatto in alcuni casi delle persone senza identità, disorientate, sfruttate, in condizioni molto simili alla schiavitù. Ma appena ci si allontana dalla strada, si ritrova la loro vita più autentica, un’esistenza scandita, oltre che dalle principali occupazioni di caccia, raccolta e preparazione del cibo, dalle innumerevoli occasioni dedicate alle danze, ai canti e ai racconti. Sono queste le attività primarie che si svolgono nell’accampamento. 61
Entrare in contatto con una comunità di pigmei è come fare un salto indietro nella storia del mondo e dell’umanità. Dove tutto sembra rimasto immobile. Testimonianze della presenza dei pigmei negli stessi luoghi in cui vivono oggi gli Mbuti-efe risalgono a 4.000 anni fa. Sono una delle rarissime civiltà ad aver conservato praticamente intatta, attraverso i millenni, la propria identità culturale. Non tutto, però, è come sembra. Questo mondo fatto di foreste impenetrabili, di riti e stili di vita ancestrali, di simbiosi con la natura, si è brutalmente confrontato, in questi ultimi anni, con la guerra, le violenze, lo sfruttamento e i soprusi che hanno interessato tutto l’est della Repubblica Democratica del Congo compreso questo angolo di Ituri. Sconvolgendone ritmi e fondamenti.
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Eppure, l’istinto di ricominciare, di tornare alle proprie radici, alla vita di sempre e al richiamo della foresta sembra ancora fortissimo per queste popolazioni. Quel mondo all’apparenza così inaccessibile e lontanissimo per noi, un po’ alla volta si apre e si racconta attraverso il contatto diretto con la gente e con la natura. Resta la sensazione - nel profondo della foresta così come nel mezzo di un accampamento - di rimanere sempre e solo ai bordi di questa misteriosa e complessa realtà. Ma almeno, standoci dentro, si può provare a coglierne qualche brandello.
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Una delle caratteristiche della popolazione di pigmei Mbuti-efe è la pittura su corteccia per realizzare delle minuscole gonnelline indossate dalle ragazze. La corteccia, generalmente del fico strangolatore, viene ripetutamente messa a bagno nell’acqua e battuta per renderla sottile e morbida. È una tecnica antichissima, usata già molti secoli fa per produrre i perizomi che uomini e donne si passavano tra le gambe e tenevano legati in vita con una corda. Negli accampamenti vicini a Nduje, è la moglie del capo che ha la prerogativa di realizzare questo particolare abito. Dopo che le altre donne hanno preparato i colori con carbone, pietre, legni e radici, l’anziana donna comincia a tracciare sulla corteccia segni geometrici che assomigliano molto a quelli che i pigmei si dipingono sui volti. Ne riempie alcuni di linee parallele, altri vengono colorati di giallo e di rosso. I pigmei Mbuti-efe le chiamano murumba (per i Mambetu sono i milumba) e sono una particolarità di questi due gruppi etnici. Non ci sono, infatti, altre testimonianze di cortecce decorate tra le altre comunità di pigmei sparse tra le foreste africane.
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A sinistra: si suonano le trombe per la danza di lutto Torè all’accampamento di Bataka nella regione dell’Ituri. Qualsiasi avvenimento di una certa importanza nel corso della vita di un pigmeo - dalla nascita alla morte - è scandito da canti e danze che possono durare anche svariate settimane. Sotto, una ragazza suona il corno per avvertire gli altri accampamenti pigmei sparsi nella foresta dell’inizio di una danza nel proprio villaggio.
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Prima del matrimonio le ragazze pigmee Mbuti-efe della regione dell’Ituri devono sottoporsi ad un lungo periodo di iniziazione, durante il quale rimangono segregate per 6 mesi all’interno di una capanna del villaggio. L’ ingresso nella capanna è tabù per qualsiasi persona di sesso maschile. Saranno le amiche già sposate e le donne più anziane della comunità a recarsi nella capanna per provvedere ai bisogni materiali della futura sposa, oltre ad iniziarla alla futura vita coniugale.
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Al termine dei 6 mesi di segregazione, la ragazza ormai pronta per il matrimonio, uscirĂ dalla capanna indossando proprio una delle cortecce amorevolmente decorate e dipinte dalle donne del villaggio. Se nella vita quotidiana i loro abiti odierni sono spesso costituiti da stoffe colorate, dai pagne locali, o da vecchi abiti di tipo occidentale in pessime condizioni, per le cerimonie importanti gli antichi abiti tradizionali tornano ad essere protagonisti sui corpi delle ragazze.
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Pagina precedente: nella tecnica della pittura su corteccia le donne usano rametti per farne degli stampini con cui dipingere cerchi e altri disegni geometrici. Poi spargono con le dita strati di colore ricavati da terre, pietre e piante. Una volta terminata l’opera, le cortecce vengono messe ad asciugare, prima di passarvi un fissante naturale. A volte i disegni vengono ulteriormente impreziositi con dei ricami di erbe essiccate. Qui sotto: un giovane pigmeo con il volto dipinto di nero per la danza di lutto TorÊ, nell’accampamento di Bataka nella regione dell’Ituri. Per le danze i pigmei si dipingono il viso in maniera creativa utilizzando le ceneri prodotte da legni carbonizzati.
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INFO UTILI Foto di Bruno Zanzottera Le comunità di pigmei Mbuti-efe vivono nella foresta della regione dell’Ituri nella parte orientale della Repubblica democratica del Congo. Per incontrarli bisogna raggiungere la città di Mambasa e da lì prendere la pista verso il villaggio di Nduye a una settantina di km di distanza. Quest’ultima parte è un tragitto particolarmente avventuroso. Specialmente quando piove – cioè quasi sempre - la striscia di terra rossa argillosa corrispondente alla pista, diventa scivolosissima e quasi impraticabile. Persino le moto che - insieme alle biciclette sono gli unici mezzi a riuscire in qualche modo a transitarvi, vedono i loro conducenti spesso costretti a scendere e spingere. I pigmei e la guerra civile Furono un missionario italiano, padre Silvano Ruaro, dehoniano, da quasi quarant’anni nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo, insieme al vescovo di Butembo, Melchisédech Sikuli Paluku, i primi a denunciare alla comunità internazionale il massacro dei pigmei dell’Ituri e gli atti di cannibalismo rivolti contro di
loro. Era l’ottobre del 2002 e i ribelli del Movimento di liberazione del Congo di Jean-Pierre Bemba si erano resi protagonisti di violenze senza precedenti contro le popolazioni della regione, abbandonandosi a esecuzioni sommarie, saccheggi e stupri di massa. Oltre che ad atti di cannibalismo, compiuti in particolar modo contro i pigmei Mbuti-efe. ‘Per la prima volta ho visto i pigmei scappare dalla foresta’, racconta padre Silvano. ‘Tutti noi siamo fuggiti e per la prima volta, con la popolazione locale, c’erano pure i pigmei. Un fatto strano. Di solito, spariscono letteralmente in foresta. In quel caso, neppure quella era sicura. Doveva essere successo qualcosa di troppo grave’. Successivamente un’inchiesta delle Nazioni Unite stabilì che su 173 assassini o uccisioni sommarie che erano state segnalate, in almeno 12 casi alle uccisioni erano seguiti atti di cannibalismo. E le vittime privilegiate sarebbero state proprio i pigmei Mbuti-efe. I guerriglieri pensavano che, mangiandone il corpo, si sarebbero impossessati delle proprietà magiche attribuite ai pigmei dalle altre popolazioni di origine bantù.
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| MARE NOSTRUM
L’isola di Ponza profuma di sole. Acque blu, paesini dove il tempo pare essersi fermato e sfrigolio di cucine. Il mare abbraccia le sue scogliere frastagliate, faraglioni e spiagge, tra cui la celebre Chiaia di Luna.
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In apertura: due simpatici anziani al ritorno dal lavoro nel loro orto mediterraneo, a bordo di una mitica Ape, economico triciclo a motore, popolarissimo sull’isola. Pagina precedente: dal porto partono tante passeggiate con viste stupende sulle coste. Qui sopra: turisti in visita alle famose grotte di Pilato. Costruite dai romani, consistono in una serie di piscine collegate tra loro per il ricambio delle acque in cui erano allevate le murene.
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La trasparenza delle acque, le formazioni rocciose che spuntano dal mare e il piccolo arco nei pressi della spiaggia di Chiaia di Luna sono mete di escursioni in kajak e piccole barche.
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Il porto è il centro culturale più importante dell’isola, il luogo ideale per partire alla scoperta delle sue bellezze. Qui si trova il più alto numero di alberghi, residence e case dei pescatori da affittare per un soggiorno sull’isola.
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Sulle alture verso il faro nella zona di Piano degli Scotti si coltiva il pregiato vitigno autoctono “La Biancolella”. Nel 2015, il “Faro della guardia” Biancolella 2013, della cantina Casale del Giglio, ha ottenuto il prestigioso riconoscimento dei tre calici nella guida dei vini d’Italia.
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In un’atmosfera che sembra sospesa nel tempo, una donna raccoglie frutti nel suo orto dai profumi mediterranei, confinante con la spiaggia di Santa Maria.
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Nella zona del porto si trovano negozi di ogni tipo. La Favara vende frutta, verdura e prodotti tipici locali a km zero.
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Una vista dall’alto della zona delle piscine naturali a Le Forna, la parte dell’Isola dove vi sono le più belle spiagge e calette raggiungibili via terra. Uno dei luoghi più amati dai frequentatori di Ponza.
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Qui sopra e a fianco: uno spaccato di vita al porto di prima mattina, quando l’isola dà il meglio di sé. Turisti e locali s’incontrano, al bar Tripoli. Tra un cappuccino e un cornetto, appena sfornato si prepara la giornata in barca o l’ennesima escursione alla scoperta dell’isola. Alla vicina gastronomia, il marito della proprietaria racconta della sua barca da pesca.
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Ponza non sarebbe la stessa senza i suoi pescatori e le loro storie incredibili. Basta alzarsi presto la mattina e attenderli al loro rientro. Una volta sistemata la barca, e il pesce pescato, sono sempre disponibili a far quattro chiacchiere. Chiedetegli del mare ed entrerete nel loro mondo, nelle loro vite, a volte avventurose come un libro di Salgari. Come quella della famiglia Manzella che, dopo anni da immigrati in America, si sono comprati la barca e fatto ritorno all’amata isola. Ascolterete chi ha girato il mondo sui velieri e si è salvato dall’ira del mare grazie a San Silverio, patrono dell’isola, e altre cento storie di mare, pesca e avventura.
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Con una breve camminata dal porto principale si arriva alla frazione di Santa Maria, passando sotto un tunnel nella roccia. Qui ci si può rilassare nella piccola spiaggia del porticciolo, poco frequentata dai turisti. 91
Alla festa d’estate a Le Forna i bambini vendono le loro opere artistiche, fatte con sassi provenienti dalle spiagge. Nella pagina accanto, momenti di vita a le Forna, il secondo borgo importante di Ponza, molto frequentato dai turisti per la sua autentica atmosfera e la foto di una madre che porta il figlio incontro al padre pescatore appena sbarcato.
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Nelle pagine precedenti: la meravigliosa spiaggia di Chiaia di luna meta irrinunciabile di un viaggio a Ponza. Nonostante la recente chiusura per lavori di consolidamento della falesia, si può raggiungere comodamente dal porto in barca, ammirandola dal mare tra una nuotata e l’altra. Viste notturne del porto e delle vie della movida dal borgo di Santa Maria. Alla fine di una giornata di sole, le vie dello shopping e dei ristoranti tipici si animano anche di personaggi illustri della cultura e dello spettacolo, abituali frequentatori dell’isola. 98
Un gruppo di ragazzi in un’improvvisata performance al porto e la boutique Marcoccia profumi, in Corso Carlo Pisacane, dove si possono acquistare i profumi “Acqua di Ponza” e “Chiaia di Luna” ispirati alle fragranze mediterranee presenti sull’isola.
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Nella pagina a sinistra: uno scorcio di vita a Le Forna davanti alla chiesa di Maria Santissima Assunta in Cielo e, qui in alto, un momento di relax serale, dopo un’intensa giornata di sole e mare in un locale tipico del borgo, di una famiglia in vacanza a Le Forna, mentre due turisti stranieri giocano a carte godendosi la frescura della sera.
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L’ombra di una turista al tramonto in un locale al porto.
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INFO UTILI Foto di Graziano Perotti
Come arrivare I traghetti per raggiungere Ponza partono da Formia, Anzio, Terracina, San Felice al Circeo, Fiumicino. Controllare la stagionalità delle corse. Da Formia le corse sono molto frequenti. Per tutte le informazioni che riguardano un soggiorno sull’isola, escursioni, hotel, residence e case dei pescatori da affittare ci si può rivolgere alla Pro Loco.
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| BERLINO. A tavola non si invecchia
Chi ricorda le abitudini alimentari tedesche a base wßrstel, crauti, cetrioli e birra in locali chiusi si sbaglia. Ora una folla di giovani riempie i ristoranti all’aperto con grande attenzione alla genuinità del cibo.
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Nella pagina d’apertura: Il profilo dei visitatori nella grande cupola del palazzo del Reichstag, attuale sede del Parlamento. La panoramica a 360° sulla città la rendono una delle principali attrazioni turistiche della città. Nella pagina precedente: Due donne di origine asiatica passeggiano nel parco di Sreebogen a due passi dalla Central Station Hauptbahnhof. Berlino è una delle metropoli europee con il più alto numero di stranieri, circa il 15%, e viene considerata la città multietnica per eccellenza.
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A sinistra: Potsdamer Platz, il cuore pulsante della città. Prima del 1990 era la più vasta area edificata di Berlino. Divisa in diversi blocchi fu affidata ad architetti di fama mondiale per essere riprogettata. Una delle aree più grandi fu ridisegnata da Renzo Piano per Daimler-Benz. Mentre il Sony Center fu affidato a Helmut Jahn per la Sony. Sotto: Una facciata del Marie-Elisabeth-lueders-Haus, avveniristico edificio costruito nel 1998 sulle sponde della Sprea dall’architetto Stephan Braunfels. Al suo interno, in un ampio spazio dedicato all’arte, sono conservati alcuni resti del muro.
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Sopra: In una ex zona industriale lungo in fiume Sprea, nel distretto di Friedrichshain Krezberg, si trovano estese aree convertite da pochi anni al divertimento, al food e allo shopping. Nello specifico, il ristorante Sage, nei mesi estivi, allestisce un beach bar, dove prendere il sole durante il giorno, trasformandosi in un locale alla moda dopo il tramonto.
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Sotto: L’ex aeroporto Tempelhof nel 2010 è stato definitivamente convertito in parco pubblico, diventando il più grande di tutta Berlino; è più esteso addirittura di Central Park a New York. Numerose aree attrezzate per picnic con grandi barbecue attirano ogni week end oltre 50000 persone; non possono mancare i classici wurstel infilzati e cotti sul fuoco vivo!
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Sotto: Sono più di 400 le varietà di pane che vengono sfornate in Germania. Tra i più venduti c’è il Pumpernickel fatto con sola farina integrale di segale, seguono pani integrali con pasta fermentata, con farina di frumento, segale e con l’aggiunta di semi vari. I tedeschi sono grandi consumatori di pane: in un anno ogni individuo ne consuma di più di 90 kg.
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Sopra: Il Bikini Berlin è considerato il primo Concept Mall della Germania; si tratta di un grande centro commerciale fra la Budapester Strabe e il famoso zoo. Di recente apertura, ospita oltre 50 attività commerciali che si dividono gli spazi dedicati allo shopping, all’intrattenimento, al lavoro e al relax. Al secondo piano alcuni ristoranti di design si affacciano al parco zoologico e grazie alle ampie vetrate si gode una splendida vista.
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Nella pagina precedente: Ogni giovedì sera dalle 17 alle 22, al Markethalle Neun, uno dei mercati coperti più antichi della città, si aprono le porte a un’affollata kermesse dedicata allo street food. I numerosi ristorantini offrono cucine provenienti da tutto il mondo a prezzi democratici. Un’occasione unica per gustare piatti della tradizione peruviana, messicana, thailandese, cinese, coreana, norvegese, italiana e marocchina, tra le altre. In questa pagina: due piatti proposti dallo stand della cucina tradizionale lituana a base di salmone, uova di pesce e patate.
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Il Mitte, il quartiere più centrale della città è il posto giusto per andare alla ricerca di ristoranti e locali di tendenza. Uno di questi è il ristorante vietnamita Chèn Ché, raffinato locale arredato in stile orientale con tavoli in teak e lampade in carta di riso. Oltre a piatti tradizionali, è famoso per la ricca lista di tè pregiati serviti in antichi servizi di porcellana. A sinistra in basso: un particolare dell’arredamento del Mein Hause am See, un longe bar aperto 24 ore su 24 tra i più frequentati da giovani artisti berlinesi.
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Nella pagina precedente: Un gigantesco murale dell’artista belga ROA, intitolato Nature Morte, occupa l’intera facciata di un palazzo in Kreuzberg, il quartiere berlinese più ricco di street art. Sono talmente tanti i graffiti in tutta la città, che vengono organizzati tour giornalieri per scoprire le opere degli artisti più famosi.
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Una vera istituzione se si parla di dolci è Princess Cheesecake. Aperta da poco più di cinque anni nel cuore di Mitte ha riscosso da subito un grande successo, diventando una delle migliori pasticcerie della città. Il segreto? Una meticolosa selezione delle materie prime, qualità dei prodotti offerti e un ambiente raffinato e luminoso. La maestra pasticcera Lea Sarah Moser ci suggerisce di provare una fetta di cheesecake ai frutti di bosco, che oltre a essere la sua preferita è anche tra le più richieste, o assaggiare la classicissima cheesecake New York, servita con caramello.
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Nella pagina precedente: Il cortile interno del Michelberger Hotel, uno dei luoghi piÚ giovani e anticonformisti della città , viene usato come sede di eventi estivi, con musica dal vivo. Sopra: La metropolitana percorre la sopraelevata davanti a un murale (da poco sostituito con uno a tema football) dell’edificio che ospita il Comet Club, un disco bar per gli amanti della vita notturna. 127
Per gli amanti dell’hamburger, Berlino offre decine e decine di ottimi indirizzi: solo negli ultimi anni sono stati aperti più di 20 locali. Uno dei più frequentati e alla moda è Shìso in Auguststrasse. Qui si possono gustare dai classici hamburger a quelli in versione vegana, marinati, con tonno, al salmone e con carne Wagyu. Il più sfizioso è il Bulgogi Burger con carne marinata, cipolla rossa, chili coreano e salsa teriyaki.
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Il Cafè Cinema è tra i locali più vecchi di Berlino, si trova a Haus Schwarzenberg, un angolo della città tra i più alternativi, uno spazio dedicato alla cultura indipendente. L’edificio scrostato e coperto da graffiti ha un cortile attrezzato con tavoli e panche di legno. Un luogo frequentato da artisti, registi e bohémien.
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Sopra: Al decimo e ultimo piano del 25 hours Bikini Hotel si trova il Neni, uno dei migliori ristoranti della capitale. La cucina gravita intorno alla tradizione ebraica/orientale e offre anche piatti biologici e vegani. L’atmosfera richiama una grande serra, con tavoli di legno chiaro e sedie di vari stili e colori, è circondato a 360° da grandi vetrate da dove godere una delle più belle viste panoramiche della città.
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Sotto: Un’opera d’arte al neon esposta al Neue Nationalgalerie, uno dei più importanti musei cittadini, nato con l’intento di occuparsi dell’arte del ventesimo secolo. Al suo interno collezioni d’arte moderna con opere di Dalì, Kleen, Picasso e De Chirico, per citarne alcuni. L’edificio costruito usando esclusivamente acciaio e vetro è stato progettato da Mies Van Der Rohe. La struttura è elegante, leggera e modernissima, sembra disegnata negli anni 2000 ma in realtà è stata inaugurata nel lontano 1968.
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La grande piazza Lustgarten vista dal’Humboldt-Box, il primo edificio ultramoderno di un progetto più ampio, che prevede una serie di edifici che ospiteranno nuovi musei. Sulla terrazza all’ultimo piano, si trova un ristorante con vista a 360° su tutta l’isola dei musei.
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Sotto: Kreuzberg è senza dubbio il quartiere più vivace della città. Ex zona industriale con case popolari-dormitorio, in questi ultimi anni si è trasformata in un quartiere giovane e alla moda: laboratori, ristoranti chic, bar di design e locali notturni, hanno preso il posto di depositi e fabbriche. Per gli amanti della street art questo è il quartiere giusto, non c’è edificio o locale che non sia coperto con interessanti opere.
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Sopra: Un’immagine che non lascia alcun dubbio, siamo nella patria dei wurstel. Bianchi, neri, affumicati, di pollo, di tacchino, lunghi, cicciottelli, speziati… ce n’è veramente per tutti i gusti! Tra i più curiosi sicuramente c’è il Lebenwurst, preparato con fegato di maiale o vitello; ha un colore scuro, quasi nero e va consumato fresco. I Weisswurst sono preparati con vitello e grasso di maiale, sono bianchi e si consumano previa bollitura. Il Thuringer è invece preparato con carne di maiale sgrassata, guanciale e carne di vitello, cumino e aglio; di colore chiaro si consuma grigliato.
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Il Bulgogi Burger di Shiso servito con patate fritte e salse. Un classico panino americano con semi di papavero ripieno di manzo marinato cotto su piastra, lattuga, cipolla rossa, maionese, chili coreano, il tutto condito con salsa teriyaki. Un capolavoro da assaggiare.
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INFO UTILI Foto di Giovanni Tagini
DOVE DORMIRE Michelberger Hotel Warschauer str. 39-40 t + 49 30 29778590 reservations@michelbergerhotel.com 25 Hours Hotel Bikini Berlin Budapester str. 40 t +49 30 1202210 Otto Hotel Knesebeckstrasse 10 t +49 30 54710080 Das Stue Drakestrabe 1 t +49 30 3117220 DOVE MANGIARE Neni Restaurant Budapester str. 40 t + 49 30 120221200 ChÊn Chè Rosenthaler str. 13 t +49 30 28884282 Shiso Burger August str. 29c t +49 30 88944687 Sage Restaurant Kopenicker str. 18 t +49 30 755494071 info@sage-restaurant.de COSA FARE Tour dei graffiti Info: Ente del Turismo di Berlino
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| BALAUSTRATA DI BREZZA
Richiama Ungaretti il lungo pontile di Palanga, che unisce il bianco della sua finissima spiaggia e il blu oceano profondo dove si aggrappa. Tra flutti e spruzzi di un vento battente. Profumo di mare.
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In apertura. Passeggiata solitaria in riva al Baltico. Pagina precedente: il molo di Palanga è un grandioso pontile di legno a forma di L, lungo 400 metri, temerariamente proteso nel Baltico, simbolo cittadino, punto di ritrovo e meta prediletta di passeggio. Costruito nel 1888, venne più volte distrutto dalle tempeste autunnali e ogni volta riedificato. Come un lungo cordone ombelicale lega la spiaggia alle acque profonde, posatoio per gabbiani e umani nel regno del vento. Qui sopra: al riparo sotto il pontile in un giorno di burrasca. Una spiaggia è fatta essenzialmente di mare e di sabbia, ma Palanga ha un elemento in più: il vento. Esso ne è l’anima e il respiro. Può ululare come un lupo, o sussurrare come un flauto gentile, ma sempre arriva a ricordarci la natura selvatica e indomita di questa terra baltica, il suo guizzo di sirena, la sua imprevedibile mutevolezza.
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Palanga è la capitale estiva della Lituania. La sua popolazione stabile di circa 22.000 abitanti, arriva a quintuplicarsi durante l’alta stagione, trasformando la tranquilla cittadina in un chiassoso centro vacanziero attivo 24 ore su 24. Quando l’estate volge al termine, l’ondata dei turisti dilegua bruscamente, l’aria si fa frizzante, nel cielo limpido scorrazzano nuvole veloci e temporali improvvisi. Gli elementi della natura si riappropriano del luogo, svelandone il vero volto e Palanga finalmente ritorna alla sua selvaggia, silenziosa bellezza.
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Sapore di fine stagione anche negli abiti, nei colori e nelle attività degli ultimi villeggianti. I grandi alberi del parco, come una barriera mormorante, proteggono la pace di queste due signore concentrate nella lettura dei loro libri. Quando il vento e le nuvole impediscono di godersi la spiaggia, Palanga offre altri piaceri. Dentro una luce che vira ai toni freddi e si fa grigio-azzurra, le ore trascorrono serene, respirando l’odore del Baltico. La dolcezza leggera delle piccole cose dei giorni di vacanza si vena appena della malinconia dell’estate, che sta per finire.
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Il Baltico è un mare ingannevole. Così placido che a volte sembra una lastra, così dolcemente poco profondo che i bagnanti lontani sembrano camminare sull’acqua, così poco salato da somigliare a un lago, così sabbioso sulle sue rive, da ricordare l’Adriatico. Ma poi, basta un cambio di vento, un temporale, per scoprire all’improvviso il suo ruggito e la sua forza. Di colpo trasformato in una furia schiumante, ristabilisce le distanze, intimorisce e attrae. L’assalto delle onde irrompe nei pensieri e non si può fare altro che restare al riparo, ben protetti da giacche e cappelli, a guardarlo, rapiti, da lontano. Pagina successiva: il pontile di Palanga è magnetico. Attira ogni visitatore come una calamita irresistibile. I passi risuonano piacevolmente sulle assi di legno scricchiolanti, i bambini corrono e le voci, per lo più lituane, russe e lettoni, si perdono nella musica del mare. Nei giorni di burrasca si avanza sbatacchiati da folate rabbiose e le onde più alte arrivano a sferzare il viso. Nelle sere limpide, sembra di poter arrivare vicino al tramonto e nei momenti di quiete dopo i temporali, si ha l’impressione di poter raggiungere l’arcobaleno.
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Foulard celeste come il cielo chiaro di certe mattine. Soprabito color sabbia, di quella sabbia pallida, non più dorata, ma appena velata di grigio, di quando il calendario dice che è ancora estate, eppure già s’insinua una luce diversa, un’aria graffiante, un sentore d’autunno. Questo ventoso pomeriggio di fine stagione ha già i colori della nostalgia. Il Baltico ribollente di schiuma è un pentolone alchemico, che trasmuta in ricordo le ore beate di Palanga, i viali vocianti, gli incontri, le feste, i bagni, la musica, le giostre. Tutto resterà cristallizzato in una specie di sogno, come un insetto intrappolato in un ciondolo d’ambra.
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Non si rinuncia agli ultimi bagni nel Baltico, nonostante il freddo, le onde agitate, i nuvoloni incombenti e il temporale in arrivo. Una magica, folle euforia entra nel cuore e si diventa una cosa sola con l’energia del mare, lanciandosi nel gioco furioso dei cavalloni, tra la schiuma candida. E quando alla fine si esce fuori dall’acqua, lo schiaffo del vento morde la pelle con tanti piccoli aghi, e fa gridare, ridere, correre e saltare. Brividi che resteranno nel ricordo come brividi di felicità . Foto successiva. Mentre noi camminavamo sulla spiaggia, incappottati e incappucciati nelle nostre giacche a vento, questi audaci figli del Baltico giocavano con le onde, nel vento gelato di una mattina di burrasca.
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Dopo sorprendenti, immobili giornate di calma assoluta che hanno trasformato il mare in uno specchio e affollato di bagnanti chiassosi tutto il vasto lido, il vento si desta come un dio feroce e ombroso, che torna a riportare il dominio nel suo regno. Simili a passerotti infreddoliti, i villeggianti di Palanga siedono sulle panchine di fronte alla spiaggia, per catturare fin l’ultimo raggio di sole. Il Baltico, da primo attore, dà spettacolo e loro stanno a guardarlo per ore, appassionati spettatori di un teatro che va in scena tutti i giorni, attendendo l’epilogo e i colpi di scena del tramonto.
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Le divinità naturali di Palanga sono esseri capricciosi, volubili e imprevedibili, sempre indifferenti ai desideri degli umani. Quando il vento soffia e spadroneggia sulla spiaggia, come un dio adirato, gli amanti del sole, in esilio, si rifugiano nell’abbraccio delle dune. Si accoccolano nei nidi morbidi delle cunette di sabbia e delimitano provvisori piccoli regni, picchettandoli con le loro insegne e simboli sgargianti: palette, secchielli, ciabatte e borse da spiaggia. Prendono possesso stendendo i teli da mare, come drappi e bandiere della loro stirpe di adoratori del sole. Il vento li scova, li stordisce col suo profumo di alghe e resina della pineta, arriva appena a sfiorarli con una lieve carezza sulla pelle e li fa cadere in un sonno stregato, cullandoli con il dondolio delle cime degli alberi.
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A fine ‘800 una parte della foresta costiera di Palanga venne adattata a Parco Botanico. Il passaggio dal grande giardino alberato alle maestose pinete selvatiche è quasi impercettibile. Diciotto chilometri di sentieri pedonali e ciclabili si inoltrano tra i maestosi alberi, fino a raggiungere le dune e la spiaggia. Passerelle di legno ingrigito dal sole e dalla pioggia serpeggiano sul terreno sinuoso, parallelamente al mare. Il vento spazzola l’erba folta e lunga, che brilla elettrizzata, come la criniera di un cavallo strigliato. Ogni cosa qui appare rilucente di splendore.
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Camminando per i sentieri dell’antica foresta costiera, il fragore del Baltico è una voce possente e misteriosa, un respiro onnipresente, un richiamo irresistibile che spinge con urgenza a trovare un’uscita dal folto degli alberi. Quando infine si esce dal chiuso del verde, allo scoperto, in cima alle dune, l’universo intero si spalanca di colpo. Il mare puro e abbagliante riempie lo sguardo e il cuore con la feroce bellezza di una divinità primitiva. La Lituania fu l’ultimo paese europeo a convertirsi al cristianesimo nel 1386, ma la sua anima pagana non è mai morta. Essa resta sotto forma di senso religioso e amore per la natura e si percepisce come un’energia diffusa, un incanto e uno stato di grazia, che inebria l’anima e il corpo. Il rapido passaggio, da un atterrito sgomento davanti alla grandiosità dell’ambiente, a un senso di fusione totale nell’armonia del tutto, insegna l’abbandono, ubriaca i sensi, e acuisce la percezione. In questa misteriosa terra baltica non ci si stupisce di sentire gli spiriti del bosco e del temporale, gli dei delle onde e del tuono. Sulla spiaggia di Palanga possono aver luogo incantesimi.
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Pagina precedente: camminando sulla riva del Baltico nei giorni di mareggiata, con un po’ di fortuna è possibile trovare qualche pezzetto d’ambra portato dal mare. Secondo la mitologia lituana, sono i resti del castello sottomarino della dea Jurate. Il suo amore per l’umile pescatore, Kastytis, scatenò l’ira del dio del tuono Perkunas che la uccise con una saetta, frantumando il suo palazzo in minuscoli frammenti che le onde riportano a riva sotto forma di ambra. Qui sopra: correva e saltava tra le dune, simile a un folletto mitologico, uno spiritello dei boschi che appariva e spariva come una fiammella rossa tra gli arbusti. Lo splendido ambiente naturale che circonda Palanga fa da sfondo ai giochi di questa piccola cappuccetto rosso. Come lungo tutto il litorale dei Paesi Baltici, le interdizioni e le restrizioni di accesso al mare, classificato top secret, per motivi strategici, dal passato regime sovietico, obbligarono a costruire ogni villaggio ed edificio in posizione arretrata dalla costa, la quale rimase così, fortunatamente, protetta da un cordone di dune e di antica foresta e preservata dalla cementificazione.
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Verde salvia, lilla nebbia, rosa conchiglia, celeste polvere. Con l’innocenza di questi freschi colori le belle ville tradizionali in legno si annidano nella folta pineta, illuminando il verde come grandi fiori spalancati. Protagoniste di un passato brillante, in cui Palanga rappresentava un richiamo irresistibile per le vacanze balneari di ricchi borghesi, gerarchi russi, aristocratici e intellettuali, ora restano testimoni discreti e appartati di un’epoca irripetibile. Alcune, amorosamente restaurate, ritrovano la brillantezza delle tinte e la precisione dei dettagli, ma le piÚ ricche di charme restano quelle deliziosamente velate di decadenza, offuscate dalla patina del tempo, con i colori impolverati di silenzio e di memorie. Esse sembrano ancora risuonare delle voci e delle risa di estati lontane, di storie e momenti vissuti all’ombra dei grandi pini, in questa piccola oasi di incanto baltico.
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“Nelle vene dei Balti scorre ambra” con questa visione poetica lo scrittore lituano Eduardas Mieželaitis riusciva a definire con efficacia l’importanza dell’ambra nella vita e nell’identità delle genti baltiche. Palanga è una tappa di primaria importanza sulla Via dell’Ambra in Lituania, che da Kaliningrad (l’antica Königsberg, oggi enclave russa) raggiunge la Lettonia. Essa ha sempre basato la sua fortuna, su questa risorsa naturale, tanto che una collana della preziosa resina fossile figura su sfondo blu nel suo stemma cittadino. In questa pagina: il bel maniero neorinascimentale Tiškevičius, nel cuore di un grande parco di 100 ettari, sede dell’interessante Museo dell’Ambra.
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In questa pagina: lungo le principali vie della cittĂ si incontrano innumerevoli negozi e bancarelle che in un tripudio di giallo in tutte le sue sfumature, espongono souvenir, gioielli e oggetti in ambra per la gioia dei turisti. 161
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Tutta Palanga sembra assediata dalla natura. Un rigoglio irrefrenabile di verde, di alberi, di fronde e di fogliame che spunta da tutte le parti e occupa prepotentemente ogni spazio possibile. Come se l’uomo fosse sceso a patti con il mondo vegetale, alcune aree, prospicienti e interne all’abitato, sono state addomesticate a parchi, giardini, aree verdi di relax e passeggio, ma si ha sempre l’impressione che da un momento all’altro Giráitis, la divinità dei boschi, riprenda il sopravvento e che l’intera Palanga possa essere fagocitata dal verde manto che la circonda. Nella pagina accanto: il roseto sul retro del Palazzo Tiškevičius e sotto, la fontana tra il viale Besanaviciaus e il pontile, dedicata alla dea marina Jurate e al suo amore, il pescatore Kastytis. In questa pagina: passeggio serale in Meilès alèja.
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Le luci di un solitario bar sul mare rischiarano la sera estiva. La spiaggia di Palanga, lunga 24 km, è completamente integra e intatta e scene come questa sono un’eccezione. Non ci sono stabilimenti balneari, ombrelloni, impianti, cabine, chioschi, edicole, caffè e tutto quello a cui siamo abituati nelle nostre località balneari. Tutti i locali e i divertimenti per i turisti si sviluppano al di là del cordone di dune e pinete. Neanche un porto spezza questo straordinario ambiente naturale costiero. Ce ne fu uno per un brevissimo periodo, ma fu distrutto dagli Svedesi nel 1701 e mai più ricostruito. Palanga restò un semplice villaggio di pescatori e mercanti fino alla metà del XIX secolo, quando le vacanze al mare iniziarono a essere di moda e la sua spiaggia divenne un forte richiamo turistico.
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L’ora azzurra sfuma in blu notte. I lampioni si accendono e il tramonto spegne i suoi bagliori d’ambra nel mare. Qualcuno ancora cammina sul molo, qualcuno si avvia per una passeggiata serale sulla spiaggia. Il vento ha diradato le nuvole e il cielo sembra promettere bel tempo. Forse domani sarà ancora un’azzurra giornata di sole, un altro giorno di beatitudine baltica. Foto successiva. Quando siamo arrivati a Palanga, era quasi sera. Di corsa siamo scesi alla spiaggia. Tra poco tutto sarebbe stato buio. Un uomo e il suo bambino, con le loro bici, si erano fermati a contemplare il tramonto. Erano perfetti in quel luogo e in quel momento, ne erano parte. Noi non sapevamo definire di quanti e quali colori fosse il mare. Tutto era solo luce preziosa e divina. La fede baltica pagana di origini Indoeuropee si basa sul principio che la Vita e la Natura sono sacre e che l’armonia nella vita degli uomini e tra l’uomo e il mondo, è il valore più alto dell’universo. I lituani, nella loro straordinaria lingua che conserva radici dell’antico indoeuropeo e del sanscrito, chiamano questa idea Darna. Simile al Dharma indiano e all’Armonia della filosofia greca, essa è alla base della cultura baltica ed esprime un concetto di assoluta bontà e bellezza. Noi siamo sicuri che il Darna, quella sera, fosse vivo e presente sulla spiaggia di Palanga.
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Mentre il loro bimbo dorme beato, protetto dal vento, due giovani genitori contemplano il mare e la costa dal pontile di Palanga. Su questo privilegiato punto di osservazione ci si sente al largo, lontani da tutto, e si scoprono prospettive inedite. Da qui, la spiaggia, adagiata sotto il cordone delle dune, è un lunghissimo nastro di sabbia bianca che si srotola all’infinito, a destra e a sinistra del molo. La grande striscia di foresta che vi corre parallela, è una fatata barriera verde cupo, oltre la quale non si riesce a immaginare una città con le sue case, le strade, le auto, i negozi e il caos di un pesantissimo turismo estivo. Palanga è così, ha due facce: cortigiana o vestale, dipende da dove la guardi e dal momento. Mondana per due mesi, selvaggia per il resto dell’anno, affollata e deserta, chiassosa e misteriosa, frivola e sublime.
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INFO UTILI Foto e testi di Antonio e Giuliana Corradetti Clima Il periodo migliore per visitare Palanga è ovviamente quello estivo. L’estate offre giornate molto lunghe e temperature che vanno da minime intorno ai 12-13 gradi a massime intorno ai 19 gradi. Quando sopraggiungono le correnti calde che soffiano dalle pianure meridionali dell’Europa orientale, si possono toccare persino i 25/30 gradi sulla costa e i 30/35 gradi nelle zone interne. Nei mesi estivi le piogge possono essere abbastanza frequenti e da metà agosto la bella stagione inizia a degradare. Come arrivare L’aeroporto più vicino a Palanga è l’Aeroporto di Klaipeda/Palanga. La durata dei voli tra l’Italia e la Lituania è intorno alle tre ore. Solo l’aeroporto di Vilnius è collegato da voli diretti all’Italia, dunque conviene prendere in considerazione anche la possibilità di raggiungere Palanga cambiando aereo in alcuni aeroporti europei, meglio collegati con la Lituania, come ad esempio Copenaghen, Vienna, Francoforte e per i voli Low Cost quelli di Londra-Stansted e Parigi-Beauvais. In auto le tratte principali da seguire
sono essenzialmente due. La più breve passa per Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia. Il secondo percorso attraversa la Germania fino a Berlino per poi entrare in Polonia. Da tenere presente che in Polonia il traffico è molto intenso, soprattutto quello pesante. Tutti i paesi che si attraversano e la stessa Lituania fanno parte del Trattato di Schengen e quindi non è necessaria alcuna sosta alle frontiere. Moneta Dal 1° gennaio 2015 la Lituania è passata dal Litas all’Euro. Fuso orario +1 ora rispetto all’Italia. Lingua La lingua ufficiale è il lituano, la lingua più antica d’Europa. Indirizzi utili Ambasciata e Consolato della Lituania: Viale di Villa Grazioli 9 - 00198 Roma. Tel.: 06 8559052 o 06 8540482. Ambasciata d’Italia Vytauto g., 1 - 2001 Vilnius. Tel.: (00 370) 5 2120620/ 1/ 2. Ufficio del Turismo della Lituania, Pilies 42, Vilnius. Tel.: (00 370) 2 620 762. link utili Lithuania Travel Turismo in Lituania
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