TravelGlobe Febbraio 2018

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Federico Klausner direttore responsabile Federica Giuliani direttore editoriale Devis Bellucci redattore Silvana Benedetti redattore Francesca Spanò redattore Paolo Renato Sacchi photo editor Isabella Conticello grafica Willy Nicolazzo grafico Paola Congia fotografa Antonio e Giuliana Corradetti fotografi Vittorio Giannella fotografo Fabiola Giuliani fotografa Monica Mietitore fotografa Graziano Perotti fotografo Emanuela Ricci fotografa Giovanni Tagini fotografo Bruno Zanzottera fotografo Progetto grafico Emanuela Ricci e Daniela Rosato Indirizzo: redazione@travelglobe.it Foto di copertina: Nord-Pas-de-Calais (Francia) | Antonio e Giuliana Corradetti Tutti i testi e foto di questa pubblicazione sono di proprietà di TravelGlobe.it® Riproduzione riservata TravelGlobe è una testata giornalistica Reg. Trib. Milano 284 del 9/9/2014 Questo testo è realizzato con il font: Carattere ad alta leggibilità per tutti. Anche per i dislessici. www.easyreading.it

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E DITOR IAL E

M E RAVIG L I E, LA P E NIS OLA D E I TE S OR I di Punta Palascia in Puglia. Lo stesso schema ha seguito nella seconda puntata e nelle successive: Langhe e Roero, Basilica di San Francesco, Reggia di Caserta i Sassi di Matera e le Dolomiti alcuni dei focus. Questo risultato non è per nulla sorprendente, se si considera che, con un miglioramento della gestione, anche i musei e le mostre hanno avuto un vero boom di visitatori e di introiti. Nel triennio 2013 -2016 sono stati incassati ben 50 milioni in più del triennio precedente (+38,4%) con un trend ancora in crescita nel 2017 (+13,5%), mentre i visitatori sono passati dai 38,4 mln del 2013 ai 45,5 del 2016 (+18,5%) puntando a raggiungere i 50 milioni nel 2017. Questa è la riprova che con la cultura non solo si mangia, ma che si banchetta e che di essa vi è una fame diffusa. E che un’avveduta politica di conservazione e valorizzazione di monumenti e paesaggi, unici al mondo e inimitabili, porta benessere economico e ricadute positive sulla nostra bilancia dei pagamenti e sulla occupazione. Che sia l’inizio della ribellione alle soap, ai contest alle lacrimevoli trasmissioni della De Filippi, ai vari GF e Isole e alla tribù di tronisti e corteggiatori che infestano la tv di stato? Ce lo auguriamo. L’importante è cogliere il segnale e assecondarlo.

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Con una operazione encomiabile questo mese la RAI ha mandato in onda “Meraviglie, la penisola dei tesori”, un viaggio in 4 puntate nella bellezza dell’Italia, raccontata attraverso i suoi siti iscritti nella lista UNESCO dei Patrimonio dell’Umanità. Ben 53, più di qualunque altro Paese al mondo, distribuiti in tutte le regioni e testimoni di ogni periodo storico. Tanta Bellezza, che ci ha immeritatamente privilegiato, viene spesso considerata come una cenerentola dai nostri miopi governi, sotto lo slogan: “con la cultura non si mangia”. E invece i numeri dicono il contrario. E cioè che c’è proprio fame di cultura: le 4 puntate andate in onda hanno totalizzato da 5,5 a 6 milioni di spettatori, per uno share pari a 23-24%, e conseguenti ricchi introiti pubblicitari. Il bravissimo conduttore, Alberto Angela, in tre mesi ha esplorato l’Italia insieme alla sua troupe, per restituircene un ritratto pennellato, con un uno stile coinvolgente. In ognuna della 4 puntate ha toccato monumenti del nord, del centro e del sud Italia. Nella prima è partito da Santa Maria delle Grazie e dal Cenacolo di Milano, per spostarsi a Venezia e alla sua laguna, all’Isola Bella (Lago Maggiore), alla Forte di Fenestrelle in Piemonte, a Siena, alla Val d’Orcia, a Pienza, ai Templi di Agrigento, al Faro 3


Vinci una Vacanza di 3 giorni a Helsinki all'insegna dell'Arte Cultura nelle Isole Nordiche Vivi una vacanza all'insegna dell'Arte a Helsinki con un solo Pass Vai su visitfinland.com/it/nordicislandsculture e raccontaci cosa vorresti vedere nella terra dei Finlandesi 7

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TO TICKET H NIS 250 FIN MS MUSEU Customer number

Museum Week Card

Date of first use

Full name

List of museums and attractions – Museums.fi

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Ateneum, Museo d'Arte

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Kiasma, Museo di Arte Contemporanea

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HAM, Museo d'Arte di Helsinki

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Museo d'Arte Amos Anderson e nuovo Museo d'Arte Amos Rex

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Sinebrychoff, Museo d'Arte

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EMMA - Museo di Arte Moderna di Espo

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Artsi Museo d'Arte di Vantaa, museo di street art e performance

Per ulteriori informazioni sul Pass settimanale dei Musei finlandesi e sulle vacanze culturali in Finlandia: visitfinland.com/it/nordicislandsculture

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S O M M A R I O

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EDITORIALE di Federico Klausner ASIA

Est x Est, 20 anni dopo Foto e testi di Federico Klausner FRANCIA

L’altra sponda della Manica Foto e testi di Antonio e Giuliana Corradetti NIGERIA

La storia di Blessing Foto e testi di Bruno Zanzottera

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NEWS

ITALIA

Mani da mago 2 Foto e testi di Giovanni Tagini ITALIA

Trieste porta d’Europa Foto e testi di Graziano Perotti


GIAPPONE SE NON ORA QUANDO? Se desiderate visitare il Giappone affrettatevi: non è mai stato così conveniente. A partire da 519 € a/r con la tariffa promo ANA creata in collaborazione con JNTO e prenotabile anche sui voli operati da Austrian, Lufthansa e SWISS, si puòi abbinare al viaggio intercontinentale dall’Italia - verso Tokyo, Osaka o Nagoya - due voli interni al Paese scelti fra 45 destinazioni in tutto il Giappone (incluse tasse aeroportuali e supplemento carburante) e quindi di creare itinerari inusuali per scoprire il meglio del Paese del Sol Levante. Prenotazioni entro il 14 febbraio 2018, per viaggi dal 17 gennaio al 28 febbraio; dal 1 maggio al 30 giugno e dal 1 settembre al 13 dicembre 2018. Partenze da Roma, Milano, Venezia, Torino, Bologna, Firenze, e Napoli. Disponibilità limitata E specifiche restrizioni. La tariffa promo è acquistabile tramite agenzie di viaggio, sul sito ANA e sui siti dei vettori partner.

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UNA CROCIERA COL VENTO IN POPPA Dopo avere svernato nei Caraibi i velieri Royal Clipper e Star Flyer si apprestano ad affrontare, il prossimo aprile 2018, due impegnative e affascinanti traversate oceaniche, che li riporteranno nel Mediterraneo per t l’estate. Viaggi unici, irripetibili, dedicati agli amanti del mare, del vento e delle vele. La traversata atlantica è un’esperienza straordinaria: si attraversa l’oceano spinti, a tratti, solo dal vento, in armonia con un mare impegnativo, che regala sensazioni incredibili, spazi d’acqua infiniti e cieli stellati da orizzonte a orizzonte, in un silenzio rotto solo dal fruscio delle onde. Un’autentica avventura in alto mare con un’ampia varietà di attività giornaliere a bordo. Ci si può anche arrampicare sull’albero maestro per ammirare l’immensa distesa blu o avvistare terra. Chi vuole abbandonarsi al relax ha a sua disposizione piscine sul ponte superiore, da cui ammirare panorami unici sorseggiando un cocktail, e una libreria, mentre per la sera c’è un piano bar con musica dal vivo. Partenze il 31/3 e il 7/4. Maggiori informazioni sul sito.


ENOGASTRONOMIA, ARTIGIANATO

Si avvicina San Valentino e siete alla ricerca di un regalo originale da farvi con la vostra metà? Una proposta interessante viene dall’Alta Valtellina e non sarà certo il freddo a trattenervi… Il Rezia Hotel, adagiato in una posizione tranquilla ai margini del centro di Bormio, in un’area pedonale ricca di palazzi, chiese e torri, accoglie i suoi ospiti in ambienti ricchi di charme con vista spettacolare sulle Alpi e nella sua SPA. Piatto forte del soggiorno, oltre a una cena dallo chef Eligio dedicata alla riscoperta delle ricette e dei sapori della cultura enogastronomica valtellinese, è una giornata in sleddog nel magico scenario del Parco Nazionale dello Stelvio, lungo la Decauville. Si può scegliere di essere musher (guidatore) per un giorno o passeggero sul kart tirato dalla muta di Alaskan Husky. Il programma prevede pernottamento in Camera Classic (minimo 2 notti), welcome drink o cioccolata calda all’arrivo, prima colazione a buffet, escursione in sleddog, Ingresso gratuito alla SPA del Rezia Hotel, 1 cena per 2 persone presso il ristorante del Rezia Hotel prezzo a partire da 225 €/ notte la coppia. Maggiori info sul sito.

La Valle del Serchio (LU) tra le Alpi Apuane e l’Appennino offre arte, natura e una divina enogastronomia. Inoltre è ricca di piccoli borghi, di grande storia e fascino, scrigni di tradizioni, antichi mestieri ed eccellenze artigianali. Il Ciocco Tenuta e Parco propone un itinerario attraverso 8 realtà rappresentative della zona: Olivart, dove si lavora il legno di olivo con un tornio manuale; Antica Valserchio, che realizza tessuti di arredamento e capi di abbigliamento con 16 antichi telai di castagno; la ceramica di Enrica Capecchi che propone ciotole piene di colore e i “dadi raccontastorie” in terracotta e dipinti a mano; Raffaele Guidugli e Marco Lugliani liutai che fabbricano splendide chitarre; Keane pittore scozzese di Barga, dove dipinge paesaggi bucolici, scene di caccia o di battaglie; Fabrizio Da Prato, color designer e decoratore, che si ispira ai maestri pittori e decoratori del territorio del passato; “Ir Gatto e la Gorpe” dove si lavora il rame martellato e lucidato a mano. Infine il Museo della Figurina di Gesso, che raccoglie esemplari di una tradizione locale antichissima. Info: Il Ciocco 7

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S.VALENTINO GHIACCIO BOLLENTE


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| EST X EST, 20 ANNI DOPO

Due viaggi epici in auto. Nel 1995 da Cattolica a Phuket nel 1998 da Cattolica a Calcutta. Attraverso il cuore dell’Asia senza macchina digitale, cellulare, GPS. Solo bussola, diapositive e passione.

ASIA

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In apertura: alcune barche di pescatori solcano le acque coperte di alghe del lago Dian, vicino a Kunming, capitale dello stato cinese dello Yunnan. Pagina precedente: le nubi proiettano ombre sulla valle ai piedi del monastero di Ganden (Tibet, Cina). Sopra: l’Iveco Turbodaily 4x4, che ho guidato per otre 40.000 km e 8 mesi tra Cattolica e Calcutta, sponsorizzato dal Tour Operator MOSAICO di Cattolica, perso nella piana di Paryang (250 km da Darchen, Tibet, Cina) a 4450 metri di altitudine. A destra: nomadi su un passo nella prefettura di Nakchu (Tibet, Cina, al confine con la regione autonoma a maggioranza Uigura dello Xinjiang) circondati da colorate bandiera di preghiera.

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Per pescare in acque tanto basse, che a mala pena raggiungono il ginocchio, i pescatori di Tezpur (Assam, India) tuffano le loro trappole in vimini tra i giacinti d’acqua, infilando il braccio attraverso l’apertura della sommità , per catturare i pesci con la mano.

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Sempre in India, a Siliguri, un pastore di bufali d’acqua, che cercano sollievo alle punture degli insetti immersi in una pozza, approfitta della pausa per lanciare una rete, che poi recupera con una corda, nella speranza di intrappolare qualche preda.

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L’età media delle popolazioni asiatiche è assai più bassa di quella europea, eccezion fatta per il Giappone. Questo spiega perché bambini sbuchino da ogni parte.

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Da sinistra: In un mercato di Kaili, (Guizhou, Cina). Un bambino della minoranza Miao, con il tipico copricapo, guarda curioso dalla fascia che lo sostiene sulla schiena della mamma, mentre un altro, armato di bacchette di bambÚ, affronta la sua ciotola di noodles. Da una stuoia, che chiude l’apertura della tenda, un piccolo nomade di Makchu (Tibet, Cina) si nasconde vergognoso dalla macchina fotografica.

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Sotto: contadine a Keng Tung (Myanmar). Non sapendo dove lasciare i figli, quando sono al lavoro, i genitori li portano con sé. E i bambini li aiutano facendo piccole cose. A volte ai nostri occhi pare lavoro minorile, e lo è secondo i nostri parametri. Ma se si chiede a un genitore birmano la risposta è inevitabilmente: “Meglio con noi che da solo in mezzo alla strada”.

A destra: nomadi sulla porta della loro tenda a Gyama (Tibet, Cina), a 60 km da Lhasa. Questa valle è famosa per essere stata il luogo di nascita del più grande re tibetano, Songtsen Gampo, che visse qui fino all’età di 15 anni.

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Pagina precedente: terrazzamenti coltivati a riso a Janakpur (Nepal). Data l’asperità del territorio si lavora ogni fazzoletto di terra, rendendolo pianeggiante, spesso solo a forza di braccia. Dall’alto le terrazze disegnano il paesaggio con tratti flessuosi. In queste pagine ritratti di tre giovani donne. Da sinistra: una nomade di Gyama (Tibet, Cina) si schermisce davanti alla macchina fotografica. L’altitudine e il clima molto secco

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raggrinziscono la pelle dei tibetani e rendono la loro vita molto faticosa e breve. Una ragazza della etnia Akha a Keng Tung, Myanmar orientale, con copricapo d’argento, prezioso indumento che si tramanda di generazione in generazione e una bimba cinese a Taxkorgan nella regione autonoma dello Xinjiang all’estremo ovest della Cina. Una regione turbolenta, abitata dalla minoranza musulmana degli Uiguri, cui appartiene anche Kashgar (oggi Kashi) raccontata da Marco Polo nel Milione.

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Una scuola in Tibet (Cina). Per raggiungere le scuole i bambini percorrono spesso a piedi grandi distanze. Inoltre le tende dei nomadi e le famiglie sono in generale isolate. Per questo motivo quando si incontrano fanno baldoria e i maestri hanno problemi per tenerli a freno.

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A Darjeeling, nel nord dell’india, tra profumi di tè e di vecchia Inghilterra, la divisa a scuola è una cosa sacra. Pettinati, schierati, allineati, prima di entrare in aula cantano l’inno nazionale davanti alla bandiera.

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Xiahe, in Cina, è chiamata anche “Piccolo Tibet” perché unica altra località in Cina dove viene praticato il buddhismo tibetano, al di fuori del Tibet, con importanti monasteri che lo testimoniano. La donna ritratta fa girare, in senso rigidamente orario, una ruota di preghiera. All’interno si trova un rotolo di carta che porta l’iscrizione Om Mani Padme Hum! (“O Gioiello del Loto!”)”riferita a uno degli epiteti del bodhisattva della compassione Avalokiteśvara, nel mantra a lui dedicato. I tibetani credono che facendo ruotare la praying wheel le preghiere al suo interno si liberino e salgano al cielo.

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Sul lago Inle, in Myanmar, una rumorosissima lancia con il motore smarmittato cui è collegata un’elica di superficie adatta alle acque basse, sfreccia di fronte all’antica e maestosa barca reale dalle ali dorate, la Karawelk, riproduzione stilizzata del mitologico uccello Intha, ornata da quattro splendenti statue di Buddha.

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Paese che vai ornamenti che trovi: a sinistra una ragazza di Mandalay, Myanmar, ha il viso spalmato di Tanaka. Si tratta della radice di una pianta che, grattugiata su una pietra insieme a un po’ di acqua, forma una pasta. Spalmata sulla pelle, la protegge dai raggi del sole e la mantiene idratata. Non è però come una crema notturna: andare in giro con il viso

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coperto di tanaka è considerato una cosa normale e completamente accettabile. Al centro una donna tibetana impreziosisce la sua acconciatura con lunghe catene di turchesi, ripresi negli orecchini. Sopra la fronte un grosso blocco di ambra fermata da un corniolo. A destra: giovane Uigur di Kashgar indossa un costume ornato da infinite perline dorate.

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Doppia pagina precedente: Janakpur (Nepal) fondata all’inizio del 1700 fu la capitale dell’antico stato di Mithila ed è un famoso centro delle arti e dei mestieri. La tradizione hindu vuole che sia la città natale di Sītā, la moglie del dio Rama, e vi ha sede un grandioso tempio a lei dedicato. Janakpur è un continuo brulichio di pellegrini, devoti a Sita, ed ha conservato tutto il fascino del colorato culto hindu. Sotto: alcuni tibetani si prostrano in preghiera davanti al Potala di Lhasa (Tibet, Cina). Patrimonio dell’umanità UNESCO, prende il nome dal Monte Potala, la dimora di Avalokitesvara. ll palazzo fu la residenza principale del Dalai Lama fino a quando il 14º Dalai Lama fuggì a Dharamsala, India, a seguito all’invasione cinese e alla fallita rivolta del 1959. Attualmente il Palazzo del Potala è stato convertito in museo dal governo cinese.

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A Tai Ninh in Vietnam si trova il Grande tempio Cao Dai, centro del caodaismo, una religione sincretica che mescola varie dottrine religiose orientali e occidentali. I caodaisti credono in un unico Dio, rappresentato come un occhio divino, il quale ha fondato le principali religioni del mondo, quali l’ebraismo, l’induismo, il taoismo, il confucianesimo, lo shintoismo, il buddhismo, il cristianesimo, l’islamismo. La loro pratica religiosa si fonda su preghiere, culto degli antenati, non-violenza e vegetarianesimo, allo scopo di ottenere una rinascita favorevole attraverso la reincarnazione o, meglio ancora, entrare in paradiso e sottrarsi al ciclo di vita e di morte. Tra i loro santi Krishna, l’imperatore Huang Vong, Mosè, Buddha, Laozi, Confucio, Gesù, Maometto, sant’Antonio Abate, Giovanna d’Arco, Victor Hugo. Le cerimonie sono molto affollate e i sacerdoti vestono paramenti coloratissimi e sontuosi.

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A sinistra in alto: monaci in preghiera all’interno del monastero di Ganden, una delle tre grandi università monastiche del Tibet. Fondato nel 1409 dal Tzong Khapa, il creatore del Gelugpa o Cappello Giallo (ramo del buddismo tibetano), si trova a 36 km da Lhasa a un’altezza di 4750 m. Costituito da molti templi ed edifici, Ganden si estende su una superficie enorme, dato che la costruzione è continuata per generazioni. Durante la rivolta tibetana del 1959 e la Rivoluzione Culturale, Ganden fu gravemente danneggiato. A partire dal 1980 lo Stato ha stanziato dei fondi speciali per la sua ricostruzione. Sotto: un gruppo di monache a Mandalay, Myanmar. Le donne partecipano alla vita monastica come dadasila (monache dei 10 precetti). Si rasano la testa, indossano abiti rosa e prendono i voti in una cerimonia simile a quella dei maschi. La loro condizione è tuttavia considerata meno prestigiosa rispetto a quella dei monaci, dato che non compiono cerimonie e seguono solo 10 precetti, come i novizi maschi.

I monaci del monastero Sakya di Dreyul Ketsel (Tibet, Cina), fondato da Jamchen Rapjampa Sanggye nel 1449, suonano i dunchen (corni cerimoniali). Telescopici, realizzati in rame e argento, sono riccamente decorati e gli strumenti più usati nella cultura tibetana. Emettono un suono che ricorda il barrito di un elefante.


Da sinistra: davanti al monastero di Podong (Sikkim, India) un giovane monaco buddhista stringe un libro. Gli antichi testi buddhisti seguivano un layout orizzontale ed erano costituiti da una serie di fogli di carta (di palma o altro materiale) scritti a mano e chiusi tra due tavolette di legno, fermate da un nastro. Un pashtun nella Swat Valley (Provincia della Frontiera del Nord-Ovest, Pakistan) si aggira imbracciando il suo fido kalashnikov,

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il cui calcio e caricatore sono impreziositi da intarsi, borchie e perfino una farfalla, da cui non si separa mai. Un po’ abitudine ai conflitti sanguinosi della regione, un po’ status symbol. Lijiang, una città situata nella parte nord-occidentale della provincia cinese dello Yunnan, ospita il popolo Naxi e molti altri gruppi etnici minoritari. Qui: un uomo mostra fiero il suo copricapo.

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Nelle doppie pagine precedenti: un contadino dello Shaanxi (Cina) seduto al centro del suo raccolto di granturco. Nel porto fluviale di Mandalay sull’Ayeyarwady (irrawaddy) si commerciano canne di bambù, trasportate come enormi zattere, da gente che vive su di esse in una piccola cabina. Ad ogni vendita la zattera diminuisce di superficie. Venduta l’ultima canna risalgono il fiume, costruiscono un’altra zattera e ricominciano un nuovo viaggio.

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Tre testimonianze della grande ricchezza e varietà delle etnie del continente asiatico: da sinistra ragazze birmane di etnia Shan a Naung Noan; in centro ragazze dell’etnia Miao a Long Di (Cina) indossano preziosi copricapi di argento cesellato. A destra: a Xigatsé (Tibet, Cina) due anziani posano mostrando un Akshamala (rosario buddhista tibetano) e una prayer wheel al cui interno si trova un rotolo di carta che porta l’iscrizione Om Mani Padme Hum! (“O Gioiello del Loto!”). I tibetani credono che facendo ruotare la praying wheel le preghiere al suo interno si liberino e salgano al cielo.

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Un cammelliere a Siliguri (West Bengal, India) guida la sua carovana di dromedari. Da piccola sonnolenta cittadina Siliguri è divenuta la terza maggiore città del West Bengal e uno dei più importanti centri di commercio dell’India nord orientale.

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Chengdu com’era 20 anni fa prima del boom: una lunga fila di biciclette. Situata nel sud-ovest della Cina, è il capoluogo della provincia del Sichuan. Nel 2010 era già il quarto centro più popoloso del Paese con i suoi oltre 14 milioni di residenti e uno dei più importanti centri economici. Poco fuori dalla città si estende il Chengdu Panda Base, importante riserva naturale e centro di ricerche sul panda gigante.

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Una rassegna di diversi mezzi di trasporto. Da sinistra un risciò a Calcutta (India) trasporta a scuola due bambine. Nella sua forma originale, utilizza la forza umana per la trazione del mezzo; in seguito si sono affermati i ciclorisciò e i motorisciò, chiamati anche onomatopeicamente tuc-tuc. Un nomade di etnia kirghiza a cavallo a Dang Xiang (Xinjiang Cina).

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I cavalli che utilizzano paiono magri, ma sono molto robusti e sopportano bene anche l’altitudine. C’è casco e casco: a Keng Tung in Myanmar una coppia di Akha a bordo di una moto. Per nulla al mondo la donna rinuncerebbe al suo prezioso copricapo tradizionale in argento lavorato tramandato di generazione in generazione.

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Doppia pagina precedente: la splendida cupola della Madrasa Mir-i Arab, scuola coranica, a Bukhara (Uzbekistan). Costruita nel XVI secolo, è caratterizzata da una grande cupola turchese e da un alto minareto. Al suo interno le tombe di Sheikh Mir-i-Arab e di Ubaidullah Khan, l’emiro di Buhkara. Bukhara, oasi e centro commerciale sulla Via della Seta, intorno all’anno mille era la Mecca del centro Asia. Sopra: una donna passeggia sotto il sole nel centro di Khiva (Uzbekistan). Antica capitale della Corasmia e del khanato di Khiva, è stato il primo sito in Uzbekistan a essere iscritto tra i Patrimoni dell’Umanità UNESCO nel 1991. Secondo il mito, sarebbe stato Sem, figlio di Noè, a fondare la città.

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Una donna cammina lungo le mura della antica cittĂ Arg-ĂŠ Bam (Iran), che sorge vicino alla moderna Bam. Nel 2003 un terremoto di magnitudo 6.6 distrusse completamente la cittĂ antica, costruita in mattoni di argilla non cotti e fango, e il 70% di quella moderna, facendo 30.000 vittime. Grazie agli sforzi del governo e a quelli internazionali venne ricostruita.

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A sinistra: una giovane di Urchisar (Turchia) annoda i fili per realizzare un tappeto. Solo le ragazze molto giovani, con dita sottilissime, riescono in queta attività. A destra: in India il lavoro manuale costa molto meno dell’acquisto di un manifesto. Qui a Srirangam (Tamil Nadu) alcuni pittori, arrampicati su una traballante impalcatura di bambù annodata con corde di cocco, stanno realizzando il manifesto di un film, con perizia da maestro. Doppia pagina seguente: nel monastero Ganden Chökhorling di Tsetang, quarta città più grande del Tibet (Cina), un monaco con il pennello all’orecchio studia nuovi soggetti da riprodurre.

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Pagine precedenti: l’Indo serpeggia placido tra banchi di sabbia e ghiaia nel Baltistan in Pakistan. Si tratta di una regione di montagne brulle a una altitudine media di 3350 m. Quello ritratto è l’unico albero nel raggio di km. Due sadhu, asceti induisti, rispettivamente in India (Madras), a sinistra, e in Nepal (Kathmandu), che dedicano la propria vita alla rinuncia della società. Gli induisti considerano che l’obiettivo della vita sia la moksha, la liberazione dall’illusione (Māyā), la fine del ciclo delle reincarnazioni e la dissoluzione nel divino, fusione con la coscienza cosmica. Tale obiettivo è raggiunto raramente nel corso della vita. Il sādhu sceglie, per accelerare questo processo e realizzarlo in questa vita, di vivere una vita di santità. I sādhu non possiedono nulla e passano la loro vita a spostarsi

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sulle strade dell’India e del Nepal, nutrendosi dei doni dei devoti. I sādhu shivaïti cospargono il loro corpo con la cenere, simbolo di morte e di rinascita. A immagine e somiglianza di Shiva, portano i capelli estremamente lunghi. In questa pagina da sinistra: un pastore di etnia pashtūn nella valle dello Swat in Pakistan sfoggia sorprendenti capelli biondo rossicci e occhi azzurri. Un poliziotto pakistano a Gilgit mostra compiaciuto 2 foltissimi baffi. A Samdrup Jongkhar, la città più antica del piccolo stato himalayano del Bhutan, un monaco stringe un libro stropicciato con gli insegnamenti del Dalai Lama.

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Doppia pagina precedente: a sinistra un coloratissimo santone di Katmandu (Nepal) posa volentieri davanti alla macchina fotografica. A destra un abitante di Bukhara dalla folta barba bianca e dallo sguardo severo. Sopra: un gruppo di donne nomadi a Paryang Tibet, nella provincia di Shigatse. La grande altezza (4.450 m.), e il conseguente scarso schermo alla luce solare, scurisce e secca la loro pelle.

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Una famiglia iraniana a Esfahan in piazza Meydān Naqsh-e Jahān (Piazza Metà del Mondo). Come dice il nome è, in effetti, una delle piazze più grandi del mondo e tutto il suo complesso è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità nel 1979. La donna più anziana veste la boregheg, una maschera che può essere di materiali diversi (stoffa, cuoio, ottone). In alcuni casi copre buona parte del volto; in altri è molto sottile e passa sulle sopracciglia e tra naso e bocca. La sua funzione originale (su cui non c’è certezza) pare fosse quella di creare l’illusione dei baffi per disincentivare gli abusi degli schiavisti, che si aggiravano per i villaggi. Non è chiaro però se l’obiettivo fosse peggiorare l’aspetto estetico oppure far credere ai dominatori che le donne fossero in realtà soldati uomini.

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Doppia pagina precedente: il paesaggio di infinite risaie a Mandalay. Il riso, in ben 52 differenti varietà, è il maggior prodotto agricolo e copre circa il 60% dell’area totale coltivata del Myanmar, che è anche uno dei maggiori esportatori mondiali. Negli ultimi anni l’importazione in Italia del riso birmano è cresciuta dell’800%. Sotto: Katmandu (Nepal) anziano seduto davanti a un negozio di fotografia.

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INFO UTILI Foto e testi di Federico Klausner Gran parte delle fotografie raccolte in questo reportage sono state raccolte in due viaggi. Il primo nel 1995 mi ha portato da Cattolica, sede del Tour Operator MOSAICO, sponsor della iniziativa, a Phuket in 6 mesi e 45.000 km. Ho attraversato Grecia, Turchia, Iran, Pakistan, Cina (Xinjiang, Gansu, Sichuan, Yunnan), Vietnam, Laos e Thailandia con una Toyota HJ 60 vecchia di 15 anni e 150.000 km, seguendo una Via della Seta. La scelta è caduta su un mezzo senza nessuna componente elettronica, non sofisticato (neppure aria condizionata e alzacristalli elettrici) e molto conosciuto in Asia, in modo che si potessero reperire parti di ricambio e qualunque meccanico sapesse come ripararlo, anche se non ce n’è stato bisogno: solo qualche foratura e rottura di fogli di balestra su strade terribili. Nel secondo viaggio (1998), durato 8 mesi per 40.000 km, ho attraversato gran parte dei Paesi del centro Asia, seguendo un’altra Via della Seta più settentrionale, Tibet incluso: forse il primo veicolo straniero cui è stato concesso l’accesso, per il quale sono stati necessari 35 diversi documenti, tra cui targa cinese, patente cinese, permesso di guidare sulle strade cinesi

e assicurazione cinese. Partendo sempre da Cattolica, con un Iveco Turbodaily 4x4, ancora sponsorizzato Mosaico, ho attraversato: Slovenia, Croazia, Ungheria, Romania, Moldova, Transnistria, Ucraina, Russia, Turchia, Georgia, Azerbaijan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Cina (Xinjiag, Qinghai, Tibet), Nepal, India (Sikkim), Bhutan, India (Assam, Nagaland, Manipur, Tripura, Meghalaya, Bihar, Bengala Occidentale), per terminare a Calcutta, dopo essere stato respinto all’ingresso della Burma road (Myanmar). Il veicolo, più spazioso ma assai meno robusto della Toyota, è stato soggetto a molteplici guasti: rottura della scatola dello sterzo, cavalierini dello sterzo, montanti del parabrezza, silent-block, ecc. L’equipaggio aveva una composizione variabile da 1 a 5 persone (mia moglie e gli amici della MOSAICO che mi raggiungevano di volta in volta). Non ho utilizzato né navigatore né cellulare (non c’erano): solo bussola, carte geografiche e pellicole, dato che il digitale ancora non aveva fatto ancora la sua comparsa. Alcune foto, come quelle del Myanmar sono frutto di altri viaggi. 71


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| MANI DA MAGO 2

Seconda puntata del viaggio tra le tradizioni e le ricchezze che rendono il nostro Paese invidiato nel mondo per gusto, stile e raffinatezza. Di scena stavolta i celebri artigiani del sud Italia, i cui saperi non si possono comprare.

ITALIA

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Nella doppia pagina precedente: la Sartoria Artistica Teatrale di Torino, appare come un museo del costume italiano dal Settecento a oggi, racchiude un enorme patrimonio di abiti da fiaba e persino una collezione di copricapi, fibbie e bottoni, che conta oltre 10.000 pezzi unici.


Sopra: il proprietario Giovanni Battista Benso nel suo studio. Per lui quella del disegno e della realizzazione artigianale di abiti-gioiello è una passione che si sente dentro dalla nascita. Il suo è un ambiente familiare di pittori e musicisti, ma l'attrazione fatale per l'ago e il filo gliel'ha tramandata una prozia, leggendaria sarta torinese.


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Tra le collaborazioni più prestigiose della Sartoria Artistica Teatrale vanno menzionate quella con il Museo del Cinema di Torino, il Teatro lirico alla Scala di Milano e le Regge Sabaude. Oltre che, naturalmente, con il Carnevale di Venezia.

Tra i tesori racchiusi tra il laboratorio di sartoria e l’incantevole sala-prove, ciò che colpisce di più, per originalità e arte della fattura, sono i costumi teatrali. Molti i privati che si fanno confezionare abiti su misura per una serata di gala o per sposarsi e vivere quel giorno importante come una zarina, o una principessa delle favole.

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Il laboratorio ferve di attività e l’atmosfera è magica. Il tempo è poco e tutto deve essere pronto in pochi giorni, quelli, magici, del Carnevale che viene celebrato con sontuose feste in maschera nei palazzi della nobiltà torinese, come in quelli affacciati sul Canal Grande, a Venezia. E chi vuole indossare un capo che farà parlare di sé fino al Carnevale successivo, sa che dovrà rivolgersi alle mani esperte e alla prodigiosa fantasia della Sartoria Artistica Teatrale di Torino.

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Sopra: il giovane proprietario dell’Antica Fabbrica Passamanerie, Massimiliano Massia erede di una tradizione artigianale e imprenditoriale di altissimo livello, che si è tramandata di padre in figlio. ÂŤQuesta è ormai una vetrina, un piccolo museo che ricorda il tempo in


cui le passamanerie, secondo una moda nata in Francia al tempo del Re Sole, erano decori imprescindibili per l’’arredamento, le livree e le divise militari, gli abiti ecclesiastici e le carrozze.


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A sinistra: il registratore di cassa è lo stesso dal giorno dell’inaugurazione, nel 1843, come gli armadi a vetri e le boiserie in legno di rovere. Persino le passamanerie in vendita appaiono appartenenti a un’altra epoca. Da quel lontano 1843, anno in cui Vittorio Massia fondò la sua fabbrica artigianale di passamanerie, il mondo è cambiato, Ma non la nostra capacità di apprezzare il bello. Ed è proprio per questo motivo che il negozio della Passamanerie Massia è ancora lì, identico a se stesso nella magnifica (e antica) via Barbaroux e, per di più, protetto come patrimonio storico della città di Torino.

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Ancora oggi c’è grande domanda di passamanerie nel mercato del lusso più esclusivo. Gli artigiani della ditta Massia dividono il loro lavoro tra il restauro e il rifacimento (fedelissimo all’originale) di passamanerie storiche e la realizzazione di decorazioni sempre nuove. Tra i loro clienti “secolari” ci sono le case reali d’Europa, che richiedono committenze prestigiose. Come quella per il rifacimento della Sala delle Passamanerie nella reggia di Sans-Souci a Potsdam, per la quale ci è voluto più di un anno per riprodurre, con telai dell’epoca, le fettucce tessute a fili d’oro con una tecnica manuale che permette di realizzarne appena otto millimetri in un’ora.

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Bianca Maria Bordone, una delle due proprietarie de laboratorio Littera Antiqua di Torino a San Salvario, il quartiere torinese storicamente deputato alle attività artigianali. È uno spazio piccolo, loro stesse si scusano, senza che ve ne sia la necessità, di un disordine che il visitatore non riesce nemmeno a percepire, ammaliato com’è dai tesori esposti.


Le “ragazze” si sono fatte una solida reputazione presso le più importanti istituzioni d’Italia, grazie alla sapienza e alla cura estrema con cui regalano nuova vita alla carta, permettendo che ciò che vi è impresso si tramandi di generazione in generazione.


Sopra: Bianca Maria intenta nel restauro di un antico erbario dell’inizio del XVII secolo compilato dal leggendario farmacista Andrea Matthioli e oggi esposto all’Officina Profumo-Farmaceutica di Santa Maria Novella a Firenze. Come sempre, vengono usate tecniche e materiali fedeli alla storia (come la carta, che fino al Settecento non era fatta con il legno, ma con i piÚ resistenti stracci di cotone).

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Sotto: alcuni oggetti che Bianca Maria e Giovanna realizzano interamente a mano, si tratti di quaderni, raffinate rilegature personalizzate, scatole di carta, o delle splendide carte dipinte a china con le antiche tecniche giapponesi del sumi-nagashi e sumi-e, apprese da un monaco buddhista. PerchĂŠ, per loro, la sapienza artigianale non ha confini.

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Sotto: alcuni volumi matematici attendono di essere restaurati dalle abili mani delle ragazze. Per certi restauri non bisogna avere fretta, ci possono volere settimane. A destra: un particolare di carta con decori realizzati a mano, usata per rilegare libri o realizzare oggetti.

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Leonardo Parodi, nel suo laboratorio Dosio Cornici di Torino, ci racconta che in questo seminterrato è stato incorniciato l’Autoritratto di Antonello da Messina, uno dei massimi capolavori del Quattrocento italiano, per una mostra a Palazzo Madama.


È stata una grande soddisfazione anche realizzare l’enorme teca del Papiro dei Morti, che occupa un’intera parete del Museo Egizio di Torino.


L’arte si respira nelle sale arredate come salotti aristocratici. La Dosio Cornici espone fieramente la bandiera donata all’azienda all’indomani dell’Unità d’Italia, in ringraziamento ai servizi offerti alla Casa Reale dei Savoia. Oltre che per una committenza privata di prestigio, si occupa del restauro (o della sostituzione) delle preziose cornici delle quadrerie reali delle regge sabaude, dalla Palazzina di Stupinigi a Venaria, entrambe gioielli alle porte della città.

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Le vertine della storica bottega protetta dalle Belle Arti, fondata a Torino nel 1848. All’inizio, vendeva vetri e specchi e realizzava cornici “soltanto su consegna di caparra”, come recita una scritta a caratteri d’oro che ancora campeggia sugli scaffali della bottega di via Venti Settembre.

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A sinistra sopra: oltre che un laboratorio di cornici, col tempo la Dosio è diventata anche un punto di riferimento per i collezionisti internazionali di stampe antiche delle quali presenta una straordinaria selezione, comprese rare mappe seicentesche, oltre a opere d’arte che sono inestimabili cimeli storici. A sinistra sotto: alcune cornici in noce e ciliegio, con finiture a foglia d’oro o a gommalacca realizzate interamente a mano. A destra: lo storico bancone con una stampa antica che ritrae Giuseppe Garibaldi.

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Nella doppia pagina precedente: un ritratto di Francesco Maglia, il simpatico proprietario dell’ombrellificio Maglia aperto nel 1854 a Milano. I suoi Ombrelli sono molto conosciuti in tutto il mondo e rappresentano eccellentemente la manifattura artigianale made in Italy. In queste pagine: alcune fasi di lavorazione. Nel suo laboratorio si utilizzano solo legno, ottone, ferro e tessuti prestigiosi dalle colorazioni esclusive. Ogni ombrello è unico, perchĂŠ Francesco esegue ogni singola fase nel suo laboratorio, con passaggi realizzati quasi interamente a mano.

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Alcuni dettagli di altissima qualità degli ombrelli Maglia. Il bastone, cuore di ogni ombrello, è intero e realizzato in legno di melo, acero, castagno, frassino o bambÚ, ma si possono usare impugnature con materiali come corno o rivestiti in pelle o in fibre naturali.

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Il 60% del fatturato dell’azienda arriva dal mercato straniero. I suoi prodotti vanno fortissimo in Giappone, negli USA e in Inghilterra; il loro punto di forza sta nei materiali di altissima qualità e nella personalizzazione in base ai gusti e alle esigenze del cliente.

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L’unico atelier-laboratorio della Stivaleria Savoia, si trova a Milano in via Vincenzo Monti. Ăˆ qui che vengono realizzate e vendute le famose scarpe su misura e dove gli artigiani specializzati costruiscono la scarpa, fase dopo fase in base alle misure e ai gusti del cliente,


mantenendo sempre lo stile classico, che li ha resi famosi sin dal primo giorno dell’inaugurazione, nel 1925. Uno stile che non passa mai di moda e crea tendenza.


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CreativitĂ , abilitĂ , passione uniti a dettagli importanti, che fanno la differenza quando la scarpa viene calzata o semplicemente ammirata. Una scarpa realizzata interamente a mano prevede ancora oggi molte fasi di lavorazione: dalla presa delle misure su cartone al taglio dei pellami, dalla costruzione sulla forma di legno alla cucitura del guardolo, fino alle innumerevoli rifiniture e alla lucidatura finale.

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A sinistra: dettagli di calzature classiche della Stivaleria Savoia. A destra: alcune forme di clienti habituè. In questo atelier, al cliente che si fa confezionare le scarpe su misura, viene garantito un servizio di manutenzione periodica, che prevede la risuolatura completa, il rinnovo di certe parti e la lucidatura, in modo da assicurare una lunga vita a questi capolavori d’artigianato.



Il marchio Buccellati ha fatto dell’arte dell’incisione una delle espressioni più riconoscibili dello stile italiano. Seguendo tecniche antichissime, dove la femminilità era l’unica fonte d’ispirazione, Buccellati trasforma pietre e metalli preziosi in opere d’arte, sotto forma


di collane, bracciali, orecchini e orologi. Gioielli unici, riconoscibili e acquistati in tutto il mondo.


Alcune fasi di lavorazione: maestria, estetica e design, sono, da sempre, al centro dell’universo Buccellati. Spinto dal desiderio di creare capolavori d’alta gioielleria, discreti e raffinati, il marchio ha acquisito uno stile unico e inconfondibile, che lo differenzia da ogni suo concorrente.

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Il compianto Gianmaria descriveva così il suo lavoro: “Mi è impossibile parlare delle creazioni Buccellati senza riconoscere che molto è dovuto al contesto in cui la nostra creatività̀ s’è formata: la nostra splendida Italia. Le nostre tecniche sono infatti prese in prestito da cinque secoli di arte italiana.

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Molti dei celebrati artisti di questo Paese sono stati orafi ben prima di diventare scultori, pittori o architetti. Di padre in figlio ci siamo tramandati le abilità tecniche e abbiamo coltivato il vezzo di sorprendere. Guardando un nostro gioiello sono orgoglioso di sapere che è stato disegnato da “un Buccellati” e che è stato realizzato a mano da uno dei nostri orafi. Guardandolo meglio, noto che nel tempo ci siamo persino perfezionati.”

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L’azienda Petronius di Milano ha radici profonde e saldamente ancorate ai concetti di eleganza, amore per la tradizione e artigianato d’eccellenza. Famoso per le cravatte di altissima


qualitĂ , interamente confezionate a mano, negli anni ha saputo rinnovarsi proponendo nuove collezioni, integrando con costumi da bagno, papillon e sciarpe.


Le fasi di preparazione, i tessuti e il prodotto finito. La filosofia aziendale prende vita dal pensiero del suo fondatore, Luigi Wollisch, che sosteneva: “La cravatta dev’essere creata utilizzando dedizione, passione e amore per questo elemento indispensabile dell’abito.

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Deve trasmettere, attraverso la qualità artigianale di alto livello, che si tratta di un accessorio fondamentale atto a far risaltare l’eleganza di chi lo indossa. Un simbolo di ogni uomo che miri all’eleganza e alla signorilità.” Da allora Petronius è considerato uno dei brand più famosi nel mondo.

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Nella doppia pagina precedente: un’incisione a inglesina “Rose&Scrolls� a bulino con terminali di riccioli rimessi in oro, realizzato da un abile artigiano dell’azienda Beretta, storico brent famoso in tutto il mondo.

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In queste pagine da sinistra: il volo di una beccaccia inciso su un fucile Beretta. I maestri incisori sono capaci di riprodurre scene di caccia, animali e ritratti. Un artigiano esperto, riesce a tracciare fino a 12 righe per millimetro. Franco Gussali Beretta, assiste Ferdinando Belleri, responsabile della lavorazione di fucili di lusso. Un dettaglio della lavorazione a incisione nel legno della calciatura di un fucile da caccia.

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Sotto: nello stabilimento di Gardone Valtrompia si trova la sala principale della collezione privata Beretta, con una esposizione di circa 900 armi a pietra focaia, a luminello, a spillo, revolvers di varia provenienza e caratteristiche tecniche, tra cui alcuni prototipi Beretta.

A destra: una fase di lavorazione del calcio di un fucile, realizzato in legno stagionato e lavorato a mano sulle misure del cliente. In basso a destra: un dettaglio di un antico fucile della collezione privata Beretta.

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Nella doppia pagina precedente: alcuni tasselli di lettere mobili usate nella tipografia Museo Conte di Verona. In queste pagine: Rossana Conte e sua madre Carla hanno scelto la strada della creatività, in uno spazio che profuma di inchiostro e che racchiude cimeli come antiche macchine per la stampa e cliché in metallo e in legno di bosso vecchi di secoli. La grande storia della città si respira nella bottega, fondata nel lontano 1750 e gestita ancora dalla stessa famiglia, che si è meritata il nome di “Museo”. Una storica tipografia d’arte che ha scelto di portare avanti un mestiere antico e ormai fuori del tempo come quello della stampa e dell’incisione, rigorosamente a mano.

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Ormai qui non si stampano più i manifesti che annunciano gli spettacoli dei teatri cittadini, ciascuno dei quali era un’opera d’arte, ma si realizzano e propongono, a una clientela di raffinati intenditori, splendide acqueforti, acquetinte, pergamene incise, carta marmorizzata e molto altro ancora.

In questa deliziosa bottega si possono acquistare le opere create dalla signora Carla, che raffigurano gli scorci più pittoreschi di Verona: dal balcone di Giulietta, al mercato di piazza delle Erbe, all’Arena e alla collina del Teatro Romano. È possibile anche farsi realizzare acqueforti personalizzate, da riprodurre su carta da lettere, biglietti da visita e partecipazioni per matrimoni in elegantissima carta di fibra di cotone fatta a mano.

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Christian Rossi, insieme a Elisabeth Cozza, sono i proprietari del laboratorio/officina Effetto Mosaico di Verona. Entrambi hanno studiato storia dell’arte e hanno appreso le tecniche precisissime del il taglio a mano delle tessere in marmo, come nell’antica Roma, o in pasta di vetro e smalto, alla veneziana.


Nonostante abbiano appena quarant’anni, hanno acquisito una lunga esperienza nel realizzare, usando soltanto le mani e strumenti semplici come punteruoli e scalpelli, qualsiasi tipo di disegno ispirato alle ville romane, alla cultura bizantina, al barocco e al liberty.


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Alcuni campioni di tessere colorate, progetti da realizzare e una fase di lavorazione che classificano i due giovani proprietari tra i rarissimi esempi italiani di maestri nell’arte antica del mosaico.

I Romani, i Bizantini, che hanno creato i tesori nelle basiliche di Ravenna, e poi i Veneziani: è tutta italiana l’arte del mosaico; un segreto che si è conservato gelosamente attraverso i secoli.

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Christian spiega che in ogni metro quadrato dei loro mosaici ci sono 9000 tessere. Nel caso dei mosaici in pasta di vetro lavorano in collaborazione con un’azienda dell’isola di Murano, che è in grado di produrre una materia prima in 78.000 diverse sfumature di colore, comprese quelle dell’oro a 24 carati e persino del platino, il più prezioso dei metalli.

Tuttavia, i numeri e i dettagli tecnici non riescono a raccontare la bellezza e la sensibilità delle opere di questi artisti: sono così eccezionali da non poter essere descritte a parole. Non resta che immaginare come questi capolavori abbellirebbero gli ambienti di una casa, piscine, pavimenti, pannelli murali e quadri, con la tecnica ancora più incredibile del micromosaico. Una committenza che annovera i ricchi e famosi del mondo, dalla Russia, a Israele, all’Indonesia.

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Un ritratto di Daniela Busacchi intenta nel restauro di un vaso nella sua incredibile boutique-laboratorio, che si trova in una pittoresca stradina lastricata con le pietre di fiume, nel cuore storico di Verona, a due passi dalla coloratissima piazza delle Erbe.


Oltre che maestra nell’arte del restauro della ceramica e della porcellana d’antiquariato, ha anche un raro, raffinatissimo gusto per la decorazione.


A prima vista, il suo lavoro sembra un gioco, sempre lieve e allegro. Soltanto nel laboratorio sul retro, letteralmente ricolmo di cocci di ceramica, colori, solventi e pennelli, ci si rende conto delle ore di lavoro e dell’abilità, frutto di una vita di esperienza e studi, per riportare all’originario splendore questi oggetti, tanto meravigliosamente superflui, quanto necessari a rendere più bella e piacevole la vita.

Nel suo piccolo regno, Daniela espone bellissimi vasi, piatti e sculture, facendoli vivere in uno scenario onirico costruito grazie a un’accurata selezione di mobili, paraventi e quinte teatrali, perfetto come un dipinto impressionista.

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Un angolo del Ran de Gal di Verona, specializzato nel restauro e nella realizzazione di chitarre e violini. Se chiedete a Erich Perrotta e a Stefan Neureiter, i proprietari, che cosa significhi Ran de Gal, loro fanno un sorriso sornione e rispondono: ÂŤNon significa niente, ma suona bene, vero?Âť. Se facessero un qualsiasi altro mestiere, questa risposta sembre-


rebbe assurda, ma non per loro. Sta nel fatto che “suoni bene” tutta la loro arte, perché Erich è un archettaio e realizzatore di chitarre jazz Archtop, mentre Stefan è un liutaio, che restaura e costruisce violini, viole e violoncelli.


A destra: una chitarra di Erich appena terminata, le sue chitarre jazz hanno straordinari intarsi e legno di diverse sfumature a creare disegni che, di volta in volta, sono un omaggio a jazzisti famosi o a luoghi celebri per la grande musica. Come le sue chitarre “Praga”, “New York” e “Venezia”, che sono gioielli da ascoltare e da guardare. Sotto: un dettaglio dei violini di Stefan.

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Una fase di lavorazione di strumenti a corda. Vengono costruiti in innumerevoli ore di lavoro forgiandoli nel raro legno brasiliano di pernambuco, oppure in fibra di carbonio. L’esatta lunghezza e curvatura consentono ai preziosi strumenti di esprimere un suono straordinario e al musicista tutto il suo estro.

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INFO UTILI Foto e testi di Giovanni Tagini

Sartoria Artistica Teatrale via Passalacqua 10, Torino tel. +39-011-5625728 Antica Fabbrica Passamanerie Massia Vittorio 1843 via Barbaroux 20, Torino tel. +39-011-542952

Buccellati Boutique via Montenapoleone 23, Milano tel +39 02 76002154 Petronius 1926 via G Pascoli 21, Milano Beretta Beretta Gallery tel +39 02 76028325

Littera Antiqua via Ormea 14, Torino tel. +39-339-1237349

Museo Conte via S. Maria in Chiavica 3/c Verona tel +39 045 8003392

Dosio Cornici via Venti Settembre 43, Torino tel +39 011 544045

Effetto Mosaico via Padovani 2, Grezzana VR tel +39 045 907920

Ombrelli Maglia via Ripamonti 194, Milano tel +39 02 55219333

Daniela Busacchi via San Mamaso 6 tel. +39 045 8004885

Stivaleria Savoia via Petrarca 7 angolo Vincenzo Monti, Milano tel +39 02 463424

Ran de Gal via Amatore Sciesa 3 tel +39 0450592708

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| L’ALTRA SPONDA DELLA MANICA

Nel Nord-Pas-de-Calais, sulla Côte d’Opale, per scoprire il fascino romantico della costa meno conosciuta del Canale. Tra paesaggi cangianti, cucina di influenze fiamminghe e piccarde e un mare di musei.

FRANCIA

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In apertura: barriere per trattenere la sabbia sulla spiaggia di Wissant. Doppia pagina precedente: il promontorio di Cap Blanc Nez e le case di Wissant. Qui sopra: si dice Calais e si pensa subito a Dover, all’Inghilterra. Nell’immaginario questo lembo settentrionale di Francia è solo un posto di passaggio, una tappa, un punto d’imbarco, un luogo sospeso tra partenze e ritorni. Eppure, a volte, certi fuggevoli paesaggi visti dal finestrino mentre corriamo verso una meta lontana, ci appaiono in un lampo meravigliosi e ci si imprimono dentro, lasciandoci un profondo desiderio misto a rimpianto. É così che tra l’andare e il tornare abbiamo scelto di restare. Nessun biglietto di andata e ritorno questa volta, ma un viaggio lento e innamorato lungo la Côte d’Opale, nel Pas-de-Calais, affascinati dalla bellezza ignorata dell’altra sponda della Manica.

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Wissant è una marina piccola dentro un paesaggio grandioso. Un villaggio delicato e sobrio. Rifugio accogliente dopo intere giornate trascorse a farsi spettinare e piacevolmente strapazzare dalle carezze ruvide del mare e del vento. Il posto giusto quando, dopo tanto spazio aperto, si desidera tornare a una dimensione piĂš intima e quieta e a un tetto sotto questi cieli di nuvole pazze. La bassa marea dilata la spiaggia all’infinito, cambiando il paesaggio, e le belle case dai tetti spioventi restano assorte, come muti testimoni, dietro la massicciata di pietre, ad aspettare il ritorno del mare.

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Tutto è alle spalle. Case, alberghi, ristoranti, negozi. Anche le cabine da mare sono dietro. Anche tutta la Francia e l’intero Continente. Anche le città, la fretta, lo stress, il traffico, il respiro corto...Qui, davanti agli occhi, c’è solo una grande calma e una spiaggia immensa. C’è solo il mare. Un mare stretto, fatale come una porta che si apre su un’altra terra. Un mare incantatore che calamita ogni sguardo e allaga di pace il cuore. Qui ci si ferma e si guarda avanti. Tutto il resto è dietro.

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Sarà perché ci troviamo a nord. Abbastanza per godere di nuvole basse e veloci, luci taglienti e orizzonti sconfinati, ma, allo stesso tempo, non così a nord da perdere l’oro e lo splendore del sole. Fatto sta che sulla Côte d’Opale ogni cosa brilla e riluce in modo speciale e cambia repentinamente da uno stato all’altro. In certi momenti il mare è calmo, blu cobalto, e le scogliere del Kent risplendono abbaglianti e vicinissime, in altri appare magnetico e metallico, in altri ancora furioso e terribile. Un paesaggio fluttuante nella pura bellezza della luce che cambia.

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Si chiamava Edouard Lévêque. Era un pittore impressionista, perso d’amore per questo tratto di costa francese. Folgorato dalla sua luce, la paragonò all’opale per la preziosità cangiante dei suoi bagliori, per il suo scintillio colorato, per la sua velatura lattiginosa e iridescente. Fu così che, alla fine del XIX sec. nacque e si diffuse il nome di questo luogo. Nelle sue tele le campagne, il mare, le spiagge, i pini contorti di Le Touquet, elegante località che ancora oggi attrae, con i suoi villini fin de siecle e i suoi campi da golf, riservati inglesi e nostalgici parigini.

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A volte, quando il cielo è coperto, i colori si fondono in un’unica tinta densa, grigio-azzurro-bruna. Svaniscono i contorni delle cose, solo ieri così netti nella luce limpida del pomeriggio. Voglia di camminare e camminare per chilometri sulla sabbia umida, per vedere dove mai la spiaggia finirà. Voglia di perdersi dentro questo spazio soffuso, in questa immensità foderata di velluto, fino a che ogni cosa ritorni al suo posto, fino a che il sole torni nel cielo, le onde sulla riva, i bambini a giocare sulla risacca e, di là dal mare, le bianche scogliere di Dover a fare inutili barricate contro le nuvole.

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Nelle pagine precedenti: Les Ondines, Chez Nana, L’alouette.........hanno tutte un nome, le cabine balneari e non puoi fare a meno di leggerli tutti, mentre lentamente passeggi sulla diga-lungomare di Wimeraux. Un paese quieto, dal sapore retro che ti fa sentire dentro un vecchio film di François Truffaut. Sono piccole e ben curate, usate per scopi diversi. Allo stesso tempo rimessa per oggetti da spiaggia, saletta da te, tana segreta per giochi di bambini, sala di lettura, belvedere sul mare, riparo per anziane signore infastidite dal vento. Se ne stanno tutte in fila, allineate sul lungomare. Esile collanina bianco-blu. Bordino bianco su un colletto alla marinara.

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A tre ore da Parigi, sulla Côte d’Opale, il mondo è diverso. Dai 134 metri di altitudine di Cap Blanc Nez o anche solo i 45 metri di Cap Gris Nez, ancora di più. Un cordone di spiagge, scogliere e falesie a separare la dolce distesa ondulata delle colline, dal mare irrequieto e turbolento. Nel cielo estenuanti battaglie tra le nuvole e il sole. E poi il vento a scompigliare l’erba delle dune, a far volare berretti e aquiloni. Ci si appaga con poco. Una bici, un monopattino, una passeggiata, un cono gelato, cercare conchiglie. La prossima alta marea cancellerà ogni orma, ogni traccia e la bassa marea regalerà di nuovo una pagina intatta su cui disegnare la storia di un’altra indimenticabile giornata.

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Mentre sulla spiaggia il tempo sembra sospeso e immobile, passano lenti i traghetti sullo Stretto, regolati dai loro rigidi orari di arrivi e partenze. Continuano imperterriti ad andare e venire, nella loro costanza di spolette infaticabili, del tutto incuranti della presenza a pochi chilometri del favoloso Eurotunnell, capace di collegare le due sponde senza dover affrontare le acque e la corrente. Una volta le fiabe e le leggende narravano di diavoli che costruivano ponti in una sola notte. Qui sembra che la stregoneria sia stata esagerata. Addirittura una galleria sotto il mare ad unire nel profondo del suolo ciò che in superficie rimane invariato e inesorabilmente separato.

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Facile sulla Côte d’Opale sentirsi dentro un quadro degli impressionisti Lévêque o Corot, che qui trovarono ispirazione e passione. Ma dobbiamo dire che a volte davanti a questi cieli tempestosi di nuvole vorticanti, che si fondevano con i colori del mare, come se il piombo e l’oro del cielo fossero vapore e fumo e l’aria avesse peso, densa di luce e di bagliori abbaglianti, è stato ancor più facile sprofondare e perdersi nella folle vertigine di un Turner. Saltavamo così da un dipinto all’altro, da un’ispirazione all’altra, in un gioco di emozioni cangiante come la luce, volubile come il vento.

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Tornano a riva, esausti e felici, con i muscoli stanchi, i capelli bagnati e la salsedine sul viso. Sono gli amici del mare e del vento. Quelli che giocano sul filo dell’onda, quelli che imparano a conoscere il guizzo dell’aria. a danzare tra cielo e acqua. Quelli che sudano e faticano per brevi momenti di ebbrezza. Per la conquista fragile di attimi di pura felicità .

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Nella pagina seguente: sul Cap Blanc Nez bruscamente la dolcezza del terreno si interrompe. Un taglio netto sopra le falesie ripide e dirupate davanti alla distesa misteriosa del mare. In lontananza il faro Di Cap Gris Nez e di fronte, nella nebbia della distanza, come una visione che appare e scompare, la barriera compatta delle scogliere britanniche. I traghetti che vanno e vengono sembrano voler legare le due rive tessendo bianchi fili con le loro scie di spuma che subito le onde cancellano.

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In cima a Cap Blanc Nez i gabbiani tornano ad essere i selvatici predatori che sono e non piĂš gli elemosinatori di avanzi di cibo del lungomare di Wissant o Wimeraux. I loro voli e le loro grida aspre graffiano le nuvole. Voltando le spalle al mare, lo sguardo spazia su


sinuose colline. Solo prati e campi ondulati di lino e frumento, continuamente spazzolati da un vento corsaro e ribelle che fa correre onde come brividi sull’erba luccicante e acquattare le pecore nei pascoli.


Mai guardare l’orologio sulla Côte d’Opale. Solo aspettare tranquillamente l’alta e la bassa marea e regolarsi su questo ciclo ancestrale. Semplicemente accordarsi con il respiro profondo della terra. Il ritmo della vita. Alzarsi e abbassarsi. Avanzare e arretrare. Crescere e calare. Un tempo per andare e uno per tornare. Tutto gira intorno a questa altalena senza fine. Lo sa il mollusco nella sabbia che aspetta che l’onda arrivi, lo sa il gabbiano che attende che se ne vada. Lo sanno i bambini nell’incoscienza visionaria dei loro giochi.

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INFO UTILI Foto e testi di Antonio e Giuliana Corradetti

La Côte d’Opale si trova nella regione del Nord- Pas-de-Calais, nella Francia settentrionale. É un tratto di costa lungo circa 120 km tra le località di Calais e Berck sur Mer, affacciato sulla Manica, di fronte alle coste inglesi. Oltre a suggestive località balneari, da visitare il Gran Sito dei Due Capi (Cap Blanc Nez e Cap Gris Nez) che si sviluppa per 23 km lungo il litorale, offrendo spettacolari paesaggi sullo Stretto e sulle colline dell’interno. Il Parco Naturale Regionale dei Caps e Marais d’Opale è di grande interesse per i suoi tesori naturali e la grande varietà di percorsi di randonnée nel cuore della natura. Calais è facilmente raggiungibile da Parigi da cui dista solo 288 km. Link utili Côte d’Opale Nord-Pas-de-Calais Ente del turismo francese

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| TRIESTE PORTA D’EUROPA

Con la progressiva espansone a est dell’Europa la posizione geografica di Trieste, un tempo defilata, si è fatta più centrale. E in città, ponte tra Europa occidentale e centro-meridionale, sono rifioriti i commerci e splendono più vive che mai le boiserie dei caffè storici.

ITALIA

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In apertura: Trieste, fulcro della regione storica - geografica della Venezia Giulia, fa da ponte tra Europa occidentale ed Europa centro meridionale. Qui si mescolano caratteri e cultura mediterranea e mitteleuropea, la grande piazza unità d’Italia è il punto d’incontro, il salotto buono di una delle città più belle d’Italia. Doppia pagina precedente: una vista dall’alto della città affacciata sul porto e sul lungo pontile. In questa pagina in alto: una delle statue affacciate al mare davanti piazza unità d’Italia ritrae un bersagliere con la bandiera di Trieste al vento.

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Parco del Castello di Miramare. Una donna legge un libro nel silenzio del parco di Miramare. I lavori del parco sono iniziati nel 1856, progettato e organizzato da Carl Junker ora ha una superficie di ventidue ettari affacciati sul mar Mediterraneo.

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Castello di Miramare. “O Miramare alle tue bianche torri, attediate per lo ciel piovorno, fosche con volo di sinistri augelli vengono le nubi”. Giosuè Carducci. Odi Barbare. Miramare.

Il castello di Miramare fu una residenza della corte Asburgica. ll complesso fu costruito nell’omonima frazione di Trieste per volere di Massimiliano d’Asburgo - Lorena, arciduca d’Austria e imperatore del Messico, per farne la propria dimora, da condividere con la bellissima moglie Carlotta del Belgio. Il castello affacciato sul golfo di Trieste è uno dei musei più visitati; tutto sembra rimasto come al tempo dei due innamorati e la visita dona grandi emozioni.

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Sopra: Porto vecchio è ancora in minima parte restaurato e riqualificato e resta uno stupendo e imperdibile esempio di archeologia industriale. Fu il porto più importante d’Europa e principale sbocco marittimo dell’impero Asburgico, che già nel 1719 gli riconobbe lo status di porto franco. Un’area immensa, Il suo completo restauro è una delle sfide più grandi che la città si appresta a vincere. Esiste già un progetto molto ambizioso per la sua riqualifica, presentato nel mese di maggio del 2017.

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Sotto: l’arco di Riccardo sorge in piazzetta Barbacan ed è uno dei più importanti monumenti d’epoca romana. Fu costruito al tempo di Ottaviano Augusto intorno al 33 a.C. e da sempre si ritiene che fosse una delle porte della cinta muraria della città di Trieste antica.

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Pescatori alla fine di una gara di pesca, i loro volti denotano l’attesa per il risultato finale, poi vincitori e vinti festeggeranno insieme davanti a uno spriz o con del buon vino della regione.

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Alla Società triestina Canottieri Adria 1877 c’è tanto fermento: tutto deve essere perfetto, pronto per un’importante gara. Si armano le barche per una delle tante sfide che li vede sempre protagonisti: quest’anno si celebrano i 140 anni della loro storia.

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“Il Pedocin” com’è chiamato il bagno più famoso di Trieste rimane aperto anche in inverno grazie al volere delle tante signore che lo frequentano. È un bagno storico e unico in tutta Europa: qui, infatti, si rispetta ancora la tradizione che prevedeva i bagni separati per uomini e donne.

Nei mesi estivi la pausa pranzo al “Pedocin” è un must, il bagno è preso d’assalto in particolare nell’area femminile. I frequentatori più assidui hanno le sedie con il loro nome e trovare un lembo spiaggia per posare l’asciugamano è un’impresa. Ma al “Pedocin “non si può mancare, è come un rito che si perpetua sin dal tempo del regno asburgico.

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A sinistra: Piazza Unità d’Italia: al Caffè degli Specchi un lavorante porta sul trono, che sarà posto come tutte le mattine davanti al caffè storico in bella vista, un cartello che illustra i cento modi per fare un buon caffè. A destra in alto: la chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo svetta nel “Borgo teresiano” di Trieste. Venne costruita nel periodo di grande sviluppo della città per far fronte alle esigenze religiose (fine ‘700 - inizi ‘800. Sotto: una studentessa festeggia con tanta ironia la sua laurea.

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Il Canal grande di Trieste si trova nel borgo Teresiano ed è navigabile con imboccatura dal bacino di San Giorgio del Porto vecchio. Il canale fu realizzato dal 1754 al 1756 dal Veneziano Matteo Pirona.

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Uno scorcio interno dello storico “Caffè Degli Specchi”. Fondato nel 1839, dominava quella che un tempo si chiamava “Piazza Grande “da sempre punto di ritrovo irrinunciabile per turisti e cittadini. Il caffè negli anni ha subito restauri, ma ancora tre degli specchi interni sono originali. Ai suoi tavoli si sono seduti personaggi illustri come James Joyce e Italo Svevo.

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Nella doppia pagina precedente: una immagine notturna della bellissima piazza Unità d’Italia. In questa pagina in alto a sinistra: il Museo di Storia e Arte è situato sulla collina di San Giusto e contiene importanti reperti di arte egizia, greca e romana. In una sala ad esso dedicata, troneggia il pezzo più importante: il Rhyton d’argento, un vaso per libagioni rituali a testa di cerbiatto di eccezionale fattura del V secolo a.C. In basso: la facciata del tempio Serbo-Ortodosso della Santissima Trinità e di San Spiridione in stile Bizantino, la chiesa è stata consacrata il 24 dicembre 1885e firmata dall’architetto Carlo Maciachini.

Il ricco interno della chiesa Ortodossa di San Nicolò dei Greci. La chiesa fu costruita con un lascito di Maria Teresa nel 1751. Fu eretta in onore dei commercianti Greci, la cui presenza a quei tempi era di grande importanza, ma anche per garantire supporto alla comunità Greca contro le persecuzioni dell’autorità Ottomana.

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Un infuocato tramonto al porto di Trieste con sullo sfondo il vecchio faro. A fianco in alto: al caffè San Marco si balla il tango e l’atmosfera diventa una magia: si rincorre il passato nell’unico antico caffè rimasto intatto a Trieste. Da qui sono passate letteratura e storia. Il caffè aprì i battenti nei primi mesi del 1914 diventando subito punto di ritrovo della gioventù irredentista. Pochi mesi dopo, il 28 giugno del 1914, l’attentato di Sarajevo e l’uccisione dell’erede al trono di Austria e Ungheria scatenarono la guerra. Il caffè diventò anche punto stamperia clandestina di passaporti falsi per gli irredentisti, che non volevano combattere per il nemico. Ai giorni nostri rimane un appuntamento imperdibile quando si visita Trieste.

A fianco: in pieno centro storico una porta aperta conduce lo sguardo su quattro amici che giocano a carte in una stanza piena di mobili di antiquariato e carica di storia.

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Il Sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, nella foto con la moglie in Piazza UnitĂ D’Italia, è molto amato dai triestini, che lo hanno eletto per la terza volta primo cittadino di Trieste.

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INFO UTILI Foto e testi di Graziano Perotti CO M E A R R I VA R E In automobile: le vie di accesso alla città sono sostanzialmente quattro: A4 Venezia - Trieste, casello del Lisert, uscita “Sistiana” e SS.14 “Costiera” – è la più panoramica e quindi la preferita dai turisti. Ne vale la pena per vedere Trieste e il suo mare; A4, casello del Lisert, SS202 – attraversa l’altopiano, non si arriva direttamente in centro e quindi è più facile perdersi. Dall’Istria si passa per il confine di Stato di Rabuiese (Muggia) e si segue la SS 15 “Via Flavia” – è turisticamente brutta ma porta in centro. Dalla Slovenia (Lubiana) si passa il confine di Stato di Fernetti (SS 58 “Carniola”), si passa per il paese di Opicina e si scende lungo strada nuova per Opicina. C’è anche la possibilità di parcheggiare la macchina e di scendere dalle alture con il caratteristico antico tram (molto turistico). In treno si raggiunge la Stazione Centrale di Trieste, a pochi minuti dalla piazza Unità d’Italia.

D OV E D O R M I R E Hotel Ecxelsior Palace in Riva del Mandracchio 4. Centrale, affacciato sul golfo di Trieste, 10 minuti a piedi dalla spiaggia. S* Gran lusso. Grand Hotel Duchi d’Aosta in Piazza Unità d’Italia 2. Hotel storico, fascino ottocentesco e comodità di oggi. D OV E M A N G I A R E Caffè San Marco via Battisti 18. Locale storico, fondato nel 1914, da sempre ritrovo degli intellettuali. Tel +39-0400641724. Trattoria alla Speranza. Senza fronzoli ma uno dei migliori ristoranti di Trieste, Via dell’Istria 64. Tel+39-040762624 Link utili Musei di Trieste Per tutte le informazioni per una visita alla città contattare Trieste turismo.

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| LA STORIA DI BLESSING

Il coraggio delle ragazze che si sono ribellate alla disumana tratta. Dalla Nigeria all’Italia con la promessa di lavori onesti, si ritrovano sulla strada. Ora la onlus Mai piÚ schiave le aiuta a rifarsi una vita.

NIGERIA

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In apertura: ex vittima di tratta, costretta a prostituirsi in Italia, Blessing è una giovane nigeriana che ha avuto il coraggio di denunciare i suoi sfruttatori e di ricostruirsi una vita come mediatrice culturale. Tra l’Italia e la Nigeria, cerca di prevenire il traffico di altre donne e di dare un supporto alle vittime, ragazze spesso giovanissime e sprovvedute, ridotte in una condizione di vera e propria schiavitù per lo sfruttamento sessuale. Alle pagine seguenti: Joy Beauty, Gift, Mabel e Joy Uromi sono alcune delle ragazze vittime di tratta, che sono potute ritornare in Nigeria ed aprire dei piccoli commerci grazie all’aiuto della ONLUS italiana Slaves no More presieduta dalla signora Eugenia Bonetti.

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A sinistra: Joy davanti all’ingresso del bar di sua madre nella cittadina di Uromi, nello stato di Edo in Nigeria. Quasi tutte le ragazze vittime di tratta che, dalla Nigeria arrivano in Italia, provengono proprio da questo stato con capoluogo Benin City. Foto sopra: Joy Beauty nel piccolo negozio che l’associazione che ha provveduto al suo rimpatrio le ha aperto a Lagos. Slaves no More si occupa di sostenere finanziariamente le ragazze che ritornano in Nigeria per un periodo di 2 anni, in modo che possano ricominciare una nuova vita con dignità .

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Doppia pagina precedente: Blessing di fronte alla laguna di Badagry. Tra il XVI ed il XVIII sec. Badagry fu uno dei principali porti dell’Africa Occidentale, da dove partivano le navi negriere con i loro carichi di schiavi verso il Nuovo Mondo. Oggi sono queste ragazze, vittime di altri, non meno efferati sfruttatori a rappresentare un nuovo modello di schiavitĂš. Qui sopra Blessing in preghiera nel cortile di una chiesa di Lagos. Molto religiosa, Blessing venne circuita con false promesse per venire in Italia, proprio da una persona molto devota che frequentava una chiesa pentecostale di Benin City. La signora in questione le raccontò che avrebbe potuto raggiungere suo fratello in Europa, che aveva da poco aperto un negozio di computer e necessitava di una commessa esperta in quel campo.

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“Solo quando mi fu chiesto di restituire 65.000 € alle persone che mi avevano fatto venire in Italia, mi resi veramente conto di essere caduta nelle mani dei trafficanti. Ancora oggi mi chiedo come possa essere stata così ingenua e sprovveduta da cadere in quella trappola”, sono le parole che Blessing usa spesso per raccontare la sua disavventura al mondo. Tra le vittime di tratta, sono pochissime quelle come lei che decidono di esporsi in prima persona, partecipando a incontri pubblici su questo dramma che affligge moltissime sue connazionali.

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Doppia pagina precedente dall’alto in senso orario: Blessing con Rita, una delle ragazze vittime di tratta rimpatriate da Slaves no More, nel negozio di parrucchiera che l’associazione ha affittato per lei a Benin City. Blessing con una ragazza che si congratula per il suo coraggio dopo un intervento sulla tratta di esseri umani, tenuto nella chiesa di St. Ferdinand a Ipaja, un quartiere periferico di Lagos. Juliet, una delle ragazze vittime di tratta rimpatriate da Slaves no More, nel piccolo commercio che l’associazione ha organizzato per lei a Lagos. Blessing con una sua amica ed ex collega di Benin City, dove, dopo una laurea in informatica, lavorava in un negozio occupandosi di computer.

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Nel 2016 Blessing è tornata per la prima volta in Nigeria, dopo 3 anni passati in Italia È tornata anche nel villaggio natale, dove abitano i suoi familiari. Lei non aveva raccontato a nessuno del suo ritorno e l’incontro con amici e parenti è stata una cosa particolarmente toccante ed emozionante. Dopo la sua fuga dai trafficanti, Blessing è tuttora molto preoccupata che questi possano rivalersi sulla sua famiglia, per cercare di recuperare i soldi che pretendono da lei.

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Doppia pagina precedente: uno scorcio del villaggio natale di Blessing. Oggi nelle cittĂ le notizie sul traffico di esseri umani iniziano a circolare e i trafficanti si recano in villaggi sempre piĂš sperduti per reclutare le loro vittime. In queste situazioni il trafficante si presenta come un benefattore, come colui che aiuterĂ la famiglia, oltre che la ragazza, a uscire dalle condizioni di povertĂ in cui vive, portandola in Europa per trovarle un lavoro. Sopra: immigrati africani a Castelvolturno dove, nel 2008, sei di loro vennero uccisi a colpi di pistola dalla camorra.

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Un’immigrata nigeriana nella sua casa di Castelvolturno. La maggior parte degli immigrati africani maschi di Castelvolturno lavorano nei campi, mentre le femmine, provenienti soprattutto dalla Nigeria, sono costrette a prostituirsi, spesso sfruttate da connazionali che agiscono in combutta con la criminalità organizzata italiana.

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Mercy e Joy Beauty sono due delle ragazze vittime di tratta rimpatriate da Slaves no More. Una volta rientrate in Nigeria le ragazze vengono accolte nella casa del COSUDOW (Committee for the Support of Dignity of Women) di Lagos, che poi le aiuta a trovare una sistemazione abitativa privata, oltre a un sostegno economico temporaneo per aprire una propria attivitĂ .

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Una pantera in bronzo, uno dei simboli dell’antico regno di Benin. La maggior parte delle ragazze nigeriane vittime di tratta che arrivano in Italia provengono da Benin City, capoluogo dello stato di Edo. In passato la città fu la capitale di un potente regno che, tra il XV ed il XIX secolo, occupava l’intero territorio dell’attuale Nigeria, e intratteneva rapporti commerciali con le varie nazioni europee. Nel 1897 le truppe britanniche invasero il regno occupando la capitale, distrussero il palazzo reale e derubarono molte opere d’arte costituite da grandi bronzi.

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Doppia pagina precedente: tossicodipendenza e prostituzione sono gli elementi che regolano la vita in questo gigantesco edificio abbandonato di Castelvolturno. Nella città alle porte di Napoli, anche Blessing fu costretta a prostituirsi una volta arrivata in Italia, prima di denunciare la propria situazione alla polizia. In alto a sinistra festa di compleanno di una famiglia nigeriana in un bar di Castelvolturno. In questa pagina sopra: Blessing sull’aereo che la sta riportando in Nigeria per la prima volta dopo 3 anni passati in Italia ed essere riuscita a fuggire dai trafficanti, che la obbligarono a prostituirsi.

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Destinazione Lagos, appare sul monitor del sedile dell’aereo di fronte a lei. Blessing torna in Nigeria per una visita alla famiglia e per accompagnare una delle giovani che rientra in Nigeria con il figlio, grazie a un progetto di rimpatri assistiti, promosso da Slaves no More. L’associazione è presieduta da suor Eugenia Bonetti, che da vent’anni si occupa di questo problema, ricevendo numerosi riconoscimenti sia in Italia che all’estero.

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Situazioni di ordinario degrado e volgarità per le strade di Castelvolturno. La città alle porte di Napoli vanta una tra le più alte percentuali di immigrati, in buona parte provenienti dall’Africa Occidentale. I maschi sono in massima parte cittadini del Ghana e sono prevalentemente impegnati nella raccolta di prodotti agricoli, finendo vittima del caporalato, mentre le ragazze sono quasi tutte nigeriane vittime, più o meno condiscendenti, della tratta di esseri umani.

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A Castelvolturno, tra i cumuli di spazzatura, a volte fanno bella mostra di sĂŠ yacht e auto lussuose, che con ogni probabilitĂ appartengono a camorristi locali. Proprio qui nel 2008, sei immigrati africani vennero assassinati a colpi di pistola dalla camorra. Un monito perchĂŠ nessuno si azzardasse a protestare contro le assurde condizioni di sfruttamento a cui vengono sottoposti i lavoratori a giornata nelle campagne circostanti.

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La strada statale che collega Castelvolturno a Napoli è uno dei luoghi dove le ragazze nigeriane sono costrette a prostituirsi. Questo fu anche il destino di Blessing che, dopo essersi recata in Spagna, dove la sua interlocutrice le aveva promesso un impiego nel negozio del fratello, venne spostata proprio nella città campana, dove scoprì quale doveva essere il suo vero lavoro. “Road work of course” le disse la sua madame alla richiesta di cosa avrebbe dovuto fare.

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A Castelvolturno Blessing venne messa al corrente che, non solo avrebbe dovuto prostituirsi, ma che avrebbe anche dovuto restituire la cifra di 65.000 Euro ai trafficanti che le avevano acquistato un biglietto aereo ed un falso visto per farla venire in Europa.

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A fianco in alto Blessing con Juliet, una delle ragazze vittime di tratta rimpatriate da Slaves no More, nel piccolo appartamento che l’associazione ha affittato per lei a Lagos. Le ragazze vittime di tratta come Juliet sono spesso giovanissime - molte ancora minorenni - e Blessing, che oggi è tornata in Italia e lavora a Caserta come mediatrice culturale (sotto), svolge anche il ruolo di dispensatrice di consigli a queste giovani, che si trovano totalmente spaesate nel tentativo di costruirsi una nuova vita.

Sopra: un giorno siamo tornati con Blessing sulla spiaggia di Castelvolturno. Con lei abbiamo compiuto una sorta di pellegrinaggio a ritroso nel tempo lungo il percorso che un giorno fece per recarsi alla stazione di polizia, dove decise di denunciare la sua condizione di vittima di tratta.

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Doppia pagina precedente: una ragazza all’uscita dalla chiesa di St. Ferdinand a Ipaja, un quartiere periferico di Lagos dove Blessing ha tenuto un suo discorso sulla moderna tratta di esseri umani. Il momento della comunione nella chiesa cattolica di St. Ferdinand. In Nigeria sono presenti moltissime chiese di vario genere, in particolare pentecostali. Hanno un seguito di massa enorme e alcune di esse sono dei veri e propri potentati politico economici, una sorta di stato nello stato. Proprio ad una di queste chiese pentecostali, Mountain of Fire, apparteneva la persona che la spinse nell’inferno della tratta.

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Uno dei capi tradizionali di Benin City. La cittĂ era la capitale di un potente regno tra il XV ed il XIX secolo. L’attuale Oba (re) è ancora una figura molto influente nella vita politica dello stato di Edo da dove partono la maggior parte delle ragazze vittime di tratta.

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Una statua in bronzo raffigurante una regina dell’antico regno di Benin. I bronzi rappresentano la massima espressione artistica di questo antico regno e molti pezzi originali furono trafugati dopo l’incendio del palazzo reale, avvenuto ad opera di una spedizione militare britannica nel 1897 che detronizzò l’Oba (re). I bronzi più belli sono oggi esposti al British Museum di Londra.

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INFO UTILI Foto e testi di Bruno Zanzottera

Blessing Okoedion ha raccontato la sua vicenda di schiavitù e di riscatto nel libro “Il coraggio della libertà” (Ed. Paoline), scritto con Anna Pozzi. Il libro è stato pubblicato nel febbraio del 2017 in occasione della Giornata mondiale contro la tratta di persone. Fortemente voluta da Papa Francesco - che ha definito il traffico di esseri umani un «crimine contro l’umanità» - questa giornata ha lo scopo di sensibilizzare su un fenomeno che riguarda dai 21 ai 35 milioni di uomini, donne e bambini nel mondo, trafficati e gravemente sfruttati soprattutto per la prostituzione e il lavoro forzato, ma anche per espianto illegale di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimoni precoci, adozione illegali, gravidanze surrogate e reclutamento di bambini-soldato.

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