170311
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I-ta-lia L'operaia Gianna. Falcone e Borsellino. Sandro. Garibaldi. Mohamed, italiano nuovo. Maria Cristina, guida scout. Don Milani. E Marco Anzolin di Rovigo. Questa è la nostra Italia, e ci piace così
e Satira/ Jack Daniel La fabbrica dell'unità e
Inchiesta Antonio Mazzeo: Gheddafi nell'industria militare italiana
Dopo il Giappone/ L'utopia che ci sta uccidendo || 17 marzo 2011 || anno IV n.106 || www.ucuntu.org ||
Società civile Le associazioni sottoscritte, nel momento in cui vengono da più parti riportati episodi sconcertanti che coinvolgono fra l'altro aspiranti al posto di procuratore capo al Tribunale di Catania, manifestano la propria preoccupazione per la nomina prevista in conseguenza del pensionamento del Dott. Vincenzo D’Agata e sottolineano la necessità che chi assumerà l’incarico riesca finalmente a disvelare e a rendere pubblico l’intreccio fra poteri economici, politici e mafiosi che, anche in campo nazionale, ormai è noto come il “ Caso Catania”. Come cittadini abbiamo il diritto di sperare in un futuro di legalità e giustizia per la nostra città. A questo scopo le Associazioni firmatarie del presente appello, così come già richiesto, auspicano che la nomina a procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una personalità di alto spessore che eserciti l'autonomia della magistratura rispetto al potere politico, che sia capace di operare al di fuori delle logiche proprie del sistema politico-affaristico della città, che possibilmente sia del tutto estranea all'ambiente cittadino, che provenga cioè da realtà lontane dall’humus siciliano e catanese in particolare, una personalità che favorisca il riscatto civile della nostra città e che contribuisca a restituirle orgoglio e dignità. Associazione Centro Astalli, AS.A.A.E., Assoc.CittàInsieme”, Assoc. Domenicani Giustizia e Pace, Laboratorio della Politica Onlus, La Città Felice, Assoc. Studentesca e Culturale "Nike", Comitato NO-TRIV, Assoc. Oltre la Periferica, Librino, Punto Pace Pax Christi Catania, Sicilia e Futuro, Associazione Talità Kum
*** La Sicilia è la regione dove si trova la maggior economia sommersa del paese, come recenti e qualificati studi hanno evidenziato, e gran parte dell’imprenditoria cheopera nell’isola usufruisce di complicità o alleanze con le organizzazioni criminali. La mafia ha esteso da tempo i suoi interessi nell'economia “legale”, dove l'accumulazione della ricchezza avviene attraverso relazioni e attività costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori scambiati con potentati economici, politici, professionali. Si è creato così uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in commistione. L'epicentro di questa "area grigia", dove si intrecciano gli interessi di mafia ed economia, è oggi Catania, come ribadito anche dal Presidente di Confindustria Sicilia.
APPELLI PER LA GIUSTIZIA A CATANIA Al Vicepresidente del CSM Alla Commissione Uffici Direttivi e p.c. Al Presidente della Repubblica Una città dove, da anni, diversamente che a Palermo o Caltanissetta, l'azione di contrasto della Procura è stata assolutamente inefficace. Emblematica, da questo punto di vista, è apparsa la gestione dell’inchiesta che ha coinvolto il governatore Lombardo e il fratello Angelo. Gli inquirenti si sono divisi sui provvedimenti da assumere in merito all'esito delle indagini sul Presidente della Regione. Il Procuratore D'Agata, nelle prese di posizione pubbliche, ha dato l’impressione di un evidente imbarazzo e fastidio nei confronti dell’inchiesta; in un'intervista rilasciata a Zermo, sul quotidiano di Ciancio (a sua volta indagato in altro procedimento), sembra esprimere contrarietà per le considerazioni espresse da Ivan Lo Bello sul peso dell'imprenditoria mafiosa a Catania. Infine, una fotografia pubblicata in questi giorni ha riacceso i riflettori sul “caso Catania”, una vicenda giudiziaria nata dalla denunzia di Giambattista Scidà che lanciò l’allarme di contiguità tra criminalità mafiosa e frange della magistratura etnea. Alla luce di tutti questi fatti e alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Repubblica, facciamo appello al Csm affinché la Procura di Catania abbia finalmente un Procuratore capo assolutamente estraneo ai giochi di Palazzo e all’intreccio delle poco chiare vicende catanesi. Un magistrato che non subisca le forti interferenze esterne che hanno condizionato da decenni la direzione della Procura catanese. Giolì Vindigni, Gabriele Centineo, Mimmo Cosentino, Angela Faro, Santa Giunta, Vincenza Venezia, Salvatore Cuccia, Luciano Carini, Giuseppe Di Filippo, Enrico Giuffrida, Lillo Venezia, Claudio Novembre, Massimo Blandini, Marzia Gelardi, Maria Concetta Siracusano, Francesco Duro, Margherita Ragusa, Antonella Inserra, Mario Pugliese, Giovanni Caruso, Elena Maiorana, Tuccio Giuffrè, Rosa Spataro, Paolo Parisi, Marcella Giammusso, Giuseppe Pappalardo, Raffaella Montalto, Giovanni Grasso, Federico Di Fazio, Claudio Gibilisco, Riccardo Orioles, Elio Impellizzeri, Ignazio Grima, Angelo Morales, Pippo Lamartina, Andrea Alba, Matteo Iannitti, Valerio Marletta,
Marcello Failla, Alberto Rotondo, Riccardo Gentile, Barbara Crivelli,Massimo Malerba, Enrico Mirabella, Maria Lucia Battiato, Mauro Viscuso, Sebastiano Gulisano, Aldo Toscano, Anna Bonforte, Grazia Loria, Pierpaolo Montalto, Toti Domina, Fabio Gaudioso, Giovanni Puglisi, Titta Prato, Maria Rosaria Boscotrecase, Lucia Aliffi, Fausta La Monica, Salvatore Pelligra, Anna Interdonato, Lucia Sardella, Federica Ragusa, Alfio Ferrara, Federico Urso, Paolo Castorina, Giusi Viglianisi, Laura Parisi, Gaetano Pace, Luigi Izzo, Alberta Dionisi, Carmelo Urzì, Pina De Gaetani, Giusi Mascali, Marcello Tringali, Daniela Carcò, Giulia D’Angelo, Alessandro Veroux, Ionella Paterniti, Francesco Schillirò, Francesco Fazio, Tony Fede, Antonio Presti, Luigi Savoca, Salvatore D’Antoni, Alessandro Barbera, Vito Fichera, Stefano Veneziano, Pinelda Garozzo, Francesca Scardino, Irina Cassaro, Carmelo Russo, Franco Barbuto, Maria Luisa Barcellona, Nicola Musumarra, Angela Maria Inferrera, Michele Spataro, Giuseppe Foti Rossitto, Irene Cummaudo, Carla Maria Puglisi, Milena Pizzo, Ada Mollica, Maria Ficara, Rosanna Aiello, Rosamaria Costanzo, Mario Iraci, Giuseppe Strazzulla, M. C. Pagana, Vincenzo Tedeschi, Nunzio Cinquemani, Francesco Giuffrida, Maria Concetta Tringali, Maria Laura Sultana, Giovanni Repetto, Giusi Santonocito, Marco Sciuto, Tiziana Cosentino, Emma Baeri, Renato Scifo, Luca Cangemi, Elisa Russo, Angela Ciccia, Alfio Fichera, Giampiero Gobbi, Domenico Stimolo, Piero Cannistraci, Roberto Visalli, Mario Bonica, Claudio Fava, Giancarlo Consoli, Maria Giovanna Italia, Riccardo Occhipinti, Giuseppe Gambera, Orazio Aloisi, Antonio Napoli, Giovanni Maria Consoli, Elsa Monteleone, Francesco Minnella, Antonia Cosentino, Sigismonda Bertini, Giusi D’Angelo, Lucia Coco, Fabrizio Frixa, Santina Sconza, Felice Rappazzo, Concetto De Luca, Maria Luisa Nocerino, Alessio Leonardi, Renato Camarda, Angelo Borzì, Chiara Arena, Alberto Frosina, Gianfranco Faillaci, Daniela Scalia, Lucia Lorella Lombardo, Pippo Impellizzeri, Giuseppe Malaponte, Antonio Mazzeo, Marco Luppi, Ezio Tancini, Aldo Cirmi, Luca Lecardane, Rocco Ministeri, Gabriele Savoca, Fulvia Privitera, Daniela Trombetta, Vanessa Marchese, Edoardo Boi, Stefano Leonardi, Ivano Luca, Maria Crivelli, Guglielmo Rappoccio, Grazia Rannisi, Elio Camilleri, Rosanna Fiume, Alfio Furnari, Claudia Urzi, Luigi Zaccaro, Daniela Di Dio, Gigi Cascone, Ettore Palazzolo, Nunzio Cosentino, Matilde Mangano, Andrea D'Urso, Daniela Pagana, Stefania Zingale, Concetta Calcerano, Luana Vita, Maria Scaccianoce, Costantino Laureanti, Pierangelo Spadaro, Paola Sardella, Luisa Gentile, Antonio Salemi, Antonino Sgroi...
|| 17 marzo 2011 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||
Politica
L'utopia dello struzzo e chi ci bagna il pane
Il “mercato”, il consumo e il “progresso” illimitati vanno benissimo per i Grandi Animali, ma sono la morte per noi comuni esseri umani. “E' sempre stato così”. Sì, ma qua finisce male “No all'emotività! Forza, nucleare!”. Sarebbe facile polemizzare col nostro signor governo e la nostra confindustria che, mentre i tedeschi chiudono le centrali e i giapponesi cercano disperatamente di salvarsi la pelle, non sanno dire altro che “E' successo qualcosa?”. Facile, ma in fondo ingiusto. Perché la bestialità della nostra orribile classe dirigente, la più disumana e la più ignorante che questo disgraziato Paese abbia mai avuto, fa leva sul nostro sogno, sulla nostra inespressa ma convintissima utopia: che possiamo andare avanti tranquillamente così, sfruttando sempre più la natura, picchiando chi riceve di meno e ruttando felici in un dopo-pranzo sempre più inacidito. Non è così. Il Giappone, molto più civile e tecnologico di noi, era sopravvissuto a duemila anni di terremoti e tsunami: e adesso sta crepando semplicemente perché (a dispetto di una sua cultura antichissima, bollata come “”vecchia” e “superata”) s'è messo a costruire centrali nucleari in mezzo alle faglie sismiche. Modernissime, “sicure”, dotate (tranne quella mantenuta in servizio per le pressioni dei politici) della migliore tecnologia. E sono saltate per aria. Perché? Per lo stesso motivo per cui si rompe un vaso in una stanza in cui si gioca a pallone, per semplice statistica: prima o poi. E perché, se lo sapevano, non si sono organizzati? Per semplice rimozione mentale, come lo struzzo: per eliminare il pericolo non bastava “rendere più sicure” le centrali (o mettere il vaso un po' più in alto), bisognava abolirle del tutto (“Bambini, in questa stanza non si gioca a pallone”). Ma questo avrebbe significato treni un po' meno veloci, automobili un po' meno grosse, e così via (“Ahhh... cattiva mamma! Non ci vuoi fare giocare!”). La gente, non solo i politici, non l'avrebbe accettato. La stessa gente che adesso è intenta a razionarsi l'acqua e a seppellire i morti. “Il Giappone è lontano”. No, il Giappone è qua. Intanto, perché fra un anno probabilmente dovremo stare più attenti all'acqua che beviamo, all'insalata che mangiamo e così via (e già c'era da stare attenti prima). Poi perché la crisi economica (l'economia è mondiale) sarà tremenda e la pagheremo, anche qua, noi semplici cittadini.
E poi perché il modello Giappone (con molta più rozzezza e intrallazzo, all'italiana) è esattemente il nostro, quello in cui viviamo: comprarsi più giocattoli, fregarsene della natura, manganellare i poveri, sedare con chiacchiere e botte le spaventate proteste (“Che avvenire ho?”) dei nostri figli. Illudendoci che funzioni, che vada avanti. L'utopia dello struzzo: testa sotto la sabbia, chiappe all'aria, convinto che il pericolo è lontano e che tutto va bene. Non serve una “svolta politica” (certo che serve, e subito: ma non basta). Ci vuole proprio una svolta di sistema. Socialismo, buddismo, impero Ming? E che ne so: io voglio semplicemente salvarmi la pelle, e voglio non essere pisciato addosso nella mia tomba da mio nipote - se sopravviverà e se ci saranno ancora delle tombe. Voglio che cambi parecchio, e non solo alla superficie, e anche alla svelta. La mia vita, e quella del mio nipotino, non può restare in balia di pazzi politici, terremoti, multinazionali ciniche ed economie senza controllo. Per i terremoti non ci possiamo far niente. Ma per il resto sì, e dobbiamo sbrigarci perché c'è poco tempo. *** Che notizie stranissime (lette vent'anni fa) eppure normalissime (adesso) sui giornali. “Tragedia in mare, 40 emigranti annegati”. Ma perché non avevano una nave più sicura? Perché non prendevano il traghetto? Ah: ora è vietato. “Sta vincendo Gheddafi. Il re saudita manda i soldati contro la folla”. Ma non stava arrivando la democrazia, anche lì? Ma non eravamo tutti contenti per questo? Ah: però il petrolio a noi ce lo dava il re saudita e Gheddafi, e quindi tutto sommato stiamo appoggiando loro.
“Operai Fiat. Non se ne parla più”. Ma non era la più grande industria italiana? Ma davvero la lasciate finire all'estero così? E tutti 'sti lavoratori, e i vostri figli, davvero debbono spaccarsi l'anima tutta la vita così, a lavorare in caserma, senza diritti? Ah: è il management moderno, è il mondo nuovo. *** Buone notizie? Vi do anche quelle, ma a patto che non vi servano (sotto la sabbia) a tranquillizzarvi ma a svegliarvi un po'. Libera ora fa il suo convegno, il 19 a Potenza, convegno nazionale da tutto il Paese. Chi ci può andare ci vada: è un po' moscia Libera da un po' in qua, ma è pur sempre la più grande organizzazione antimafia, il nostro - di noi antimafiosi - “sindacato”: criticatela, dunque, ma fatela diventare sempre più forte e portatela avanti, ché là dentro c'è iun pezzetto di tutti noi. L'altro sindacato, la Cgil, ci chiama invece a raccolta per il sei maggio, lo Sciopero Generale. Sarà una giornata importantissima; probabilmente, in bene o in male, il giorno della svolta. Anche questa è antimafia, e speriamo che la Cgil lo capisca. Comprendiamolo noi per intanto, con l'esperienza che abbiamo, profondamente. Dai giochi dei politici – per lo più in buona fede - non aspettiamoci niente. Non è che non vogliano, è che semplicemente sono su un altro pianeta. Dal pazzo Berlusconi all'astuto Fassino, dal generoso Vendola al machiavellico Fini, nessuno ha mai dormito alla stazione né sa quanto costa una scatoletta di tonno. Noi sì. Noi non siamo col popolo. Siamo nel popolo, una parte minimissima di esso. Con tutte le sofferenze, ma senza illusioni, dell'umanità quotidiana del paese. Per questo “facciamo politica”, a modo nostro e con serietà, e la facciamo bene. Bisogna abolire la mafia. Bisogna cambiare il sistema. Bisogna pensare a vivere diversamente, con meno giocattoli ma più felici. Bisogna pensare al mio nipotino e a tutti gli altri Lorenzi, ché già la vita umana è difficile e non occorre aggiungerle altri dolori. E tu forza, sorridi, amica mia: adispetto di tutto, una volta ancora, come la natura o il dio hanno costruito, fra poco è primavera. Aggrappiamoci a questo, lottiamo per difenderlo e farlo continuare. Riccardo Orioles
|| 17 marzo 2011 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||
Lavori in corso
Mezzi e contenuti: tutto è più libero Si è concluso il 13 marzo, dopo due intense giornate, il workshop "Libera stampa in libero software", attività operativa per la formazione sugli strumenti dell'informatica libera nella libera informazione, organizzato dall'associazione "Lavori in corso" in collaborazione con il Gnu/Linux User Group di Catania. Un elemento che ha reso l’evento quanto meno insolito è stata l’ampia partecipazione di “non addetti ai lavori”. I partecipanti facevano parte di diverse categorie di persone: studenti, volontari, musicisti, agronomi, periti industriali, eccetra: gente comune insomma. Hanno accolto con interesse l’intenzione trasmessa dal workshop: affrontare un argomento dal taglio molto particolare, solitamente poco preso in considerazione anche da chi fa informazione, ma dall'importanza strategica. Poche le testate giornalistiche presenti. Presenti invece alcuni ragazzi del periodico "il Clandestino" di Modica e del "Poetry HackLab" di Palazzolo. Il lavoro di questi due giorni ha permesso di far conoscere e sperimentare gli strumenti che fanno da “contenitore” alle parole, ai racconti, alle cronache, alle inchieste e ai dossier affinché i fatti che avvengono nella vita delle persone, se raccontati in un certo modo, ritornino sotto forma di informazione. Libera perché raccontata così, senza bavagli, senza censure e senza menzogna. Senza omertà, senza mafia. La spiegazione iniziale sulla politica
La due giorni di lavori del workshop ospitato a Catania dal Gapa sull'incrocio delle libertà informatiche e informative. Giornalisti e utenti Gnu/Linux insieme. La cronaca
dell’editing libero e delle condizioni oggettive, di monopolio e di censura che hanno permesso questa scelta, sembra riverberare durante tutto l’arco della giornata di sabato 12, attraverso le parole dei ragazzi del G/Lug che spiegano il funzionamento del sistema operativo. Viene introdotto e spiegato Open Office Writer, il "contenitore" con il quale è impaginato il settimanale on-line Ucuntu. Attraverso le esercitazioni si è potuto passare dalla spiegazione all’utilizzo, mediante il semplice “copia e incolla” dell’articolo scritto all’interno delle gabbie preimpostate e liberamente messe a disposizione di chiunque voglia pubblicare un giornale. Basta scaricarle dal sito. L’esercitazione ha permesso a ciascuno, sulla base delle gabbie utilizzate a modello, di creare una pagina a due o tre colonne, sulla quale decidere il sommario, le foto e tutti gli altri elementi.
Scribus, il programma di impaginazione, è stato approfondito descrivendo le possibilità e sottolineando come il suo impiego risulti più "prestante" nella sua versione per Linux rispetto a quelle per gli altri sistemi operativi. Il secondo giorno di lavori è stato altrettanto intenso. Le immagini sono state intrappolate e sezionate attraverso i due programmi di grafica bitmap e vettoriale, Gimp ed Inkscape. Il cerchio dell’informazione on-line si è chiuso, insieme al corso, con l’approfondimento di un programma per la gestione dei contenuto di un sito web chiamato Wordpress, appartenente alla categoria dei Content Management System (Cms). Il workshop è stato accolto con entusiasmo e così è stato salutato dai partecipati. I prossimi obiettivi avranno probabilmente a che vedere con una risoluta decisione: non lasciare che la libera informazione si privi di ogni possibile evoluzione nel campo informatico ed informativo; affinché possa viaggiare libera da padroni, da censure e da chiusure. Il workshop è stato accolto con entusiasmo e così è stato salutato dai partecipati. I prossimi obiettivi avranno probabilmente a che vedere con una risoluta decisione: non lasciare che la libera informazione si privi di ogni possibile evoluzione nel campo informatico ed informativo; affinché possa viaggiare libera da padroni, da censure e da chiusure. Rosalba Cancelliere
|| 17 marzo 2011 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||
Lavori in corso
Salsiccia geek per tutti Già dopo un paio d'ore dall'inizio dei lavori, il workshop era scappato di mano. Tutti i partecipanti erano stati invitati a portare una chiavetta usb vuota per clonarci sopra Ubuntu/Linux. Alle riunioni dello staff preparatorie dell'evento si era detto: «non facciamo le istallazioni.Facciamo che tutti lanciano il sistema operativo dalla chiavetta, che sennò poi si crea confusione perché dovremo smazzarci i piccoli problemi con l'hardware». Ma quando Emanuele Cammarata sabato mattina ha fatto vedere sul proiettore l'istallazione, si sono buttati tutti a pesce e nessuno è stato ad ascoltare il consiglio di farlo girare "live". A quel punto che si può fare? L'ultima cosa è tirarsi indietro e smorzare il ben riposto entusiasmo. Per fortuna problemi seri non ce ne sono stati e a ora di pranzo si era già formata una nuova ventina di utenti Gnu/Linux. A ripercorrere con la memoria quello che succedeva qualche era geologica fa c'è da rimanere sbalorditi. Al primo "Installation day" a Catania nel 2000 si presentarono in trenta: due col computer e ventotto per guardare. Ai giorni nostri invece succede che a un workshop con un taglio molto particolare, quale quello dell'incrocio tra libertà del software e della stampa, continuino ad arrivare accorate richieste oltre la data di chiusura delle iscrizioni.
Mondi che si contaminano, goliardia e buona cucina: tutto dentro l'iniziativa di linuxisti, giornalisti, volontari e “gente comune” legati insieme dalla voglia di libertà
Forse è merito di Ubuntu col suo Gnu/Linux dal volto umano; forse di Riccardo Orioles e Luca Salici che hanno reso tutti potenziali giornalisti con le gabbie di impaginazione di Ucuntu scritte sotto OpenOfficeWriter; forse di Graziella Proto che ha demandato Linda Pettinato e lo scrivente nel 2005 a progettare la prima casa editrice equipaggiata solo di software libero, lanciando un sasso che ha messo in moto lo stagno; forse del GLug Catania che da anni insiste ad aprire l'informatica ai bambini di San Cristoforo con il sostegno del Gapa, alla faccia dei mafiosi che li vogliono ignoranti; forse di Freaknet (il MediaLab a Catania prima, il Poetry a Palazzolo Acreide oggi) che con la radicalità del suo impegno ha fatto comprendere a tanti che, come dice Richard Stallman, "free" è la radice della libertà di "freedom" e non il gratis di "free beer"; forse la gente è più
attenta e sensibile di tempo fa o semplicemente è stufa dei soprusi dei padroni, Bill Gates o Silvio Berlusconi non fa differenza e prima o poi entrambi verranno accompagnati al capolinea a pedate dalla folla. Quale che sia la ragione o la miscela in percentuale diversa delle ipotesi fin qui elencate, ci sono venti persone in più a Catania che sanno che il binomio software-stampa è inscindibile dalla libertà. E per loro non è un principio astratto, ma l'embrione di una capacità operativa appresa in un fine settimana intenso ma anche divertente e allegro. Perché tra uno "speech" e un'esercitazione i partecipanti hanno cucinato e pranzato insieme con i guru del computer, i giornalisti, i volontari del Gapa e gli attori del "Teatro dell'oppresso" e hanno scoperto che anche i "geek" mangiano salsiccia. Lucio Tomarchio
|| 17 marzo 2011 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||
Inchieste
Gheddafi e il controllo dell'industria militare italiana L'assalto dei fondi libici a Finmeccanica, il cuore del sistema strategico italiano. Per il momento la rivoluzione – non per merito nostro – l'ha interrotto. Ma fino a quando? Cento milioni di euro per incamerare il 2% del pacchetto azionario di Finmeccanica, la holding che controlla le principali industrie del comparto militare, aeronautico e spaziale italiano. Li ha sborsati la Lybian Investment Authority (LIA), l’autorità governativa libica che gestisce i fondi d’investimento in numerosi settori, da quello immobiliare, petrolifero ed industriale alle grandi infrastrutture, al turismo e all’agricoltura, in Libia come all’estero. Ma la vera partita si giocherà nei prossimi mesi quando la LIA tenterà di acquisire perlomeno il 3% del capitale di Finmeccanica per imporre nel consiglio di amministrazione alcuni degli uomini più fidati del colonnello Gheddafi. Attualmente la soglia del 3% è superata solo dal nostro Ministero dell’Economia (col suo 32,5%), ma dopo che il 21 gennaio 2011 la Capital Research and Management Company di Los Angeles ha ridotto la propria presenza dal 4,88 all’1,85%, l’authority libica è divenuta la seconda azionista di Finmeccanica, prima di Mediobanca che con l’1% circa del capitale controlla un terzo dei componenti del Cda. L’ingresso di Tripoli nella holding segue di un anno l’accordo tra i general manager Finmennica e Libya Africa Investment Portfolio (LAP), l’entità finanziaria controllata dalla Lybian Investment Authority, che ha dato vita ad una joint venture paritetica “per una cooperazione strategica nel settore militare ed aerospaziale, delle telecomunicazioni, dei trasporti, dell’elettronica e dell’energia” in grado di operare in Libia, nel resto del continente africano e in Medioriente. Ancora prima, nel 2006, era stata creata la Libyan Italian Advanced Technology Company – LIATEC, società per azioni con sede a Tripoli controllata al 50% dalla Li-
Dietro quel baciamano Questo articolo, scritto a febbraio, è ovviamente “superato” in quanto la rivolta del popolo libico ha bloccato - ufficialmente, e per il momento... - buona parte delle operazioni finanziarie descritte in esso. E' tuttavia di strettissima – e anche maggiore – attualità in quanto getta una luce estremamente vivida sui reali rapporti fra l'establishment italiano e il regime Gheddafi, anche e soprattutto nel delicatissimo campo delle forniture militari e della stessa produzione di armi in Italia. Quest'ultimo punto è di rilevanza strategica e colpisce direttamente non solo gli interessi economici ma anche la sicurezza militare del nostro Paese. Gheddafi, per assolvere al suo compito di guardiano antiemigranti per conto della Lega e di Berlusconi, evidentemente non chiedeva solo denaro, ma anche qualcosa di più. In questo quadro non è da escludere che la scena del servile “baciamano” del presidente italiano al tiranno libico possa appartenere non alla sfera del kitsch ma a quella dell'alto tradimento. R.O.
byan Company for Aviation Industry e per il restante 50% da Finmeccanica e dalla controllata AgustaWestland. “LIATEC opera quale fornitore delle agenzie libiche preposte agli approvvigionamenti per la fornitura di elicotteri, aerei medi e leggeri, sistemi elettronici di sicu-
rezza e infrastrutture terrestri”, spiega Finmeccanica in un comunicato. “La società beneficia di diritti commerciali per la vendita in un certo numero di Paesi del continente africano di mezzi assemblati localmente. I due azionisti italiani forniscono know-how, addestramento, tecnologie e attrezzature, mentre il socio libico investe principalmente in infrastrutture, impianti e attività di marketing locale”. Oltre ad un centro di addestramento volo per il personale libico, il programma di sviluppo di LIATEC si è concretizzato nella realizzazione d'un moderno centro di manutenzione e assemblaggio elicotteri nell’aeroporto di Abou Aisha, vicino Tripoli. L’impianto, realizzato dalla Maltauro Costruzioni di Vicenza per un importo di 11.289.800 euro, è stato inaugurato il 29 aprile 2010. Dovrà produrre gli elicotteri leggeri monomotore e multiruolo AW119Ke “Koala” e AW109 “Power” e i pattugliatori bimotore AW139. Si tratta di velivoli prodotti su licenza AgustaWestland, una delle prime aziende italiane tornate ad operare in Libia dopo il riavvicinamento politico-diplomatico tra Roma e Tripoli. Nel gennaio 2006 l’azienda elicotteristica ha venduto alle forze armate libiche 10 AW109, valore 80 milioni di euro”, utilizzati per il controllo delle frontiere terrestri e marittime. Successivamente AgustaWestland ha consegnato 10 esemplari dell’elicottero AW119Ke e ha ricoperto il ruolo di sponsor privilegiato di LAVEX 2007, la seconda edizione del salone arabo-africano dell’aviazione. Alla fiera dei mercanti d’armi, le aziende di Finmeccanica hanno offerto il meglio della propria produzione industriale: oltre agli elicotteri AgustaWestland, l’aereo da trasporto tattico C-27J “Spartan” e il caccia
|| 17 marzo 2011 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||
Inchieste
addestratore “Aermacchi M-311” di Alenia Aeronautica, e le più sofisticate attrezzature di controllo radar e sensori di Selex Sistemi Integrati e Selex Sensors & Airborne Systems. Nel giugno 2008 gli stabilimenti Agusta sono stati tappa della storica visita in Italia del Capo di Stato Maggiore dell’aeronautica libica, generale Al Sherif Alì Al Rifi. L’alto ufficiale sfruttava l’occasione per recarsi pure dal 72° Stormo Ami di Frosinone per “approfondire tematiche inerenti la formazione ed i programmi istruzionali in uso presso la Scuola Volo, nonché le potenzialità dell’elicottero NH-500E, in dotazione al Reparto di addestramento”, come recita un comunicato del Comando dell’Aeronautica militare italiana. Il generale Al Rifi visitava infine il 36° Stormo di Gioia del Colle (Bari) per una “significativa illustrazione delle attività operative connesse al velivolo Eurofighter Typhoon (F2000) in dotazione al XII Gruppo di volo”. L’NH-500E delle forze armate italiane è stato prodotto su licenza USA dalla Breda Nardi, azienda poi acquisita da Agusta; il caccia multiruolo Eurofighter è invece realizzato da un consorzio europeo controllato al 19,5% da Alenia Aeronautica. Nel frattempo sono fioccati i contratti per il gruppo Finmeccanica: nel luglio 2007 il ministero della difesa libico assegnava ad Alenia-Aermacchi la revisione di 12 velivoli addestratori SF-260 (valore della commessa tre milioni di euro), mentre nel gennaio 2008 era affidata ad Alenia la fornitura di 9 velivoli ATR-42MP “Surveyor”. Il contratto (31 milioni di euro) includeva l’addestramento dei piloti e degli operatori di sistema e l’installazione a bordo di un radar di ricerca e di sensori elettro-ottici. “L’ATR-42MP sarà utilizzato dal corpo della General Security libica per il pattu-
gliamento marittimo, il controllo delle acque territoriali e delle zone economiche esclusive, la lotta al traffico illegale di beni e persone, il lancio di equipaggiamenti per il soccorso in mare”, annunciavano i manager di Alenia. In aggiunta alle missioni di sorveglianza il velivolo può assicurare pure il trasporto truppe e paracadutisti. A dar forza all’alleanza tra l’industria militare italiana e il governo di Tripoli ha contribuito in particolare il “Trattato di amicizia e cooperazione italo-libico” sottoscritto il 30 agosto 2008 da Silvio Berlusconi e dal colonnello Gheddafi. All’articolo 20 esso prevede infatti “un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari”, nonché lo sviluppo della “collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate, mediante lo scambio di missioni di esperti e l’espletamento di manovre congiunte”. Ancora più esplicito l’articolo 19 del Trattato che auspica un’“intensa” collaborazione tra Italia e Libia “nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, all’immigrazione clandestina”, e impegna le due parti alla “realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche”. Sono ovviamente le aziende Finmeccanica ad essere impegnate nel rinnovamento del sistema libico di controllo dei confini e di contrasto anti-migranti. Tramite Selex Sistemi Integrati (azienda leader nella produzione di sensori navali e terrestri e nel controllo del traffico aereo) è stato firmato un accordo da 300 milioni di euro per la realizzazione di un sistema di sorveglianza radar delle coste libiche e delle frontiere con Niger, Ciad e Sudan.
L’azienda italiana provvederà alla progettazione, all’installazione e all’integrazione del sistema dotandolo di tutte le funzionalità C3 (Comando, Controllo, Comunicazione) e di quelle “di elaborazione dell’informazione, integrazione dei dati provenienti dai vari sensori e gestione delle emergenze”. Selex avrà inoltre la responsabilità dell’addestramento degli operatori e dei manutentori libici e assicurerà l’esecuzione delle opere civili necessarie. In accordo con quanto previsto dai Protocolli di cooperazione in tema di contrasto all’immigrazione firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007, l’Italia ha pure consegnato sei motovedette della Guardia di finanza “dotate di moderni sistemi di scoperta e telecomunicazioni” e di due potenti propulsori diesel che permettono di raggiungere una velocità massima di 43 nodi. L’Italia dovrebbe consegnare presto alla polizia libica anche una ventina di piccole imbarcazioni per poter meglio adempiere al “lavoro sporco” di respingimento delle imbarcazioni dei migranti. Grandi affari infine per un’altra importante controllata Finmeccanica, l’Ansaldo, che nel giugno 2009 si è aggiudicata una commessa da 541 milioni per la realizzazione dei sistemi di segnalamento e degli impianti di telecomunicazioni della linea ferroviaria costiera Ras Ajdir-Sirte e di quella verso l’interno Al-Hisha-Sabha. Stavolta non si tratta di velivoli da guerra ma a firmare il contratto per conto del governo libico è stato l’ex agente segreto Said Mohammed Rashid, condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Milano con sentenza passata in giudicato per omicidio e detenzione illegale di armi e munizioni. Antonio Mazzeo
|| 17 marzo 2011 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||
Catania/
Quello che i politici non dicono (e non fanno) E’ stato un Carnevale poco divertente per i lavoratori della Dusmann. I poveri cristi, insieme alle loro famiglie, non percepiscono alcuno stipendio da ben cinque mesi dopo che gli erano stati promessi in fantomatici tavoli tecnico – politici la sistemazione dei contratti a sei ore. Così non è avvenuto. Il 24 dello scorso mese in uno dei tanti tavoli istituzionali si era arrivati all’accordo di massima tra tutti i lavoratori delle sigle coinvolte (Ars et labor, Servizincoop e Multiservizi) per la ripresa dei pagamenti e per una gestione ordinata del flusso degli stipendi. Il 7 marzo, è accaduto l’impensabile. All’istituto superiore “Boggio Lera” i pulizieri non hanno ricevuto stipendio per i debiti della loro ditta appaltatrice ( la Dusmann che ha sostituito la Regione nella gestione degli addetti alle pulizie) nei confronti della scuola che ammontano a duemilaseicento euro in prodotti per la pulizia. La ditta Dusmann, in questa situazione, si è limitata solamente a contestare l’arrivo dei finanziamenti e a mettersi da parte con poca eleganza. La protesta non è tardata ad arrivare, e il giorno dopo, presso la prefettura le sigle sindacali e i lavoratori hanno protestato vivacemente, lanciando anche delle uova presso il portone di Palazzo degli Elefanti. Ricordiamo brevemente l’excursus storico dei pulizieri etnei. Con la
riforma Gelmini, i contratti dei lavoratori catanesi sono stati ridotti a meno del venticinque percento delle ore di lavoro. Il passaggio da una gestione pubblica (Regione Sicilia) a una privata (ditta Dusmann) ha favorito un ulteriore taglio delle ore di lavoro che è giunto al settantacinque percento complessivo. In pratica, gli addetti alle pulizie, lavorano solo due ore al giorno (prima operavano per ben sei ) con la remunerazione simile allo sfruttamento dei poveri immigrati nei campi di pomodori pachinesi: quindici euro giornalieri. La politica catanese, dal canto suo, continua a nicchiare e a proferire mezze parole che non sono in grado di alleviare la disperazione dei pulizieri etnei. Se il sindaco Stancanelli, ha negato la permanenza dei centottantuno (su cin-
quecento) degli addetti alle pulizie presso la Multiservizi, il punto della situazione è stato più volte espresso dal capogruppo del Pdl al Consiglio comunale di Catania, Nuccio Condorelli, il quale ha delineato chiaramente la situazione in atto. Secondo quanto si apprende dalla legge Bersani, le aziende municipalizzate non possono tenere in vita i lavoratori house, mentre, la Dusmann – ditta appaltatrice per le pulizie nella provincia etnea – si è garantito l’appalto per ben tredici milioni di euro. Di questi tredici milioni di euro, ne sono giunti solo sei, insufficienti al momento per coprire la totalità delle spese. L’altra metà della somma – secondo quanto rivela l’esponente del Pdl – sarà recuperata prossimamente mediante il supporto diretto del ministero dell’Economia. Il malcontento cresce, e anche se la Dusmann rappresenta una ditta di tutto rispetto con un curriculum invidiabile, la situazione vissuta dai lavoratori diviene giorno dopo giorno sempre più pesante ed esasperante. Si vuole mettere qualcuno nei panni di questi benedetti pulizieri? Mirko Tomasino
|| 17 marzo 2011 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||
Catania
Le baracche dei Rom continuano a bruciare Il drammatico incendio sviluppato ieri nel campo Rom di Gelso Bianco (sperando che non ci sia dolo da parte di terzi) ripropone alla civile attenzione l’infima condizione di vita dei rom stanziali nell’ambito di Catania. Fortunosamente nessun danno alle persone. Sono bruciate “soltanto” le desolate baracche e il misero corredo di necessità per la i vita di questi nostri fratelli appartenenti alla “razza” umana. Oggi, domenica, si godranno a “viso aperto”, nudi e crudi, le violente intemperie che si sono abbattute sulla città. Si è ripetuto ancora il tragico evento, così come verificatosi a Catania nel periodo natalizio del 2009, più o meno nella stessa area cittadina. Senza perdita di vite umane. A Roma, non molte settimane addietro, a seguito di un simile accadimento sono morti quattro bambini Rom, straziati dalle fiamme. A Catania, però, nulla cambia. Su questa fondamentale questione per il civile e democratico consesso cittadino, in assistenza, solidarietà e inserimento, da almeno tre - quattro anni, da parte delle varie strutture istituzionali preposte, comunali e provinciali, si parla, più o meno a ruota libera. Alfine, però, sul piano operativo, tutto è silente. Come purtroppo insegna il periodo trascorso, il dato vero è che a parte le discussioni di facciata, non vogliono fare proprio nulla. In questo lungo lasso di tempo sono stati pubblicati decine di articoli sulla condizione di vita, sulle traversie dei Rom a Catania e, sul “fantasmagorico” campo di accoglienza che i preposti istituzionali dicono di realizzare. Si tratta di drammatiche condizioni di vite umane che meritano dignitoso rispetto e appropriati interventi di merito. Le varie comunità ROM, più o meno stanziali a Catania, in centinaia, donne,
uomini e bimbi, vivono da sempre totalmente abbandonati. Vengono di conseguenza dileggiati i declami costituzionali della nostra Repubblica democratica e solidale. Sono privi dei requisiti elementari per condurre vita umana: riparo, acqua, servizi sanitari, smaltimento rifiuti, integrazione sociale nelle variegate forme. Una condizione indegna per le basilari norme che caratterizzano e regolano la gestione dell’esistenza umana in Italia e nella Comunità Europea. Eppure, nulla cambia! Chiacchiere e promesse, però, nei fatti concreti, tutto tace. Gli organi istituzionali, come si apprende, hanno ora spostato il campo “virtuale”, dal confine della città - San Giuseppe La Rena – alla campagna: “ un sito comunale vicino Maristaeli lungo la superstrada per Lentini”. Già, lontano dalla città, dal contesto urbano. Per nascondere… e distanziare, come se fosse una discarica. Vorrebbero mettere (“recludere”) le persone umane, come gli amici animali a quattro zampe, a “brucare l’erba”. Ogni presunta scusa è sempre buona, pur di non realizzare nulla. Questa e la vera e drammatica realtà. Disonore per le civiche e democratiche
memorie della nostra città. Eppure, i Rom sono normali esseri umani. Di “pura razza europea”. La metà degli stanziali in Italia sono di cittadinanza italiana. Degli altri, una gran parte proviene, sopravvissuti, dalle moderne guerre iugoslave e balcaniche. Quelle guerre ed atrocità che noi abbiamo visto solo dalle immagini televisive. Come affermano le ricerche sociologiche e statistiche nazionali siamo proprio agli ultimissimi posti (al 103mo) nella graduatoria nazionale per vivibilità e democraticità sociale... e l’accoglienza non è compendiata. Del resto, non manca solo ai Rom la solidarietà. La città è piena di tanti esseri umani, considerati veri e propri scarti a perdere, costretti a vivere perennemente accampati sulle loro squallide miserie. Dai tutori istituzionali locali è completamente assente qualsivoglia azione di fattivo e consolidato supporto ai diseredati di tutte le malesorti e specie. Tutti i deboli: poveri, disoccupati senza soperanza, senza casa, viventi a tempo pieno nelle strade, migranti indigenti e “clandestini”, sono lasciati al loro tragico destino, in esclusiva grazia della carità dei cittadini volontari o associazioni che in questo mare grande cercano di supplire - spesso vanamente date le dimensioni della situazione in atto - ai doveri e ai diritti declamati dalla Costituzione nostra repubblicana, nata, come affermò il giurista Calamandrei, dalla Resistenza popolare contro le ideologie e le pratiche nefande del razzismo e dell’esclusione da parte dei vari fascismi. Si è oggi a Catania, 2011, come nel medioevo dell’anno mille. Domenico Stimolo
|| 17 marzo 2011 || pagina 09 || www.ucuntu.org ||
Teatro popular
LIBRINO
Hanno dieci anni e vivono tutti la trasformazione del quartiere più a rischio di Catania, conosciuto solo per la droga e le armi nascoste negli appartamenti fatiscenti. Pirocchiu, Grattacielo, Menzabirra, Tigna, Lucio Dalla, sono dei ragazzi che disperatamente cercano un campo per tirare quattro calci a un pallone. E una partita diverrà un sogno mai realizzato. soggetto Luciano Bruno
sceneggiatura Giuseppe Scatà
CON
LUCIANO BRUNO
luci Domenico Guglielmino
22 marzo ore 17 al Malaspina a Palermo || 17 marzo 2011 || pagina 10 || www.ucuntu.org ||
regia Orazio Condorelli
Libri
|| 17 marzo 2011 || pagina 11 || www.ucuntu.org ||
Schegge di storia siciliana
Il boom, lo Stato, la lupara, il tritolo, la mafia a nuovo ”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antimafia: antimafia: ma forse non siamo d'accordo. d'accordo. La storia è un insieme di cronache di tante persone persone comuni. E tutte diventano anch'esse anch'esse storia, prima o poi. Comunque, Comunque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualissime, attualissime, siciliane << Mi piacerebbe tanto tanto che i destinatari "adulti" delle mie schegge le facessero leggere ai giovani e che i destinatari "giovani” le facessero leggere agli adulti >> eliocamilleri@libero.it VACCHE GRASSE E STATO-MUCCA Anche in Sicilia arrivarono gli effetti del “miracolo economico” veicolati dalle rimesse degli emigrati e prodotti dall’impetuoso sviluppo del “terziario” i cui addetti superarono quelli dell’industria e, ancor più, quelli dell’agricoltura. Arrivò il tempo delle “vacche grasse”, crebbero i consumi e la richiesta del diritto alla salute e al lavoro, ai miglioramenti salariali specie verso la fine degli anni sessanta, quando scoppiò, appunto, “l’autunno caldo”. In tale fase espansiva dell’economia i governi nazionali e regionali di centro sinistra ritennero di assecondare tali richieste, arrivando, persino, con l’istituzione delle “Partecipazioni Statali”, a soccorrere le aziende pubbliche in crisi. Si innescò, così, un meccanismo perverso di crescita del debito pubblico, d’inflazione con conseguente diminuzione del potere d’acquisto. Nella sostanza, lo Stato e la Regione, assunsero il ruolo come di una mucca che basta mungerla che offre, al momento, il latte che serve, ma che, nel medio e lungo termine, irrimediabilmente deperisce e, letteralmente, perde la bussola. Per mantenere i livelli di consumo e di spesa s’intraprese una politica d’incremento dei posti di lavoro per infrastrutture non sempre utili al territorio e quasi sempre la-
sciate incomplete o inutilizzate; aumentò, altresì, il numero delle pensioni di anzianità e di invalidità, queste ultime in gran parte fasulle. In Sicilia, alla cattiva politica ed alla pessima economia si aggiunse il salto di qualità di Cosa Nostra, che si lanciò nel traffico internazionale della droga e delle armi, producendo ingenti capitali che furono massicciamente investiti in attività finanziarie e negli appalti pubblici. In Sicilia, dalla fine degli anni sessanta in poi, non fu praticamente possibile spendere una lira al di fuori della corruzione tangentizia e della mafia. DALLA LUPARA AL TRITOLO Nel nuovo contesto sociale ed economico degli anni sessanta non contavano più nulla le controversie sulla divisione delle terre e dei profitti del lavoro contadino, adesso a gestire il malaffare e la violenza erano le “famiglie” cittadine dei Greco, dei La Barbera, dei Torretta che si erano lanciate nei nuovi e colossali affari delle speculazioni edilizie, degli appalti pubblici e del narcotraffico. Adesso la guerra non era più tra mafiosi e contadini, ma dentro la mafia ed il tritolo prese il posto della lupara.. Si può dire che la prima guerra di mafia a colpi di auto imbottite di tritolo scoppiò tra i Greco e i La Barbera, che si erano consorziati nel narcotraffico ed iniziò nel febbraio
del 1962 a seguito di un consistente ammanco di eroina in un carico proveniente dall’Egitto e destinato al mercato statunitense. Il 26 dicembre 1962 cadde Calcedonio di Pisa, plenipotenziario dei fratelli Greco e i Greco si vendicarono sequestrando Salvatore La Barbera, mai più ritrovato e vittima della “lupara bianca”. Il 13 febbraio 1963, con un’autobomba, Angelo La Barbera ridusse in macerie l’abitazione di Salvatore “Ciascchiteddu” Greco che rispose, il 19 aprile, con una spedizione a colpi di mitra sulla bottega di pesce riconducibile ai La Barbera, appena una settimana dopo, il 26 aprile, Cesare Manzella, capo della “famiglia” di Cinisi, alleato dei Greco e finanziatore della spedizione di eroina causa della guerra, fu dilaniato dalla sua Giulietta imbottita di tritolo. La mattina del 30 giugno 1963 fu segnalata una “giulietta” con le portiere aperte e con una ruota sgonfia, abbandonata in contrada Ciaculli. Nella stessa mattinata ne era saltata un’altra dalle parti di Villabate uccidendo una persona. Gli artificieri, avendo disinnescato una miccia messa lì ad arte, avevano ritenuto di avere neutralizzato l’esplosione, ma, all’apertura del cofano sei militari tra poliziotti, carabinieri ed artificieri, investiti da una violentissima esplosione morirono sul colpo. La “strage di viale Lazio”, il 10 dicembre 1969, concluse questa prima guerra di mafia.
|| 17 marzo 2011 || pagina 12 || www.ucuntu.org ||
Schegge di storia siciliana
TOTALITARISMO TRIANGOLARE Il sistema di potere politico – mafioso che aveva gestito il “sacco di Palermo” ed il flusso di investimenti destinati agli appalti pubblici, nel corso degli anni settanta, ebbe modo di crescere, di consolidarsi e di espandersi anche nel centro nord, stabilendo, anche, intensi e proficui rapporti con la mafia americana per la gestione internazionale del narcotraffico. In “Cosa nostra” si produsse una vera e propria metamorfosi in quanto essa abbandonò la struttura “orizzontale” che garantiva ampie autonomie alle “famiglie” sui territori e nelle arre di rispettiva competenza e si strutturò “verticalmente”, assegnando alla “Cupola” la programmazione strategica, i modi per conseguire gli obiettivi, le alleanze da “curare”, i nemici da “abbattere”. Si pervenne, così, ad una strettissima e solidale integrazione tra Cupola mafiosa, politica nella persona del suo massimo rappresentante Giulio Andreotti, con il contributo essenziale ed operativo della massoneria e di Licio Gelli, in particolare. Il costituirsi ed il consolidarsi del rapporto triangolare tra mafia, politica e massoneria causò effetti devastanti nella società e nella politica in Sicilia, perché soffocò ogni possibilità di opposizione democratica al sistema corrotto, clientelare, tangentizio cui, in un modo o nell’altro partecipavano tutti i partiti, pezzi della burocrazia, del-
l’amministrazione, della magistrature, delle forze dell’ordine, della chiesa. Il collante che riuniva tutti i componenti di tale congrega era e restava l’anticomunismo non solo in Sicilia, ma anche a livello nazionale ed internazionale: ancora il muro di Berlino non era venuto giù e l’Italia e la Sicilia erano aree estremamente decisive, delicate, assolutamente da non perdere, da non mollare e allora mafia, massoneria, Vaticano e rigurgiti reazionari risultarono perfettamente funzionali. COSA NOSTRA CAMBIA LOOK L’organigramma di Cosa nostra, nei primi anni settanta, era strutturato nel “triunvirato” Badalamenti, Bontade e Riina. Negli stessi anni Benedetto “Nitto” Santapaola assurgeva a capo indiscusso della malavita catanese e ritenne di prendere contatti con il triunvirato perché anche a Catania si andava delineando la necessità di collegare l’imprenditoria locale dei “Cavalieri del lavoro” al carattere imprenditoriale di Cosa nostra. Stefano Bontade era ben collegato con Tommaso Buscetta e Di Cristina, con i cugini Nino ed Ignazio Salvo cui la DC lasciava il 10% per l’esazione dei tributi. Gaetano Badalamenti, da Cinisi, si era lanciato nel narcotraffico. Salvatore “Totò u curtu” Riina, allievo di Liggio, bramava per
conquistare il controllo della Cupola, di Palermo e non solo. A Palermo Salvo Lima, sindaco, Ciancimino assessore ai Lavori pubblici e vice sindaco, Gioia Segretario della DC, preparavano “politicamente” la spartizione delle tangenti sugli appalti, li affidavano agli amici imprenditori che, a loro volta, trovarono nel “triunvirato mafioso” le condizioni di lavorare senza problemi o preoccupazioni. Lima e Gioia; già dal 1968, erano approdati alla sponda andreottiana, Ciancimino vi approdò nel 1976, non senza avere espresso in una lettera tutte le sue riserve per la politica di “unità nazionale” intrapresa dal segretario nazionale della DC Benigno Zaccagnini. Andreotti lo tranquillizzò con queste parole: ”Si ricordi, caro Ciancimino, che i nostri abbracci sono sempre mortali”. (M. Ciancimino e F. La Licata. Don Vito. Milano. Feltrinelli. 2010. Pag. 42) Nel 1975 Cosa nostra si strutturò verticalmente con l’istituzione di una Commissione con a capo Gaetano Badalamenti collaborato da Stefano Bontade, Rosario di Maggio, Rosario Scaglione, Nenè Geraci, Totò Riina e la partecipazione straordinaria di Bernardo “Binno” Provenzano.
|| 17 marzo 2011 || pagina 13 || www.ucuntu.org ||
Campagna antimafie
Fratelli d'Italia? Sì, da 150 anni nel nome delle mafie “Le mafie ci uniscono” è il titolo della campagna lanciata dall’associazione daSud onlus in occasione dell'anniversario dell’Unità d’Italia 1861-2011. La criminalità organizzata è da un secolo e mezzo il vero elemento strutturale del Paese, il vero ponte che unisce Nord a Sud. Nessuno può pensare di non avere responsabilità. La creatività, la partecipazione, l'impegno, la discussione sono un inizio per cambiare le cose.
Subito una precisazione, necessaria: in questo ragionamento non c'è nessuna grottesca tentazione scissionista o nostalgia neoborbonica. Non c'è nessuna voglia di agitare la retorica tricolore – nazionalista o praticata in sella a un cavallo bianco nessun ammiccamento ai festeggiamenti di un Paese ingessato. Questo è il ragionamento collettivo – aperto, di certo parziale – di chi pensa che, in occasione del 150° anniversario dell'Unità del Paese, bisogna parlare dell'Italia vera, di quella che esiste e resiste. Da qui nasce la campagna "Le mafie ci uniscono", uniscono nord e sud, le nostre identità. Parla con molti linguaggi all'Italia, alla politica, ai movimenti. Per dire che fingere che le mafie non ci siano, non serve. Chiede la partecipazione di tanti, per riempire noi gli spazi che altrimenti finiscono nelle mani sporche degli altri. Per costruire, finalmente, ragioni profonde per stare insieme, le basi di un Paese fondato sui diritti e le libertà. Un paese antimafie, senza mafie.
Per farlo, occorre partire da quello che siamo. Senza sconti, consapevoli che la nostra identità di italiani oggi è debole, sfocata, frutto di un processo storico che ha lasciato ferite mai rimarginate a cui s'è aggiunto un trentennio di neoliberismo che ha stracciato i diritti. Oggi siamo un'Italia rotta, avvilita, guasta. Siamo un Paese precario, senza un'idea di sé, che umilia le differenze, costringe le libertà, offende la cultura, si nutre delle sue contraddizioni, un Paese in cui crescono vertiginosamente le disuguaglianze tra le fasce sociali, tra nord e sud. E siamo il Paese delle mafie: sin dal 1861, quando hanno
iniziato la marcia inarrestabile che le ha portate ad essere presenti in tutte le regioni e a diventare soggetti glocal, capaci di unire dominio territoriale e affari mondiali. Così oggi le mafie non sono più un'emergenza meridionale, ma un elemento strutturale, seppure patologico, della modernità, del sistema economico e di potere del XXI secolo. Le mafie controllano il Paese non solo per la forza militare. Ma perché fanno politica ed economia, hanno una sconfinata liquidità e condizionano il mercato del lavoro, stanno nella massoneria e collaborano con i servizi segreti, infiltrano le istituzioni e ci trattano, inquinano le università. Per dirla in altri termini, stanno nel potere, hanno e gestiscono consenso, contengono il concetto di borghesia mafiosa. Se così non fosse, semplicemente non sarebbero mafia. Se vogliamo attraversare degnamente il 17 marzo, quindi, dobbiamo fare i conti con tutto questo, ragionare in chiaroscuro dell'esercizio del potere, del modello economico e della crisi, portare le
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Campagna antimafie
mafie e l'antimafia al centro della discussione nella politica e nei movimenti sociali. E se vogliamo davvero ragionare di memoria, è bene ripartire da chi si è battuto per la libertà, per i diritti sociali e civili oggi in pericolo, dalle vittime innocenti delle mafie. Di questa Italia vogliamo parlare, e di quella capace di accogliere lo straniero, rispettare le differenze di genere, mettersi in discussione. Non è semplice, certo. Serve un ribaltamento culturale, ripensare il modo di concepire mafia e antimafia, nord e sud. Bisogna eliminare il termine legalità e ragionare di giustizia, uscire dall'emergenza e puntare sulle logiche di sistema, rigettare l'idea degli eroi e promuovere pratiche comuni, sbugiardare le amnesie e le ambiguità di Stato che stanno a destra e sinistra. E ancora, comprendere che antimafia significa difendere il territorio dalle speculazioni, affermare il diritto ai servizi pubblici, pretendere una buona informazione, combattere la precarietà sociale e generazionale,
sfuggire dal ricatto occupazionale, contrastare i fatti di Rosarno. Non capirlo, significa negare l'essenza e l'esistenza stessa delle cosche, sostenere che con i clan si deve convivere, o considerare pezzi d'Italia persi per sempre. Significa usare gli schemi di chi ha fallito. Attorno a noi abbiamo una crisi epocale gestita da una classe dirigente delegittimata dai fatti. Bisogna rispondere con l'impegno collettivo e la partecipazione, allargando il fronte delle alleanze, della battaglia politica. Così declineremo anche lo sciopero generale. Con la rivendicazione di diritti, di un'identità. Chi si tira fuori, si sottrae alla responsabilità di pensare al futuro. Questa è la battaglia antimafie. Che si vince, se ciascuno fa la sua parte. Con rigore e curiosità. Senza indulgenze, equivoci, compromessi sui principi, senza predicare una cosa a Roma per rinnegarla in Calabria. Vale per tutti, fino in fondo. Danilo Chirico www.dasud.it
IL KIT DEGLI 8 MANIFESTI: LA CAMPAGNA PARTECIPATA Sarà una campagna partecipata “Le mafie ci uniscono”: dal 14 marzo sul sito di daSud (www.dasud.it) sarà possibile scaricare i manifesti (in formato ridotto) e attaccarli dovunque per diffondere sempre di più il messaggio lanciato dall’associazione, magari completarlo, metterlo in discussione, rilanciarlo. Si potranno anche scaricare – per spedirle – le cartoline elettroniche e cartacee.
IL VIDEO MUSICALE La canzone “Un giorno migliore” della Popucià band è accompagnata da un videoclip partecipato, collettivo, in cui tantissime persone hanno messo a disposizione il proprio volto per dire che questo Paese deve trovare la forza di cambiare. http://www.youtube.com/watch? v=JSWTfEsfTeE
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Satira
La fabbrica dell'unità
“L'Italia è sfatta, adesso bisogna disfare gli Italiani” http://dajackdaniel.blogspot.com/
A vederli quieti, nell’intervallo tra un turno e l’altro, soprattutto all’alba, parevano quasi degli idoli antichi col braccio rivolto verso un cielo che pur doveva esserci, da qualche parte, anche se nascosto dal soffitto. Ma poi suonava la sirena e l’onda di tute blu che entrava nel capannone si sfrangiava e tante gocce si fermavano davanti ad essi, una per idolo. Ai lati, dei grossi cesti: quello di sinistra colmo di profilati di plastica nera, sembravano anguille morte; vuoto, ancora, quello di destra. Con la mano sinistra l’operaio pescava dal cesto corrispondente e disponeva il profilato, facendolo passare per ingranaggi già tarati, poi, con la destra, tirava la leva, il braccio, che, KDANG, azionava una pressa che lo piegava e gli dava la forma giusta, quella della guarnizione del finestrino laterale di una millecento. Ormai pronta, la guarnizione veniva presa con la destra e lasciata cadere nel cesto a lato mentre la sinistra era già alla ricerca di una nuova e morta anguilla. KDANG, ancora, e KDANG, per otto ore, e KDANG, per cinque giorni, e KDANG, per anni. «Sei nuovo?». KDANG. «Ieri sono entrato». KDANG. «Come ti chiami?» «Ciro». KDANG. «Io Vittorio. Non sei di qui.». KDANG «Afragola». «E dove rimane?» KDANG «Napoli» «Ah». KDANG Nero spesso e unto, di plastica e pece, si attacca ai pavimenti, alle mani, ai polmoni. Sirena, nuovo turno KDANG, altra sirena, altro turno, KDANG. Altre sirene, altri turni. KDANG «Sei sposato?» «Ho la morosa, giù al paese». KDANG «Ciro, posso chiederti una cosa?» «Cosa?» KDANG «Ma è vero che nella vasca da bagno
coltivate l’insalata?» KDANG Altri turni, KDANG sempre uguali. KDANG, KDANG. «Ciro, ha mai sentito parlare del Sindacato?». «Ho fatto qualcosa giù, con i braccianti. KDANG Le terre.». «C’è una riunione alla fine del turno. KDANG Per lo sciopero, il contratto.». E la riunione ci fu, con operai di quasi tutte le regioni: raramente si erano visti in Italia, prima di allora, tanti italiani nella stessa stanza. E poi lo sciopero, a cui seguirono le manifestazioni KDANG, e il rinnovo del contratto, altre manifestazioni, KDANG, altri contratti, Pertini, e poi KDANg arrivò la crisi KDAng, l’inflazione KDang, la cassa integrazione Kdang, la mobilità kd..., la chiusura della fabbrica, ..... . La pensione anticipata. *** Era un pastore, tra i suoi antenati doveva esserci un maremmano. Quando vide il suo rivale, da lontano, gli si lanciò contro, superando a balzi , nella corsa forsennata, sterpaglie e copertoni spaccati dal sole, lattine e buste lacerate. Col suo peso atterrò il nemico, più piccolo, un tenace molosso, che da sotto digrignò i denti cercando di azzannargli la gola. «Fermi, Fermi!» urlavano i padroni che si avvicinavano con la barcollante premura degli anziani. GRRRR Il pastore lo teneva schiacciato a terra, ma il molosso, dopo aver morso l’aria un’infinità di volte, riuscì ad afferrare un lembo di pelle, «Fermi!» e una macchia
rossa sporcò il candido pelo. Arrivarono i padroni, ansimanti, separarono i cani, dita nel collare. UAUAH. «Buono, buono». «Vittorio!» «Ciro!» UAUAH «Quanto tempo...». «Sì, è un po’». «Come va? La tua famiglia? GRRRR Buono!». «Bene, grazie. I figli sono cresciuti, s’arrangiano... lavoretti.». UAUAH «Anche il mio... progetti, consulenze, cambia di continuo. Ma lavora da solo, non ha colleghi, compagni...». «Vieni spesso qua?». «Davanti alla nostra fabbrica? GRRRR Quasi mai. Sono quasi sempre giù, al Paese.». «Certo, ora è tutto diverso. E stai fermo!». «Qui c’erano i parcheggi. UAUAH Non si riusciva a trovare posto.». «Ora lì, la notte, ci dormono gli extracomunitari.». «Lo so. GRRRR La settimana scorsa hanno fatto una manifestazione per mandarli via.» UAUAH. «Da bravo, su! Mio figlio grande c’è andato..». «Anche il mio.». «Il tuo? Gennaro?». «Si fa chiamare Jenny. GRRRR. Il Jenny». «Ciro, io devo andare UAUAH Non riesco più a tenerlo». «Nemmeno io. Ci vediamo, allora...». «Sì, ma senza queste belve» UAUAH. E si allontanarono, in direzioni diverse, portandosi dietro i ringhi e i latrati che lentamente si affievolirono. E il silenzio del freddo mattino ritornò da padrone sui copertoni spaccati, sulle lattine, sulle sterpaglie e sulle fabbriche scrostate e abbandonate. Jack Daniel
|| 17 marzo 2011 || pagina 16 || www.ucuntu.org ||