Unione delle Famiglie Trentine all'Estero
Cucina Trentina
Cucina Trentina
Seminario virtuale Iniziativa
ideata
e
realizzata
dalla
Famiglia
Trentina di Resistencia in collaborazione con l'Unione delle Famiglie Trentine all'Estero, l'Asociaciòn Italiana de Resistencia e l'Asociación de Hoteles, Restaurantes, Bares, Confiterías y Afines del Chaco (Filiale di FEHGRA)
PRESENTAZIONE
Il Seminario Virtuale di Cucina Trentina ha affiancato l’importante opportunità di praticare la lingua italiana dal vivo all’azione di promozione della nostra cucina. L’obiettivo è stato quello di stimolare ed informare sulla tradizione culinaria del nostro tertitorio in modo ancor più capillare, attraverso incontri virtuali per favorire l’azione di diffusione dei valori del nostro paese attraverso il coinvolgimento di chef delle nostre associazioni. Patricia Lanzziano Broz Vicepresidente UFTE Progetto grafico: Lina Martinez Lanzziano
INDICE
PRIMI PIATTI CANEDERLI ALLA LUGANEGA TRENTINA STRANGOLAPRETI TRENTINI GNOCCHI DI POLENTA
SECONDI PIATTI GOULASH SUPPE TONCO DEL PONTESEL
DOLCI STRUDEL CROSTATA ALLA MARMELLATA TIRAMISÙ
Invitati speciali: Fernando Verones e Ornella Fruet Osteria Ca' Dei Giosi
Martina Rigon
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Canederli alla Luganega Trentina Ingredienti (per 6/8 persone) 500 grammi pane raffermo bianco tagliato a cubetti di circa 1 cm 500 ml di latte intero 250 grammi di pasta di Luganega Trentina 2 uova intere medie 80 grammi Cipolla tritata 10 grammi di prezzemolo tritato Sale e pepe a piacere 125 grammi di formaggio Grana Trentino / Parmigiano 60/80 grammi farina bianca 00 60/80 grammi di pane grattugiato + / - in base all’umidità dell’ impasto
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Canederli alla Luganega Trentina Preparazione Assemblare gli ingredienti in ordine della ricetta Cuocere in brodo a piacere di carne o vegetale Servire in brodo caldo oppure con burro fuso e salvia.
LA STORIA DEI CANEDERLI I canederli (knödel) sono uno dei piatti più rappresentativi della cultura gastronomica del Trentino Alto Adige. Una pietanza più vicina alla tradizione tedesca e austriaca, ma le cui origini sono da collocare in territorio italiano – precisamente nel Sud Tirolo. I canederli e la Madonna Un ideale viaggio sulle tracce delle origini dei canederli inizia qui, al Castello di Hocheppan (d’Appiano) nei pressi di Bolzano. Nella cappella vi è custodito uno straordinario ciclo di affreschi dipinto intorno all’anno 1180: un tesoro già di per sé inestimabile, ma ancor più particolare perché tra le sue pennellate si cela il primo indizio della presenza di questo piatto. Se infatti lo osserviamo attentamente scorgiamo, accanto a Santa Maria, una donna intenta a controllare una pentola nella quale cuociono cinque canederli e con la mano destra ne assaggia uno. È la cosiddetta Knödelesserin, la mangiatrice di canederli: la prima e più antica rappresentazione dei canederli della storia.
Affresco "La mangiatrice di canederli"
I lanzichenecchi e le contadine furbe Se dall’arte passiamo alla storia – o meglio alla leggenda – ci imbattiamo invece nei lanzichenecchi, i feroci soldati mercenari che imperversavano in lungo e in largo nei secoli XV e XVI: si racconta che un’orda entrò stanca e affamata in una locanda sudtirolese e intimò all’oste di preparare subito da mangiare. Per “motivarlo” ulteriormente presero in ostaggio moglie e figlie, le quali così, sotto sequestro, si misero al lavoro. In più la dispensa era vuota, ma non era certo il momento di fare le preziose: avevano a disposizione speck, cipolle, uova, pane raffermo, latte e farina e con quello si arrangiarono. Impastarono delle pallette che cossero in acqua bollente e che a quanto pare – dato che la storia è giunta fino a noi – salvarono loro la vita. Non solo, i soldati furono talmente sazi che caddero nel classico pisolino: “Queste palle di cannone stenderebbero anche l’uomo più arrabbiato” disse il comandante, e addirittura lasciò alle cuoche un paio di monete d’oro (sicuramente sottratte nel villaggio precedente) come ricompensa.
La vera cucina povera Che si creda o meno a questo racconto, quel che è certo è che questi gnocchi di pane (“palle” di circa 4-6 cm di diametro, chiamate eloquentemente “balotes” nelle valli ladine) sono un piatto povero della tradizione contadina diffuso in Friuli, nella Venezia-Giulia e nell’alto Veneto ma anche in Baviera (Germania del Sud), Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Aveva il saggio scopo di riciclare gli avanzi: latte, acqua e uova erano più o meno sempre presenti, mentre decisamente più rari erano i pezzi di carne, spesso sostituiti con delle rape. La tradizione altoatesina voleva che si mangiassero il martedì, il giovedì e la domenica e solo nei giorni di festa veniva aggiunto speck o pancetta. Adesso nei ristoranti se ne gustano di ogni tipo e anche di molto ricchi, ma una cosa dell’antica usanza è rimasta uguale: mai tagliare un canederlo con il coltello. Bisogna usare solo la forchetta per mangiarli, diversamente si sta facendo uno sgarbo alla cuoca.
I canederli dolci Del canederlo esistono anche versioni dolci: il Marillenknödel sono a base di albicocca, gli Zwetschgenknödel sono con le prugne. Si prepara lo stesso impasto di patate e farina che si usa per fare gli gnocchi, poi lo si stende per farne una sfoglia che viene poi richiusa a forma di sfera con all’interno la guarnizione; le “palle” vengono poi cotte nel burro e servite con una spolverata di zucchero a velo. Il Germknödel è invece un dolce che del canederlo ne ha solo la forma, ricoperto da una salsa alla vaniglia.
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Goulash suppe Ingredienti
1600Â grammi polpa di manzo sotto spalla non magra ma pulita, tagliata a quadratini piccoli 100 grammi di concentrato di pomodoro 1
peperone
rosso
fresco,
non
spelato
tagliato a quadratini piccoli 2 patate tagliate a quadretti Farina bianca 00 1 cipolla grossa tagliata sottile Olio di oliva, sale e pepe quanto basta 1 cucchiaio di Paprika dolce e 1 di Paprika piccante
Âź di vino rosso 3 litri circa di Brodo di carne
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Goulash suppe Preparazione
Rosolare la carne molto bene in un po’ di olio, salare e aggiungere la cipolla e il peperone, cuocere per qualche minuto, aggiungere le due Paprike, il vino e cuocere ancora. Da ultimo aggiungere il concentrato di pomodoro, la farina ed in fine il brodo. Far cuocere a fuoco moderato per circa un ora, aggiungere le patate e continuare la cottura ancora per mezz’ora, spegnere e lasciare riposare.
IL GULASCH: STORIA DELLA “TRANSUMANZA” DALL’UNGHERIA FINO ALL’ITALIA Da dove ha esattamente origine questa prelibatezza ormai diffusasi in tutta Europa? È presto detto. Inizialmente nato come piatto tipico della Turchia, il Gulasch si “sposta” fino all’Ungheria da dove ha inizio la nostra storia. Dovete sapere che, come i canederli di cui vi abbiamo già parlato in precedenza, anche questo è un piatto tipico della cucina povera necessario alle esigenze lavorative dell’epoca. Gulyás – leves, o “zuppa del mandriano”, trae appunto origine dal termine “mandria bovina” perché cucinato dai mandriani durante le lunghe transumanze con il bestiame nei vari mercati europei. Per fare questo avevano bisogno di un piatto veloce da preparare, ma soprattutto sostanzioso per sopportare meglio la fatica, e da conservare oltre che abbondante. La ricetta originale prevedeva infatti che la carne bovina dovesse venire cotta assieme alle cipolle facendo assorbire tutta l’acqua per poi lasciarla essiccare al sole su assi di legno. Fatto questo veniva riposta in appositi contenitori, per lo più di pelle, e veniva consumata a sera per riscaldarsi attorno al fuoco dopo aver messo una porzione di questa carne dentro una pentola d’acqua calda.
Ma come ha fatto un piatto così semplice a diventare tanto popolare? Oltre ad essere buono, il Gulasch venne usato dalla popolazione ungherese per ribadire la propria indipendenza culturale durante il conflitto con l’Impero austriaco verso la fine del ‘700. Infatti vennero adottati i vestiti dell’aristocrazia di un tempo che ora, al pari del popolo, ha cominciato a consumare lo stesso piatto come simbolo di identità nazionale. Va anche ricordato che la paprika, altro elemento imprescindibile del Gulasch, non era prevista nella ricetta originale ed è stata aggiunta solo nel ‘700. Da ricordare che la paprika, detta anche pepe ungherese, viene ricavata solo con la polvere dei migliori peperoni dolci per dare al piatto quel tipico accento speziato. Inoltre è assolutamente Teniamo a mente che si speziato e non piccante ristoranti ungheresi e quelli europei e non.
vietato mettere il peperoncino! tratta principalmente di un piatto che troviamo nei menu di tutti i nella stragrande maggioranza di
Questa sua diffusione comporta anche un elevato numero di varianti nelle quali si adottano carne di pollo, pecora e, in qualche caso, addirittura pesce. Altre volte questa zuppa viene cotta molto di piĂš del normale al punto che, una volta asciutta, diventa piĂš simile ad uno spezzatino. Inoltre, se in Austria ed in Italia il Gulasch viene servito con la polenta, in Germania vengono aggiunti anche crauti e panna acida conferendo al piatto stesso una diversa impronta nazionale.
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Strangolapreti Trentini Ingredienti (per 6/8 persone) 500 grammi pane raffermo bianco tagliato a cubetti di circa 1 cm 500 ml di latte intero 2 uova intere medie 250 grammi di spinaci tritati Sale e pepe a piacere 125 grammi di formaggio Grana Trentino / Parmigiano 250 grammi farina bianca 00 150 grammi di pane grattugiato + / - in base all’umidità dell’ impasto
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Strangolapreti Trentini Preparazione Assemblare gli ingredienti in ordine della ricetta Cuocere in in acqua salata bollente Servire con burro fuso e salvia, o a piacere con sugo di pomodoro, o fonduta di formaggio
LA LEGGENDA DEGLI STRANGOLAPRETI, INDOVINA CHI VIENE A CENA? Insieme ai famosi canederli, gli strangolapreti sono un piatto tipico della cucina trentina che trova le sue origini nel mondo rurale. Semplici e nutrienti gli strangolapreti consistono, in poche parole, in un impasto di pane, spinaci, uova e grana che viene servito con burro fuso e salvia. È molto importante non confondere gli strangolapreti trentini con gli 'strozzapreti', che è invece un tipo di pasta fresca realizzata con acqua, farina e uova. Ma da dove hanno origine esattamente gli strangolapreti? Sono contenuti in alcuni ricettari risalenti al Quattrocento. Queste prelibatezze venivano cucinate prevalentemente tra Emilia-Romagna e Toscana: consistevano in gnocchetti di pan di miglio ai quali venivano aggiunto latte, formaggio e burro a volontà. Poi, vista la semplicità intrinseca di tale piatto, si sono diffusi in tutte le altre regioni italiane che hanno adottato le proprie varianti secondo gli usi e gli ingredienti tipici. Pare inoltre che la variante trentina (uova, spinaci e grana) fosse già utilizzata dagli alti prelati durante il lunghissimo Concilio di Trento (1545–1563) e ne erano molto ghiotti.
La più accreditata riguarda la buona forchetta e la golosità dei preti dell’epoca. Con questo nome (strangolapreti) si faceva riferimento agli gnocchi che avrebbero dovuto soffocare i preti che con ingorda voracità ne mangiavano in abbondanza, data la loro propensione a trattarsi molto bene a tavola. Secondo una leggenda del ‘700, infatti, un prete stava vagando per la campagna molto affamato (alcuni sostengono che fosse dopo una battuta di caccia andata male) fino a che non trovò una locanda lungo la via. La padrona gli preparò un abbondante piatto di gnocchi con erbe selvatiche, ma il prete continuava a chiederne mangiarne ancora. A un certo punto stava per strozzarsi, ma la pronta ostessa riuscì a salvargli la vita con un pugno ben assestato in modo che sputasse il boccone di troppo. Gli strangolapreti insieme ai canederli, sono uno dei simboli storici della nostra cucina, provengono da antiche tradizioni povere di origine contadina, che hanno favorito la nascita di piatti semplici e nutrienti, fatti di ingredienti poveri. Una volta era definita la cucina degli”avanzi” ma oggi costituiscono un piatto molto prelibato che i ristoranti dove viene proposta la cucina tradizionale trentina non possono non avere nel menù.
Strozzapreti FROM THE MILLERS
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Gnocchi di polenta
Ingredienti x 6 persone 700 gr di polenta di mais 300 gr di ricotta di mucca 300 gr di farina bianca 4 uova intere sale ragù di selvaggia o anche normale 250 ml panna da cucina tasca da pasticciere o sac à poche
LA STORIA DEGLI GNOCCHI Avete cucinato della polenta ma avete esagerato con la quantità e non volete sprecarla? Beh, è successo anche a me e sapete cosa ne ho fatto? Dei gustosissimi gnocchi al ragù. Ma siete curiosi di sapere qualche cosa in più su questa antica pietanza? Sì, perché, gli gnocchi venivano già descritti a partire dalla seconda metà del Settecento poi nel tardo 1800 si diffusero quelli a base di patate. Solitamente vengono conditi con sugo di carne o al ragù, ma anche in bianco con burro fuso e formaggio, con l’aggiunta di aromi come la salvia, o spezie come la noce moscata o la cannella. La storia degli gnocchi di patate ha inizio, ovviamente, quando vennero importate in Europa le prime patate provenienti dal continente americano. Gli altri tipi di gnocchi comparvero, invece, dapprima nei banchetti rinascimentali della Lombardia in cui venivano impastati con mollica di pane, latte e mandorle tritate e venivano chiamati zanzarelli. Per prepararli venivano utilizzati ingredienti particolari che ne determinavano la differente colorazione: ad esempio vi erano gli zanzarelli verdi, impastati con bietola e spinaci che sono molto tipici, e gli zanzarelli gialli, realizzati con l’aggiunta di zucca o di zafferano. Nel Seicento invece subirono un lieve cambiamento nel nome e nella preparazione; venivano chiamati malfatti e invece delle mandorle e del pane venivano aggiunte farina, acqua e uova. C’erano poi malfatti bianchi, impastati con carne di pollo tritata, ed arancioni, quando venivano preparati con carote.
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Tonco del Pontesel Ingredienti 300 grammi di polpa di maiale 300 grammi di polpa vitello 2 grosse lucaniche ( 300/400 grammi) 100 grammi di pancetta stufata 100 grammi di concentrato di pomodoro 100 grammi di lardo Sale e pepe a piacere 1 cucchiaio di Olio extravergine di oliva
Âź di vino bianco Brodo di carne Rosmarino
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Tonco del Pontesel Preparazione Tritate la pancetta e fateli soffriggere con un filo d'olio a fiamma bassa per qualche minuto in una casseruola. Tagliate la carne in pezzi non troppo piccoli. Mettete la carne
nella
casseruola
e
fate
rosolare
uniformemente. Aggiungete anche la luganega a pezzi e cuocete ancora qualche minuto. Sfumate con il vino bianco e fatelo evaporare. Allungate con una parte di brodo bollente e proseguite la cottura per
circa
2
ore
aggiungendo
altro
liquido
quando
necessario. Aggiungete il concentrato di pomodoro, il rosmarino, la sale e il pepe nella casseruola e mescolate bene. Fate cuocere ancora una decina di minuti, togliete dal fuoco e servite subito.
TONCO DEL PONTESEL: UN PIATTRO TRA MITO E TRADIZIONE Il Trentino-Alto Adige è un luogo ricco di tradizioni e leggende che ben rappresentano la storia della popolazione e tutto quello che ha passato tra fame, povertà, guerra, ma anche tanto ingegno e senso dell’umorismo che si legano perfettamente alla cucina trentina. Un esempio? Il Tonco del pontesel. E' un piatto povero della cucina locale che consiste in uno spezzatino a base di lucanica fresca, farina, brodo, spezie varie e carni miste. Un piatto da servire ben caldo e saporito, il tonco del pontesel si accompagna alla perfezione con un buon bicchiere di rosso trentino, come il Teroldego oppure il Marzemino, ma anche con una birra doppio malto Forst Hellr Bock. Questo piatto è inoltre un ottimo condimento per le patate lesse e la ben più classica polenta. Piatto povero, come i canederli o il gulasch, il tonco del pontesel ha una storia molto curiosa, che ben rispecchia lo spirito di adattamento dei trentini nei momenti di difficoltà.
La leggenda narra infatti di un pranzo in famiglia da una tale signora di nome Agatina che si trovò a dover sfamare un gran numero di parenti e, come se non bastasse, anche l’anziano suocero. Sembra che per il pranzo la signora Agatina avesse optato per un sano e robusto spezzatino di carne, ma poco prima che questo venisse servito sulla tavola dei commensali, l’anziano signore dovette correre al bagno. Va qui ricordato che un tempo, nelle vecchie case trentine, il bagno corrispondeva al poggiolo o al terrazzo (in dialetto si dice appunto “pontesel”). A ogni modo, al suo ritorno, la famiglia aveva già divorato quasi tutto lo spezzatino perché, affamata e stanca di aspettare, non ce le faceva proprio più. La signora Agatina sebbene messa alle strette, non si perse d’animo e si fiondò in cucina per preparare qualcosa all’anziano ospite con tutto quello che le era avanzato dalla preparazione dello spezzatino. Prese dunque degli avanzi di carne e li mischiò al brodo e farina stemperata (“brustolin”), in modo tale che il pover’uomo potesse mangiare anche tutto ciò che era rimasto sul fondo del pentolame usato per sfamare il resto della famiglia.
L’anziano fu molto soddisfatto e sorpreso da questo delizioso piatto, e dall’inventiva della padrona di casa, che è diventato tra i cardini della cucina trentina presente ancora oggi. Un’altra teoria sostiene invece che il termine “tonco del pontesel” stia a indicare semplicemente il risucchiare il sughetto, ma nell’immaginario collettivo la prima versione tinta di leggenda funziona indubbiamente meglio. In dialetto trentino tonco significa “intingolo” e pontesel “poggiolo”. Il nome Tonco de Pontesel deriva dall’abitudine di un tempo quando, per non far avariare i cibi cucinati, si mettevano all’aperto fuori dalla finestra o, sul pontesel, il ponticello o meglio il poggiolo. Ossia sul balcone o corridoio di raccordo tra la casa e i servizi che spesso erano fuori dalle mura domestiche. Ad ogni modo il piatto è diffuso in ogni parte del Trentino e può contare su dei veri e propri appassionati come quelli appartenenti alla Confraternita del Tonco del Pontesel.
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Crostata alla marmellata
ingredienti per 10 persone PASTA FROLLA 450 gr di farina 00 150 gr di zucchero una presa di sale, se piace 3 tuorli d’uovo 300 gr di burro 2 bicchierini di grappa bianca 1 bustina di lievito 400 gr di marmellata frutta chiara 200 gr di marmellata frutta scura
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Crostata alla marmellata Preparazione Utensili da cucina: Una teglia da forno Alcune formine per biscotti
Cuoce a forno 180°C per circa
½ ora
LA STORIA DELLA CROSTATA La crostata è forse il dolce italiano più antico, in quanto non esiste un riferimento storico da cui si possa trarre la sua genesi, la tradizione popolare, però, riporta una leggenda che lo fa risalire a prima dell’era cristiana. La leggenda racconta di un rito pagano in onore della sirena Partenope. Infatti, Partenope aveva stabilito la sua dimora nel golfo di Napoli, e ad ogni primavera risorgeva dalle acque ed allietava le popolazioni del luogo col suo canto. Gli abitanti, per ringraziarla, decisero di farle dono delle cose più preziose che avessero. Incaricarono sette fanciulle di consegnare i doni, tutti simbolicamente rappresentativi: la farina (forza e ricchezza), ricotta (lavoro e frutto), uova (rinnovamento della vita), grano tenero bollito nel latte (a simbolo dei due regni), l’acqua di fiori d’arancio (simboleggiante il ringraziamento della natura), le spezie (rappresentanti i popoli lontani) e lo zucchero (simbolo della dolcezza del canto di partenope). In realtà, a pensarci bene, questa leggenda può essere interpretata in altro modo. Innanzitutto la ricotta e lo zucchero non sono altro che la trasposizione culinaria del latte e miele presente nelle offerte votive delle prime cerimonie cristiane. Le uova, poi, simboleggiano il ritorno alla vita e l’acqua di fiori d’arancio, rappresenta il risveglio della natura. E dunque il tutto a simboleggiare il ritorno della primavera.
Comunque la leggenda si conclude con Partenope che pone i doni ricevuti ai piedi degli dei, i quali apprezzando, le restituiscono il dolce. A quel punto la sirena, contenta dell’apprezzamento anziché mangiarlo, lo dona agli abitanti che avevano mostrato tanta generosità. Meno leggendaria e più realista, risulta la storia che vuole la creazione della pastiera da parte di una suora nell’antichissimo convento di S.Gregorio Armeno. La creatrice della pastiera moderna, in realtà combinò gli ingredienti nella maniera che oggi conosciamo, partendo dalla ricetta popolare che già esisteva. Diede alla sua interpretazione culinaria un significato mistico, in quanto simboleggiante la Resurrezione di Cristo. Da qui anche l’usanza di preparare questo dolce il Venerdì Santo e di consumarlo durante la Pasqua. Essendo un dolce “povero”, la pastiera non vide mai i fasti della cucina cortigiana partenopea. Un giorno, però, tale Marchese De Rubis, in viaggio verso Napoli, ebbe la sventura di rompere la ruota della carrozza che colà lo trasportava. Essendo quasi notte, dovette chiedere ospitalità ad una famiglia di contadini. Fu così che assaggiò questo dolce e ne rimase ammaliato, tanto che si fece dare la ricetta e, quindi, lo introdusse alla corte dei borboni.
L’ultimo episodio che ha per protagonista la pastiera, stavolta documentato, riguarda proprio i Borboni. Si racconta che la regina Mariateresa D’Austria, moglie del re Ferdinando II di Borbone, era soprannominata “la Regina che non sorride mai”, un giorno, cedendo alle insistenze del marito buontempone, accondiscese ad assaggiare una fetta di pastiera e non poté far a meno di sorridere, compiaciuta alla bonaria canzonatura del Re che sottolineava la sua evidente soddisfazione, nel gustare la specialità napoletana. A questo punto il Re esclamò: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”. Da allora il successo della crostata ha prodotto varianti innumerevoli anche se, la vera protagonista indiscussa di questo dolce, resterà sempre la pasta frolla. Tuttavia la crostata può essere farcita in vari modi (marmellata, crema, cioccolato, ecc…), dipende dai gusti e dalla fantasia di chi la prepara.
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Strudel Ingredienti 1 uovo 50 gr di latte 50 gr di olio di semi 230 gr di farina bianca 00 Mezza bustina di lievito Un pizzico di sale 500 gr di mele pulite
Preparazione Cuoce in forno a 180 ° C per 25 minuti + a 160°C per 20 minuti.
LE ORIGINI DELLO STRUDEL: DALLA MESOPOTAMIA ALL’EUROPA Lo strudel, fragrante dolce ripieno di mele e uvetta, comunemente associato alle baite Trentine, all’Austria e alle regioni mitteleuropee; questo dolce però cela una storia molto lunga che parte da luoghi lontani e attraversa culture e continenti e ci riporta indietro fino alla Mesopotamia. Le origini assire dello “strudel”, dall’Asia alla Turchia L’uso della pasta sfoglia sottile farcita con un ripieno dolce ci riporta alle regioni asiatiche, dove il consumo di dolci simili affonda le radici nei tempi lontani dei Regni Mesopotamici; un manoscritto dell’VIII secolo a.C. descrive infatti un dessert destinato alla corte assira formato da strati sottili di sfoglia farciti con miele e noci. L’uso della sfoglia addolcita da miele e frutta secca si allargò a macchia d’olio trovando apprezzamento nelle popolazioni dell’area centro asiatica fino ad arrivare in Turchia, in Grecia e nel bacino mediterraneo dove i pasticceri ottomani concentrarono le loro raffinate capacità di pasticceria nella creazione di dolcetti spettacolari composti da sfoglia, melassa e frutta secca come noci e pistacchi: i famosi Baclava (Baklava).
Questo passaggio dall’area centro asiatica all’Europa orientale avvenne facilmente, grazie ai mercanti e alle flotte che commercializzavano con l’Europa orientale spezie, tessuti e beni preziosi. Attraverso le Vie della Seta, accanto alle merci pregiate circolavano anche prodotti alimentari e lo scambio culturale e di sapere era continuo. La pasticceria turca con sfoglia e miele I sopraffini pasticceri turchi perfezionarono la ricetta dando vita a moltissime varianti di piccoli dolcetti monoporzione arrotolati a sigaro o composti da strati sovrapposti di sfoglia imbevuti di miele o sciroppo di zucchero, la cui dolcezza esalta il trito di noci, pistacchi o pinoli. La pasta non è in realtà la classica sfoglia, tipica della tradizione italiana e francese composta da alte quantità di burro, ma si tratta di un tipo di pasta molto semplice e leggera composta solamente di acqua, farina con l’aggiunta di poco burro o strutto, la stessa che richiude il ripieno di mele dello strudel.
Dal Baclava allo strudel austriaco Il passaggio dai lidi turchi alla penisola balcanica fino all’Ungheria avvenne in poco tempo, e proprio in Ungheria i piccoli bocconcini sfogliosi divennero dolci più grandi e arrotolati, con ripieni di diversi gusti con frutta secca, frutta fresca o composte. Quando l’Ungheria, nel 1699 entrò a far parte dell’Impero austriaco questi dolci di sfoglia arrotolati arrivarono in poco tempo a Vienna, dove vennero subito chiamati strudel, che significa appunto rotolo o vortice. Si deve infine ai pasticceri austriaci l’arte di perfezionare la ricetta dello strudel che divenne celebre, la sfoglia leggera tirata sottilissima e il ripieno dolce legato agli ingredienti tipici del territorio. La classica ricetta viennese vuole un ripieno di mele, uvetta e pinoli, l’Apfelstrudel, ma altre versioni austriache vedono l’aggiunta di formaggio, o l’uso di ciliegie.
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TiramisÚ x 6 persone Ingredienti 500 gr di Mascarpone 4 uova intere 100 gr di zucchero 300 gr di savoiardi Una bella tazza di caffè amaro Cacao amaro in polvere
IL TIRAMISÙ: POCHE PERSONE CONOSCONO LE VERE ORIGINI GEOGRAFICHE Tiramisù è la quinta parola della cucina italiana più conosciuta all’estero, la prima per i dolci. Etimologia della parola Tiramisù: sollevami, rinforza il mio corpo. Deriva del dialetto trevigiano “Tireme su”, italianizzato in Tiramisù negli ultimi decenni del secolo scorso. La memoria storica della “Gioiosa Marca” ricorda che il Tiramisù nasce a Treviso nella seconda metà del Settecento / Ottocento. Una tradizione locale verbale ci ha tramandato che il nostro dolce sarebbe stato ideato da una geniale “maitresse” di una casa di piacere ubicata in centro storico a Treviso. La “Siora” padrona del locale avrebbe ideato questo dolce afrodisiaco e corroborante per offrirlo ai suoi clienti alla fine delle serate allo scopo di rinvigorirli e risolvere i problemi connessi ai doveri coniugali al momento del loro rientro in famiglia. Si narra che nel locale, quando gli uomini scendevano le scale un po’ provati, un’ avvenente maitresse preparava questo dolce e li ammoniva in codesto modo: “ desso ve tiro su mi “. Da qui origine del nome.
E’ nato così il Tiremesù un “viagra naturale” del ‘800, offerto ai clienti della maison del diletto. In piazzetta Ancilotto in centro a Treviso un’antica locanda del tempo, l’attuale ristorante Le Beccherie, ha adottato questo dolce nel proprio menù per i clienti. Tiramisù dolce unico anche per l’iter delle sue origini: un “percorso inverso” dalle case alle locande, ai ristoranti, alle pasticcerie.
A supporto di questa storia leggendaria è la composizione degli ingredienti del Tiramisù, tutti nutrienti e ipercalorici: uova, zucchero, savoiardi, mascarpone, caffè e cacao.
Anche la ricetta e la sua semplice preparazione avvalorano questa tesi, non bisogna essere un cuoco stellato per preparare questo dolce; chiunque è in grado di farlo e senza strumenti particolari. Nel corso dei secoli, un velo di pruderie e di vergogna popolare ha nascosto la vera origine del Tiramisù. Difatti non viene ricordato nei libri fino alla caduta del conformismo legato al perbenismo storico avvenuto nella seconda metà del ‘900. Testimonianza della presenza di questo dolce, nei secoli scorsi, sui tavoli imbanditi di casa nostra sono le nonne e bisnonne ultraottantenni. Queste signore ci raccontano che preparavano con arte e passione questo dessert per famiglia e amici, ben prima degli anni 1950. Prima della diffusione dell’elettricità e dei primi frigoriferi questo dessert, non a lunga conservazione, era consumato e conosciuto solo nella provincia di Treviso e zone limitrofe.
Alcuni aspetti peculiari tramandati a voce testimoniano in modo inconfondibile l’origine veneta e trevigiana del dolce. La ricetta deriverebbe dallo “sbatudin” un composto di tuorlo d’uovo sbattuto con lo zucchero, utilizzato comunemente dalle famiglie contadine trevigiane come ricostituente o per i novelli sposi. A questo è stato poi aggiunto mascarpone, caffè e cacao che tutti i nostri familiari ricordano di aver gustato fin da bambini prima dell’ultima guerra mondiale. Ancor oggi, secondo usi e costumi trevigiani, si porta in dono alle donne puerpere, ai bambini e alle persone in stato di debolezza i biscotti savoiardi. Biscotti di forma oblunga, soffici, leggeri e facilmente digeribili. Prima della produzione industriale dei biscotti savoiardi si preparava questo dessert con biscotti friabili, spugnosi fatti in casa e nelle famiglie più povere con focaccia o pane vecchio imbevuto di caffè. Il Tiramisù dei giorni nostri è un’evoluzione della tradizione locale di Treviso, è un dolce anche per i bambini ecco perché la ricetta tradizionale non contiene liquore. Lo scrittore trevigiano Giovanni Comisso ( 1895-1969 ) è stato il letterato e anche il testimone più informato sulla ricetta del Tiramisù. Il poeta Comisso ha scritto nelle sue memorie e raccontato agli amici più stretti che sua nonna discendente del Conte Odoardo Tiretta era una devota del Tiramisù, anzi del Tirame-sospiro-sù, come lei chiamava questo dessert e spesso consumava abitualmente come cena invernale. Da questi ricordi storici si evince che codesto dolce e ricetta erano conosciuti a Treviso già nell’1800.
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MULLER THURGAU
POJER E SANDRI
TRAMINER POJER E SANDRI
鮨飯 GEWURZTRAMINER TOLLOY
TRAMINER
AROMATICO
BOTTEGA VINAI
SAUVIGNON
SOLARIS
(Teramara)
(Naran)
PRAVIS
PRAVIS
BLANC DE SERS CASATA MONFORT
鮨飯 Vini Rosati Trentini
LAGREIN ROSATO Rottensteiner
ROSATO schiava Val dei Laghi Cavit
SCHIAVA Giovanni Poli VIN DEI MOLINI Pojer e Sandri
鮨飯 Vini Rossi Trentini
MARZEMINO Bottega de’Vinai
MARZEMINO BATTISTOTTI
TEROLDIGO FEDRIZZI CIPRIANO
TEROLDEGO ROTALIANO Riserva Mezzacorona
TEROLDEGO CANTINA TOBLINO
TEROLDEGO ROTALIANO CASTEL FIRMIAN Mezzacorona
鮨飯 TEROLDEGO ROTALIANO Barrique Bottega de’Vinai
E LIMARO (Rebo) CANTINA TOBLINO
REBO Poli Giovanni
REBORO 2014 PISONI
PINOT NERO Bottega de’Vinai
PINOT NERO Pravis
鮨飯 LAGREIN DUNKEL BOTTEGA VINAI
LAGREIN RUBINO (Fratte Alte) DONATI MARCO
GIASIL ROSSO (Cabernet, Merlot, Lagrein) CASIMIRO POLI
LAGREIN DUNKEL CASTEL FIRMIAN
SYRAH Syrae PRAVIS
FUGGE' ( Cabernet, Rebo ) Giovanni Poli
鮨飯 NEROFINO (Teroldego, Lagrein) CASTEL FIRMIAN
FAYE ROSSO (Cabernet,Merlot, Lagrein) POJER E SANDRI
QUATTRO VICARIATI (Cabernet, Merlot) CAVIT
SARICA ROSSO (Syrah, Pinot Nero) PISONI
CABERNET SAUVIGNON CANTINA TOBLINO
鮨飯 Vini Rossi Nazionali
PINOT NERO blauburgunder Rottensteiner (Alto Adige)
Vini da Dessert Trentini
MOSCATO GIALLO dolce Castel Firmian
0.5 Vino Santo Trentino Vendemmia 2004 CANTINA TOBLINO
鮨飯 0,375 VINO SANTO VALLE DEI LAGHI Vendemmia 2006
0,5 l GOLD SOLIVA Passito
Giovanni Poli
Pravis
0,5 l MERLINO 0519 Rosso Fortificato Pojer e Sandri 0,375 ESSENZIA Vendemmia tardiva Pojer e Sandri
Moscato Giallo Spumante Dolce CAVIT
SITOGRAFIA
CANEDERLI https://www.lacucinaitaliana.it/
GOULASH SUPPE https://www.forst-trento.it/
STRANGOLAPRETI https://www.ildolomiti.it/
GNOCCHI https://www.art-news.it/
TONCO DEL PONTESEL https://www.ildolomiti.it/
CROSTATA https://crostata.myblog.it/
STRUDEL https://www.enjoyfoodwine.it/
TIRAMISU' https://www.accademiadeltiramisu.com/
La nostra storia Il locale aperto nel dicembre del 1995, è ricavato da vecchie stalle e cantine di una casa oramai centenaria, costruita totalmente in pietra dal nonno paterno Giosafate Verones chiamato "Giosa" dal quale prende il nome anche il locale, dispone di 60 posti a sedere interni e 60 esterni, ampio parcheggio, giardino con parco giochi per bambini servizi per disabili e, si accettano le più importanti carte di credito, dista solo dodici km. dal casello autostradale Trento centro, posto a nord nella Valle dei Laghi ai piedi della Paganella e del monte Bondone.
La nostra cucina Nella nostra cucina, Ornella e Fernando, (la cui passione per la cucina nasce fin da quand’era bambino, aiutava la mamma in cucina a preparare il pranzo e la cena per la nostra famiglia abbastanza numerosa, sei figli più papà e mamma) preparano piatti tipici trentini, tra i quali: gli antipasti di formaggi trentini, i salumi locali, lo speck trentino, gli affettati di selvaggina, la trota marinata. I primi piatti; la pasta fatta in casa con funghi, al ragù, alla panna speck e noci, o all’ortica saltata con il ragù di selvaggina, gli gnocchetti tirolesi, gli strangolapreti, gli gnocchi di patate, i fagottini ripieni di ricotta e ortiche o funghi, i canederli, L'orzotto, gli gnocchetti di polenta con ragù di cervo e altri ancora in base alle stagioni. Visitate il sito: http://www.cadeigiosi.it/
I secondi piatti; il coniglio, lo stinco al forno, la carne alla piastra, il Tonco del Pontesel, la Tosella, il Baccalà , il formaggio fuso, la trota, il salmerino, le polpette di cervo alle erbette aromatiche sfumate con la grappa, la carne salada e fasoi, accompagnati dalla polenta le patate saltate, le verdure alla piastra, i crauti, i funghi e alti piatti ancora. I meravigliosi dessert fatti in casa per finire un pranzo in dolcezza non mancano mai fra i quali, tiramisÚ, panna cotta con frutti di bosco, strudel, torta alle mele, semifreddi, i gelati, il rumtopf e altri ancora. La lista vini della nostra cantina Ê forte di quasi duecento etichette per la maggior parte Vini Trentini, e le grappe, una scelta per tutti i palati raffinati. E se serve una mano, per scegliere una bottiglia può sempre aiutarvi il nostro sommelier.
Riconoscimenti
Visitate il sito: http://www.cadeigiosi.it/
BUON APPETITO! GIUGNO 2020
FAMIGLIA TRENTINA
RESISTENCIA
Osteria Ca' Dei Giosi