ANNO VIII - N° 2 - 2012
ORGANO UFFICIALE NAZIONALE
www.uglpoliziadistato.it POSTE ITALIANE - Spedizione in abbonamento postale 70% Lo/Mi - Autorizzazione Tribunale di Milano n. 103 del 12/02/2008
L’OPINIONE VIOLENZA SULLE DONNE: TRA PREVENZIONE E REPRESSIONE IL PUNTO L’ATTACCO ALLE PENSIONI NON CURA LA DISOCCUPAZIONE
EDITORIALE UN DURO COLPO PER IL PERSONALE IN DIVISA
Work Media srl
Calendari 2012
La Polizia Italiana
In edizione di pregio a tiratura limitata, con tempere e immagini Storiche della Polizia Italiana, dal 1852 fino ai nostri giorni
Calendario da muro: “Tipo Storico” Formato: cm 24x33, 14 facciate, cordonetto in ryon di 5 mm, con frangia e asola di colore blu/oro.
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SEGRETERIA GENERALE Roma - Viale Manzoni, 24/B - Tel. 06.77591194 - Fax. 06.770158 Segretario Generale: Valter Mazzetti Segretario Nazionale Vicario: Stella Cappelli Segretario Nazionale Amministrativo: Eduardo Dello Iacono Segretari Nazionali: Romano Salvatore Amico, Fabrizio Lotti, Filippo Girella, Rocco Pardo, Marco V. Cervellini, Agostino Marnati, Carlo Provetta, Gianni Pollastri, Pamela Franco. UFFICIO DI PRESIDENZA: Via Piave, 41 - 00187 Roma - Tel. 06.42011576 Presidente: Antonio Scolletta Vice Presidenti: Paolo Varesi e Cristiano Leggeri
Segreterie Regionali e Provinciali UGL POLIZIA DI STATO Segreterie REGIONALI: ABRUZZO BASILICATA CALABRIA CAMPANIA EMILIA ROMAGNA
F. VENEZIA GIULIA LAZIO LIGURIA LOMBARDIA MOLISE
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MATERA MESSINA MILANO MODENA NAPOLI NOVARA NUORO ORISTANO PADOVA PALERMO PERUGIA PESARO-URBINO PESCARA PIACENZA PISA PORDENONE POTENZA PRATO RAGUSA RAVENNA REGGIO CALABRIA REGGIO EMILIA RIETI
RIMINI ROMA SALERNO SAVONA SASSARI SIENA SONDRIO TARANTO TERAMO TERNI TORINO TRAPANI TREVISO TRIESTE UDINE VARESE VENEZIA VERBANIA VERCELLI VERONA VIBO VALENTIA VICENZA VITERBO
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EDITORIALE
GOVERNO TECNICO DI CRISI È UN GOVERNO FORMATO DA OPERAI, IMPIEGATI E PENSIONATI SOCIALI! PUPI O PUPARI? UN VERO
>di VALTER MAZZETTI Segretario Generale UGL - Polizia di Stato
La crisi economica che stiamo vivendo è veramente pesante per i lavoratori, per gli onesti imprenditori, per la gente comune e, il brutto, è che purtroppo si sta aggravando: siamo drammaticamente e disumanamente arrivati al punto che, per disperazione, c’è chi si dà fuoco alla maniera dei bonzi tibetani, ed è tutto dire! Questo governo, definito impropriamente “tecnico”, con i suoi provvedimenti, ci pare ignorare ogni situazione di vera sofferenza e pone, di fatto, come obiettivo unico il controllo e l’abbattimento, a valle, del debito pubblico, senza peraltro contrastarne le cause a monte: vale a dire il meccanismo speculativo impazzito che ci obbliga a salvare, con iniezioni massicce di liquidità, banche virtualmente fallite. Questi facoltosi signori che ci governano, ci sembrano tutto meno che dei veri tecnici, e i loro provvedimenti, che consi-
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dero di bassa economia, lo dimostrano. Anche mia nonna, del 1909, con la sola quinta elementare, non sarebbe stata capace di pensare rimedi così iniqui, invasivi e socialmente dannosi per il Paese. E non si tratta di vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno… perché qui ormai è sparito anche il bicchiere! Meglio sarebbe sicuramente stato un operario, un impiegato, un pensionato sociale, insomma uno dei tantissimi italiani, donne e uomini che, anche se privi di laurea, master, dottorati o compensi milionari, quotidianamente con il solo misero stipendio riesce a portare avanti una famiglia senza perdere di vista i valori sociali e morali. Mentre facciamo “beneficenza” forzata per gli istituti finanziari e bancari (vedi ultime aste di 1.000 miliardi di euro della BCE), si programmano ed attuano ulteriori inaccettabili e spietati sacrifici per lavoratori e pensionati di tutte le categorie. Tutto il pesante carico del risanamento del deficit e del debito è addossato ai poveracci che tirano la carretta, finendo
così per trasformare la voragine delle casse pubbliche in debito delle famiglie. Manca, e invece ci saremmo aspettati, una seria politica dell’esempio. Le cronache politiche e giudiziarie di questi giorni ci forniscono un deprimente ma eloquente spaccato di quella che è la visione di equità di questo governo. Dovevano sparire le province e sono aumentate, non e stata toccata quella miriade di posti di “sotto governo” a tutti i livelli, quella moltitudine di inutili consigli d’amministrazione, di enti superflui di super stipendi e faraoniche liquidazioni, di milionarie consulenze, di sprechi ecc. L’utilizzo disinvolto di svariati milioni di euro da parte di alcuni tesorieri di partito, poi, non mi indigna tanto per le finalità distorte di questa “paccata di milioni” (tanto per citare una professoressa), ma per il fatto che, nonostante un chiaro referendum che pure aveva abrogato il finanziamento pubblico ai partiti, quelle sacche non sono state toccate dai nostri bravi “tecnici”, mentre si è preferito azzannare quella parte di
società meno agiata, già costretta a salti mortali per arrivare a fine mese. Quando si parla di “riforma” meglio dire controriforma - del sistema pensionistico, ancor prima di aver adempiuto all’ultima manovra (vedi l’istituto della previdenza complementare) i lavoratori del comparto sicurezza ne subiscono le pesanti conseguenze in prospettiva devastanti. La pressione fiscale aumenta e l’inflazione brucia le nostre tasche e quelle delle nostre famiglie, costringendoci a ridurre consumi e tenori di vita già contenuti. I nostri figli restano privi di futuro e assistiamo con angoscia al loro domandarsi se valga la pena continuare a vivere in questo Paese o, peggio ancora, continuare a seguire le regole dettate da chi sembra stia attuando una vera e propria azione di “mattatoio sociale”. Di fronte a tutto ciò i tecnici al governo, tenuti in vita in parlamento dai soliti politici
che continuiamo imperterriti a votare forse per puro masochismo, rifiutano con i sindacati un vero dialogo, costruttivo e paritario, bollando ogni negoziato come “vizio concertativo”. Noi lavoratori del comparto Sicurezza, Difesa e Soccorso pubblico, abbiamo chiesto un confronto su un tema che avrà pesantissime ricadute sulla tenuta dell’intero sistema sicurezza, oltre che sulle nostre tasche già profondamente ripulite, anche per avanzare proposte con spirito costruttivo, ma la saccenza dei ricchi “professori”, confusa con l’arroganza di chi si ritiene superiore ad ogni altro povero ma dignitoso lavoratore, li ha portati a ritenere del tutto superfluo anche solo ascoltarci! Ci sembra di essere trattati da questi professoroni (che piangono lacrime di coccodrillo) con punte di disprezzo snobistico e umilianti: sicuramente non dimenticheremo la loro spocchia e la loro mancanza
di sensibilità democratica, perché la nostra dignità di gente che rischia la vita ogni giorno per servire lo Stato e la comunità nazionale non può essere svilita ogni giorno dalle battute di chi appartiene ad una ristretta élite comoda e privilegiata. E’ con tale consapevolezza che il nostro Sindacato, con spina dorsale dritta, conferma il grave stato di agitazione in atto. Un nostro comunicato lo esprime senza peli sulla lingua: siamo di fronte a “un vero e proprio golpe del Governo contro gli onesti lavoratori in uniforme”. La nostra forza unitaria dovrà riuscire ad imporre al governo un confronto sul merito delle cose per conciliare le posizioni dei nostri rappresentati con gli interessi di un Governo che sembra avere l’unico obiettivo di compiacere i desiderata di un Europa unicamente finanziaria; interessi che non necessariamente coincidono con quelli dei banchieri.
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IL PUNTO
SOMMARIO
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EDITORIALE Un vero governo tecnico di crisi è un governo formato da operai, impiegati e pensionati sociali! Pupi o Pupari?
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> di Filippo GIRELLA
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> di Valter MAZZETTI
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IL PUNTO L’attacco alle pensioni non cura la disoccupazione
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> di Antonio SCOLLETTA
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L’OPINIONE Violenza sulle Donne: tra prevenzione e repressione
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> di Marco Valerio CERVELLINI
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REPORTAGE Lo Stalking
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CRONACA Fermiamo la strage silenziosa delle donne > di Fabrizio LOTTI
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MEDICINA Nuove malattie per i Vigili del Fuoco SICUREZZA Lavori della Commissione Consultiva Permanente > di Stefano MARSELLA
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> di Carlo PROVETTA
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EDITORIALE Un duro colpo al personale in divisa > di Fernando CORDELLA
> di Romano Salvatore AMICO
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LETTERATURA Le viscere della libertà > di Giusj SANTACATERINA
TECNOLOGIA L’aiuto della tecnologia per contrastare gli abusi on line
STORIA Oltre i confini della realtà
ECONOMIA Europa: Fatti e Misfatti > di Sergio DI FOLCO
> di Eduardo DELLO IACONO
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CONVEGNO Criminal Investigation Meeting AVVENIMENTI Missione di pace o di guerra? > di Elide DESIDERI
> di Stella CAPPELLI
SOCIETÀ Non sparate sul “panzone” Maigret
GIUSTIZIA Il pignoramento e l’espropiazione mobiliare presso il debitore > di Sergio DELL’OLIO
> di Rocco PARDO
ATTUALITÀ “Quel pasticciaccio brutto” dell’Art. 18... esteso anche ai pubblici dipendenti. Anzi no!
SINDACALE Le richieste dell’Ugl Polizia al Ministro dell’Interno
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NOTIZIE Bari: Ugl Vigili del Fuoco in protesta SINDACALE Protocollo d’intesa tra il Ministero per i beni culturali e il Dipartimento dei Vigili del Fuoco
34 POLIZIA & ISTITUZIONI ORGANO UFFICIALE NAZIONALE - UGL POLIZIA DI STATO www.uglpoliziedistato.it
ANNO VIII - N° 2 - 2012 EDITORE Work Media srl - Viale Marelli, 352 - 20099 Sesto San Giovanni (Mi) Tel. 0292800603 - Fax 0292872651 - www.workmedia.org
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IL PUNTO
L’ATTACCO ALLE
PENSIONI
NON CURA LA
DISOCCUPAZIONE >di ROCCO PARDO Segretario Nazionale UGL - Polizia di Stato
La disoccupazione in Italia è un grave problema ma non è chiaro come c'entri con il pur benvenuto crollo dello spread (che remunera i creditori finanziari dei nostri titoli di Stato) e soprattutto perché il prezzo lo debbano pagare i lavoratori ed i pensionati; ed in particolar modo i Poliziotti, cui è stata aumentata l'età pensionabile. A nostro giudizio, quello che si è svolto finora tra il governo Monti e le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro
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non è un vero negoziato, ma somiglia piuttosto ai diktat che l'Amministratore Delegato della Fiat vuole imporre a lavoratori considerati alla stregua di sudditi. "O mangi la minestra o salti dalla finestra (licenziato)". La riforma in oggetto la vediamo procedere in continuità con i tagli alle pensioni varati a dicembre, quei tagli contro i quali anche i sindacati di polizia, il nostro in prima fila, stanno legittimamente e giustamente protestando. La specificità del comparto sicurezza (500.000 lavoratori!) non è stata tenuta in alcun conto. Ciò avrà inevitabilmente ripercussioni negative sull'efficienza ed efficacia
degli apparati di polizia e soccorso pubblico e quindi sulla sicurezza dei cittadini. La partita per tutelare la nostra specificità in materia previdenziale è tuttora in corso. Non ci diamo affatto per vinti. Ma a livello più generale, considerato il nesso tra lavoro e pensioni, non possiamo non mostrare seria preoccupazione rispetto alla impostazione della Ministro Fornero, che in particolare rivoluziona tre pilastri della regolamentazione vigente: i contratti (norme in entrata), i licenziamenti (art. 18 e flessibilità in uscita), gli ammortizzatori sociali. In sintesi: meno flessibilità
sta che alla fine verrà data: il solito Pantalone! I lavoratori (temporaneamente) occupati, sia nel pubblico che nel privato, pagheranno per quelli disoccupati, che si avviano a diventare tali in pianta stabile. Si parla di "flexsecurity" alla danese, ma c'è il piccolo particolare che questo Stato disastrato non ha neppure un euro da investire per questo scopo se tutte le sue risorse sono impegnate a garantire la sopravvivenza di banche virtualmente fallite. Pensiamo solo all'ultima asta della BCE: ha affidato un credito alle banche europee di 530 miliardi di euro all'interesse dell'1%.
Alle banche italiane sono andati 139 miliardi lordi, scusate se è poco! A dicembre 2011 un'altra asta della BCE aveva distribuito 489 miliardi che è stata utilizzata dalle banche solamente per il riacquisto di proprie obbligazioni in scadenza (se no in molte avrebbero dovuto dichiarare l'insolvenza). Ecco la triste realtà: tutta questa liquidità riversata sulle banche non va poi a finire alle imprese che lavorano sul mercato con prodotti e servizi veri, ma a coprire i loro buchi di bilancio! roccopardo@libero.it
Foto di Davide Procaccini
in entrata (sarà più costosa) ma licenziamenti più facili e ammortizzatori sociali per una platea più ampia (universale) ma molto meno "generosi" (si fa per dire) di quelli attuali. Al di là del problema sul ruolo politico dei sindacati, di cui ci pare di capire che l'Europa della finanza vuole lo "scalpo" (e qui non c'è solo la ex Triplice CGIL-CISL-UIL in ballo), il punto è che in questo governo non ci pare di cogliere un chiaro indirizzo pro economia reale contro l'economia di carta. Riassumibile nella semplice domanda: chi paga i nuovi ammortizzatori sociali? Temiamo di conoscere la rispo-
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ATTUALITÀ
“QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO”
DELL’ART. 18... ESTESO ANCHE AI PUBBLICI DIPENDENTI. ANZI NO! > di ANTONIO SCOLLETTA Presidente UGL - Polizia di Stato
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entre a n diamo in stampa il Governo non ha ancora licenziato il testo definitivo della riforma del mercato del lavoro, ma alcune riflessioni di carattere generale credo possano interessare anche i nostri affezionati lettori. L’UGL, dopo aver manifestato un assenso di massima all’impianto complessivo della riforma (di cui diremo brevemente in seguito), ha segnalato la propria indisponibilità verso un’ipotesi di modifica dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che preveda solo un indennizzo economico (da 15 a 27 mensilità lorde) e non anche il reintegro (previa comunicazione alle RSU e tentativo obbligatorio di conciliazione), nel caso in cui il giudice accerti l’insussistenza di un licenziamento individuale per oggettivi motivi economici, fraudolentemente accampati dall’azienda. In altre parole, nelle intenzioni del Governo Monti, se un datore di lavoro mente, sapendo di mentire, e licenzia un lavoratore
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senza alcun motivo economico, ma lo “giustifica” come tale, non potrà essere obbligato dal giudice a riassumere il lavoratore, ma dovrà solo indennizzarlo. Viceversa, se un datore di lavoro licenzia per motivi disciplinari un lavoratore e il giudice, anche in questo caso, scopre che i motivi disciplinari sono insussistenti o non giustificano il licenziamento, può decidere sia di indennizzare il lavoratore o di farlo riassumere. Orbene, non v’è dubbio che nei due casi illustrati con ricercata e, spero, efficace semplicità, è fin troppo agevole rinvenire un filo conduttore: l’elemento psicologico dei due ipotetici datori di lavoro che, in entrambi i casi, vengono “sbugiardati” dal giudice e non da una commissione di incalliti e faziosi sindacalisti bolscevichi. Ed allora, come mai in caso di “falso” licenziamento per motivi disciplinari la ministro Fornero ritiene di poter prevedere il reintegro e in presenza di un altrettanto “falso” licenziamento per insussistenti motivi economici il reintegro dovrebbe essere escluso? Verrebbe dunque da concludere che non di una battaglia ideologica o di retroguardia del peggior conservatorismo sindacale,
si tratta, ma della semplice affermazione di un principio logico, prima ancora che di civiltà giuridica. Un principio che, seppur da una prospettiva del tutto diversa, sembra trovare conferma nella posizione della Commissione Lavoro della CEI, che ha ritenuto di dover segnalare che “il lavoratore non è una merce, ma in politica sta prevalendo l’aspetto tecnico su quello etico” e, aggiungiamo noi, su quello logico-giuridico. Fatta questa debita premessa, resta il giudizio sostanzialmente favorevole rispetto ad una riforma che, all’insegna dei risparmi di spesa, imporrà nuovi sacrifici ai lavoratori (privati), attraverso una radicale ristrutturazione degli ammortizzatori sociali, dei quali vengono ridotte le fattispecie, la durata complessiva e l’ammontare del sostegno economico. Di contro va segnalato il disboscamento dei contratti atipici, parasubordinati e via elencando, con il chiaro intento di eliminare forme di lavoro subordinato camuffate dietro un esercito di partite iva, co.co.pro e formule varie che nascondono, malamente, la dilagante precarizzazione del rapporto di
lavoro che tutti conosciamo e che è la vera piaga da debellare. Da questo punto di vista la riforma, a mio avviso, va nella direzione giusta: contratto di apprendistato prevalente per l’ingresso nel lavoro, disincentivi fiscali per i contratti a termine ed incentivi per le aziende che stabilizzano, a tempo indeterminato, i contratti di lavoro. I sacrifici da “portare in dono” ai mercati finanziari che ci ricattano con lo spread con i bund tedeschi (sembra quasi una malattia) e all’UE, che ci chiede di liberalizzare il mercato del lavoro e delle professioni e dei servizi, sono a mio giudizio “congrui” e non mi pare il caso di sottostimarne l’impatto anche sociale, che divamperebbe ancor di più in caso di aperto scontro tra Governo e parti sociali che, è bene ribadirlo, stanno anche sobbarcandosi una funzione di supplenza della politica tradizionalmente intesa. Gli italiani, quindi, stanno dimostrando grande maturità e senso di responsabilità, fermo restando l’auspicio che prima o poi anche i grandi patrimoni, tutti gli evasori e i percettori di rendite finanziarie siano finalmente chiamati a pagare il dovuto, senza sconti né “scudi fiscali”. Questa riforma del mercato del lavoro, tra l’altro, fa il paio con quella previdenziale che ha già rivoluzionato il sistema, e con la crisi economica che si è abbattuta quasi esclusivamente sui ceti più deboli: i pensionati ed i lavoratori dipendenti, con conseguenti, pesanti ricadute sulle famiglie che restano ancora il più efficace “ammortizzatore sociale” soprattutto per i giovani disoccupati e gli anziani magari non autosufficienti. E, sempre per restare in tema di riforme “lacrime e sangue”, vale la pena ricordare la “riforma Brunetta”, che ha riguardato solo i dipendenti pubblici, nonché il blocco dei contratti di lavoro, di ogni automatismo
stipendiale e della contrattazione di secondo livello, almeno per i prossimi tre anni. Quindi, contrariamente a quanto viene impropriamente propalato da una certa vulgata, i dipendenti pubblici sono già stati pesantemente chiamati a concorrere al risanamento dei conti pubblici, e ciò è stato fatto non incidendo sugli sprechi della Pubblica Amministrazione e sui tanti privilegi della casta, ma più semplicemente e più comodamente, “mettendogli le mani in tasca”. Ora li si vorrebbe anche licenziare in forza dell’art. 18. Dal ministero della Funzione Pubblica, in prima battuta, fanno intendere che così sarà. Il ministero del Lavoro lo contraddice. La ministro Fornero, dall’alto della sua cattedra, sembra escluderlo, ma non lo dice apertamente, quasi a voler tenere sotto scacco milioni di lavoratori. La confusione regna sovrana e i nostri interlocutori andrebbero “rimandati a settembre”. E sì. Perche se è vero che il decreto legislativo 165/2001, così come modificato ed integrato dalla legge 4 marzo 2009, n. 15 e dal D.lgs.27 ottobre 2009, n. 150, all’art. 51, chiarisce che «la
legge 20.5.1970/300 (lo Statuto dei Lavoratori che contiene anche il “famigerato” art. 18, ndr) si applica alle pubbliche amministrazioni…» è altrettanto vero che l’istituto del licenziamento dei pubblici dipendenti è già regolato, oltre che da leggi speciali, anche da regolamenti ad hoc, come nel caso degli appartenenti alle Forze di Polizia. In particolare ricorderei ai tecnocrati prestati alla politica, che nella PA oltre al licenziamento disciplinare, codificato in prima battuta dallo Statuto degli impiegati civili dello Stato (datato 1957), ed “aggiornato, per ultimo, dalla riforma Brunetta, è contemplato anche quello economico. Lo prevede la legge di stabilità 2012 che, in caso di eccedenze di personale (motivo economico!) prescrive la riduzione del 20% dello stipendio a carico del dipendente dichiarato in esubero, che non accetta la nuova destinazione e che, conseguentemente, viene messo in “disponibilità. Decorsi 24 mesi in situazione di “disponibilità” (l’equivalente degli ammortizzatori sociali nel privato), il contratto di lavoro è risolto di diritto.
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L’OPINIONE
LA VIOLENZA SULLE DONNE Tra
prevenzione e repressione
> di STELLA CAPPELLI Segretario Nazionale Vicario UGL - Polizia di Stato
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ono sempre più frequenti, purtroppo, gli atti persecutori perpetrati dagli uomini contro le donne. Le modalità di attuazione, siano esse conseguenza di una accurata pianificazione o di una improvvisa ed isolata perdita di controllo, ossia azione d’impeto, non possono essere giustificate in alcun modo e dobbiamo amaramente constatare quanto ancora poco si faccia per salvaguardare e rendere giustizia alle troppe donne che continuano a subire in silenzio le conseguenze di una cultura troppo maschilista e che, sempre più spesso, solo la cronaca nera fa emergere. Nel 2009 nel nostro paese è stata introdotta la specifica figura di reato denominata “Stalking” o atti persecutori, mentre nel 1996 vi era stata l’introduzione di una legge sulla vio-
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lenza sessuale, che finalmente definiva tali atti come reati contro la persona e non più contro la morale e che, pur rappresentando un notevole passo avanti, rimaneva una legge contestabile poiché nel caso degli atti persecutori l’unica fattispecie applicabile era quella delle molestie che risultava inefficace per neutralizzare l’azione del persecutore che adotta atti e comportamenti estremamente vari e diversificati, nonché per prevenire una loro drammatica escalation verso la violenza. La pena prevista era di massimo 6 mesi e non era applicabile nessuna misura cautelare. Solo con la legge del 2009 il reato viene anticipato agli atti definiti persecutori; tuttavia, nonostante l’importante tutela introdotta oggi è ancora molto difficile per una donna affrontare e denunciare la violenza subita sia che essa provenga dall’esterno (stalker anonimi), che dall’interno del proprio nucleo familiare. Estremamente importante e delicato è soprattutto il momento dell’accoglienza che per
la donna che decide di esporsi, denunciando è certamente traumatico e, qualora poi, gli esiti fossero negativi, le vittime correrebbero anche il serio rischio, non solo di vedere nuovamente calpestati i propri diritti, ma di ricadere nella spirale dei maltrattamenti subiti e potrebbero decidere di fare marcia indietro rinunciando a presentare la querela contro i propri persecutori o di rimetterla, se già proposta. Per questo genere di reati, infatti, l’efficacia del contrasto non dipende solo dagli elementi normativi legiferati, ma anche, dalla “fortuna” di incontrare operatori sensibilizzati rispetto a queste problematiche, sia per qualità personali ed umane, che professionali. In particolare sulle forze dell’ordine le donne riversano grandi aspettative di essere ascoltate, credute e finalmente protette. Ecco perché negli uffici dove la vittima si reca per denunciare i soprusi, diventano fondamentali le modalità scelte per l’accoglienza e la successiva competenza nella trattazione dei casi.
La violenza, infatti, molto spesso è difficile da riconoscere poiché di frequente si tratta di uomini che visti dall’esterno risultano ineccepibili, affabili, affidabili, stimati professionisti, persone anche con ruoli sociali di prestigio e, di conseguenza, capita che nelle udienze vi sia uno stridente contrasto tra il comportamento composto ed equilibrato del persecutore e quello della vittima che appare evidentemente stressata, ansiosa, agitata, tanto da contribuire a darne un’immagine falsata, discutibile fino al punto da apparire inaffidabile. Inoltre, bisogna tener presente che per fare del male non è necessaria la violenza fisica o sessuale. Si può nuocere anche con intimidazioni, umiliazioni o mediante la sottomissione economica del partner. La violenza psicologica, la violenza economica possono essere esercitate anche senza ricorrere alla forza fisica ed in questi casi risulta ancora più difficile isolarle. Spesso entra in gioco il fattore culturale, nel caso ad esempio in cui un membro della coppia o entrambe le parti provengono da una cultura dove maltrattare o assoggettare le donne rientra nella normalità. In questi casi i fattori psicologici si fondano con quelli culturali e molte donne che confondono le
violenze e i maltrattamenti come amore, gelosia, interesse non riescono a sentirsi vittime di ingiustizie, ma addirittura colpevoli, responsabili perché la cultura le identifica come essere inferiori, prive di alcun diritto. In questi tristi e delicati contesti, dunque, assumono una importanza determinante come accennato gli operatori preposti ad intervenire. Ma, non va sottaciuto che alcuni professionisti come ad esempio quelli del pronto soccorso o gli operatori preposti agli uffici denunce spesso lavorano in condizioni proibitive, con tempi serrati, che non consentono di ascoltare adeguatamente la vittima. Inoltre, l’esperienza ha dimostrato che coloro che hanno avuto la possibilità di partecipare ad un periodo di formazione presso i centri antiviolenza, hanno dimostrato capacità di selezionare e riconoscere adeguatamente i segnali ed i comportamenti delle donne vittime di violenza e che, dopo la formazione, gli approcci sono diventati più corretti ed efficaci. Al pronto soccorso ad esempio, spesso le donne arrivano accompagnate proprio da chi le ha percosse, quindi al di là delle prime cure, sarebbe necessario poter parlare in
disparte con la vittima, trovare dei pretesti per appartarsi in uno spazio isolato, in modo che la persona si senta libera di aprirsi, lontana dalle influenze dei familiari. A volte, poi, occorre tener conto delle ambivalenze che si nascondono dietro generiche richieste di aiuto e chi accoglie dovrebbe essere capace di sospendere il giudizio sulle vittime, su ciò che sono o sono intenzionate a fare. Ogni consiglio o aiuto è destinato a fallire se non c’è da parte della donna una consapevolezza della propria situazione e della chiara volontà di uscirne fuori. Anche i centri antiviolenza, infatti, agiscono solo in risposta ad una specifica richiesta di aiuto della vittima. Tra l’altro, gli operatori che intervengono hanno l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria e non sempre la denuncia funziona da deterrente, infatti, soprattutto nei casi in cui la donna non viene immediatamente protetta, spesso è costretta a subire successive violenze ed intimidazioni che possono diventare tanto pressanti da indurla a rinunciare al proprio intento ed a scegliere di tornare sui propri passi. Fermo restando le peculiarità
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L’OPINIONE
che caratterizzano ciascun corpo di Polizia, è emerso che i risultati sono stati positivi là dove hanno agito operatori con una spiccata sensibilità unita al senso pratico. Ancora, esiste una grande differenza tra il modus operandi dei carabinieri delle piccole province e quelli ad esempio delle Questure, dove sono state organizzate delle sezioni che si occupano prevalentemente dei reati contro le donne ed i minori e che quindi hanno maturato un’esperienza maggiore, che consente loro di arrivare a fermare o arrestare i rei in una percentuale maggiore di casi. Soprattutto nelle piccole province si tende spesso a minimizzare l’accaduto, a voler fare da mediatori o magari si compie il grave errore di allertare il molestatore della donna della sua intenzione di denunciarlo, così da provocare per inesperienza ed incompetenza un rincaro della dose delle minacce o delle persecuzioni da parte del reo che tenta evidentemente di annientare ogni altro tentativo di ribellione da parte della vittima.La denuncia è dunque un atto forte che va consigliata solo quando la donna si trova o sarà messa in una situazione di sicurezza. In conclusione, il deterrente principale contro la violenza degli uomini sulle donne, rimane il lavoro culturale svolto su larga scala, per gli attori istituzionali, per le scuole, per gli operatori: un lavoro che va fatto soprattutto per le generazioni future.
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E’ necessario cambiare prospettiva e linguaggio anche attraverso la comunicazione e gli organi di stampa che troppo spesso danno risalto ai fatti di cronaca nei quali le donne restano vittime di omicidi, stupri, stalking nonostante avessero denunciato le aggressioni subite, mentre non viene data altrettanto eco all’arresto dei colpevoli, alle punizioni inflitte, agli esiti dei processi e, questa parzialità, nel presentare i reati di violenza all’opinione pubblica, finisce per innescare nelle donne solo un senso di paura e di sconforto che le convince di una erronea, presunta superiorità degli uomini che le maltrattano e dai quali si convincono di non potersi in alcun modo liberare. La donna che chiede aiuto alla giustizia ha una esigenza immediata, cerca sicurezza e protezione e, troppo spesso,
invece di una risposta forte ed efficace si ritrova a fare i conti con procedure e tempi incerti, con assurde possibilità di patteggiamento o di emanazione di indulto. E così si rafforza il senso di impunibilità degli uomini violenti e prevaricatori. Affinché, alla luce di quanto detto, la fuga non sia mai più per le donne la sola ed efficace via per sottrarsi alle persecuzioni ed alle violenze subite impegniamoci tutti, fin da subito, ciascuno nel proprio campo di competenza, al fine di prevenire e contenere questa inaccettabile barbarie attraverso la creazione di una fitta e solidale rete di collaborazione tra cittadini ed istituzioni. Si ringrazia per la preziosa collaborazione la collega, Dottoressa Paola Sacco.
SOCIETÀ
NON SPARATE SUL “PANZONE” MAIGRET Anche gli obesi hanno il diritto a non venire > di EDUARDO DELLO IACONO Segretario Nazionale Amm/vo UGL - Polizia di Stato
L
asciamo perdere il "mitico" ministro Brunetta che a suo tempo se la prese con i poliziotti "panzoni", colpevoli, a suo dire, di non avere il fisico per andare in strada a difendere i cittadini. E' opinione comunque diffusa che un peso corporeo eccessivo comprometta il successo in molti ambiti professionali. L'opinione purtroppo corrisponde a molti aspetti della realtà. E l'handicap non viene solo dai chili di troppo ma anche da quelli "regolari": svariati studi hanno mostrato che negli USA ed in altri Paesi le donne guadagnano in media tanto meno quanto più pesano, già a partire da taglie ordinarie, ed in lavori in cui l'aspetto c'entra ben poco. La persona in sovrappeso, specialmente se donna, tende ad essere giudicata in automatico come meno capace. Morale della favola: un pregiudizio sul peso corporeo esiste, anche se è meno noto e meno considerato degli altri pregiudizi "classici" su razza, genere o orientamento sessuale.
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discriminati
L'incidenza di questo pregiudizio non è da sottovalutare perché si trasforma in un'etichetta che marchia l'intera vita della persona. Un tempo le civiltà tradizionali valorizzavano la "ciccia": un corpo formoso ispirava idee di bellezza, desiderabilità, fertilità, ricchezza, successo. In Occidente oggi accade il contrario: la magrezza è sinonimo di bellezza, salute, giovinezza, grazia, ma non solo. La TV amplifica a dismisura lo stereotipo. Varie indagini documentano che spesso il giudizio estetico si trasforma in giudizio di valore: la capacità di mantenersi magro è associata all'intelligenza, all'autocontrollo e persino alla bontà. Il discredito sociale verso i grassi plasma uno stigma crudele, specie per le donne, che dipendono molto più degli uomini dal giudizio sull'aspetto corporeo. Già da molto piccoli il pregiudizio si fa sentire. I bambini più grassotelli sono citati raramente come amici e diventano più facilmente oggetto di derisione e di bullismo. Negli adolescenti il marchio porta esclusione sociale, disturbi alimentari e depressione, fino a tendenze suicide. In età più avanzate il pregiudizio
investe tutti gli ambiti della vita personale: autostima e benessere psichico, successo scolastico e professionale, rapporti sociali e sentimentali. Non c'è alcun rapporto tra peso e capacità intellettive, eppure le persone in sovrappeso sono sottorappresentate nelle più prestigiose università americane. Il sovrappeso, paradossalmente, affligge maggiormente i ceti a basso reddito, forse perché non hanno il tempo, la voglia e nemmeno i soldi per gestire scelte salutiste, tra diete biologiche e palestre bioaerobiche. A parità di competenze, il lavoratore in sovrappeso è visto come meno volenteroso ed abile, meno puntuale, motivato e produttivo, in poche parole meno affidabile. Le profezie, si sa, spesso si autoavverrano.
Un esperimento, sempre americano, sulla formazione a distanza ha verificato che i trainer "remoti" già in partenza curavano di meno gli allievi cui era stata manipolata la foto per mostrarli ingrassati. Altre indagini segnalano che il sovrappeso riduce le opportunità di amicizia e di vita sociale e sentimentale. Il pregiudizio influenza i rapporti con le autorità sanitarie. Afferma Daniele Di Pauli, segretario scientifico del CIDO (Comitato Italiano per i Diritti delle persone affette da Obesità e disturbi alimentari): "I primi perpetuatori dello stigma possiamo essere noi, i medici, gli stessi psicologi". Il medico si aspetta che il paziente obeso ponga più problemi e tende ad attribuire alla scarsa forza di volontà del grasso eventuali difficoltà incontrate nella terapia. In ambito ospedaliero, ma non solo, si dà la stura agli sfottò animati persino da buone intenzioni, ma l'atteggiamento irridente non paga: chi si sente discriminato ed offeso tende a deprimersi e perde la motivazione alla dieta e all' esercizio fisico. Un altro problema dei grassi è che a loro manca la coscienza di gruppo per fronteggiare insieme lo stigma: anche essi non si assolvono tra loro, si giudicano male. Ciò accade perché genere, altezza o colore della pelle sono caratteristiche immodificabili, mentre l'obesità è vissuta come una condizione da cui si può uscire ed in cui si resta intrappolati solo per difetto proprio. Il punto essenziale da comprendere è appunto questo: la controllabilità del proprio peso è in gran parte un mito. L'obesità è frutto di una catena di concause genetiche, psicologiche ed ambientali, di pressioni familiari e sociali. Non basta la forza di volontà dell'interessato, che ha un
controllo solo parziale. Le diete non sempre funzionano, se l'obiettivo è di tornare a un "peso ideale". Qualcuno può farcela, ma i più, per quanto si impegnino, sono destinati a fallire. Diete con obiettivi limitati, tipo perdere anche solo il 10% del peso ma poi mantenendolo, meritano di essere perseguite perché fanno veramente bene alla salute. Ma tornare al "peso normale" è un altro paio di maniche. Per arginare l'obesità, quando pure non dovuta a squilibri ormonali profondi, bisogna anche agire sull'ambiente e sullo stress che genera l'alimentazione compulsiva. Il senso comune fa a pugni con questa visione perchè imputa alle persone l'unica responsabilità del proprio peso: se si è grassi è solo perchè non si è capaci di gestire la propria alimentazione, quindi si è dei perdenti, dei falliti. L'obesità non suscita la compassione di altre malattie croniche come alcolismo e tossicodipendenze. Commenta Di Pauli: "Infatti se la si presenta come fuori dal controllo personale, per esempio come effetto di una disfunzione tiroidea, lo stigma cala molto". L'approccio volontaristico inficia anche le campagne preventive, incentrate sull'impegno personale: bisogna invece far sapere al pubblico, ed è questa la mission del CIDO, che il peso è solo in parte sotto il controllo dell'individuo: solo
da qui può partire una accettazione della taglia corporea, con l'obiettivo di pervenire ad equilibri personali più accettabili. La sensibilizzazione verso il personale sanitario è particolarmente importante. I medici si devono rendere conto che la persona può aver avuto esperienze negative. Magari si è sentita colpevolizzata o ha ricevuto solo il messaggio "devi perdere peso" che è come dire ad un depresso che deve tirarsi su: lo sa già, il problema però è come riuscirci. La persona obesa dovrebbe poi imparare ad autostimarsi comunque, e a darsi da fare per accettare l'aiuto di una cura. A livello sociale, infine, occorre chiarire che lo stigma anti obesi è inaccettabile come qualsiasi altro, ed i media vanno particolarmente responsabilizzati sotto questo aspetto. A Brunetta, per concludere in scherzo, bisognerebbe ricordare che il commissario Maigret aveva la pancia, ma questo non gli impediva affatto di disporre, in massimo grado, di intuizione, determinazione, preparazione, fiuto, coraggio, e soprattutto umanità! Per ulteriori informazioni rivolgessi a: Comitato Italiano per i Diritti delle persone affette da obesità e disturbi alimentari Via C.Felici 18 Monte Compatri - 00040 Roma Tel. 339.1394722 Fax 06.9587471
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TECNOLOGIA
L’AIUTO
TECNOLOGIA PER CONTRASTARE GLI ABUSI ON LINE DELLA
Attraverso una moderna tecnica della Microsoft chiamata Photo DNA sarà più semplice identificare le vittime e prestare loro assistenza > di MARCO VALERIO CERVELLINI Segretario Nazionale UGL - Polizia di Stato
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l nuovo strumento messo a punto dalla Microsoft e NetClean a livello mondiale,
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aiuterà gli specialisti della Polizia Postale e delle Comunicazioni ad identificare più rapidamente e con una maggiore garanzia attraverso tracce di immagine, le vittime di sfruttamento sessuale. La sfida della Microsoft è ambiziosa, promette infatti attraverso l’applicativo chiamato PHOTO-DNA di identificare
con precisione gli autori dei reati sessuali che si consumano nel web - Il photo DNA è una tecnologia in grado di creare una firma univoca, come se fosse un impronta digitale, che può essere confrontata con firme di altre immagini, lo scopo è quello comprensibile di trovare segni compatibili tra loro, quindi
Da sinistra: Pietro Scott Jovane, Girolamo Lacquaniti, Antonio Apruzzese e Carlo Solimene
copie dell’immagine specifica per poi risalire agli autori e divulgatori delle immagini. I provider di servizi online, quali Microsoft utilizzano fhoto dna per ricercare, segnalare ed eliminare alcune delle immagini di pedofilia online. Photo DNA, disponibile gratuitamente per le Forze dell’Ordine, e’ oggi integrato nel programma CETS (Child Exploitation Tracking System), lo strumento donato da Microsoft alla Polizia Postale e delle Comunicazioni per consentire a quest’ultima di tracciare eventuali tentativi di pedopornografia online, indagando con efficacia sugli individui e sui siti Internet sospetti. “Questa nuova applicazione rappresenta un importante risultato per il contributo investigativo che è stato raggiunto grazie alla collaborazione tra
le Forze di Polizia ed il mondo delle industrie, e sottolinea ancora una volta l’impegno di Microsoft nella ricerca di sicurezza per il mondo di Internet. “La lotta agli abusi sui minori e l’impegno per la sicurezza in Rete sono i nostri obiettivi primari in un ambiente in cui le insidie possono essere numerose. La nostra attenzione è costantemente alta e grazie alla disponibilità di PhotoDNA, da oggi disponiamo di un nuovo strumento per condurre le nostre indagini in maniera ancora più efficace” ha dichiarato Antonio Apruzzese, Direttore della Polizia Postale e delle Comunicazioni. la collaborazione con Microsoft, che dal 2006 ad oggi ha già prodotto ottimi risultati, garantirà ancora ulteriori traguardi nella lotta contro la pedofilia.
“Grazie anche al sistema CETS - conclude Apruzzese - sono state coordinate oltre 10.000 indagini con i seguenti risultati investigativi: • Persone arrestate 422 • Persone denunciate 7.584 • Perquisizioni 6.548 • Siti web attestati e oscurati in Italia 179 • Siti pedopornografici inseriti nella black list 1.086 • Siti web monitorati 36.1787” La Polizia Postale e delle Comunicazioni come sempre cerca attraverso il costante impegno dei suoi qualificati operatori di garantire una navigazione sicura, consapevole, responsabile e critica di questa tecnologia, evidenziando i rischi e pericoli della rete ma soprattutto i modi per proteggersi e proteggere i nostri figli. Pietro Scott Jovane - Microsoft Italia
Antonio Apruzzese e Carlo Solimene
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REPORTAGE
“Profili culturali e criminologici dell’utente
ossessivo e della vittima nelle professioni d’aiuto. Strategia di difesa e intervento, strumenti legali e scenario giurisprudenziale del reato di stalking.”
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STALKING
ASPETTI NORMATIVI, RIFLESSIONI E ATTIVITÀ INVESTIGATIVA DELL’AUTORITÀ DI PUBBLICA SICUREZZA > di ROMANO SALVATORE AMICO
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Segretario Nazionale UGL - Polizia di Stato
on v’è dubbio che il tema odierno offra spunti di dissertazione e confronto molto ampi, che, mi sento di dire, vanno oltre il tema stesso; già, per esempio, la definizione di utente ossessivo imporrebbe un approfondimento di tipo clinico, addirittura psichiatrico, volendo partire dall’assunto che non tutte le ossessioni, come - d’altra parte - i disturbi compulsivi, affondano la loro etiogenesi in motivazioni psicologiche, ma possono derivare o anche solo essere aggravate da vere e proprie patologie mentali. È questo un aspetto che, personalmente, per la problematica che trattiamo, ritengo sia
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di rilevante importanza sotto l’aspetto investigativo, prima, nonché sotto quello del giudizio, dopo. Considero molto interessante, inoltre, il concetto di professione(i) d’aiuto, che, a prima vista, potrebbe anche voler dire poco, per la sua accezione generica e per il sol fatto che quasi tutte le professioni hanno un’utilità sociale; ma, a pensar bene, se riconosciamo al sostantivo “aiuto” l’integrità del suo significato, non possiamo che pervenire alla conclusione che con tale espressione si debbano intendere tutte quelle professionalità che sostengono ogni persona afflitta da condizioni di difficoltà esistenziali, sociali, psicologiche, tendendo al miglioramento della qualità dell’altrui vita e salute mentale; è, quindi, professionista d’aiuto lo psicologo, lo psichiatra, l’assistente sociale, il counseling, l’educatore.
Mi chiedo, però e a questo riguardo, se la professionalità del poliziotto, ed io sono un poliziotto, possa essere annoverata, a pieno titolo, tra quelle cosiddette “d’aiuto”: forse non troverò il consenso di tutti o andrò contro la comun tendenza, ma per mia onestà intellettuale, mi sento di dire che l’operato della Polizia, come quello delle altre Forze dell’Ordine, non svolge finalità “d’aiuto”, almeno non in senso stretto, non sempre e non in prima analisi; reputo, invece, molto più aderente ai compiti istituzionali di tali Corpi il ruolo, peraltro validissimo e talvolta imprescindibile, di mediazione tra chi dell’aiuto - per come l’abbiamo inteso - ha bisogno e le Figure o gli Organismi accreditati ad offrirlo. Da quanto ho appena premesso, deduco, allora, che lo stalking, al pari di tutte le fattispecie criminose, debba necessariamente
prevedere un’agente attivo, quello che abbiamo definito utente ossessivo, un’agente passivo, la vittima, nonché, in un suo contesto “allargato” e al di fuori dei suoi elementi costitutivi di reato, un’attività di indagine, promossa da specifica querela, l’intervento eventuale degli Organismi di sostegno e un procedimento, che può limitarsi all’aspetto esclusivamente amministrativo (ammonimento), ma che può, anche, seguire un protocollo giudiziario.
Ma cos’è davvero lo stalking?
È stato autorevolmente definito, torniamo, più modestamente, a farlo: per dogmatismo, si può asserire che lo stalking è un insieme di comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza e controllo, di ricerca contatto e comunicazione, nei confronti di una “vittima”, che risulta infastidita e/o preoccupata (Galeazzi-Curci). Se, però, si vuol tratteggiare più semplicemente e meno accademicamente il fenomeno, si può dire che lo stalking è tutta una serie di atteggiamenti che un individuo tiene per affliggere un’altra persona, spesso di sesso opposto, opprimendola, riuscendo a provocare in questa ansia e paura, fino a comprometterne il regolare svolgimento delle quotidianità, allo scopo di recuperare un precedente rapporto o di vendicarsi di qualche torto subito. In una sola parola stalking è persecuzione, non a caso il significato che la lingua inglese attribuisce a tale termine è quello di “braccare”, “cacciare” “fare la posta”! Lo stalking oggi e illegale nella maggior parte delle giurisdizioni dei paesi di lingua inglese, come in USA, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito. Lo stalking e illegale anche in alcuni paesi dell’Europa del nord e in altre parti del mondo. In certe nazioni, come accade in Inghilterra e nel Galles, sono
necessari soltanto due episodi per punire l’autore delle condotte moleste ed indesiderate, configurandosi - così - il reato di stalking. In molte legislazioni, per costituire un illecito, il comportamento deve essere tale da produrre ansia o paura nella vittima (anche per l’Italia è così, come sappiamo). Tuttavia, in altri Stati, l’unico requisito richiesto dalla legge è che il comportamento sia sostenuto da un intento doloso. In Italia, purtroppo, in antitesi con il suo essere lo “Stato del Diritto” per antonomasia ed eccellenza, una normativa capace di contemplare lo stalking come specifico reato, prescrivendone pene e misure a titolo di prevenzione è arrivata nel 2009, con la Legge n. 38 del 23 aprile (di conversione del D.L. n. 11 del 23.2.2009). Prima di quella data le condotte di stalking venivano considerate penalmente rilevanti solo laddove integravano la fattispecie di molestia o disturbo alle persone, prevista dall’articolo 660 del Codice Penale, che, in ogni caso integrava (ed integra ancora) una semplice contravvenzione e, quindi, un reato di scarso rilievo. Altri mezzi per procedere in ambito giudiziario erano collegati ad ipotesi criminose non specificamente dirette a punire lo stalking, bensì dirette a colpire altri illeciti, che potevano accompagnare le condotte moleste, quali l’articolo 575 del Codice Penale (omicidio), il 582 (lesioni personali), il 594 (ingiuria), il 595 (diffamazione), il 610 (violenza privata), il 612 (minaccia), il 614 (violazione di domicilio), il 635 (danneggiamento). All’art. 7 della Legge 38/2009, dunque, bisogna attribuire il merito di aver istituito ufficialmente il reato di atti persecutori (stalking), con l’introduzione, in seno al Codice Penale, del-
l’articolo 612 bis e la conseguente previsione di una pena da sei mesi a quattro anni e, nella forma semplice, di una procedibilità a querela. Per questo nuovo reato è possibile, inoltre, l’applicazione di diverse misure cautelari, i limiti edittali, infatti, consentono l’applicazione della misura cautelare in carcere e la misura degli arresti domiciliari. Ma la novella legislativa ha, altresì, introdotto la misura coercitiva personale di cui all’art. 282 ter c.p.p., il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, che impone il divieto, per l’imputato, di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa, dai prossimi congiunti, dai conviventi o dalle persone legate alla vittima da relazioni affettive. La misura contempla anche il veto di comunicare con le persone appena indicate attraverso qualsiasi mezzo (e quindi anche con i moderni strumenti telematici). Il limite, tuttavia, di tale provvedimento cautelare sta nel suo decadere, qualora la querela che ha originato il procedimento venga rimessa.
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REPORTAGE
Il legislatore ha, infine, introdotto un procedimento di prevenzione specifica (ne abbiamo esaustivamente parlato), quello relativo al cosiddetto ammonimento (art. 8, della Legge n. 38/2009), teso a rafforzare l’aspetto preventivo della materia e a limitare il ricorso all’intervento repressivo, costituito dall'istituzione del procedimento penale. L'esordio dell'art. 8 è estremamente chiaro: “fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all'art. 612 bis del c.p. ... la persona offesa (quindi un soggetto ben preciso, che figura come ipotetico titolare dell' interesse leso posto in pericolo dalla condotta prevista dalla norma incriminatrice) riferisce all'autorità di Pubblica Sicurezza i fatti, avanzando la richiesta al Questore di fare un ammonimento nei confronti dell'autore della condotta”. Tralasciata, ora, ogni possibile e plausibile considerazione, soprattutto sull’efficacia dell’istituto in esame e sulla natura amministrativa di questo, propedeutica - nel caso di un suo fallimento - all’attivazione del procedimento giudiziario, va sottolineato come l’accoglimento dell’impugnazione avanti il TAR dell’ammonimento comporti l’improcedibilità dell’azione penale e la scarcerazione del detenuto. Ritengo opportuno, a questo punto, dare un cenno, al cosiddetto mobbing, termine che definisce una serie di comportamenti oppressivi realizzati, di regola, all’interno di un ambiente lavorativo, da un sovraordinato, che, per rancore personale verso un suo sottoposto, finisce col indurre quest’ultimo, nei casi estremi, ad abbandonare il lavoro. Mobbing e stalking sono due diverse fattispecie di atti persecutori, ma hanno molti aspetti in comune: lo stalking, come si
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è visto, costituisce reato, secondo la previsione dell'art. 612 bis, il mobbing è ancora in attesa di una specifica collocazione legislativa, poiché manca una norma che definisca e disciplini tale fenomeno. Non è sempre agevole definire i confini tra le due fattispecie quando, ad esempio, una particolare ed insidiosa attività persecutoria venisse posta in essere sul luogo di lavoro. La cosa non è di poco conto, posto che lo stalking è reato ed il mobbing no, salvo che le condotte di quest'ultima fattispecie rientrino in altre norme di rilevanza penale, come ad esempio quelle sulla minaccia, violenza, maltrattamenti ecc. Fin troppo scontata appare la differenza tra mobbing e stalking, secondo la quale il primo viene esercitato nel mondo del lavoro, il secondo, invece, nell’ambito privato in cui la vittima si muove. Caratteristica comune alle due fattispecie è che entrambe potrebbero realizzarsi attraverso atti che, isolatamente considerati, sarebbero anche leciti ma che, con il reiterarsi nel tempo, potrebbero assumere rilevanza penale e/o civile ed essere, altresì, fonte di gravi responsabilità. Se poi scendiamo in concreto, con riferimento allo stalking, già sul profilo della reiterazione sorgono seri problemi, nel senso che per alcune pronunzie giurisprudenziali sarebbero sufficienti due soli episodi di molestie ripetute in presenza degli altri elementi caratterizzanti la fattispecie, per quanto riguarda l'incidenza nella sfera psichica della vittima. L'art. 612 bis, inoltre, nella individuazione della struttura criminosa dello stalking, attribuisce un’importanza sostanzialmente pari sia all’aspetto rappresentato dalle valutazioni dei profili soggettivi della vittima, consistenti in “un perdurante grave stato di ansia e di paura”, nel
“fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o da persona al medesimo legata da relazione affettiva” e nella costrizione “ad alterare le proprie abitudini di vita”, sia alla condotta persecutoria del soggetto attivo. Siffatta bivalente valutazione, viene sì osservata anche per il fenomeno del mobbing, ma senza connotarlo in maniera precipua, tant’è che la condotta di chi lo esercita può essere catalogata, se ne ricorrono i presupposti, tra previsioni delittuose di diversa specificità, quali le minacce, le molestie, le ingiurie, ecc, e le conseguenze psicofisiche dell’oppresso vengono considerate solo se in numero parossistico e certificato da una triste evidenza. Importantissimo aspetto da curare è quello, ora, delle investigazioni esperite nei casi di stalking; fughiamo subito ogni dubbio circa una possibile straordinarietà dei metodi di indagine, posta in essere dalle Forze dell’Ordine, sia nell’ambito della
Michael Parkes - Stalking
cosiddetta attività di iniziativa che in quello dell’attività delegata dall’Autorità Giudiziaria. A parziale delusione di chi all’emanazione di una legge specifica si aspettava dovessero corrispondere legittimazioni ad attività di accertamento del reato di tipo “dedicato”, non si può che asserire che le investigazioni per l’identificazione di uno stalker e la dimostrazione della sua colpevolezza seguono protocolli di ordinarietà assoluta, talvolta incongrui rispetto alle esigenze di raccolta degli elementi di prova. Si pensi, a quest’ultimo riguardo, che le intercettazioni telefoniche sono consentite solo a determinate condizioni, cioè quando si prospettano delle aggravanti e, in particolare, quando il reato è commesso ai danni di una minore, di una disabile o di una donna in gravidanza, oppure allorquando le condotte dell’indagato sfocino in conclamate e reiterate forme di violenza fisica o sessuale.
Vien da chiedersi, allora, come si fa a quantificare la reiterazione di una condotta, forse che una donna debba essere massacrata di botte più di una volta per essere considerata vittima di stalking?! Vigono, quindi, in questo caso, le previsioni di cui alla lettera a) dell’articolo 266 del C.P.P., secondo le quali si può procedere alle intercettazioni telefoniche, ma anche all’intercettazione di comunicazioni tra presenti, nella sussistenza di delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni. E alla pena di poco più di cinque anni, fino a sei, lo stalker arriva solo nel caso in cui la sua condotta sia stata aggravata dalle circostanze sopra menzionate. Per il resto, non esiste un protocollo standardizzato nella gestione dello stalking, da parte delle Forze dell’Ordine, se non quello confacente ai parametri di quotidiana e normale applicazione, anche se potenzialmente differenziati per ciascun caso. L’attività sarà, quindi, imperniata su strategie investigative formalmente definite (escussioni di testi, acquisizione degli elementi di prova, ecc…) e su atti meno formali, eventualmente ritenuti utili (appostamenti, pedinamenti, ecc…). Di imprescindibile importanza, in ogni caso, sarà la documentazione dell’attività compiuta,
secondo le prescrizioni del C.P.P., e un’esaustiva informazione all’Autorità Giudiziaria competente, della notizia di reato, prima, e di ogni sviluppo investigativo, poi. Un intervento efficace delle Forze dell’Ordine dovrebbe, comunque, considerare i seguenti aspetti: • l’Agente di Polizia deve ascoltare con attenzione la vittima e fornirle il sostegno necessario. E’ importante sottolineare come non tutte le vittime sono disposte a denunciare lo stalking, solo la metà di queste denuncia la violenza alla Polizia, le ragioni variano e vanno dal non credere che lo stalking sia un fenomeno che riguardi le Forze dell’Ordine, a pensare che queste non possano offrire grande aiuto, al temere rappresaglie dallo stalker o, addirittura, al pensare di non essere credute; • è auspicabile che le Forze dell’Ordine contattino nuovamente la vittima dopo il primo colloquio. In questo modo sarà possibile intervenire più facilmente quando e se si verificheranno fatti nuovi e, allo stesso tempo, la persona oppressa si sentirà sostenuta; • un atteggiamento poco sensibile delle Forze dell’Ordine potrebbe rendere difficoltoso ottenere ulteriore collaborazione da parte della vittima; • le Forze dell’Ordine dovrebbero fornire indicazioni sulle precauzioni da adottare e sulle
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modalità di raccolta delle prove (per esempio la vittima dovrebbe informare i propri parenti della situazione e portare sempre con se un numero telefonico di emergenza; tenere un diario nel quale registrare tutti i contatti con lo stalker, oltre che i passaggi ripetuti di auto sospette e tutti gli eventi insoliti); • deve essere prospettata alla vittima l’eventuale necessità di un aiuto specializzato; in alcuni casi, soprattutto quando c'è un grave rischio di violenza fisica, potrebbe essere necessario cercarle un rifugio residenziale. Se la persona oppressa ha subito delle lesioni fisiche, è importante che si faccia visitare da un medico e che ottenga le relative certificazioni; • l’intervento della polizia porta spesso a un cambiamento di comportamento dello stalker; • fin dal primo approccio deve essere fatta una valutazione molto attenta della gravità della situazione. Il calcolo del rischio dovrebbe basarsi sull’analisi di tutte le prove disponibili. Le Forze dell’Ordine dovrebbero avere una adeguata preparazione sul fenomeno, comprendente la conoscenza dei comportamenti di stalking, le caratteristiche dello stalker e della vittima;
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• la valutazione del rischio richiede un sistema integrato di comunicazione tra Forze dell’Ordine, servizi di Igiene Mentale e Sistema Giudiziario; • le Forze dell’Ordine, nella rilevazione delle denunce di stalking, dovrebbero utilizzare modalità di registrazione standardizzate che rendano possibile ricollegare tra loro successive denunce, in modo che la vittima, ogni volta, non sia costretta a rievocare tutta la storia con i relativi dettagli. L’integrazione di tutte le informazioni, oltre a favorire una migliore archiviazione dei dati, potrà rivelarsi utile per l’eventuale successivo iter giudiziario del caso. In conclusione, senza voler apparire o, peggio ancora, senza voler essere polemico, ma solo per onorare il vero e per rispondere all’istinto di sindacalista che contraddistingue la mia vita professionale, mi sia consentito fare un apprezzamento, pertinente a quest’ultimo aspetto da me affrontato, quello delle investigazioni. Tutto vero, naturalmente, quel che ho detto, e non solo da un punto di vista teorico; la Polizia di Stato e le altre Forze dell’Ordine, oggi, riescono a produrre risultati di tutto rispetto nei più svariati campi investigativi, ma se ciò
ancora si può dire e si può registrare è solo perché gli uomini in divisa, malpagati e assoggettati ad inique forme di trattamento economico accessorio, che mal si concilia con il rischio della loro stessa vita, quotidianamente corso, ancora credono in valori antichi, credono nello Stato, credono nella Giustizia. Noi parliamo di investigazioni, ma dove sono le risorse per sostenerle? Il pericolo che incombe, mi auguro non si realizzi mai, è quello che, con le carenze di cui soffriamo, anche le indagini saranno gerarchizzate e reati come lo stalking saranno considerati minori rispetto a quelli di ancor più grave allarme sociale e, pertanto, trattati in subordine a questi ultimi. Non so esattamente cosa succederà, il nostro Sindacato è impegnato diuturnamente nel riscatto delle pesanti menomazioni, economiche e - purtroppo - anche etiche, subite dalla nostra categoria, noi, comunque, non ci arrenderemo. Nel frattempo, però, non ci resta che dire grazie ai Poliziotti, ai Carabinieri, ai Finanzieri ed ad tutti coloro che, tra mille difficoltà, fanno di questo nostro Paese uno Stato libero nel pensiero e libero nelle azioni.
STORIA
OLTRE I CONFINI DELLA REALTÀ futuro potesse essere un Eden ma nemmeno l’ Inferno “Non ho mai ipotizzato che il nostro
> di CARLO PROVETTA Segretario Nazionale UGL - Polizia di Stato
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a mia è una generazione abituata a lottare, non ci siamo mai crogiolati sui sogni che spesso ci venivano propinati da una società che non ci sembrava alla nostra altezza, non perché eravamo ottusi, ma semplicemente perché, sapevamo benissimo quali erano le nostre potenzialità. Tanti anni fa, quando eravamo tutti più giovani, ed avevamo qualche capello in più, ci sentivamo nella nostra “povertà” tutti più motivati. Quando giovanissimo, mi sono arruolato nel disciolto corpo delle Guardia di Pubblica Sicurezza, c’era un premio (750.000 lire) che non ci è mai stato interamente corrisposto, il terrorismo che imperversava, ed un futuro da povero servitore dello Stato. Per molti Poliziotti d’allora, per tanta gente che veniva dal sud, indossare una divisa significava anche, un modo per riscattarsi e sbarcare il lunario, contribuire in parte all’economia delle famiglie di provenienza. Andare via da contesti degradati per costruirsi un futuro un tantino migliore, diverso da
quello dei nostri padri, molti dei quali avevano visto o combattuto una devastante guerra, patendo la vera fame. Da allora sono passati tanti anni, c’è stata la riforma di Polizia (1981),il riconoscimento delle rappresentatività Sindacali, si sono susseguiti diversi governi, la nostra società da contadina si è trasformata in una moderna società industrializzate, ergendoci fra le prime cinque potenze industrializzate del mondo. Come Poliziotti non ci siamo mai ritenuti dei gran fortunati, la nostra lunga carriera ci ha insegnato che nella vita c’è tanta gente che è meno fortunata di noi, e questo in parte ci da ancora la forza di lottare, come il credere ancora nello Stato e nelle Istituzioni. Ma non è corretto che dopo anni di stipendi da fame, di sacrifici, di viaggi e pericolosi indagini, ad un Poliziotto ancora
una volta gli viene ridimensionato stipendio e pensione, mentre ai politici, ai magistrati e agli alti dirigenti dello Stato vengono corrisposti stipendi da nababbi. Ci verrebbe da dire: figli e figliastri o figli di … Dopo tanti anni di ammirazione, mi rendo conto che i veri servitori dello Stato rimaniamo ancora noi (le Forze dell’Ordine), poveri ma ricchi di valori. E’ questo che ci spinge ancora ad andare avanti senza indugiare, l’orgoglio di un’appartenenza vera, il credere in quei valori che hanno fatto grande l’Italia e che ancora oggi ci trasmettono energia e sentimenti vitali. Domani correremo ancora per contenere la folla che protesta, ancora una volta con il nostro esempio e la nostra dedizione sapremo convincere soprattutto noi stessi che forse ci attende un mondo migliore da quello fin qui conosciuto.
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CRONACA
FERMIAMO LA STRAGE SILENZIOSA DELLE DONNE “Le nostre compagne di vita sono sempre più oggetto di
ingiustificate violenze soprattutto da chi dovrebbe amarle e proteggerle”
> di FABRIZIO LOTTI Segretario Nazionale UGL - Polizia di Stato
L
a cronaca di questi ultimi tempi, pone l’accento sull’aumento dei casi di omicidi ai danni di donne, in Italia si registra un omicidio famigliare ogni due giorni: due vittime su tre sono donne (63%), un omicidio
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familiare su due (48,6%) avviene all’interno della coppia, l’85% degli assassini sono uomini, mariti (36%), figli (11%), partner (18%), parenti (13%), ex (09%), le donne più a rischio hanno tra i 25 e i 44 anni. L’inquietante crescendo di fatti delittuosi, preoccupa e non poco, soprattutto per l’efferatezza con la quale certi misfatti vengono portati a termine. A indirizzare le mani degli assassini che di solito sono
uomini, spesso emergono vecchi rancori e gelosie che nascono all’interno di storie di vita dai tratti apparentamene naturali, difficilmente prevedibili, tanto da far rimanere sgomenti persino le persone più vicine alle vittime o ai carnefici. La modalità e la tempestività con le quali alcuni dei protagonisti, persone a volte normalissime, agli occhi di chi ha avuto modo di frequentarle molto da vicino, sono perlomeno inquietanti, se si
pensa al contesto in cuoi viviamo e alla promiscuità con la quale spesso si consumano i nostri contatti personali. Mi si accappona la pelle, solo al pensiero che, la donna di una vita, possa essere fatta oggetto di così tanta brutalità e persone che si sono giurate amore eterno, si annullano in un atto di gratuita violenza, piombando nel baratro della disperazione più assoluta. C’è qualcosa che non riesco a spiegarmi nella mia normalità, come nella normalità di ogni comune essere vivente. La nostra società frenetica, abituata a correre, spesso senza una vera meta, porta gli individui ad perdere il vero senso della vita, a non accorgersi dei bisogni altrui, ad ignorare il prossimo, ad annullare gli ostacoli senza chiedersi il perché, senza considerare i veri risvolti,
il fine e le conseguenze. I fatti ci mettono davanti ad un vero allarme sociale, che insieme a tanti altri, dimostra ancora una volta di quanto l’uomo, nella sua spasmodica ricerca di “libertà” si sia imbrigliato nella ragnatela dell’egoismo assoluto, da dove si può uscire, solo con uno vero scatto orgoglio e una sincera presa di coscienza. Prima di tutto, dobbiamo amare di più le donne, considerarle per ciò che sono, per ciò che fanno, per il loro essere, per la loro sensibilità e la dedizione, basta ricordare le nostre mamme. Non è mai troppo tardi per fermarsi a riflettere all’interno delle nostre comunità delle nostre famiglie, cercare di soffermarci con più attenzione su quei segnali che percepiamo subdoli e che spesso sono accorati richieste di aiuto.
Certo c’è da fare ancora molto sotto l’aspetto legislativo e socio-pedagogico, ma non bisogna assolutamente fare sottovalutazioni, occorre un profonda riflessione che vada attentamente ad analizzare abitudini comportamentali e di costume che non sono assolutamente da sottovalutare. Bisogna agire con determinazione per arginare la vergognosa e assurda strage di giovani donne perché una società civile, non può assolutamente rimanere inerme davanti a così tanta barbarie. La Polizia di Stato da parte sua, già da tempo, grazie a gruppi sempre più motivati e qualificati di operatori studia ed affronta il fenomeno, come sindacato per la nostra riconosciuta sensibilità non ci stancheremo mai di incalzare gli organi proposti a fare di più e meglio.
SINDACALE
LE RICHIESTE
DELL’UGL
POLIZIA AL MINISTRO DELL’INTERNO ANNAMARIA CANCELLIERI
> di FILIPPO GIRELLA Segretario Nazionale UGL - Polizia di Stato
S
i è svolto nelle scorse settimane un incontro tra una delegazione dell'Ugl Polizia di Stato, il Ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri ed il Capo della Polizia Antonio Manganelli. Nel corso dell'incontro la delegazione dell'Ugl Polizia, guidata dal Segretario Generale Valter MAZZETTI, ha rappresentato al Mini-
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stro (ai fini di un suo efficace intervento) non solo le tematiche sulle quali da tempo ci stiamo battendo, come l'avvio del Riordino delle Carriere e della previdenza complementare, ma anche altre questioni più immediate sulle quali la nostra organizzazione sindacale è impegnata in modo particolare. MALATTIE PROFESSIONALI E CAUSE DI SERVIZIO Si tratta di un tema molto caro all'Ugl Polizia ed è rappresentato dalla vergognosa, eccessiva ed irragionevole durata dell'iter amministrativo per il riconoscimento
delle cosiddette cause di servizio, su cui noi dell'Ugl abbiamo già predisposto una dettagliata denuncia al parlamento europeo. Abbiamo spiegato al Ministro ed al Capo della Polizia che, a fronte dei sei mesi complessivi assegnati dalle norme di riferimento per il completamento dell'iter in questione sono mediamente 10/12 anni quelli attualmente necessari per la definizione delle citate pratiche. Tale indecorosa consuetudine, oltre a danneggiare economicamente il personale (cure termali, esenzione ticket per determinate analisi e medicine, maggiorazione del 10% ai
fini pensionistici, ecc.), lede la dignità professionale e personale del dipendente/malato, il quale, invece di essere impiegato in servizi che non aggravano ulteriormente la patologia riscontrata, viene comandato nei servizi d'istituto senza che alcuno tenga in debito conto la malattia sofferta. L'Ugl Polizia, a tal proposito, ha chiesto al Ministro di intervenire nelle opportune sedi affinchè, almeno per il nostro comparto, il Comitato di Verifica Nazionale sia soppresso. SBLOCCO ASSUNZIONI DEI VFP4 Abbiamo spiegato al Ministro che la Polizia di Stato registra una grave carenza di organico e in particolare necessita di forze giovani; oggi si entra in Polizia tramite un tortuoso percorso ed i posti messi a concorso non corrispondono poi alle reali assunzioni. A tal proposito abbiamo illustrato al Ministro l'assurda vicenda del concorso per 1507 Allievi Agenti e di quello successivo per 907 posti per i quali sono state effettuate assunzioni solo per complessive 1500 unita'. I circa 900 rimanenti vincitori sono stati ingiustamente parcheggiati nelle caserme in attesa di "stagionamento" e entreranno in Polizia, se tutto va bene, intorno all'eta' di 30 anni. L'Ugl Polizia ha chiesto con forza l'assunzione immediata, stante la grande carenza di organico nel ruolo Agenti, di tutti i 907 giovani volontari in ferma quadriennale già vincitori di concorso.
IMMEDIATO AVVIO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI INTERNE Abbiamo spiegato al Ministro che la vacanza d'organico nei due ruoli intermedi (Sovrintendenti e Ispettori) accumulatasi negli anni, con gravi ritardi nelle procedure concorsuali, è di migliaia di unità. L'Ugl Polizia ha chiesto un intervento del Ministro affinchè , oltre a procedere in tempi rapidi all'organizzazione dei relativi concorsi annuali per il totale dei posti vacanti, si dia avvio all'immediato scorrimento delle graduatorie, formando tutti i circa 1000 idonei già vincitori dei precedenti concorsi per vice sovrintendente. INDENNITA' PER POLIZIA DI FRONTIERA E ALTRE SPECIALITA' Poichè è sempre più importante e strategica per il sistema sicurezza l'attività delle varie Specialità, abbiamo sostenuto l'opportunità di valorizzare le convenzioni con le società che già collaborano con la Polizia di Stato (Trenitalia, Poste Italiane, Autostrade) e la necessità di sottoscrivere accordi con gli Enti preposti per la concessione di un'analoga indennità alla Polizia di Frontiera. 5 PER 1000 ALLE FORZE DI POLIZIA Dimostrando ancora una volta la nostra capacità propositiva, abbiamo illustrato ed offerto al Ministro quella che è una storica rivendicazione dell'UGL Polizia: la possibilità per i cit-
tadini di devolvere il 5 per mille alle Forze di Polizia. Siamo convinti, infatti, che grazie al grande prestigio che riscuotono le Forze dell'Ordine tra i cittadini sarebbe possibile raccogliere cifre cospicue da destinare alla sicurezza che, anche se non saranno la panacea di tutti i mali, serviranno comunque a lenire il particolare momento di crisi che investe il settore sicurezza. Il Ministro dell'Interno ed il Capo della Polizia hanno mostrato un serio interesse per le proposte dell'UGL Polizia sensibilizzando il personale dei rispettivi uffici tecnici. Il ministro ha promesso il massimo impegno per l'inserimento di forze giovani nella Polizia di Stato in modo da consentire un ricambio generazionale; ha affermato che si può iniziare a discutere i vari aspetti del riordino delle carriere creando un gruppo di lavoro che approfondisca la questione. Per quanto riguarda la nostra proposta sulle cause di servizio ha condiviso l'esigenza di snellire le procedure per il riconoscimento delle malattie ed ha aggiunto che si farà parte attiva per risolvere il problema sotto il profilo normativo, in quanto si tratta di un tema importante. La Cancellieri, inoltre, si è dichiarata molto interessata alla proposta di una convenzione che gratifichi la Polizia di Frontiera. Infine, anche sulla proposta del 5 per 1000 ha detto che, se la proposta fosse tecnicamente attuabile, il suo parere sarebbe positivo.
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GIUSTIZIA
IL PIGNORAMENTO
E L’ESPROPIAZIONE MOBILIARE PRESSO IL DEBITORE > di SERGIO DELL’OLIO Avvocato Conciliatore Professionista
I
l pignoramento consiste in un’ingiunzione che l'Ufficiale Giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia dei creditori beni che si assoggettano all’espropriazione e i frutti di essi. Il debitore ha il potere di evitare il pignoramento versando nelle mani dell'Ufficiale Giudiziario la somma per cui si procede e l'importo delle spese, aumentato di due decimi. In caso contrario, l'Ufficiale Giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, può ricercare le cose da pignorare
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nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti. Può sembrare strano ma, l’Ufficiale, ha la facoltà di ricercarle addirittura sulla persona del debitore, osservando le opportune cautele per rispettarne il decoro. Inoltre, può aprire porte, ripostigli o recipienti, nonostante la resistenza opposta dal debitore o da terzi, oppure allontanare persone che possano disturbare l'esecuzione del pignoramento e, qualora dovesse essere necessario, può richiedere l'assistenza della Forza Pubblica. Con decreto dal Giudice competente, su istanza del creditore, può pignorare cose determinate che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore, ma delle quali egli può direttamente disporre e può sottoporre a pignoramento le cose del debitore che il terzo
possessore consente di esibirgli. Per quanto concerne le modalità di scelta dei beni, il pignoramento deve essere eseguito sulle cose che l'ufficiale giudiziario ritiene di più facile e pronta liquidazione, nel limite di un presumibile valore di realizzo pari all'importo del credito precettato aumentato della metà. In ogni caso l'ufficiale deve preferire il denaro contante, gli oggetti preziosi e i titoli di credito e ogni altro bene che appaia di sicura realizzazione. Bisogna precisare che, ci sono dei beni che non possono essere oggetto di pignoramento. Infatti, sono impignorabili, oltre alle cose dichiarate tali da speciali disposizioni di legge, le cose sacre e quelle che servono all'esercizio del culto, l'anello nuziale, i vestiti, la biancheria, i letti, i tavoli per la consumazione dei pasti con le relative sedie, gli armadi guardaroba, i cassettoni, il frigorifero, le stufe e i fornelli di cucina anche se a gas o elettrici, la lavatrice, gli utensili di casa e di cucina unitamente ad un mobile idoneo a contenerli, in quanto indispensabili al debitore e alle
persone della sua famiglia con lui conviventi, sono tuttavia esclusi i mobili, meno i letti, di rilevante valore economico, anche per accertato pregio artistico o di antiquariato, i commestibili e i combustibili necessari per un mese, le armi e gli oggetti che il debitore ha l'obbligo di conservare per l'adempimento di un pubblico servizio, le decorazioni al valore, le lettere, i registri e in generale gli scritti di famiglia, e i manoscritti, salvo che formino parte di una collezione. Inoltre, a partire dall’1 Marzo del 2006, anche gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l'esercizio della professione, dell'arte o del mestiere del debitore possono essere pignorati nei limiti di un quinto, quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni rinvenuti dall'ufficiale giudiziario o indicati dal debitore non appare sufficiente per la soddisfazione del credito, il predetto limite non si applica per i debitori costituiti in forma societaria e in ogni caso se nelle attività del debitore risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro. I frutti non ancora raccolti o separati dal suolo non possono essere pignorati separatamente dall'immobile cui accedono, se non nelle ultime sei settimane anteriori al tempo ordinario della loro maturazione, tranne che il creditore pignorante si assuma le maggiori spese della custodia, mentre i bachi da seta possono essere pignorati
solo quando sono nella maggior parte sui rami per formare il bozzolo. Una volta individuati i beni da pignorare, l'Ufficiale Giudiziario redige delle sue operazioni processo verbale e descrive le cose pignorate e il loro stato, mediante rappresentazione fotografica ovvero altro mezzo di ripresa audiovisiva, determinandone approssimativamente il presumibile valore di realizzo con l'assistenza, se ritenuta utile o richiesta dal creditore, di un esperto stimatore da lui scelto. Se il pignoramento cade su frutti non ancora raccolti o separati dal suolo, l'ufficiale giudiziario ne descrive la natura, la qualità e l'ubicazione. Il Giudice, se ritiene che il presumibile valore di realizzo dei beni pignorati sia inferiore al credito da soddisfare, su istanza del creditore, da depositare non oltre il termine per il deposito dell'istanza di vendita, nomina uno stimatore e quando appare opportuno, ordina l'integrazione del pignoramento. In tale ipotesi, l'ufficiale giudiziario riprende senza indugio le operazioni di ricerca dei beni. E’ necessario precisare che il pignoramento non può essere eseguito in date che siano il
frutto della scelta discrezionale dell’ufficiale ma soltanto nei giorni feriali, dalle ore 7 alle ore 21, salvo che ne sia data autorizzazione dal presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, però, una volta cominciato, può essere proseguito fino al suo compimento. Terminate le operazioni sopra descritte, l'ufficiale giudiziario consegna al cancelliere del tribunale o affida a un custode, diverso dal creditore o il suo coniuge senza il consenso del debitore o dal debitore o le persone della sua famiglia che convivono con lui senza il consenso del creditore, i beni colpiti dal pignoramento. Il custode sottoscrive il processo verbale dal quale risulta la sua nomina e non ha diritto a compenso se non su espressa richiesta o e se non gli è stato riconosciuto dall'ufficiale giudiziario all'atto della nomina. Decorsi dieci giorni dal pignoramento, tranne che per le cose deteriorabili per le quali il giudice può provvedere immediatamente, può essere depositata l'istanza di assegnazione o di vendita dei beni pignorati e di conseguenza, in caso di vendita dei beni, l’assegnazione ai creditori della somma ricavata.
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CONVEGNO
CRIMINAL INVESTIGATION
MEETING
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el 1499 a Castel Ritaldi avviene un oscuro delitto che lascia un vuoto di potere nel castello; la vittima è infatti il conte Leonello Ritaldi che viene trovato privo di vita, presumibilmente avvelenato. La principale sospettata è la famigerata Lucrezia Borgia che la leggenda vuole responsabile di numerosi efferati omicidi in quel periodo storico. L'idea di studiare intricati casi di omicidio avvenuti centinaia di anni fa nasce in seno all'ICAA (International Crime Analysis Association) per testare la capacità tecnica dei Soci dell'Associazione che da sempre studiano vecchi casi, a volte in collaborazione con la prestigiosa Vidocq Society di Philadelphia (come nel caso dell'omicidio della Baronessa di Carini nel 2010). Parallelamente è l'amore per la storia a condurre i profilers
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dell'ICAA sulle tracce di antichi delitti, consumati sovente in borghi medievali e in misteriosi e affascinanti castelli. Il Criminal Investigation meeting 2012 organizzato dall’International Crime Analysis Association e dall’UGL Polizia di Stato, si è ispirato al delitto dello sventurato Leonello Ritaldi su cui i partecipanti hanno tentato di trovare nuove informazioni e di comprenderne la logica criminale. E’ stata effettuata la sua rievocazione storica con l’aiuto di attori teatrali e di esperti di scherma medievale e questo affascinante “clima culturale” ha fatto da contorno ai tre
giorni di formazione sulle moderne tecniche forensi e investigative organizzate il 23, 24 e 25 marzo 2012 nel territorio del Comune di Castel Ritaldi. Il Sindaco Andrea Reali ha ospitato l’evento e la Proloco ha fornito un prezioso aiuto per l’organizzazione del meeting. Il Direttore scientifico del meeting è stato il Prof. Marco Strano, Dirigente nazionale UGL Polizia di Stato. Settanta esperti di scienze foren-si giunti da tutta Italia e dall’estero e più di cento tra visitatori e semplici appassionati della materia hanno animato a Castel Ritaldi tre giorni intensi di seminari e discussioni
dell’omicidio partendo dalle tracce di sangue. Il Prof. Dragan Primorac ha spiegato i sistemi applicativi del DNA sulla scena del crimine. Elisa Piovanelli ha presentato nuovi strumenti di prelievo delle tracce biologiche sulla scena del crimine. Andrea Pastori della ditta technospy ha mostrato apparecchi elettronici di supporto all’investigazione criminale. La D.ssa Bruscella, Medico d’urgenza, ha svolto un’avvincente relazione sull’uso del veleno come arma del delitto. Marco Strano, infine, ha tenuto interessanti seminari sulla cold cases investigation e sulle tecniche che consentono di giungere alla risoluzione di un caso anche a distanza di molti anni. Tra le categorie professionali presenti al meeting, anche gli Avvocati che hanno potuto confrontarsi, fuori dall’aula di tribunale, con gli investigatori.
scientifiche sul mondo dell’investigazione criminale. Tra i partecipanti alcune figure di spicco nel mondo delle Scienze forensi tra cui Dragan Primorac medico croato esperto di DNA sulla scena del crimine e Marco Strano, noto profiler internazionale. Gli argomenti presentati nel corso dei numerosi seminari tecnici sono stati molti e tutti di grande attualità e interesse. Il Dott. Enrico Risso ha fatto il punto sulla BPA (Blodstain Pattern Analysis), il sistema di ricostruzione della dinamica
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Spoleto ha sottolineato l’interesse per l’evento concedendo undici crediti formativi per l’iniziativa. L’Avvocato Paroli, presidente dell’AIGA di Spoleto, ha presentato una relazione sul contatto dell’Avvocato con il mondo delle scienze forensi. Nel corso del meeting, diversi relatori hanno sottolineato l’importanza di una certificazione per l’attività degli esperti forensi, categoria, quest’ultima, affollata di personaggi con curricula professionali a volte approssimativi.
E’ stato fatto il punto sulle più moderne tecniche di indagine scientifica ed è stato annunciato un innovativo progetto di ricerca sul criminal profiling a cui parteciperanno gli esperti italiani dell’International Crime Analysis Association e team di ricerca croati e statunitensi. Tra le attività svolte durante il convegno, anche una simulazione di intervento sulla scena del crimine da parte di un team specializzato. La splendida piazza di Castel Ritaldi è stata infatti per qualche ora, teatro della ricostruzione di un efferato omicidio e i congressisti hanno potuto vivere direttamente l’esperienza dell’intervento della “scientifica”, la ricerca delle tracce e l’utilizzo di sofisticati strumenti di indagine. Come in un caso reale la piazza è stata transennata e il team CSI ha setacciato la zona alla ricerca di reperti. Sangue, impronte digitali, l’arma del delitto e tutto ciò ch è utile per giungere alla scoperta di un delitto é stato “individuato” e prelevato con cura. Uno speaker ha illustrato ai frequentatori del meeting ogni passaggio tecnico e gli strumenti utilizzati. Diversi appartenenti alla Polizia di Stato, alcuni impegnati come allievi nella vicina scuola di Spoleto, hanno approfittato dell’evento per apprendere contenuti utili a migliorare il loro bagaglio conoscitivo tecnico-professionale. Di contorno ai seminari tecnici e alle simulazioni di indagine, si sono alternate le attività dimostrative dell’Associazione “Dipintori Santi e Fanti” che ha eseguito combattimenti medievali con spade e pugnali e ha presentato ricostruzioni storiche di momenti di vita dell’epoca. In programma anche un banchetto medievale con ricette del 1500.
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AVVENIMENTI
MISSIONE
DI PACE O GUERRA? > di ELIDE DESIDERI Componente Commissione Pari Opportunità UGL Roma - Polizia di Stato
S
iamo in Afghanistan, più precisamente nel distretto del Gulistan, nel settore sud-
est del paese. Siamo all’interno della Fob (Forward Operative Base) “ Ice ” nell’area di responsabilità Italiana, assegnata alla Task Force South-East, coordinata dal 1° Reggimento Bersaglieri. Siamo nel far west d’Oriente,
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come lo chiamano in molti, covo di talebani, crocevia di passaggi obbligati che conducono la guerriglia da sud verso nord, un corridoio dove passano uomini, armi e oppio e da cui i talebani tengono sotto pressione i militari della Nato, anche se quell’avamposto è affidato agli Italiani. Siamo immersi in un paesaggio apparentemente statico e desolato, anacronistico. Sono le ore 18 del 24 marzo e un colpo di mortaio spezza la vita alla cinquantunesima vittima della missione Nato ISAF (International Security Assistance Force).v Il sergente Michele Silvestri, 33 anni, originario del casertano,
era arrivato in Afghanistan da soli 10 giorni, esperto di missioni all’estero. Altri cinque commilitoni sono rimasti gravemente feriti e trasportati immediatamente in elicottero nell’ospedale militare da campo della Coalizione più vicino. La salma viene rimpatriata due giorni dopo e vengono celebrate le esequie solenni nella Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma, avvolte da somma disperazione dei familiari e sgomento da parte di tutte le alte cariche dello Stato. Prima, altri cinquanta funerali sono stati celebrati in onore della Patria. Altre cinquanta vittime sono state mietute in una guerra che
non ci appartiene, in una guerra che tutti si ostinano ad esaltare come una missione di pace. Gran parte degli schieramenti politici invoca una risoluzione di questo progetto di cooperazione con gli alleati statunitensi e incita lo Stato a discuterne al più presto in Parlamento. All’unanimità si polemizza sull’assenza di una strategia politica italiana, poiché non sono affatto chiari gli obiettivi della presenza delle forze militari italiane in Afghanistan, senza considerare l’elevato costo per il mantenimento delle truppe. Innanzitutto occorre evidenziare quanto sia anticostituzionale la guerra in Afghanistan, poiché il principio è nettamente all’opposto di quanto recita l’art.11 della Costituzione ( “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”) e viene rafforzato dall’art.52 (“La difesa della Patria…”). Solo per una salda fedeltà agli alleati storici statunitensi, il governo italiano impiega tuttora 4.200 nostri soldati nell’area afghana con il compito di condurre operazioni militari in cooperazione e coordinazione con le Forze di Sicurezza afghane e con le forze della Coalizione, per assistere il governo afghano nel mantenimento della sicurezza, favorire lo sviluppo delle strutture di governo, estendere il controllo del governo su tutto il Paese ed assistere gli sforzi umanitari e di ricostruzione.
In realtà la presenza militare americana, e meno che mai quella dei suoi alleati, è divenuta con gli anni sempre più inconsistente, e sembra essersi svuotata del suo significato soprattutto dopo la cattura e l’uccisione di Osama Bin Laden. Le modalità di questa guerra hanno più volte violato il diritto internazionale umanitario, ricordiamo episodi brutali di molti marines nei confronti di ostaggi oppure di massacri di civili estranei alla guerriglia, eppure si continua a combattere una guerra sterile, che dura ormai da dieci anni, la più lunga che gli Stati Uniti abbiano mai combattuto. Ma se la smania militarista ed imperialistica americana tiene sotto scacco l’intera nazione e la sua politica estera perseverando in un progetto bellico che appare più come lo strascico della “guerra fredda” iniziata nel lontano 1979, dopo l’invasione delle forze dell’Armata Rossa Sovietica atte a deporre il Presidente della Repubblica Democratica dell’Afghanistan, per quale motivo l’Italia si sente ancora in dovere di prestare fedele alleanza in una
guerra che non ci interessa affatto? Per quale scopo nazionalistico lo facciamo, dal momento che lo scopo primario non è più comprensibile neanche a chi la guerra l’ha cominciata? Perché dovremmo pagare il pegno di perdere i nostri cari soldati che credono negli alti valori della Patria, che invece li sacrifica in nome di una missione di pace e di riconciliazione? Stare in guerra significa morire, combattere, uccidere. Morire. Morire 51 volte. E per ognuna di queste morti non vale nessun profitto economico, nessuna alleanza, nessuna egemonia di un popolo sull’altro, nessuna esportazione dei valori democratici. Niente. I nostri ragazzi sono ancora lì, nell’avamposto del Gulistan, tra la polvere e le rocce dure del deserto, dove resteranno a combattere sino al 2014 in un conflitto a cui mancano convinzioni e motivazioni più che soddisfacenti per sacrificare altre vite. Purtroppo, come risulta da recenti relazioni dei servizi segreti consegnate al Parlamento, la sicurezza del contingente italiano risulta estremamente precaria e il livello di minaccia resta elevato. Persino il processo di transizione afghano sembrerebbe destinato a fallire a causa del mancato start up di un recupero socio-economico e di politiche di governance. E, allora, se il destino di questo paese abbandonato da Dio è ineluttabile, ci viene spontaneo chiederci ancora una volta: le vite dei militari italiani valgono davvero così poco?
ECONOMIA
L’EUROPA
FATTI E MISFATTI! > di SERGIO DI FOLCO
L
’Europa ha 27 S t a t i membri e una popolazione di quasi mezzo miliardo di persone e comprende gran parte del territorio Europeo. Sin dalla sua istituzione si è adoperata per portare prosperità e stabilità ai suoi cittadini. Le politiche e le azioni dell’Unione Europea interessano tutti noi, direttamente e indirettamente. L’Unione Europea si prefigge lo scopo di essere una società equa e attenta ai bisogni dei cittadini, impegnata nella promozione della prosperità economica e nella creazione di posti di lavoro, rendendo le aziende più competitive e dando la possibilità ai lavoratori di acquisire nuove competenze. Assieme ai paesi confinanti e ad altri paesi, l’Unione Europea si adopera per diffondere benessere, progresso democratico, Stato di diritto e rispetto dei diritti umani oltre le sue frontiere. L’Unione Europea è la maggior potenza commerciale mondiale e il principale erogatore di finanziamenti e assistenza tecnica ai paesi più poveri.
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L’Unione Europea è al primo posto al mondo come esportatore e al secondo come importatore. Gli Stati Uniti costituiscono il principale partner commerciale dell’UE, seguiti dalla Cina. Nel 2005 l’UE rappresentava, a livello mondiale, il 18,1 % delle esportazioni e il 18,9 % delle importazioni. L’Unione Europea è anche un importante potenza commerciale, sebbene rappresenti soltanto il 7% della popolazione mondiale, i suoi scambi commerciali con il resto del mondo rappresentano circa un quinto dell’import-export mondiale. Non sempre tutto quello che viene detto, scritto e annunciato, corrisponde alla realtà. Perché? Dietro di tutto c’è sempre una teoria o un interesse personale (in questo caso, inteso come nazione). Nessuno dice, scrive o annuncia che il Regno Unito è il maggior azionista della BCE Banca Centrale Europea e non ha l’EURO come moneta, ma bensì la sterlina. Mi sembra quasi quasi un interesse personale… Basta pensare al funzionamento dell’ Euro. L’Italia per far circolare banconote deve comprare alla BCE, mentre le monete vengono prodotte internamente (ogni singolo Stato
si produce le monete da solo). Quindi facendo un esempio: se l’Italia compra alla BCE 100 miliardi di euro tutti di banconote da 100 si presume che li pagherà molto molto meno, perché per produrre una banconota da 100 quanto ci vuole? 1 euro? 5 euro? 10 euro? No l’Italia non solo compra 100 miliardi di euro a 100 miliardi di euro, ma ogni anno l’Italia perderà un interesse del 2,5 % che darà alla BCE. I cittadini per poter spendere e comprare beni di varia entità, devono avere liquidità e l’Italia è costretta a comprare le banconote alla BCE e quindi comprando 100 miliardi di banconote ogni dieci anni l’Italia darà alla BCE 25 miliardi di interesse. La conseguenza di tutto ciò è che all’interno della nazione per far circolare banconote si crea automaticamente un debito pubblico. La notizia più bella è anche che il Regno Unito è il maggiore azionista della BCE e nemmeno ha l’Euro. Io ho sempre creduto e sostenuto il concetto EUROPA, però per parlare di democrazia verso gli altri paesi, l’Europa la deve applicare prima al suo interno, partendo proprio da un buon funzionamento della BCE.
LETTERATURA
LE
VISCERE DELLA LIBERTÀ
> di GIUSJ SANTACATERINA
A
ppassionati di spy stories, thriller, romanzi e storia, tenetevi forte perché c’è un nuovo libro che potrebbe fare al caso vostro. Prima di svelarvi il titolo, leggete quest’elenco di argomenti: terrorismo, nazismo, medio oriente, intifada, servizi segreti. Intrecciateli con una storia d’amore complicata e metteteci in mezzo complotti e azione. Un calderone di ingredienti il cui risultato finale prende il nome di “Le viscere della libertà”, opera scritta da Domenico Romeo, (vincitore del XXII Premio Internazionale Mondolibro menzione di merito internazionale premio speciale giuria) dedicata a “tutti i popoli della terra, che nel corso della storia dell’umanità, sono stati vittime delle ideologie del crimine (o del male)”, così l’autore ci tiene a sottolineare insieme ad una dedica speciale a “Neda di Teheran, martire della libertà uccisa il 20 giugno del 2009 in Via Amirabad”. Un libro particolare, destinato a far scalpore, a tratti spregiudicato, ricco di documenti storici in cui, a fare da contorno alla difficile liaison amorosa dei protagonisti Ghion e Gioela, agente dei servizi l’uno e pittrice l’altra, spiccano testimonianze autentiche di notevole importanza, come le “Risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu mai rispettate dallo Stato di Israele”, o gli spezzoni di sermoni islamici acquisite dalle intelligence americane. O
ancora il Protocollo dei Savi Anziani di Sion ed il scioccante Rapporto Leuchter sull’utilizzo delle camere a gas ad Aschwitz. L’autore Romeo non ha fatto mancare niente ai propri lettori, soprattutto agli appassionati di storia che avranno non pochi documenti da leggere, approvare o contestare. La dedica continua a tutte le vittime innocenti del delirio di onnipotenza di uomini saliti al potere, resta invece l’eco che risuona in ogni pagina. La difficile storia d’amore dei due protagonisti, combattenti su fronti diversi, da una parte lei, convertita all’Islam che “accusava Israele di qualsiasi misfatto, di qualsiasi bugia” e dalla parte opposta lui, cristiano, “sei un’allucinata. L’odio verso gli ebrei è una tentazione del diavolo che vuol spingere l’uomo all’odio contro il suo simile. Anche tu cadi in questa trappola” diverrà alla fine celebrazione della razza umana e troverà il suo culmine proprio di fronte uno dei luoghi peggiori al mondo, Treblinka, campo di sterminio dove “quando massacravano famiglie di ebrei, vi era pure un’orchestra voluta dal Reich che doveva emettere musica ad alto volume per non far sentire le urla strazianti e disumane che provenivano dai vortici infernali dei forni”. Un amore che continuerà a vivere nonostante le difficoltà e la lontananza. Gioela rimarrà vittima dei suoi stessi ideali, resa cieca da un attentato kamikaze troverà la vista spirituale. Ghion recupererà pace apparente tra le braccia di un’altra donna anche se il legame con Gioela non si spezzerà mai poiché il frutto del loro amore sarà il collante che li terrà uniti seppur lontanissimi.
Scheda sull’autore
Domenico Romeo nasce a Reggio Calabria nell’ottobre del 1974 e si laurea a Torino in Scienze Politiche. Consegue la specializzazione in “Criminalità mafiosa e proventi illeciti” presso l’istituto di ricerca Elsa dell’Università di Palermo. Frequenta a Reggio Calabria la scuola di alta formazione di studi filosofici e storico - sociali specializzandosi nella ‘grecità del pensiero di Popper, Hussler e Hesensberg’. Consegue la specializzazione nel Master in ‘Criminologia applicata e psicologia giuridica’ sotto la direzione del prof. Carlo Serra della Sapienza di Roma in sintonia con il centro studi l’Esperide di Reggio Calabria. E’ socio ordinario dell’ICAA (International Crime Analisys Association). Riferimenti on line www.criminologia.org
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EDITORIALE
UN DURO COLPO AL
PERSONALE IN DIVISA > di FERNANDO CORDELLA Coordinatore Nazionale UGL - Vigili del Fuoco
L
a Federazione Nazionale UGL Vigili del Fuoco ha sottoscritto in questi giorni, insieme alle altre sigle sindacali del comparto Vigili del Fuoco Soccorso Pubblico, il documento contro la riforma pensioni al quale è presente un cartello di Forze di Polizia.
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Così, finalmente ci ritroviamo tutti insieme, a rivendicare i nostri diritti La specificità, sancita per legge, non può assolutamente essere trascurata , in particolare per i Vigili del Fuoco che hanno raggiunto questo importante obiettivo da pochissimo tempo. Credevamo che una volta ottenuto questo strumento,uscivamo da quel immobilismo che ha caratterizzato la categoria per diversi anni, ma invece ci siamo sbagliati, ci è stata riconosciuta la specificità ma mai applicata.
Invece dobbiamo evidenziare il duro colpo inflitto a tutto il personale in divisa, su un argomento caro a tutti i lavoratori, che lavorano da tanti anni, l’allungamento dell’età pensionabile. Ricordiamo che i Vigili del Fuoco svolgono compiti operanti particolarmente gravosi e che necessitano piena efficienza fisica e psicofisica, in quanto gli interventi avvengono sempre e comunque in contesti emergenziali di estremo pericolo. Quindi, il pompiere per esercitare la propria professione
deve essere perfetto, sia fisicamente che psicologicamente quindi altro che specificità serve qualcosa di più. Era d’obbligo da parte della Amministrazioni, prima di esprimersi sulla età che i Vigili del Fuoco devono lasciare il servizio, fare uno studio dettagliato sulla condizione degli stessi in virtù anche di nuove malattie che si affacciano sul panorama lavorativo, pertanto ne approfittiamo per chiedere che per ogni Amministrazioni si istituisca un ufficio di ricerca sulle nuove malattie legate al lavoro che si esercita. Ad esempio non è da sottovalutare il rischio stress, che come sappiamo in particolare per il personale che opera nelle emergenza sta salendo vertiginosamente, capire la specificità per noi è proprio questo, dare risposte ai lavoratori anche sui nuovi rischi e nuovi pericoli nella propria professione. Un’altra problematica è quella della normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, inevasa sempre per il personale in divisa ma fatta rispettata in par-
ticolare dai Vigili del Fuoco in altre categorie in particolare nei privati. Lavoriamo in situazione di rischio, ci viene detto costantemente che non ci sono soldi per metterci in regola, ma perché dobbiamo pagare noi questa inefficienza del datore di lavoro, e a chi spetta sanzionare le nostre Amministrazioni? Sono tanti i rischi che andiamo incontro e che ci provocano danni immediati e stocastici ne citiamo alcuni: il rischio di esplosioni di materiali infiammabili, l’entrare in contatto con fumi tossici che si sprigionano durante gli incendi, l’essere investiti da veicoli durante l’intervento, il rischio di cadute, tagli e contusioni, lo stress e l’affaticamento fisico A questo punto, diciamo che far parte del personale che
indossa una divisa non è più glorioso come lo era pochi anni fà, ma adesso è anche controproducente in quanto non si ha uno stipendio adeguato al tenore di vita, non si lavora in sicurezza quindi rischi di farti male, inoltre raggiungere quel traguardo della pensione è diventato impossibile. Per questo chiediamo, che il Governo ci ripensi, ed affronti in modo scientifico come i professori sanno fare, questo delicato argomento che è tanto caro a chi porta una divisa ed ha servito per diversi anni lo Stato. Quindi bisogna inquadrare bene la situazione lavorativa conoscendo i rischi e i pericoli per poi trarne le conclusioni e capire se le nostre richieste sono fondate o infondate.
Il Ministro del Lavoro Elsa Fornero al Congresso UGL
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MEDICINA
NUOVE MALATTIE PER I VIGILI DEL FUOCO
> a cura dell’ UFFICIO STAMPA Federazione Nazionale UGL - VVF
I
l burnout o sindrome da burnout è un processo stressogeno legato alle professioni d'aiuto (helping profession). Queste sono le professioni che si occupano di aiutare il prossimo nella sfera sociale, psicologica, etc. Si parla quindi di vigili del fuoco, poliziotti, infermieri, medici, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, preti ecc. Queste figure sono caricate da una duplice fonte di stress: il loro stress personale e quello della persona aiutata.
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Ne consegue che, se non opportunamente trattate, queste persone cominciano a sviluppare un lento processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato. Letteralmente burnout sigifica proprio "bruciare fuori". Dunque è qualcosa d’interiore che esplode all’esterno e si manifesta. Burnout è il “non farcela più”, l’insoddisfazione e l’irritazione quotidiana, la prostrazione e lo svuotamento, il senso di delusione e di impotenza di molti lavoratori, in particolare di quelli che operano all’interno delle cosiddette professioni di
aiuto, ossia di attività nelle quali il rapporto con l’utente/cliente ha un’importanza fondamentale in termini di significato e di lavoro in sé. Tutte le professioni socioassistenziali implicano un intenso coinvolgimento emotivo: l’interazione tra operatore ed utente è centrata sui problemi contingenti di quest’ultimo (psicologici, sociali o fisici) ed è, perciò, spesso gravata da sensazioni d’ansia, imbarazzo, paura o disperazione. Poiché non sempre la soluzione dei problemi dell’utente è semplice o facilmente ottenibile, la situazione diventa ancora più ambigua e frustrante e lo
stress cronico può logorare emotivamente l’operatore e condurlo al burnout. Questo viene normalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e di ridotta realizzazione personale, che può insorgere in coloro che svolgono una qualche attività lavorativa “di aiuto”: dunque uno stato di malessere, di disagio, che consegue ad una situazione lavorativa percepita come stressante e che conduce gli operatori a diventare apatici, cinici con i propri “clienti”, indifferenti e distaccati dall’ambiente di lavoro. In casi estremi tale sindrome può comportare gravi danni psicopatologici (insonnia, problemi coniugali o familiari, incremento nell’uso di alcol o farmaci) e deteriora la qualità delle cure o del servizio prestato dagli operatori, provocando assenteismo e alto turnover. Pur essendoci definizioni diverse della sindrome del burnout gli autori concordano nel considerarlo non un evento, ma un processo che si sviluppa diversamente a seconda delle peculiarità soggettive e del contesto sociale. In conclusione è l'esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le helping profession qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere. La sindrome del burnout nel personale della vigili del fuoco, considerato anche la rilevanza
sociale del fenomeno, sta riscontrando un notevole interesse da parte della letteratura psicologica e psichiatrica. Gli effetti dello stress lavorativo sulle condizioni di salute dei vigili del fuoco ed i conseguenti rischi di burnout coinvolgono numerosi fattori che si sviluppano diversamente in ogni individuo e/o in ciascuna categoria professionale. L’azione patogena dello stress protratto nel tempo, argomento su cui è ormai disponibile una ampia casistica sperimentale e clinica, anche se originariamente ristretti all’ambito lavora-
tivo, può determinare reazioni disadattative che si estendono alla sfera extralavorativa fino a favorire l’insorgenza di quadri nevrotici o depressivi . Risulta confermata, anche a livelli subclinici, l’ipotesi di una corrispondenza fra grado di burnout lavorativo e manifestazioni sintomatologiche dell’ansia, in particolare con le sue espressioni somatiche e con le modificazioni del tono dell’umore in senso depressivo, quali indicatori di un disagio lavorativo che tende a coinvolgere aspetti più generali della personalità di chi opera in emergenza. Tale esito sembra essere molto frequente quando l’operatore percepisce una forte discrepanza fra aspirazioni di carriera e performance effettiva. Rimane, tuttavia, ancora poco approfondito il problema delle caratteristiche personologiche dell’operatore predisponenti il burnout e le strategie di coping impiegate per fronteggiare lo stress nelle cosiddette helping professions.
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SICUREZZA
SICUREZZA SUL
Lavori della Commissione > di STEFANO MARSELLA Presidente del Sindacato Nazionale Direttivi e Dirigente UGL Vigili del Fuoco
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li incidenti nei luoghi costituiscono un aspetto di grave criticità nel panorama, già poco incoraggiante, del mondo del lavoro. Una delle risposte che le istituzioni forniscono a questa domanda di maggior sicurezza è l'impegno a migliorare le norme ed a renderle più aderenti alle esigenze effettive del mondo del lavoro. Questo impegno non è facile, sia perchè deve mettere in-
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LAVORO
Consultiva Permanente
sieme esigenze a volte divergenti, sia perchè presuppone una conoscenza approfondita delle reali problematiche da risolvere. In questo ambito, la posizione di maggior rilievo nella produzione delle norme è quella della Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, alla quale partecipa anche l'UGL con i suoi rappresentanti, Paolo Varesi e Eva Pietrantonio. La Commissione, tra le diverse attività, elabora norme specifiche attraverso dei comitati specifici. In questo ambito, il Sindir-Ugl VVF partecipa ai la-
vori di alcuni dei Comitati fornendo con i propri rappresentanti un apporto molto specializzato sulla lotta ad alcuni tipi di rischio. In particolare, ora sta seguendo le attività di due sottocomitati:
Il Sottocomitato n.2
Procedura standardizzata per la valutazione dei rischi. Il compito di questo gruppo è quello di elaborare un modello di valutazione del rischio che aiuti i datori di lavoro delle attività più piccole ad elaborare un documento di valutazione del rischio completo senza dover ricorrere al contributo di specialisti, che costituiscono in alcuni casi un onere non sostenibili. In un certo senso, il valore sociale di questo sottocomitato è di grande valore, perchè cerca di rendere la cultura della sicurezza a portata di tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal livello culturale dei singoli interessati;
Il Sottocomitato n.9 Articoli pirotecnici.
Questo gruppo è stato costituito recentemente a seguito di una catena di incidenti mortali verificatisi in alcuni piccoli stabilimenti di produzione. In questo caso il problema da
affrontare è quello del coordinamento normativo (le norme sono stabilite dal Ministero dell'Interno) e della risposta da dare alle sollecitazioni pervenute dal Senato per elevare il livello di sicurezza di questo tipo di attività produttiva.
COSA È LA COMMISSIONE CONSULTIVA PERMANENTE PER LA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO La Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro opera ai sensi dell’art.6 del D.Lgs. 81/2008, presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale . La Commissione, composta dai rappresentanti dei ministeri competenti, delle regioni e da esperti designati delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro ha,diverse competenze, tra cui: • esaminare i problemi applicativi della normativa di salute e sicurezza sul lavoro e formulare proposte per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente; • validare le buone prassi in materia di salute e sicurezza sul lavoro; • definire criteri finalizzati alla definizione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi
• valorizzare sia gli accordi sindacali sia i codici di condotta ed etici, adottati su base volontaria, che, in considerazione delle specificità dei settori produttivi di riferimento, orientino i comportamenti dei datori di lavoro, anche secondo i principi della responsabilità sociale, dei lavoratori e di tutti i soggetti interessati, ai fini del miglioramento dei livelli di tutela definiti legislativamente;
• valutare le problematiche connesse all’attuazione delle direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza del lavoro; • promuovere la considerazione della differenza di genere in relazione alla valutazione dei rischi e alla predisposizione delle misure di prevenzione; • indicare modelli di organizzazione e gestione aziendale ai fini di cui all’articolo 30 del D.Lgs. 81/2008.
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NOTIZIE
BARI: UGL VIGILI DEL FUOCO IN PROTESTA
“NON POSSIAMO LAVORARE COSÌ”
I
rappresentanti sindacali di Ugl, Cgil, Conapo e CsaCisal hanno manifestato il 16 febbraio davanti alla Prefettura contro il nuovo Comandante Provinciale. La richiesta è una e semplice: "Commissariate il co-
mando di Bari".
I Vigili del Fuoco di tutta la provincia non ci stanno alla scarsa attenzione che il nuovo comandante, l'ingegner Cesare Gaspari, dedica alle loro richieste nonostante i passi in avanti fatti con il predecessore. Per questo sotto la pioggia, il freddo e qualche fiocco di neve, si sono riuniti davanti alla Prefettura del capoluogo pugliese i rappresentanti sindacali delle sigle Cgil, Conapo, CsaCisal e Ugl che lamentano "attrezzature non adeguate, automezzi spesso rotti e sedi distaccate fatiscenti". "Non possiamo lavorare in queste condizioni", spiega Antonio Attolico della Cisal che continua: "Tutto questo è gravissimo.
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Nella Provincia, considerando i distaccamenti, siamo circa 600 tra amministrativi e operativi, che si traducono in 80 persone a turno". E ciò non basta? " Assolutamente no. Ci vorrebbe un incremento del 50% sul personale". In città la situazione non cambia: solo 5 pompieri per distaccamento. "Ci hanno bloccato il turn over, i mezzi sono pochi e rovinati e sono mesi, anzi quasi anni, che attendiamo gli straordinari in busta paga. Per non parlare, poi, dei passaggi di qualifica del personale mai attivati, e la mancata corresponsione degli arretrati", testimonia il rappresentante della Cgil, Carmelo Pesola: "Nove mesi fa, quando c'era il predecessore di Gaspari, eravamo riusciti a riorganizzare la gestione del comando". Poi? "S'è perso tutto". E sottolinea: "Ci accusano di prendere chissà quale stipendio. In realtà la nostra busta paga è di 1300 euro al mese, compresa l'indennità di servizio".
Il Segretario Nazionale dell’Ugl Vigili del Fuoco Pasquale Magrone e il Segretario Provinciale Ugl Vigili del Fuoco Bari Leonardo Tamasicchio, presenti alla manifestazione hanno espresso tutto il loro malcontento, la realtà hanno dichiarato è che nel Comando di Bari si sta lavorando con uomini ridotti e mezzi fatiscenti. Hanno dichiarato che ci sono caserme fatiscenti che andrebbero ristrutturate inoltre si sono appellati al Sindaco affinchè possa trovare una soluzione equa per ospitare i Vigili del Fuoco durante i lavori. Il punto è: se si avviano i lavori, dove andrà a finire il distaccamento? Il centro non può rimanere sguarnito. "Ci appelliamo al sindaco di Bari, Michele Emiliano, affinchè, durante le opere di ristrutturazione, ci dia la disponibilità di alcune stanze della caserma Rossani".
SINDACALE
PROTOCOLLO D’INTESA TRA IL MINISTERO PER I BENI CULTURALI E IL DIPARTIMENTO DEI VIGILI DEL FUOCO Articolo 1
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (d’ora in poi indicato come “MiBAC”) ed il Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile (d’ora in poi indicato come “Ministero”) intendono instaurare un rapporto continuativo di cooperazione al fine di definire modelli e procedure di analisi del rischio
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incendio, di pianificazione integrata di emergenza e di intervento che, nel rispetto delle esigenze di tutela e conservazione degli edifici di interesse culturale, consentano di garantirne un adeguato livello di sicurezza. Articolo 2
Per le finalità di cui all’art.1 è costituita una Commissione paritetica di sei membri designati
dalle rispettive Amministrazioni, oltre il Presidente che verrà designato dal Ministro dell’Interno, d’intesa con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali. Articolo 3
I compiti della Commissione sono i seguenti: • Analisi del rischio incendio di siti culturali del Mi BAC e contributi tecnico-scientifici
alla pianificazione integrata d’emergenza; • Programmazione e pianificazione delle attività di formazione congiunta rivolta agli operatori delle due Amministrazioni chiamati ad operare negli scenari emergenziali; • Programmazione e pianificazione delle attività di formazione rivolte ai dipendenti del Mi BAC incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendi e di evacuazione dei luoghi di lavoro, di cui all’art. 18 comma 1 lettera b) del d. Lgs. 81/2008; • Programmazione e pianificazione di esercitazioni finalizzate alla implementazione ed alla verifica di modelli di intervento integrato; • Programmazione e pianificazione di attività ricognitive presso i siti culturali del Mi BAC, secondo modelli operativi condivisi; • Predisposizione di protocolli di comunicazione per l’efficace scambio di informazioni, sia per le problematiche di prevenzione incendi che per la gestione delle fasi emergenziali; • Analisi e studio delle normative di settore, anche al fine di
proporre i necessari aggiornamenti, con specifico riferimento al D.M. 20 maggio 1992, n. 569, al D.P.R. 30 giugno 1995, n. 418, al D.P.R. 1^ agosto 2011, n.151; • Analisi e monitoraggio sull’applicazione delle procedure di prevenzione incendi nei siti culturali del Mi BAC; • Pianificazione di campagne di sensibilizzazione sui temi della sicurezza rivolte ai visitatori dei luoghi di cultura, con particolare riguardo alla popolazione scolastica.
il Centro Operativo Nazionale dei Vigili del Fuoco, presso cui si trasferisce in caso di criticità. Il Modello Operativo di intervento sarà applicato inizialmente a livello centrale per essere poi esteso a livello periferico. Articolo 5
Con successivi atti saranno quantificate le risorse economiche e strumentali da destinare allo svolgimento delle attività previste dal presente protocollo ed individuate le fonti di finanziamento.
Articolo 4
Articolo 6
La Commissione ha sede presso il Mi BAC. Per le attività di carattere operativo e per la gestione delle emergenze la Commissione opera in diretto collegamento con
Il presente protocollo è attivato con decorrenza immediata e avrà scadenza al 31 dicembre 2014, salvo eventuali proroghe concordate tra le Amministrazioni interessate.
UGL VVF CHIEDE UN RUOLO CENTRALE PER I VIGILI DEL FUOCO Sulla base del protocollo di intesa tra il nostro Dipartimento e Ministero dei Beni e le attività culturali, abbiamo chiesto chiarimenti e possibilmente delle rassicurazioni sul contenuto dello stesso. In particolare, nel sottolineare l’importanza del ruolo istituzionale e delle competenze del CNVVF in materia di prevenzione incendi e di gestione delle attività di soccorso tecnico urgente:
• si ritiene importante rivendicare il ruolo centrale e di coordinamento che il Corpo deve avere durante tutte le emergenze. A questo riguardo è utile aggiungere che, a differenza di qualsiasi altro ente, il Corpo ha impegnato diverse risorse nel miglioramento della risposta in caso di emergenze che interessano il patrimonio culturale, acquisendo anche competenze specifiche nella gestione delle
emergenze, che dovrebbero trovare una valorizzazione migliore di quella che sembra emergere dal protocollo; • si chiede di chiarire il senso del punto del protocollo che riguarda il monitoraggio dell’attività di prevenzione incendi la cui attuazione, come peraltro nel caso del soccorso, sembra che rientri tra le tante responsabilità dei Comandanti Provinciali.
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LA NOSTRA PAGINA
ORGANO UFFICIALE
www.uglpoliziadistato.it
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