Bello e possibile

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BELLO

è

POSSIBILE

In Italia viviamo una schizofrenia: siamo sdoppiati tra un'identità di “amanti del bello” ed un vivere quotidiano nella bruttezza. Siamo famosi nel mondo, grazie al nostro passato, per il culto dell'estetica, ma poi trattiamo con sciattezza il nostro territorio. Americani e giapponesi non capiscono, venendo a Roma, il contrasto tra il Colosseo e l'immondizia. Siamo passati in pochi anni dal culto del fashion alla sciattezza e volgarità dei pantaloni strappati e a vita bassa. E' quindi necessario un ritorno alle origini: attestarci l'importanza del bello, crederci veramente e poi agire di conseguenza, sul piane personale come su quello sociale. Tutto ciò è possibile solo se si ama il bello, lo si sceglie, lo si persegue, lo si sogna con passione. Partiamo dall'inizio, recuperando gli elementi di base per capirci. Tutto parte dal concetto di estetica, che nel mondo greco antico richiamava l'insieme delle sensazioni umane di fronte al mondo: vedere, sentire, toccare, annusare la realtà era un modo per dare un valore (positivo o negativo che fosse) a ciò che ci sta innanzi. E' solo nel settecento però che l'estetica va a designare la scienza filosofica dell’arte e del bello e più in generale qualsiasi analisi, che abbia per oggetto l’arte e il bello. Lo sviluppo di tale disciplina va quindi nella direzione dell'individuazione dei criteri in base ai quali formulare un giudizio di gusto: è estetico ciò che piace. Ma c'è gusto e gusto. Il percepire qualcosa o qualcuno come gradevole o meno va ad oscillare tra dimensioni prettamente individuali ed orizzonti chiaramente gruppali: nel primo caso il bello è qualcosa che vale solo per l’individuo, dunque è personalissimo, soggettivo e incomunicabile, mentre nel secondo caso il bello è una qualità oggettiva, una sorta di modello di perfezione a cui guardare per valutare se qualcuno o qualcosa sia bella o brutta. Se per Platone il bello è la manifestazione evidente delle idee, cioè dei valori, ed è perciò la più facile e ovvia via di accesso a tali valori, per Aristotele il bello consiste nell’ordine, nella simmetria e in una grandezza che si presti ad essere facilmente abbracciata dalla vista nel suo complesso. Quindi il concetto di bellezza deriva dalla qualità percepita da parte dell'uomo di fronte all'oggetto di osservazione. Potremmo dire che è un'insieme delle qualità desunte attraverso i cinque sensi,qualità che suscitano sempre sensazioni gradevoli. La bellezza è quindi un'esperienza che genera sempre un'emozione positiva spontanea, ma ciò – in fin dei conti – spontanea non è, in quanto il nostro inconscio effettua sempre un'operazione di paragone con canoni prestabiliti. Si tratta di canoni innati, ma anche acquisiti per educazione, esperienza


o consuetudine sociale. E' nell'infanzia che, attraverso il gioco o i divieti, il bambino impara a dare un valore “per imitazione” al bello. La percezione è quindi derivata da valori familiari e sociali: l'ordine, il rispetto, l'obbedienza, la pulizia, il decoro, sono tutti aspetti coi quali l'essere umano cresce dando ad alcuni comportamenti un significato di positività. E' poi nell'adolescenza che l'uomo – nel tentativo di strutturare una propria personalità – cerca di trasgredire a tali valori estetici, a volte proprio incarnandoli al contrario: ma è una fase, superata la quale la “percezione condivisa” della bellezza ritorna ad essere una necessità. Ci sono veri e propri “istituzioni sociali” che hanno questo ruolo di omogeneizzazione degli individui, istituzioni se si vuole spersonalizzanti, ma comunque protettivi per la coesione di un popolo. La più famosa istituzione è la moda: premessa la “gradevolezza” dell'estetica in un certo gruppo, ogni individuo tende a rendersi simile all'altro vestendosi allo stesso modo. E' una sorta di mimetizzazione sociale: più io sono simile agli altri, più mi sento da questi accettato. Ben lo sanno gli eccentrici che, proprio per voler essere subito notali, si conciano al contrario del gruppo: nudi tra i vestiti, colorati tra i grigi, diversi dagli standard. Ma il fenomeno della moda non è solo un fatto spontaneo, è oggi come oggi ormai un fatto commerciale: è l'industria che impone i modelli, sono gli stilisti che sviluppano i vestiti ed i modi di presentarsi in società. Tutto ciò fino al cattivo gusto: si pensi agli attuali pantaloni “a vita bassa” (in origine ad uso delle prostitute), al look punk o all'attuale moda dei vestiti scuciti e tagliati. La bellezza è però un concetto che riguarda non solo le persone ed i vestiti, ma anche e specialmente l'ambiente. Godere dell'armonia della natura, dell'equilibrio architettonico di un palazzo o anche solo dell'ordine spaziale di un luogo significa godere della bellezza del mondo attraverso un'esperienza di stupore. Il gradimento estetico non deriva solo da me, ma anche dall'esterno, dall'ambiente, dal luogo in cui si vive. A questo punto tenere in ordine la propria casa, raccogliere le carte per strada ed infilarle in un cestino o sedersi a godersi un panorama diventano diverse facce della stessa medaglia: è la bellezza che incontra la persona, ma solo se questa la vuole davvero incontrare. Si tratta di un'azione di incontro che però non è passiva, bensì attiva, dipende cioè dal comportamento di ognuno di noi. Tenere pulito un ambiente, privato o pubblico che sia, a questo punto, non è una scelta o un'imposizione, è semmai un piacere che deriva dall'amore per il bello. Come anche nell'amore: io mi lavo, mi profumo e mi vesto bene non solo per l'altro, ma specialmente per me stesso! La bellezza è un'esperienza che si fa dal vivo, di prima persona, senza intermediazione alcuna, a tempi lenti. Abituiamoci ad andare a piedi ad osservare le bellezze – paesaggistiche o monumentali – che i nostri luoghi hanno. Lasciamo la macchina e scarpiniamo per le nostre città alla ricerca di un bello che, nel nostro Paese, è molto diffuso. Recuperiamo il vecchio “ozio creativo” dei nostri nonni, che amavano sollazzarsi nella contemplazione dei luoghi prima di partorire idee. Recuperiamo altresì sane abitudini del passato di “osservazione degli altri” come le passeggiate al centro o lunghe pause-caffè al bar: l'anima gemella spesso la si trovava osservando i passanti per poi “attaccar bottone” con la bella di turno, non certo coi social-network. Ugo Albano


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