CLOWN: UN VIAGGIO CHE NON FINISCE MAI
Diventare clown è un po' come prendere il treno, ma con una piccola differenza: chi ci sale sopra non sa dove andrà a finire, né quanto durerà il viaggio. Il viaggiatore-tipo generalmente ci sale per caso, con tante titubanze, con altrettante paure, pronto a scendere alla prima stazione e a scappare a gambe levate. Il motivo è semplice: non è facile fare il clown. Anzi, per essere più precisi: clown lo si è, non lo si fa solamente. E' un po' una questione di vocazione: o ti piace l'avventura di una vita con obiettivi non previsti, o è meglio fare altro. Non basta quindi voler fare il clown, è invece necessario un buon governo dei propri sentimenti ed una buona capacità a saper giocare con quelli altrui: in parte ciò lo si impara, ma in buona parte queste capacità sono innate, affondano le loro radici nella nostra infanzia. Si tratta di capire come e se abbiamo giocato da bambini: il clown infatti percorre la fatica di “ritornare bambini”, alla voglia di giocare, all'entusiasmo di sperimentare i propri limiti, alla capacità di stare bene nel gruppo. Il clown richiede infatti di uscire fuori dagli schemi mentali, tipici del comportamento adulto, con un ritorno al proprio sé bambino, fatto di gioco, di curiosità, di paure e di allegria. Fino a che punto ci sono particolari tratti di personalità un po' “fuori norma” perchè si diventi clown e che motivi profondi (e personali)
spingono le persone a fare questa scelta? D'altra parte, se si tratta di “fare il buffone”, ovvero di comportarsi al di fuori degli schemi adulti, quanto ciò risponde a comportamenti tipici della pazzia? E quanto questa oscillazione tra la propria personalità ed il proprio personaggio clown è la dimensione “naturale” di chi gioca ad avere più personalità? D'altra parte se il clown è pazzerello per definizione, la persona immatura può anche sguazzarci, dissimulando se stesso in un ruolo bene o male bonariamente accettato. Le motivazioni a fare il clown vanno quindi ben capite almeno per se stessi: “faccio lo scemo, o sono davvero scemo io?”. La trasgressione dalla normalità - che è la caratteristica del clown – trova una legittimazione sociale che è di antica data. Il fatto che al clown si permetta ciò che ad altri non è permesso affonda le proprie radici nella storia antica, quindi un po' di storia antropologica per collocare questo clown nel pensiero umano non può che farci bene. L'antropologia mette in evidenza, ad ogni latitudine, l'uso della maschera: l'uomo sa che coprendosi il volto riesce ad essere – per gioco o per rito – un altro. Dal teatro greco antico alle rappresentazioni barocche, dai rituali primitivi di personificazione dei defunti fino al medico della peste di Venezia, scivolando verso il moderno carnevale ed il più recente claunismo, l'indossare una maschera trasforma la persona in un'altra entità. Questa seconda persona riesce quindi non solo a fare cose normalmente non permesse, ma proprio quelle cose che egli ha sempre desiderato fare. Dalle trasgressioni sessuali fino alle più semplici rapine in banca, la maschera non solo ci nasconde l'identità, ma ce ne crea una che ci assicura completa liberà ed impunità. Questo passaggio trova una personificazione ben chiara in quello che è il progenitore del moderno clown, che per me è il giullare medioevale. Costui era un misto di ruoli, un po' attore, un po' mimo, un po' ciarlatano, un po' musicista, un po' ballerino, un po' acrobata, un po' rubacuori, un po' cantastorie, un po' giocoliere, tutte qualità necessarie per l'intrattenimento, nelle piazze o nelle corti nobiliari, degli astanti, spesso di piazza. In un epoca in cui il lavoro era fatica e schiavitù, in cui solo un mestiere era garanzia di sopravvivenza, il giullare era ovviamente la negazione di tutto ciò: non a caso vi erano dedite le persone incapaci, come i disabili o i nani, o gruppi abituati al vagabondaggio, dagli zingari ai circensi fino ai semplici asociali. L'inventarsi lavori, come portare le serenate alle donne o sbeffeggiare un nemico, era fatto normale e ben accetto da parte di persone solitamente dedite al furto ed al delitto in generale. Grande sospetto verso i giullari, quindi, ma loro grande uso per far fare (o dire) cose che
altrimenti sarebbero state vietate. Alla base di tutto c'era la regola dell'intoccabilità del buffone: erano proprio le sue battute e le sue trasgressioni gli strumenti attraverso i quali si portava il buonumore, anche se a prezzo del beffeggiamento o dell'umiliazione di qualcuno. Finanche nelle corti nobiliari del nord Europa, in cui la lesa maestà era punita con la morte, solo al buffone era permesso di prendere in giro il regnante. Bisogna riconoscere al mondo circense il compito del mantenimento del personaggio del vecchio giullare: nell'epoca moderna è proprio il pagliaccio il suo più rappresentativo erede. Negli spettacoli del circo i pagliacci, prima usati per riempire i “buchi” tra uno spettacolo e l'altro, hanno via via conquistato sempre più spazio con spettacoli autonomi e centrali, resi ancor più interessanti attraverso il non uso della lingua parlata. Persona fortemente contaminata col mondo circense: ecco il pagliaccio ballerino, il pagliaccio mimo, il pagliaccio giocoliere, il pagliaccio musicista, tutti personaggi centrali non solo del circo, ma pure del teatro, basta solo ricordare il nostrano Totò o il più famoso Charlot. Spettacoli quasi sempre giocati in due, in cui i due pagliacci interagivano attorno ad una dinamica di complementarietà secondo il duo Bianco ed Augusto. Il Bianco autoritario, severo, preciso, diligente, l'Augusto, al contrario, incapace, pasticcione e stralunato. Un duo che ha ispirato tante coppie comiche famose, da Franco e Ciccio a Stanlio e Ollio. Oggi come oggi la realtà del clownismo è multiforme: a fianco di clown per mestiere (attori e circensi) c'è una marea di esperienze amatoriali di grande rispetto: dai clown di strada ai clownterapeuti, la preparazione, lo stile e specialmente le finalità di questo personaggio hanno fatto sviluppare settori davvero importanti, dall'arte al volontariato. Dietro ad ogni clown c'è quindi tanta passione, ma altrettanta preparazione: l'arte è infatti un misto tra competenze acquisite e capacità innate, le seconde richiedono le prime e viceversa. Ogni clown lo sa: il viaggio del proprio personaggio non finisce mai, anzi esso stesso si alimenta della sua storia e dei tanti significati finora sviluppati.
Ugo Albano