La connessione disconnessa (i rischi di internet)

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La CONNESSIONE

DISCONNESSA

- i rischi di internet sulla mente umana -

“Era meglio quando si stava peggio” recita il vecchio detto: oggi più che mai la saggezza popolare ci aiuta a comprendere i tempi odierni. Questi tempi mostrano un paradosso: siamo in contatto con tutto il mondo, ma non con chi ci sta di fronte. Internet è stata indubbiamente una rivoluzione sulla comunicazione umana, con innegabili benefici, ma anche con pericolosi rischi di alienazione. L'uso delle tecnologie richiede, oggi più che mai, una grande consapevolezza non solo nell'uso, ma anche e specialmente per evitarne l'abuso. Il grande rischio è evidente nelle giovani generazioni, i cosiddetti “nativi digitali”, in cui, se il virtuale sostituisce il reale, ci si rende poi di fatto strutturalmente incapaci di relazioni vere. Ne parliamo? Partiamo dall'inizio, ovvero da quando vivevamo nelle caverne fino a qualche decennio fa: la comunicazione umana ha sempre avuto una caratteristica di “dualità”, io parlo con te, A telefona a B, il corteggiatore guarda negli occhi l'amata. Il voler comunicare è sempre stato un processo conseguente ad una relazione e, prim'ancora, alla tranquilla certezza di conoscere l'altro. Tutto ciò perchè storicamente si è sempre “studiato” chi ci sta di fronte prima di attaccarci bottone: dagli affari all'amore, dalla scuola all'amicizia, si comunica qualcosa sempre dopo il vaglio dei reciprochi ruoli. Ci si conosce prima,


insomma, si codifica il tipo di rapporto e solo dopo si comunica in maniera più profonda, più intima, più diretta. L'essere umano è infatti un'entità di solitudine per costituzione. Egli, se parla con se stesso - tolte le dovute eccezioni di tipo psichiatrico - lo fa solo per prepararsi ad un aggancio successivo con l'altro. Che cos'è il pensiero, in buona sostanza, se non una preparazione alla successiva relazione esterna? Quante volte parliamo con noi stessi - prima di una dichiarazione d'amore, prima di un esame, prima della sottoscrizione di un contratto - proprio per fare una prova della nostra efficacia comunicativa? Chi, fino alla precedente generazione, scriveva il proprio diario a fine giornata, non faceva altro che rivedere se stesso e le proprie attività svolte per far emergere emozioni, dubbi o paure che probabilmente erano state rimosse durante l'agire. Insomma, se agli altri si può mentire, farlo a se stessi è più difficile. Anche pregare Dio è un fatto di apparente solitudine, mentre in realtà è il massimo della comunicazione. Al di là delle litanie e dei vomiti di parole (in cui noi cattolici siamo indubbiamente campioni!), la vera preghiera con Dio richiede non solo il silenzio, ma pure il distacco da se stessi: è nel vuoto, è nell'attesa che Dio ci parla, ciò lo impariamo dagli asceti e dai meditativi. Se quindi l'essere umano è solo per costituzione, la sua comunicazione non può che essere un tentativo di stare con gli altri, con l'ambiente, con l'esterno da sè. Ciò richiede però dei “protocolli” che sono variabili da zona a zona, da cultura a cultura: ci sono approcci, modalità, regole. Se quindi la comunicazione umana richiede pensiero ed azione, silenzi e parole, cioè “connessioni cognitive”, ciò tende ad essere oggi un problema, perchè i tempi di attesa e di produzione comunicativa sono praticamente saltati: non si parla più dopo aver pensato ed ascoltato, si parla spesso in contemporanea, sovente senza ascoltarsi. Ma non sono solo i tempi e le modalità postmoderne, è piuttosto l'influsso delle nuove tecnologie che ci spinge a funzionare come le macchine: passano cioè le informazioni, ma queste non vengono filtrate, né elaborate. E' cominciato tutto con internet e con l'illusione che comunicare fosse esaustivo del vivere, che la distanza riuscisse a governare la realtà, che l'economia finanziaria fosse più importante dell'economia reale. Il primo segnale di questo paradosso si è avuto con la crisi di dieci anni


fa della new-economy, crisi dovuta alle perdite di denaro nel gioco di investimenti “a distanza”. Se prima l'acquisto di obbligazioni si basava su imprese certe, reali, dal business “toccabile”, per cui perdite e guadagni andavano a dipendere da realtà “in carne ed ossa”, con la new-economy si sono acquistate quote di mercato mai viste, in Paesi mai conosciuti, spesso in realtà finanziarie inesistenti, di sicuro speculative e a rischio alto. Se quindi il mondo degli investimenti si è spostato dall'obbligazione (locale) all'azionariato (globale), ciò è avvenuto tramite il sistema-principe del nostro tempo, che è internet. L'illusione del guadagno facile è stata possibile solo scommettendo su realtà mai viste, garantite solo dall'intermediario, grazie ad internet, appunto. Una grande speranza per lo sviluppo del sapere è stata l'individuazione di internet come strumento per la gestione delle informazioni scientifiche. Se internet connette le informazioni in una rete, bisogna però che queste informazioni siano organizzate e, specialmente, accessibili. La messa online delle biblioteche scientifiche, per fare un esempio, ha permesso l'accesso a documenti senza dover viaggiare o passare tramite mediatori. La questione di internet nel campo delle informazioni riguarda quindi non solo la rete, ma anche le “informazioni”, i nodi, appunto. Internet ha infatti il grande problema di non distinguere le informazioni sul piano della qualità, ciò - grazie a Dio!- è ancora una prerogativa umana, per padroneggiare la quale, però, occorre che il ricercatore sappia cosa e come cercare. Se quindi è buona cosa censire certi portali o raccolte organizzate di fonti, il problema si pone ovviamente per chi questa competenza non ce l'ha. E' il caso della maggioranza che, per giungere all'informazione, si affida ad un motore di ricerca. Il problema, ad ogni caso, è rappresentato non solo dalle modalità di funzionamento dei motori (ci sono infatti diversi indici che influenzano il “pescaggio” di un certo link), ma pure dalle manipolazioni che gli informatici fanno (a pagamento) per posizionare certi risultati ai primi posti. Faccio un esempio: se su google o yahoo o bing digitate “patata”, usciranno probabilmente le patate in vendita per le quali i proprietari hanno pagato gli uffici di marketing, non certo i portali scientifici su questo tubero. Quindi su internet ci si illude di cercare, in verità invece si trova solo ciò che altri vogliono che noi troviamo.


Il fenomeno che da ciò deriva è un chiaro rischio di standardizzazione del sapere, proprio perchè “guidato” è l'accesso all'informazione. Questo rafforza a sua volta la pigrizia del ricercatore, abituato a considerare vero solo ciò che la rete offre. Patate a parte, è il caso degli studenti universitari alle prese con la tesi di laurea: i motori di ricerca ormai permettono lo scovamento di tesi belle e fatte (perchè pubblicate) o l'accesso a tanti testi, per cui col “copia ed incolla” si fa man bassa del sapere, spesso autoattribuendoselo, ma di fatto rubandolo ad altri. Ed infatti i docenti sono disperati nell'attribuire progetti di ricerca innovativi (perchè non siano copiati o scippati) a chi poi la ricerca non la fa solo perchè non la sa fare: internet ed il “copia ed incolla” stanno ammazzando il senso critico, presupposto primo per chi sarà definito prima o poi “dottore”. La questione diventa pericolosa quando poi il cercatore-utente cerca risposte di salute o consulenze di vita: essendo internet anonimo, esso diventa una giungla di risposte pronte, ma sovente ingannevoli, se non si comprende la bontà delle informazioni lì circolanti e se non si verificano le credenziali di chi scrive. Se il mondo non è fatto solo da professionisti, ma pure da ciarlatani e da delinquenti, il problema è distinguere i diversi gruppi. Se è vero che internet permette e promuove le posizioni “alternative”, sta però alla capacità del fruitore saper discernere, ma ciò non è da tutti (anzi, è da pochi). Il rapporto col medico la dice lunga: se spesso il paziente arriva già informato, per cui il medico è costretto a dare risposte competenti - e ciò è un bene! - , il rischio che vengano fornite informazioni errate da un sito è reale, specie quando queste non sono supportate da scientificità o - peggio ancora!- se orientano la scelta su certi prodotti inefficaci per soli motivi commerciali e/o speculativi Insomma, la fregatura di internet è che ci abitua a considerare di valore ciò che di valore può anche non essere, proprio perchè si confonde il reale col virtuale. Internet è un ottimo strumento di comunicazione delle conoscenze, queste però vanno cercate con una grossa capacità di discernimento, per cui la differenza la fa chi sa cercare e non l'offerta in sè. Occorrerebbe quindi istruire i fruitori ad essere consapevoli, capaci, ma pure equilibrati, non confondendo mai l'oggetto di ricerca con lo strumento.


Questo è un grande rischio per le giovani generazioni. Se la mia ancora scinde il reale dal virtuale, se ancora è abituato ad andare in biblioteca e non affidarsi a Wikipedia, ciò è segnale di grande salute mentale. Mi preoccupano invece non poco i “nativi digitali”, abituati a vivere su internet senza aver conosciuto la realtà, che invece è esperienza, sperimentazione, curiosità, pure rischio. Il pericolo maggiore è rappresentato, a mio avviso, dalla sfera delle relazioni sociali: se queste non vengono sperimentate de visu ma solo tramite lo schermo, può anche darsi che ci si protegge di più da chi ci vuol male o che non ci si fa bloccare da remore o vergogne, fatto sta che il rischio è quello di vivere appunto esclusivamente nel mondo virtuale, autobloccandosi ancor di più per passare a quello reale. Ciò riguarda tante sfere, quella che però più mi preoccupa è quella affettiva-sessuale: se è normale piacersi, avvicinarsi, corteggiarsi, toccarsi, sperimentarsi (e tutto ciò vuole tempo!), con internet tutte queste fasi si saltano, arrivando al un'intimità estrema e pericolosa, ma tutta giocata “nella testa”. I passaggi dal virtuale al reale sono pericolosi, perchè - nell'illusione di conoscerci solo via chat o skype - ci si incontra poi di persona scoprendo all'improvviso di essere impreparati al rapporto, con tutti i rischi conseguenti. Internet è infatti il mondo della simulazione: io posso essere basso e moro e vendermi come alto e biondo, io posso essere sposato e con figli e vendermi come un ragazzino minorenne, io posso essere un omofobo patentato e vendermi come un gay. Ciò è indubbiamente un'ottima possibilità di sdoppiamento della personalità, cosa che già richiama la psichiatria ed i rischi finali connessi a non sapere più chi si è. Un po' come a carnevale, in cui ci si permette la trasgressione proprio perchè non si è riconoscibili, allo stesso modo su internet l'anonimato (apparente) e l'assenza fisica dell'altro spinge a gioco del “faccio finta di essere”. Ora, al di là dello stimolo psichiatrico già detto, tale modo di comunicare diventa un'ottima arma di aggancio di malintenzionati su persone deboli: parlo dei “pescatori di anime sole” per fini economici, parlo dei pedofili che si fingono ragazzini, parlo della sterminata rete di sperimentatori sessuali. Emblematici della solitudine umana e del surrogato dei normali rapporti sono diventati i socialforum, primo tra tutti facebook, ma


anche youtube, twitter e via dicendo. Questi non sono più i “luoghi di confronto” , per tanti (tendenzialmente in ritiro sociale) sono diventati i “luoghi di vita”. C'è chi pubblica ogni giorno ciò che mangia, ciò che pensa, ciò che sente, arrivando spesso ad intimità che neanche in famiglia si è capaci di esprimere. Gli staff informatici di questi sistemi lavorano non poco per filtrare o eliminare su segnalazione contenuti volgari, violenti, sessuali o razzisti: ciò avviene appunto perchè tante persone alienate e sole non hanno più filtri tra sé ed il mondo. I socialforum diventano dei diari di vita, ma anche una platea in cui mostrare i reati che commettono o che commetteranno: i poveri agenti della polizia postale ormai sono sempre presenti a pescare sospettati o rei confessi per poi far scattare verifica domiciliari. Emblematici sono certi video di stupri di gruppo o di risse in cui questi cretini (non trovo un termine più neutro) si filmano pure, dimostrando così chhe il loro senso di esistere è solo quello di “essere in rete” e non nella realtà: alienazione sociale pura! Il mondo di internet si è poi incrociato solo negli ultimi anni con quello della telefonia, prima di tutto integrandolo (sugli smartphone è ormai possibile navigare su internet) e creando un nuovo modo di comunicare, quello dei messaggi. Col telefonino, insomma, non si parla più, ma si mandano messaggi in contemporanea (vedi whatsup), si condividono filmati e musiche, per cui il tempo non viene più speso per parlare, ma per “ricostruire” le discussioni. Per esempio io posso essere in dieci gruppi di whatsup e seguire dieci discussioni contemporanee: la fatica è ad ogni squillo ricostruire la discussione, riconnettendo ogni messaggio al gruppo corrispondente e recuperando - con la lettura o con la memoria- il senso del discorso. E' questa un'operazione ad alto tasso di stress, poco umana e molto informatica: ed infatti l'effetto che ne consegue è l'estraneazione dalla realtà perchè la mente è impegnata nella ricostruzione delle discussioni. Il problema non è l'utilità o meno di questi nuovi modi di comunicare; è fuor di dubbio l'importanza di questi, penso alle operazioni di polizia o al soccorso in mare o in montagna. Il problema è invece l'abuso di questo modo di comunicare ed il pericolosissimo rischio della perdita della capacità del contatto umano. Sto esagerando? Lo spero tanto, davvero, ma da dove osservo io,


l'Italia sta diventando un Paese di zombie anche per questo modo di comunicare. Vedo i giovani sull'autobus ormai assenti dalla realtà, ipnotizzati dagli smartphone, si meravigliano anche del perchè questi debbano stare spenti in classe, talmente conclamata è la dipendenza dal mondo virtuale. Questi aggeggi sono ormai ottimi strumenti di controllo dei figli e dei partner, con l'ormai consolidato riflesso condizionato del rispondere al primo trillo. Si tratta del mito della necessaria reperibilità, anche sul water, anche di notte, anche a messa, anche quando si fa l'amore. Il “cogito, ergo sum” è ormai diventato il “respondo, ergo sum”: esisti se dici pronto, esisti se metti “mi piace”, esisti se rispondi alla e-mail. Altrimenti non esisti. Il paradosso della sostituzione della realtà con il virtuale è evidente con facebook: i contatti ora si chiamano “amici”, se non condividi una cosa con un “like” non sei più amico, si fa la gara ad avere più amici possibili ed uno “sgarro” si paga con la cancellazione. Emblematica è la frase con cui facebook invoglia a scrivere il post: “a cosa stai pensando?” Non dice “cosa vuoi comunicare?”, per cui se non hai nulla da dire, stai zitto, come nella vita. Questo invito “a cosa stai pensando?” se pensato come facilitatore del dialogo, si sta sviluppando come la migliore valvola di sfogo di ogni umore interno, anche irrazionale, anche di cattivo gusto, anche offensivo. Che internet sia efficace sull'orientamento delle opinioni politiche e sugli stili di consumo i “poteri forti” se ne sono accorti già da tempo, assoldando addetti al marketing sempre attivi nell'escogitare nuove tecniche persuasive. Al di là del “sano” confronto delle idee, il problema è quello dell'invenzione delle notizie false, le cosiddette “bufale”, le quali provocano orientamenti di opinioni che però tali restano anche dopo che si è svelato che erano inventate. A cominciare dal semplice cyberbullismo, per cui un'offesa o una dichiarazione non veritiera verso qualcuno comporta alla vittima un danno anche se si dimostra che ciò che si afferma non è vero. Per proseguire con i messaggi denigratori verso un politico o le tante reazioni a false notizie su fatti mai avvenuti: il problema è che non solo il danno resta, ma pure l'opinione (politica o commerciale) resta immutata. E' un fatto di democrazia reale e di rischi a che questa svanisca perchè manipolata e controllata dai poteri forti. La democrazia si nutre


invece di confronto, ma di confronto umano vero, che è quello reale, non quello virtuale. Era così bello venti anni fa prendersi a pugni tra fazioni nelle manifestazioni di piazza, il “nemico” (o supposto tale) era lì, in carne ed ossa, lo vedevi, lo toccavi, lo contestavi, ma ci parlavi e sovente finiva col prenderci un caffè assieme. Oggi il confronto di idee è invece fortemente inquinato dal sistema di comunicazione: quando va bene è “preconfezionato” (come in televisione), quando va male (come su internet) è tossico, manipolatorio e subdolo, perchè alla fine l'opinione non è frutto di un confronto, di un discernimento, di un ragionamento, esso è solo l'effetto deliberato di una macchina comunicativa che nasconde più che bene i propri burattinai. Io vedo in giro ormai sempre più automi, disconnessi dalla realtà ed invece sempre connessi altrove, fino al punto di ignorare sistematicamente i propri vicini e finanche i propri amori. Basta andare in pizzeria o in ristorante ed osservare molte coppie: se una volta ci si guardava negli occhi e ci si scambiavano dolci frasi, oggi si vede ognuno col cellulare in mano a mandare messaggi al mondo senza concentrarsi sull'astante che pure dovrebb'essere il centro del mondo, almeno in quel momento! Eppure...... Cari giovani, ma buttatelo nel water sto marchingegno diabolico e fate l'amore, baciatevi, unitevi, sconvolgetevi, donatevi a vicenda, ma - per l'amor di Dio - siate presenti a voi stessi e a chi vi vuole bene! Imparate ad usare la tecnologia e non a farvi usare da questa. Sappiate governare i tempi di uso: è solo la quantità l'indicatore per mettere in evidenza una dipendenza: la compulsività è di per sé già un tremendo segnale che dovrebbe farci ricordare precisi comportamenti di tipo psichiatrico. Riappropriamoci del tempo, dell'attesa, della noia, del silenzio, tutti ingredienti che ci riportano al nostro normale modo di sentire noi stessi e vedere il mondo attorno!

Ugo Albano


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