ESSERE & SEMBRARE

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ESSERE & SEMBRARE

- Le trappole dei socialnetwork – Oggi come non mai si impone una rivisitazione critica del nostro modo di comunicare con gli altri, modo ormai inquinato dalla pervasività di internet a danno delle vecchie relazioni umane. La cosa preoccupa specialmente per i giovani, palesemente poco capaci di discernimento, illusi del fatto che i contatti siano la rete, che i messaggi siano comunicazione, che gli amici dei socialnetwork siano poi veri amici. La rete è anche una trappola, ben lo sanno i vari delinquenti e psicopatici, a cui la polizia dà la caccia, dai quali però è bene difenderci da noi, prima di tutto smascherandoli. La rete è infatti il luogo del “sembrare” che non corrisponde sempre all’ “essere”: è la patria della simulazione. Mai dimenticare che dietro l’esca si nasconde sempre un amo! Ecco quindi una riflessione per finire a dei semplici consigli. Partiamo dall’inizio: ormai da alcuni anni si assiste in tutto il mondo ad un vero e proprio cambio di socialità: le socializzazioni sociologicamente


intese, ovvero i processi di formazione di sé in rapporto agli altri, tendono a ridursi, spostandosi dalla realtà al virtuale, ovvero “restando sempre nella propria testa”. Si sono svuotale le “piazze reali”, in cui si andava ad incontrare gli amici, a tentare un aggancio amoroso, a proporre una compravendita, a decidere in quale pizzeria andare di sera. Nell’illusione di preservarsi dai pericoli fisici dell’uscita da casa si è deciso di vivere i rapporti sociali mediati da internet: non si usa più l’elettronica per poi incontrarsi, spesso il consumo di relazioni si ferma ai contatti e messaggi, come se la comunicazione surrogasse i rapporti umani. Ciò fino all’estremo, in cui ci si incontra pure, ma con la testa si resta concentrati altrove: che pena vedere coppie innamorate sedute al ristorante nel più assoluto silenzio, ognuno col proprio smartphone! C’è indubbiamente un grande problema di pervasività della comunicazione digitale rispetto a quella umana, ed il mercato lo sa bene: la stessa pubblicità si sta spostando dai manifesti ad internet, banner e video promozionali vengono imposti a tutti i livelli a chi ormai naviga in rete. Non c’è più la scelta di decidere se vedere o meno una pubblicità, questa viene imposta durante l’uso di qualsivoglia prodotto (solo apparentemente gratuito) e ciò fa parte del quotidiano. Potremmo parlare sicuramente anche di una “solitudine moderna” che riguarda in special modo le giovani generazioni: i fatti, le scelte, le interazioni, le passioni, gli amori, le proteste, tutte queste cose avvengono sempre meno nella vita reale, ma sempre più sui socialnetwork, in cui tutti sanno di tutto, in cui ci si illude di vivere in “una comunità di amici”, mentre in fin dei conti si resta soli. Una solitudine moderna che fa scatenare tutti gli psicolabili del mondo nei più sporchi giochi possibili, e ciò perché il sistema scherma chi scrive: la comunicazione può essere simulata sugli attori e sugli scopi, ben lo sanno i pedofili, ma pure i poliziotti addetti ai reati informatici. Si tratta di una solitudine pericolosa che alimenta poi la compulsività al contatto reale, ed è qui che il gioco si fa pericoloso. Si dice che internet sia una rete, e rete lo è in tutti i sensi, specialmente per pescare pesci ignari a guadagno dei pescatori senza scrupolo: dal


fishing classico (chi vuole la password del conto per un controllo bancario) alle mignotte straniere (che cercano l’amore italiano a cui spillare soldi), dai distributori di virus informatici (pagati – suppongo – dalle ditte di antivirus) a medicine e droghe di dubbia provenienza (viagra e simili), la pressione è più che evidente su chi è poco capace di sapersela vedere nella vita. Questi “pescatori di frodo” usano ami ed esche vecchie come il mondo: la semplificazione comunicativa. Di cosa si tratta? Una volta era il vecchio imbonitore di piazza o il classico truffatore, il quale sapeva comunicare in modo efficace al target individuato: costui vendeva stoffe e medicine salvifiche facendo leva sull’ignoranza della gente, curando una comunicazione “trasversale” e “verosomigliante”. Così come il vecchio imbonitore piazzava prodotti scadenti come se fossero eccellenti, allo stesso modo in rete costoro oggi usano una strategia di attrazione che è vecchia come il mondo, quasi sempre basata sulle sole immagini. Tipico sui socialnetwork è la propinazione di articoli fake basati su di un’immagine accattivante ed un titolo ammaliante: siccome il lettoretipo (che poi non legge) si lascia sedurre dal primo messaggio solamente e non dal contenuto (il che richiederebbe energia cognitiva, per capire che trattasi di una cavolata), spara like e condivisioni – cioè amplifica il messaggio in rete – senza però neanche un perché, quasi per automatismo umorale. Ben lo sanno tutti gli staff di comunicatori dei diversi partiti politici, i quali si divertono a costruire notizia “simil-vere” (cioè false) per abbattere l’avversario ed orientare gli sprovveduti pesci verso le proprie reti. Qual è il meccanismo di questa comunicazione semplificativa dei socialnetwork? Ce lo spiega la psicologia, che ci ricorda che i nostri inprinting primo-socializzativi (cioè durante la prima infanzia) avvengono per immagini: il bambino è guardando il mondo che impara a decifrarlo. Una foto a colori o in bianco e nero, i toni stessi delle cromaticità, le evocazioni simboliche delle foto ed altri artifici subliminali inducono a chi guarda emozioni e scelte conseguenti. Comunica più il nonverbale del verbale, le scienze della comunicazione


ci confermano questo assunto: se solo il 20% delle parole viene percepito in un discorso, è invece l’80% della visualizzazione che produce effetti sulla percezione umana. Ma scopriamo l’acqua calda: lo stesso corteggiamento tra uomo e donna è tutto giocato sull’apparire, estetica, bellezza, tonicità cromatica, segnali odorosi e movimenti sensuali sono centrali per la conquista, la parola arriva sempre per ultima (se arriva!). D’altra parte l’umanità ha sempre comunicato per immagini, l’uomo, fin dalla preistoria coi suoi graffiti, passando per i geroglifici egiziani fino al rinascimento con i suoi affreschi, interagisce col mondo, lo comprende e ci fa i conti guardando solamente. Possiamo quindi ben dire che lo sviluppo del pensiero avviene parallelamente allo sviluppo della stampa e – solo secoli dopo – con la scuola obbligatoria. Il ragionamento, l’analisi, la sistematizzazione del sapere richiedeva modalità diverse dalla sola percezione delle immagini, il libro, il tomo, la biblioteca e le enciclopedie sono tutti strumenti di chi, per capire “si prende tempo”. Chi invece non vuole un popolo che pensi per assoggettarlo a sé sa che non deve dare a questo il necessario “tempo lungo”, bensì l’illusione di “capire subito”. Si tratta di un’illusione solo emozionale, non cognitiva, che mira ad avere il consenso dell’astante senza che egli neanche ne sia convinto, ma tanto basta al pescatore di frodo! In ciò aiuta la disabitudine alla lettura, che è la vera tragedia del nostro secolo. Nel nostro Paese, più che in altri, si legge sempre di meno, falliscono giornali, edicole, librerie e case editrici, segnali chiari di un popolo che non ragiona più, o lo fa sempre meno. D’altra parte il “ragionamento” è sempre un fatto avvenuto nell’interazione reale, al bar come in un circolo letterario, lo scritto diventava stimolo di discussione con chi stava accanto. La “privazione spaziale” e la solitudine di cui parlavo sopra non fanno altro che disincentivare l’abitudine al pensiero critico: ciò ha indubbiamente effetti micidiali sulle giovani generazioni e sul futuro democratico del nostro Paese. E’ cambiato anche il tempo di concentrazione e quello di lettura: se una volta il “numero di pagine” era indicatore di completezza, ora è il


contrario: ben lo sanno gli studenti, alla ricerca di sunti ed appunti per gli esami, ben lo sanno i docenti, mortificati nello scovare i mille “copia ed incolla” fatti in rete. C’è una pigrizia intellettuale che, a sua volta, è frutto del nuovo modo di leggere sul computer: non si legge più un libro, lo stesso libro in rete viene “scrollato” per carpire qua e là dei pezzi solo per farsene una veloce opinione. Ed infatti pure i giornalisti devono correre dietro a queste nuove modalità di lettura: di fronte agli scroller la notizia va concentrata in alto, nel primo pezzo, è sola una bassissima percentuale di lettori che legge tutto l’articolo, fino alla fine. La situazione è piuttosto umiliante per noi giornalisti, sempre più in difficoltà a vendere la nostra capacità comunicativa a fronte di questi socialnetwork in cui pare che tutti sappiano comunicare. Se infatti prima una redazione filtrava tutte le notizie per decidere quelle migliori, in rete questo filtro non c’è più, diventa quindi pubblicabile ogni porcheria che nessun giornalista pubblicherebbe mai. Ben lo sanno certi gruppi estremisti, in cui la pubblicazione di contenuti di un certo taglio, anche se “simil-veri” (cioè falsi) produce consenso, proprio perché la rete amplifica i contenuti, ma solo quelli proposti. Se – per esempio assurdo – un gruppo propone di usare le mutande come copricapo e diversi propongono contributi in tal direzione, è molto probabile che il tamtam di rete produca un orientamento conseguente: non scomponetevi se poi qualcuno in giro con le mutande in testa lo troverete! I socialnetwork sono ormai il luogo delle fakenews proprio perché basso è il filtro cognitivo di chi ci va. Esso sono inoltre il classico luogo della polarizzazione: siccome lì non si discute ma si comunica per emozioni, ecco che l’estremismo trova campo libero. Da “morte al negro” fino a “accogliamo gli stranieri a casa nostra”, dalle famiglie multicolori fino alle famiglie etero, ormai è tutta una spazzatura che personalmente io butterei in pattumiera. Cosa fare, caro lettore e cara lettrice? Un po’ di consigli li do: 1) spegnete il computer e socializzate con le persone che vi stanno intorno. Riservate alcuni momenti della giornata alle comunicazioni, per


il resto spegnete queste illusorie finestre sul mondo. Se volete conquistare qualcuno, fatelo con le parole, un mazzo di fiori o con una cena, lasciate a casa cellulari, computer ed ogni fastidio simile. 2) Fate la scelta di “usare” internet e non farvi usare. Esso è comodissimo per far sapere agli altri le cose che vi interessano, ma non quello che interessano gli altri. Per i gruppi di lavoro è utilissimo, ma cosa comunicare deve riguardare solo l’attività, non le vostre persone. Sappiate che se si comunica se stessi, ciò ha un suo valore comunicativo: se nel profilo io mi metto nudo o vestito, ciò comunica cose diverse e induce comportamenti altrui diversi. 3) Se avete bisogno di confidarvi, di gridare la vostra solitudine, il vostro dolore o il vostro bisogno di amore, fatelo con un amico, con un consulente, con un prete, con chi volete voi, ma non fatelo sui socialnetwork. Mi colpisce molto questa pericolosa abitudine dei giovani di parlare dei propri sentimenti e delle proprie intimità sui social, sbandierando tutto al mondo intero, mondo che – lo ricordiamo!è fatto pure dai tanti pescatori di frodo! 4) Informatevi leggendo. Ritornate a leggere giornali e libri, prendiamoci il tempo di riflettere, riempiamo i nostri buchi con salutari letture. Nei viaggi pendolari spegniamo questi cellulari maledetti e riprendiamo la sana abitudine a parlare col vicino: un giornale o un libro è sicura occasione di confronto. Restiamo umani! Ugo Albano


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