Natale

Page 1

NATALE: aggiungi un posto a tavola - Recuperiamo gli amici (veri) ed evitiamo i para-amici (mentali) Il Natale da sempre richiama gaiezza, gentilezza, apertura e speranza: è proprio questo, in effetti lo spirito della natività di Nostro Signore. E’ la festa di incontro della famiglia, ma pure quella degli amici. Ah, l’amicizia: parola grossa, eppure abusata oggi, a fronte di un preoccupante vuoto di significato. Il Natale è invece un’occasione per rivedere gli amici: ma questi, oggi, esistono? L’amicizia è merce rara, lo stesso proverbio recita “chi trova un amico trova un tesoro”. Viviamo però nell’illusione di avere tanti amici, illusione alimentata da internet, per scoprire alla fine di essere soli come dei cani. Facciamo quindi un percorso in questa triade Natale-internet-amicizia per riscoprire la “carnalità” di noi esseri umani. Mi ricordo che una vecchia canzone popolare della mia terra recitava “ora viene Natale, sono senza soldi, prendo una pipa, e mi faccio una fumata”. Saggezza popolare di un’Italia, quella contadina, che ormai non c’è più, ma che mi ha forgiato durante tutta l’infanzia. Nel mondo rurale, e comunque nell’Italia di provincia, fino a qualche decennio fa, il Natale era, tra le tante cose, un’occasione di “pausa forzata”, sicuramente facilitata dal freddo inverno e dalla campagna non bisognosa di alcuna cura dell’uomo. Amo ricordare i tanti


“piatti poveri” di Natale, tradizione che ho trovato in tutte la regioni: dolci fritti, castagnaccio, frittelle, …..e l’immancabile baccalà (tradizionalmente l’unico pesce permesso ai poveri). I poveri (e lo eravamo quasi tutti, fino a trent’anni fa) erano infatti soliti permettersi un po’ di lusso a Natale, un “lusso economico”, che si traduceva in un rituale magico al cui centro si trovavano le persone. Erano i tempi delle tavolate in famiglia, del rientro dei nostri emigrati dall’estero e dalle metropoli, delle messe di mezzanotte e delle tombolate con i (maledetti, perché rotolanti) ceci sulle schede di cartone. Le scuole erano chiuse e non esistevano centri educativi o pedofili bavosi in giro, quindi noi ragazzi scorazzavamo liberi a combinare guai per il quartiere da mattina a sera, meglio ancora se con la neve (ed i geloni ai piedi). Ahimè, tempi andati, eppure li ricordo con piacere e con orgoglio rispetto ai tempi di oggi. Il “benessere economico” ha poi portato i panettoni (fino ad allora solo milanesi), i cotechini (fino ad allora confinati nel modenese), i pandori (sconosciuti dolci made in Verona, pare), ma pure i fuochi d’artificio (made in China), le mangiate ipercaloriche (made in USA) e gli alberi di natale (made in Germany), mentre noi conoscevamo solo il presepe (made in Greccio by Saint Francis…olè!!). Una tale ubriacatura di costumi esterofili ci ha però illusi sul fatto che il Natale potesse avere più gusto solo perché consumavamo di più. Ma l’illusione più grande è stata l’iper-individualizzazione nel frattempo avvenuta nel nostro Paese, per cui il divertimento è stato cercato (e pagato) fuori casa, invece che a casa. Complice di ciò la “pigrizia domestica”: vuoi mettere il pranzo in ristorante rispetto al traffico culinario a casa??? Parallelamente a tutto ciò la perdita del senso della famiglia: vi ricordate il famoso film “parenti serpenti”??? Beninteso: non è che il mondo contadino fosse umano, anzi spesso volavano i coltelli anche in famiglia, semplicemente c’è stato un trapasso di costume della famiglia e della socialità più in generale. Una volta le condizioni economiche - se non di povertà, sicuramente di sobrietà come norma - “costringevano” le famiglie a stare assieme: le case coloniche toscane, le masserie pugliesi, le cascine lombarde, ma pure i cortili ed i vicoli urbani, ne sono eclatante esempio. Certo, si litigava, ci si scazzottava, volavano bastoni e coltelli, ma c’era vita…. e si sentiva, acusticamente, intendo!!! Il progresso economico ha nel frattempo non solo permesso alle famiglie di non esser più costrette a convivere, ha pure permesso loro di migliorarsi – spesso emigrando, quindi a caro prezzo - , certamente, però, le ha proiettate in un modus vivendi moderno, in cui ci si rapporta agli altri non per tradizione, bensì per libera scelta. Si è trattato di un salto culturale non facile, a cominciare dalle più difficili condizioni contestuali: volete mettere la facilità di rapporti in un piccolo paesino rispetto ad un mega-condominio di una metropoli? E’ mutato anche il tempo: dove prima la madre-casalinga regolava la vita quotidiana, ora i ragazzi sono spesso soli, sovente con la chiave di casa appesa al collo, indotti ad autogestirsi sui compiti, sullo svago e pure sulla consumazione dei pasti. Su tutto


ciò la “paura dell’esterno”, quindi l’estinzione della “vita di cortile” e l’isolamento domestico, con ore passate davanti alla televisione o al computer. Oggi dobbiamo constatare come alla (naturale) tendenza dell’essere umano a “stare in relazione” si sia affiancata una evoluzione tecnologica che solo apparentemente fornisce una risposta. Mi spiego: se negli anni 80 i ragazzi alternavano la televisione alla frequenza di amici, ciò avveniva perché i massmedia imponevano una “fruizione passiva” della comunicazione, per cui la socialità andava comunque ricercata fuori di casa. Oggi, se l’evoluzione delle tecnologie comunicative ha fatto il salto di qualità verso l’interazione, è però anche scattata la “trappola illusionistica” di esaurire le azioni socializzanti nel solo “rapporto tecnologico”. Non esiste quindi un “uso comunicativo” e poi una “frequentazione amicale”: spesso la seconda si esaurisce nella prima. Si tratta di un fenomeno sotto forte osservazione dei sociologi: mai come prima d’ora la società è così interconnessa, ma anche così isolata. Una tale Arianna Huffington, nel suo articolo “24 ore al giorno in contatto sempre più soli” (apparso sul n. 898 del 12 luglio 2014 del settimanale Donne-la Repubblica), citando diversi studi statunitensi, mette in allarme sul pericolo di oggi: l’uomo moderno è sintonizzato su tutto, ma di fatto non è in contatto con nessuno. Emblematico è fare un viaggio in autobus o osservare un incontro tra i nostri adolescenti: se ai nostri tempi si parlava e si faceva casino, oggi regna tra loro il silenzio. Handicappati? Peggio: tutti con uno smartphone in mano. Mi ha molto colpito un episodio quest’estate. Seduto su una panchina in un parco osservavo due adolescenti, visibilmente innamorati, mentre andavano a sedersi per un primo bacio. Ecco, mentre io mi aspettavo un’avance per rompere la naturale timidezza o un gioco di sguardo per vincere le ultime resistenze reciproche, i due innamorati hanno pensato bene di tirar fuori in contemporanea gli smartphone e di messaggiare. Scommettiamo che si stavamo scrivendo tra di loro? Ma andiamo oltre le esperienze quotidiane – tra autobus e parchi – di Ugo Albano. La comunicazione informatica assunta a canale principale della comunicazione umana non è solo strumento, ma influisce pure sull’identità dell’uomo. Mi spiego: se io sono io e, oltre che a chattare, vivo in mezzo alla gente, uso lo strumento per quello che è, senza sostituire questo con lo scopo della relazione. Se invece io sono un nick-name e sto incollato al PC per più ore al giorno, è molto probabile che il mio io corrisponda a quanto io desidero che io sia e non alla realtà. Se questo è un normale gioco in uso a chi vuole “accalappiare” in rete agendo sulla buona fede altrui (vedasi pedofili e delinquenti informatici, oltre a maniaci di vario tipo), il problema riguarda anche il fruitore “passivo” di questo tipo di comunicazione. Si pensi anche solo all’amore: se io sono obeso e sul web mi vendo come uno snello sportivo, la mia identità si sdoppia tra quello che io fingo di essere e quello che veramente sono. Non sono psichiatra, ma questo gioco di sdoppiamento identitario tanto salutare


non mi sembra: se poi si confonde l’immaginario con la realtà, il salto nella schizofrenia mi sembra pure probabile. Il web non è solo “comunicazione”, è pure “emozione”. Se si ha la pazienza di leggere post o mailinglist o twitter o quel che si dice in chat, si noterà come le esplosioni emotive siano all’ordine del giorno. “Vanitoso”! “Narcisista”! “Presuntuoso”! sono normali commenti tra persone che, se si scrivono da tempo, di persona neppure si conoscono. Come anche gli approcci sessuali su internet: si arriva, con i messaggi, anche a suscitare interesse e a scendere a dei livelli assai intimi tra uomo e donna (ometto qui le arene omosessuali, in internet numerose), per poi proporre, a “cottura ultimata” (del pollo o della polla) la consumazione sessuale. Ecco quindi l’incontro in un hotel ad ore di due che non si conoscono per consumare qualche ora di sesso libero: se va bene, è un’avventura, se va meno bene (è probabile…) escono le sorprese, ma pure i rischi. Tutto ciò ancor più pericoloso per via dell’anonimato che internet garantisce (ID permettendo, di ciò si occupa la polizia per le indagini criminali). Attenzione quindi al governo delle emozioni e al coinvolgimento “di testa”. Non dimenticate mai (e dico mai!) che avete a che fare con un tubo catodico o con un video al plasma, non con una persona. Una “persona” vera usa i sistemi di comunicazione, non vive in essi e non confonde (e non fa confondere) la realtà con la fantasia. E veniamo al nostro tema. Se le condizioni di vita odierne ci spingono a vivere da soli, non illudiamoci di stare in compagnia degli altri davanti ad un computer o con uno smartphone in mano. Dico ciò per smascherare l’evidente illusione dell’amicizia in rete. Anzi è meglio parlare di moda infantile: sto parlando della gara ad avere amici. I socialnetwork a cui si aderisce mettono infatti in primo piano, per misurare l’efficacia del profilo, le “amicizie”. Se io sono cioè “tuo amico”, posso leggere le tue notifiche, i tuoi contatti oppure, semplicemente essere annoverato come tuo “follower”. Una persona qualsiasi che sventola come un trofeo l’inquietante numero di 3000 “amici” su di Facebook a me fa un pò pena: ma se i veri amici, in media, non superano il numero delle dita in una mano, come si fa a millantare questo sentimento senza svuotarlo? Ed infatti, gli “amici” altro non sono che “contatti”, contatti che, se devono scaricarti a male parole, non ci pensano neanche mezza volta. Provare per credere. A me capita con i contatti tramite il mio sito web: tante richieste di aiuto, tante richieste di pareri, tante proposte. Tanto per cominciare ai nick-name io non rispondo per principio per i motivi già esposti sopra. Quando poi ci si presenta con nome e cognome, la gente almeno è invitata a sintonizzarsi su se stessa e quindi invitata a non sparare cavolate. Ma ciò non basta: siccome a stare su internet non costa nulla e c’è l’abitudine ad avere sempre una risposta per tutto (vedi i motori di ricerca), è come se si pensasse che il mondo è composto da tanti scemi che aspettano al computer per servirti al meglio. Quindi anche un’attesa o una risposta di chiarimento, siccome non corrisponde al “tutto e subito” (tipico


di questi tempi “adolescenziali”), scatenano sovente nell’interlocutore reazioni scurrili o maleducate. Tutto ciò semplicemente perché internet è democratico: un premio nobel o uno studentello ripetente sono uguali sul web, mentre in realtà non lo sono per nulla. La realtà, invece (e grazie a Dio!) non è fatta di sms o di post, ma di parole, di visioni, di eloquenza e di silenzi, come di distanze e di coloriture gergali, tutti aspetti (quelli si!) che suscitano emozioni e quindi codificano le relazioni. Ma torniamo alla comunicazione informatica. Se la rivoluzione di questi anni è stata l’interattività, dobbiamo oggi prendere atto che gli effetti perversi vanno comunque gestiti. Prima la comunicazione, seppur unidirezionale, codificava i ruoli: c’era chi scriveva (per esempio l’autore di un libro) e chi leggeva (il lettore), il primo con uno status differente dal secondo. L’interattività informatica ha dato a tutti la possibilità di scrivere, per cui tutti hanno scritto, se bene o male questo è un altro problema. Esempio sono i blog, liberi e gratuiti per tutti, dipende però dall’autore comunicare un sapere in maniera sistematica o fare un “copia ed incolla” delle barzellette degli amici. Restando ai blog: se è passata in second’ordine la qualità di quanto scritto, è però restato il narcisismo di tutti, per cui, per esempio, tutti si aspettano un feedback su quanto scritto. La differenza tra un’opera letteraria ed un “copia ed incolla” non esiste se l’attesa è inquinata dall’illusione di avere tanti “amici”. Questi, o i c.d. “followers”, in fin dei conti, non sono proprio “amici”, ma solo persone anonime che hanno lasciato una loro traccia in qualche record della rete Dio sa quando e come. D’altra parte ogni “amico” di rete, quando apre la posta elettronica, si vede inondato da inviti e, materialmente, cestina buona parte di questi senza neanche leggerli! E’ il fenomeno dell’ingolfamento comunicativo, tipico del web; può anche succedere nella vita (come quando si è ad una festa e si conoscono tante persone interessanti), ma il rischio è assai limitato. A qualche settimana dal Natale io già ho paura delle centinaie di mail o di post che riceverò da centinaia di amici (sconosciuti) senza che io ne apprezzi il senso. Quest’anno chiederò aiuto alle “regole di posta elettronica”, per cui farò cestinare in automatico tutte le mail di buon natale, sicuramente correndo il rischio di non leggere gli auguri dei veri amici, intendo quelli in carne ed ossa. D’altra parte cosa dovrei fare? Andare in depressione per solitudine? Consiglierei quindi un ritorno alle sane abitudini di una volta: mandare una cartolina, attaccarsi al telefono, invitare le persone a casa. “Aggiungi un posto a tavola” era il titolo di un musical degli anni ’80, ma potrebbe diventare un’efficace ricetta per gustare il senso di questa festa. Ebbene si, i veri amici li vedi, li tocchi, li abbracci, ci fai pure a cazzotti, ma sono lì, così come sono. Gli “amici di testa”, quelli informatici, quelli di chat e di forum, quelli di facebook e diavolerie simili, lasciamoli ad alienarsi davanti al computer. Mai dimenticare, poi, che “aggiungi un posto a tavola” richiede una


tavola, quindi il mangiare, ma anche un calore, ma pure un sentimento. Mangiare, calore e sentimento sono in noi innati fin dai tempi in cui succhiavamo il latte dal seno di nostra madre; allo stesso modo l’amicizia va nutrita, va curata, va fatta vibrare tramite il contatto fisico, vero, genuino. In tal senso‌.buon Natale a te!!! Ugo Albano


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.