T.V.T.B. - ovvero: le parole dell’amore -
L’amore tra due persone, se sincero e profondo, non può non essere romantico. Le emozioni prendono sempre forma e nel parlare col partner non si può bleffare: se le parole hanno ancora un senso, sono proprio queste la riprova dei sentimenti. Occorre però capire meglio questo meccanismo per comprendere che la dichiarazione d’amore è un’arte: come ogni arte, c’è talento, ma anche apprendimento, c’è passione, ma anche tecnica. Dichiarare l’amore non è solo una modalità di seduzione, ma anche e specialmente la via maestra per tenere viva la coppia. C’è inoltre la capacità passionale ed il bagaglio linguistico degli amanti che gioca un grosso ruolo nella vita di coppia: semplicemente c’è chi sa comunicare e chi non lo sa fare. Facciamo quindi questo breve viaggio nel rapporto tra amore e parole, sperando di rinsaldare questa frattura che, se esistente, è di per sé un segnale di pericolo che va subito colto. Diamo inoltre qualche coordinata per aiutare i potenziali poeti a diventare seduttori efficacissimi. L’amore è un sentimento, dicevamo, e come tale nasce nell’intimità, nella solitudine. Quando ci si innamora capita infatti di sentirsi sempre fuori posto: alla padronanza di noi stessi nel dire e fare quel che vogliamo si sostituisce l’imbarazzo,
la vergogna, l’insicurezza di ammettere di essere turbati. L’innamorato, si sa, ha “la testa tra le nuvole” proprio perché è alle prese col chiedere a se stesso cosa stia succedendo, perché mai provi piacere e disagio allo stesso tempo con l’altro, come potrebbe colmare il vuoto che sente di fronte ad emozioni che comunque deve governare per non restarne vittima. Si tratta di mettere assieme frammenti di ricordi, episodi più o meno diversi, interpretazioni di fatti accaduti dai quali bisogna aver captato segnali di disponibilità da parte dell’altro. “Sono al buio e penso a te,chiudo gli occhi e penso a te, io non dormo e penso a te” diceva Battisti in una sua bella canzone, da cui si capisce come dallo sconcerto iniziale si passa poi al bisogno di fondersi con la parte amata. Ed è lì che nasce il bisogno di comunicare all’altro i propri sentimenti. Certo, può anche essere un salto nel vuoto, ma normalmente ci sono dei precisi segnali che i due si scambiano già tempo prima. Questi devono però prima essere emessi e poi captati, ma non diamolo per scontato: c’è infatti chi reprime ogni esternazione sentimentale (per timidezza, per bassa fiducia in se stessi o anche per precedenti esperienze andate a male) o anche chi, di fronte a segnali chiari, non capisce perché non vuole capire. Stranezze della natura umana! Capita infatti che proprio i ritardi nel capire l’amore altrui portino ad un fuori-tempo fatale: è come un treno che passa, chi lo perde lo perde per sempre. Eppure prima o poi arriva il momento del “dichiararsi”. Si tratta di passare dalle intenzioni ai fatti, dalle sensazioni al reale, dal “non detto” al “detto”. Un’operazione non facile, anzi una funzione che in passato era anche istituzionalizzata: due giovani potevano pure piacersi, ma la comunicazione ufficiale del volersi conoscere -che era il preambolo del fidanzamento- non spettava ai due piccioncini, bensì ad altre figure. Se tra il “popolo basso” le proposte venivano portate da parte di ambasciatori (generalmente alla famiglia di lei), per il “popolo alto” la cosa era simile: tra gli imperatori, addirittura, le proposte di matrimonio -frutto di calcoli politici- arrivavano per via diplomatica. Almeno tra i proletari i due si suppone che si piacessero, era invece speso un dramma l’amore tra i regnanti, in cui la conoscenza reciproca avveniva quasi sempre il giorno del matrimonio. La “dichiarazione” aveva percorsi così precisi appunto perché il matrimonio che ne sarebbe scaturito avrebbe prodotto effetti giuridici importanti per cui era il caso di stabilirne già da subito i contenuti. Non a caso, quindi, la “dichiarazione” non era “amorosa” (ciò era davvero un mero dettaglio), ma “reale”, nel senso di soldi, proprietà ed accordi di successione. Se tra i contadini la dichiarazione (ai genitori di lei) era corredata dalla dote, tra i nobili erano le corti ed il corpo diplomatico a vagliare, verificare ed infine a consigliare alla parte (il padre di lei) il dafarsi. Se nel primo caso era “affare di convivenza”, nel secondo era “affare di stato”. La dichiarazione era quindi un procedimento razionale, utilitaristico e ben codificato. Tutto ciò oggi non c’è più: se questo è un bene o un male è però da capire bene. Certo è che fino a qualche decennio fa, se due si fidanzavano, arrivava prima o poi il
momento della presentazione in famiglia. Era d’uso accertarsi chi fosse l’intruso e chiedere informazioni sulla sua famiglia. Mi permetto di dire: un buon genitore dovrebbe ancora oggi far così, se il figlio (o la figlia) è rintronato dagli ormoni, è il papà (e la mamma) ad assumere il compito razionale della questione. Chi è? Che mestiere fa? A quale famiglia appartiene? E’ un repertorio antipatico, ma che serve a capire con chi abbiamo a che fare: un aspetto più che sano, devo dire, e di certa protezione sui figli. Basta non esagerare e scindere bene le questioni. Torniamo al processo seduttivo tra i due. Dicevamo prima che è molto importante comunicare le intenzioni all’altro nei giusti modi e nei tempi appropriati. Comunicare significa farsi capire, e ciò passa quasi sempre tramite le parole. Dico “quasi sempre” perché invece può succedere che il bisogno di fondersi aggiri la parola e vada direttamente sull’agito. Come dire: “ci piaciamo, ci baciamo, ci tocchiamo”. Magari ci andiamo pure a letto, svegliandoci il giorno dopo per chiedere “scusa, ma come ti chiami?” Logicamente esagero, voglio però semplicemente richiamare l’attenzione del lettore sulla differenza tra passione ed amore: la prima travolge e spinge al fondersi subito, il secondo richiede invece un pò più di tempo e guarda un po’!- una comunicazione più profonda. Insomma, una cosa è il flirt per portarsi a letto qualcuno (stile discoteca o pub, ma anche nella prostituzione è così), altra cosa è l’amore, che per sua natura va dichiarato e quindi vuole i suoi tempi. L’amore, basandosi sulla libera adesione o meno dell’altro, va sempre dichiarato, semplicemente per trasparenza e per rispetto altrui. I maschi più arditi (quando esistevano…) usavano colpire di sorpresa la preda: bastava un mazzo di rose rosse, una poesia scritta di proprio pugno, una serenata suonata sotto il balcone dell’amata: da quel che si sente dire dai nostri anziani, anche le donne più cocciute di fronte a tanto ardore dicevano il loro si. “Altri tempi”, si dirà, ma tempi che erano l’altro ieri e che ancora ci confermano come l’amore non possa che passare tramite le parole. Ma anche oggi: basta vedere i testi delle canzoni della musica leggera, ma pure i bigliettini che si trovano nei cioccolatini. Ed eccoli quindi i “ti amo”, “ti sogno”, “ti desidero”, ecc. Se la parola che fa nascere l’amore, è sempre essa che lo fa crescere. Ci si può innamorare, ci si può dire “ti amo” e baciarsi, ma ciò è solo l’inizio. Come un bambino, l’amore ha bisogno di crescere, di mettere le gambe e di muoversi: è qui la differenza tra l’avventura e l’amore, quest’ultimo ha bisogno di relazione, di scambio, è quindi importante parlare, confrontarsi, capire se davvero l’altro può appartenerci per un progetto più lungo. Cosa fanno altrimenti due fidanzati, se non parlare? Coccole ed intimità a parte, è sullo scambio di idee che ci si verifica prima sugli interessi comuni per poi decidere se lasciarsi o proseguire. E’ la stessa parola che dopo il fidanzamento suggella l’unione. Sia dal sindaco, sia dal prete, non sono le emozioni ad avere un posto in prima fila, bensì gli impegni. Se al Comune sono gli obblighi da Codice Civile ad esser ricordati, in chiesa è la Parola
(con la p grande, cioè la Bibbia) il fulcro della scelta dei due, scelta che, nel caso specifico, è anche di fede. In entrambe le forme c’è una procedura che va rispettata, ma ci sono sempre i due partner intenti ad allargare la loro dichiarazione d’amore agli altri: l’amore a questo punto diventa anche un fatto comunitario. Quanto a ciò si faccia davvero attenzione non lo so: a vedere nei matrimoni le mamme piangenti ed i padri preoccupati (del conto), oltre agli sposi rintronati, io avrei qualche dubbio. Se è certo che al matrimonio c’è una consacrazione dell’amore dichiarato, è invece il “dopo” che richiede qualche attenzione in più. L’amore infatti è come una pianta: non basta averla, bisogna curarla, annaffiarla e concimarla, altrimenti si secca e muore. Allo stesso modo se l’amore va dichiarato, questa dichiarazione ha bisogno di esser realizzata anche dopo il fatidico si. Il problema -come dice una vecchia canzone- è che “dopo i confetti vengono i difetti”, cioè nella vita coniugale lentamente il personaggio “reale” prende il posto di quello “ideale” (o idealizzato, se gli autori dell’illusione siamo stati noi stessi). Paradossalmente il fatto di poterci fondere ogni giorno col partner ci porta alla stanchezza, alla tendenza a vederne i difetti più dei pregi, alla (forse) normale evoluzione fatta di screzi, incomprensioni e litigi. Poi figli, lavoro ed abitudini fanno il resto: dobbiamo trovare tempo per tutto e per tutti, dimenticando però proprio il partner. Anzi, la “parola tra i due” si trasforma quasi sempre da “amore mio” a “fai la spesa, paga le bollette, asciuga i panni, scarrozza i figli, ecc.”. Si tratta di un copione più che noto che porta con sé i rischi della rottura di coppia: che cos’è il tran-tran quotidiano, la noia o l’abitudine se non l’impantanamento dell’amore da cui spesso scappare solo col tradimento? La coppia va in crisi non solo perché si passa dal collant ai calzettoni o dal corpo da silhouette ai chili di troppo, semplicemente perché anche la parola viene a mancare. L’amore va comunicato di continuo, ai “fatti oggettivi” (come essere fedeli o condividere gli impegni) ci vogliono anche le parole che confermino all’altro il nostro sentimento. Ed anche le parole hanno bisogno di spazio, quindi è buona regola “trovare il tempo di coppia” ogni giorno: può essere la mattina presto o la sera tardi a letto, o momenti di assenza dei figli o straordinarie “fughe a due”. Va bene che noi genitori-lavoratori siamo ormai diventati dei soldatini dai tempi prescritti, dovendo noi devolvere anche le ferie ai figli, ogni tanto dobbiamo però recuperare la bussola dell’amore e cercare tempi e luoghi per parlare a due. Più che fuggire con l’amante, suggerisco di fuggire col partner: anche una volta all’anno piazzate i pargoli da persone di fiducia e fatevi una salutare cena a lume di candela. Siccome non siamo milionari e al partner possiamo concedere al massimo una pizza a semestre, cerchiamo di alimentare la comunicazione del nostro amore quanto più spesso è possibile. Per esempio: una cosa è il mazzo di fiori in sé, altra cosa è corredare il bouchet con una poesia d’amore. Scriviamo poesie, cantiamo canzoni d’amore, regaliamo balli romantici al nostro partner: tutte occasioni in cui ripeteremo all’altro di amarlo. L’amore emozionale va stimolato, ritualizzato: quando
in coppia non ci si dice più “ti amo” spesso è già troppo tardi per recuperare, pensiamoci quindi ben prima. Ci sono poi gli stili: c’è chi non ha fantasia e dice sempre le stesse frasi, chi si ingegna con amici e conoscenti fidati per trovare la frase giusta, chi si compra i libri con le “frasi fatte”. Ma l’Italia è terra di artisti, è quindi normale per l’amatore medio spremere le meningi ed eruttare poesie, canzoni e frasi simili. C’è chi scrive ancora belle lettere d’amore e chi si ostina a mandare sms col telefonino: c’è stile e stile, appunto! E’ poi anche una questione di padroneggiamento della lingua italiana. Ci sono gli adolescenti che si dichiarano con un sms scrivendo TVTB (traduzione: ti voglio tanto bene), ma pure quelli che scrivono sul diario della loro compagna di classe frasi dei tipo “ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale, ed ora che non ci sei è il vuoto in ogni gradino”. Beh, se la cultura non aiuta ad accalappiare l’anima gemella, dimostratemi il contrario. Il problema è che la differenza di stile linguistico non è una questione che differenzia tra di loro gli adolescenti, ciò riguarda pure gli adulti. Se quindi il padroneggiamento dell’italiano è quello che è anche in età adulta, ciò influisce grandemente sui contenuti amorosi col partner. Al di là dell’adulto un pò patetico che si dichiara con gli sms, la povertà lessicale posseduta non aiuta a comunicare l’amore: se già povero, questo lessico si dimentica pure facilmente. Ma capiamoci: non si tratta solo di mettere assieme le parole o di usare i vocaboli per colpire emozionalmente l’altro. Si tratta di dare voce ai sentimenti che si hanno, ci vuole quindi tecnica (il lessico e la conoscenza grammaticale), ma anche passione (per cui l’amore o c’è o è meglio stare zitti). Non si può infatti simulare l’amore, dire un “ti amo” senza sentirlo è operazione assai difficile all’uomo. Quindi i “silenzi di coppia” vanno compresi ben prima della crisi: se un amante non ritualizza più il sentimento, non è che è distratto, semplicemente non ci ama più. Quindi, caro lettore, non serve a nulla pagare le agenzie investigative per scoprire se il partner vi tradisce o meno: basta constatare cosa questo vi comunica per trarne le dovute conseguenze.
Ugo Albano