Orizzonte Impresa Maggio giugno 2015

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Anno XVI n. 3 - 2015

Autorizzazione del Tribunale di Roma n.231 del 2/6/2000 - Poste Italiane spa - sped. in abb. postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) - Art. 1, Comma 1, DCB Roma

Bimestrale di cultura & informazione agricola di Coldiretti Lazio

EDITORIALE:

IL PRESIDENTE:

PRIMO PIANO:

Fronti aperti su latte, PSR e danni da fauna selvatica. La politica si assuma le sue responsabilità

Regione Lazio troppo timida sulle politiche agricole

EXPO: la “Carta di Milano” (jolly per il futuro)



In copertina: EXPO: 6/12 luglio le eccellenze enogastronomiche laziali in mostra nel Padiglione Coldiretti, inizio del Cardo, Ingresso sud

Editoriale di Aldo Mattia

Fronti aperti su latte, PSR e danni da fauna selvatica. La politica si assuma le sue responsabilità

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Il Presidente di David Granieri

Regione Lazio troppo timida sulle politiche agricole

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Primo Piano di Alessandra Cori

Editore

Centro Assistenza Imprese Coldiretti Lazio Via R. Piria, 6 lazio@coldiretti.it www.coldirettilazio.it

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SPECIALE

EXPO 2015, Nutrire il Pianeta

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Economia e Finanza di Simone Di Colantonio

EXPO = EXPORT Organizzarsi per crescere

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L’agricoltura in Europa di Andrea Fugaro

Commissione UE contraria a etichetta origine per tutti i prodotti. In Italia la vuole il 95% dei cittadini

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L’agricoltura in politica di Andrea Fugaro Direttore responsabile Aldo Mattia aldo.mattia@coldiretti.it Redazione Andrea Fugaro Maurizio Ortolani Collaboratori Simone Di Colantonio Gianluigi Terenzi Abbonamenti Ordinario: Eu 10,00 Onorario: Eu 20,00 Sostenitore: Eu 50,00 Tramite c/c postale n. 82689027 intestato a: Federazione Regionale Coldiretti del Lazio o rivolgersi alle sedi della Coldiretti Progetto grafico e impaginazione Grafiche Delfi Italia s.r.l. Stampa Grafiche Delfi Italia s.r.l.

Latte, Antitrust apre indagine per verificare posizioni dominanti

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EPACA di Gianluigi Terenzi

EPACA: una storia da raccontare

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Cronache di Alessandra Cori

Approvata la legge contro gli ecoreati, introdotti 5 “nuovi delitti” contro l’ambiente

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L’esperto risponde di Elio Guarnaccia

Fare impresa: le domande dei nostri soci

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Riflessioni di Paolo Carlotti

Una coniugalità senza differenza sessuale?

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Notizie dalle province

Dal 6 al 12 luglio le province del Lazio ad EXPO

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Il Punto di Campagna Amica

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Questa rivista è inviata agli oltre 40.000 associati Coldiretti del Lazio, ai principali rappresentanti delle Istituzioni e Amministrazioni locali ed ai più qualificati opinion leaders delle filiere agroalimentari laziali. 1

MAGGIO GIUGNO

EXPO: la “Carta di Milano” (jolly per il futuro) Bimestrale di cultura & informazione agricola di Coldiretti Lazio Iscrizione al Roc n° 12420


EDITORIALE di Aldo Mattia

Fronti aperti su latte, PSR e danni da fauna selvatica. La politica si assuma le sue responsabilità a Coldiretti Lazio, chiamando a raccolta oltre 1000 allevatori provenienti dalle cinque province, si è unita alla protesta dei cinquanta dipendenti del Laboratorio ARAL (Associazione Regionale Allevatori) di Maccarese per sostenere le ragioni della loro manifestazione contro la chiusura e la conseguente perdita del posto di lavoro e soprattutto contro l’interruzione dell’attività di controllo qualitativo sul latte prodotto nel Lazio. Infatti, entro 60 giorni dal 27 di maggio, il laboratorio lascerà la sua sede storica per essere trasferito nella struttura di Testa di Lepre, una frazione di Fiumicino. La nostra mobilitazione si è resa necessaria per evitare l’interruzione di un servizio vitale per la sopravvivenza di 1.600 allevamenti. Richiamando la Regione ad investire sulla zootecnia, anche perché è il comparto, tra quelli agricoli, che conta il maggior numero di occupati. La manifestazione è stata l’occasione per chiedere attenzione istituzionale, regole certe e leggi di qualità a sostegno del settore primario. Infatti, non riteniamo possibile che a due mesi dall’approvazione della legge sui danni da fauna selvatica non sia stato ancora adottato il regolamento attuativo. Ogni anno i nostri agricoltori subiscono danni per oltre 18 milioni di euro. Così come ci sembra incomprensibile il mancato scorrimento delle

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Aldo Mattia, Direttore di Coldiretti Lazio

graduatorie dei bandi del vecchio Piano di Sviluppo Rurale per cui oggi 300 giovani che hanno avviato nuove aziende agricole non hanno ricevuto un solo euro perché le loro domande, ritenute ammissibili, non sono state finanziate. Inoltre non dimentichiamo il Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020 che rappresenta una grande opportunità di sviluppo per il settore agricolo ed agroalimentare della Regione con una dote di risorse finanziarie importante. Pur condividendo l’impostazione strategica e operativa scelta dalla Regione per dare attuazione al Piano preoccupa l’allungamento dei tempi che si stanno verificando per la sua approvazione da parte della Commissione Europea. Non da ultimo il tema della misura “consulenza aziendale” relativamente all’individuazione di soggetti che possono prestare il

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servizio di consulenza aziendale, riteniamo che possono attivare e prestare il servizio di consulenza aziendale gli Organismi pubblici o privati dotati di adeguate risorse umane che abbiano maturato esperienza ed affidabilità nei settore in cui prestano consulenza. Gli Organismi di consulenza non possono svolgere funzioni di controllo sull’erogazione di finanziamenti pubblici in agricoltura né attività di verifica sulla legittimità e regolarità dell’effettuazione delle relative spese. Per questo ci proponiamo, con le nostre Imprese Verdi, per un servizio innovativo e all’altezza delle aspettative dei nostri soci. L’Assessore ha annunciato che a breve sarà riconvocato il Tavolo Agroalimentare per entrare nel merito delle soluzioni alle rivendicazioni di Coldiretti Lazio. La attendiamo alla prova dei fatti.


IL PRESIDENTE di David Granieri

Regione Lazio troppo timida sulle politiche agricole l settore agricolo ed agroalimentare regionale sta attraversando un momento cruciale per il proprio futuro fatto di opportunità di sviluppo che tuttavia rischiano di essere vanificate se non verranno affrontati con tempestività ed efficacia i problemi che ostacolano ancora il pieno esplicarsi del lavoro quotidiano delle migliaia di imprese agricole che operano con successo nel nostro territorio rendendo concreto quel modello di sviluppo che oggi solo l’agroalimentare può garantire a questa regione. La Coldiretti del Lazio che rappresenta la maggioranza delle imprese agricole della nostra regione è sollecitata dalle stesse affinchè la Regione si impegni nella risoluzione delle principali problematiche che oggi le costringono a un quotidiano difficile che mette a rischio la loro stessa sopravvivenza. La Costituzione italiana attribuisce la materia agricola alla competenza esclusiva delle Regioni e quindi alla responsabilità diretta dell’Istituzione Regionale, il dovere di affrontare le diverse questioni legate alla sviluppo delle imprese agricole e al loro ruolo nell’economia della Regione, seppur in un contesto di coordinamento e quadro giuridico fissato spesso dallo Stato e/o dall’Unione Europea. Sono in particolare due i temi che oggi necessitano di un intervento della Regione deciso. Innanzitutto occorre affrontare il problema relativo alla procedura di sfratto operata nei confronti del Laboratorio ARAL di Maccarese che mette a rischio circa 50 posti di lavoro ma soprattutto l’importantissima attività di

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David Granieri, Presidente Coldiretti Roma e Lazio

controllo della qualità del latte laziale con oltre 300.000 campioni analizzati ogni anno su oltre 60.000 capi tra bufalini, bovini, ovini e caprini per un totale di circa 500 allevamenti controllati. Una attività che garantisce controllo della qualità, corretta gestione delle aziende e tracciabilità delle produzioni a vantaggio del settore ma anche della salute e sicurezza del consumatore. A ciò si aggiunge il momento di crisi che il sistema allevatoriale laziale sta affrontando in conseguenza sia della mancanza di un’adeguata voce di spesa nel bilancio regionale sia per i mancati pagamenti relativi alle annualità precedenti.

stalla sceso a livelli insostenibili al punto da non coprire neanche i costi di produzione costringendo migliaia di imprese alla chiusura. È urgente che la Regione svolga a pieno il ruolo di propulsore e mediatore che gli è proprio. Ciò a maggior ragione di fronte al fatto che anche a livello nazionale sono stati intensificati gli sforzi per favorire un più equo rapporto tra industriali e allevatori conferitori della materia prima oltre che un pacchetto di misure per favorire un soft landing a seguito della scadenza del regime delle quote. In tal senso il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 29 aprile rappresenta un punto di partenza

In secondo luogo la grande manifestazione a sostegno della valorizzazione e distintività del latte italiano che Coldiretti ha promosso in dieci piazze italiane lo scorso 6 febbraio e che ha avuto il suo centro sostanziale e mediatico a Roma nella Piazza del Campidoglio a cui ha fatto seguito il 31 marzo 2015 il convegno/presidio organizzato presso i locali della Città Metropolitana e nella retrostante Piazza di Traiano, in occasione della fine del regime delle quote latte, ripropone con urgenza il problema del prezzo del latte alla

importante per la definizione della questione del prezzo del latte. Infatti viene ribadito l’obbligo del contratto scritto (art. 62 D.L. n. 2/2012) con durata minima di 12 mesi e contenente il prezzo da pagare alla consegna fisso o legato a parametri di mercato, volumi e qualità ma soprattutto ai costi di produzione. Dopo aver abbandonato il tavolo agroalimentare regionale abbiamo promesso che vi torneremo solo se ci sarà data adeguata garanzia in termini di contenuti, obiettivi, tempi e strumenti per la risoluzione dei problemi.

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PRIMO PIANO di Alessandra Cori

EXPO: la “Carta di Milano” (jolly per il futuro)

a “Carta di Milano” è l’eredità culturale di Expo Milano 2015. È il frutto dell’ampio dibattito suscitato dal tema dell’evento, “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, che ha visto coinvolti i maggiori esperti italiani ed internazionali del mondo scientifico, della società civile e delle istituzioni, che hanno contribuito alla stesura del testo, dopo aver identificato le principali questioni che interessano l’utilizzo sostenibile delle risorse del Pianeta. Un documento nato pensando di rivolgersi a cittadini, associazioni, imprese e istituzioni, chiamandoli ad assumersi la responsabilità di garantire, attraverso comportamenti virtuosi oggi, l’accesso con pieno diritto al cibo delle generazioni future. In particolare, i grandi temi affrontati nella “Carta di Milano” sono quattro: i modelli economici e produttivi in grado di garantire uno sviluppo sostenibile in ambito economico e sociale; i diversi tipi di agricoltura esistenti capaci di produrre una quantità sufficiente di cibo sano senza danneggiare le risorse idriche e la biodiversità; le migliori pratiche e tecnologie per ri-

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durre le disuguaglianze all’interno delle città, dove si sta concentrando la maggior parte della popolazione umana; il sistema per riuscire a considerare il cibo non solo come mera fonte di nutrizione, ma anche come identità socio-culturale. I singoli cittadini, le associazioni, le imprese sottoscrivendo la “Carta di Milano” si assumono responsabilità precise rispetto alle proprie abitudini, agli obiettivi di azione e sensibilizzazione, e chiedono ai governi e alle istituzioni internazionali di adottare tempestivamente regole e politiche a livello nazionale e globale per garantire al Pianeta un futuro più equo e sostenibile. Il testo della “Carta” è stato presentato all’Auditorium di Expo, il 4 e 5 giugno, per il Forum internazionale dell’agricoltura ‘From Expo 2015 and beyond: agriculture to feed the planet’, di fronte ad oltre 50 ministri dell’Agricoltura, rappresentanti di ben 115 Paesi e organizzazioni internazionali provenienti da tutti i continenti. “Si tratta di una delle tappe più rilevanti di confronto sui grandi contenuti di Expo, per condividere 5

nuovi impegni per la lotta alla fame e ai cambiamenti climatici” ha detto il ministro per le Politiche agricole con delega Expo, Maurizio Martina, riferendosi al Forum. Non hanno voluto mancare l’appuntamento personaggi di prima grandezza come il direttore generale della FAO, Josè Graziano da Silva, il commissario europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo rurale, Phil Hogan, Luiz Inàcio da Silva, presidente dell’Istituto Lula ed ex presidente del Brasile, che ha portato l’esperienza della ‘Bolsa famìlia’, lo strumento che ha consentito a migliaia di brasiliani di potersi sfamare uscendo dalla prima soglia di povertà. I numeri mondiali inducono ad una seria e severa riflessione. Secondo la FAO, circa 800 milioni di persone soffrono di fame cronica, più di 2 miliardi di persone sono malnutrite o comunque soffrono di carenze di vitamine e minerali. Altrettante, al contrario, sono in sovrappeso e soffrono di obesità, 160 milioni di bambini soffrono di malnutrizione e ritardo nella crescita. Ogni anno 1,3 milardi di tonnellate di cibo prodotto per il consumo umano sono


PRIMO PIANO di Alessandra Cori

sprecati o si perdono nella filiera alimentare. Più di 5 milioni di ettari di foresta scompaiono ogni anno con un grave danno alla biodiversità, alle popolazioni locali e conseguenze sul clima. Ecco come Expo, attraverso la “Carta di Milano”, intenda ricondurre soprattutto le istituzioni ed il mondo produttivo ma anche la società civile, ad un approccio sistemico attento ai problemi economici e ambientali, oltreché sociali e culturali, e richiamare al rafforzamento delle leggi in favore della tutela del suolo agricolo, in quanto l’attività agricola è fondamentale non solo per la produzione di beni alimentari ma anche per il suo contributo a disegnare il paesaggio, proteggere l’ambiente ed il territorio e conservare la biodiversità. È un fatto ineludibile che una delle sfide dell’umanità, nel 21° secolo, sia quella di nutrire una popolazione in costante crescita adottando metodi che guardino non solo al presente ma anche al futuro per garantire le generazioni a venire. Tutti dovranno poter contare sul diritto di accedere ad una quantità sufficiente di cibo sicuro, sano e nutriente. Per fare questo le risorse

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Salvaguardare il futuro del pianeta e il diritto delle generazioni future del mondo intero a vivere esistenze prospere e appaganti è la grande sfida per lo sviluppo del 21° secolo. Comprendere i legami fra sostenibilità ambientale ed equità è essenziale se vogliamo espandere le libertà umane per le generazioni attuali e future Human Development Report 2011 del pianeta devono essere gestite in modo equo, razionale ed efficiente. Gli investimenti nelle risorse naturali, a partire dal suolo, devono essere regolati per garanire alle po-

Quanto cibo sprechiamo in Italia? Nel 2014, 6 italiani su 10 (60%) hanno diminuito o annullato gli sprechi domestici, anche a causa della crisi. Siamo comunque alti: nel bidone della spazzatura finiscono ancora, ogni anno, ben 76 chili di prodotti alimentari. Il 75% di chi ha tagliato gli sprechi fa la spesa in modo più oculato, il 56% utilizza gli avanzi nel pasto successivo, il 37% ha ridotto le quantità acquistate, il 34% guarda con più attenzione la data di scadenza e l’11% dona in beneficenza. “Doggy bag”per 1 italiano su 3 quando esce dal ristorante, anche se tra questi, solo il 10% lo fa regolarmente, mentre il 23% solo qualche volta. Ancora un 24% di chi va al ristorante lascia sulla tavola gli avanzi perché si vergogna di chiederli. Un impegno che in Italia riguarda anche le imprese di produzione e di distribuzione commerciale che hanno spesso stretto accordi per la valorizzazione del prodotto invenduto, per ridurre uno spreco stimato in 2,5 milioni di tonnellate solo tra trasformazione e distribuzione. Riducendo di appena il 25% gli sprechi di cibo degli italiani sarebbe possibile imbandire adeguatamente la tavola di circa 5 milioni di persone che in Italia sono costrette a chiedere aiuto per il cibo con pacchi alimentari o pasti gratuiti in mensa o nelle proprie case.

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polazioni locali l’accesso a tali risorse e ad un loro uso sostenibile. Occorre, in questo senso, un cambio di passo della società, guardando a cibo ed ambiente come fattori culturali, puntando sull’educazione (a scuola ed in famiglia), per “coltivare” sin da subito una coscienza collettiva a riguardo, imparare ad adottare stili di vita sani (che vuol dire una società globale più sana), per imparare a ridurre gli sprechi di acqua e cibo, facendone un uso sufficiente al fabbisogno, donando anche il superfluo dove ci sia. “La globalizzazione dei mercati a cui non ha fatto seguito quella delle regole ha delegittimato il cibo fino a farlo considerare una merce qualsiasi con gli effetti che vanno dalle speculazioni sulle materie prime agricole al furto di milioni di ettari di terre fertili a danno dei Paesi più poveri, il cosiddetto land grabbing” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “l’Expo è un’enorme occasione per ripensare a fondo il sistema di produzione e di distribuzione del cibo. È necessario lavorare sulla sovranità alimentare con politiche ed investimenti dei


PRIMO PIANO di Alessandra Cori

Governi volti a favorire la crescita delle agricolture dei diversi Paesi e regole commerciali rispettose e consapevoli del valore del cibo ma anche promuovere azioni di riequilibrio all’interno della catena alimentare che contribuiscano alla valorizzazione e alla remunerazione delle produzioni agricole”. Oggi, secondo uno studio della Coldiretti, per ogni euro speso dai consumatori italiani per l’acquisto di prodotti alimentari appena 15 centesimi arrivano agli agricoltori ed in alcuni casi i compensi non sono neanche sufficienti a coprire i costi di produzione o a dare da mangiare agli animali allevati, come nel caso del latte. “Occorre investire nell’agricoltura delle diverse realtà del Pianeta, dove

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“La lotta alla fame si combatte ripensando a fondo il sistema di produzione e di distribuzione del cibo come ci ha stimolato a fare Papa Francesco nell’udienza per il 70° anniversario dalla fondazione della Coldiretti. L’appello del Papa ci conforta nel nostro impegno per dare un adeguato riconoscimento economico e sociale del lavoro nei campi dove pesano gli effetti di una globalizzazione senza regole che favorisce lo sfruttamento, la speculazione sul cibo e sottopaga i prodotti della terra” Roberto Moncalvo

“I numeri della speculazione alimentare nel mondo” – 50 miliardi di dollari bruciati nell’ultimo anno solo per il grano, a causa delle speculazioni sulla fame – meno 29% delle quotazioni internazionali, da 7 dollari per bushel (0,25 dollari al chilo) dello scorso anno a poco più di 5 dollari per bushel (0,18 dollari al chilo) attuali – meno 27%, nell’ultimo anno, per i prezzi del mais – meno 25%, nell’ultimo anno, per i prezzi della soia (dati Chicago Board of Trade, punto di riferimento del mercato delle materie prime agricole a livello internazionale) politiche agricole regionali sappiano potenziare le produzioni territoriali per sfamare prima di tutto le popolazioni locali e sfuggire all’omologazione che deprime i prezzi e aumenta la dipendenza dall’estero. Occorre ripensare il modello di produzione e la distribuzione del cibo”. Così Roberto Moncalvo. E la “Carta di Milano” va proprio in questa direzione quando richiama Governi ed Istituzioni a promuovere strumenti che difendano e sostengano il reddito di agricoltori, allevatori e pescatori, attraverso il potenziamento degli strumenti di organizzazione e cooperazione, anche fra piccoli produttori, e la promozione delle relazioni dirette tra produttori, consumatori e territori di origine. Nel documento si riconosce ad agricoltori, allevatori e pescatori una posizione fondamentale per la nostra nutrizione. “Esiste una grande volatilità dei prezzi influenzata da speculazioni che spesso non hanno nulla a che fare con la reale situazione di mercato ma che impediscono la programmazione e la sicurezza degli approvvigionamenti in molti Paesi ed alimentano – ha evidenziato Moncalvo – il paradosso dell’abbondanza denunciato da Papa Francesco proprio nel suo Messaggio ad Expo. Una disattenzione verso il valore del cibo che – ha continuato Mon7

calvo – è purtroppo confermata dal fatto che un terzo del cibo prodotto nel mondo viene sprecato per un totale di 1,3 miliardi di tonnellate che sarebbero ampiamente sufficienti a sfamare la popolazione che soffre di fame, tra i 670 milioni di tonnellate perse nei Paesi industrializzati e i 630 milioni di tonnellate in quelli in via di sviluppo. L’Expo – ha precisato Moncalvo – è l’occasione per perseguire a livello globale un modello di sviluppo sostenibile attento all’ambiente che garantisca un sistema di tutela sociale ed economica in grado di assicurare un futuro all’agricoltura e un cibo sicuro e accessibile a tutti, in Italia e nei Paesi più poveri. Con il loro lavoro gli imprenditori agricoli italiani hanno costruito un’agricoltura di straordinaria qualità, con caratteri distintivi unici, con una varietà e un’articolazione che non ha uguali al mondo” ha concluso Moncalvo nel sottolineare che “questo know how replicabile in ogni parte del Pianeta è il contributo della Coldiretti per affrontare la lotta alla fame nei Paesi più poveri”.


EXPO 2015, Nu


SPECIALE

utrire il Pianeta a cura di Coldiretti Lazio

al 1° maggio al 31 ottobre 2015 Milano ospita l’Esposizione Universale con il tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita: la sfida è quella di assicurare a tutta l’umanità un’alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile. Questo significa aprire un dialogo e una cooperazione tra nazioni, organizzazioni e aziende per arrivare a strategie comuni per migliorare la qualità della vita e sostenere l’ambiente. Si tratta di un evento di dimensioni planetarie che torna in Italia per la prima volta dopo l’edizione di Milano del 1906. L’alimentazione è l’energia vitale del Pianeta necessaria per uno sviluppo sostenibile basato su un corretto e costante nutrimento del corpo, sul rispetto delle pratiche fondamentali di vita di ogni essere umano, sulla salute. L’Esposizione Universale, dedicata alla sicurezza e alla qualità alimentare, da visibilità alla tradizione, alla creatività e all’innovazione nel settore dell’alimentazione e rappresenta un volano per l’economia del territorio e presenta al meglio le eccellenze nel settore dell’alimentazione italiana.

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Tre gli assi sui quali si muove la trasmissione dei messaggi verso l’esterno: • la creatività: la capacità di racconto (attraverso le arti, la cultura e le nuove tecnologie) degli infiniti significati del cibo in tutti gli angoli della Terra; • il dialogo: l’apertura ad accogliere le esperienze, i costumi e le ambizioni dei diversi popoli del Pianeta in un clima di confronto e di dialogo a nutrire un nuovo clima di pace e di concordia; • l’innovazione: la ricerca di nuove sintesi e nuove formule di vita che riguardano l’equa ripartizione del benessere tra gli uomini nel terzo millennio.

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SPECIALE

Nonostante i problemi legati alla realizzazione delle opere di cui molto si è letto e detto oggi, il sito espositivo mette subito in evidenza il legame con la produzione primaria del tema e l’importanza dell’ambiente rurale e del paesaggio. Infatti in molte città moderne è ancora evidente la struttura a forma di croce, eredità del castrum, l’accampamento romano che si distingueva per la pianta ortogonale e le strade tra di loro perpendicolari chiamate Cardo e Decumano. È proprio a questa struttura che si ispira il Sito Espositivo di Expo Milano 2015. Semplice e intuitivo, il progetto gestisce in modo inedito la partecipazione dei Paesi e aiuta il visitatore a orientarsi all’interno dell’area tra esperienze, racconti, eventi e mostre da cui partire per assaporare i gusti delle tradizioni enogastronomiche del Pianeta. La via principale su cui si sviluppa la struttura, il Decumano, attraversa l’intero sito da est a ovest per un chilometro e mezzo e ospita su entrambi i lati i padiglioni nazionali dei Paesi partecipanti: degli oltre 130 Paesi partecipanti, circa 60 sviluppano uno spazio self-built, mentre i rimanenti sono presenti all’interno di un cluster. Simbolicamente l’asse unisce il luogo del consumo di cibo (la città) a quello della sua produzione (la campagna). L’asse del Decumano si incrocia con l’asse del Cardo, lungo 350 metri, che mette in relazione il nord e il sud del Sito Espositivo e accoglie la proposta espositiva del Paese ospitante, l’Italia. Negli spazi di Palazzo Italia la cultura, le tradizioni legate all’alimentazione e i prodotti tipici italiani descrivono le nostre migliori pratiche alimentari. L’agricoltura trova un suo spazio particolare all’interno del “BIODIVERSITY PARK”: si estende su una superficie di 8.500 metri quadri ed è l’Area Tematica di Expo Milano 2015 dedicata alla biodiversità, al suo interno il parco, comprende un teatro e due Padiglioni, quello del biologico e quello dedicato alla Mostra 10

delle Biodiversità. Lo scopo del Biodiversity Park è valorizzare le eccellenze italiane ambientali, agricole e agroalimentari attraverso un percorso che racconta l’evoluzione e la salvaguardia della biodiversità agraria, anche grazie a un palinsesto di eventi, incontri, ed esperienze multimediali. Il termine agro-biodiversità si riferisce all’insieme delle specie vegetali coltivate e degli animali allevati in agricoltura, degli agroecosistemi e dei paesaggi agrari, alle risorse genetiche di piante e animali, piante commestibili e colture agrarie, varietà tradizionali e antiche ricette, animali da allevamento, pesci, microrganismi del terreno, acque irrigue e terre coltivate, sementi, tipologie di aziende agrarie.

COLDIRETTI AD EXPO La presenza di Coldiretti a Expo Milano 2015 ha l’obiettivo di raccontare il legame tra l’economia e la società italiana e i suoi agricoltori, soffermandosi sul molteplice ruolo che essi svolgono: di produttori di beni, di custodi della bellezza della campagna italiana,


SPECIALE

di innovatori di prodotto, di propulsori delle comunità locali. Un racconto che – all’interno di un allestimento che illustra la bellezza del contesto e della ricchezza produttiva italiana – punta tutto su elementi esperienziali facendo entrare fisicamente il visitatore nel mondo vero dell’agricoltore, preferendo la chiave della relazione materiale. Nel Padiglione della Coldiretti sono presenti i nostri agricoltori per costruire un contatto diretto, vivo e concreto con i visitatori in un ambiente segnato dagli odori, i colori, le luci, le asprezze e le armonie della campagna italiana. Contemporaneamente abbiamo messo in campo, anche in questo caso, un principio per noi basilare di democrazia economica, offrendo l’opportunità a una molteplicità di aziende di far conoscere i propri prodotti ed il lavoro necessario per ottenerli. Nel Padiglione vengono raccontati “i primati” della nostra agricoltura, valorizzandone le “radici”, le premesse, le storie, le scelte che li hanno generati, il legame con il territorio, le persone che li curano, i giovani che li rinnovano i territori e le biodiversità che

li nutrono, le tecniche, le innovazioni, le comunità che alimentano. Una enorme scritta “No farmers no party” indica il padiglione della Coldiretti, all’inizio del Cardo sul lato opposto all’albero della vita di cui è promotrice, facilmente riconoscibile dai maxivolti di veri agricoltori che tappezzano completamente le pareti esterne. Una rappresentazione unica che vuole essere il giusto riconoscimento al lavoro di 2,5 miliardi di produttori che nel mondo si impegnano quotidianamente per cercare di garantire cibo per tutti e tutelare la qualità e la sicurezza ambientale. All’autentica ristorazione contadina, accompagnata da dimostrazioni e laboratori, sarà dedicato uno spazio nel Roof garden del Padiglione Coldiretti con Campagna Amica che, a rotazione regionale, presenta i piatti dell’autentica tradizione nazionale direttamente preparati dalle mani degli agricoltori. Un’Italia, quella che Coldiretti schiera a Expo, fatta da oltre un milione e mezzo di agricoltori che ogni giorno producono il meglio del “Made in Italy” e che sono le radici, il tronco e i rami dell’Albero della Vita, l’icona dell’Esposizione Universale e di cui Coldiretti ha voluto essere promotore. Dall’“Albero della Vita” nascono i primati del “Made in Italy” alimentare che può vantare il maggior numero di certificazioni a livello comunitario, la leadership per numero di imprese che coltivano biologico, ma anche il primato nella creazione di valore aggiunto per ettaro e quello nella sicurezza alimentare mondiale con la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma, senza dimenticare la ‘sostenibilità’ dal punto di vista ambientale data la ridotta emissione di gas ad effetto serra. In sintesi Coldiretti ad Expo propone la rappresentazione plastica del modello di sviluppo che ha caratterizzato l’agricoltura italiana in questi anni, partendo dal suo rapporto con i consumatori, per arrivare alla distintività dei suoi prodotti, nella certezza di offrire al pianeta un modello sostenibile e replicabile. 11


ECONOMIA E FINANZA di Simone Di Colantonio

EXPO = EXPORT Organizzarsi per crescere on un aumento record che va dal +51% in Cina al +26% in Usa, il comparto agroalimentare traina l’export “Made in Italy”, sostenendo lo sforzo del Paese per uscire dalla recessione. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti sui dati Istat sul commercio estero a marzo 2015. Il cibo tricolore cresce su tutti i mercati, con un complessivo +13%nel confronto con lo stesso mese dell’anno precedente, che sale al +19% se si considerano i soli Paesi Extra Ue, grazie soprattutto al balzo record registrato in Cina e negli Stati Uniti. Ma la crescita è in doppia cifra anche all’interno dell’Unione Europea, dove incassa un +11%. La vetrina Expo rappresenta una grande opportunità anche per i prodotti del Lazio: sono infatti 100 le eccellenze del Lazio presentate per l’Expo 2015. Vino del Circeo, di Nettuno, di Marino, di Aprilia, dei Castelli Romani e dei Colli Albani, il Sedano Bianco di Sperlonga, l’Oliva di Gaeta, la Salsiccia al Coriandolo di Monte San Biagio, l’Olio delle Colline Pontine, il pane di Lariano, il Prosciutto di Bassiano, i Carciofi di Sezze, il Kiwi di Latina, il Fiordilatte dell’Agro Pontino, il Prosciutto di Cori cotto al Vino, il Moscato e la Favetta di Terracina, la Fragolina di Nemi, il Pane Casereccio di Genzano e la Porchetta di Ariccia, la Pupatta Frascatana, e molti altri. Expo sarà l’opportunità del decennio per le imprese agroalimentari laziali, che avranno la grande occasione di incontrare già entro i confini nazionali gli immensi spazi del mercato internazionale. L’aumento dell’export di qualità rappresenta il futuro delle nostre imprese sia per le caratteristiche dimensionali (maggioranza PMI) sia per l’alto valore aggiunto dei nostri prodotti che da sempre ci di-

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Simone Di Colantonio, CreditAgri

stingue dalle grandi economie globalizzate. Attualmente ben il 50% del PIL tedesco (la “famosa” locomotiva dell’UE) è rappresentato dall’internazionalizzazione; nel nostro Paese il dato è fermo al 30% e lascia aperti margini di manovra importantissimi. In valore assoluto l’Olanda esporta quasi il triplo dell’Italia, la Germania il doppio e anche il Belgio esporta più di noi, nonostante il nostro patrimonio di eccellenze alimentari non abbia eguali al mondo. La ragione risiede nell’estrema frammentazione del sistema produttivo italiano, basato su una miriade di micro e piccole imprese, spesso poco export oriented. In Italia l’incidenza delle esportazioni sulla produzione agricola e sul fatturato dell’industria alimentare è ancora limitata ed inferiore ai principali Paesi competitor. Occorre fare “massa critica”, riuscire a presentarsi sui nuovi mercati con forme aggregative innovative (Reti d’Impresa) che consentano alle nostre piccole imprese di aggredire con la giusta forza le richieste sempre più importanti di paesi emergenti ed in forte crescita. Ad oggi registriamo dei potenziali margini di crescita molto importanti per il nostro export agroalimentare ma anche l’esistenza di gap a livello di competitività del nostro tessuto imprenditoriale, ancora poco strutturato per affacciarsi all’estero. Le potenzialità appaiono dunque notevoli specie in un contesto di miglioramento del quadro economico complessivo, di maggiore competitività dell’Euro e di ripresa delle economie avanzate che 12

comincia già ad intravedersi e che dovrebbe consolidarsi nei mesi a venire. La straordinaria vetrina offerta dall’Expo e il piano per l’internazionalizzazione varato dal Governo potranno poi rappresentare un grande contributo per consolidare la vocazione all’export dell’agroalimentare italiano. Le strategie chiave per un percorso di successo delle imprese laziali fuori dai loro confini sono delineate: Rafforzare il brand anche con opportune azioni di tutela dei marchi e di contrasto della contraffazione; il nostro Paese detiene il record delle denominazioni di origine ma i nostri prodotti sono anche i più falsificati all’estero con un danno d’immagine per tutto l’indotto; Penetrare bene nei nuovi mercati attraverso politiche di marketing che portino a scegliere i Paesi economicamente più vantaggiosi e dove la richiesta dei prodotti “Made in Italy” è più forte; Organizzare strutture giuridiche e piani di investimento che consentano di superare la storica debolezza delle nostre PMI spesso troppo piccole e troppo poco strutturate per affrontare sfide così impegnative.


L’AGRICOLTURA IN… EUROPA di Andrea Fugaro

Commissione UE contraria a etichetta origine per tutti i prodotti. In Italia la vuole il 95% dei cittadini a Commissione europea ritiene che rendere obbligatoria l’etichettatura d’origine per i prodotti lattiero caseari e per gli altri tipi di carni, comporti oneri aggiuntivi per i produttori che non sono compensati dai vantaggi che ne deriverebbero sia per i produttori stessi che per i consumatori. La Commissione è arrivata a queste conclusioni con due distinti rapporti rispettivamente della Direzione generale agricoltura e della Salute che sono state inviate al Parlamento europeo. La regolamentazione comunitaria sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari stabilisce infatti che la Commissione riferisca al Parlamento in ordine all’estensione dell’obbligo di indicazione dell’origine a tutti i prodotti agroalimentari fornendo elementi di valutazione a favore e contro. I due rapporti trasmessi al Parlamento il 20 maggio 2015 lasciano poche speranze ad un allargamento dell’obbligo di indicazione dell’origine in quanto i pareri contrari vengono sia dalla Direzione agricoltura che intravede solo oneri aggiuntivi per i produttori, e sia dalla Direzione SANTE che non intravede sostanziali vantaggi a favore dei consumatori. La relazione della Direzione Agricoltura conclude affermando che attualmente, per i prodotti lattierocaseari e per le carni minori – in particolare la carne di cavallo, le carni di coniglio, la selvaggina e i volatili (di allevamento e selvatici) – dato che l’etichettatura obbligatoria sull’origine è già in vigore per carni bovine, carni suine, pollame, carni ovine e caprine, esiste già la possibilità di dare questo tipo di indicazione in maniera facoltativa. Ne

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consegue che i consumatori, se lo desiderano, possono scegliere i prodotti che riportano volontariamente l’indicazione dell’origine. La relazione evidenzia poi come il rapporto tra costi per le imprese e benefici che le stesse ne ricaverebbero non è assolutamente tale da far ritenere giustificabile l’adozione di una normativa obbligatoria su tale indicazione. Inoltre i consumatori non sono propensi a sostenere i maggiori costi solo per avere questa ulteriore informazione in etichetta. Il Rapporto della DG. SANTE finisce in maniera ancora più negativa in quanto una serie di indagini e studi affidati a società di consulenti, ha constatato che per quanto riguarda i fattori che influenzano il nostro comportamento d’acquisto, i consumatori sono meno interessati all’origine del prodotto rispetto, ad esempio al prezzo, al gusto, alla data di scadenza, all’idoneità e all’aspetto. Anche se tra i due terzi e i tre quarti dei consumatori indica che sono interessati all’origine dei 13

prodotti non trasformati, di quelli con un unico ingrediente e di quelli con ingredienti che rappresentano più del 50%, l’interesse è più basso rispetto ad altre categorie di alimenti, come carne, o latticini. I consumatori associano l’origine alle caratteristiche del prodotto come la qualità, la sicurezza e l’interesse ambientale, e preferiscono informazioni sull’origine a livello nazionale piuttosto che sapere se un prodotto proviene dall’UE o no, e sembrano più interessati al luogo dove l’alimento è fabbricato piuttosto che al luogo dove la materia prima è coltivata. La relazione evidenzia poi, per la parte costi, che i produttori spesso cambiano la loro fonte di materie prime al fine di mantenere i prezzi di acquisto bassi, oltre che una qualità costante del prodotto finale. Pertanto, un obbligo d’etichettatura di origine sia a livello UE che a livello nazionale, potrebbe portare a costi di produzione molto più elevati che in ul-


L’AGRICOLTURA IN… EUROPA di Andrea Fugaro

tima analisi, sarebbero pagati dal consumatore. L’indicazione d’origine opzionale sarebbe il metodo con cui si riuscirebbe ad influenzare meno il mercato mantenendo i costi di produzione al livello corrente. Sarebbe una soluzione soddisfacente in termini di desiderio dei consumatori che potrebbero scegliere di acquistare alimenti in cui il settore alimentare, di propria iniziativa, ha indicato l’origine. La relazione conclude affermando che l’introduzione dell’etichettatura obbligatoria potrebbe spingere i consumatori a preferire alimenti provenienti dalla propria regione o

da alcuni Stati membri piuttosto che da altri, con ripercussioni negative sia sul commercio interno

che extra comunitario. Infatti anche i paesi importatori potrebbero essere indotti a preferire alcune origini ad altre con uno squilibrio dei rapporti di import ed export. In Italia intanto i consumatori la pensano in modo diametralmente diverso (vedi Orizzonte Impresa n. marzo-aprile, 2015). Infatti per 9 italiani su 10 è importante conoscere l’origine dei prodotti in funzione di garanzia circa il rispetto degli standard di sicurezza alimentare, mentre per il 70% questa informazione è utile per questioni di tipo etico, come il rispetto delle normative sul lavoro che in molti paesi non è garantito.

LA SPESA CON E SENZA ETICHETTA D’ORIGINE: LA BATTAGLIA CONTINUA “Cibi CON indicazione d’origine

Cibi SENZA indicazione di origine

Carne di pollo e derivati Carne bovina Carne di maiale Carne di pecora e agnello Frutta e verdura fresche Passata di pomodoro Latte fresco Pesce Extravergine di oliva Uova Miele

Carne di coniglio Salumi Carne trasformata Pasta Frutta e verdura trasformata Derivati del pomodoro diversi da passata Formaggi Latte a lunga conservazione Derivati dei cereali (pane, pasta) Concentrato di pomodoro e sughi pronti

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L’AGRICOLTURA IN… POLITICA di Andrea Fugaro

Latte, Antitrust apre indagine per verificare posizioni dominanti a forbice tra il prezzo del latte alla stalla e i prezzi dei prodotti trasformati a cominciare dal latte fresco pastorizzato, hanno raggiunto livelli record con punte anche del 300% tra il primo prezzo pagato agli allevatori e quello pagato dai consumatori. Di recente, infatti, prendendo in esame la situazione vigente in Lombardia che è la regione che produce il 40% del latte nazionale, si è registrato un crollo del prezzo alla stalla, passato dai 44/ettolitro del giugno scorso agli attuali 36,5, con un andamento opposto sul prezzo al dettaglio, passato negli stessi mesi da 1,37 a 1,49/lt. Questo è stato uno dei motivi che ha indotto l’Autority per la concorrenza ed il mercato ad avviare un’indagine conoscitiva nel settore lattiero caseario per verificare che tali divergenze non siano anche il frutto di pratiche commerciali non troppo trasparenti e soprattutto non rispettose delle leggi sulla corretta e leale concorrenza nonché conseguenza di posizioni dominanti da parte dell’industria di trasformazione. L’annuncio circa l’avvio dell’indagine è arrivato il 6 maggio 2015 con un comunicato dell’Antitrust, confermato dall’Audizione del Presidente dell’Autorità al Senato il successivo 13 maggio. L’indagine dell’Antitrust giunge in un momento di profondi mutamenti del comparto lattiero-caseario, dovuti principalmente alla fine del regime delle quote latte, avvenuta il 1° aprile scorso. “In un siffatto contesto”, spiega una nota stampa dell’Agcm, “le associazioni degli allevatori lamentano la

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scarsa correlazione tra l’andamento dei prezzi al consumo e il prezzo corrisposto agli allevatori stessi per la vendita del latte crudo”. Prezzo “che ha fatto registrare una drastica riduzione negli ultimi mesi”. Tra gli altri motivi che hanno portato ad aprire l’indagine conoscitiva vi è quindi il definitivo smantellamento del regime comunitario delle quote latte, avvenuto il 31 marzo 2015, che, secondo l’Antitrust potrebbe avere significative e negative ripercussioni per il settore lattiero caseario nazionale, tradizionalmente deficitario di materia prima, aggravando la volatilità dei prezzi e l’impatto che essa produce sugli allevatori nazionali. La Delibera di avvio dell’indagine conoscitiva dà anche atto che le associazioni di agricoltori lamentano una scarsa correlazione tra l’andamento dei prezzi al consumo dei prodotti lattiero caseari e il prezzo corrisposto agli allevatori nazionali per la vendita del latte crudo, che ha presentato una drastica diminuzione negli ultimi mesi, in controtendenza anche con l’andamento dei costi produttivi per cui il valore aggiunto della filiera lattiero casearia si concentrerebbe quindi esclusivamente nei settori a valle della trasformazione del latte crudo e della distribuzione al consumo dei prodotti finiti. L’indagine conoscitiva di natura generale nel settore lattiero caseario avrà come riferimento quattro punti e cioè: • le dinamiche contrattuali con le quali si determinano le condizioni di acquisto e di vendita dei prodotti; • i meccanismi di trasmissione dei prezzi lungo la filiera;

• l’eventuale rilevanza, sia ai sensi della normativa antitrust sia ai sensi dell’art. 62 del D.L. n. 1/2012, delle condotte tenute dagli operatori nella contrattazione delle condizioni di acquisto; • l’effettivo grado di concorrenza esistente tra operatori attivi nei diversi mercati collegati verticalmente nella filiera produttivo-distributiva. A convincere l’Antitrust ad avviare l’indagine vi è stata anche la constatazione del basso livello di concentrazione strutturale dell’offerta di materia prima che, unitamente alle specifiche caratteristiche del processo produttivo, potrebbe generare uno squilibrio del potere di negoziazione nell’ambito delle relazioni commerciali tra agricoltori e latterie, favorendo l’adozione di condotte commerciali sleali ai sensi dell’art. 62 del D.L. n. 1/2012, recante “Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari”. A livello comunitario, proprio in un’ottica di riequilibrio del potere negoziale tra le controparti, viene infine ricordato il Reg. n. 261/2012 (c.d. Pacchetto Latte, in vigore dal 2 aprile 2013) che ha introdotto la possibilità di effettuare, in deroga alle norma di concorrenza, accordi di prezzo tra produttori nell’ambito di Organizzazioni o Associazioni di Produttori, per la negoziazione con l’industria di trasformazione e a livello nazionale il Ministero delle politiche agricole e forestali ha approvato, il 29 aprile 2015, il decreto legge urgente per il rilancio dei settori agricoli in crisi, che contiene specifiche misure a tutela della filiera del latte.

Prezzi medi al dettaglio di latte e derivati presso GDO (€/lt €/kg IVA esclusa) Prodotto Latte Fresco Alta qualità Latte UHT parz. screm. Mozzarella Vaccina

I Trim 13

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III

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I Trim.14

II

III

IV

1,47 1,20 9,93

1,47 1,20 9,92

1,47 1,22 10,19

1,49 1,24 10,33

1,48 1,21 10,02

1,50 1,23 10,29

1,51 1,23 10,12

1,50 1,23 10,00

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EPACA di Gianluigi Terenzi

EPACA: una storia da raccontare a signora Annalisa ha trovato soddisfazione e riconoscimento del proprio diritto a pensione grazie all’impegno ed alla professionalità della squadra degli operatori del patronato EPACA-COLDIRETTI di Frosinone e Roma che con pazienza ed attenzione hanno ricostruito il percorso lavorativo e professionale della signora per consentirle di accedere al diritto a pensione di vecchiaia venuto a maturazione fin dal 2004. Nell’anno 2013, attraverso il suo commercialista di Frosinone la signora Annalisa entra in contatto con l’ufficio EPACA di Frosinone che analizza l’estratto contributivo, specchio di una vita lavorativa molto articolata e composta di contribuzione di varia natura: l’attenzione dell’operatore si è concentrata immediatamente sui periodi di lavoro da dipendente, ed in particolare sui versamenti contributivi di una società di progettazione di cui la signora era stata dipendente da metà degli anni

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’70 all’inizio del 1980, rilevando che nella continuità del rapporto uno degli anni era solo parzialmente coperto da contribuzione. Nel convulso accavallarsi della normativa previdenziale di questi ultimi anni fino alla vigente cosiddetta legge Fornero che ha stravolto completamente regole e tempi per il pensionamento, soltanto esperti molto preparati ed aggiornati come quelli dell’EPACA potevano ricostruire il diritto alla pensione di vecchiaia della signora Annalisa. Infatti, tra le maglie della normativa vigente esistono alcune eccezioni a cui risultano applicabili ancora le vecchie regole per ottenere il pensionamento per vecchiaia, per le donne con 60 anni di età ed almeno 15 anni di contributi versati. Ebbene alla signora Annalisa mancavano proprio quelle pochissime settimane dell’anno 1977 per poter raggiungere la contribuzione utile per rientrare tra

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queste eccezioni; ci si è subito attivati per recuperare la documentazione utile per dimostrare l’effettiva attività lavorativa svolta nel periodo e si è addirittura venuti in possesso delle ricevute dei versamenti effettuati allora dalla società di progettazione da cui dipendeva la signora. A questo punto l’Ufficio Epaca di Roma presentava la documentazione alla sede INPS di competenza che ha liquidato la pensione alla signora Annalisa con decorrenza 2004, quando aveva compiuto i 60 anni. Un bel regalo davvero, perché anche se con ritardo, Annalisa oltre alla pensione mensile seppur modesta, si è vista riconoscere gli arretrati di dieci anni per la considerevole cifra di circa 58.000 Euro. COMPLIMENTI AD ANNALISA CHE OGGI VIVE IN UN RIDENTE PAESINO DOLOMITICO ED UN GRANDE GRAZIE ALL’EPACA.


CRONACHE

Approvata la legge contro gli ecoreati, introdotti 5 “nuovi delitti” contro l’ambiente Un passo avanti del Governo contro inquinatori ed ecomafie, ma chi indagherà? Forestale a rischio chiusura

opo 18 anni e lunghe ed alterne vicende con numerosi passaggi parlamentari tra Camera e Senato, finalmente i reati contro l’ambiente, con il sì definitivo dell’Aula del Senato che ha approvato la proposta di legge sugli ecoreati, entrano nel codice penale. Sono 5 i “nuovi delitti” contro l’ambiente contenuti nel nuovo Titolo VI-bis: inquinamento ambientale,disastro ambientale, traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo e omessa bonifica. Chi si macchierà di tali reati, non sarà più sanzionato con una contravvenzione, ma rischierà da 2 a 6 anni di carcere (con multa da 10 mila a 100mila euro) per inquinamento ambientale; da 5 a 15 anni per disastro ambientale (pene aumentate se i reati vengono commessi in aree protette); da 2 a 6 anni e multa da 10mila a 50mila euro per traffico e abbandono di materiali ad alta radioattività; da 6

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di Alessandra Cori

mesi a 3 anni per impedimento del controllo e da 1 a 4 anni con multa da 20mila a 80mila euro per il nuovo reato di omessa bonifica. Il Senato, alla fine, ha respinto tutti gli emendamenti al disegno di legge, che avrebbero richiesto un ulteriore passaggio alla Camera dei deputati e, quindi, un ulteriore rallentamento dell’iter. Coldiretti ha sostenuto l’approvazione del testo di legge, sottoscrivendo, con altre forze sociali, l’appello in nome del “popolo inquinato” nella convinzione della “necessità di sanzionare gravi e significative forme di disastro e di inquinamento e di assicurare la massima tutela dell’ambiente e del territorio, la cui compromissione determina rilevanti pregiudizi per le imprese agricole, soprattutto quando interessi aree a forte vocazione agro-zootecnica”. La nuova normativa, quindi, introduce il reato di inquinamento am21

bientale, punendo chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento “significativi e misurabili” dello stato preesistente delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo e del sottosuolo o di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. Molto più grave, la fattispecie introdotta del reato di disastro ambientale che si configura quando venga cagionata un’alterazione irreversibile dell’ecosistema, oppure dell’equilibro di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa, o, ancora, quando venga causata offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi. Inseriti anche il reato di traffico ed abbandono di materiali ad alta radioattività e quello di impedimento del controllo, che punisce chiun-


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que, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti. La nuova disciplina prevede una serie di aggravanti, nel caso in cui i reati siano posti in essere in aree tutelate o in forma associativa. È disciplinata anche l’ipotesi di ravvedimento operoso che consente di ottenere una riduzione delle sanzioni a coloro che si adoperino per evitare conseguenze ulteriori dell’attività delittuosa. Una svolta dunque? Si. Anzi, forse. Perché il Governo se da un lato ha portato a casa una legge necessaria in un Paese nel quale gli ecoreati, stando all’ultimo rapporto Ecomafia di Legambiente, hanno fruttato nell’ultimo anno la cifra considerevole di oltre 15 miliardi nei settori che caratterizzano maggiormente l’azione ecocriminale (ciclo del cemento e dei rifiuti, agroalimentare,racket animali e archeomafia), dall’altra sta lavorando per sottrazione, paventando l’eliminazione di un organo fondamentale di contrasto a questi reati. Ovvero il Corpo forestale dello Stato. E già perché, in un’azione all’apparenza contraddittoria, il Governo che ha appena dotato il Paese di uno strumento fonda-

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mentale per la lotta alla criminalità, dallo scorso 8 maggio ha avviato l’esame in Senato – là dove il provvedimento contro gli ecoreati è stato approvato- della legge di riforma della Pubblica Amministrazione che, all’articolo 7, prevede proprio il “riordino delle funzioni di polizia di tutela dell’ambiente e del territorio e la riorganizzazione di quelle del Corpo forestale con l’eventuale assorbimento delle funzioni in quelle di un‘altra Forza di polizia”. Questo, nelle intenzioni dell’Esecutivo, ridurrebbe il numero dei corpi di polizia da 5 a 4, con grande beneficio per le casse dello Stato. Forse. Visto che su 20 miliardi di costo complessivo di CC, PS, GdF, Penitenziaria e Forestale, resocontati dal rapporto di Carlo Cottarelli, i primi frutti del risparmio derivante dalla revisione potrebbero non vedersi tanto presto. Anzi, soppressioni e accorpamenti possono comportare, all’inizio maggiori costi. Si pensi alla sola spesa per rifare oltre 8.000 divise, tanti sono gli appartenenti al Corpo forestale. Insomma, il gioco potrebbe non valere la candela. E il Governo, per continuare a sostenere una linea d’azione annunciata a gran voce in nome di una necessità superiore di risparmio e ottimizzazione nella spesa pubblica, ha imboccato una strada in salita, dentro e fuori il Parlamento. E si perché tra le altre cose, la Forestale, secondo l’ultimo Rapporto Eurispes, continua a far registrare una crescita dell’indice di gradimento tra gli italiani arrivato quest’anno al 64,6%, rispetto al 62,6%


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del 2014, confermando apprezzamento per il lavoro svolto in difesa dell’ambiente. Nello stesso Rapporto si evidenzia come la possibilità che il Corpo forestale sia accorpato ad altra forza di polizia, desti apprensione nell’opinione pubblica in quanto percepita come azione “frutto di una visione miope e ragionieristica. Rinunciare all’organizzata presenza sul territorio e alla radicata esperienza del Corpo forestale nella difesa dell’ambiente e delle produzioni agroalimentari, sarebbe un errore gravissimo che non porterebbe alcun vantaggio a nessuno degli attori in campo e neppure alla collettività… E neppure sono certi i risparmi se si considera che la maggior parte della spesa è assorbita dai costi del personale che, di certo, non potrà essere dismesso. Di contro, in considerazione del fatto che l’Italia esprime un modello di sviluppo per il quale il comparto agro-alimentare e ambientale rappresenta un sicuro volàno di sviluppo economico, sarebbe molto più proficuo accorpare tutte le strutture che si occupano di ambiente, agricoltura e alimentazione…”. Timori fondati se si pensa che trasformare i Custodi della Natura in poliziotti comporterebbe la loro assegnazione, in caso di necessità, da parte dei Prefetti al controllo del traffico, al servizio d’ordine fuori dagli stadi se non ai seggi elettorali, lasciando il territorio più scoperto e il campo libero agli appetiti che la malavita concentra nelle ecomafie, che al contrario si cerca di contrastare con nuove e più severe norme. 23

Sulla questione della riforma, invocata in nome della spending review, il capo del Corpo forestale dello Stato, Cesare Patrone è intervenuto in audizione alla Commissione Affari costituzionali, lo scorso 19 maggio, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’esame del disegno di legge C.3098 Governo, approvato dal Senato, recante deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Patrone, pur concordando sull’assoluta necessità del progetto riformatore del Governo “in merito al riordino delle funzioni di polizia di tutela dell’ambiente, nonché nel campo della sicurezza e dei controlli nel settore agroalimentare”, ha lanciato l’alternativa alla riduzione delle forze di polizia da 5 a 4, della riduzione da 100 a 1. Ovvero, anziché risparmiare facendo transitare la Forestale nella Polizia di Stato, Patrone ha proposto una controriforma che preveda piuttosto “l’assorbimento nel Corpo forestale dello Stato dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), delle polizie provinciali, l’assegnazione di competenze tecniche in via istruttoria per quello che riguarda la gestione, l’assunzione da parte del Corpo forestale dei compiti di direzione tecnica nelle aree naturali, la direzione degli spegnimenti degli incendi boschivi, che è un ruolo cen-


CRONACHE

Possibili effetti della Riforma del CFS he fine farebbero tutte quelle attività svolte dal CFS, unico Corpo di polizia specializzato nella tutela dell’ambiente se venisse accorpato per effetto della riforma? Un esempio è dato dall’attività di monitoraggio, tutela e conta degli alberi svolta dal Corpo forestale dello Stato nelle foreste italiane che, in base al Protocollo di Kyoto,valgono in termini monetari quasi 500 milioni di euro. In merito alle discariche abusive, una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha condannato l’Italia a sanzioni pecuniarie. Oltre a una somma forfetaria di 40 milioni di euro, la Corte ha inflitto all’Italia una penalità di 42,8 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie a dare piena esecuzione alla sentenza della Corte del 2007. In al-

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tre parole, l’Italia dovrà continuare a pagare fino a quando continuerà lo stato di infrazione. Da questi importi saranno detratti, man mano, 400 mila euro per ogni discarica che viene messa a norma. Che cosa fa il Corpo forestale, su indicazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare? Inoltro della lista dei siti, ricognizione a terra dei siti di indagine, assunzione di informazioni per la bonifica, per gli atti amministrativi che in genere sono di emissione da parte della regione. Insomma, il Corpo forestale contribuisce al risparmio fondamentale. Inoltre, il Corpo forestale reprime i reati ambientali. Secondo il rapporto di Legambiente, citato dal Capo del Corpo in audizione, “se facciamo riferimento alle regioni a statuto ordinario, dove il Corpo

trale, la mappatura per l’individuazione di elevato rischio idrogeologico, la riunione in unico soggetto, attraverso l’accorpamento, dei Corpi forestali delle regioni e province a statuto autonomo”. Una soluzione che comporterebbe un maggior risparmio dato dalla migliore ottimizzazione delle risorse già esistenti, ed un coordinamento che ne garantirebbe la massima efficienza, piuttosto di un “eventuale assorbimento” della Forestale nella Polizia di Stato che andrebbe a disperdere le competenze specialistiche, acquisite in 193 anni di storia. “Una riforma sbagliata – ha continuato Patrone durante l’audizione alla presenza del Ministro Madia-

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creerebbe un danno irreversibile al nostro Paese, mentre una riforma nella giusta direzione, da 100 a 1, rappresenterebbe un modello di sviluppo economico vincente, accompagnato dalla giusta tutela dei valori dell’ambiente e di quelli agroalimentari”. Sono molte le voci, nella società civile e nelle istituzioni che infatti si sono levate in difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della Forestale. Come quella giunta dal Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti che, il 4 novembre 2014, con il sostituto procuratore Roberto Pennisi si è recato in audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e ha risposto così a chi ha paventato l’ipotesi di soppressione del Corpo forestale dello Stato: “Noi siamo contrarissimi, se non si è capito, lo ribadisco, alla soppressione del Corpo forestale dello Stato, perché sarebbe come togliere all’autorità giudiziaria l’unico organismo investigativo in materia ambientale che disponga delle conoscenze, delle esperienze, del know-how e anche dei mezzi per poter smascherare i crimini ambientali. Si potrebbe osservare che non lo sopprimiamo, ma lo accorpiamo e lo facciamo assorbire dalla Polizia di Stato. Noi paventiamo che questo eventuale assorbimento, che forse risponde a esigenze di finanza, di spending review, non lo so, potrebbe rischiare di stemperare di molto il patrimonio di conoscenze e di esperienze e, quindi, la capacità investigativa di questo Corpo, che


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ha una piena operatività, su 23.000 reati, 10.000 sono ambientali e sono rilevati dal Corpo forestale dello Stato”. Per non parlare di gestione, monitoraggio e repressione, nelle aree di crisi d’Italia come ad esempio, la Terra dei fuochi dove dopo trent’anni in Gazzetta Ufficiale sono usciti dei dati che dicono cosa si può fare o meno dei terreni. Il Ministro dell’Agricoltura, quello della Salute e quello dell’Ambiente hanno significativamente affidato il coordinamento al Corpo forestale dello Stato dove c’è il monitoraggio dei siti, il prelievo dei campioni, l’esame dei dati da parte dell’Istituto superiore di sanità, del CRA, dell’ISPRA, dell’Università degli studi di Napoli «Federico II», dell’Istituto zooprofilattico, dell’AGEA e dell’ARPAC. Dati che, una volta esaminati, vengono pubblicati in Gazzetta per sdoganare l’economia di una

noi sosteniamo e che è il più diretto e stretto collaboratore nostro, come procura nazionale, e delle procure distrettuali». Allora torniamo al punto dal quale eravamo partiti: gli ecoreati. Se calano numericamente i reati, secondo quanto riportato nello Studio di Legambiente, “ne aumenta la pericolosità, ridisegnando allo stesso tempo la geografia del crimine ambientale, dove pesano sempre di più gli illeciti relativi al settore agroalimentare, addirittura raddoppiati in un anno, il ciclo dei rifiuti (+14,3% rispetto al 2012) e le illegalità commesse ai danni della fauna (+6,6%). Cresce anche l’incidenza dei reati nelle quat-

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terra in una situazione marginale. Non da ultimo, l’emergenza Xylella, per la quale è necessaria un’azione piuttosto delicata e difficile, dove l’approccio della Forestale è tecnico, di repressione, di comunicazione e di contatto con le associazioni ambientaliste, in ragione della possibilità di impatti molto pesanti per la nostra economia. “Pertanto, l’eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia, previsto dal disegno di legge in esame, all’articolo 7, comma 1, lettera a) – ha sostenuto Cesare Patrone durante l’audizione – comporterebbe delle questioni critiche. Si perderebbero professionalità scientifiche, verrebbe meno la competenza specialistica, e non si registrerebbero economie, in quanto il 90 per cento delle spese stanziate per il bilancio CFS – circa 500 milioni – sono spese per il personale.

tro regioni a tradizionale presenza mafiosa, arrivata al 47%, con la Campania, segnata dal dramma della Terra dei fuochi, sempre al primo posto della classifica nazionale, seguita da Sicilia, Puglia e Calabria”. Quindi non stupiscono le tante reazioni di soddisfazione manifestate giustamente a seguito dell’approvazione della legge sugli ecoreati. Come quella del presidente del Senato Pietro Grasso «Dopo anni di attese e ritardi il Ddl sugli ecoreati è finalmente legge»; del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti che ha sottolineato come sia “un grande passo avanti nell’affermazione della legalità: ora avremo finalmente gli strumenti giusti per punire chi distrugge l’ambiente». «La legge che introduce i reati ambientali nel nostro codice penale è un provvedimento che alza l’asticella della legalità e aiuta l’economia pulita», ha aggiunto Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera. Allora come fare adesso a conservare una credibilità degna di questo nome immaginando, in una situazione che necessita di un apparato di contrasto, da parte delle forze dell’ordine, sempre più specializzato e dal livello qualitativo dell’azione repressiva sempre più elevato, lo scioglimento di fatto di un Corpo di polizia tanto apprezzato dalla gente che ha maturato 193 anni di storia e di competenze specifiche e che al contrario sarebbe più utile potenziare per assicurare il pieno controllo del territorio?


L’ESPERTO RISPONDE di Elio Guarnaccia

Fare impresa: le domande dei nostri soci

Sono un imprenditore agricolo ed ho un figlio studente che frequenta la scuola media superiore, nel periodo estivo vorrei assumerlo in azienda per svolgere i lavori stagionali. Quale comportamento devo tenere per non incorrere in sanzioni?

adibiti a seguito di visita medica preassuntiva. L’organizzazione dell’orario di lavoro dei minori deve tenere conto che i minori non posso svolgere lavoro straordinario, lavoro notturno e ai minori deve essere assicurato un periodo di riposo settimanale di almeno due giorni se possibile consecutivi e comprendente la domenica. L’inosservanza di tali disposizioni è punita con l’arresto fino a sei mesi e con ammende fino ad un massimo di e 5164,56.

Preliminarmente bisogna chiarire che il nostro ordinamento dedica una particolare tutela al lavoro instaurato con i minori (la domanda pone l’attenzione su un figlio studente che frequenta la scuola media superiore) indipendentemente dall’eventuale rapporto di parentela. Infatti molteplici sono gli obblighi che sorgono in capo al datore di lavoro e i divieti che egli deve osservare nello svolgimento del rapporto di lavoro. Il datore di lavoro prima di adibire i minori al lavoro e a ogni modifica rilevante delle condizioni di lavoro effettua la valutazione dei rischi con particolare riguardo tra le altre circostanze allo sviluppo non ancora completo, alla mancanza di esperienza e di consapevolezza nei riguardi dei rischi lavorativi, esistenti o possibili, in relazione all’età. Gli adolescenti (minori con età compresa tra i 16 e i 17 anni) possono essere ammessi al lavoro purché siano riconosciuti idonei all’attività lavorativa cui saranno

Per quanto riguarda il rapporto di lavoro subordinato tra familiari è senz’altro ammesso dalla legge, a condizione che venga provato che il rapporto di lavoro subordinato effettivamente sussiste (come stabilito dall’ art. 1 del Dpr 1403/1971). Questo problema della “prova” costituisce l’elemento di difficoltà: infatti, a norma dell’art. 230-bis del codice civile, il regime naturale del rapporto lavorativo fra familiari non è quello di lavoro subordinato, bensì quello dell’impresa familiare.

Le considerazioni che seguono sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.

Elio Guarnaccia, Ispettore del Lavoro Coordinatore

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Quando un imprenditore assume un proprio familiare quale lavoratore subordinato, in sede di accertamento si deve anzitutto verificare l’assenza, tra i due soggetti, dei caratteri propri del rapporto d’impresa familiare. Finora la giurisprudenza si è pronunciata nel senso che la questione va risolta caso per caso, sulla base delle circostanze specifiche. Il punto di partenza è una presunzione: che nell’ambito della famiglia il lavoro sia prestato non a titolo di lavoro subordinato, ma in esplicazione di quella mutua solidarietà tipica dell’istituto della famiglia. Questa presunzione è tuttavia suscettibile di prova contraria quando si pervenga rigorosamente alla conclusione che veramente si è in presenza di lavoro subordinato. L‘art. 2094 del Codice Civile recita: “È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore“. In particolare, l’attenzione viene puntata sul fatto che il familiare dell’imprenditore goda o meno del mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia; che il familiare partecipi o meno agli utili; che partecipi alle decisioni inerenti gli investimenti, gli indirizzi produttivi, etc. Si pone anche l’attenzione sul fatto che il familiare compia o meno atti propri di chi partecipa in qualche modo alla direzione dell’impresa, che invece esulano


L’ESPERTO RISPONDE di Elio Guarnaccia

dalle mansioni dell’operaio agricolo: per esempio, se in prima persona, anche saltuariamente, presiede agli acquisti ed alle vendite di prodotti; se dirige il lavoro di altri operai in assenza del titolare; se, in presenza di altri operai, il familiare in questione osserva orari di lavoro del tutto discrezionali; e così via. La corresponsione di una formale retribuzione, pur essendo un elemento importante, di per sé non costituisce una prova sufficiente della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Infine le indicazioni fornite in sede di accertamento ispettivo, manifestano che la convivenza tra il familiare datore di lavoro ed il familiare lavoratore subordinato, costituisce un presupposto quasi assoluto di insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. È infatti del tutto logico pensare che se il “lavoratore subordinato”, parente del proprio “datore di lavoro”, convive con quest’ultimo, benefici del mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e che partecipi agli utili. In tal caso, l’onere della prova è a carico degli interessati: sono cioè i familiari in questione a dover provare che il rapporto tra loro è di lavoro subordinato. Quando invece il familiare lavoratore subordinato non convive con il datore di lavoro, nel caso in cui venga contestata la natura del rapporto, l’onere della prova sarà carico dell’organo che effettua l’accertamento ispettivo.

Nella denuncia aziendale (DA) ho dichiarato un numero superiore di giornate lavorate dal dipendente rispetto al fabbisogno aziendale: come posso fare per correggere tale errore? In quale tipo di sanzione incorro? Se venissero annullate le giornate di lavoro quali sono le conseguenze per i dipendenti?

L’art. 5 del D.Lvo 375/93 pone l’obbligo ai datori di lavoro agricolo entro 30 giorni dall’inizio dell’attività, a presentare all’Inps ai fini dell’accertamento dei contributi previdenziali dovuti per gli operai agricoli occupati, la denuncia aziendale (DA) con la quale si comunica l’esatta situazione aziendale rilevabile alla data di presentazione della denuncia medesima. La denuncia si compone di 17 quadri ove si richiedono tutte le notizie atte ad identificare l’azienda e quantificare il fabbisogno lavorativo, al fine di inquadrare con esattezza la natura giuridica e tipologia dell’azienda, anche in funzione di poter usufruire di particolari agevolazioni (es. esoneri per calamità). Instauratosi il rapporto di lavoro tra operaio agricolo ed impresa, l’effettiva prestazione di lavoro è attestata dalla dichiarazione trimestrale, mediante la quale il datore di lavoro agricolo fornisce tutte le informazioni necessarie per il calcolo contributivo, indicando nel dettaglio le giornate lavorative effettivamente prestate. Nel caso in cui la comunicazione di un numero di giornate superiori rispetto al fabbisogno aziendale, cosi come nel caso in cui l’apertura di una posizione assicurativa avvenga in un momento successivo alla nascita dell’impresa oppure se dovesse 27

verificarsi la variazioni sulla sede operativa o la sua cessazione o riattivazione, ci troveremmo di fronte a ipotesi catalogabili come modificazioni aventi una significativa rilevanza sul fabbisogno lavorativo. Pertanto dal momento in cui si dovesse rilevare un errore nella comunicazione, nel termine di 30 giorni occorrerà rinnovare la denuncia aziendale. Nell’ipotesi in cui la comunicazione dovesse riguardare anche la parte retributiva posta al di sotto dei minimi contrattuali o di legge, sarà l’Istituto previdenziale che provvederà, in via automatica, ai fini del calcolo della contribuzione dovuta, con l’adeguamento del dato trasmesso ai minimi retributivi previsti dai contratti o dalla legge. L’eventuale conseguenza dell’omessa presentazione all’INPS della denuncia aziendale o della presentazione incompleta o infedele è punita con una sanzione amministrativa da Euro 515,00 a Euro 1.290,00.

Per qualsiasi informazione o approfondimento in materia contattare le Federazioni Provinciali Coldiretti del Lazio (i recapiti sono disponibili sul sito www.lazio.coldiretti.it)


RIFLESSIONI di Paolo Carlotti

Una coniugalità senza differenza sessuale? gni tanto mi capita di sentire qualche reazione ai brevi articoli che compongo per Orizzonti Impresa e qualcuno mi invita ad affrontare anche temi d’attualità e di scottante attualità. Non sempre lo faccio, perché qualche volta ci si inserisce in un dibattito molto acceso che non sempre offre quella ponderazione degli argomenti necessaria per una valutazione serena. Si è da poco svolto il referendum nella ‘cattolica’ Irlanda che a stragrande maggioranza ha approvato il cosiddetto ‘matrimonio gay’, dopo che nelle legislazioni di alcuni paesi europei, come la Francia e la Spagna, era già stato introdotto. Abbiamo anche diversi uomini politici che dichiarano la loro omosessualità e fra di essi si danno già anche le prime coppie gay che ricoprono incarichi pubblici rilevanti, come per esempio in Lussemburgo. Il pensiero che difende queste scelte si rifà al cosiddetto Sex gender, ossia la rivendicazione soltanto culturale della comprensione della sessualità, per cui col variare della cultura, come nel caso della nostra, variano anche le forme della sessualità, per cui ciò che prima non si vedeva e quindi si escludeva, oggi si può vedere e quindi ammettere con tranquillità. Ma è proprio così? Non c’è proprio niente nell’essere maschio e femmina, niente di naturale o anche di psicologico o in generale di antropologico che permane col variare della cultura? In altre parole, la sessualità non ha più una ‘norma’ eterosessuale, ma è suscettibile di diverse forme, tra cui quella omosessuale o

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d. Paolo Carlotti, Consigliere ecclesiastico regionale

bisessuale, tutte perfettamente compatibili tra di loro e con una sana visione antropologica? Certo nelle nostre società molto tolleranti e permissive, abituate a lasciar fare ognuno come meglio crede purché non sia di pregiudizio o di danno agli altri, sembrerebbe non molto urgente e necessario porsi queste domande, sono problemi che si risolvono da sé e se son rose fioriranno… Si può andare avanti così? E soprattutto un cristiano può pensare così? Certo anche i cristiani debbono fare i conti con queste società, ma quali conti? Quelli che avvallano ogni scelta e stile di vita, o quelli che discernono ciò che è giusto e sbagliato? Del resto a ben considerare la coniugalità implica la complementarietà sessuale, che non è presente senza la differenza sessuale: cioè tra maschio e maschio non si dà complementarietà sessuale, come pure tra femmina e femmina. Questa complementarietà consiste nel fatto che tra maschio e femmina si dà una carenza e un’eccedenza che si incrociano, nel senso che ciò di cui uno abbonda l’altra manca e viceversa e questo non solo da un punto di vista genitale, ma anche psicologico, emotivo, riflessivo e spirituale. Talora si sente la lamentela degli uomini che dicono che le donne non ragionano… non è vero, ma è vero che il loro modo di ragionare è diverso da quello dei maschi, che danno molto più peso ad alcuni aspetti, per esempio l’efficienza e la fattività, che sono aspetti non così importanti per le donne, che proprio per questo 28

hanno maggiore empatia con l’ambiente, anche umano, che le circonda. La coniugalità non può essere senza differenza sessuale, perché non è semplicemente coniugalità. Parlare di una famiglia e quindi di matrimonio che si stabilisce su una coniugalità che non c’è, forse è un po’ problematico. Inoltre, mi sembra difficile sostenere che la sessualità non abbia assolutamente niente a che fare con la procreazione, con la fecondità e quindi che la coniugalità non abbia assolutamente niente a che fare con la genitorialità, cioè che l’essere autenticamente coniugi non comporti l’essere aperti al divenire padre e madre. Ora la sessualità omosessuale manca di per sé di questa apertura e questo rendere problematico l’avvallo – che pure c’è stato – al matrimonio gay. Non è che finiamo per metterci d’accordo che due più due fa cinque, semplicemente perché così vogliamo e ci piace? È chiaro che è conquista di civiltà il fatto che chi vive la condizione omosessuale sia rispettato e non sia discriminato od emarginato nella società e che forse possa avere anche qualche forma di riconoscimento civile di eventuali unioni, che pur rimangono problematiche per la morale, particolarmente cristiana. Un riconoscimento civile che però non può allargare il concetto di coniugalità e di famiglia a ciò che non lo è, ma prevedere altri istituti giuridici appositamente istituiti. Vivere oggi è complesso, ma ancora bello: niente è scontato e tutto ci invita a coltivare la nostra identità senza essere rigidi o deboli.


LE PROVINCE DEL LAZIO AD

al 6 al 12 luglio, quando sarà il turno della rappresentanza di Coldiretti Lazio ad Expo, porteremo le eccellenze dell’agroalimentare locale, tra curiosità e specie ortofrutticole in via di estinzione ed una rappresentanza degli oltre 60 imprenditori entrati nel “Terminal del Gusto”, il nuovo spazio multifunzionale di 1.500 metri quadrati ospitati nei millenari Mercati di Traiano del Porto di Civitavecchia, per la commercializzazione dell’agroalimentare “Made in Lazio” e “Made in Italy”. Così il direttore di Coldiretti Lazio, Aldo Mattia, durante l’inaugurazione dell’EXPO, annunciando la partecipazione della Federazione laziale alla Fiera Universale di Milano, insieme al presidente regionale di Coldiretti Lazio, David Granieri e ai rappresentanti regionali guidati dal presidente nazionale Roberto Moncalvo che, con il Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina

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e il Governatore della Regione consapevole e rispettoso delle Lombardia, Roberto Maroni, ha tradizioni, capace di garantire la aperto il padiglione della Coldiretti, sicurezza alimentare, ambientale inizio del Cardo, Ingresso Sud. e la qualità della vita, in perfetta Le sfide di Expo sono le stesse di sintonia con il messaggio Coldiretti Lazio: una nuova offerta dell’Esposizione Universale che alimentare fondata sui valori del punta a sensibilizzare proprio su Km 0, della sostenibilità un modello di sviluppo centrato ambientale, della sicurezza sul lavoro degli agricoltori in grado alimentare. di nutrire il pianeta attraverso la “La Coldiretti porta gli agricoltori fornitura di cibo sano, sicuro e ad Expo da protagonisti, in quella accessibile a tutti”. che non è solo una vetrina per i nostri produttori migliori ma LUNEDÌ 6 LUGLIO un’occasione per i COLDIRETTI RIETI visitatori di tutto il I sapori della montagna reatina mondo di conoscere da –––––– vicino e direttamente le MARTEDÌ 7 LUGLIO eccellenze delle COLDIRETTI LATINA produzioni agricole del Dalla terra al mare Lazio, frutto della –––––– laboriosità e dell’alta MERCOLEDÌ 8 LUGLIO professionalità COLDIRETTI ROMA raggiunta ormai nella A tavola con la Roma antica realtà quotidiana delle –––––– campagne”. Questo il VENERDÌ 10 LUGLIO commento del COLDIRETTI FROSINONE presidente di La ciociaria in tavola Coldiretti Lazio, –––––– David Granieri SABATO 11 LUGLIO che ha aggiunto COLDIRETTI VITERBO “il lavoro dei nostri I sapori della Tuscia imprenditori agricoli va –––––– nella direzione di DOMENICA 12 LUGLIO uno sviluppo COLDIRETTI LAZIO sostenibile

Comunicare il territorio

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COLDIRETTI LAZIO, ALLA PRIMA TAPPA DEL PROGETTO “GRANDI MIELI D’ITALIA A COLAZIONE”, CON CAMPAGNA AMICA n Italia sono oltre 10.000 i produttori apistici che garantiscono con il loro lavoro l’ampia varietà di mieli disponibili nel nostro Paese tenendo vivo il legame con il territorio di produzione che conferisce al prodotto unicità ed altissimi livelli di qualità indispensabili per una completa e corretta alimentazione di grandi e piccoli”. Così Andrea Fugaro di Coldiretti Lazio all’incontro, svoltosi il 26 maggio, che ha segnato la prima tappa del progetto “Grandi Mieli d’Italia”, dedicato alla conoscenza del mondo del miele e delle api, rivolto ai bambini della scuola primaria, organizzato dall’Osservatorio Nazionale del Miele con il contributo del Mipaaf, nell’ambito della selezione pubblica di progetti connessi alle finalità di EXPO 2015, per promuovere una sana educazione alimentare attraverso la conoscenza del mondo delle api e dei mieli. Coldiretti Lazio ha partecipato all’iniziativa supportata dalla collaborazione di Campagna Amica che ha messo a disposizione le proprie strutture mobili ma soprattutto ha veicolato i suoi valori in materia di educazione alimentare e sviluppo sostenibile. L’evento si è svolto presso la Scuola primaria “A. Santoro” al Tiburtino, alla presenza del Vice Ministro Sen. Andrea Olivero e di circa 300 bambini provenienti da 14 istituti della zona, ai quali è stato proiettato un video che ha mostrato loro il percorso

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Fondazione Campagna Amica Via Nazionale 89a Tel. 06/489931 campagnamica.it

dal favo alla tavola. Presenti inoltre il Municipio IV di Roma, il Laboratorio Tiburtino, l’Istituto comprensivo Celli, l’Associazione Laziale Produttori Apistici, il Conapi e il Moige. Nel corso della mattinata ci sono

stati momenti conviviali e di confronto con interventi di esperti ed una dimostrazione pratica di smielatura con un apicoltore laziale che ha mostrato ai ragazzi come si estrae il miele dai favi. Coldiretti Lazio ricorda che quello del miele è un settore che conta in Italia oltre 1.500.000 di alveari e circa 75 miliardi di api, importantissimi rilevatori di biodiversità, dalle quali dipende la sopravvivenza di circa il 70% delle piante da frutto e da seme dei nostri territori. Infatti senza le api subirebbero un vero e proprio tracollo produzioni ortofrutticole importanti come zucchine, melanzane, fragole, mele con potenziali danni stimati di oltre 40 milioni di euro all’anno, solo in Italia.

EXPO: AL CIRCO MASSIMO Il meglio dell’enogastronomia maremmana insieme alle eccellenze laziali ell’anno di Expo, la Coldiretti di Grosseto continua il percorso di rilancio delle produzioni enogastronomiche della Maremma toscana. Grazie al circuito di Campagna Amica, infatti, sabato 30 e domenica 31 maggio, i produttori della provincia di Grosseto sono arrivati a Roma, in via San Teodoro 72, al Mercato del Circo Massimo, per presentare, far degustare e vendere i propri

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prodotti: vino, olio, biscotti, carne, farro, formaggi, in un confronto tra eccellenze con le produzioni laziali che, grazie alle altre aziende agricole presenti abitualmente al Mercato, si potranno incontrare in un tripudio di sapori, colori e qualità. “Due giornate nelle quali il Mercato del Circo Massimo, frequentato da migliaia di romani e da anni meta anche di turisti attirati dalla vendita diretta degli


agricoltori locali del Lazio, si è trasformato, nello spirito di Expo, in un luogo di incontro di eccellenze enogastronomiche che esprimono tutta la qualità ed il valore della terre da cui provengono, come in questo caso della Maremma toscana”, ha commentato il direttore di Coldiretti Lazio, Aldo Mattia. “Si è trattato di un’occasione importante – ha detto Andrea Renna, direttore di Coldiretti Grosseto – che in via sperimentale,

grazie alla sinergia con la Coldiretti del Lazio, ha permesso di essere presenti in una location dove abitualmente si ritrovano ogni weekend oltre 5000 cittadini – consumatori”. Nell’occasione Coldiretti Grosseto con la propria associazione agrituristica Terranostra, ha presentato “MAREMMAGRITURISMO.IT”, un nuovo sito che raggruppa le aziende agrituristiche della Maremma.

LA “STAGIONALITÀ” NEI MERCATI DI CAMPAGNA AMICA n contemporanea con Expo, dal 15 maggio presso tutti i mercati di Campagna Amica di Roma e provincia, abbiamo aumentato l’informazione rivolta al consumatore circa la stagionalità dei prodotti ortofrutticoli con lo scopo di “educare” ad un corretto consumo dei prodotti del territorio con la conseguente valorizzazione del prodotto fresco e a Km 0. Abbiamo prodotto delle etichette per contraddistinguere i prodotti stagionali sui banchi di vendita in modo da valorizzarli e a garanzia della loro stagionalità. I consumatori hanno a disposizione anche brochure informative con indicazione del calendario dei prodotti ed informazioni utili a comprendere l’alto valore della sostenibilità di un prodotto di stagione”.Così il direttore di Coldiretti Lazio, Aldo Mattia, commentando la campagna informativa organizzata da Coldiretti Lazio con il contributo di Arsial Regione Lazio e che riguarda la rete dei mercati della catena di Campagna Amica di Roma e provincia.

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Quattro buoni motivi per preferire frutta e verdura di stagione: Il gusto ed il sapore I prodotti di stagione sono molto più buoni e profumati degli stessi

prodotti mangiati nei mesi “sbagliati”. Scegliere verdure fresche secondo una loro maturazione naturale permette di poterne gustare il vero sapore. La salute Perché le verdure di stagione non hanno bisogno di “trucchi” per crescere, soprattutto se la scelta ricade nei prodotti da agricoltura biologica. Anche quelli non bio, tuttavia, se di stagione richiedono una quantità nettamente inferiore di prodotti chimici per eliminare i parassiti. Le piante che vengono “costrette” a crescere in periodi diversi dalla loro normale stagione, infatti, risultano indebolite e sono più facilmente preda di insetti indesiderati. Inoltre, cambiare i cibi in tavola secondo le stagioni vuol dire diversificare 32

sempre l’apporto di vitamine, sali minerali e altri nutrienti di cui l’organismo ha bisogno. Il prezzo La frutta e la verdura di stagione non hanno costi di conservazione nelle celle frigorifere e scegliendo prodotti a km zero, vengono abbattuti i costi di trasporto. La Natura Il rispetto della terra e della natura. Il costo ambientale del “fuori stagione” è elevatissimo: utilizzo di pesticidi e fertilizzanti, conservazione nelle celle frigorifere. Mettendo a tavola la frutta di stagione rispettando i cicli naturali della terra si evitano tutti questi costi. Perché allora mangiare i peperoni a dicembre e le arance a luglio?




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