anno 1 n.2
primavera 2008
do you believe it now? numero speciale AfterVille the Movie
Una delle stazioni della Metropolitana di Torino che ospiterà la mostra Afterville, in programma dal 25 maggio al 31 luglio 2008, diventa ingresso simbolico della città del futuro in una interpretazione fotografica di Carlotta Petracci
FastForward, inserimento del modello degli Ufo nello skyline di Torino per il film Afterville, 2008
Fabrizio Accatino
Co-curatore Afterville
Afterville - The Movie -presentato al Cinema Massimo di Torino la sera del 16 aprile- è un piccolo film di fantascienza, prodotto all’interno del ciclo di iniziative racchiuse sotto il marchioombrello che porta lo stesso nome. Un progetto nato più di due anni fa, quando cioè è stato annunciato che l’Uia, il Congresso Mondiale degli Architetti, nel 2008 si sarebbe tenuto -per la prima volta in sessant’anni- in Italia, e in particolare a Torino. Del cartellone di Afterville -concerto, incontri, mostra, tutti dedicati ai rapporti tra architettura, design e fantascienza- avrete modo di leggere all’interno del giornale. Qui vorremmo soffermarci in particolare sull’operazione-cortometraggio. In molti ci hanno chiesto: perché avete scelto di produrre un piccolo film di fantascienza? La prima risposta, la più immediata, è che oltre a fare della teoria, a creare connessioni e relazioni tra due mondi (quello della fantascienza e quello del design), ci è sembrato interessante dar vita materialmente a sogni, visioni, immaginari, non limitandoci a raccontare ma anche a progettare il futuro della città. Quella città -naturalmente- è la nostra. La seconda risposta, che ci pare non meno importante, è che Torino sconta un grave vuoto di immaginario in materia di fantascienza girata. Il capoluogo subalpino negli ultimi anni è diventato centro di un grandissimo nu-
Architetture astronomiche
The Experiment
Paolo Martelletti
Raffaella Lecchi
In una delle tre lezioni magistrali tenute nel 1982 dall’architetto Paolo Martelletti presso il Virginia Polythecnic Institute sul tema della scalata all’Olimpo, si fa riferimento ad oggetti calati dall’alto come UFO, in grado di sovvertire le regole del tessuto urbano. Riportiamo qui di seguito alcuni stralci di quella dichiarazione poetica, incredibilmente vicina allo spirito con cui è stato affrontato il processo di trasfigurazione cinematografica cui è stata sottoposta la città di Torino nel film Afterville. Attraverso l’inserimento di fuoriscala che si fronteggiano nello skyline cittadino, grattacieli e dischi volanti (esempi di architetture astronomiche, per citare il titolo dell’intervento di Martelletti) così diversi nell’origine eppure accomunati dall’essere entrambi alieni rispetto al contesto, ripercorrono ancora una volta il mito di Babele. “…Questi oggetti guardano sempre uno stesso punto dell’orizzonte e perciò sono indifferenti nei confronti del tessuto che li circonda quando sono nel corpo delle città, o sordi nei riguardi di alcune di quelle indicazioni che solitamente una architettura ascolta, delle qualità altimetriche, orografiche o geografiche del territorio che li accoglie. …E’ questa distorsione o questo scollamento dalle regole del tessuto che fa sempre riconoscere questi oggetti come degli Ufo, giunti sulla Terra a portare leggi e ideologie celesti… Io definirei questi oggetti come delle architetture astronomiche.Nulla come un edificio astronomico è connubio così palese fra architettura di terra e una architettura di cielo: a metà strada fra una nave spaziale e il frutto di una magia terrestre. …La conquista del cielo attraverso elementi di terra ripercorre il mito di Babele; il continuo, folle, innalzamento di basamenti terrestri fino al raggiungimento del cielo. …Babele finisce sempre per essere il più pesante sul più fragile, l’opposto del modello dell’architettura di vuoto sulla roccia. L’assunto è per definizione impossibile, una volta arrivati alla copertura questa diventa basamento di una nuova architettura e il raggiungimento del cielo e comunque destinato all’insuccesso. Un processo che termina con un crollo, rumore e polvere e il successo è la catarsi della catastrofe. Quando ciò non avviene, quando il lavoro si conclude in un momento qualsiasi, con la costruzione di una lanterna dove poteva nascere un nuovo basamento, il mito si chiude con il suicidio dell’architetto”.
Il 29 febbraio scorso, all’interno del programma degli OFF CONGRESS OFFICIAL EVENTS del XXIII Congresso Mondiale UIA Torino 2008, la Fondazione OAT ha presentato Afterville – The Experiment, zapping virtuale tra i canali televisivi del mondo di Afterville, costruito utilizzando parte del materiale di lavorazione inedito del corto. “Telegiornali, interviste amatoriali, spot televisivi… Il filmato-collage è stato realizzato con l’intenzione di mostrare una sorta di panoramica mediatica su questo mondo futuro, il mondo di Afterville, lo sfondo su cui si muovono i nostri personaggi” spiega Fabio Guaglione. L’atmosfera del film è quindi evocata da una serie di interviste raccolte dal protagonista, dall’edizione del telegiornale che annuncia la morte di Adam Vurias -il più famoso scienziato visionario dell’ultimo mezzo secolo- e da alcuni spot televisivi di prodotti commercializzati nel futuro. Il pubblico in sala è stato coinvolto direttamente con la richiesta di rispondere ad una delle domande che il protagonista si
Architetto mero di produzioni, set per commedie giovanili, film in costume, thriller, horror. Tuttavia la fantascienza -genere in Italia non più frequentato da decenni- ne è sempre stata storicamente lontana. Torino e la science fiction si sono incontrate solo un paio di volte nella storia del cinema. La prima è stata nel 1963 con Omicron, esempio unico di fantascienza politica all’italiana, firmato da uno degli autori più raffinati del nostro cinema: Guido Gregoretti. La storia raccontava di un alieno caduto dal cielo nella grigia città di Sabaudia, finito a lavorare in fabbrica nei panni di un operaio e coinvolto suo malgrado nelle rivolte anti-padronali. La seconda volta è stato in un film quasi inedito -La città dell’ultima paura di Carlo Ausino, del 1975- che giocava a svuotare Torino, rappresentandola in maniera straniante e metafisica, senza automobili e senza passanti. Di questa pellicola ambientata nel dopobomba restano memorabili una via Roma completamente deserta e -più in generale- le larghe superfici metropolitane spopolate, alla De Chirico, ‘rubate’ dal regista grazie a set clandestini messi in piedi alle prime luci dell’alba. Un caso a parte è costituito dai cortometraggi di Corrado Farina: piccoli gioiellini ambientati sotto la Mole che però, più che alla fantascienza, si rifanno ai codici espressivi del thriller fantastico, e che comunque non intervengono in alcun modo sull’im-
magine e sul décor della città. Afterville -The Movie, da questo punto di vista, si propone immodestamente di colmare un vuoto. E cerca di farlo in maniera molto esplicita. Se i due titoli citati raffiguravano una metropoli in tutto identica a quella reale, specchio fedele del presente in cui sono stati girati, Afterville è invece un film molto radicale. La Torino del 2058 in esso rappresentata è diversa -anche visivamente- dalla Torino di oggi: non è né migliore né peggiore, né utopica come i centri della fantascienza di inizio secolo, né distopica come la San Angeles marcescente di Blade Runner. Semplicemente diversa. Una diversità -non solo formale ed estetica ma anche sostanziale- che non sfugge all’occhio dello spettatore e che vorrebbe dare il la a una riflessione più profonda sul destino di una città che proprio in questi mesi è chiamata a discutere il suo futuro, anche architettonico. Se l’operazione sia riuscita è un giudizio che spetta -come sempre nel cinema- soltanto allo spettatore. Crediamo tuttavia che questa miscela di azione e sentimento, poesia e ironia saprà divertirvi e commuovervi. E confidiamo che la Torino del 2058 -una miscela esplosiva di novità e tradizione, visionarietà ed eleganza- saprà conquistarvi, ritagliandosi un angolino nelle vostre geografie cinematografiche. Come un posto da amare, ricordare e magari -di tanto in tanto- tornare a visitare.
Entra nel vivo la rassegna degli eventi di Afterville: the Show (il video-concerto al Museo Nazionale del Cinema), the Movie (il primo film di fantascienza dell’era digitale ambientato a Torino), the Reading (il ciclo di incontri su media e architettura al Circolo dei Lettori) I tre manifesti degli appuntamenti nel progetto fotografico di Carlotta Petracci
Responsabile Progetti culturali FOAT pone all’interno del cortometraggio: tu cosa faresti se oggi fosse l’ultimo giorno della Terra? Trascorrere gli ultimi momenti con gli amici, con la persona amata, bere e fumare, rileggere un autore amato, sono solo alcune delle risposte che sono state date. Moderati da Fabrizio Accatino (autore del programma la 25a Ora su La7 e co-aoutore della rassegna Afterville) sono intervenuti Alberto Barbera, direttore Museo Nazionale del Cinema di Torino, Riccardo Bedrone, presidente del XXIII Congresso Mondiale UIA Torino 2008, Carlo Novarino, presidente Fondazione OAT, Stefano Della Casa, presidente Film Commission Torino Piemonte, i curatori Michele Bortolami, Tommaso Delmastro e Massimo Teghille, i registi Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, Bruce Sterling, scrittore e giornalista, Jasmina Tešanovic, autrice e produttrice cinematografica. La presentazione è stata completata dal making of, montaggio dei filmati di backstage del corto, testimonianza di alcuni momenti imperdibili del girato.
La sala del Cinema Massimo di Torino, durante la presentazione ufficiale del cortometraggio Afterville. The Movie tenutasi il 29 febbraio 2008 (foto di Carlotta Petracci)
Enzo Biffi Gentili e Undesign Direttore MIAAO
Co-curatori Afterville
Ieri dicevamo: “siamo semplicemente un gruppo di persone…le quali si interessano a fatti di cui i giornali e le riviste di vasta diffusione -e qualche Istituzione dobbiamo aggiungere- abitualmente non parlano” (Alterville, in Afterville, Astronave Torino, ottobre-dicembre 2007). Pervicaci, insistiamo. Senza pretendere di essere ‘originali’ nel senso comune del termine, ma piuttosto convinti che, come insegna-
va Gaudí, essere originali significa ‘tornare all’origine’. Non abbiamo quindi paura di affermare, progettando la fase espositiva terminale del progetto Afterville, programmata per l’autunno-inverno prossimo venturo con l’allestimento della mostra Divine Design al MIAAO, una ‘banalità’: se si deve discorrere di immaginario urbano, le città più importanti da trattare sono seque in ultima
città future afterville, biella
primavera 2008
Il progetto di curatela Michele Bortolami, Tommaso Delmastro, Fabrizio Accatino e Massimo Teghille, curatori di AfterVille
Gli ideatori e curatori di Afterville. Tomorrow Comes Today: Michele Bortolami e Tommaso Delmastro dello studio Undesign, Fabrizio Accatino e Massimo Teghille. progetto fotografico Carlotta Petracci, 2007
Questo è un flashback. Il momento in cui si svelano quei particolari indispensabili per capire cos’è successo finora e proseguire nella narrazione. È quella puntata del serial americano che di solito vi perdete perché avevate un impegno inderogabile. Siamo già al terzo evento della rassegna ed è ora di spiegarvi com’è nata. Vi sveliamo da dov’è partito, circa ormai due anni fa, il progetto AfterVille. Sarà utile sapere che noi curatori siamo tre architetti e un critico cinematografico al soldo della tv. Scriviamo questo articolo a otto mani così come a otto mani stiamo dirigendo l’intero ciclo di eventi. Ci siamo occupati dell’ideazione e della gestione di tutti gli eventi e delle numerose iniziative contenute nell’ampio cartellone di “Afterville”, cercando la collaborazione di personalità di spicco sotto il profilo culturale e mediatico. Punto di partenza: la fantascienza. Cos’è la fantascienza? Dipende da chi se lo domanda. Per gli architetti è sempre il prossimo progetto: loro immaginano e realizzano progetti che nel presente esistono nella loro fantasia. Per il critico cinematografico è la storia non ancora raccontata e ambientata nel domani. Punto di contatto: il progetto. Sia l’architetto sia il regista di fantascienza immaginano quello che sarà e che ancora non è. Nessuno di essi parte da una tabula rasa: ognuno sfrutta il proprio background personale per dedurre ed interpretare un possibile domani. Cos’è accaduto finora?
In controtendenza rispetto alle generic city contemporanee, la fantascienza ha articolato i suoi scenari metropolitani procedendo per aggiunta, spesso per accumulo: capitali moderniste slanciate verso l’alto, tessuti pulviscolari pulsanti di luci e forme, grappoli di infrastrutture dalle geometrie stratificate. La “città che sale”, così come la immaginarono Boccioni e i futuristi nel primo scorcio del secolo scorso. Tante “AfterVille” (città del dopo, luoghi di domani) sorrette da forme e volumi imponderabili, a volte eccessivi. Ogni periodo storico ha ideato la sua città futura sulle basi delle aspettative, delle paure e degli andamenti politici del tempo. Tutte diverse e, finora, tutte poco profetiche.La configurazione della polis del futuro, in realtà, dice molto della polis del presente: dietro lo sforzo immaginativo degli autori di sciencefiction si celano la tradizione letteraria, l’immaginario collettivo e le funzioni sociali della contemporaneità. Formae urbis ed estetiche nuove sono divenute lo strumento per dare risposta ai bisogni, alle trasformazioni e alla concezione dello spazio (pubblico, privato e sociale) degli anni in cui sono state immaginate. E a sua volta, la fantascienza di romanzi, fumetti e film si è trovata ad incidere sulla progettualità contemporanea nella stessa misura in cui se n’è nutrita, influenzando l’architettura, l’urbanistica, la grafica e il design. Citando Zaha Hadid è “l’esempio formale” supremo ma anche quella dell’architetto iraniano è solo una dell’innumerevoli “afterville” che i progettisti hanno provato a realizzare.
Il rapporto design-fantascienza ha dato vita negli anni a un vero e proprio cortocircuito di senso, su cui si sono interrogati storici dell’arte quali Zevi e Argan, o architetti come Taut e Hegemann. Questo cortocircuito è al centro del cartellone di iniziative di AfterVille, che si snoda lungo tutto il 2008: un’esplorazione critica delle città sognate, chiamate a confrontarsi con il loro riflesso contemporaneo, in un interscambio metamorfico di spunti, riferimenti, suggestioni. Il percorso di AfterVille è quindi stato organizzato in modo da avvicinare il pubblico in modo simpatetico al progetto. Tutto ciò che si vede in AfterVille è molto conosciuto: film che hanno incassato miliardi, pezzi di design cult, fumetti che hanno popolato la nostra infanzia e videoclip di gruppi in cima alla hit parade. Gli immaginari che indaghiamo sono tali proprio perché estesi. Un film passato solo in qualche festival sicuramente non ha modificato la percezione del futuro a nessuno. Noi parliamo di influenze reciproche ed effettive tra i vari campi di indagine. Parliamo di come Kubrick abbia utilizzato le poltrone disegnate da Werner Panton, suo contemporaneo, per identificare un futuro ipotetico formale. Insomma, cerchiamo gli elementi che, nel corso dell’ultimo secolo, sono stati ispiratori di futuro a larga scala e ne indaghiamo utilizzo e ispirazione. Da qui nasce il progetto di curatela di AfterVille: come nascano gli immaginari di fantascienza e come essi stessi modifichino l’idea del futuro in un percorso di influenze continue e reciproche.
Tour operator organizzano viaggi nei luoghi immaginari del Commissario Montalbano narrati da Camilleri, ma soprattutto fotografati dalla fiction Rai. Le consumatrici esterofile corrono a NY per mangiare un dolce ipercalorico da “Magnolia” come Sarah Jessica Parker in “Sex and the City”. Questi sono esempi di luoghi esistenti solo o soprattutto grazie alla medializzazione. Addirittura non è importante che esistano veramente: basta che appaiano sullo schermo per prendere vita. La maggior parte delle città di fantascienza non esistono se non al cinema. Da questo punto di vista, Torino esiste solo in chiave storica o operaia. Gli immaginari sono passati da “capitale del regno d’Italia” a “capitale dell’automobile” e lì si sono fermati. Uno degli intenti di AfetVille è quello di dare a Torino un immaginario mediatico di fantascienza. È una sfida. Utilizzare una qualsiasi città americana sarebbe più facile ma non sarebbe la nostra. L’esperimento estremo? Nel film di AfterVille, Torino è invasa dagli Ufo. Lo skyline è completamente cambiato e i grattacieli che tanto ci spaventano oggi, diventano risibili se paragonati ai dischi volanti. Non abbiamo ipotizzato quindi un’evoluzione costante della città ma un evoluzione discontinua, generata da una rottura radicale nello scorrere della vita quotidiana. Un evento choccante, l’unico modo per bucare lo schermo e rendere viva Torino nell’immaginario degli spettatori.
E’ iniziato tutto con “Astronave Spaziale Torino” al MIAAO in ottobre. Arte, architettura e fantascienza a Torino: lo stato delle cose, il punto fermo di partenza. Esempi esemplari di oggetti per lo più dimenticati ma origine di influenze importantissime. Secondo appuntamento, a marzo: “From Metropolis to AfterVille”. Videoinstallazione e concerto dei Larsen alla Mole. L’evoluzione della città in un secolo di cinema. L’obiettivo è stato quello di mostrare cronologicamente come si è evoluto il pensiero progettuale di fantascienza. Esempi noti e arcinoti fanno capire da dove provengono molte delle architetture di oggi. “AfterVille - The Movie”, ad aprile: ecco l’esempio pratico. E su Torino. La città non è praticamente mai stata teatro di immaginari fantascientifici: terreno perfetto per calarci sopra la nostra “Afterville”. Lo scontro tra antico e supermoderno è esplosivo. Anzi alieno. Vi mostriamo quello che accade nel progettare la fantascienza su una città vera dove molti dei lettori abitano. Come cambieranno le nostre abitudini con un Ufo in giardino. “AfterVille – The Reading”, da fine aprile: approfondimenti al Circolo dei Lettori con esperti delle materie che trattiamo: cinema, videoclip, architettura, fumetti, design. Il dibattito sarà introdotto da una lettura di genere fantascientifico. Gli incontri mostreranno come il dibattito sul rapporto designfantascienza sia aperto e non si concluda a Torino. “AfterVille – The Underground Exhibition”, a giugno: la grande mostra sulla Linea 1 della Metropolitana.
Il pensiero alla radice della mostra “Afterville. the underground exhibition ” si fonda sull’identificazione di dieci modelli di città ideali, “edificate” dai media attraverso lo sguardo della fantascienza. Ognuno di tali modelli costituisce un autentico catalizzatore e generatore di immaginari. Con un evidente riferimento alle “Città Invisibili” di Italo Calvino, le varie sezioni della mostra raccontano aspetti differenti di queste realtà urbane, declinandole secondo un proprio taglio specifico. Tali città, non esistono se non come riflesso degli sterminati immaginari generati nell’ultimo secolo da architettura, cinema, fumetti, design e -più recentemente- videoclip, pubblicità, videogame. Dieci temi urbani fondanti, cristallizzati intorno ai depositi degli infiniti domani possibili. Capoluoghi mai visti prima ma ben presenti nei ricordi dei loro abitanti, dunque in grado di suscitare un istintivo (e ancestrale) senso di appartenenza. Afterville. the underground exhibition non è un semplice repertorio di simboli, né una meccanica schedatura di archetipi. Piuttosto una deriva di immaginari, un tentativo di associare alla sequenza di forme-città una rete o un sistema di percorsi possibili. Una carta geografica non fissata in una traccia definita, ma sospesa fra l’estetica di una tipologia astratta e il dinamismo di una guida turistica. Una rete entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate. Una mappa pensata per delineare le linee di confine di un impero: quello della memoria del futuro. Scrisse Italo Calvino nel suo romanzo Le città invisibili: «D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda». Ogni modello urbano teorizzato nella mostra tenta di rispondere alle molteplici domande che lo informano, evocando qualcosa degli uomini che l’hanno creato, della gente che ne condivide lo spazio e delle forme stesse che lo sorreggono. Ciascuno di essi è un algoritmo, un insieme spurio di comunicazioni, immagini, flussi, scambi forse mai esistiti davvero eppure sedimentati nella memoria collettiva. Afterville. the underground exhibition rende visibili, accessibili, reali queste dieci città. Le sottrae alla loro trascendenza e ne fornisce una strenua illusione di verità. Soprattutto -consentendo di attraversarle, viverle e sentirle, offrendo di esse più visuali e più sguardi- le restituisce ai suoi visitatori perfette e persistenti, come bolle di sapone mai dissolte.
310 m Entità aliena, Rocce (soprannome terrestre)
Esiste una sola razionalità, quella visionaria
220 m Massimiliano Fuksas, Uffici Regione Piemonte
180 m Renzo Piano, Uffici Intesa - Sanpaolo 167,5 m Alessandro Antonelli, Mole Antonelliana
100 m Arep, Agostino Magnaghi, Grattacielo Porta Susa FS 84,5 m Armando Melis, Torre Littoria 74 m Aldo Morbidelli e Domenico Morelli, Uffici Rai 62 m Nino Rosani, Uffici Lancia
Franco Purini, memorandum per una pocket/poetics: dodici convinzioni inessenziali,1985
Tavola sinottica degli edifici più alti della Torino futura
Enzo Biffi Gentili e UAU Ufficio Arredo Urbano Città di Biella, Progetto di illuminazione a luci decorative a colori primari RGB per i Giardini di via Carso a Biella, 2008. Corpi illuminanti Pencil di Jean-Michel Wilmotte per iGuzzini. Foto Marco Comba, “Il Biellese”
Avviene sovente nella vita, a tutti, di dover “declinare le proprie generalità”. In questo linguaggio burocratico, quel vocabolo “generalità” significa, come da diziona-
rio, il vecchio Zingarelli dalla Zanichelli, “quel complesso di notizie generiche quali nome, cognome, paternità, data di nascita, eccetera, necessarie per determinare l’identità di una persona”. E di una città? Possiamo provarci, ed è quanto intendiamo fare su un prossimo numero speciale di AfterVille per determinare l’identità di Biella, in Piemonte, almeno sotto la specie della cultura del progetto. Il che vuol quindi dire dichiarare tra l’altro delle paternità: azione forse contestabile, poiché Mater semper certa, pater incertus, ossia chi sia la madre è sempre chiaro, chi sia il padre no (soprattutto nelle arti che a differenza delle scienze non dispongono ancora, per l’accertamento delle paternità, di test del DNA). Allora i nostri antenati progettuali possiamo anche sceglierceli in una catena secolare di auctoritates, producendo qualche vera e propria rivelazione, a livello internazionale. Sono i casi di Guarini, Juvarra, Antonelli, e Giovanni d’Errico, attivi i primi al Santuario e il secondo
al Sacro Monte d’Oropa, tra Seicento e Ottocento. E per quanto riguarda il Novecento, il futurista Nicola Mosso e il razionalista Giuseppe Pagano. Sembra davvero strano, che un territorio “periferico” e pedemontano abbia prodotto tanta arte e architettura superqualificata, seppur a volte solo “disegnata”. Tuttavia in Italia è frequente rivendicare un’ aristocrazia intellettuale passata mentre si è in una fase di professionalità degenerata, mentre a Biella su una tradizione riscoperta vogliamo produrre innovazione, anche spregiudicata: così nel gennaio 2007 abbiamo attivato il progetto BAU, Biella Arredo Urbano, diretto da Enzo Biffi Gentili, ponendoci come obbiettivo una mostra delle prime sperimentazioni e realizzazioni al MIAAO, il Museo Internazionale delle Arti Applicate Oggi di Torino, allestita in occasione della celebrazione del XXIII Congresso Mondiale degli Architetti UIA, tra giugno e luglio 2008. Qui esibiremo referenze non solo storiche ma anche contemporanee, con pro-
getti e artefatti di Sottsass Associati, Nino Cerruti, Manuel Cargaleiro, JeanMichel Wilmotte e di altri più giovani visual designer, coordinati dall’AIAP, che per la nostra Città sperimentano interventi di grafica ambientale e architettonica come inedite modalità di quel transmitting architecture che sarà il tema del Congresso UIA. Ma anche Oropa si rivelerà deposito attivo di suggestioni progettuali: Il gran teatro ceramico barocco e perturbante del d’Errico sarà reinterpretato con accenti iperrealisti, pop e funk, da artisti come Arneson e Ontani, da italiani e americani. Insomma, time future contained in time past, come scriveva Eliot nel primo dei Quattro quartetti, ma si potrebbe anche dire tomorrows comes today… Perciò l’AfterVille dedicato a Biella, edito in accordo con l’Ordine degli Architetti di Torino e con la sua Fondazione, che sarà distribuito a tutti i partecipanti al Congresso UIA, è per noi l’ideale testata, essendo così, da Undesign, sottotitolata.
03
totalitary living identità visiva per una città che non esiste
Afterville graphics Qui si tratta di progettare la grafica del futuro. Come si legge nella Carta del Progetto Grafico (Aiap 1989) fra i principali compiti della disciplina, oltre all’attribuire “una forma e un’identità alla comunicazione” vi è quello di “conferire esistenza alle strutture della società”. Sarà una bella società, fondata sulla libertà, come cantavano i Rokes? O no? Per pensare visivamente il futuro, gli Undesign hanno ragionato sul presente e quindi sul passato che in esso è racchiuso: tomorrow comes today. Fondamentale inquadrare il contesto. È certo che nel mondo in cui viviamo non ci sono più certezze: stiamo assistendo da un lato alla caduta inesorabile di ogni ideologia, alla compiuta crisi delle metanarrazioni preconizzata da Jean-François Lyotard ne La condizione postmoderna (Feltrinelli, 1981), dall’altro -non in contraddizione, ma di conseguenza- a un proliferare di segni che hanno perduto il contatto connotativo con ciò a cui riferiscono dal punto di vista denotativo. La morte delle grandi ideologie politiche del Novecento ha permesso ai simboli e alle estetiche propri di quelle dottrine di liberarsi del loro ‘alone di significato’ e di divenire nuovamente frequentabili.
logotype Persino l’araldica più inquietante, come quella del Terzo Reich; o la livrea, simile, dei pacchetti di Marlboro o Lucky Strike, considerabili politically incorrect, sono ormai accettate e largamente ‘rimediate’, proprio in virtù del loro essere fra le più impattanti ed incisive di sempre. D’altra parte, Bruno Munari diceva che un prodotto grafico riuscito deve essere potente come ‘un pugno in un occhio’ (Arte come mestiere, Laterza, 1966) e riconosceva la massima efficacia visiva del sopraccitato concetto nella bandiera giapponese: disco rosso in campo bianco. Semplice, ma in grado di violentare lo sguardo. È il banzai della grafica: strategia eterna e vincente. Gli Undesign, con la grafica di Afterville, hanno fatto banzai. A partire dal monogramma: pulito e prepotente, compatto come un marchio a fuoco per bestiame, essenziale nella forma, capace di creare equivoche interferenze simboliche, tra il sigillo di Salomone e lo stemma della Xa Mas, e al contempo di evadere da queste associazioni in una deriva verso altre suggestioni (ma nel logo si colgono sintomi da asfissia totalitaria, propria di quello stile steampunk magistralmente tratteggiato da Menotti e Semerano nel fumetto
Europa). Anche nella linea artistica per il visual di Afterville, realizzato insieme a Carlotta Petracci, si ritrovano chiaramente le fonti ispiratrici degli Undesign: da una parte le atmosfere dittatoriali di 1984 di George Orwell dall’altra, ancor più dichiaratamente Metropolis di Fritz Lang. Più professionalmente, i riferimenti dei giovani progettisti sono quelli che hanno fatto la storia della grafica; si pensi al magazine: non si tratta di una delle solite algide pubblicazioni ‘di tendenza’, di life style, design oriented, il tabloid non è ‘leccato’, ma ha l’appeal del quotidiano ‘vero’, non a caso utilizza, détournée, la griglia progettata da Massimo Vignelli per l’Herald Tribune. Lo stesso vale per il carattere del logogramma: l’Aftervetica è la rivisitazione ‘distorta’ di uno dei caratteri più risoluti della tipografia contemporanea, l’Helvetica di Max Miedinger. La gamma dei colori infine ripropone la perturbante triade basica, adorata da ‘avanguardisti’, politici e artistici, storici, così come frequente in certe fiabe paurose: il bianco il nero e il rosso, ma quest’ultimo ‘degradato’ nel più ambiguo magenta. La grafica di Afterville ha tutte le prerogative per diventare realmente futura e immortale. E allora: Banzai!
flag colors
8
6 C 0 M 0 Y 0 K 100
3
1
secondary colors
1/8 7/16 (7/16)²
C 0 M 100 Y 0 K 0
anno 1 n.0
Afterville è il titolo di un insieme di manifestazioni ufficialmente collegate al prossimo Congresso mondiale degli architetti UIA Torino 2008, volte a segnalare interferenze concettuali e figurative tra pensiero progettuale e immaginario della fantascienza nel XX secolo. Un progetto ideato e curato da Undesign, Michele Bortolami e Tommaso Delmastro con Fabrizio Accatino e Massimo Teghille, promosso dall’Ordine degli Architetti di Torino, che diviene un marchio di riconoscimento sotto il quale si svolgeranno molti eventi e mostre, con diversi curatori e partecipanti, dall’ottobre 2007 sino a tutto il 2008. Come anteprima e vernissage di questo ciclo di eventi al MIAAO si tiene la mostra Astronave Torino. Turin Spaceship Company, progettata e diretta da Enzo Biffi Gentili, che segna la fase di decollo verso Afterville e descrive un particolare sviluppo del tema della città futura o post-città, attraverso la ricostruzione di momenti inediti o rimossi di sperimentazioni ‘spaziali’ nel significato più vasto del termine nei settori dell’architettura, della pittura, del design e dell’artigianato metropolitano, tutte collegate direttamente o indirettamente a una inusuale storia culturale di Torino, con cui si sono volute ricostruire e documentare per reperti e campioni alcune tappe del trip di una Turin City Ship tra gli anni ’60 del XX e gli inizi del XXI secolo. Esiste una soglia oltre la quale la fantascienza cessa di essere solo fiction e diventa anche progetto. Lo spirito del progetto di Afterville è di comunicare -transmitting future architecture- immagini della città di domani. In controtendenza rispetto alle generic city contemporanee, la fantascienza ha diffuso scenari metropolitani procedendo per aggiunte, per stratificazioni. Capitali moderniste slanciate verso l’alto, tessuti disomogenei pulsanti di luci e forme, grappoli di infrastrutture dalle geometrie sovrapposte e incombenti. Oppure la Città che sale, così come la immaginarono i futuristi agli inizi del secolo scorso. Territori urbani sognati, teorizzati, progettati, disegnati e modellati dal nulla: tante Afterville, città del dopo sorrette da forme e volumi inimmaginabili, eccessivi, spesso inquietanti. La configurazione della polis del futuro, in realtà, dice molto del presente: dietro lo sforzo immaginativo degli autori di science fiction si celano la tradizione letteraria, l’inconscio collettivo e l’ipotetica evoluzione delle funzioni sociali della contemporaneità. Formae urbis ed estetiche nuove sono divenute lo strumento per dare risposta ai bisogni, alle trasformazioni e alla continua rimodellazione dello spazio (pubblico, privato e sociale) degli anni in cui sono state immaginate. A sua volta la fantascienza di romanzi, fumetti e film si è trovata a incidere sulla progettualità contemporanea nella stessa misura in cui se n’è nutrita, influenzando architettura, urbanistica, pubblicità, moda, grafica e design. Un corto circuito di senso su cui si sono interrogati tanti storici dell’arte o architetti, spesso fino a farli considerare visionari o ‘futurologhi’. La scelta del MIAAO come piattaforma di lancio del programma culturale ufficiale del XXIII Congresso mondiale degli architetti è stata compiuta dall’Ordine degli Architetti di Torino e dalla sua Fondazione per sottolineare un rapporto privilegiato tra queste istituzioni culturali, fondato non solo sull’evidente contiguità disciplinare con l’unico Museo dedicato alle arti applicate contemporanee in Italia, ma anche su una prossima contiguità fisica, su di una scelta di coabitazione. Infatti la sede dell’Ordine e della sua Fondazione sarà trasferita nel complesso juvarriano di San Filippo Neri di Torino, sede del MIAAO, in vista di una sempre maggiore integrazione che trasformerà uno dei più grandi monumenti barocchi della città anche in un polo della cultura del progetto.
inevitabilmente postumi. Se non altro perché abbiamo ormai metabolizzato tanto l’alieno quanto il robot, e li riscopriamo in noi, siamo alieni a noi stessi, e robot di quel che resta di noi. Ma in questo paesaggio di rovine la scelta di usare i reperti iconografici di quel che è stata -in un’altra epoca-la science-fiction significa brandizzare un linguaggio, e farne una forma perversa di marketing virale. Significa riconoscere quel tanto di totalitario che c’è in ogni atto di comunicazione, e provare a negarlo facendone un vettore di contagio. Afterville mi pare nasca da qui: dal desiderio di sfuggire al totalitarismo non esorcizzandolo, ma ibridandolo, meticciandolo, imbastardendolo. Trasformando una città vera in uno spazio finto, o ricoprendo con alfabeti finzionali una città reale. Il che significa provare a confondere le mappe. Cercare di aprirle. Di liquefarle. Con l’intento, forse, di ridisegnare una carta del mondo capace -prima di tutto- di sorprendere, e di disorientare.
Afterville photographics Elisa Facchin
L’immagine non è ora il riflesso di un’altra realtà; l’immagine è la realtà stessa. Ad essa tutta la gloria...
Rafael Moneo
Direttore MIAAO in memoria di mio padre, Luigi Biffi Gentili, un’arditezza di temi che è molto simile a cultore di fantascienza quella del pensiero d’ avanguardia”. Luciano Lanna e Filippo Rossi Su questo giornale di bordo, in occasione commenteranno così lo statement di del decollo del programma culturale Pauwels: “Era un riconoscimento di collegato al Congresso mondiale di ‘maggiore età’ per la science fiction, Architettura di Torino del 2008, scriviamo paragonata -nel contesto delle nuove una ‘relazione di minoranza’. Siamo infatti società di massa- alle avanguardie convinti, narrando del trip di un’ Astronave storiche del Novecento: la fantascienza Torino verso Afterville, città futura, che come nuovo futurismo” ( Fascisti tra le referenze passate da esibire a un immaginari. Tutto quello che c’è da sappubblico internazionale occorra mostrarne ere sulla destra, Vallecchi, Firenze 2003). alcune inconsuete e persino, per taluni, Ebbene, la pubblicazione della ‘impresentabili’. Vogliamo delineare politicamente ambigua, se non per alcuni un’immagine differente della cultura del scorretta, rivista “Pianeta” appartiene progetto a Torino, ma evitando che il proprio a una storia culturale rimossa di ‘revisionismo’ venga compromesso da Torino. Qui la rivista viene riletta come sospetti di ‘reducismo’, da sessantenni impresa notevole anche per la grafica di o sessantottini. Per fortuna in questo tipo Pierre Chapelot, ripresa da Undesign di battaglia culturale si provano nuove impaginando per omografie e analogie generazioni di saggisti e professionisti: le immagini, in una forma di persuasivo ‘splendide quarantenni’ come Luisa Perlo ‘pensiero visivo’ .Ed è commemorato (a suo tempo coautrice di una storia Piero Femore, intellettuale torinese da artistica ‘diversa’ della città non a caso poco scomparso, promotore di “Pianeta” intitolata EccentriCity, pubblicata nel 2003 come di altre iniziative editoriali dalla Fondazione per il Libro) ma anche, spregiudicate delle quali nei ‘coccodrilli’ German Impàche, Astronave Torino, 1997, fotografia in bianco e nero, montaggio e sviluppo fotomeccanico, di Giorgio Stella tra gli altri, i trentenni del gruppo Undesign pubblicati alla sua morte non è fatto e una ventenne giovanissima studiosa, cenno. Elisa Facchin. Con le citazioni di questi Per altri motivi “Pianeta” era stata ricordata militanti si iniziano a illuminare i reticolati dal critico Janus nel catalogo di una dei campi disciplinari: l’architettura e l’arte, mostra intitolata La città inquietante. certo, ma anche il visual design, Pittura fantastica e surreale a Torino , ‘specialità’ della nuova creatività torinese, allestita alla Promotrice delle Belle Arti già sostenuta dall’Ordine degli Architetti nel 1992. Legittimamente: senza dubbio Presidente Sindaco di Torino, dalla Sua Fondazione e dalla Presidente “Planète” e Pauwels avevano come Regione Piemonte locale Camera di Commercio con Città di Torino Provincia di Torino principale riferimento artistico il l’edizione di Turin Tour, insolita guida alla Surrealismo. Tuttavia un movimento città che sarà tra breve ripubblicata. Immaginare la città del futuro nostro e La Regione Piemonte e il suo capoluogo ‘realista fantastico’ in pittura nacque nel L’architettura ha preso casa a Torino. dei nostri figli e nipoti: un compito impesono da sempre all’avanguardia nei più Dall’architettura dobbiamo neces1963 grazie all’influenza determinante di E silenziosamente, progressivamente sariamente partire, accennando agli gnativo, una sfida che architetti, urbanisti, svariati campi: protagonisti della storia un altro personaggio dimenticato come opera perché la città assuma le fattezze hommages che sono dedicati a Enzo artisti, artigiani e scienziati non possono nazionale, hanno visto nascere l’industria il belga Jean Triffez, la cui opera ‘astratta’ che la sua essenza profonda racconta ai Venturelli e Leonardo Mosso, due architetti non raccogliere. La mostra Astronave moderna, il cinema e la televisione, la e simbolica era però distante da ogni più attenti. e utopisti, per certi versi ‘fantascientifici’, Torino è un passo importante di questa moda, l’architettura e il design d’Italia. epigonale ‘maniera’ surrealista e È un volto che cambia, che sente il il cui rilievo internazionale va qui sfida. Ed é anche uno dei primi eventi Nonostante i piemontesi non siano rappresentava una sofisticatissima passare del tempo ma non ne nasconde definitivamente stabilito. Così va affermata che accompagnano il Congresso sempre riusciti a comunicare la propria indagine su nuovi spazi e luci, spirituali e i segni, anzi fieramente li mostra e li mondiale degli Architetti. Torino e il suo unicità e i propri talenti, forse per colpa la loro flagrante attualità poiché in siderali. Diversi lavori di Triffez sono stati trasforma in tracce irripetibili di ciò che è entrambi, diversamente declinate, sono territorio da sempre sanno porsi all’avandi un diffuso e malinteso sentimento di acquisiti dal MIAAO e presso il Seminario stato e che ha gettato seme. Credo che centrali alcune questioni oggi cruciali guardia nella cultura, nella scienza, nella understatement che li ha portati a non Superiore di Arti Applicate di San Filippo l’architettura sia, insieme ad altre grandi tecnologia. La nostra è la città dell’invantarsi all’esterno, oggi la situazione è come un’interferenza più o meno Neri è in corso una ricerca su altri curiosi ‘arti del disegno’, uno straordinario equivoca tra scultura e architettura o novazione, con un occhio di riguardo mutata. Nella fase positiva che stiamo testi ‘spaziali’ e ‘cinetici’ francofoni di strumento di cambiamento del volto e però al passato… e che passato! Con il vivendo per la ripresa dell’economia, la l’estrema attenzione all’ambiente e a una dichiarata ascendenza ‘surrealista’ come dell’anima dei luoghi in cui viviamo: nuova ecologia. Ma è anche di grande Congresso mondiale del 2008, ancora rinascita della cultura e la grande crescita quelli, inediti in Italia, del parigino Groupe nessuna città meglio di Torino, che negli interesse la loro propensione al disegno una volta spiccano la capacità innovativa del turismo, il Piemonte ha imparato a Space, attivo nella seconda metà degli ultimi anni ha dimostrato di sapersi di chiese ‘avanguardiste’, fondata su di esprimere la propria vocazione al nuovo anni ’70. Le ragioni delle azioni torinesi rinnovare, elaborando il suo patrimonio e il desiderio di futuro di una città e di un un’altra autorità torinese, quella di Fillia, territorio che, un anno e mezzo fa, hanno e ad affermare l’energia innovativa che di raccolta e studio di questi documenti produttivo e culturale, non in modo autore e firmatario con Marinetti nel 1932 saputo dimostrare al mondo di saper rende questo territorio un luogo di consistono anche in loro specifici aspetti estemporaneo ma costruendo un del Manifesto dell’arte sacra futurista. stare sulla ribalta mondiale e di avere sperimentazione culturale. Il Piemonte è sperimentali visuali e percettivi, strumentali progetto, poteva rappresentare L’evocazione dell’avanguardista subalpino qualcosa da dire e da insegnare al resto nuovo soprattutto per la sua grande e tecnici: l’aerografo da tutti usato con idealmente lo spirito del ventunesimo Fillia provoca un’altra associazione, quella d’Europa. Il nostro territorio ha saputo e capacità di innovare e far evolvere idee. maestria, sino negli esiti estremi alla secolo per quanto riguarda lo studio e la tra Fantascienza e Futurismo, già Sono, queste, caratteristiche fondamentali prefigurazione di immagini 3D in lavori creazione degli spazi vitali -e quindi dei sa coniugare innovazione e tradizione. suggerita negli anni ’60 da Louis Pauwels Non a caso la Provincia di Torino sta per dell’architettura, la cui peculiarità è proprio border line tra pittura e computergrafica. rapporti umani- collettivi. Infatti “l’architetnell’editoriale del primo numero lanciare un concorso internazionale di quella di saper anticipare la modernità, Insomma questo numero 0 di Afterville tura abbraccia l’intero ambiente della vita, idee per immaginare un futuro econodell’edizione italiana di “Planète”: segnandone il corso nell’evoluzione. celebra ibride figure, professionalmente e rappresenta l’insieme delle trasformamicamente e culturalmente sostenibile Per questi motivi siamo onorati e fieri di “Nella fantascienza di miglior tono c’è segue in ultima zioni operate sulla superficie terrestre in per il suo monumento-simbolo di questo ospitare a Torino il Congresso mondiale vista delle necessità umane” scriveva territorio, il Forte di Fenestrelle. L’obiettivo degli Architetti 2008 e gli eventi ad esso William Morris, fondatore della Arts and è di scongiurare il rischio che la più grande correlati, come Afterville e la mostra Crafts ossia delle arti applicate, che fu insieme il critico di certi aspetti negativi fortezza alpina d’Europa, capolavoro di Astronave Torino. Si tratta di un avvenimento importante, di uno sviluppo industriale incontrollato architettura militare realizzato in oltre un secolo di progetti e lavori (dal 1727 al sia perché accade per la prima volta in nell’Inghilterra del diciannovesimo secolo, 1850), resti prigioniera del suo passato Italia dal 1948, quando fu fondata l’UIA, e l’antesignano dell' industrial design del e di una decadenza inevitabile senza l’Union Internationale des Architectes, sia ventesimo secolo, nuova disciplina nella massicci interventi ed investimenti. Chi perché testimonia che abbiamo maturato quale soprattutto l’Italia si è distinta. È meglio degli architetti può pensare il futuro nella comunità internazionale significativi James Ellroy, I miei luoghi oscuri, 1996 quindi con le sue parole che voglio della fortezza, la sua funzione culturale, crediti, che hanno consentito alla nostra esprimere l’augurio che le vostre iniziative economica, sociale? Noi puntiamo molto Regione e all’Italia di divenire sede della abbiano risonanza e successo e sulla capacità degli architetti di accom- massima manifestazione degli architetti contribuiscano a rendere qualitativamente Michel Guéranger/Groupe Space, Entrée intuitive dans un espace non formulé , 1975 pagnare il nostro territorio nel XXI secolo. di tutto il mondo. migliori le trasformazioni che ci attendono.
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Vivevo vite fottute dalla storia
serigrafia, cm 60x60, tiratura a 100 esemplari
patrimoni architettonici
02-03
architetture contemporanee
04-05
architetture grafiche
06-07
ricerche spaziali I
08-09
ricerche spaziali II
10-11
politecnici e multimediali I
12-13
politecnici e multimediali II
14-15
Esiste un’estetica dell’altrove che chi ha girovagato almeno un po’ lungo i sentieri della fantascienza riconosce al primo sguardo. Da oltre un secolo -dai primi sogni sfocati di H.G. Wells- la science fiction ha compiuto un percorso visionario che l’ha portata a tratteggiare in maniera sempre più definita pieghe e dettagli di società alternative. Una progettualità parallela (peraltro mai codificata fino in fondo) si è dispiegata in romanzi, film, storie a fumetti: una fanta-urbanistica, una fanta-architettura, un fanta-design hanno attribuito forme e colori alle visioni di generazioni di narratori. Come plastici animati dalla scintilla della vita, le tante Afterville (le città di domani) hanno via via abbandonato le dimensioni del bozzetto e del fondale per costituirsi come insiemi segue in ultima
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segmenta, crea, riduce. la tensione è verso l’uno. Cosicchè come basta un uomo per fare l’umanità, basta un personaggio per costruire tutti i suoi moltiplicatori e disporli su una scala gerarchica o su una struttura reticolare. Forme in realtà compresenti anche nell’attuale società multimediale, in cui la percezione del policentrismo non annulla l’ordinamento verticale. Il progetto traduce questo dato di fatto; tanto da essere costruito su una base triadica: dal ritratto dei curatori in qualità di ideatori, alla figura intermedia del robot, pensato come icona connotativa dell’intero disegno, ai ritratti fatti agli ospiti, che attraverso un linguaggio normalizzato rappresentano la vita reale di ogni universo immaginato. L’idea è forte e nel contempo astratta e domestica; e rinvia ad una visione del futuro, del presente e della fantascienza molto pubblicitaria, propria di chi, sul fronte generazionale, è stato abituato ad alti tassi di consumo catodico. E proprio alla luce di ciò si comprendono i richiami e gli stimeni di orwelliana memoria, che ironizzano sulla mitologia della grandeur televisiva; e sul bisogno sempre più quotidiano di fare della propria storia, collettiva o personale, una sorta di manifesto. Una griffe di fabbrica.
autunno-inverno 2007
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Gianni Canova
Una figura bianca al limite tra l’umano, l’alieno e il robot troneggia su un fondo celeste, appena un poco slavato, ricordo di un blu che non è più possibile. Questa è la prima immagine che ci appare di Afterville. un guardiano, un superuomo, un fetticcio immaginifico lattiginoso e argeteo che funziona come soglia o come lasciapassare per un mondo finzionale acora ignoto. La visione parte da qui. da questo personaggio primo, matrice generatrice di un progetto visivo in cui si riconoscono echi totalitari e moderni, in accordo a suggestioni teatrali di stampo classico. La sintesi formale nasconde infatti un meticciato iconografico che trova senso nell’archetipo della maschera; intesa in ogni civiltà come immagine dell’altro che c’è nell’uomo. E non poteva certo mancare qui, ad Afterville, dove si tenta di immaginare una città futura, un’umanità nuova, una società possibile, attraverso una mescola di tempi e idealtipi massmediali. È questo il messaggio alieno che passa attraverso l’interpretazione di Carlotta Petracci, la cui passione per l’arte fotografica viene dalla fascinazione per il rapporto che si instaura tra mente e occhio; tra immaginazione e visione monoculare. Gli occhi vedono, là dove l’occhio
Astronave Torino numero speciale diretto da Enzo Biffi Gentili
Presidente XXIII Congresso mondiale UIA Torino 2008
L’estetica di Afterville attorno a un monolite nero che catalizza in sé l’enigmatica minacciosità che la pervade e l’inscalfibile pesantezza che la opprime. Le sue due figure canoniche più note e recursive -l’alieno e il robot- incarnano in modo esemplare due topoi retorici a modo loro necessari e complementari: quello della lontananza assoluta dall’idea stessa di umano nel caso dell’alieno, e quello dell’ibridazione dell’umano con l’altro da sé nel caso del robot mimeticamente costruito proprio a immagine e somiglianza del suo creatore. Come se alieni e robot fossero riduzioni dell’umano a sola natura nel primo caso o a sola tecnologia nel secondo. Fra questi due poli estremi, l’immaginario oscilla, scivola, rimbalza, saltella. Si rispecchia e poi si disconosce, nell’illusione di potersi comunque alla fine riconoscere come possibile antitesi a quelle due diverse forme di radicale alterità. Noi veniamo comunque dopo. Siamo
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destra Visual Guide per la comunicazione della rassegna Afterville, Undesign di Michele Bortolami e Tommaso Delmastro con Paolo Anselmetti e Dario Aschero sinistra Heinz Schulz-Neudamm, manifesto per il film Metropolis (particolare), 1926 e Charlie Chaplin, Il grande dittatore (fotogramma), 1940,
La sciente-fiction è un sistema chiuso. Benché uno dei due poli che la costituiscono (quello della fiction) prometta aperture immaginarie e liberi voli della fantasia, di fatto -anche suo malgrado- la fantascienza si porta addosso, in modo quasi inevitabile, i segni e le impronte epocali di un tempo storico (il Novecento) e di un modo di produzione (quello fordista) all’interno dei quali il genere stesso è nato e si è sviluppato. Si tratta di un paradigma culturale in cui la distopia prevale in genere sull’utopia. In cui la tecnica assume spesso e volentieri connotati totalitari. In cui tempo e spazio si colorano di livide tinte metalliche e ferrigne. Anche quando si apre e accetta di essere disorientante invece che prescrittiva -come accade per esempio in 2001: odissea nello spazio di Stanley Kubrick- la sciente-fiction non può (e forse non vuole, o non sa…) esorcizzare del tutto il male oscuro che la rode da dentro, il suo non poter non girare
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Elisa Facchin
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bigletto rete urbana vale 70 miniuti 1 sola corsa metro euro 1.00
incontri ravvicinati fabio&fabio, ugo gregoretti, carlo ausino, corrado farina
primavera 2008
Fabio&Fabio: doppia immagine nello spazio Elisa Facchin intervista Fabio Guaglione e Fabio Resinaro Sono figli di un decennio, gli anni Ottanta, che ha sdoganato e consacrato il cinema di fantascienza come genere di largo consumo; sono cresciuti a pane e Ritorno al Futuro, Robocop e Terminator. “Il nostro immaginario” dicono “non solo è stato condizionato, ma addirittura plasmato dagli universi proposti in quelle opere”. Se a questo ‘corredo genetico’ si unisce la passione per il fare cinema maturata sui banchi di liceo, si ottengono due cineasti autodidatti che incarnano il futuro del cinema di fantascienza ‘made in Italy’. In un panorama -quello italiano- che offre ben poco spazio al cinema di genere (fatta forse eccezione per la commedia) i due giovanissimi registi si sono ritagliati una nicchia di tutto rispetto realizzando, dalla sceneggiatura alla postproduzione, corti di fantascienza premiati in tutto il mondo come E:d:e:n (2004) e The Silver Rope (2006). Sono Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, alias Fabio&Fabio, scelti dai curatori della rassegna Afterville per dirigere il primo corto contemporaneo di fantascienza ambientato a Torino: Afterville the Movie. “Con questo film” dicono “i fari nostrani sono accesi per la prima volta a tutta potenza su un progetto di fantascienza italiano”. Un progetto che non passerà inosservato. In primo luogo, la trama. Torino, 2008 . Una pioggia di forme aliene si abbatte sulla città. Sono dischi enormi, immobili, muti. Nessuno ne conosce l’origine, nessuno ne comprende lo scopo, ma subito si da loro un nome -dinamica rassicurante: le chiamano Le Rocce. Passano gli anni e Le Rocce vengono architettonicamente inglobate, socialmente accettate, religiosamente rispettate: quasi fossero sempre state presenti. Torino, 2058. La vigilia della fine. Gli scienziati hanno scoperto che Le Rocce hanno un timer; il countdown sta per finire: cosa accadrà alla città? Che ne sarà dei torinesi, emblema dell’umanità? Come è nata e come si è evoluta l’idea per la sceneggiatura di Afterville? Lo spunto da cui siamo partiti ci è stato fornito dai curatori: l’obiettivo era raccontare una nuova ipotetica Torino del futuro, con un occhio di riguardo all’aspetto architettonico. Aspetto che peraltro nei film di Gregoretti (Omicron, 1963) e Ausino (La città dell’ultima paura, 1972), gli unici riferimenti torinesi di genere, era decisamente trascurato; là di fatto lo skyline cittadino restava immutato, qui si voleva trasformarlo, ridisegnarlo. Abbiamo avuto questa visione: una Torino dall’orizzonte modificato a causa di astronavi dalle dimensioni titaniche precipitate sulla città. Partendo da questo concept avevamo sviluppato un racconto molto (forse troppo) action-science fiction: secondo la prima
Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, registi di Afterville, ritratti da Carlotta Petracci nella loro città, San Donato Milanese
sceneggiatura, le astronavi conficcate nel tessuto urbano di Torino dovevano essere la testimonianza della vittoria finale dei terrestri sugli alieni, ottenuta in seguito ad una lunga guerra che aveva portato alla schiavizzazione della razza ‘altra’ da noi. Il narratore prescelto era un alieno fuggitivo. In un finale a sorpresa si svelava che la guerra era in realtà stata vinta dagli alieni e che la voce narrante apparteneva ad un ibrido uomoalieno, primo nato dall’unione (forzata, data la schiavizzazione dei terrestri) delle due razze. Dunque un testo basato sulla violazione del patto di veridizione fra enunciatore e destinatario; intrigante, ma forse una storia troppo poco in linea col progetto Afterville, con Torino. Si è deciso infatti di riesaminare la trama, mantenendo però l’intuizione visiva degli enormi Ufo precipitati, attorno ai quali e sui quali i torinesi costruivano nuovi edifici, ripensando la città. In accordo coi curatori si è ritenuto che eliminare la presenza degli alieni dalla storia avrebbe reso più mitologico il conflitto, avrebbe reso le astronavi ancora più inesplicabili.
Un elemento architettonico misterioso in una città nota per il suo carattere misterioso: tout se tient. Niente alieni, niente guerra. Nessun passato, nessuno scopo. Le Rocce dovevano essere tutto e niente: Dio. Ma la storia aveva bisogno di uno sviluppo. Ed ecco l’intuizione mistico/temporale: le astronavi emettono un segnale geomagnetico che decodificato risulta un conto alla rovescia della durata di 50 anni. La storia di Afterville the movie racconterà le ultime ore di questo conto alla rovescia. Il passaggio da un mondo ad un altro, sconosciuto. Per raccontare ‘la vigilia della fine’ avete scelto i media e i loro contenuti come strumento privilegiato nella creazione del contesto. Perché? Perché il mondo è i media, e i media sono il mondo. Siamo immersi in un costante flusso di informazioni che in Afterville the Movie abbiamo cercato di tradurre nella convergenza totale tra orologi, schermi, computer, videocamere, tv. Il tono dei media, il loro colore, il loro contenuto, ci può dare una sensazione immediata del mondo che stiamo impostando. Per questo lo ‘zapping mediatico’ di Afterville the Movie, proiettato il 29 febbraio, ha
suscitato tanto interesse. In Afterville the movie l’architettura del futuro prende forma nelle Rocce. Nel dare una forma a questi corpi alieni a cosa vi siete ispirati? Per creare il design delle Rocce, il primo input è arrivato da uno schizzo preparatorio: sul gigantesco Ufo avevamo abbozzato due linee che ad una successiva analisi sono risultate essere un perfetto segno visivo sincretico del concept dello scorrere del tempo, due lancette. Abbiamo lavorato su queste linee, su queste scanalature, ispirandoci graficamente ai giganteschi dischi volanti di Independence Day. Concettualmente, un altro punto di riferimento è stato il Monolite del film 2001: Odissea nello spazio. Le Rocce sono effettivamente molto simili, dal punto di vista del loro ruolo narrativo, al monolite alieno del film di Kubrick: sono oggetti apparentemente inanimati, ma dotati di un ‘carisma intelligente’. Ai fini della storia, le nostre astronavi però avevano bisogno di poter essere identificate come oggetti ancestrali e autonomi (privi di passeggeri) e al contempo come qualcosa di ‘potenzialmente pericoloso’, che, allo scoccare dello Zero, avrebbe
potuto aprirsi o esplodere. Da qui è nata l’idea di una parte di Ufo ‘rinchiusa’ dentro una specie di enorme scudo. Ma oltre alle Rocce, nel film, saranno presenti anche strutture architettoniche create ad hoc per il film, disseminate qua e là per Torino. Torino ha una sua ben definita identità architettonica, predominante specie nel centro storico: la città è per definizione ‘barocca’. Questa sua forte connotazione si è scontrata o al contrario ha in qualche modo favorito il lavoro di creazione di un’architettura del futuro? Prima di scrivere la sceneggiatura per il cortometraggio, abbiamo fatto dei sopralluoghi con i curatori, per capire cosa sarebbe stato interessante mostrare e come sarebbe stato possibile creare una Torino futura credibile. Abbiamo subito capito che per rappresentare il futuro -un futuro- sarebbe stato poco interessante utilizzare le parti più moderne della città, perché sono avanguardistiche oggi, ma non lo saranno tra qualche decina di anni. Invece il centro storico è eterno. Il fascino e la bellezza di quegli scorci era lo sfondo ideale. Accostare elementi di novità, quali Le Rocce, all’architettura barocca, ha permesso un’interessante commistione antitetica, e per questo ancor più potente, tra antico e futuribile, che ci ha consentito di discostarci totalmente dal clichè del futuro ‘bladerunneriano’. Quello che era fantascienza cento anni fa oggi è in gran parte diventato reale, tangibile. Come vi immaginate il futuro e le città del futuro? Non abbiamo una visione univoca e definitiva de IL futuro. Ci piace immaginare UN futuro diverso ogni volta, di storia in storia. Una cosa è certa: il ruolo della tecnologia ormai è predominante, condiziona i mercati, gli usi e i costumi, i media, le dinamiche sociali, l’architettura. Vedremo se questo determinerà solo un cambiamento o anche un peggioramento della condizione attuale. Come è stato il vostro rapporto con i curatori del progetto, con gli architetti? La collaborazione è stata stimolante: tutti hanno lavorato a favore del progetto. Ci sono stati alcune divergenze, ma in un progetto complicato ed appassionante come questo crediamo rientri nella normalità. Forse le difficoltà sono nate dal fatto che apparteniamo a due mondi molto diversi a livello pratico, come l’architettura e il cinema. A livello teorico, invece, esistono dei legami fra il lavoro del regista e quello dell’architetto? Il regista in un certo senso è un architetto. Entrambi progettano, pianificano, sognano ambienti nuovi: entrambi sono mossi verso la costruzione del Bello.
Il “compagno” che cadde sulla terra
La fantascienza vista da Ausino
Fabrizio Accatino intervista Ugo Gregoretti
Fabrizio Accatino intervista Carlo Ausino
La fantascienza al cinema sbarcò per la prima volta a Torino nel 1963. Ce l’aveva portata Ugo Gregoretti, regista, giornalista, autore televisivo e teatrale, arguto e ironico fustigatore del costume nazionale. Aveva 33 anni e alle spalle un solo lavoro per il cinema: il film a episodi I nuovi angeli. Dall’anno successivo si sarebbe ritrovato a girare con autori come Rossellini, Godard, Pasolini, Chabrol, Polanski. Ma in quel 1963 si trovava in città per dirigere una storia che aveva fortemente voluto raccontare: quella di un alieno caduto sulla Terra, finito dentro il corpo di un operaio e divenuto capopolo nelle rivolte contro i padroni. “Omicron -racconta Gregoretti- era nato da un colloquio con Cristaldi, che voleva che io girassi un film su una specie di Don Chisciotte moderno, sulla falsariga di Un marziano a Roma di Flaiano. A me invece capitò proprio in quei giorni di leggere un’inchiesta sulla Fiat pubblicata dalla rivista Nuovi argomenti, diretta da Moravia e Carocci. Era una cronaca molto drammatica e documentata della guerra interna che la Fiat aveva scatenato contro gli operai, in particolare i leader sindacali. Leggendo questa inchiesta mi venne una gran voglia di girarci qualcosa su. Al contempo però non volevo tradire il produttore, mi ero anche letto alcuni romanzi di fantascienza, perché sull’argomento non ne sapevo un granché. Essendo poi la mia peculiarità quella della comicità, cercai di coniugare lotta operaia, fantascienza e divertimento. Un obiettivo anche troppo ambizioso, ma Cristaldi accettò”. Perché la scelta della città cadde proprio su Torino? La ragione fondamentale è che era la sede della Fiat. Bisogna dire che Torino aveva un’incisività ambientale tutta particolare, il che rese il film più raffinato. Ma era stata scelta soprattutto per evitare che anche per un solo istante ci si dimenticasse qual era il bersaglio della satira.
Per qualche motivo che meriterebbe di essere approfondito, la poca fantascienza girata che ha coinvolto Torino è caratterizzata da atmosfere esistenzialiste e da un taglio antiborghese. Dopo Omicron, nel 1975 fu la volta di La città dell’ultima paura. Era l’opera prima di un regista 37enne, Carlo Ausino, che raccontava le vicende del giovane vitellone Aldo rimasto solo in una città spopolata dall’atomica. Un film che all’epoca non venne praticamente distribuito e di cui oggi non rimane neppure una copia integrale: un piccolo ‘cult movie’ di nicchia che ha aperto la carriera cinematografica di questo regista, messinese di nascita ma torinese d’adozione. “All’epoca vivevo di film americani”, ricorda oggi Ausino. “Ce ne fu uno che mi colpì molto: Occhi bianchi sul pianeta Terra di Boris Sagal, con Charlton Heston. Ne parlai con alcuni miei amici e proposi di girarne una specie di remake italiano. Loro mi dissero che era impossibile: là c’erano Los Angeles, la grande macchina del cinema, i soldi. “Come puoi pensare di svuotare una città?”, mi chiesero. Gli risposi: “Vi faccio vedere come”. Mi buttai a scrivere e in una settimana la sceneggiatura era pronta. Restava il problema di trovare i soldi”. E come l’hai risolto? Come al solito: mettendoceli di tasca mia. Come hai fatto a ‘svuotare’ Torino? Beh, vedi, trenta quarant’anni fa le estati in città erano qualcosa di inimmaginabile: ricordavano veramente la Los Angeles del film con Heston. Posti come via Roma, piazza Castello, piazza Solferino erano veramente deserti. C’era il vuoto assoluto: non un passante, non un’auto parcheggiata. Le scene prima del fallout le ho girate in tarda primavera, le parti ambientate nel dopobomba d’estate. Quando giravi? La domenica, poco dopo l’alba, a partire dalle sette. Nelle vie secondarie avevo tempo fino alle dieci, ma in posti come piazza San Carlo alle otto dovevo già smettere. Per cercare di
Ugo Gregoretti, Omicron, 1963, l’operaio alieno, protagonista della pellicola, di fronte al complesso di Italia ’61 a Torino
Però la Fiat fu -per usare un eufemismo- poco collaborativa. A dire il vero proposi alla Fiat di girare all’interno dei suoi reparti, puntando su una loro improbabile ingenuità. Invece mi mandarono a quel paese, con garbata fermezza. Non potendola nemmeno nominare, girammo gli interni in un’altra fabbrica, la Nuova Pignone del gruppo Eni, che si dimostrò molto più liberale. Quando poi seppero che la Fiat ci aveva cacciati raddoppiarono le attenzioni nei nostri confronti. Questo però non bastò a evitare che Omicron venisse etichettato come ‘film scomodo’. E infatti venne distribuito malissimo. Avrebbe dovuto uscire nei cinema nel cuore della stagione invernale, invece alla fine uscì ad agosto. Il che fu peggio che non uscire. Diciamo che la critica non diede una mano al film. Venne invitato alla Mostra di Venezia in-
sieme a Le mani sulla città di Francesco Rosi. Eravamo gli unici due film italiani in concorso. Il suo vinse il Leone d’Oro, il mio fu maltrattato per evidenti ragioni politiche. I critici gli riversarono addosso torrenti di insulti. Per Omicron si è parlato di un approccio ‘dogmatico’ e ‘marxista’. Il che è curioso, perché a quei tempi non solo non appartenevo alla sinistra, ma non avevo nemmeno letto una riga di Marx. La violenza del film più che altro rifletteva la drammaticità dell’inchiesta da cui traeva spunto. Con che sentimenti ripensa oggi a Omicron? Con sentimenti di consolazione, perché da reprobo, da escrescenza mefitica dell’annata cinematografica 1963 è diventato un film a dir poco rispettato. Oggi ne sento dire un gran bene, spesso da parte degli stessi che all’epoca ne dissero un gran male. Hanno cambiato idea, mi fa piacere.
rubare più attimi possibili alcuni della troupe si piazzavano all’imbocco delle strade, improvvisandosi vigili urbani e bloccando con fischietto e paletta le poche auto che passavano di lì. Quali furono le reazioni degli spettatori quando videro il film? Ricordo l’anteprima al Cinema Romano. A un certo punto qualcuno -preso dalla claustrofobia nel vedere la sua città morta, desertificata- si alzò e uscì dalla sala. Piacque anche al Festival della Fantascienza di Trieste. Non vincemmo per un pelo. Dopo la presentazione del film stavamo ripartendo per tornare a Torino quando la direzione del Festival ci chiese di rimanere. Sembrava certo che Emanuel Cannarsa si sarebbe aggiudicato il premio come miglior attore. L’ironia è che rappresentavamo l’Italia ma fummo fregati dal giurato italiano. Si era accorto che Cannarsa era doppiato da Ferruccio Amendola, nonostante Ferruccio avesse fatto il possibile per rendere irriconoscibile la sua voce. Ho ancora alcune foto di Emanuel dopo la sfumata vittoria: era nero come il carbone. Nelle sale, però, il film praticamente non uscì. Il produttore Italo Zingarelli -il papà dei due ‘Trinità’ e di altri film di Bud Spencer e Terence Hill- mi diede quattro soldi per finirlo ma mi disse: “Carlo, il film te lo compro, però ti dico già che lo infilerò in un cassetto e non lo farò mai uscire”. L’operazione gli serviva per giustificare alcuni suoi giri di bilancio. Almeno fu onesto. Mi avesse promesso di distribuirlo sarei rimasto ancora più deluso. È vero che avevi in mente di girarne una specie di seguito? Nel 1993 ne avevo scritto la sceneggiatura. Si intitolava Improvvisamente un giorno. L’idea era quella di girare un film utilizzando come inserti alcune sequenze dell’originale. Sarebbe stato interessante vedere il contrasto fra la Torino di allora e quella di oggi. Ma tutto si è fermato alla solita fase: quella dei soldi.
Manifesto di Baba Yaga, di Corrado Farina , 1973
Il cinema di Corrado Farina F.A. “C’era qualcosa di artefatto e sghembo, quella sera, nel silenzio della città addormentata: come se la grande bestia formata da centinaia di migliaia di esseri umani non stesse affatto dormendo, ma piuttosto trattenesse il respiro”. È questo l’incipit di Il cielo sopra Torino, il più recente romanzo di Corrado Farina. La ‘città addormentata’ è il capoluogo subalpino, dove Farina è nato nel 1939 e dove ha trascorso i suoi primi trent’anni di vita, prima di trasferirsi a Roma, dove attualmente vive. Critico in erba, si è affacciato presto al cinema, dirigendo negli anni dell’Università una ventina di cortometraggi a passo ridotto, che costituiscono a tutt’oggi la fetta più interessante e originale della sua produzione. Tra questi, due i titoli riconducibili alla fantascienza, entrambi di genere sociologico, interpretati da Piero Civallero: L’ultimo scapolo del 1962 e Si chiamava Terra del 1963. Reincontrerà il genere fantastico con il passaggio al lungometraggio: nel 1973 dirige Baba Yaga, adattamento cinematografico di un’avventura fantasy della Valentina di Guido Crepax. Farina è stato uno degli autori di Selene, la prima eroina fantaerotica del fumetto italiano, nata sulla scia di Barbarella e durata appena sette numeri.
Un altro giorno un’altra ora ed un momento perso nei miei sogni con lo stesso smarrimento il cielo su Torino sembra muoversi al tuo fianco tu sei come me
Subsonica, Il cielo su Torino, 1999
05
incontri ravvicinati bruce sterling
Il giorno in cui nacque Adam Vurias Visto dal soppalco di Gurlino, il set sembra un piccolo big bang. Una moltitudine di individui che entrano ed escono, caricano e scaricano, corrono e si fermano, seguendo percorsi precisi, come trenini elettrici. Gli uomini della troupe stanno trascinando gli attrezzi verso la nicchia che fino a stamattina era uno spazio espositivo e ora invece è la stanza di Sam. Due ragazzi stanno tirando sulla parete un lenzuolo blu, su cui quelli della post incolleranno le visuali della Torino del futuro. In mezzo al traffico, i due registi paiono invisibili: fluttuano avanti e indietro, attraversando persone e cose come fantasmi in un racconto di Henry James. È in quel momento che vedo entrare Bruce Sterling dalla porta principale. Indossa un chiodo di pelle nera fuori tempo massimo, pantaloni di tela e scarponcini. Mentre avanza nel locale, scuote i lunghi capelli grigi in direzione di Jasmine che gli mormora qualcosa all’orecchio. Da dietro gli occhialini, il suo sguardo scivola lungo il corridoio fino alla base delle scale, dove ci sono io che sto facendo un cenno con la mano. Mi avvicino. Ci salutiamo e iniziamo a chiacchierare. Parliamo del cortometraggio. L’operazione gli piace, così come il personaggio di Adam Vurias, lo scienziato visionario che dovrà interpretare e che oggi siamo qui per sviluppare insieme. Gli piace il progetto, un piccolo film indipendente ma cocciuto, in cui tutto -anche la sceneggiatura- è un cantiere aperto. Mi dice che è contento di farne parte. Lo dice con entusiasmo, come se fossimo noi a fare un piacere a lui e non il contrario. Parliamo di fantascienza. Scopro che il suo film preferito non è Matrix o qualche altro delirio cyberpunk, ma Aelita, polpettone sovietico degli anni del muto. Parliamo di Torino. Dice che ama la città. In particolare la sua atmosfera di imminenza, il miscuglio
di antichità e futuro, l’aria da metropolipaese silenziosamente protesa verso il domani. Ci sediamo intorno a un grande tavolo di vetro, lui, Jasmine ed io. Iniziamo a buttare giù appunti. “Vurias è un bel nome” mi dice con il suo accento californiano masticato. “Io lo immagino così” e traccia con il dito sospeso una specie di spirale antioraria. Il suo gesto mi ipnotizza. Seguo con gli occhi la spirale, mentre mi interrogo sul suo significato. Così come? “Penso a Vurias come a un idealista, uno che ha realizzato una scoperta fondamentale per l’umanità, decodificando il segnale delle Rocce aliene, ma che ora paga il prezzo della sua rivelazione vivendo nascosto chissà dove. Non uno scienziato pazzo, ma un uomo giunto alla fine dei suoi giorni, logorato dalla malattia, che parla al mondo solo attraverso la rete. Un guru di Internet. Un leader politico suo malgrado. Una specie di Beppe Grillo, per capirci”. Scarabocchio il taccuino, faccio domande, rilancio. Lentamente la figura del dottore prende forma. La malattia che lo rosicchia dall’interno è un tumore ai polmoni, causato dal gran numero di sigarette. L’abbigliamento è da eterno ragazzo, più nerd che scienziato: una giacca scura e una maglietta con logo informatico, Microsoft, Yahoo, qualcosa del genere. Il dottore non parla con toni millenaristici, da esaltato: piuttosto, espone con pacata rassegnazione teorie che sa perfettamente non saranno credute. La metamorfosi procede. Mentre parla, Sterling si sta trasformando in Vurias. I suoi occhi -abituati a sgusciar via da quelli dell’interlocutore- tracciano traiettorie scomposte ai lati del mio sguardo, come retìne a caccia di idee. Il suo dito torna a scivolare nella spirale a mezz’aria visibile solo a lui. “Così”, ripete ancora, con voce lenta e baritonale. Arriviamo alla scena dell’intervista-testamento
Lo scrittore di fantascienza americano Bruce sterling, in compagnia della moglie Jasmina Tešanovic e di Fabrizio Accatino, co-curatore del progetto Afterville, durante un briefing creativo per la stesura della sceneggiatura del film (foto di Carlotta Petracci)
dello scienziato, che dovrà essere girata nello studio Undesign la settimana successiva, per essere poi frammentata all’interno del corto. Bruce propone Jasmine come intervistatrice, una giornalista italiana che si chiamerà Oriana, in omaggio alla Fallaci. Oriana è una fan del dottore e solo lei sa dove abita, in quale angolo del mondo (virtuale) si nasconde. Per gli oggetti sulla scrivania di Vurias, Bruce immagina chincaglierie local e fieramente trash: una bottiglia d’acqua di foggia strana, un accendino fatto a Mole Antonelliana, un posacenere a teschio. Chiede di fumare sigarette prodotte a Torino. Gli rispondo che non ne esistono, senza sapere che -ironia della sorte- usciranno in commercio esattamente una settimana dopo. Poi il colpo di genio: non essendo italiano, Vurias utilizza un traduttore automa-
tico, un enigmatico oggetto di design che si interfaccia allo scienziato con un cavo sottile, innestato dietro l’orecchio. Zampata di classe di una vecchia volpe del cyberpunk. L’apparecchio dovrebbe tradurre in tempo reale le parole dall’inglese all’italiano, ma dopo pochi istanti si fulmina e lo scienziato -scosso da una piccola scarica- se lo stacca dall’orecchio e riprende a dialogare con Oriana in lingua madre. Gli chiedo se sa parlare -o almeno leggere- in italiano. Lui abbranca una copia del Sole 24 Ore e inizia a recitare un articolo sulla situazione politica di confindustria. La scena è surreale. Dopo un attimo Jasmine ed io stiamo ridendo a crepapelle, mentre Bruce prosegue imperterrito la sua esposizione. Sembra Stan Laurel che legge un tg. In quell’istante mi rendo conto che Adam Vurias è definitivamente nato.
Frav on the moon
Frav si riconosce per la ricerca nella contaminazione dei materiali e per le forme inconsuete che si animano da tagli essenziali ma inattesi, audaci ma sinuosi. Come l’idea da cui sono nati. “Abbiamo iniziato con le idee molto chiare su quello che volevamo fare: rinnovare il guardaroba alla città di Torino. Ci siamo incontrati durante una ‘espressione’ matematica e artistica di amici. La mission di Frav è quella di entrare nel guardaroba delle principali città mondiali”. Una visione che si estende alla concezione dei punti vendita, in cui l’attenzione per l’elemento visivo e la selezione musicale tappezzano le pareti e permeano l’aria. “La progettazione dei punti vendita ha una spina dorsale di ferro che fluisce in un’accurata selezione di elementi vintage e corpi illuminanti. Il tutto avvolto da pareti artistiche con fini orecchie musicali”. Ancora una risposta, sintesi di un incontro tra diverse esperienze artistiche, Frav e Undesign. Abiti prestati agli abitanti della metropoli del futuro di Afterville the Movie, e al robot manifesto dell’intera rassegna, nel progetto fotografico di Carlotta Petracci “Convalescenza positiva per l’intervento avvenuto sui nostri capi e accrescimento culturale per il nostro brand”. costumi per la città che non c’è. Ancora.
Veronica Do
Roberto Laureri, e Giorgia Wurth, in abiti FRAV durante le riprese del film Afterville, sul tetto del Politecnico di Torino (foto di Carlotta Petracci)
“Io sono – lei è + a volte le cose si ribaltano ma il risultato è sempre =”. Il tempo è poco e ‘quelli di Frav’ non fai in tempo a incontrarli di persona. Sul foglio bianco di una mail, le domande sbucano acerbe, alimentate da una curiosità che vorrebbe farle maturare, approfondite. Ne scaturiscono rivelazioni e spunti, nuclei e slanci, percorsi tracciati e volute in potenza, in equilibrio tra – e +. Quelli di Frav. Li immagini a metà tra i bambini che a scuola ‘non c’è verso di fare stare in fila’ e un duo musicale che suona senza svelare i volti dei componenti. Irriverenti con talento. “L’idea del nome è nata durante un viaggio a Copenaghen nel 1996 per ricordare due miti della nostra esistenza. La decisione di scrivere per esteso il significato dell’acronimo è avvenuta dopo una divulgazione del nome Frav, che ha destato molta curiosità sul significato. Il logo attuale è lo scheletro di un altro logo precedentemente usato”.
Sceneggiatura Sterling
Afterville - the Movie vede la straordinaria partecipazione dello scrittore americano di fantascienza Bruce Sterling (curatore ospite del Piemonte Share Festival 2008), considerato insieme a William Gibson il padre del cyberpunk, autore di capolavori come La matrice spezzata (1985), La macchina della realtà (1990, con Gibson), Caos USA (1998) o della raccolta di racconti Mirrorshades (1986). Per il film, Sterling ha scritto e impersonato il personaggio dello scienziato Adam Vurias, il primo uomo ad essere riuscito a decodificare il radiosegnale emesso dalle Rocce. Qui di seguito la prima stesura della sceneggiatura durante lincontro con Fabrizio Accatino. Vurias: Thanks for that introduction, Mr Prime Minister. I don’t understand why people still want me to give public speeches like this. It’s all in this book. It’s a big book. You may not have time to finish it. Please don´t treat me like some kind of hero. I am not a hero, I just had to come clean with the evidence we found. And everything that we did to find out about Zero Hour -- believe me, after Zero Hour, none of that is going to matter at all! The cosmic clock is ticking, we are in the invisible hands of a truly cosmic transformation and the planet Earth -- starting here in Torino -is going to be re-built from the level of QUARKS. The entities will re-engineer our hopes and dreams... I’m not going to last long enough to experience the dark energy...I don’t have time to prove to you how I know that. But I DO know that. It’s the truth. I can FEEL it. (Shouting) No I can’t take any questions. No I do NOT speak Italian... Please let me leave now, I don’t feel well. I have to go. Oriana: (in front of the camera) (in Italian) Spero che questa cosa funzioni. La gente della sicurezza me l’ ha quasi confiscata dalla borsa.... Adam Vurias (fiddles silently with hightech objects on desk) Oriana: (in English) Adam, look into the camera. Adam: You got cigarettes? Orianna: Certo! (she passes him one Italian cigarette, lights it with Italian lighter, etc) Tell us what you discovered about the UFOs. Adam: Don’t call them UFOs. Oriana: I mean the aliens. The entities. Use ordinary language... For normal People. Adam: (coughs) I wrote a whole book about the entities. Right here. I hope this gets published some day. Not in my lifetime, I guess. Oriana: Just tell us. Look in the camera. Adam: (looking at her) Your website will get in a lot of trouble. Oriana: Our website is always in trouble. Adam: Well, like I told you, when the
government realized those were true signals... They had to recruit the best people, the best technical minds in the world. They hid us in the desert, a Manhattan Project, Area 51... we worked around the clock...Geniuses, some of them DIED for this... Maybe I’d better just show you. You know that I don’t speak Italian, right? Oriana: (in Italian, sarcastically) Si dottor Vurias. so benissimo che non sai dire una parola nella mia lingua materna. Adam: What? Oriana: Yes, tell us everything, show us! Adam (fatalistically): This will hurt me. It always hurts me. Don’t get alarmed. (He fiddles with devices, plugs into his ear and brain. Oriana stalks anxiously around the room, windows open and shut, blinds rattle, etc). Adam: (In Italian) Nella nostra base segreta c’erano trecento scienziati...criptografi, decodificatori, spie, astronomi dal Centro di ricerca sull intelligenza extraterrestre... perfino gli informatici, gente come me, hackers...hai un portacenere? Oriana (silently passes ashtray across desk) Adam (absently, in Italian): Perbacco, questo portacenero e’ davvero carino. Abbiamo fatte delle meraviglie con questa macchina della traduzione. la grammatica, la semantica, la sintassi, la linguistica l’informatica ...abbiamo decriptato la loro trasmissione in codice dopo aver scoperto un minuscolo diffetto nella loro struttura spazio temporale. Si tratta di tre gradi di radiazione del corpo nero nel background. E asinotropico. Oriana: Questa intervista e’ per gente normale Adam. Parla semplicemente. Adam: Si , tutto il mondo deve conoscere questo...Non me ne frega di cosa succedera’ a me! (lights another cigarette) Adam (still in Italian): Abbiamo decodifiato il codice. E’ la sincronizzazione. E’ il segnale del tempo. Lo puoi chiamare il ritmo del loro cuore. Loro - le entita’ sono degli architetti. Costruiscono. Con matteria oscura, energia oscura. Sono un asintote, la curva matematica, che porta all’ora zero. E dopo quell’istante - una frazione d’un secondo - tutto sulla terra sara’ diverso. Oriana: Distruggerano il mondo? Adam: (more agitated) Non distruggere. Trasformarlo! Ricostruirlo! Completamente! E quel momento sara’il ventitre settembre del duemillaventitre alle ore nove e ventidue del mattino. Dopo quel momento ci saranno delle strutture diverese del tempo su questopianeta.... cosmicamente nuove...cose che la lingua umana non sa definire! (He pulls the device from his head, she covers the lens with her hand).
Per fare architettura bisogna occuparsi d’altro: cinema, musica, letteratura. Dall’architettura non nasce altra architettura.
Massimiliano Fuksas, I nuovi architetti italiani di Paolo Portoghesi, 1985
Carlotta Petracci “Torino, 2058. Le Rocce, le gigantesche astronavi di origine aliena che da anni giacciono conficcate nel tessuto urbano, si sono risvegliate. Il radiosegnale da loro emesso non è altro che un countdown inarrestabile che corre verso il Grande Zero. Sam si sveglia come in una giornata qualunque, pur sapendo che oggi non sarà una giornata qualunque: la fine -per Torino e per il mondo- è arrivata. Rimangono ancora poche ore per completare l’ultimo, lungo addio dell’umanità”. Così recita la sinossi di Afterville the Movie: primo film di fantascienza dell’era digitale interamente ambientato e girato a Torino; diretto dalla coppia di giovani registi milanesi Fabio Guaglione e Fabio Resinaro (già autori di cortometraggi di fantascienza apprezzati e pluripremiati come E:D:E:N e The Silver Rope) e presentato nell’anno in cui la città ospiterà il XXIII Congresso Mondiale degli Architetti, UIA Torino 2008. Effetti visivi di grande efficacia, che presentano architetture future ( i grattacieli di Piano e Fuksas) e futuribili (le enormi sagome di dischi volanti incastonate nel tessuto urbano) che mutano lo skyline della città, innescando riflessioni e domande sul suo domani; e prospettando il ritorno, dopo le due non
più tanto recenti esperienze di Omicron (diretto nel 1963 da Ugo Gregoretti) e La città dell’ultima paura (diretto nel 1875 da Carlo Ausino), della science fiction nel panorama cinematografico italiano. Come tutto è cominciato. Torino, novembre 2007: il piano superiore dello showroom Gurlino Arredamenti in via Carlo Alberto n. 38 viene rivestito di blu. Si sta partendo con una nuova scena. Un vero e proprio salto nell’immaginazione, forse nella speranza, visto che tutt’intorno nulla più conta. Ci sono solo la camera, sam e il blu. Chi può sapere cosa ne sarà alla fine di quei movimenti apparentemente senza senso che avvengono di fronte al nostro silenzio. Chi può dire che forma prenderà quel vuoto visivo. Ci basti pensare che la meraviglia parte da quest’attesa. Qualcuno mi racconta che il bluescreen si trasformerà in uno schermo. E io provo a immaginare. Vedo sam, immagine dell’uomo, lo schermo, proiezione fantasmatica dello specchio, e tutto quello che la tecnologia costruirà intorno. Mi perdo nei pensieri. cerco di leggere quelli degli altri, e provo a seguire il filo di un racconto fatto a pezzi; senza inizio né fine, né cronologia. Un vero e proprio viaggio nel “mondo
dentro”. Quando siamo di fronte ad uno schermo, così come quando siamo di fronte ad uno specchio infatti siamo tutti dentro; pronti a perderci in uno spazio immaginifico e mentale privo di confini. Non esistono direzioni privilegiate, né punti di partenza e di arrivo. Tanto che l’esasperazione viene dall’impossibilità di identificare ogni direzione; dal perpetuarsi del trauma del confronto con l’altro. Le certezze svaniscono; l’identità diventa un dubbio, e sale l’agonia. Proprio come accade a Sam. È l’imminenza della fine il motore della ricerca di senso. Una domanda ripetitiva ce lo ricorda: “e tu, cosa farai l’ultimo giorno?”. Un pensiero univoco, collettivo, prende corpo nelle parole del protagonista. Sam vuole sapere, vuole capire, perché non riesce a vedere più in là. La telecamera lo supporta, lo aiuta, lo completa, in quella pallida speranza di cogliere ciò che gli occhi non possono e non vogliono; in quella disperazione che viene dall’essersi smarrito. Siamo al culmine, al momento topico: aspettiamo una voce. E la voce viene. La voce è là: proprio là, dentro lo schermo. Dentro a quella realtà che ci si apre davanti come una scatola cinese; come metafora di un inizio senza fine. Con queste poche parole eccoci dunque al titolo di questo pezzo: silverscreen. Schermo d’argento. schermo lucido e brillante; liquido. Dal quale veniamo e a cui torniamo. Locus amenus delle fantasmagorie della mente e del pensiero; delle peregrinazioni della fantasia. Delle architetture della fantascienza.
Frame tratto dal film Afterville. The Movie di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, Italia, 2008. Casa di Sam, allestita presso lo show room Gurlino Arredamenti
incontri ravvicinati fastforward
primavera 2008
FastForward: la fabbrica dei sogni Luca Tessuto intervista FastForward A pochi giorni dall’anteprima nazionale del film AfterVille incontriamo Walter Giannelli e Matteo Corbi di FastForward infaticabili artefici dell’imponente e straordinario lavoro di postproduzione del film, ai quail chiediamo di svelare I retroscena di questi ultimi mesi di notti insonni per realizzare un progetto assolutamente unico per il panorama cinematografico italiano. Cinema come mezzo di costruzione narrativa, ma anche come arte degli effetti speciali, FastForward rappresenta in italia una delle realtà emergenti più presenti e prolifiche in questo campo, raccontateci cos’è e che cosa fa FF? Walter Giannelli : “FastForward e’ un visual creative studio. Nasce nel 2002 dall’esigenza del fare della creatività e della progettazione il proprio punto di forza nella creazione di progetti sempre più innovativi e originali. Dopo un’esperienza pluriennale in una delle piu’ grosse case di postproduzione italiane i fondatori hanno creduto in un’idea nuova e in una struttura piu’ dinamica e flessibile che ha dato luce ad uno dei primi progetti di design studio in Italia. FastForward si è affermata attraverso produzioni audiovisive soprattutto nell’ambito del broadcast firmando i concept e la realizzazione dell’identita’ dei canali La7 e Sky, producendo filmati selezionati e premiati a livello internazionale: numerosi infatti sono stati i riconoscimenti conferiti in occasione di svariati festival e concorsi come il Promax BDA. La progettazione e la ricerca sono da sempre il tratto distintivo e peculiare di FastForward che anche a livello cinematografico ha saputo contraddistinguersi - nonostante le ingenti difficolta’ presenti in Italia – sperimentando ed investendo in progetti a lungo termine che si sono avvalsi dell’ausilio delle piu’ avanzate tecnologie sia in ambito di ripresa che di postproduzione. Mettere a disposizione dei propri clienti il knowhow acquisito è l’obbiettivo principale di FastForward che fa della creazione di prodotti sempre più originali e creativi la propria mission.” Cosa vi ha spinto a partecipare al film e al progetto afterville? W.G.: “Avevamo gia’ avuto modo di conoscere Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, ed e’ stato proprio in questi prolungati e frequenti incontri che abbiamo deciso di collaborare ad un film che fin dalla scrittura risultava essere una grossa sfida per tutti. E’ stato proprio il concept che ci ha fatto innamorare del progetto. Non avevamo sicuramente mai avuto la possibilita’ di cimentarci nello sviluppo di un film di fantascienza e abbiamo pensato che fosse questa l’occasione giusta per investire le nostre conoscenze e le nostre risorse per un prodotto di alto profilo. La sfida era proprio sul fatto che ormai le interferenze visive agli occhi dello spettatore sono innumerevoli, ci si aspetta sempre di vedere soluzioni nuove, sempre piu’ reali, sempre piu’ integrate in un contesto di vita normale. Ha iniziato cosi’ a prendere forma Afterville. ma prima delle parte “attiva” delle riprese c’è stato tutto un periodo lunghissimo di preproduzione in cui si sono piano piano delineati il carattere e il design dei nostri attori protagoniti: ... gli ufo!.” Quali e quante risorse, figure professionali di FF sono coinvolte sul progetto afterville? Matteo Corbi: “Il progetto ha richiesto l’impegno di circa una quindicina di persone nella fase di postproduzione. Per le ambizioni produttive del progetto
FastForward, estratto dallo storyboard e alcune fasi di definizione degli UFO tratti direttamente da Maya, 2008 in basso FastForward, snapshot della lavorazione degli UFO, nella zona della piazza della Repubblica e sul lungo Po, tratti direttamente da Maya, 2008
il team era ristretto, e infatti ognuno ha dovuto dare il massimo per portarlo a termine. Il gruppo di lavoro è composto da figure assolutamente diverse tra di loro, che collaborando sono riuscite a dare corpo alla visione dei registi. Nel nostro team abbiamo disegnatori, conceptual artist, grafici e animatori 2d, modellatori, animatori 3d e compositors straordinari “ Quanto e come interviene l’effetto speciale e la postproduzione in un film di fantascienza, quale peso ha sul risultato finale? M.C. “L’approccio all’effetto speciale cambia in base alla tipologia di ripresa su cui dobbiamo lavorare, e sul risultato finale che si vuole ottenere. Innanzitutto ogni scena che richiede il nostro intervento è pianificata ben prima dello shooting, con una serie di previsualizzazioni che ci aiutano a capire che tipo di consigli dare al regista e al direttore della fotografia per poter agevolare il nostro lavoro e per poter ottenere il miglior effetto speciale possibile. Gran parte del lavoro di postproduzione per AfterVille è basata su una tecnologia futuristica molto presente nell’appartamento del protagonista Sam come le pareti e le superfici che diventano schermi. Abbiamo girato circondati da Blue Back, e la difficoltà consisteva proprio nel riprodurre, utilizzando i movimenti e la fantasia dell’attore, quella che è una tecnologia che sta per arrivare. Quello che facciamo in FF è proprio mettere insieme con tecniche miste i vari pezzi che poi comporranno l’immagine finale del film. Gli strumenti
che utilizziamo nei nostri interventi possono andare dal già citato Blue Back (ovvero la sottrazione e la sostituzione di determinate porzioni di immagine con materiale digitale) passando per il Camera Tracking (la restituzione del movimento di camera reale sul corrispettivo tridimensionale), fino al Matte Painting (integrazione o creazione ex novo di scenari disegnati digitalmente). In particolare l’utilizzo di Matte Painting nasce proprio dall’esigenza di disegnare meravigliosi scenari limitando la modellazione in 3d degli elementi; in AfterVille non abbiamo ricostruito completamente la città di Torino in digitale per poterla raccontare come una città nuova, ma abbiamo cercato di “truccare” l’attuale Torino, proprio in funzione del fatto che cinquant’anni sono pochi per cambiare totalmente la faccia di una città creata in centinaia di anni. Numerosi sono I software che ci vengono in soccorso nel nostro lavoro: per quanto concerne design & concept utilizziamo Photoshop, Illustrator e After Effects, per il 3d , Maya, per quanto riguarda il Camera Tracking ci serviamo di Boujou, Match Mover e Pf track mentre il nostro reparto Compositing utilizza Shake, Combustion e Fusion; infine, per l’editing & finishing usiamo Final Cut e Color.” Quale è stato l’aspetto “futuristicofantascientifico” del film più complicato da rendere reale con la postproduzione? M.C.:“Sicuramente l’aspetto più difficile della postproduzione di AfterVille è stato l’integrazione di elementi 3d nelle riprese reali.
Ovvero, l’inserimento degli Ufo (elementi creati completamente in post-produzione) nelle riprese della Torino reale. In particolar modo, le sequenze aeree d’apertura hanno richiesto parecchio tempo in fase di progettazione. Abbiamo cercato di immaginare in che modo, sia da un punto di vista stilistico che post-produttivo, avremmo potuto inserire questi oggetti dalla massa così enorme nel tessuto urbano di Torino. Dopo la fase di progettazione e previsualizzazione, è stato necessario posizionare in 3d gli ufo nelle riprese (il cui movimento di camera era stato precedentemente trackato), illuminarli con la luce nella stessa direzione della scena reale, uniformare la colorimetria e aggiungere la grana della pellicola… Lo stesso procedimento è stato utilizzato anche per le infrastrutture futuristiche costruite nelle zone circostanti gli Ufo.” A proposito degli Ufo, le Rocce, veri e incontrastati protagonisti di AfterVille chiediamo direttamente a chi li ha disegnati, Simone Antonucci, di raccontarci qualcosa di più sulla loro creazione: Il rigoroso “spirito geometrico, delle Rocce” e le spaccature nella loro superficie esterna levigata che svelano complesse viscere di ingranaggi riconducono alla monumentalità estetica dei dischi di Pomodoro, quali sono state le altre fonti di ispirazioni e come si è evoluto il loro disegno? Simone Antonucci: “Lusinghiero il riferimento…effettivamente gli ufo hanno un ruolo nel film molto profondo: non sono semplicemente degli artefatti alieni, si ispirano al concetto del monolite di
2001 Odissea nello Spazio, all’idea di un oggetto alieno che sviluppa una coscienza nell’essere umano. Nella loro creazione, ho cercato di ragionare sul concetto del tempo, che ritorna spesso nel cortometraggio; quindi, un po’ la forma degli ufo, un po’ come sono strutturati, richiamano un orologio, la divisione per ore, le lancette… o quantomeno questo era stato uno spunto di partenza... L’ufo, come progetto, è partito inizialmente in un modo e sta arrivando ad essere abbastanza diverso, perchè ci hanno lavorato su parecchie persone; nelle fasi finali l’ufo si è “incattivito” un po’, diventando sempre più inquietante ed oscuro. Abbiamo anche inserito piccoli particolari curiosi, ad esempio parte della texture dell’ufo è tratta dalla mappatura del dna umano.” Come avete fatto a riprodurre la scena nell’ appartamento di Sam con le pareti che “magicamente” si trasformano in schermi multimediali e il tavolo-monitor con cui interagisce continuamente il protagonista? Matteo Corbi: “Questa scena ha richiesto sicuramente uno sforzo congiunto di tutti i reparti artistici e post-produttivi del team. In primo luogo, Fabio&Fabio hanno immaginato completamente la scena, e si sono focalizzati su cosa serviva loro a livello narrativo. L’idea era quella di “catapultare” lo spettatore all’inizio nel film nella camera di un giovane del 2058. Ci imbattiamo quindi subito nel livello tecnologico che sarà di uso comune nel futuro. Megaschermi tv sui muri di casa, che continuano a fare zapping su una quantità inifinita di canali. Questi monitor sono a loro volta collegati con un futuristico oggetto, l’”All”, inventato da Jacopo Rondinelli, ovvero un braccialetto che riassume in sé tutte le funzioni di cellulare, videocamera, pc, carta di credito, ecc.. Il tutto interagisce costantemente con un tavolo-touch-desktop. Per rendere reale questa concezione di tecnologia futura, ci siamo documentati sui prototipi attualmente in fase di sviluppo per tutto ciò che concerne la touch technology costantemente in evoluzione. Fabio&Fabio assieme a Simone Antonucci hanno disegnato lo storyboard del film. Per ogni singola inquadratura quindi sapevamo, già prima di girare, che tipo di approccio all’effetto speciale avremmo dovuto adottare. Abbiamo progettato il set insieme ai registi, al direttore della fotografia e allo studio Undesign. Un aspetto che Paolo Bellan, il DOP, ha dovuto curare molto, è stato il complicato light set che abbiamo dovuto impostare per poter rendere possibile la presenza di molteplici blue screen in un set tutto sommato ristretto. La finestra di Sam, i mega monitor, il bracciale “All”, il tavolo… sono stati tutti Blue Screen che hanno necessitato di un’illuminazione diversa, oltre alle luci che caratterizzavano l’atmosfera generale della stanza.” Quanto conta “la macchina” e quanto “l’uomo” nella produzione di effetti speciali? M.C.: “Certo, avere qualche processore potente a volte aiuta a diminuire i tempi di calcolo…e nel nostro lavoro I tempi sono fondamentali. Ma è sempre l’uomo che decide che tipo di procedimenti usare per l’effetto speciale. E’ l’uomo che decide come utilizzare gli strumenti che ha a disposizione per poterli sfruttare al massimo. La macchina senza l’uomo non si accende nemmeno. La macchina conta zero, la macchina è uno strumento”
Extraterrestre portami via voglio una stella che sia tutta mia extraterrestre vienimi a cercare voglio un pianeta su cui ricominciare Eugenio Finardi, Extraterrestre, 1976
BugiNen, packaging design realizzato da Undesign (Michele Bortolami e Tommaso Delmastro), per gli oggetti di scena del film Afterville, (foto di Carlotta Petracci)
Afterville store Marco Nicastro Si chiamano props, o prototipi di scena. in teoria, tutti quegli oggetti creati ex novo appositamente per fare da scenario alla realtà simulata di un film. in pratica, qualcosa di più. La possibilità per designer e progettisti di immaginare il microcosmo in cui i personaggi della finzione vivranno le loro vite. Perchè sono i piccoli oggetti quotidiani, con cui abbiamo concretamente a che fare tutti i giorni, che accompagnano davvero la nostra esistenza: dalla bottiglia dell’acqua al pacchetto di sigarette, chi non ne conosce forme, colori, utilizzi? Ecco che da questa piccola riflessione può nascere la rivalutazione di oggetti che diamo per scontati, ma che in realtà esprimono fortemente il nostro mondo. Non a caso sono proprio i reperti archeologici di piccoli oggetti quotidiani, piuttosto che le grandi opere, che ci fanno conoscere le civiltà passate. Da qui prende il via l’ intrigante sfida del progettarli, dell’immaginarsi la vita di una realtà futura, a volte utopica, creata proprio passando attraverso i piccoli gesti quotidiani. Oggetti pensati, per una volta, senza dover tenere conto di richieste di committenti, di regole di marketing o di limiti tecnologici ed economici: la fantasia può prendere il sopravvento, volare alta e senza vincoli, con la certezza di vedere il mondo che si è creato prendere effettivamente vita nella finzione cinematografica. Gli oggetti ideati da Undesign per la Torino del futuro del film AfterVille muovono proprio in questa direzione, saltando dalla citazione colta e per ‘esperti’ del settore della birra Ponti, la superleggera, con la bottiglia rigorosamente striata in bianco e nero, fino al gioco che vede la natura global del fenomeno fastfood strizzare l’occhio alla tradizione culinaria piemontese con il kit take-away BugiaNen. Piccole perle che stupiscono e appagano lo spettatore che le sa cogliere, che è capace di osservare a fondo e scavare tra le righe della storia raccontata sullo schermo. Perchè anche un oggetto apparentemente banale, come può esserlo una bottiglia d’acqua, è parte integrante della cultura del suo tempo.
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suoni dallo spazio larsen, da metropolis ad afterville
Effetto Larsen Nick Aster intervista i larsen La biografia recita: Larsen, in più di dieci anni di attività ha pubblicato sei album, due ep e un dvd e si è conquistato il plauso incondizionato della stampa (inclusa la prestigiosa testata inglese The Wire) e ha suonato in tutto il mondo, sia come headliner, sia in cartellone con Neurosis e Einstürzende Neubauten,fra gli altri. Larsen ha anche realizzato colonne sonore per il cinema e per il teatro, inclusa quella di Cartoanimalettimatti, commissionata dall’Università di Torino per i film di animazione di Winsor McKay. Le collaborazioni sono innumerevoli così come i progetti personali con ogni membro del gruppo indaga le varie dimensioni dell’universo musicale. Loro sono: Fabrizio Modonese Palumbo (chitarre, voce, harmonium), Marco Schiavo (batteria, xilofono e voce), Paolo Dellapiana (tastiere, accordion, voce), Roberto Clemente (chitarre, voce). Nel concerto più recente, si è aggiunta, alla consueta line up, Julia Kent, violoncellista canadese di fama internazionale. L’ultima loro performance è stato lo show “From Metropolis to Afterville” che si è tenuto il 27 e il 28 marzo alla Mole Antonelliana, dove la band ha sonorizzato un montaggio di clip tratte dai più famosi film di fantascienza nelle quali la città del futuro è protagonista. Il folto pubblico delle due serate ha riservato un’autentica ovazione ai Larsen, che hanno suonato sulla balconata sovrastante l’Aula del Tempio, scendendo lungo la rampa, cosparsi da led blu come alieni. La loro performance non ha tradito le aspettative dei fan e nemmeno quelle dei curatori di “Afterville”, che, avevano pensato a loro come star delle due serate proprio dopo aver assistito a Cartoanimalettimatti e ABECEDA, sonorizzazione ispirata alla grafica del cecoslovacco Karel Teige ed inserita nel programma ufficiale di “Settembre Musica 2006”. Li incontriamo ora, due settimane dopo l’evento. Parliamo del successo della performance “a bocce ferme”. L’ambasciatore del gruppo questa sera è Paolo Dellapiana, che usa portatile Mac e fisarmonica come emblemi diacronici della musica nomade. Incominciamo con le domande di rito. Quando vi è stato proposta la collaborazione con il progetto “Afterville” avete accettato subito con entusiasmo. Cosa abbastanza inusuale, conoscendovi, visto siete abbastanza selettivi e critici Essere selettivi e critici non significa essere obbligatoriamente lunghi nelle decisioni o peggio fare i preziosi. Il progetto ci è sembrato subito interessante e la location a dir poco affascinante. Nella storia del cinema di fantascienza, gruppi famosi, come i Vangelis, hanno commentato con le loro partiture, film altrettanto famosi. Il genere aiuta a scoprire nuove sonorità, o a sintetizzare le proprie? No. Abbiamo sonorizzato immagini di vario genere riguardanti temi diversi. Direi che la particolarità del processo creativo sta nel cogliere suggestioni dalle immagini in senso assoluto. Le nuove sonorità sono una conseguenza naturale. Nel nostro caso l’impronta Larsen è stata comunque molto riconoscibile. A proposito di fantascienza, Afterville si propone di rintracciare il fil rouge
La città del cinema spesso sfugge o rimane sullo sfondo. Lo sguardo della macchina da presa, selettivo ed implacabile, inquadra i personaggi principali, ma non lei. Nella fantascienza accade meno frequentemente. Un’astronave che volteggia tra i grattacieli, un inseguimento con macchine volanti, un viaggio in una metropolitana sopraelevata, sono l’occasione per mostrarci la città ed, in una sola scena, farci capire qual è il futuro immaginato dal regista. A volte, si amplificano stereotipi e modi di vita del quotidiano; altre si nega completamente il presente. In due parole, si progetta. Il regista diventa architetto e immagina il futuro. Non solo: lo costruisce anche! La città è reale. L’idea di quella vita futura diventa tangibile. Questa riflessione è il trait d’union che lega il montaggio dei film presentati nello spettacolo Da Metropolis ad AfterVille. Una carrellata di clip cinematografiche ripercorono cronologicamente la Storia del Cinema, da Metropolis ad AfterVille
Dalle balere allo spazio N.A.
I Larsen, band espressione della scena sperimentale internazionale, protagonisti di un concerto inedito, da Metropolis ad Afterville, nella Sala del Tempio della Mole Antonelliana. (progetto fotografico Carlotta Petracci)
che lega l’immaginazione e la progettazione del futuro. Come pensate che ciò possa accadere nella musica? Insomma, se i Larsen scrivessero una “traccia” fantascientifica, quale sarebbe la loro visione della musica futura? Posso tranquillamente affermare che la musica dei Larsen è in continua evoluzione; in più di dieci anni si è trasformata ed è evoluta senza pause sia dal punto di vista compositivo che da quello sonoro. A suo modo la sento come una “traccia fantascientifica” perenne. L’importante è mantenere l’istinto evolutivo in salute. In qualche modo, la dimensione live richiesta per Afterville è già qualcosa di futuro per la musica. Uno spettacolo che ha usufruito di più input esterni quali il montaggio delle clip e una location suggestiva e peculiare. Pensate che la musica del futuro sarà sempre più contaminata da elementi esterni? E soprattutto, pensate che questo sia un fenomeno positivo? Ritengo che la composizione musicale sia frutto di un continuo stimolo esterno filtrato dai meandri più remoti della propria anima (anima in senso lato ovviamente) e viceversa. In questo caso la Mole Antonelliana è stata uno stimolo molto evidente per gli astanti ma il processo creativo ha sempre il medesimo percorso e lo avrà sempre. Mi piace pensare che sia più una questione di sensibilità interna che di un’ingerenza esterna. In un presente dove il supporto musicale e la musica “suonata” perdono importanza a favore di formati digitali riproducibili infinite volte, il momento del “concerto” risulta essere l’unico in cui l’artista riesce veramente a controllare il proprio prodotto. Pen-
sate “concerto” come momento di sperimentazione, e non di riproduzione del lavoro in studio, avrà spazio nella musica futuro? Io spero che il concerto non abbia mai perso la funzione di “momento sperimentale”; Modificare, aggiungere, contorcere la musica nel momento della sua riproduzione dal vivo è una delle cose che in assoluto mi divertono di più. E’ successo anche alla Mole….. Per un tipo di musica come la vostra, è molto importante anche la parte in “studio”. Com’è nato il “live” dal montaggio? Conoscevate i film? Vi ha influenzato il ricordo di quelle storie oppure vi siete basati sull’estetica delle singole sequenze? I film li conoscevamo ma l’attenzione è stata posta esclusivamente all’estetica e alla suggestione delle immagini. Il rischio di cadere in luoghi comuni sonori legati alle atmosfere dei film era notevole, credo che così facendo si sia decisamente aggirato l’ostacolo. La musica con il suo ruolo di “commento” al cinema ha sempre enfatizzato situazioni ed emozioni, a differenza del videoclip che ha funzione diametralmente opposta. Da questo punto di vista, come può essere letta l’esperienza di “Afterville -the Show”? Credo che la generale visione della musica come “commento” alle immagini sia a dir poco restrittiva. La musica è parte integrante di uno spettacolo, così come lo sono i colori, le parole, le luci o qualsiasi altro componente. Mi piace pensare che sia stato così anche per lo show di Afterville. Ovviamente è una mia opinione personale. Sorpresa dell’ultimo minuto: alla vostra line up si è aggiunta Julia Kent, con cui avevate già collaborato
in passato. Cosa vi ha fatto pensare che avrebbe potuto così bene adattarsi al progetto Afterville? Nel suo violoncello, avete trovato sonorità future? “Da AfterVille a Larsen” Intervista gruppo che ha sonorizzato la show alla Mole Antonelliana La presenza di Julia nei Larsen è ormai un accadimento talmente frequente e consolidato che la consideriamo quasi una quinta Larsen (come per altro si sente anche lei). Il suono del suo violoncello si è subito intrecciato con le nostre sonorità ed è nei nostri cuori da sempre. Le voci di corridoio dicono che state preparando un nuovo album e che alcuni degli esperimenti di Afterville - the Show ritorneranno nelle vostre nuove tracce. Volete fare qualche anticipazione? Registreremo un nuovo album a giugno che includerà buona parte della musica scritta in occasione di Afterville. Avremo degli ospiti affascinanti…. Dove vi sentiremo suonare a breve? Abbiamo alcune date a giugno in festival estivi. Il nostro calendario è in continua evoluzione. Andate sul nostro sito (www. larsen.to.it) per gli ultimi aggiornamenti.
passando per Fahrenheit 451 e Blade Runner e mostrando l’evoluzione della città futura, in oltre cinquanta pellicole ed un secolo di cinema. E’ stato un viaggio avvincente! Partendo dalle megalopoli totalitarie e giungendo ai deserti post atomici, le città siano sempre state lo specchio delle nostre aspettative e delle nostre paure che, con esse, si sono evolute e diversificate. Questo è il motivo principale per cui è stata scelta la progressione cronologica delle clip: lo spettatore può paragonare la Storia mondiale dell’ultimo secolo con le aspettative future che ogni periodo storico del ‘900 ha generato. Nessuno degli “immaginari” ha avuto finora completo riscontro e nessun film è stato totalmente “profetico”. Un altro criterio di scelta è stato considerare il ruolo attivo delle metropoli nei film, dove non fungessero solo da “fondale” alla storia. In questi casi, l’azione dei protagonisti coinvolge la trama urbana nel profondo. Molto spesso, l’interazione è tale che la città viene distrutta , e con essa, il tipo di futuro che essa rappresenta. Il protagonista è tale proprio perché, per cambiare il futuro, distrugge il simbolo del suo presente: la città. Con l’uso delle tecnologie odierne e di modelli tridimensionali, le metropoli sono ormai diventate molto più estese e l’ambientazione non è solo più “suggerita” ma resa reale con animazioni tridimensionali che ce la fanno vivere a pieno. Abbiamo detto addio ai fondali sgranati per abitare la città dei film. I film
scelti fondano parte del loro successo sull’ambientazione in città, vere o immaginarie, ma comunque specifiche. Le città sono state progettate per il film a cui appartengono e, quando si utilizzano location esistenti, la loro evoluzione è sempre specchio dell’idea “fantascientifica” alla base della trama. Inoltre, l’idea fondante del progetto curatoriale di AfterVille evidenzia “in toto” quando, il regista sceglie architetture ed oggetti esistenti per mostrare la sua idea di “futuro”: non solo il cinema influenza gli immaginari collettivi futuri, ma chiunque progetta pensa al futuro e ne tenta di anticiparne le forme. Anche l’architetto e il designer, così come i registi, proiettano le loro aspettative sull’ogget-
to che disegnano. Immaginano nuovi utilizzi e creano nuove interazioni con gli oggetti; modificando il rapporto con gli oggetti e con le persone. Ricordate l’ultima volta che siete passati a casa di un amico suonando il campanello, senza avvisarlo preventivamente col cellulare? Anni fa era un comportamento comune; se no non avrebbero inventato i citofoni… In 2001 Odissea nello spazio, le sedute di Werner Panton hanno rapresentato la quintessenza formale del futuro: quel immaginario futuro è ancora tale oggi, dopo 40 anni, anche se il 2001 è ormai passato da tempo. La musica dei Larsen e lo spazio mistico della Mole Antonelliana fanno il resto…
L’organizzazione cercherà di ripetere Afterville - The Show in occasione del XXIII Uia Congress, cercando una location ancora più capiente per permettere a chi non ha ancora assistito allo spettacolo e ai partecipanti del Congresso di partecipare allo show. Nulla è ancora certo, però. Non resta che incrociare le dita.
sinistra Frtz Lang, Metropolis, Germania, 1927 destra Fabio Gaglione e Fabio Resinaro, AfterVille, Italia, 2008
Vi ricordate quando Ricky Cunningham piombava da Arnold’s dicendo di aver visto un Ufo e poi si ritrovava un simpatico alieno nel suo soggiorno di Milwakee? La storia è iniziata lì: un giovanissimo Robin Williams interpreta l’alieno Mork che su un uovo arriva da Ork, pianeta immaginario. L’alieno ha avuto addirittura più fortuna meritandosi una serie tutta sua (quello che si chiama spin off in gergo) dal titolo Mork e Mindy , anche dal nome della sua coinquilina che lo ospita in soffitta tentando di metterlo al riparo dalle insidie di questo pazzo pazzo mondo. Che cos’è rimasto di quella sitcom anni 70? Due cose. La prima è Nano Nano, il tipico saluto di Mork accompagnato dall’altrettanto tipico gesto della mano. La seconda è la canzone italiana del telefilm: indimenticabile per chi oggi è tra i 30 e i 40 come il gusto dei panini alla Nutella. Ma chi era il cantante? Era Bruno D’Andrea nato a Casasco, paese vicino a Tortona, in provincia di Alessandria nel 1949. Inizia la sua carriera artistica in un primo momento come leader del suo gruppo “Bruno
Bruno D’andrea, copertina dell’album contenente la canzone nano nano, 1976
Andrea Band”. La grande opportunità per entrare nella cerchia dei “big” del panorama musicale italiano arriva nel 1978, quando Luigi Albertelli, paroliere gli fa cantare Nano Nano. Nel 1980 partecipa al festival di Sanremo, con la canzone “Mara”, che va in finale. Partecipa, inoltre, come ospite alla trasmissione di Rai 3 Anima mia e canta in diretta Nano Nano con Jovanotti. Ma la carriera di Bruno D’Andrea è soprattutto quella di cantante per orchestre da ballo. Nel 1996 partecipa al “Festival nazionale della musica da ballo” e trionfa con il brano “Se t’acchiappo”. Oggi è uno dei più ricercati esponenti di questo genere musicale. Anche lui, alieno come Mork, è stato per un’ attimo inghiottito dal rutilante mondo dello spettacolo ma alla fine è tornato a casa, sul suo pianeta a suonare la sua musica preferita: la musica da “balera”!
Parlare di musica è come ballare di architettura Frank Zappa, compositore e polistrumentista statunitense
Da Metropolis ad Afterville Jan Pellisier Frontiera, speranza, limpidezza ma anche depressione e solitudine. Sono molti i sentimenti e le riflessioni che Da Metropolis ad AfterVille ha scatenato nelle teste di chi ha avuto la fortuna di esserci. “Un’esperienza che non si può spegnere col telecomando”. “A guardare gli spezzoni dei 52 film selezionati, appare evidente quanto poco abbiamo fatto per il nostro futuro: idee per progettarlo mi sembra ce ne siano poche -racconta il pubblicitario Roberto Vaccà-. C’era molto bianco e molto design nella fantasia del futuro, invece andiamo ancora in giro con delle scatolette di lamiera con freno e frizione e mangiamo le mozzarelle di bufala inquinata”. L’analisi di Vaccà va anche oltre: “Il problema vero è un altro: se infatti da un lato non abbiamo un mondo migliore e più sano, dall’altro mi sa che abbiamo la stessa solitudine e lo stesso isolamento”. Qual è la ricetta? “Trovare una nuova frontiera, perché andando avanti così mi sa che a mia figlia dovrò spiegare perché vive in una Beforeville invece che in una Afterville. Sulla stessa linea Marta Francocci, giornalista televisiva che sta realizzando un documentario sulle grandi città del mondo che sarà presentato in anteprima il 3 luglio al castello del Valentino alla festa finale del congresso dell’Uia. “Credo anch’io che il tema di una nuova frontiera sia necessario, specie dopo che la catastrofe che animava gran parte dei film sul futuro che ho visto nel montaggio, si è poi concretamente realizzata l’11 settembre 2001 – spiega Francocci -. Quel giorno si è capito che catastrofi di massa erano possibili nelle città moderne, fragili come mai lo sono state nella storia, penso al quartiere di Skid Row a Los Angeles dove 10.000 persone dormono per strada, ed in tutta la città questi disperati sono 70.000. E’ un dramma oscuro, al cui confronto i film fantascientifici sono letteratura
leggera”. Fragilità del presente che secondo la Francocci è emersa in tutta la sua immanenza con lo sciopero dei camionisti dell’autunno scorso: “Roma era bloccata, i bambini senza latte e le auto senza benzina, solo 5 anni fa quell’agitazione avrebbe riguardato solo un categoria non tutti noi. Una volta c’era la guerra fredda, ora c’è la globalizzazione”. Ecco allora che la giornalista e documentarista sceglie qual suo film preferito la Decima vittima di Elio Petri, canzonatura ironica del futuro hi-tech con Marcello Mastroianni biondo perso all’Eur. Si sofferma invece più sull’analisi dell’evento in sé il giornalista di Domus Ettore Bellotti. “Ho apprezzato molto il montaggio cronologico, in quanto didattico – illustra Bellotti che aggiunge -. Nel complesso ho trovato l’evento molto affascinante, la Mole ha avuto un ruolo importante. Certo per noi che stavamo in fondo all’aula era abbastanza difficile vedere bene”. Più fortunata Liliana Pittarello, direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Piemonte, che si è riuscita ad aggiudicare una delle chaise longue: “Arrivavo da Roma, ero molto stanca è stata una manna che mi ha fatto apprezzare al massimo questo lavoro splendido. Sarebbe bello portarlo in giro, magari all’aperto alla Reggia di Venaria”. “Preferirei Fenestrelle, oppure Exilles” risponde pronto Paolo Dellapiana dei Larsen, l’uomo che suona tutto ciò che di tecnologico c’è nel gruppo e in più: la fisarmonica e il theremin, primo strumento elettrico della storia inventato dal russo Leon Theremin nel 1920. “Quel suono ha aggiunto la poesia giusta al videoconcerto, ci hanno proposto anche il Palavela per eventuali repliche, preferirei però posti più pieni di storia. Un castello, anche se tornare alla Mole sarebbe il massimo”.
partner istituzionali uia torino 2008, off congress
Off Congress
destra Immagine guida di Transmitting Architecture tema del XXIII Congreso mondiale UIA Torino 2008
La città disegnata dagli architetti
Riccardo Bedrone
Carlo Novarino La Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Torino cura e gestisce gli OFF CONGRESS OFFICIAL EVENTS del XXIII Congresso Mondiale degli Architetti, un grande carico di lavoro per una struttura relativamente piccola, ma che sta ottenendo grande riscontro in termini di soddisfazione per i Consiglieri dell’Ordine e della Fondazione, per il successo di critica e di pubblico, per il consenso da parte dei partner e degli interlocutori istituzionali. Dal take-off della rassegna AfterVille con la mostra Astronave Torino alla sua conclusione con la mostra Divine Design, anch’essa al MIAAO, FOAT avrà proposto alla fine di quest’anno alla Città, ai turisti e ai partecipanti al Congresso UIA quindici mesi di iniziative per un totale di oltre sessanta eventi, senza contare l’Off Congress Calendar, il programma delle iniziative proposte da soggetti terzi e che sarà presentato in conferenza stampa alla fine di maggio. Il budget gestito per gli OFF CONGRESS OFFICIAL EVENTS si aggira intorno a 1,5 milioni di euro, costruito grazie a Città di Torino, Provincia di Torino, Regione Piemonte, Camera di Commercio, Ordine degli Architetti di Torino, Oikos (Top Programme Sponsor) e il contributo di altri enti pubblici e privati sui singoli progetti.Di recente costituzione, la Fondazione OAT organizza e gestisce corsi e iniziative a favore della formazione permanente dei professionisti e opera per la diffusione della cultura del progetto. La Fondazione OAT inoltre mette a disposizione la competenza del suo ufficio concorsi accreditandosi come
primavera 2008
facilitatore nei rapporti tra ente banditore e partecipanti, curando le varie fasi del concorso, dalla redazione del bando alla comunicazione degli esiti. Tra i concorsi che sono attualmente in fase di realizzazione, quello per la destinazione d’uso del Forte di Fenestrelle, candidato a patrimonio UNESCO, sarà lanciato dalla Provincia di Torino al Congresso UIA.
Il marchio degli Off Congress Official Events simboleggia l'invasione delle iniziative sul territorio, invasione supportata da Città di Torino, Provincia di Torino, Regione Piemonte e Camera di Commercio e dal Top Programme Sponsor Oikos
Poco più di due mesi ci separano dall’appuntamento del Congresso mondiale degli Architetti UIA (29 giugno-3 luglio), evento che porterà a Torino architetti e studenti da tutto il mondo a confrontarsi sul tema della comunicazione dell’architettura. 150 i relatori attesi per un programma interdisciplinare che interpreta lo slogan “l’Architettura è per tutti” dal punto di vista della cultura, della democrazia, della speranza in un’alternanza di passato presente e futuro che la Fondazione OAT ha voluto perseguire anche nella proposta degli eventi collaterali del Congresso. Secondo questa interpretazione La città disegnata dagli architetti rappresenta la cultura e la comunicazione dell’architettura nel passato, attraverso un percorso in 5 mostre dedicato agli architetti che hanno fatto di Torino una capitale con la costruzione di straordinari edifici e il progetto di interi pezzi di città. Palazzo Reale, il palazzo dei Regi Archivi, San Filippo Neri (sede del MIAAO), la Biblioteca Reale e Palazzo Bricherasio - di per sé sedi auliche e prestigiose - sono i contenitori ma anche il contenuto delle esposizioni del percorso e offriranno l’occasione, da giugno a settembre, di scoprire disegni, modelli, scritti, schizzi, album e ricostruzioni virtuali per comprendere meglio la storia di Torino e del suo territorio. L’attenzione e l’impegno verso il presente e i temi della democrazia urbana percorrono il vasto progetto internazionale Trasmettere la Città Sostenibile che riunisce enti ed istituzioni in un esteso protocollo di intesa. L’obiettivo è aiutare la formazione di una coscienza consapevole dell’eco-sostenibilità,
proiettata verso un futuro responsabile e verso nuovi atteggiamenti culturali. Un percorso in azioni successive contraddistinto dalla necessità di dialogo e condivisione a tutti i livelli: dal workshop internazionale sul caso studio di Basse di Stura (che si è concluso a febbraio) agli incontri su temi specifici in programma nel mese di maggio, fino alla Main Session dedicata al confronto tra casi mondiali il 2 luglio, durante il Congresso UIA. Ad AfterVille il compito di aiutare a scoprire visioni di futuro e a esplorare i confini delle possibilità della comunicazione. Una rassegna dedicata all’immaginario della fantascienza che, nella sua articolazione, spinge a confrontarsi con modelli di sviluppo già prefigurati, ipotesi di città già compiute. Un futuro remoto che -più che per il monito che indubbiamente rappresenta- ha il valore della curiosità e della tensione verso il progresso da cui è percorso e della speranza da cui è guidato. La selezione degli eventi collaterali ufficiali del Congresso si completa con Casa Capriata 2008, iniziativa condotta dal Politecnico di Torino che porterà alla concreta realizzazione del modello in scala reale del progetto per la Triennale del 1954 di Carlo Mollino: l’appuntamento è a Gressoney-Weissmatten durante i giorni del Congresso per una visita del cantiere. Durante le sere del Congresso ci sarà spazio anche per l’intrattenimento: Architecture Flows guiderà il fiume dei congressisti sulle rive del Po, per le strade dell’arte contemporanea (YOUPrison alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo), nei musei, nei cortili e in luoghi imprevisti dove scoprire mostre, feste e concerti.
Casa Capriata 1954 2008
Basse di Stura 2040: Progettare la città sostenibile
Liana Pastorin
Raffaella Bucci Trasmettere la Città Sostenibile è un progetto internazionale nato in seno alla Fondazione OAT per comunicare i valori della sostenibilità urbana: un percorso per costruire strategie e coinvolgere non solo il mondo tecnico, accademico e quello delle pubbliche amministrazioni, ma anche, e soprattutto, i cittadini. La sostenibilità urbana è infatti di stringente attualità: le trasformazioni delle metropoli, sommate a fenomeni di rapida crescita urbana aggravano una situazione ormai universalmente riconosciuta come ‘insostenibile’. Enti pubblici e soggetti privati piemontesi hanno individuato nell’area torinese di Basse di Stura -compromessa dal punto di vista ambientale e urbanistico- una parte di città che per dimensione territoriale (oltre 540 ettari), posizione, caratteristiche e complessità consente di misurarsi con un piano di sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale, economico e sociale all’interno del quale affrontare i temi della progettazione integrata, della qualità urbana, della partecipazione, della governance pubblico/privato e al contempo favorire investimenti generatori di reddito, sviluppo ed occupazione. Nel giugno 2007 è stato siglato un protocollo di intesa tra la Città di Torino, la Provincia di Torino, la Regione Piemonte, l’Ente Parco fluviale del Po, la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura, il Politecnico di Torino, SiTI, l’Ordine degli Architetti di Torino, la Federazione degli Ordini Architetti Piemon-
te e Valle d’Aosta, il Collegio Costruttori Edili di Torino/ANCE, Legacoop Piemonte, ATC Agenzia Territoriale per la Casa, Collegio Edile API Torino e AMIAT Agenzia Multiservizi Igiene Ambientale Torino. Una delle azioni più significative del progetto è consistita nel workshop internazionale dello scorso febbraio che ha coinvolto 92 giovani esperti provenienti da 10 diversi Paesi (Italia, Spagna, Portogallo, Austria, Venezuela, Colombia, Gran Bretagna, Belgio, Algeria, Cina). Obiettivo del workshop era costruire una visione per Basse di Stura proiettata nel futuro e immaginare in back planning fasi incrementali a breve, medio e lungo periodo, per avviare un dibattito su temi concreti di trasformazione. Attraverso un approccio flessibile ai processi di trasformazione in cui intervengono in forma integrata differenti discipline, si è lavorato al ridisegno complessivo di un paesaggio urbano contraddittorio: attraversato da un fiume, costellato da laghi di cava e vegetazione spontanea, ma dove insistono le due più grandi discariche metropolitane, una delle quali ancora attiva e dove l’inquinamento del suolo rappresenta una priorità di interesse nazionale. Sotto la guida di 9 membri del Comitato Scientifico Internazionale, 10 tutor e 8 co-tutor, con il coordinamento del Relatore generale del progetto Pier Giorgio Turi, i partecipanti al workshop, suddivisi in cinque gruppi interdisciplinari -non solo architetti, urbanisti e paesaggisti,
Liana Pastorin
ma anche biologi, economisti, sociologi, un fisico, una geografa e un’ingegnere nucleare- hanno presentato i loro progetti: Re-genera[c]tion, A green [h] earth for Torino, CHAlleNGE all energy, Bio-Basse, L’alto di Basse di Stura. I progetti sono percorsi da temi comuni: l’utilizzo dell’idrogeno a scala urbana, la connessione tra paesaggio e città, la creazione di un sistema di cascine e un polo di innovazione sulle telecomunicazioni. Il riuso di vaste aree compromesse da scorie e scarichi industriali e civili è stato integrato con nuovi modelli di insediamento e infrastrutturali, con soluzioni a vasta scala per la gestione di energia prodotta da fonti rinnovabili e per la gestione del ciclo dei rifiuti e per l’uso razionale delle acque. Sulla base degli stimolanti esiti il lavoro proseguirà in stretta collaborazione con i sottoscrittori del protocollo di intesa fino al XXIII Congresso Mondiale UIA Torino 2008. Il 2 luglio 2008 una delle Main Session del Congresso sarà dedicata alle tematiche della sostenibilità, ponendo a confronto i risultati del workshop su Basse di Stura e, più in generale i contenuti di Trasmettere la Città Sostenibile, con altri casi studio nel mondo. L’obiettivo della sessione è indagare l’impatto e l’esito di trasformazioni sostenibili a vasta scala avviate in realtà e contesti diversi, verificando lo stato dell’arte del progettare e del costruire sostenibile a scala internazionale nei settori dell’architettura, dell’urbanistica e delle infrastrutture.
Foto di Maurizio Pisani
Carlo Mollino, Casa Capriata, 1954
Dalla prossima stagione sciistica sarà possibile riposare in un rifugio alpino di straordinaria ideazione. Guido Callegari, docente di tecnologia dell’architettura del Politecnico di Torino, è il referente scientifico dell’iniziativa che promuove, a distanza di cinquant’anni, la realizzazione del prototipo progettato da Carlo Mollino riproponendo il carattere innovativo del progetto originario che, nell’ambito del Concorso Vetroflex Domus (1951), e della X Triennale di Milano (1954), costituiva un manifesto della sperimentazione di nuovi materiali e di tecniche costruttive ingegnose. “Il progetto coordinato da un gruppo di docenti e ricercatori del Politecnico di Torino sarà il secondo edificio passivo d’alta quota dell’arco alpino con caratteristiche innovative d’eccezione” afferma Callegari “che utilizzerà biomassa per la produzione di energia termica e una copertura energetica in rame per la produzione di acqua calda”. Nel quadro di un’azione di valorizzazione del comprensorio di Weissmatten, l’edificio sorgerà lungo il Walserweg, in prossimità del padiglione da tè in legno
della Regina Margherita di Savoia. Il progetto che Mollino aveva presentato nell’ambito del Concorso Vetroflex Domus (1951) e della X Triennale di Milano (1954) costituiva un manifesto della sperimentazione di materiali e tecniche costruttive ingegnose e colte, innovative e consapevoli di antiche tradizioni: un’architettura aerea sollevata dal suolo, reinterpretazione, in termini costruttivi moderni, delle architetture walser dell’alta Valle di Gressoney analizzate nel 1929 dal giovane studente di architettura Carlo Mollino, nell’ambito dell’opera Rilievi di architetture rurali valdostane. Il mancato accordo economico che non aveva permesso la realizzazione del progetto di Mollino, è oggi superato dall’interessamento del Politecnico e dell’Ordine degli Architetti e dal sostegno della Regione autonoma della Valle d’Aosta, del Comune di Gressoney Saint Jean e di aziende sponsor. Il progetto Casa Capriata è promosso dalla Fondazione OAT e dal Dipartimento di Progettazione Architettonica e di Disegno Industriale del Politecnico di Torino nell’ambito del XXIII UIA World Congress Torino 2008.
Non si può aspettare la scadenza dei trent'anni. Non abbiamo tempo. La velocità deve essere parte del processo perché il mondo sta cambiando velocemente. Thomas Herzog
“In poche altre città come Torino si può constatare ancora oggi come la forma urbana che conserva la città costruita si debba al disegno di chi l’ha progettata. Un’esperienza preparata con la formazione di una specifica classe di architetti e di ingegneri militari, destinata fin dal Seicento a produrre il disegno dell’impianto urbano e delle facciate della città.” Pino Dardanello, storico dell’architettura, fa parte del comitato scientifico che sta lavorando alla realizzazione di una delle cinque mostre del percorso “La città disegnata dagli architetti”, evento collaterale del XXIII Congresso mondiale degli Architetti UIA Torino 2008, dedicato agli architetti che hanno fatto di Torino una capitale. Il percorso si snoda tra Palazzo Bricherasio, Palazzo Reale, Archivio di Stato, Biblioteca Reale e MIAAO Museo di Arti Applicate Oggi (ospitato nel complesso juvarriano di San Filippo Neri). La particolarità di questa proposta culturale è che le sedi auliche e prestigiose sono contenitori di una significativa selezione di materiali, che attestano il lavoro degli architetti tra schizzi di studio, progetti e istruzioni di cantiere, utilizzando principalmente il disegno, ma sono anche contenuto, il valore documentario concreto e tangibile dell’operato di grandi architetti del passato. La città disegnata dagli architetti, promosso dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti all’interno del programma degli Off Congress Offical Events, è curato dai direttori delle singole sedi sotto il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con il contributo della Compagnia di San Paolo. Le mostre si svolgono tra giugno e luglio con orari di apertura straordinari nei giorni del Congresso (29 giugno – 3 luglio) e con agevolazioni sul costo del biglietto (tutte le informazioni saranno reperibili sul sito web www.uia2008torino.org). La Fondazione Palazzo Bricherasio con la mostra Guarini, Juvarra, Antonelli. Segni e simboli per Torino illustrerà la cultura degli architetti di corte e le tematiche sulle quali venne ‘disegnata’ la città per adempiere alle funzioni di rappresentanza e amministrative dello Stato Sabaudo. Palazzo Reale -dal 1997 nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO con gli altri edifici con cui costituisce la ‘zona di comando’- presenterà un percorso attraverso cui saranno evidenziati gli interventi architettonici tra fine Cinquecento ed inizio Novecento. La mostra di Palazzo Reale Comunicare la maestà. Gli architetti e gli spazi del principe è completata dall’apertura straordinaria del capolavoro di Guarino Guarini, la cappella della Sindone, e dall’illustrazione delle modalità di restauro che si stanno utilizzando per consolidare le strutture danneggiate dall’incendio. L’archivio di Stato con “Direttive del committente e libertà dell’architetto. Alla scoperta del Palazzo dei Regi Archivi progettato da Filippo Juvarra nel 1731” mostrerà i disegni originali del progetto dell’edificio e quelli che ne hanno istruito la realizzazione. Il tema dell’importanza della formazione e della trasmissione del sapere è rappresentato invece alla Biblioteca Reale con “Carlo Promis. Insegnare l’architettura”. Un discorso a parte merita la mostra ospitata dal MIAAO Il gran teatro ceramico. BAU+MIAAO. Da Oropa barocca a Biella futurista, che comprende però una sezione, curata da Paolo Portoghesi, dei progetti di Guarini, Juvarra e Antonelli per Oropa. Tutte le mostre del percorso La città disegnata dagli architetti rendono conto del lavoro progettuale degli architetti e del potenziale comunicativo del disegno, in perfetta sintonia con il tema guida del XXIII Congresso UIA Transmitting architecture e del suo claim: “l’architettura è per tutti”.
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Museo del cinema
Circolo dei lettori
Maria Grazia Girotto Il Circolo dei Lettori, voluto dalla Regione Piemonte, è il primo circolo italiano esclusivamente dedicato ai lettori e alla lettura ad alta voce, attivo da circa un anno e mezzo a Torino. Il Circolo dei Lettori è un modello di promozione della lettura, come dimostra l’attenzione che ha suscitato in molte realtà italiane, e ha raggiunto l’importante obiettivo di coinvolgere pubblici differenziati, andando controcorrente rispetto ai dati di decrescita dei lettori in Italia. Il Circolo è nato dal presupposto che la lettura sia non solo un momento formativo ma soprattutto un momento di piacere e di emozione; scoprire o riscoprire il gusto di leggere significa anche allenarsi ad un linguaggio, attraverso il rito collettivo della lettura, formando una comunità sulla base di interessi o di affinità comuni. La lettura infatti è anche questo: dare al libro e agli spazi ad esso dedicati la possibilità di diventare luoghi di aggregazione e di discussione. Moltissimi nomi del panorama culturale italiano e internazionale sono stati ospiti del Circolo, come Alejandro Jodorowsky, Alessio Bertallot, Antonio Scurati, Stefano Benni, Luciana Littizzetto, Bruno Gambarotta, Corrado Augias, Elena Loewenthal, Gianni Vattimo, Amélie Nothomb, Piergiorgio Odifreddi, per citarne alcuni. Inoltre confermano il successo dell’iniziativa le più di 95.000 persone che hanno frequentato fino ad oggi il Circolo, partecipando alle tante e diversificate proposte. Immerso fra le vie e gli antichi palazzi del centro di Torino, nelle splendide sale di Palazzo Graneri della Roccia in via Bogino 9, Il Circolo dei Lettori è innanzitutto un luogo dove leggere e ascoltare leggere, un luogo di aggregazione, ma anche un luogo di progettazione e promozione di iniziative destinate a ricreare comunità. Un esempio di quell’impegno di promozione di Torino e del Piemonte come luoghi della letteratura che l’amministrazione regionale ha indicato fin dall’inizio come una delle sue priorità culturali. Il Circolo dei Lettori vuole essere una casa, un luogo aperto al pubblico ma allo stesso tempo pensato per restituire alle parole il giusto valore, dove si può leggere da soli e in compagnia, partecipare ai molti gruppi di lettura, sia in italiano che in lingua straniera, incontrare scrittori, intellettuali nei suoi magnifici spazi: un grande salone, un salotto per i gruppi di lettura, un salotto per la lettura individuale, un bar, una sala per piccola ristorazione, un ristorante, una sala da biliardo, una sala amache per leggere e rilassarsi. Ogni settimana il Circolo dei Lettori ospita diverse letture pubbliche da parte di scrittori, attori e intellettuali di diversa formazione all’insegna di una
concezione della lettura a trecentosessanta gradi, che spazia dalla narrativa alla poesia, dai classici del pensiero filosofico alla divulgazione scientifica, dalla saggistica alla letteratura d’intrattenimento. E ogni appuntamento diventa un piccolo evento che coinvolge i lettori grazie alle contaminazioni tra la letteratura, la musica, il cinema e le arti visive. Il vero cuore pulsante del Circolo sono però i lettori, protagonisti dei Gruppi di Lettura, ovvero piccoli nuclei di una ventina di persone che si incontrano con cadenza settimanale per leggere insieme ad “accompagnatori” scelti tra scrittori, attori o esperti di “narrazione” e per dar vita a un vivace scambio di idee. L’interazione spontanea e la possibilità per i lettori di essere protagonisti delle attività del Circolo è il punto centrale dell’iniziativa, e la partecipazione delle centinaia di persone che ogni giorno ne frequentano le sale (sia durante gli incontri proposti, sia per passare un po’ di tempo a leggere in un’atmosfera di totale relax) dimostra che il Circolo dei Lettori rappresenta un punto di riferimento per chiunque voglia ritagliarsi un tempo dedicato all’otium letterario. Il Circolo nella sua seppur breve attività ha intrecciato diverse collaborazioni con altri enti che si occupano di cultura; ne citiamo alcuni come Fiera del Libro, Portici di carta - Festa dei lettori, Teatro Regio, Aci - Associazione Culturale Italiana, Torino Città Capitale Europea, Accademia delle Scienze, Il quadrato della cultura, e ancora la Fondazione Teatro Stabile, il Torino Film Festival, il Cinemambiente e l’Ordine degli Architetti, in vista del XXIII Congresso Mondiale degli Architetti UIA Torino 2008. Il Circolo dei Lettori ha ospitato e continua ad ospitare in questi mesi una serie di incontri sull’architettura che trasmette e comunica all’esterno il senso della sua azione progettuale e che contemporaneamente si fa carico di raccogliere le migliori energie e i fenomeni emergenti che la società esprime. Un incontro interessantissimo è stato organizzato nel dicembre 2007 alla Casa Teatro ragazzi dall’Ordine degli Architetti e il Circolo dei Lettori, che si sono inseriti nella riflessione sui grattacieli per Torino, proponendo temi per un dibattito allargato, con l’intenzione di superare la querelle tra ostinati oppositori ed entusiastici sostenitori. L’incontro dal titolo Sollevare il basso profilo di Torino? ha avuto un enorme successo di pubblico. Il Circolo dei Lettori è diretto da Antonella Parigi ed è sostenuto dalla Regione Piemonte, con il coordinamento organizzativo e amministrativo della Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani Onlus.
Film commission
Cominciata nel 1863 e concepita originariamente come sinagoga, la Mole è stata acquisita nel 1878 dalla Città di Torino per farne un monumento all’unità nazionale. L’edificio è stato completato nel 1889 e ha subìto alcuni rifacimenti. E’ stato rinforzato con strutture in cemento armato nel 1931 e la guglia è stata completamente ricostruita negli anni ‘50. Con i suoi 167 m d’altezza era l’edificio in muratura più alto d’Europa. Oggi è il simbolo della città e dal 2000 il “Tempio del Cinema”. Contribuisce ad aumentare il fascino di questo edificio l’ascensore panoramico che attraversa l’allestimento museale sino a raggiungere in 59 secondi, oltre la cupola, il “tempietto” esterno posto a 85 metri di altezza. Da qui è possibile ammirare, durante la salita, le suggestive scenografie museali e i giochi di luce e, arrivati a destinazione, il panorama della città e l’arco alpino che la circonda. Ciò che rende davvero unico il Museo Nazionale del Cinema sono il ricchissimo patrimonio delle sue collezioni e le peculiarità del suo allestimento. Nel progettarlo François Confino non ha dovuto soltanto tener conto delle caratteristiche dell’edificio che lo ospita -opera dall’architetto Alessandro Antonelli- ma, seguendo il crescendo antonelliano, ha sovrapposto livelli diversi di lettura, combinando le necessità di un rigoroso impianto scientifico con le esigenze di una presentazione spettacolare che si propone di riprodurre e giocare con i meccanismi della fascinazione che sono alla base della rappresentazione cine-
“Questo libro non intende presentarsi come una ricerca formale, ma nasce da un’idea precisa, cioè quella di studiare la produzione ‘casalinga’ di oggetti funzionali di uso quotidiano.” Così inizia il testo introduttivo di Vladimir Archpov, che ha pazientemente raccolto 220 invenzioni nate dall’estro di una popolazione russa colpita dalle ristrettezze economiche generate dalla fine dell’impero sovietico. Tra gli oggetti la“gabbia antivandali per lampione”, una “stufetta con lampada al quarzo” e un “distillatore casalingo”: cosa c’entra tutto ciò con Share Festival? Manufacturing, tema della quarta edizione del festival, che si è tenuto a Torino dall’11 al 16 marzo 2008, è stato scelto per due ragioni. Per prima cosa, presentare le potenzialità della fabbricazione digitale che sta diventando “personal”. Seconda cosa, non meno importante, è che Torino è World Design Capital 2008. Ma Torino è soprattutto un grande centro manifatturiero, le cui specificità Share Festival ha scelto di enfatizzare. Nell’ottica di un festival che, per contenuti e pubblico, ha una vocazione fortemente internazionale, si è voluto sottolineare con il tema Manufacturing un aspetto locale. Da qualche tempo si parla di digifab, letteralmente fabbricazione digitale, e riguarda quelle pratiche del design e della produzione artistica che contemplano la progettazione digitale e la prototipazione rapida. Cinquant’anni fa i computer erano grossi come un frigorifero e gestiti da tecnici specializzati, oggi sono alla portata di tutti; così le tecnologie per la protipazione rapida come i sistemi CNC e la Stereolitografia sono in possesso di grandi aziende come Provel, ma è inevitabile che quelle stesse macchine, di dimensioni inferiori oggi possono trovarsi sulle nostre scrivanie: sono i personal fabricator. Tanto che un network di artisti che si raduna intorno al progetto
Generator.X di Marius Watz, presenta a Share Festival una serie di oggetti creati tramite fabbricazione digitale che vanno oltre i limiti della tradizionale industria. Queste macchine permettono un passaggio immediato e veloce dal modello all’oggetto, permettendo la realizzazione di tutta una serie di oggetti di una complessità impensabile. Come suggerisce con arguzia Marius Watz stesso,“in un ironico rovesciamento, lo spazio fisico è diventato l’ultima frontiera della manipolazione digitale”. Come per gli oggetti nati da bisogni individuali di Vladimir Archpov così questi artisti presentano oggetti che “sono difficili da classificare, perchè non esiste nulla di simile”. Di recente è stato detto che “il cyberspazio sta uscendo da se stesso” e che “il virtuale sta diventando reale”. L’innovazione tecnologica è incessante e sembra che dopo essersi focalizzata sull’immateriale, il digitale si stia integrando sempre di più nella nostra realtà, è un dato inconfutabile. Ma questo fatto invitabile solleva delle criticità, genera delle frizioni, epistemologiche e materiali. E’ in corso l’orogenesi tra i bits a gli atomi. Nell’epistemologia il termine fabbricazione-digitale è un ossimoro, che si trova nella stessa area linguistica di termini come renderizzazione-atomica, o per guardare all’ambito industriale come personalizzazione di massa, mentre in architettura Marcos Novak progetta architetture liquide. L’ossimoro porta all’ibrido, che non è più una categoria di pensiero rivolta verso il mondo naturale, oggi si sta ibridando la realtà degli atomi, che sta entrando in contatto con questa sovrastruttura, pelle, interfaccia che è il digitale. L’utilizzo di ossimori è significativo di una situazione conflittuale, dove due realtà ontologicamente differenti vengono in contatto, generando un ibrido non definibile secondo le categorie linguistiche della precedente epoca.
Veduta della Sala del Tempio del Museo Nazionale del Cinema di Torino
matografica. In una cornice di allestimenti scenografici e proiezioni, arricchita dall’esposizione di fotografie, bozzetti e oggetti, il visitatore percorre i grandi temi della storia del cinema e i primi esperimenti sul movimento delle immagini in un itinerario disposto su sei livelli. La visita al Museo inizia dall’Archeologia del Cinema, dove si possono ammirare e sperimentare direttamente strumenti, immagini e spettacoli che hanno preceduto e accompagnato le invenzioni di Edison e dei Fratelli Lumière. Il percorso prosegue con la Macchina del Cinema, che mette in scena le principali tappe della realizzazione di un film e i suoi protagonisti e si sviluppa attorno alle sue diverse componenti, con l’apporto di un film appositamente girato da Davide
Cose da un altro mondo. Viaggio nel cinema di fantascienza Robert Wise, Ultimatum alla terra, manifesto 1951
Nicoletta Pacini Fra i generi cinematografici più amati e seguiti da folle di cultori e fedelissimi, la fantascienza ha nel Museo Nazionale del Cinema un’indiscussa roccaforte. All’interno della ricchissima collezione di manifesti che il Museo conserva (500.000 pezzi), molti sono quelli a soggetto fantascientifico. Una selezione di 800 esemplari è visibile sul sito www.cosedaunaltromondo.it, nato in occasione della mostra Cose da un altro mondo. Viaggio nel cinema di fantascienza, attraverso cui il Museo, nel 2005, aveva richiamato alla Mole schiere di amanti del genere o anche semplici curiosi, attratti dalla spettacolarità di cartelloni pubblicitari avvincenti. Da Voyage autour d’une étoile, del 1906, uno dei primi film della fantascienza ai suoi albori che riprende le fantasmagorie di Méliès, la collezione spazia fino ai cult-movies degli anni ‘50 (Il pianeta proibito, L’invasione degli ultracorpi, La guerra dei mondi, Ultimatum alla terra…), degli anni ‘60 e ‘70 (primi fra tutti 2001:
Ferrario e di una breve storia degli effetti speciali, dal muto al digitale. La macchina del cinema conduce alla Galleria dei Manifesti dove sono esposti alcuni manifesti della preziosa raccolta del Museo. Si giunge poi all’Aula del Tempio, cuore del Museo che si presenta come una vera e propria sala cinematografica, dotata di comode chaises longues, dalle quali si può assistere alle proiezioni sui grandi schermi e sulla cupola. A intervalli regolari le proiezioni si interrompono per lo spettacolo di luci ed ombre sulla volta della cupola con volti di attori e immagini del precinema. L’Aula è circondata da aree espositive dedicate a generi e temi della storia del cinema e da qui si ha accesso alla rampa elicoidale, una struttura che si snoda come una pellicola
lungo le pareti dell’edificio e che ospita le mostre temporanee. Si giunge infine all’area dedicata al rapporto Cinema e Televisione. Il Museo ha raggiunto in breve tempo un prestigio internazionale perché si presenta al visitatore come un museo interattivo, dinamico e in continuo aggiornamento, tecnologicamente all’avanguardia, che consente di percorrere uno stimolante e suggestivo viaggio nel sogno e nell’emozione del cinema. Questa è sicuramente la chiave del successo del museo: è fruibile a più livelli, suggestivo-emozionale, didattico, museale. Il pubblico non è settoriale ma, al contrario, estremamente eterogeneo. Oggi la molteplicità delle attività scientifiche e divulgative attuate dal Museo ne fanno un polo di iniziative culturali tra i più importanti: ricerche d’avanguardia sulla conservazione dei materiali e sulla storia del cinema, un vasto programma di restauri, iniziative editoriali, rassegne cinematografiche, incontri con autori e protagonisti del cinema, programmi didattici. In questi anni il Museo ha organizzato oltre 36 mostre sia negli spazi espositivi della Mole Antonelliana che in altre sedi. In collaborazione con altri importanti enti culturali alcune di queste mostre sono ‘circuitate’ in prestigiose sedi nazionali e internazionali. Il Museo può contare poi su una Multisala, il Cinema Massimo, che in 7 anni ha ospitato molteplici retrospettive, sfiorando i 250 eventi, rassegne e omaggi dedicati ai protagonisti della storia del cinema, accompagnate da incontri con registi e operatori di settore.
Odissea nello spazio e Guerre stellari) arrivando alle più recenti produzioni del nuovo secolo. Il Museo ha catalogato, restaurato e digitalizzato tutti questi materiali nell’usuale ottica di valorizzazione del patrimonio: sul sito, oltre alle immagini, si possono consultare infatti schede ricche di informazioni sugli esemplari che, non va dimenticato, rappresentano uno dei vertici del mercato del collezionismo e sono fra i più gettonati alle aste di manifesti. Del resto, come non restare affascinati o teneramente meravigliati di fronte a questi enormi fogli di carta colorata che sembrano prendere vita fra mostri dello spazio, invasori alieni, astronauti alle soglie dell’infinito, eroi di avventure interstellari, scienziati pazzi, tarantole, mantidi, trifidi, androidi e robot? Grazie alla capacità artistica e all’estro di illustri disegnatori sono nate opere grafiche efficaci e spettacolari che hanno contribuito a fissare nella memoria dello spettatore scenari, figure e personaggi assurti a mito.
Stefano Dellacasa, Presidente Film Commission Torino Piemonte
Bruce Sterling davanti all’opera vincitrice del Piemonte Share Festival di Christine Sugrue Delicate Boundaries, foto di Pablo Balbontin Arenas
Film Commission Torino Piemonte è una fondazione senza fini di lucro, voluta e sostenuta finanziariamente dalla Regione Piemonte e dalla Città di Torino, che ne sono i soci fondatori. Operativa da settembre 2000, ha come primo scopo la promozione della Regione Piemonte e del suo capoluogo Torino come location e luogo di lavoro per la produzione cinematografica e televisiva, attirando sul territorio produzioni italiane ed estere e al tempo stesso sostenendo l’industria cinematografica e televisiva locale, creando nuove opportunità di lavoro per chi opera nel settore. La sua attività principale è il sostegno alle produzioni cinematografiche e televisive che scelgono di produrre sul territorio piemontese, tramite una serie di servizi operanti dalla prima analisi della sceneggiatura, alla ricerca delle locations, alla concessione dei permessi tramite gli uffici comunali e provinciali fino a giungere all’anteprima
realizzata sul territorio o ai festival, nei casi in cui il film venga selezionato. Oltre a sostenere le produzioni sul piano organizzativo, la fondazone contribuisce ad abbassare i costi di ospitalità con dei contributi legati all’impegno produttivo sul territorio. Dal 2007 è stato anche istituito un fondo a favore del documentario, il Piemonte Doc Film Fund. Film Commission Torino Piemonte svolge un’attività costante di promozione e marketing internazionale, attraverso inserzioni pubblicitarie nelle maggiori pubblicazioni nazionali e internazionali del settore, e con uno stand durante i principali festival internazionali di cinema (Cannes, Berlino, Venezia, Locarno), noti ormai come luoghi di incontro per gli operatori di cinema. Fin dall’inizio della sua attività, ha anche realizzato e distribuito dei documentari mirati a far conoscere il potenziale piemontese per le locations e
Guardare il monitor di un computer è un po’ come fissare un’eclisse: c’è molta luminosità e ti accorgi del danno solo quando è troppo tardi. Bruce Sterling
per i servizi tecnici disponibili sul territorio, fino a una sintesi di tutto ciò che la città di Torino può offrire dal punto di vista architettonico dopo l’evento olimpico del 2006. Film Commission Torino Piemonte, d’intesa con Fondazione CRT, ha inoltre istituito il Premio “Set Torino Piemonte”, riconoscimento che si propone di valorizzare le produzioni cinematografiche realizzate in Piemonte attraverso un premio destina-
to a quanti - registi, attori, produttori - hanno scelto o stanno per scegliere Torino e il Piemonte come set per progetti importanti. Il riconoscimento annuale, attribuito in una cerimonia in novembre a Torino, attribuisce un premio in denaro a personalità del mondo cinematografico (nella prima edizione Dario Argento, Asia Argento e Marco Tullio Giordana, nella seconda Elio Germano, Luciana Littizzetto, Mario Martone, Fredo Valla).
the end
primavera 2008
Divine design
next events 29 aprile / 13 maggio / 27 maggio / 10 giugno ore 18:00 circolo dei lettori, via bogino 9, torino
Enzo Biffi Gentili e Undesign continua dalla prima quelle dell’Aldilà. Una di quelle verità lapalissiane sicuramente ritenute dai più inaccettabili, da sempre. Difatti lo scrittore Gilbert Keith Chesterton -protagonista negli anni ’20 del ‘900 di una di quelle conversioni al cattolicesimo oggi rifiorite tra altri celebri anglicani e creatore del sacerdote investigatore Padre Brown- in una sua opera ricorda la lapidazione di un antico profeta. Un’atroce esecuzione avvenuta, secondo l’ipotesi di Chesterton, per le seguenti ragioni: “se pesiamo la questione sull’infallibile bilancia dell’immaginazione, se consideriamo qual è la vera tendenza dell’umanità, ci sembrerà assai probabile che lo abbiano lapidato per aver detto che l’erba era verde e che gli uccelli cantavano in primavera…” (G.K. Chesterton, Il bello del brutto, Sellerio, Palermo 1985). Non siamo i soli a ritener valida la paradossale tesi di Chesterton: più qualificato di noi, il filosofo Francesco Ventorino dello Studio Teologico San Paolo di Catania al proposito sostiene che “oggi, più che mai, ci vogliono …degli uomini strani che ricordino il vero, cioè che l’erba è verde e che gli uccelli cantano in primavera.” Già, l’Aldilà… ma non introduciamo un’assoluta novità, e iettatura, nel programma culturale collaterale al Congresso Mondiale di Architettura, perché in un recente passato grandi architetti e designer già posero la questione letale, ancora attuale. A esempio Alessandro Mendini così scriveva del pensiero di alcuni ‘esistenziali perlustratori’, tra i quali di Gaetano Pesce, ai tempi della sua Casabella: “Siamo nel bel mezzo del Problema della Morte (…) Compenetrazione fra morte e vita, presenza di morte nei vivi, presenza di vita nei morti, morte durante la vita, genesi come antefatto e dialettica con la morte, esperienza sul tempo e sullo spazio della morte” (ed erano gli stessi anni di suoi splendidi artefatti funebri: la Valigia per ultimo viaggio del 1975 in fusione di alluminio prodotta da Bracciodiferro per Cassina, la suite magistrale di disegni intitolata Riposare…). Insomma egli rifiutava, con Pesce, di dimenticare che l’uomo muore “come fa, attraverso i suoi media, il potere economico, oggi dunque politico”.Circa dieci anni prima, nel 1963, era Ettore Sottsass a chiedersi: “Papà, le tenebre sono nere o
Quattro letture seguite da altrettante tavole rotonde, indagano i rapporti tra fantascienza, pensiero progettuale e cultura mediale. Partecipano agli incotri professionisti dell’architettura, creativi ed esperti di comunicazione. Gli incontri esploreranno e approfondiranno come queste diverse forme espressive si rapportano con architettura e il design urbano. 12 giugno - 27 luglio linea 1, metropolitana di torino
Visitabile con un semplice biglietto della Metropolitana di Torino, la mostra, curata da Undesign di Michele Bortolami e Tommaso Delmastro con Fabrizio Accatino e Massimo Teghille, presenta, nelle dieci principali stazioni della linea 1, le tappe del secolare percorso di interscambio tra fantascienza e pensiero progettuale. Una ricognizione in una fanta-storia urbanistica alternativa, raccontata attraverso l’allestimento multimediale di dieci città tipologiche ideali, una per ciascuna stazione della metro; città che non esistono, se non come riflesso degli sterminati immaginari generati nell’ultimo secolo da architettura, cinema, fumetti, design e – più recentemente – videoclip, pubblicità, videogame.
Nanda Vigo, Cemetowers, 1959-1963, progetto di grattacieli cimiteriali in Rozzano, Pavia, solo parzialmente realizzati. Archivio SSAA, San Filippo Neri, Torino
bianche?” e adesso lo sa… ma intanto progettava le gloriose Ceramiche delle tenebre “dedicate a Fernanda e a tutti quelli che hanno orrore delle tenebre, che hanno orrore della politica, della violenza, dell’ipocrisia, della mediocrità, i voltafaccia, gli arrampicatori, i fessi, i merdosi, i miserabili, i servi, i professori…”.Più di vent’anni dopo, nel 1988, era invece Enzo Mari a creare una Allegoria della morte con tre tumuli e tre lapidi e tre simboli, la croce, la falce e martello, la svastica, ed erano comunque simboli del progetto: il primo di un paradiso fuori dal mondo, i secondi di un paradiso, o di un inferno, nel mondo… e con ciò si introduce il tema dell’altro da sé, del ‘sacro’, o di qualche elemento sacrale o esecrando, in un lavoro come quello del progettista troppe volte per Mari dedicato “a soddisfare i bisogni abbietti della gente”. Ecco, con Divine Design vorremmo rendere testimonianze di una qualche possibilità di differenza e distanza dallo spaccio della bestia trionfante, anche subalpina, di un design fighetto, svuotato e “mediatizzato”, ma riferendoci proprio a un letterato torinese come Calvino, che ci ha insegnato che “ci
sono due modi per non soffrire nell’inferno. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo richiede attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio”. Anche minimo, un rifugio da gatto randagio come il MIAAO, mettendo nel conto qualche mancanza di consenso ufficiale, con scarsa prudenza, ma forse “qui sta la sapienza”. E poi è nella tradizione dei Musei di Arti Applicate occuparsi di temi apparentemente ‘trascendentali’, in realtà molto pratici: basti pensare a Giulio Ferrari, Direttore del Museo Artistico Industriale di Roma, e autore, nel premio decennio del Novecento, del volumone La tomba nell’arte italiana pubblicato nella Collezione Artistica Hoepli, un regesto di modelli storici destinato ai professionisti perché “oggi il grande cimitero pubblico…ha sviluppato enormemente la diversa arte funeraria odierna” (e difatti per tutto il XX secolo queste città dell’aldilà ma erette nell’aldiquà hanno rappresentato per gli architetti un notevole sfogo progettuale, con qualche beneficio alimentare).
Divine Design vuole anche collegare con un fil rouge (o fil noir, dato l’argomento) da un lato mostre ‘esoteriche’ di Enzo Biffi Gentili e William Sawaya come Sacra Fabrica, che inaugurò nel 1994 il Passage de Retz a Parigi o come Delirium Design ad Abitare il Tempo a Verona nel 1995, dall’altro gli eventi culturali collaterali al XXIII Congresso Mondiale degli Architetti UIA, e le manifestazioni di Torino 2008 World Design Capital, e su queste ultime in qualche modo porrà, dati i suoi contenuti e le date di svolgimento, una sorta di ‘pietra tombale’. Scherziamo, perché sappiamo, con Georg Simmel, che “la vita che noi impieghiamo per avvicinarci alla morte la impieghiamo per fuggire da essa”. Ma non sempre così accademiche sono le nostre citazioni: chiudiamo passando dal filosofo berlinese a Margherita Giacobino torinese, che nel suo delizioso libro Un’americana a Parigi, (Zelig, Milano 1993), ma da lei attribuito a un’inesistente Elinor Rigby, racconta che questa scrittrice d’invenzione, in fin di vita, alla domanda se temesse la morte rispose: “per niente. E’ una donna anche lei, e ne ho incontrate di peggio”.
Gli architetti vogliono vivere oltre la loro morte Philip Jonson, Verso il postmoderno, 1985
Hanno fatto questo numero di AfterVille:
Locandine AfterVille the Movie , concept, visual FastForward logo, graphics, typedesign Undesign
ottobre - dicembre MIAAO, via maria vittoria 5, torino
Se Astronave Torino è stata la partenza verso Afterville, una nuova mostra intitolata Divine Design, programmata da ottobre a novembre 2008 nuovamente al MIAAO, concluderà il viaggio, atterrando così nello stesso punto del suo decollo, un anno dopo. La mostra Afterville. Divine Design, curata da Enzo Biffi Gentili, Luisa Perlo e Undesign, acuirà la visione delle soluzioni spaziali ed estetiche delle città del futuro verso il loro orizzonte più estremo: quello delle città dell’ Aldilà. Tra i protagonisti di questa mostra per molti versi inedita e “inaudita”, che vuole, deliberatamente, “sorprendere” al momento della sua inaugurazione, è tuttavia doverosa almeno l’anticipazione dei nomi di due progettisti che già ci guardano dall’aldilà: Toni Cordero ed Ettore Sottsass.
Presidente del Congresso Riccardo Bedrone, Relatore generale Leopoldo Freyrie, Amministratore Luigi Cotzia, Consiglio di coordinamento: Gaetan Siew, Raffaele Sirica, Franco Campia, Simone Cola, Sergio Conti, Louise Cox, Martin Drahovsky, Jordi Farrando, Giorgio Gallesio, Giorgio Giani, Donald J. Hackl, Giancarlo Ius, Mario Viano. Comitato scientifico: Relatore generale Leopoldo Freyrie, Ernesto Alva, Pio Baldi, Achille Bonito Oliva, Alessandro Cecchi Paone, Odile Decq, Michele De Lucchi, Ida Gianelli, Rodney Harber, Stefania Ippoliti, Van Straten, George Kunihiro, Tarek Naga, Suha Özkan, Carlo Hernandez Pezzi, Michelangelo Pistoletto, Francesco Profumo, Joseph Rykwert, Vladimir Slapeta, German Suárez Betancourt, Jennifer Taylor, Mario Virano. Comitato finanziario: Luigi Cotzia, Giuseppe Antonio Zizzi, Donald J. Hackl. Organizzazione: Istituto di Cultura Architettonica (I.C.Ar) Torino 2008 srl. Staff operativo: Mario Caruso General Manager, Michele Iannantuoni Administrative Manager, Laura Rizzi Coordination of activities in Torino (OAT), Raffaella Lecchi Scientific Committee Secretriat, Luca Molinari Scientific advisor, Pier Benato Relations with Italian Orders, Vincenzo Puglielli Relations with UIA sections and Workig Programmes, Pierluigi Mutti Press Agent, Liana Pastorin Public/Media relation - Collateral events (OAT), Administrative Manager Collateral events (OAT) Eleonora Gerbotto, Corine Veysselier Public Relation, Laura Rodeschini (RODEX) General organization - Relations with the Business Sponsors, Elisabetta Mariotti Legal advisor, Roberta Asciolla Logistics and Fair, Antonella Feltrin Web - Structure and contents, Rosanna Bonelli Communication Plan, Francesco Agnese GMA Radio - Technical Manager, Maria Vittoria Capitannucci GMA Radio - contents and interviews, Chiara Ingrosso GMA Radio - contents and interviews, Olympia Kazi GMA Radio - contents and interviews, Marco Folke Testa GMA Radio - Technical support, Simona Castagnotti Web designer.
Consiglio Nazionale degli Architetti PPC
Fabrizio Accatino Simone Antonucci Paolo Anselmetti Dario Aschero Nick Aster Carlo Ausino Luca Barbeni Riccardo Bedrone Ettore Bellotti Arianna Biasiolo Enzo Biffi Gentili Michele Bortolami Raffaella Bucci Gianni Canova Matteo Corbi Bruno D’Andrea Paolo Dellapiana Tommaso Delmastro Veronica Do Elisa Facchin Corrado Farina Marta Francocci Walter Giannelli Maria Grazia Girotto Ugo Gregoretti Fabio Guaglione Giorgio Gurlino Raffaella Lecchi Paolo Mandato Paolo Martelletti Marco Nicastro Carlo Novarino Nicoletta Pacini Roberto Padovano Liana Pastorin Jean Pellisier Carlotta Petracci Maurizio Pisani Liliana Pittarello Doriano Raise Fabio Resinaro Bruce Sterling Massimo Teghille Luca Tessuto Tumi Turbi Roberto Vaccà
Presidente Raffaele Sirica, Vicepresidente Vicario Massimo Gallione, Vicepresidente Luigi Cotzia, Vicepresidente Gianfranco Pizzolato, Consigliere Segretario Luigi Marziano Mirizzi, Tesoriere Giuseppe Antonio Zizzi. Consiglieri: Matteo Capuani, Simone Cola, Pasquale Felicetti, Miranda Ferrara, Leopoldo Emilio Freyrie, Nevio Parmeggiani, Domenico Podestà, Pietro Ranucci, Marco Belloni.
Ordine degli Architetti PPC di Torino Presidente Riccardo Bedrone, Vicepresidente Sergio Cavallo, Segretario Felice De Luca, Tesoriere Adriano Sozza. Consiglieri: Roberto Albano, Domenico Bagliani, Giuseppe Brunetti, Mario Carducci, Mariuccia Cena, Franco Ferrero, Franco Francone, Giorgio Giani, Elisabetta Mazzola, Gennaro Napoli, Stefania Vola. Direzione Laura Rizzi. Staff: Arianna Brusca, Alda Cavagnero, Sandra Cavallini, Antonella Feltrin, Eleonora Gerbotto, Fabio Giulivi, Milena Lasaponara.
Fondazione dell’Ordine degli Architetti PPC di Torino Presidente Carlo Novarino, Vicepresidente Fabio Diena, (membro di diritto all’OAT) Riccardo Bedrone. Consiglieri: Maria Rosa Cena, Franco Francone, Marcello La Rosa, Carlo Novarino, Claudio Papotti, Ivano Pomero, Giuseppe Portolese, Claudio Tomasini. Staff: Maddalena Bertone, Chiara Boero, Raffaella Bucci, Giulia Di Gregorio. numero 2
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art direction Undesign Michele Bortolami Tommaso Delmastro
redazione Elisa Facchin Raffaella Lecchi Liana Pastorin
graphic design e impaginazione elettronica Paolo Anselmetti Dario Aschero creative consultant Marco Nicastro
ufficio stampa afterville info@deangelispress.it ufficio stampa oat/foat l.pastorin@uia2008torino.org
è un progetto ideato e curato per la FOAT da Undesign, Michele Bortolami e Tommaso Delmastro con Fabrizo Accatino e Massimo Teghille e incubato da Commissione OAT Visione Creativa