5 minute read
REDAZIONE
DIDATTICA IN PRESENZA O A DISTANZA? UN’ALTERNATIVA FUORVIANTE
Da circa vent’anni, con la nascita degli atenei telematici e la loro progressiva diffusione su scala planetaria, sono diventate ricorrenti formule come ‘insegnamento in presenza’ e ‘insegnamento a distanza’. Con la prima si indica la didattica tradizionale, quella delle vecchie università dove l’insegnamento dovrebbe svolgersi, almeno in teoria, nello stesso ambiente che ospita docente e studente.
Advertisement
Uso il condizionale perché, in realtà, la frequenza nella maggior parte delle facoltà non è obbligatoria: solo una minoranza di studenti, non superiore al 30%, di fatto frequenta la gran parte dei corsi universitari.
I motivi di questa diffusa non presenza alle lezioni ed alle altre iniziative didattiche (seminari, giornate di studio, convegni, ecc.) sono diversi. In primo luogo di natura economica: frequentare in modo costante, per 10 mesi l’anno, un corso universitario significherebbe per i fuorisede risiedere nella città dell’ateneo dove si è iscritti, sostenere cioè le spese del soggiorno - il vitto, l’alloggio e i trasporti - che si sommano alle tasse universitarie ed ai materiali didattici. Spese che vanno dai 1200 ai 1500 euro al mese. Non tutte le famiglie possono sostenere questi costi, soprattutto quelle dove ci sono più figli, semmai tutti in età da studi avanzati.
Alla base della non frequenza c’è poi la mancanza di tempo, anche per quelli che abitano nella stessa città dell’ateneo a cui sono iscritti. Per seguire due lezioni, fra i tempi degli spostamenti nella città e nell’università, si rischia di perdere una mattinata o un pomeriggio. Spesso non ci si sposta perché si lavora, oppure perché si ha famiglia o un’età matura. Questi impedimenti sono in minima parte risolvibili o ridimensionabili, ad esempio con politiche sociali miranti a ridurre i costi dell’alloggio e delle tasse universitarie.
In breve, la maggior parte degli studenti non frequenta i corsi universitari e spesso incontra i docenti solo in occasione degli esami. Negli anni in cui ho insegnato a Sassari, durante gli appelli, alcuni studenti mi chiedevano se ero io il docente della materia che dovevano sostenere. La formula insegnamento in presenza’, riferita alle università, non indica una prassi reale e diffusa ma una pratica in larga parte minoritaria. Questo limite in realtà non rappresenterebbe un danno considerevole perché frequentare in presenza un corso significa, in buona sostanza, ascoltare in un’aula una serie di conferenze di un docente, senza interloquire o interagire con lui, senza alcuna verifica della comprensione e dell’apprendimento da parte dello studente. Se l’espressione ‘insegnamento in presenza’ è in buona parte bugiarda non da meno è ambigua la locuzione ‘insegnamento a distanza’. L’equivoco di fondo di queste espressioni consiste nel fatto che rinviano ad una presenza o a una distanza nello spazio e che si riferiscono alle persone fisiche del docente e degli studenti, non alla comunicazione e all’interazione formativa. Ci si comporta come se ci trovassimo nel IV secolo a.C., quando per ascoltare una lezione di Aristotele bisognava recarsi al Ginnasio di Atene. La comunicazione, il dialogo, il confronto, la domanda, la risposta, lo scambio intellettuale non richiedono la compresenza nello stesso luogo fisico, ormai da più di un secolo. A maggior ragione nell’epoca dell’informatica e della telematica. Per comunicare occorre una relativa sincronia nel tempo, non la compresenza nello spazio. Sto parlando di cose assolutamente banali, eppure costantemente ignorate.
Sembra sia stata necessaria la pandemia da Covid-19 per scoprire che per tenere una lezione non sia necessario trovarsi tutti in una stessa aula; allo stesso tempo molti hanno pensato ingenuamente che per insegnare sarebbe stato sufficiente sedersi davanti a un PC, ad un’ora convenuta con gli studenti. Non si è capito che la didattica telematica prevede altre modalità di erogazione, di verifica dell’apprendimento parziale e complessivo, necessita di un apparato tecnologico complesso, in grado di interconnettere in modo sincronico anche decine di migliaia di utenti. Inoltre, la didattica telematica ha una possibilità di fruizione che per molti aspetti (ascolto delle lezioni, verifica dell’apprendimento, attività di elaborazione di e-tivity come temi, tesine, ecc.) è possibile 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno. Inoltre, ogni giorno lo studente ad un orario stabilito può interagire con il docente in teleconferenza, oppure attraverso le email.
Kant ha scritto che “lo spazio e il tempo sono le condizioni di pensabilità dell’esistenza umana”, quindi anche dell’insegnamento. Ma l’insegnamento telematico ha rivoluzionato queste due categorie. Si può studiare in qualsiasi luogo, in qualsiasi parte del mondo. Alcuni dei seminari che tengo ogni giorno alle ore 15:00, dal periodo del Covid, sono stati e sono frequentati da studenti che si trovano in tutte le regioni italiane e anche all’estero. Alcuni miei tesisti, con i quali mi sento periodicamente in videoconferenza, si trovano in Indonesia, in Arabia e nell’America del Sud.
Il superamento della barriera spaziale permette di risolvere una serie di problemi di cui si è parlato più sopra, problemi legati allo spostamento degli studenti dalle loro residenze, con relativo risparmio economico e di tempo. Per ascoltare una lezione, per seguire un seminario, per parlare con un professore non serve prendere la metro, il treno o l’autobus, basta accendere il PC e ascoltare, parlare, confrontarsi.
Anche la temporalità dell’insegnamento viene rivoluzionata. In qualsiasi momento della giornata si può accedere ad una lezione, si può ascoltare la registrazione di un seminario, si può fare un’e-tivity, scrivere al docente. Cinque giorni su sette, per sette ore al giorno, si può contattare il tutor della materia che si sta studiando. Restano fissi solo gli orari del quotidiano appuntamento in videoconferenza con il docente. Il corso non inizia un certo giorno ad una certa ora, ma quando lo studente si collega alla prima lezione, semmai alla mezzanotte del primo luglio. La seconda lezione, con relativi test che verificano l’attenzione e l’apprendimento, si può ascoltare un’ora dopo o quando lo decide lo studente. È possibile concentrare lo studio nel fine settimana o ascoltare le lezioni mentre si torna a casa, sul treno.
Anche gli esami e le dissertazioni delle tesi possono farsi in teleconferenza, semmai in una sede decentrata dell’ateneo per garantire una maggiore sorveglianza. Un’ultima considerazione: l’insegnamento tradizionale usa l’elemento primordiale della voce umana nello stesso ambiente in cui si trova lo studente. È statico, l’unico elemento di modernità è dato da un microfono che amplifica la voce. L’insegnamento attraverso la telematica è dinamico, utilizza le innovazioni e i progressi che questa giovane scienza fornisce, anno dopo anno, mese dopo mese, permettendo ad esempio di aggiornare il materiale didattico con frequenza anche giornaliera. L’alternativa fra l’insegnamento telematico (a distanza) e l’insegnamento tradizionale (in presenza) è fuorviante. Nell’insegnamento e nella vita sarebbe poco intelligente privarsi della telematica, ma resta utile anche il contatto ‘fisico’ tra studente e docente. Non a caso tutte le università più avanzate, come quella in cui insegno, coniugano da anni queste due modalità di insegnamento ed interazione.