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I PCTO DELLA CUSANO SONO UN PONTE TRA LA SCUOLA E L’UNIVERSITÀ
Un’opportunità accademica per il raggiungimento di obiettivi professionali: perseveranza e dedizione
Ho intrapreso il mio percorso di studi universitari nel 2016 presso l’Università degli Studi Niccolò Cusano aderendo all’iniziativa Click Days, la borsa di studio per neodiplomati promossa dall’Ateneo, un’occasione unica che mi ha permesso di studiare gratuitamente per cinque anni sino al completamento del mio percorso di laurea magistrale in Giurisprudenza.
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Un investimento importante quello compiuto dalla Unicusano, che conferma le iniziative lodevoli che il Presidente Stefano Bandecchi realizza a favore del diritto allo studio nonché a livello sociale.
Negli ultimi anni si è discusso molto di futuro, bisognerebbe allo stesso tempo chiedersi chi fa concretamente qualcosa per far sì che i sogni dei giovani si avverino.
L’Unicusano offre a tutti opportunità formative eccellenti nella loro completezza: di fatto posso comprovare di aver usufruito di plurimi servizi tra cui la frequenza dei corsi in aula, il corso di lingua inglese disponibile nell’intero anno accademico, l’assistenza didattica per ogni materia di esame e l’accesso ai relativi materiali di studio. Mi è stato possibile seguire corsi, tenuti in presenza, volti al miglioramento delle performance individuali nonché assistere e prendere parte attiva presso l’Ateneo a convegni e seminari di carattere non solo giuridico ma anche interdisciplinare. Ad esempio, tra quelli che più mi hanno colpito e coinvolto, ricordo: La violenza di genere: effetti, tutele giuridiche ed economiche; L’omicidio e lesioni personali colpose; Le unioni civili, omogenitorialità e convivenze di fatto: tra diritto e psicologia; Diritti e dignità della persona agli albori del processo di integrazione europea: dalla Ceca ai trattati di Roma; Immigrazione, integrazione e diritti fondamentali; Il colloquio internazionale sulla nullità della legge e il giudice tra la vita e la morte.
Come è stato per me, ogni studente può riscontrare sul piano della realtà un accompagnamento curato e costante durante tutto il proprio iter didattico-formativo tale da consentire l’acquisizione degli strumenti necessari al conseguimento del titolo di laurea nei tempi previsti. Ulteriormente, vede riconosciuta la possibilità di partecipare attivamente alle attività di comunicazione e divulgazione collaborando con l’ufficio stampa di Ateneo presso la redazione di Radio Cusano Campus, Cusano Italia TV e TAG24 by Unicusano all’elaborazione di testi e articoli.
I Click Days, dunque, rappresentano e sono un’iniziativa unica nel territorio che conferisce ancor più valore e credibilità alla storia e alla realtà dell’Università degli Studi Niccolò Cusano. Ogni anno è stata ampliata per i neodiplomati sia l’offerta formativa sia quella dei Corsi di Laurea interessati dal progetto. Attualmente vengono coinvolti numerosi percorsi, siano essi composti da triennio più biennio o da ciclo unico, così ad affiancare le borse di studio presenti al momento della mia iscrizione in Economia, Giurisprudenza, Scienze Politiche, Ingegneria, Scienze dell’Educazione e Formazione, Psicologia, oggi in collaborazione con il Consorzio Senofonte sono state finanziate borse di studio anche in Lettere, Scienze Motorie, Sociologia, Comunicazione, Filosofia e Ingegneria Informatica.
Non nascondo che giunto quasi al termine del mio percorso di studi universitari erano presenti e forti il timore e l’incertezza di una prospettiva futura per il contesto storico in cui viviamo. Quando ho iniziato la pratica forense - tirocinio anticipato ex art. 41 c. 6 lett. d L. 247/12- ero piuttosto centrato sulla libera professione, finché, in itinere, sono
giunto alla consapevolezza che il percorso di studi in giurisprudenza offre innumerevoli opportunità di carriera diverse tra loro. Decisi, dunque, di confrontarmi con la possibilità di un lavoro all’interno di realtà aziendali.
Ancora laureando, mi sono messo in cerca di opportunità di stage e ho ricevuto numerose proposte in risposta alle mie candidature. Una di esse proveniva dal career service Unicusano, - una realtà a me già conosciuta soprattutto per gli eventi career day, organizzati annualmente dall’ufficio placement, ove è possibile incontrare i recruiter di numerose aziende - per collaborare presso
l’ufficio giuridico-amministrativo e recupero crediti, proposta che mi entusiasmò sin da subito poiché mi avrebbe consentito di entrare in contatto con tematiche a me care e soprattutto afferenti al mio corso di Laurea.
Il 4 ottobre, ancor prima di laurearmi, ho deciso di accettare tale proposta e di iniziare questa esperienza formativa che mi ha permesso di acquisire conoscenze per la redazione di diffide, lettere di messa in mora ai sensi dell’art. 1219 c.c., di curare la fase transattiva della controversia in riferimento all’ipotesi di saldo e stralcio e piani di rientro.
Il 14 ottobre ho terminato il mio percorso di studi laureandomi con lode, con il Prof. Giovanni D’Alessandro, il quale non smetterò mai di ringraziare per la dedizione con cui ha partecipato alla stesura della mia tesi.
Per concludere suggerisco ad ogni giovane di credere sempre con passione nei propri sogni.
È nelle asperità della vita che si vede il vinto e la tempra del vincitore, ribadendo, ulteriormente: “Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo.”
“Cadendo, la goccia scava la pietra, non per la sua forza, ma per la sua costanza.” (Lucrezio)
Alessio Vecchi
UNIVERSITÀ E INSEGNAMENTO FRONTALE
LA PRESENZA STUDENTESCA IMMAGINARIA
Fino all’aprile del 2003, data a cui risale il decreto Moratti per l’istituzione delle università telematiche, gli Atenei in Italia, come ne resto del mondo, si dividevano in due sole categorie: i pubblici e i privati. Questa distinzione è quella che è in vigore anche oggi e si riferisce alla proprietà degli atenei, non certo alla docenza, alla didattica o alla ricerca. Su queste ultime vige in Italia un’unica normativa, ad esempio i docenti devono essere nominati e selezionati, con le stesse procedure, da commissioni nazionali nominate dal MIUR. Allo stesso modo, la valutazione della ricerca, cioè della ‘qualità’ della produzione scientifica di un docente, è fatta dall’ANVUR, un’agenzia del MIUR che con gli stessi criteri valuta i docenti, a prescindere dall’ateneo nel quale insegnano. Potremmo sintetizzare la questione in questi termini: in Italia l’università è un istituto di diritto pubblico, ma la proprietà può essere privata o pubblica, per tutto il resto non ci sono differenze di rilievo.
Almeno fino al decreto dell’aprile del 2003, dell’allora ministro del MIUR, Letizia Moratti, che introduceva una novità per più versi rivoluzionaria: istituiva una nuova modalità di insegnamento, per via telematica, ‘a distanza’.
La grande novità delle università telematiche, infatti, era ed è rappresentata dalla modalità di insegnamento, non più erogato in presenza – cioè in uno stesso ambiente fisico, un’aula o un laboratorio, dove alla stessa ora devono trovarsi docente e studente - con tutte le implicazioni connesse. L’insegnamento in presenza è prevalentemente ‘erogativo’, aggettivo per più versi curioso ed ambiguo, che fa pensare ad un insegnamento/farmaco, che si deve inoculare ad uno studente/paziente. Non proprio quello che pensava Plutarco a proposito del metodo didattico, quando notava: “La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”. ‘In presenza’, infatti, quasi sempre sta solo ad indicare che l’insegnamento è somministrato a studenti che si trovano a distanza ravvicinata, nello stesso ambiente fisico del docente. Senza implicare un’interazione fra docente e studenti, anche quella più elementare, ad esempio la richiesta al docente di chiarimenti su quanto sta dicendo. Di norma, soprattutto nella didattica di materie umanistiche come Giurisprudenza o Lettere e Filosofia, il docente arriva ad una certa ora, svolge una lezione/conferenza, poi saluta e se ne va. Un ciclo di lezioni è, di fatto, un ciclo di conferenze di cui, per giunta, non resta traccia. Tutt’al più lo studente può registrare per suo conto questa o quella lezione. In breve, l’insegnamento tradizionale, quello di un docente della Humboldt-Universitat nella Berlino del 1840 o di un’università italiana come la Sapienza o la Federico II nel 2021, è lo stesso e consiste in un ciclo di lezioni/conferenze di un docente che parla ad un pubblico più o meno numeroso di studenti in un’aula più o meno grande. La principale differenza nella didattica consiste spesso solo nell’uso di un microfono o di una lavagna luminosa: il tempo sembra essersi fermato nelle aule universitarie.
In fin dei conti questa tanto apprezzata presenza sembrerebbe ridursi a poca cosa, alla condivisione di uno stesso ambiente, fra docente e studenti che respirano la stessa aria: pratica naturale, ma poco consigliabile soprattutto in epoca di pandemia, che ha comportato come prima misura di sicurezza il divieto di concentrare nelle stesse aule docenti e studenti universitari. Non una gran perdita, almeno in quei diffusi casi, la maggioranza, in cui insegnare significa fare conferenze ad un pubblico non sempre attento di studenti. Eppure la presenza, la compresenza fisica di studenti e docenti per il rito della lezione, sembra essere particolarmente stimata e ritenuta un segno di distinzione, un attestato di qualità e di primato. Sta ad indicare un essenziale elemento identitario, un indice di qualità della didattica, dell’apprendimento e della stessa università.
Se la presenza è sinonimo di università e di qualità i relativi dati dovrebbero essere noti, si dovrebbe conoscere la percentuale dei frequentanti rispetto al totale degli iscritti, le variazioni di tali percentuali in relazione ai periodi dell’anno e al tipo di materie e le variazioni nei diversi anni del corso. In realtà non esistono dati: le università in presenza hanno presenze fantasma che nessuno conosce. I dati sulla partecipazione degli studenti ai corsi di studio ed alle altre attività didattiche è in parte accertata ed accertabile solo in quelle facoltà o università dove la frequenza è obbligatoria. Ma queste sono una piccola minoranza, la maggior parte degli atenei non prevedono l’obbligo di frequenza. Per sostenere gli esami non è necessario frequentare i corsi di Scienze politiche, Economia, Ingegneria, Giurisprudenza, Lettere, Scienze della Comunicazione e Scienze dell’Educazione. A questo punto sorge spontanea una domanda, semmai da rivolgere al MIUR: perché si continua a parlare di ‘lezioni frontali’ e ‘didattica in presenza’?
In mancanza di dati attendibili, ho cercato io stesso di reperire qualche informazione. Mi sono tornati in mente alcuni vivaci interventi della mia gioventù ribelle quando, studente di Giurisprudenza alla Sapienza, durante una lezione, ad un docente che lamentava la scarsa presenza degli studenti alle attività didattiche replicai: “Vi lamentate che frequentiamo poco le vostre lezioni, ma se l’insieme degli iscritti a Giurisprudenza frequentasse tutti i corsi, gli spazi della facoltà non sarebbero neanche sufficienti per garantire i servizi igienici”. Il docente mi rispose con un sonoro silenzio perché sapeva che avevo ragione.
Come dicevo più sopra, mi sono messo alla ricerca di qualche dato sulla percentuale delle frequenze nelle università che si definiscono ‘in presenza’. Sul web non ho trovato rapporti. Mi sono rivolto allora all’avvocato Fabio Santella, un dirigente dell’Unicusano tra i maggiori esperti in materia universitaria. Mi ha confermato che non ci sono dati ufficiali. Le università in presenza non hanno la certificazione della presenza che si attribuiscono. Ho cercato di fare una verifica alla spicciolata, per così dire. Di vedere la relazione esistente fra numero degli iscritti della facoltà di Giurisprudenza della Sapienza e l’estensione degli ambienti in metri quadrati. Scrivo a richiestadati@ uniroma.it, per richiedere il numero degli iscritti a Giurisprudenza e a quanti metri quadri ammonta la Facoltà nel suo insieme. Mi dicono che devo rivolgermi a comunicazioni.sapienza@uniroma1.it per la seconda parte della questione. Questo secondo ufficio mi rinvia ad un terzo che si occupa, fra l’altro, del calcolo delle metrature dei diversi ambienti universitari. Quest’ultimo ufficio neanche mi risponde. L’unico dato che riesco a reperire dal primo ufficio, solerte e disponibile, è il numero degli iscritti a Giurisprudenza, circa seimila, che dovrebbero frequentare gli stessi ambienti costruiti nel 1935, quando gli iscritti erano meno della metà degli attuali. Faccio un altro tipo di ricerca, più semplice ma non meno efficace. Negli ultimi venti anni gli esami della Facoltà di Giurisprudenza non si sono mai tenuti nello stesso giorno, per il semplice motivo che le aule a disposizione non sarebbero state sufficienti, anche se ad una sessione d’esame si presentano al massimo il 25% degli aventi diritto. Lo stesso dicasi delle lezioni, che non si tengono mai in contemporanea perché non sarebbero sufficienti le aule a disposizione. In breve, le università in presenza non sono tali perché i frequentanti sono una minoranza; questa minoranza, per giunta, deve frequentare in modo frazionato nel tempo, altrimenti gli spazi disponibili non potrebbero contenerla. Le definizioni ‘università in presenza’ e ‘didattica frontale’ appaiono pertanto velleitarie e fantasiose, meglio sarebbe classificarle come ‘università con una minoranza di frequentanti’. Non è questo che serve alla nostra comunità ed ai nostri giovani, minoranze di studenti che in silenzio ascoltano cicli di conferenze, in aule condivise.