traduzione di Samanta K. Milton Knowles
i geodi 60
Titolo originale:
Så mycket kärlek kan inte dö di Moni Nilsson
© Natur & Kultur, 2018
Progetto grafico di copertina:
© formlabor / CARLSEN Verlag GmbH, Hamburg, Germany
© uovonero 2023 by arrangement with Koja Agency
Traduzione dallo svedese di Samanta K.Milton Knowles la pubblicazione è stata realizzata con il contributo della Fondazione C.M.Lerici
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uovonero edizioni snc
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via Marazzi 12, Crema
collana i geodi /60
Finito di stampare nel mese di maggio 2023
presso Rubbettino Print in Soveria Mannelli (CZ)
Prima edizione: maggio 2023
ISBN 979-12-80104-29-8
Moni Nilsson
Moni Nilsson
traduzione di Samanta K . Milton Knowles
A Jessica Skarpsvärd che voleva che scrivessi questo libro ma che non ha fatto in tempo a leggerlo tutto.
noa
«Povera te» dice Noa guardandomi con i suoi occhi verdi.
Nessuno ha occhi più verdi e più buoni della mia migliore amica. La amo! E lei ama me. Mi ama anche quando sono acida. E io la amo anche quando è noiosa e non vuole fare niente. Siamo come gemelle omozigote. Sulle questioni importanti la pensiamo allo stesso modo. Il nostro animale preferito è il delfino e da grandi vogliamo diventare addestratrici di delfini. Ci scappa sempre la pipì e prendiamo sempre le stesse malattie nello stesso momento e a tutte e due piace togliere le crosticine alle ferite. Io tolgo le crosticine a Noa e lei le toglie a me.
Lucas, il mio fratello maggiore, dice che facciamo schifo allo stesso modo.
In realtà Noa si chiama Nora, ma quando ero piccola non riuscivo a dire la r e da allora tutti la chiamano Noa.
Non c’è nulla che Noa non sappia di me. Nulla che io non sappia di lei.
«Perché?» domando sorpresa. «Perché “povera me”?»
«Non lo sai?» chiede Noa.
«No. Non sto capendo niente».
«Perché la tua mamma sta per morire». Gli occhi verdi di Noa si spengono e le viene la faccia tutta triste.
«No che non sta per morire».
«L’ho visto ieri. Al Galà del Cancro. Però la mamma mi ha detto che non dovevo dirti niente».
Guardo Noa per vedere se sta scherzando. Anche se sarebbe davvero uno scherzo pessimo. Noa però non sembra per niente ridanciana.
«Lo ha detto lei stessa, ieri in televisione».
«No che non lo ha detto».
«Sì, invece».
Sembra sul punto di scoppiare a piangere.
«Sarà la tua, di mamma, che sta per morire» dico dandole una spinta forte.
La spingo talmente forte che cade all’indietro. In una pozzanghera. Poi le do un calcio su una gamba.
«Ti odio!» grido. E le do un altro calcio.
Noa si mette a piangere. E alcuni nostri compagni di classe vanno a chiamare un guardiano della ricreazione.
Corro via prima che arrivi il guardiano. Via dalla scuola. Via da Noa. Via. Via. Via.
Il cuore batte rotto.
2 • TANTO AMORE NON PUÒ MORIRE •
la mamma
Le mamme degli altri sono al lavoro. La mia è quasi sempre a casa, da quando ero in prima. Dice che il suo lavoro è guarire. E amarmi dalla mattina alla sera.
«Ehilà!» grido sempre quando torno da scuola. Poi lascio cadere lo zaino sul pavimento dell’ingresso.
«Ehilà, merla mia» grida sempre la mamma di rimando. «Ti va una merenda sfiziosa?»
Non mi chiama sempre con lo stesso nomignolo. A volte è Amore o Merla. Oppure Resina perché dice che profumo come il bosco in primavera. Non mi chiama quasi mai Lea, che è il mio vero nome. Ma sempre, sempre mi va una merenda sfiziosa. E anche alla mamma.
Faccio fatica a ricordarmi com’era prima che la mamma si ammalasse e avesse il tempo di amarmi dalla mattina alla sera. Prima amava anche il lavoro. Lavorava per un giornale. Adesso non ce la fa più. Ad amarmi, invece, ce la fa perfino quando mi sveglio a notte fonda e mi infilo nel suo letto. Oppure quando perdo le chiavi e i vestiti di educazione fisica.
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A volte è malatissima e vomita in bagno e perde i capelli e diventa più calva di un pesce. Allora le tatuo la testa con i pennarelli. A volte sta bene e le ricrescono i capelli. In quei periodi ne approfittiamo per fare cose divertenti, tipo andare al cinema, fare visita agli amici e viaggiare. Vorrei che la mamma stesse sempre bene.
Era tipo da sempre che io e la mamma volevamo andare a Bora Bora. È un’isola della Polinesia francese.
Volevamo andarci da quando avevamo visto un programma televisivo che ne parlava. Quando la mamma ha compiuto trentasei anni, il papà le ha regalato il viaggio. Per pagarlo ha preso in prestito i soldi dalla banca e io ho preso in prestito dei soldi dai miei nonni materni. Quindi lo scorso Natale, quando i capelli della mamma hanno cominciato a ricrescere grigi e ricci invece che scuri e lisci, siamo partiti. Tutta la famiglia. Abbiamo volato per tantissime ore e abbiamo dormito in una capanna su lunghi pali in mezzo all’acqua, con grosse lucertole sul soffitto e il pavimento di vetro per vedere i pesci nuotare nel mare.
Nessuno è mai stato sano quanto la mamma durante quelle settimane in cui abbiamo fatto snorkeling in mezzo a barriere coralline di tutti i colori, abbiamo fatto il bagno, preso il sole e nuotato con le razze dalla pancia liscia come la seta. Ho perfino visto i delfini. Nonostante fossero lontanissimi, erano la cosa più bella che avessi mai visto. Pure Lucas, che di solito è sempre
4 • TANTO AMORE NON PUÒ MORIRE •
arrabbiato e non fa che ascoltare la musica ad alto volume in camera sua, era felice e mi ha insegnato un gioco di carte a cui giocavamo di sera. La mamma e il papà erano innamorati e camminavano mano nella mano e si baciavano in maniera imbarazzante.
Io e la mamma ci siamo comprate un pareo ciascuna, che legavamo come un vestito, e coglievamo fiori di ibisco da mettere nei capelli proprio come le polinesiane. Il pareo ce l’ho tuttora. Profuma ancora di mare, di delfini, di coralli e di felicità. Non lo laverò mai.
L’ultimo giorno a Bora Bora, mentre io e la mamma eravamo sedute sulla spiaggia con i piedi nel mare, la mamma è scoppiata a piangere.
«Perché sei triste?» le ho chiesto.
«Non sono triste» ha risposto lei. «Piango perché in questo momento sono la persona più felice del mondo. Pensa un po’, Merla, che tu mi hai donato tutto questo».
«Anche papà ha contribuito» ho detto, raddrizzando la schiena. È strano, ma quando ti senti la persona più importante dell’universo è come se diventassi più alta e talmente forte da riuscire a trasportare una scrivania intera.
«Conserva questo viaggio dentro di te» ha detto la mamma. «E quando sarai triste, in futuro, tiralo fuori e ripensa a quando le nostre dita dei piedi facevano il bagno nell’Oceano Pacifico. Settimane così sono lunghe quanto quindici anni mediamente noiosi».
5 • LA MAMMA •
Ogni volta che la mamma dice cose di questo tipo a me viene un grumo di paura nella pancia. Non sono un’idiota che non capisce niente. Tipo che la mamma ha il cancro e che di cancro si può morire. Lo sento come parlano gli adulti quando pensano che io non li ascolti.
«Però adesso stai bene» ho detto. «Vero?»
«Nessuno sta meglio di me in questo momento» ha detto la mamma tirandomi a sé. «Però se non trovano una nuova medicina non guarirò mai. Lo sai».
«Sì» ho sussurrato, rannicchiandomi più vicino possibile a lei.
Odio la malattia della mamma, che si nasconde nel corpo. E odio i suoi medici che non riescono a darle la medicina giusta.
È passato poco più di un anno da quando siamo stati a Bora Bora. Da Bora Bora siamo andati in Nuova Zelanda a trovare il fratello minore della mamma, che vive lì. Sono stata costretta a parlare in inglese, perché i miei cugini non sanno parlare lo svedese. Non sanno parlare un granché bene in generale, perché hanno solo uno e tre anni.
La Nuova Zelanda era bella, ma Bora Bora lo era molto di più. Da grandi io e Noa vogliamo trasferirci lì.
Quando siamo tornati a casa, la mamma si è ammalata di nuovo e ha perso tutti i suoi capelli ricci. Sulla sua testa lucida ho disegnato una razza che non è venuta
6 • TANTO AMORE NON PUÒ MORIRE •
benissimo, un delfino e un pesce a righe azzurre. Volevo che pensasse più al nostro viaggio che alla malattia.
E anch’io. È più bello pensare alla Polinesia francese che al cancro.
7 • LA MAMMA •
Mentre la mamma e il papà erano a Stoccolma al Galà del Cancro da noi c’erano i nonni, ma quando torno a casa da scuola trovo la mamma sul divano a scrivere al computer. Ha dei tubicini nel naso che la aiutano a respirare.
«Resina, sei già tornata?» domanda sorpresa.
«Sì» dico, passandole accanto come una tempesta. Su per le scale fino alla mia camera.
«Non vuoi una merenda sfiziosa?» grida la mamma.
«No!» le grido arrabbiata, sbattendo la porta.
Non so con chi sono più arrabbiata. Se con Noa, con la mamma, con il papà o con i nonni che non mi hanno lasciato guardare il Galà del Cancro. Perché Noa l’ha potuto vedere? Non è giusto! Era la mia mamma che partecipava. Non la sua. Schifosa, stupida Noa.
Sono talmente arrabbiata che lancio sul pavimento la fotografia che tengo sul comò. Il vetro nella cornice si infrange, proprio come il mio cuore. La foto ritrae me e Noa abbracciate, con i vestiti da calcio. Sembriamo felici. Non è così strano, visto che avevamo appena vinto una partita importante. Strappo la foto a metà. È Noa quella
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non dimenticare di odiare noa
con cui sono più arrabbiata. Quale migliore amica ti direbbe che la tua mamma sta per morire?
All’improvviso lo so: finché odio Noa, la mamma non morirà.
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RASCHIO DI PENNA E RESPIRO AFFANNOSO
Sento la mamma parlare al telefono e poi salire le scale. Va piano. Le tocca fermarsi più volte per riposare. Quando fa le scale o le salite, le manca l’aria. Bussa alla mia porta. È l’unica della famiglia che lo fa e aspetta che io dica “avanti”. Il papà bussa e apre la porta contemporaneamente. Lucas la spalanca e basta, poi entra e prende quel che sta cercando. Di solito il mio caricabatterie. Perché non trova mai il suo.
Io non entro mai in camera di Lucas. Se lui è in casa. Se lui non c’è, ci entro volentieri. Io e Noa di solito andiamo a curiosare. L’ultima volta abbiamo trovato un pacchetto di sigarette in un cassetto. Quindi adesso ho paura che venga il cancro anche a Lucas. Non so se dovrei fare la spia ai miei genitori.
«Entra, se proprio devi» dico, in risposta al bussare della mamma.
Lei apre la porta e si siede sul mio letto sfatto a riprendere fiato. Faccio finta di non vederla. Odio il suo respiro affannoso. Fa un rumore terribile. Perché non può essere come le altre mamme? Come le
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mamme sane con i capelli sulla testa che vanno al lavoro invece di starsene sedute con i tubicini nel naso e il respiro schifoso.
Trovo una pagina bianca nel mio blocco e comincio a disegnare. Mi piace disegnare, quando sono arrabbiata o triste. E felice. A pensarci bene, mi piace sempre disegnare.
«Ha chiamato Anna» dice la mamma quando ha ripreso fiato. Anna è la mia maestra.
«E…?»
Continuo a disegnare senza voltarmi.
«Ha detto che tu e Noa avete fatto a botte».
«Allora ha detto una bugia» dico. «Perché sono stata solo io a dare le botte».
«Racconta».
«No» rispondo, continuando a disegnare e disegnare.
Si sente solo il respiro della mamma, il raschiare della penna e il mio cuore ancora rotto.
Il disegno diventa brutto, quindi strappo il foglio e lo appallottolo.
«Vieni qui» dice la mamma battendo con la mano accanto a sé sul letto.
«No» rispondo, rimanendo seduta a fissare la parete per un bel po’. Fisso la parete finché gli occhi non si dimenticano come si fa a battere le palpebre. Fisso la parete finché non si riempiono di lacrime. Allora mi volto.
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«Mamma, adesso morirai?» domando. «Noa dice che morirai. E grazie, per essere stata in televisione. Adesso tutto il mondo sa che hai il cancro. Magari io non volevo!»
«Ma Resina, amore». La mamma mi guarda con aria preoccupata. «Lo sai che l’ho fatto per raccogliere fondi per la ricerca».
«E a me non pensi? Magari non mi piace che la mia mamma dica proprio a tutti, tranne che a me, che sta per morire».
Anche se ci provo, non riesco a non piangere.
«Scusa» dice la mamma. «Scusami. Però non ho detto che sto per morire».
Non so se le credo.
Ci infiliamo sotto la coperta con le lenzuola di Star Wars. Non esistono lenzuola più belle! Perlomeno non per me e la mamma.
Per un po’ rimaniamo lì sdraiate in silenzio. In giardino canta un merlo. O almeno, credo sia un merlo.
«È vero?» chiedo, guardando la mamma che tiene gli occhi chiusi. «Morirai?»
«Tutti moriremo» dice lei. «E nessuno di noi sa quando».
Mi tira a sé e io affondo il naso nel suo collo.
1 2 • TANTO AMORE NON PUÒ MORIRE •
«Non voglio» dico.
«Lo so».
«E tu?»
La mamma mi fa una carezza sulla guancia.
«No. Voglio vederti diventare adulta. Lo desidero più di ogni altra cosa».
«Perfino più della pace nel mondo?» domando.
«Perfino più della pace nel mondo. Sono orribile, vero?»
«Anch’io sono orribile» dico. «Perché io lo desidero più di quanto desidero che nessun bambino patisca la fame».
«Sì» dice la mamma.
«Ma allora guarisci!» sussurro.
«Ci sto provando. Se solo sapessi quanto ci sto provando».
Rimaniamo sdraiate in silenzio a guardarci negli occhi.
Quelli della mamma strabordano di lacrime.
Anche i miei.
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E
DI PENNA
RESPIRO AFFANNOSO •
La mia mamma mi ha amata fino alla fine dell’universo.
Ogni giorno di tutta la nostra vita.
Tanto amore non può morire.
La mia mamma mi ama. Sempre. Non lo dimenticherò mai.
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