La via speciale Pasqua 2016

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LA VIA speciale Pasqua 2016

P a r r o cc h i a Ro v e l e t o d i C a d e o

In copertina: Amleto a Calais A t t o r i d e l l o S h a ke s p e a r e ’s G l o b e r e c i t a n o A m l e t o i n u n teatro allestito nel campo di Calais, nel nord della Francia, dove vivono piÚ di cinquemila migranti. (Dan Kitwood, Getty Images)



LO SPIRITO CI FA RINASCERE Don Umberto Pensavo a quale verbo, quale parola potesse regalarci il titolo di questo speciale de “LA VIA”. Risorgere mi appariva ovvio, così scontato da non suscitare più interesse. Eppure non potevo non offrire una chiave di lettura che mettesse a fuoco proprio questo: le nostre morti non sono l’ultima parola. La morte non è la fine, ma spesso l’inizio di altro. Ho pensato allora a RINASCERE. Mi pare un verbo ancora più forte, più completo direi. Evoca la possibilità di ricominciare

da capo, di tornare nel grembo, di riprendere dall’infanzia a palpitare per le grandi scelte della vita. Rinascita comporta una visione del passato come qualcosa che non pesi su di noi come condanna, ma nemmeno come merito. Rinascita fu l’entrata nel Regno del buon ladrone, primo compagno del Signore in paradiso. Rinascita fu ciò a cui Cristo invitò Nicodemo, in quel famoso colloquio notturno che cambiò la sua vita. “Dovete rinascere dall’alto” Egli disse ad un interlocutore scettico e perples-

so. “Può forse un uomo tornare nel grembo della madre?” Certo, se la rinascita fosse questione biologica, nessuno potrebbe farlo. Ma di questione di Spirito si tratta. E lo Spirito è come il vento, è impalpabile, agisce pur essendo senza volto. Le vere rinascite sono quelle interiori. Così le abbiamo intese negli articoli di questo giornale. E così le vorremmo vivere anche noi. Resterebbe da chiedersi se si può rinascere da soli, con i propri sforzi. Amo i libri di Gabriel Garcia Marquez. Sono innamorato del suo “Cent’anni di solitudine”. Quasi gli sono debitore. Sue sono queste parole: “Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce; la vita li costringe ancora molte altre volte a partorirsi da sé” . Quanto apprezzo lo scrittore, tanto questa frase mi lascia con una domanda: “si può?” Si può, anche spiritualmente, rinascere da soli? Credo che sia Dio a farci rinascere. E lo faccia attraverso i fratelli. Credo che senza Q/qualcuno che sia con noi non sia possibile rinascere. Non possa quindi rifiorire quella vita interiore proprio laddove ci siamo sentiti afferrati dalla morte. Questo pensiero mi ha spinto a scegliere la copertina di questo numero. Uno spettacolo teatrale di Shakespeare, tra i profughi di Calais, in Francia. Far rinascere la speranza toccando i cuori con le emozioni della cultura. A quanti tra noi e nella nostra comunità hanno bisogno di rinascere, come persone e come credenti, Dio porti La sua Parola di vita. Buona Pasqua!


Trovate “il luogo del cuore”, solo cosi si rinasce ogni giorno

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e uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio", sono le parole che Gesù rivolge al capo dei giudei, Nicodemo; forse le prime che ci vengono alla mente quando si pensa al termine "rinascita" nella Bibbia. E di "rinascita" del cristiano e della nostra Chiesa, ma anche del nostro "cuore" e dei nostri "occhi", abbiamo dialogato con Maria Campatelli, teologa ed "ecclesiologa" del Centro Aletti. Maria Campatelli è nata a Poggibonsi, in Toscana, nel 1962, si è laureata in lettere e poi in storia presso l'Università di Siena ed è stata per sei anni responsabile dei giovani dell’Azione Cattolica Italiana. Ha conseguito il dottorato in teologia al Pontificio Istituto Orientale con una tesi su Sergej Bulgakov con p. Špidlík ed oggi si occupa di questioni di ecclesiologia orientale e di teologia della cultura. E' direttrice della casa editrice Lipa e dell'Atelier di teologia “Cardinal Špidlík” del Centro Aletti. Maria Campatelli, prima del Centro Aletti. Ci racconta qualcosa di lei? Comincio ad avere “una certa età”, e così torno indietro a cose di oltre 25 anni fa. Che cosa dire? Sono cresciuta in una famiglia normale, cristiana, che, grazie a Dio mi ha dato la fede, e insieme un senso bello delle relazioni e della libertà. Sono arrivata direttamente al Centro Aletti dall’Azione Cattolica, dove ero responsabile per i giovani. E anche l’Azione Cattolica mi ha insegnato molto ad amare la Chiesa senza idealizzarla, nella concretezza di come è, perché Cristo si è incarnato nella nostra umanità, non ne ha presa una ideale. Sono grata a Dio di una vita dove mi hanno voluto bene, tranquilla, senza problemi, perché sempre più mi accorgo quanta fatica ci vuole a liberarsi dai tanti pesi che noi ci mettiamo addosso da soli, o che gli altri contribuiscono a metterci. Comunque, Olivier Clément, un grande intellettuale ortodosso e un grande uomo di fede, diceva sempre: quello che importa non è quello che tu sei stato o quello che sei, ma chi puoi diventare in Cristo. Esperta di ecclesiologia orientale, è convinta che "le tradizioni delle Chiese orientali, sollecitate dalle domande presenti nel mondo contemporaneo, possano contribuire a rendere feconda la pastorale della Chiesa nel mondo occidentale". Percorrendo quale via la Chiesa d'Occidente può rinascere da quella orientale?

Dialogo con Maria Campatelli, teologa del Centro Aletti

Oggi assistiamo davanti ai nostri occhi all’erosione delle forme che negli ultimi 500, 600 anni ha assunto il cristianesimo in occidente. Fra 10 anni ci saranno le suore così come le conosciamo ora, con le congregazioni, gli istituti, le scuole? Ci saranno quei casermoni di seminari fatti per 300 persone, quando i seminaristi saranno al massimo una ventina? Ci saranno ancora tutte le cose etichettate come “cattoliche” che erano comuni, almeno nella mia infanzia? Nel giro di 10, 15 anni cambieranno tante cose. Sarà un ripensamento non solo di superficie, della pratica pastorale, ma di quello che costituisce la vita cristiana, l’articolarsi della vita della Chiesa, di quello che è la fonte della sua vita e che la nutre. Se non vogliamo che queste cose cambino secondo l’ultima moda, bisogna guardare alla tradizione della Chiesa, che anche qui non vuol dire gli ultimi 500 anni, ma una tradizione in senso ampio, sia cronologico che geografico. In questo senso ci sono di aiuto le Chiese orientali, non perché anche loro non abbiano le loro rughe o perché le loro rughe siano più belle delle nostre. Ma perché è indubbio che l'Oriente ha conserva-

to una ricchezza di risposte originarie, molto vicine all'esperienza storica del Cristo, che forse noi abbiamo perduto un po’ per strada. Se per tutta una serie di cause storiche, almeno in questo secondo millennio, l’Occidente è stato più pronto a prendere sul serio le domande della cultura, tanti fattori hanno fatto sì che queste domande abbiano avuto un impatto corrosivo nella vita della Chiesa e delle persone e abbiano portato, più che alla cristianizzazione del mondo, a una certa secolarizzazione della mente dei cristiani. In questo senso, l’esperienza di questi anni al Centro Aletti ci porta a vedere come sarebbe fruttuoso mettere insieme queste due tradizioni, assumere la ricchezza di entrambe e, a partire da questa ricchezza, cercare di vivere e, con questo, di dire una parola a chi incontriamo. Se una tradizione sviluppa mag-

giormente un aspetto della vita cristiana che nella nostra è più in ombra, la conoscenza dell’altro può portare solo ad una maggiore ricchezza e ad una più grande comprensione di questa cosa. Tutto ciò che è di Cristo è nostro e contribuisce ad approfondire la sua conoscenza e a muovere il cuore verso di Lui. Penso a tante cose, e semplicemente fare l’elenco riempirebbe tutto il vostro bollettino. Faccio solo un esempio. Da noi la pastorale è come una ditta che funziona come un orologio (quasi), e tante cose sono impostate sull’istituzione? Ma i rapporti personali? Nella vita cristiana non c'è un’istituzione che mi genera, ma una paternità. Allieva del card. T. Špidlík e, nei suoi ultimi anni di vita, a lui molto vicina. "Ex toto corde" era il motto del suo stemma cardinalizio; un cuore al centro anche della sua teologia, luogo di sintesi e di espressione delle verità fondamentali della rivelazione cristiana. I russi - sosteneva Špidlík - per esempio dicevano che la persona più infelice è quella che non può vivere secondo il cuore”. In una cultura in cui cuore fa rima con emozione e sentimentalismo, ci aiuta a ridare al "cuore" il suo vero significato? “Cuore” è un termine fondamentale nella spiritualità. Ma non è una parola facile. Tutta la vita spirituale viene da questo centro intimo dell’uomo, da questo organo centrale. Allora è chiaro che “cuore” non coincide con il senso solo affettivo ed emozionale che gli attribuisce la nostra cultura. Nella Bibbia il cuore è il luogo dell’intelligenza e della memoria, del desiderio e della volontà, dell’amore e del coraggio. Il cuore è cioè l’organo che meglio rappresenta la vita nella sua totalità. E’ la sede della vita sensibile, della vita affettiva, della vita intellettuale. Il cuore è quello che contiene tutti gli elementi costitutivi di ciò che noi chiamiamo persona. Si comprende, si decide, si sente con il cuore. Ora, secondo la Bibbia, questo luogo è impenetrabile: chi conosce il cuore? 1Pt 3,4 parla dell’“uomo nascosto nel cuore”. In ciascuno di noi, si nasconde un uomo interiore. D'altronde è la nostra esperienza: noi sentiamo una profondità che in un certo senso va oltre quello che noi siamo biologicamente, somaticamente. Il compito di ogni uomo è di essere consapevole di questo centro, di questa sua profondità, perché questa identità profonda si rinnovi ogni giorno, trovare il luogo del cuore. Il cuore è il luogo in cui incontriamo Dio, non è una realtà racchiusa

nell’umano soltanto. E’ intima all’uomo, ma in un certo senso è “estatica”, è dove l’uomo va oltre se stesso e dove si incontra con Dio, dove Dio si fa vicino all’uomo. E solo in questo incontro io posso pacificare la mia natura e riunificarla. Perché un cuore abitato da Dio è una forza centrifuga – è capace di allargare sempre più il raggio del suo amore e della sua azione –, ed è una forza centripeta – da tenere tutto insieme, e anche le dimensioni della nostra vita non sono più strappate l’una dall’altra, settoriali, ma sono tutte espressioni di un’unica vita-. Ma, a causa del peccato, il cuore è profondamente ambivalente. Gesù dice: “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive:” (Mc 7,21). Il nostro cuore diventa un “cuore doppio” e il cammino della vita cristiana è questa strada per arrivare ad un cuore unificato. Il “donami un cuore semplice” del Sal 86,11, di per sé letteralmente è “donami un cuore unificato”, cioè unifica il mio cuore, che sia un cuore non diviso. Il cuore allora è il campo di battaglia, ma è anche l’organo della lotta, perché dentro di noi c’è questo cuore nuovo, questo cuore di carne, che sente quanto manca l’integrità, che è il barometro della vita spirituale. Il nostro compito allora è trovare il “luogo del cuore”, come dicono gli autori spirituali dell’oriente cristiano. "Sforzati di entrare nel tesoro che è in te, nel tuo cuore, e vedrai il regno dei cieli, poiché sono una cosa unica e identica", dice Isacco il Siro. Lei sostiene che andando "alla ricerca di un cristianesimo vitale, senza farci smettere di vivere ai giorni nostri" ci si imbatte nella centralità del battesimo. Come? Tertulliano diceva: “cristiani non si nasce, si diventa”. Ora, il fatto che per più di mille anni noi “siamo nati” cristiani, dove il nostro cristianesimo era garantito da tutto un assetto sociale, forse ci ha fatto dare per scontata questa dimensione battesimale di tutta l’esi-

stenza, e pian piano ce ne siamo scordati. Il nostro battesimo è qualcosa che riguarda più i registri parrocchiali della nostra memoria cristiana. Non è lì che si formano la nostra visione del mondo, i nostri atteggiamenti fondamentali, il nostro modo di pensare, le nostre scelte, i nostri desideri. Allora bisogna ripartire da lì, dal battesimo e da quanto ci comunica. Non si tratta di dettagli e neanche di trucchi pastorali. Nel battesimo si attinge alla vita nuova. E la vita cristiana successiva al battesimo è assecondare questa vita nuova dentro di noi, ascoltare questa voce che chiama dalla vita vecchia, morta, alla vita nuova, risorta, e rispondere aderendo nel modo in cui più globalmente, più integralmente, ri-

Lo staff del Centro Aletti esco a coinvolgere tutto quello che sono in questa vita nuova. Lei è anche direttrice dell’Atelier di Teologia del Centro Aletti, "un luogo in cui si impara a pensare, a cogliere le ispirazioni, a studiare e ad agire tenendo continuamente insieme la vita nello Spirito, la Chiesa, la cultura, la storia e la teologia". Teologia che ha bisogno anche dell'arte per cogliere la realtà simbolica del mondo e della vita stessa. Pensando alla nostra comunità, che tra non troppo tempo godrà della presenza dell'arte del Centro Aletti nella nuova chiesa che sorgerà, come educarsi alla mentalità del simbolo? Una mentalità simbolica è proprio quello che si impara dalla liturgia. Che cos’è il simbolo? Un significato appiccicato a qualcosa? No, ma saper vedere dentro una cosa una realtà più profonda. Ed è proprio questo ciò

Erika Negroni

a cui ci educa la liturgia. Nulla esiste se non in Cristo, perché per mezzo suo sono state create tutte le cose (cf Col 1,16), e il cosmo è creato cristoforme e destinato alla cristoformità, come si vede nella liturgia, dove il pane e il vino rivelano Cristo. In questo senso si può dire che la liturgia è la nuova creazione, non perché è contrapposta all’antica, ma perché svela il significato dell’antica, è rivelazione e perfezione di quello che le cose sono, in quanto non concetto o verità aggiunti alle cose, ma salvezza nascosta nella realtà. Per questo la terra non è “come” il paradiso, la sorgente non è “come” il battesimo, l’amore non è “come” il sangue, la donna non è “come” Maria, l’olio non è “come” la forza. Il primo chicco di grano della creazione non è “come” l’ostia: è già voluto da Dio come cristico e quindi ha in sé la verità sotto forma di promessa, esiste potenzialmente come corpo del Salvatore. La liturgia ci educa a questo sguardo contemplativo, cioè che sa vedere nelle cose una realtà più profonda, più vera. In greco, sym-ballo significa una congiunzione, una corrispondenza.Un simbolo rinvia sempre a qualcos’altro. Se fosse isolato, non si tratterebbe più di un simbolo, ma di un segno. La fede cristiana è proprio questo tessuto intrecciato di simboli. Richiede un occhio spirituale. La natività già allude alla morte, la morte indica la risurrezione; ogni mistero ne richiama un altro. Si tratta di una catena, di un organismo, di un paesaggio in cui ogni dettaglio contiene ogni altra cosa. Nel primo millennio cristiano, le chiese erano costruite esattamente secondo questa visione. Una scena su una parete ne richiama un’altra, che conduce ad un’altra ancora, che apre ad ancora un’altra in un continuo invito all’osservatore ad entrare più profondamente nello stesso mistero, perché così è la vita. E anche un’arte, come quella che cercano di fare i nostri artisti al Centro Aletti, educa proprio questa mentalità del simbolo.


A tu per tu con chi ci ha regalato il nostro presente La testimonianza di Liliana e Pierina:

C

’è un gioco che sono solita fare con un’amica da quando ci siamo incontrate: quello di regalarci, scoprendole, tutte quelle parole che possono acquisire un senso nuovo aggiungendo il suffisso ri-. Così nel nostro lungo elenco abbiamo segnato: ri-fare, ri-leggere, ri-cambiare, ri-svegliare, ri-scrivere, ri-trovare, ri-conoscere, ri-prendere, ri-pensare, ri-scoprire, ri-partire, ri-scaldare, ri-provare, ri-ascoltare, ri-cominciare, ri-costruire, ri-vivere, ri-nascere. Più che un gioco, il nostro è un esercizio di condivisione che ci permette di guardare tutto ciò che ci accade con uno sguardo diverso, ossia quella che potrebbe essere l’azione quotidiana viene ribaltata se davanti applichiamo quella piccola sillaba che dona un nuovo abito a ciò che sei chiamato a compiere. Il prefisso iterativo è come fosse una molla che ti da la possibilità di rompere gli schemi e ri-cucirne altri. E’ ogni volta un’altra occasione. Come se nulla fosse perduto e tutto si potesse recuperare. Ogni volta un altro inizio. Ogni volta alla linea di partenza pronti per decollare. E ciascuno di noi, credo, a modo suo abbia già vissuto in qualche modo una ri-nascita. Anzi, sono convinta che la ri-nascita sia una condizione necessaria quotidianamente, perché ogni incontro, ogni imprevisto, ogni prova, ogni conquista, sono di per sé momenti da cui dover ri-partire, che ci cambiano e ci mettono nella posizione di doverci ri-formulare. Senza cancellare nulla del passato, ma ri-stabilendo un diverso ordine degli elementi che ci hanno reso ciò che siamo. Ri-nascere è anche ri-ordinare: fare spazio al nuovo, svuotarsi di ciò che non ci fa stare bene per accogliere ciò che ci regala affetto e serenità. Ci si ri-veste. Ri-nascere vuole anche dire ri-abbracciarsi: tornare a volersi bene, smettere di chiedersi “se vado veramente bene così, come sono” e apprezzarsi per come si è. Per ri-nascere però, bisogna impegnarsi. Serve una forza di volontà tale che, se tanti definiscono coraggio, io preferisco chiamarla desiderio. Perché il coraggio si pensa erroneamente essere un “privilegio” che in pochi hanno, quando in realtà non è così, mentre il desiderio è un istinto impulsivo, innato e collettivo, uno stato dettato dal tendere a colmare una mancanza e dal raggiungere la pienezza del piacere. E chi desidera, affinché si realizzi ciò che desidera, sa muovere le

montagne. LA LIBERTA’ CONQUISTATA Oggi parlo di due donne, che ho voluto incontrare ed ascoltare. Due donne che rappresentano altre centinaia di donne. Due donne che sono convinta bisognerebbe prendere ad esempio. Due donne che hanno fatto parte della storia, sono la nostra storia e ci hanno regalato la storia attuale. Due donne impegnate protagoniste dello scorso secolo e che vivono nel ventunesimo. Loro non solo hanno visto e toccato una ri-nascita culturale, economica, sociale, ma ne sono diventate portavoce. Loro sono Liliana Fornasari e Pierina Tavani. Con loro ho trascorso il mio 8 marzo, gior-

Liliana e Pierina nata scelta non a caso, non per motivi professionali - come si potrebbe pensare - ma per desiderio personale. E trovo sia bello poter condividere con tutta la comunità questo prezioso momento di ascolto e confronto. La nostra serata è iniziata guardando una breve parte del film documentario di Giuliano Bugani e Salvo Lucchese, intitolato “La mia Bandiera. La Resistenza al femminile”. Sullo schermo si sono alternate testimonianze di figure femminili che hanno raccontato l’esperienza del partigianato definito essere «un atto umano per impedire a tanti giovani soldati di finire nei campi di concentramento e per evitare che tanti continuassero una guerra non sentita». Cambiano i volti, di queste donne il cui tempo è segnato dalle rughe ma che hanno una forza interiore che

è molto più vivace che non nei giovani, cambiano le voci, talvolta rotte dalla commozione eppure decise e consapevoli di aver fatto l’unica cosa che era giusto fare «perchè era impossibile non prendere una parte, perché sapevi di agire contro le leggi fasciste ma ne eri convinta», ma non cambia mai la sostanza dei loro messaggi: l’aver desiderato, fino alla morte, la libertà. Quella libertà in cui noi siamo nati e che poco apprezziamo, che non siamo nemmeno in grado di riconoscere come tale, o di cui abusiamo. E che, ancora peggio, non sappiamo più difendere. Spesso arroccati dietro ottuse ed errate convinzioni, frutto di antiche e liberticide ideologie e di chi si fa falso messaggero incarnando istituzioni che sanno ben predicare per poi essere capaci di spregevoli comportamenti. C’è chi ha lottato per conquistare la libertà, quella libertà nell’amore di chi si è fatto carne per abitare in mezzo a noi. E c’è invece chi quella libertà non perde occasione per ucciderla, come fosse giudice e giustiziere, perdendo così la propria umanità. Liliana e Pierina sanno cosa vuol dire resistere e sopravvivere in un regime, in un tempo in cui «le perquisizioni in casa nostra erano all’ordine del giorno, ci sequestravano addirittura i libri che era solito leggere mio papà». Loro sanno. Noi no. Eppure, c’è chi ancora oggi tenta in tutti i modi possibili di limitare la libertà dell’altro, quando lo stesso Signore ci rende liberi di scegliere se seguirLo o meno. Liliana e Pierina hanno contribuito alla nostra ri-nascita senza nemmeno esserne troppo consapevoli al tempo. «La mia famiglia era anti-fascista. Mio fratello era partigiano. E vorrei aprire una piccola parentesi in merito alle adozioni. Mio fratello è stato adottato, sono sempre stata orgogliosa di lui, ancora di più quando ha scelto di essere partigiano. Un genitore è colui che dà affetto e amore al proprio figlio, non è il legame di sangue che conta. Ricevere affetto e amore è sempre meglio di crescere in un istituto - racconta Liliana che ha 85 anni ed una mente molto più acuta di tanti giovani e adulti di oggi. - Dicevo, la mia famiglia era anti-fascista, per cui non è stato difficile scegliere di fuggire sulle montagne e siamo riusciti a scappare proprio il giorno prima che i fascisti entrassero in casa nostra per sequestrarci». E ad indicare quanto il

”Custodite la libertà per garantirvi un domani”

Valentina Paderni

regime fosse coercitivo è il divertente aned- fitti, ma da potenziali vincitori. italiana prevedeva che potessero diventare doto raccontato da Liliana: «Ricordo che i L’ESSERE DONNA Presidente della Repubblica o della Camera messaggi a mio papà arrivavano nascosti Dall’oppressione alla libertà e da una con- dei Deputai e del Senato o Capo del Goverdentro la canna di una bicicletta tutta vec- dizione di marginalità ad una condizione no, si è dovuto attendere il 1979 per vedere chia e arrugginita. Un conoscente di mio di partecipazione. Quegli anni sono serviti Nilde Iotti ad occupare lo scranno più alto di padre entrava in casa con la bicicletta e io anche a contribuire ad una ri-nascita della Montecitorio per tre legislature (primato per ne chiedevo il motivo, domandavo “Perchè figura della donna. altro rimasto ineguagliato). Nessuna donnon la lascia fuori?”. Ma ero una bambina e Senza fare una lezione di storia, che non na è ancora stata eletta Capo del Governo venivo zittita con una scusa. Però la curiosità sarei in grado di fare, mi limito a dire che e nessuna è stata eletta Presidente della Reera tanta, così una volta mi sono nascosta e nei periodi bellici e durante la Resistenza, il pubblica. Si è dovuto aspettare il 1963 perho visto che quell’uomo smontava la sella e ruolo svolto dalla donna, in casa, in fabbrica, ché fosse eliminata dai contratti di lavoro la che poi dalla canna tirava tra le montagne, è stato più clausola del nubilato, secondo cui la donna fuori biglietti di carta e che fondamentale e indi- lavoratrice che si sposava veniva licenziata. volantini da distribuire». spen sabile. Finita la guerra Insomma la Costituzione in Italia è sempre Pierina, 90 anni, è super però, il valore delle donne - stata applicata in ritardo e forse tutt’ora non riservata, è come se avesse come ha confessato Liliana è ancora concretamente applicata appieno. E la spiacevole sensazione - non è stato riconosciuto forse tutt’ora l’Italia è in ritardo su tante altre di volersi mettere in mosubito. questioni. stra quando si racconta, Anzi la ri-nascita del- L’INVITO A RI-NASCERE e quindi bisogna sempre la donna non si è ancora Da quest’ultima considerazione, faccio più un po’ scuoterla, perché compiuta e probabilmente che mai mia l’amara riflessione conclusiva preferirebbe non apparire. mai si compirà. La nostra di Liliana e Pierina. Chiedendo infatti a loro E la sua sensazione nasce società è prettamente ma- il significato della parola ri-nascere, ho letto Liliana Fornasari da una brutta consapevoschilista e per farci valere un velo di nostalgia sui loro volti e di triste lezza, ossia che «i giovani oggi dobbiamo quotidianamente rassegnazione. In sostanza hanno entrambe non ti ascoltano, anzi quando parli, ti vedo- lottare, dimostrando di superare stupidi ste- “sorvolato” su una parola a cui forse in parno vecchia e ti considerano mezza matta per reotipi che già in parte chi ci ha preceduto te - senza ammetterlo - hanno contribuito a quello che dici. Ma noi non avevamo quello è riuscito ad abbattere. Ma tante cose sono dare significato, un significato che ora purche loro hanno oggi». Quella sera però, tut- comunque cambiate, in positivo. troppo entrambe sentono si sia perso. ti noi eravamo interessati a ciò che aveva di Fino agli anni Sessan«E’ ora che ci si metta indire, alle sue parole taglienti ed efficaci, vere ta-Settanta la donna era sieme per mantenere valie impossibili da non condividere. «Sono ri- casalinga. Pensarla in altro da la nostra Costituzione masta coinvolta nel partigianato senza ne- ruolo era inconcepibile. Fa- ha detto Liliana. - Oggi anche rendermene conto. La mia era una cendo riferimento ad una non c’è più entusiasmo, famiglia antifascista - ha detto - non ho mai puntata della trasmissione voi avete la libertà e non sentito parlare bene del fascismo. Non sen- su Rai3 “Il tempo e la stosiete capaci di difenderla. to di aver fatto nulla di eccezionale. E’ stato ria”, in quegli anni solo il Sono un po’ demoraliznormale. Ho partecipato convinta e lo rifa- 30 per cento delle donne zata perché la Resistenrei. Sono stata in carcere ma sono qui e pos- lavorava e le professioni za ci ha dato tanto, ci ha so raccontarlo». “femminili” per eccellendato tutto e oggi non si è Liliana e Pierina hanno vissuto una ri-na- za erano: l’hostess di volo capaci di farne tesoro, di scita di ideali e di valori, hanno lottato per chiamata “la ragazze di custodire questo tanto. I conquistare una ri-nascita di ideali e di va- benvenuto”, le centraliniste, nostri ragazzi sono morti Pierina Tavani lori. «Per la prima volta si sentiva parlare di le commesse e le lavoranti a domiper noi, per la nostra libertà e democrazia, di emancipazione della donna, cilio, ossia ricamatrici e paglierine lo si è dimenticato, non se ne è di elezioni e suffragio universale. Parole che che venivano pagate a cottimo e non erano consapevoli, non lo si sente». riempivano di speranza». regolarmente registrate. Poi si è arrivato al Ancora più drastica Pierina: «Io penso di es«Quando mia mamma è andata a votare nel lavoro in fabbrica, ma i ruoli dirigenziali sere ancora in pieno fascismo, in un tempo 1946 - ha rivelato Liliana - ricordo le sue erano sempre “lontani” per una donna. An- in cui ci promettono tanto e ci tolgono tutto. parole “Bene! Siamo riusciti in questo, ce che le laureate non se la passavano troppo Non saprei cosa si potrebbe fare, ma neml’abbiamo fatta. Ora iniziamo a lottare per bene. Un’inchiesta del 1959 condotta da Ugo meno io a vent’anni sapevo cosa fare, però qualcos’altro”. Non era ancora stato raggiun- Zatterin per la Rai, intitolata “La donna che mi sono ritrovata in mezzo alla Guerra e in to un obiettivo che già si pensava a quello lavora” ha messo in risalto che su 250 donne mezzo alla possibilità di lottare per cambiasuccessivo». Un instancabile desiderio, non ingegnere e 500 architette solo la metà lavo- re le cose e non mi sono tirata indietro. Ho un fuoco che si spegne ma un fiume che con- ravano effettivamente. Non solo, fino al 1963 fatto». tinua a scorrere: questa è la ri-nascita, essere le donne non erano ammesse alla magistra- E noi? Cosa facciamo per contribuire ad una sempre pronti a ri-cominciare, non da scon- tura ordinaria e se anche la Costituzione ri-nascita?


Gli amori finiscono

G

Davide Narcisi

perdermela, io la voglio, davvero, do- dolore? vesse anche fare un male da morire è Questi nuovi compagni di viaggio, vivere che voglio." con gli amici veri rimasti, giorno per giorno, mi diedero coraggio, mi lasciai Io ho scelto. Ho scelto di vivere. prendere per mano ed accompagnare Di tornare a vivere. Non è stato facile, nella risalita della china per ritrovare la inizialmente anch'io mi sono inabis- mia vita, la felicità. Ancora una volta. sato e perso nell'autocommiserazione, Tutto ciò non è certo stato un camminel vittimismo del "perché proprio a no facile ma volerlo, desiderare davme" ma poi mi sono reso conto che vero di rialzarsi, è già stata una buona così facendo non stavo amando nep- ri-partenza. pure chi non mi aveva fatto alcun male, Non posso negare che anche la condinon stavo amando, anzi stavo proprio visione della fede ha fatto molto, direi che la fede è proprio stata, e tuttora è, l'aggregante del mio nuovo rapporto. La gioia di una preghiera insieme, la dolcezza di una benedizione prima di dormire ci ha sempre aiutato a far si "che non tramontasse mai il sole sopra la nostra ira" (Ef 4,26). Io l'ho voluto. Fortemente voluto. Ne sono stato e ne sono felice. Riscoprire la felicità di amare e sentirsi amati dà davvero una grande forza. Dalla fine di un amore ho ri-trovato l'amore. La giotrascurando, chi non mi aveva mai ab- ia. Come l'araba fenice, l'amore per bandonato: me stesso. me è risorto proprio dalle sue ceneri. Nonostante gli schiaffi ricevuti dalla Un autore sconosciuto scrive: vita ho sempre creduto e voluto vedere sempre il lato positivo delle cose, cer- "E’ una follia odiare tutte le rose percarlo incessantemente, sempre. Per- ché una spina ti ha punto, abbandoché c'è! Sempre! nare tutti i sogni perché uno di loro Se alcuni amici mi offrirono il loro non si è realizzato, rinunciare a tutsostegno altri in cui credevo proprio ti i tentativi perché uno è fallito. ... di trovar riparo, si defilarono temen- Ci sarà sempre un’altra opportunido chissà quale sventura avrei potuto tà, un’altra amicizia un altro amore, A. Baricco in “Oceano mare” scrive: causar loro.La cosa straordinaria è che una nuova forza. Per ogni fine c’è un proprio in questa situazione apparvero nuovo inizio." "Volevo dire che io la voglio, la vita, nella mia vita alcune persone, fino ad farei qualsiasi cosa per poter averla, allora quasi perfetti sconosciuti, che si Io ci ho creduto anni fa. tutta quella che c'è, tanta da impaz- presero decisamente a cuore la mia sizirne, non importa, posso anche im- tuazione.E non è forse questa la ricerca Io ci credo ancora. pazzire ma la vita quella non voglio ed il riconoscere la felicità dietro ad un li amori finiscono. Capita. C'è chi la fine la provoca e chi la fine la subisce. Quest'ultimo, spesso inerme, indifeso, da un giorno all'altro vede crollare tutto quanto ha (hanno, perché spesso lo hanno fatto insieme) costruito fino ad allora. Quando finisce un amore, come dopo un terremoto, tutto cade. E proprio come dopo un terremoto abbiamo poche cose da poter scegliere. Poche ma molto importanti per il nostro futuro: o attendiamo gli aiuti umanitari sedendoci ed aspettando, chiudendoci e sprofondando nel nostro dolore oppure abbiamo il coraggio di sperare, di reagire, di voltare pagina. Di ripartire. Davanti alla nostra casa ormai distrutta, del nostro amore ormai devastato, non è facile ripartire, non è facile ritrovare la voglia di ricostruire. Ripartire per chi? Sperare perché, e poi cosa sperare? Forse per consentire a qualcun'altro di rovinare ancora tutto? Che senso ha cercare la felicità se poi quando si è felici e sereni tutto cade? Tutto si distrugge. Almeno una volta il mio amore finì. Mi ritrovai solo e mi persi nella disperazione, probabilmente toccai, ancora una volta, il fondo.


La rinascita secondo Salim Sdiri

Nicola Negri

E

' una notte di mezza estate del 2007 allo stadio Olimpico di Roma. E' una notte di stelle, del Golden Gala di atletica leggera, e di sogni, quelli del saltatore in lungo francese Salim Sdiri. Il ventottenne di origine algerina, campione nazionale e bronzo europeo indoor, si sta riscaldando per la gara: l'aria è frizzante e carica di promesse. Qualcosa, però, stride: in allenamento, i giavellotti dei lanciatori cadono non lontano dalla pedana dei lunghisti, tanto che nella testa di Salim inizia a farsi strada la spiacevole sensazione che uno di quegli appuntiti attrezzi possa finire non lontano dalla sua zona di gara. In quegli stessi istanti, sulla pedana del lancio del giavellotto scende l'adone finlandese Tero Pitkamaki: il tempo di una rincorsa veloce e del getto, solitamente impeccabile, che invece stavolta rischia di cambiare per sempre la vita sua, ma soprattutto di Salim. Il lunghista si accascia sulla pista e il più veloce, nello stadio improvvisamente ammutolitosi, ad accorgersi che il giavellotto di Tero si è infilato nella costola destra di Salim è un 'rivale' di quest'ultimo, l'italiano Andrew Howe - “E' accaduto a mezzo metro da me, avrei potuto essere colpito io. Per fortuna, quando lo stavano portando via, mi ha salutato dicendo 'non ti preoccupare, sto bene'” dichiarerà in seguito l'allora grande promessa della nostra atletica.

to ha colpito il gran dorsale, ma ora Salim sta meglio”. Le condizioni del ragazzo sono inizialmente ritenute gravi ma, nella sfortuna, il giavellotto scagliato da Tero non sembra aver colpito gli organi vitali di Sa-

Salim non è certo il tipo da arrendersi facilmente, nonostante la ripresa dall'infortunio richieda tempi lunghi e ben precisi; e nonostante, ogni volta che si approccia alla pedana del salto, la fitta mentale rifletta quella fisica provata in una notte di mezza estate iniziata piena di sogni e finita carica di paure. Salim, però, è un 'testone'. Lo è al punto da riuscire a qualificarsi ai XXIX Giochi estivi; mai come in questa occasione, per il ragazzo nato ad Ajaccio l'importante è esserci, e poco importa che con la seconda partecipazione consecutiva alle Olimpiadi non arrivi anche la seconda finale di fila. Il suo involontario 'carnefice' Tero Pitkamaki, oro mondiale a poche settimane di distanza dalla notte dell'incidente, sale nel frattempo sul gradino più basso del podio di Pechino.

Salim Sdiri

lim. Solo due giorni e un nuovo ricovero d'urgenza dopo, causato secondo alcune fonti dall'emorragia interna del fegato, l'incubo dell'atleta francese di origini algerine può dirsi finalmente concluso. Se Salim se lo sentiva, Tero credeva che il suo giavellotto avesse trapassato il collega, nel racconto di quei drammatici istanti: “Ho pensato che potesse morire. Avrei smesso, poi gli organizzatori mi hanno assicurato che le ferite di Salim erano solo superficiali e ci hanno chiesto di riprendere la competizione. L'ho aspettato la sera in albergo e gli ho detto che ero desolato. Gli ho mandato due mail che non ha ricevuto

Tero Pitkamaki

Nella notte di mezza estate dell'Olimpico, sono minuti a dir poco concitati: il medico della Federazione Italiana Di Atletica Leggera Giuseppe Fischetto è tra i primi a soccorrere Salim, trasportato d'urgenza al Policlinico Gemelli mentre le immagini dell'incidente, e di Pitkamaki che non riesce a darsi pace, stanno già facendo il giro del mondo. Il lunghista, per fortuna sempre cosciente, supera quei drammatici istanti grazie al conforto del fisioterapista della squadra francese, il primo a rassicurare il mondo dell'atletica, e non solo: “Il giavelot-

organizzazione dell'evento, ma allo stesso tempo la volontà di riscatto, con l'orizzonte fisso delle Olimpiadi di Pechino 2008.

e infine ho avuto il suo numero di telefono. L'ho chiamato e gli ho detto di nuovo quanto fossi addolorato”. Il lunghista accetta le scuse, nel cuore la paura, nella testa la rabbia per la discutibile – eufemismo –

La rinascita di Salim non è però ancora completa. Nel 2009, gli ostacoli da superare non sono più giavellotti che ti si infilano nel costato in una notte romana di mezza estate, ma chi ti guarda con un misto di compassione e compatimento, e la non più di tanto implicita domanda stampata in fronte: “Dopo quello che gli è successo, Sdiri è ancora in grado di gareggiare ai massimi livelli?”. Nell'unico modo che conosce, ovvero correndo e saltando, Salim li mette a tacere: a giugno batte infatti il record nazionale francese di Kader Klouche stampando 8,42 m, attualmente ancora imbattuto; ai Giochi del Mediterraneo di Pescara bissa la medaglia d'oro ottenuta quattro anni prima ad Almeria; a Berlino chiude il suo anno da leoni ottenendo il sesto posto iridato. Parafrasando un film, Salim ha dovuto (quasi) conoscere la morte, per poter rinascere più forte di prima.


Giubileo della misericordia Aperta la Porta Santa presso il Santuario

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a gennaio è stata aperta la porta santa del nostro Santuario di Roveleto, uno dei gesti richiesti per acquistare l’indulgenza giubilare è la confessione, o più precisamente il sacramento della riconciliazione. Tra i motivi per cui il papa ha indetto l’Anno Santo straordinario vi è anche quello di aiutare i fedeli a riscoprire il sacramento della riconciliazione. Esso purtroppo è diventato quello meno praticato tra i fedeli, è il più difficile da comprendere, perché richiede una fede matura che ha compreso la responsabilità che nasce dall’avere ricevuto la misericordia di Dio. Una religiosità vissuta con tiepidezza può fare perdere il senso e la necessità della riconciliazione sacramentale. Innanzitutto è necessario avere e comprendere il senso del peccato, il peccato non è una generica brutta azione, ma è un’azione del cristiano battezzato, un’azione, comportamento o stile di vita in contrasto con il dono di grazia ricevuto nel Battesimo, cioè un modo di agire che si pone in contraddizione con la misericordia, l’amore di Dio che nel Battesimo ci ha fatti suoi figli per vivere riconciliati con Lui. Sorgono due domande. La prima, ma che cosa faccio di male? Sono una brava persona, rispettosa degli altri e delle leggi! È cosa buona essere persone oneste e per bene, ma la misura della vita cristiana non sono le comuni norme del convivere civile, bensì la Parola di Dio. Questa Parola biso-

gna conoscerla, avere familiarità con essa, diversamente se la ignoriamo non abbiamo il termometro della nostra vita cristiana e non possiamo capire come va. Anche per questo c’è il precetto di andare a messa la domenica. Soltanto confrontandomi con la Parola, con lo stile narrato nelle Scritture e nel Vangelo, posso comprendere quello che vi è conforme e quello che vi è diffor-

me. Ciò che è difforme, come comportamento contrario o come comportamento non fatto (omissione), è il mio peccato. Seconda domanda, perché dire il mio peccato al sacerdote? Non posso confessarmi direttamente con Dio? Il mio peccato non lo confesso alla persona fisica del sacerdote, ma Dio per mediazione della Chiesa, rappresentata dal sacerdote. Per questo la persona fisica del sacerdote è tenuta all’inviolabile segreto sulla materia del peccato confessato, perché non è stato detto a lui,

Don Stefano

ma a Dio mediante la Chiesa che lui rappresenta. Perché quindi ho bisogno della Chiesa per confessarmi a Dio? Perché il mio peccato, essendo una contraddizione con il dono della misericordia ricevuto nel Battesimo, ha ferito la comunione con la Chiesa; non mi ha messo fuori dalla Chiesa, ma mi ha allontanato dal suo stile di vita, creando spesso anche barriere o incomprensioni con i fratelli di fede con cui sono chiamato a vivere la comunione, cioè la vita fraterna insieme nella Chiesa. Dunque confesso il mio peccato a Dio per mezzo della Chiesa perché è alla Chiesa che chiedo di riammettermi nella piena comunione da cui mi sono allontanato con il mio peccato. Un’ultima parola sulla penitenza. Comunemente si danno alcune preghiere da recitare, perché generalmente non si può riparare al danno fatto se non ringraziando Dio della sua misericordia, ma quando il peccato ha provocato anche un danno materiale, la penitenza comporta anche l’obbligo di riparare a tale danno nei limiti del possibile. È in base a questo obbligo morale di riparazione, sempre presente nella penitenza per l’assoluzione del peccato, che il papa chiede opere di misericordia per ricevere l’indulgenza giubilare, gesti concreti di amore per riparare alla misericordia contraddetta o omessa con il peccato.

Equipe battesimale

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onosciamo bene il Sacramento del Battesimo? A chi è destinato il Battesimo? E’ giusto che i genitori scelgano di far diventare membro della comunità cristiana un bambino piccolo, decidendo per lui? Queste sono solo alcune delle domande che a volte sorgono nella mente e nel cuore dei neo-genitori che si apprestano a chiedere il Battesimo per il loro figlio. Tuttavia, anche l’intera comunità parrocchiale spesso si è interrogata su come accogliere al meglio il catecumeno e la sua famiglia, affinché questo ingresso nella Chiesa segni l’inizio di una relazione tra fratelli nella fede e con Cristo. Per rispondere a queste esigenze, su esem-

Daniela Bonomini pio di altre realtà, nella nostra Parrocchia un’ equipe di laici sta intraprendendo da qualche mese un cammino di formazione, sia a livello spirituale, sia per quanto concerne l’accoglienza e l’ascolto. Questo gruppo eterogeneo, formato da coppie di sposi, da catechiste e coadiuvato dal parroco, avrà presto il compito di accompagnare i genitori nel cammino di preparazione al Battesimo del proprio figlio. La stessa formazione dell’equipe è stata interessante: un’occasione per riflettere e approfondire differenti tematiche ed aspetti relativi al Battesimo e all’adesione alla comunità ecclesiale. L’incontro tra i membri dell’equipe e le famiglie sarà un’opportunità reciproca per

ripensare al Battesimo come sacramento, come condivisione di fede, come conoscenza e incontro. Sarà arricchente anche riflettere sul nome del bambino (significato, Santo protettore…), sulla scelta del padrino e della madrina ed un loro possibile coinvolgimento e riscoprire inoltre il significato dei gesti della celebrazione del Battesimo. Questo nuovo approccio si inserisce in uno dei varii contesti di una Chiesa aperta in cui i laici si mettono in gioco e cercano di farsi prossimi ai fratelli nella fede, attraverso una catechesi di ascolto, accoglienza ed amicizia, per gustare appieno la gioia del nostro primo Sacramento.


Un libro,un film, un teatro La nostra pagina della cultura

Chiara Passilongo, La parabola delle stelle cadenti

IL LIBRO IL FILM

Wild di Jean-Marc Vallée- 2014

IL TEATRO

Rembrandt, o del Padre misericordioso, compagnia EXIRE

La parrocchia ti propone inoltre: PROGETTO COMUNICARE FACILE

LA VOCE CHE ARRIVA AL

CUORE

Per avere la certezza che il nostro messaggio venga compreso da qualunque interlocutore grazie al fatto che sappiamo parlare direttamente al suo Cuore Progetto “Comunicare Facile”

PREMESSA

.............................................. Un obiettivo fondamentale del progetto “Comunicare Facile” è quello di portare tutti ad essere naturali e spontanei per trasmettere la sicurezza necessaria e sentirsi completamente a proprio agio, sempre.

Questo progetto nasce da un forte bisogno di avere nuove capacità e risorse per poter gestire la realtà e la complessità dei nostri tempi. Si realizza grazie alla Web Comunicazione che da anni organizza convegni per motivare le persone a quei cambiamenti che valorizzeranno il loro impegno creando nuov i impor t ant i risultati. I realizzatori de l Prog e t to “Comunicare Facile” sono Wa l te r e Valentina Benenti, padre e figlia con la passione per tutto ciò che può aiutarci a stare bene e a vivere meglio creando benessere per se stessi e per gli altri.

La Voce

LE PERCENTUALI DELLA COMUNICAZIONE

....................................................................... La Nostra Voce ci dà la grande possibilità di trasformare le parole in una musica che arriva dritta al Cuore di chi ascolta. Esattamente come la musica ha una sua melodia, la Nostra Voce ha una sua prosodia e cioè un Tempo, un Ritmo, un Tono e un Volume che, a seconda di come vengono utilizzati, cambiano l’effetto e il significato delle Nostre Parole.

Perché partecipare

......................................................................... Partecipare ai corsi del progetto “Comunicare Facile” significa uscirne trasformati, migliorati, sciolti, liberi di essere e di mos t r a r e l e p r o p r i eemo z i o n i , v i v e ndoe trasmettendo agli altri solo cose positive.

Informazioni

........................................................................ A partire dal 15 aprile 2016 presso la Parrocchia Santa Teresa Benedetta della Croce Roveleto di Cadeo Pc. Per Informazioni contattare: Segreteria parrocchiale 0523509943 o Valentina Benenti al 335.7595704 – 0173.58677

Secondo i risultati di una ricerca dello scienziato Albert Mehrabian quando comunichi dei sentimenti il potere della tua comunicazione dipende per il 55% da elementi non verbali, per il 38% da paraverbali e per il 7% dalle parole.

OBIETTIVI Dalla nostra capacità di parlare dipende gran parte di ciò che ci capita nella vita. Se si crea benessere e consenso in chi ascolta, l’esperienza sarà molto piacevole e quindi la si ripeterà sempre più volentieri diventando sempre più bravi e spontanei. Occorre associare al parlare non il disagio, ma una forte sensazione di piacere. Parlare significa creare un rapporto, entrare in contatto, incuriosire, interessare, farci benvolere tramite il garbo, il rispetto e l’amore. Non è particolarmente utile studiare a fondo gli argomenti se non è già stato effettuato un grande lavoro sulle capacità di comunicazione. Quindi, spesso, chi è competente, ma non sa comunicare nel giusto modo non viene premiato. Se chi parla manifesta invece sicurezza, autorevolezza ed espressività, chi ascolta recepirà competenza. Sovente insicurezza, timidezza, disagio, pregiudizi e mancanza di consapevolezza sul come si comunica, rendono ciò che si dice privo di significato. Un obiettivo fondamentale del progetto “Comunicare Facile” è proprio quello di portare tutti ad essere naturali e spontanei per trasmettere la sicurezza necessaria e sentirsi completamente a proprio agio, sempre.

CONTENUTI • La prima cosa che faremo sarà sciogliere ogni tensione nel nostro corpo e nella nostra voce per ottenere armonia ed autenticità. • La seconda sarà acquisire la capacità di intonare fra loro verbale, non-verbale e para-verbale nella modalità più efficace per ogni tipo di situazione. Partecipare al progetto “Comunicare Facile” significa uscirne trasformati, migliorati, sciolti, liberi di essere e di mostrare le proprie emozioni, vivendo e trasmettendo agli altri solo cose positive.


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