La Via_Speciale apertura anno pastorale 2017_2018

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CREARE è VIVERE P a r r o c c h i a R o v e l e t o d i C a d e o Speciale anno pastorale 2017-2018


in questo numero: 3.

Editoriale: Creare è vivere don Umberto

4.

Metti al mondo. Accudisci. Lascia andare Erika Negroni

5.

Figli nel Figlio Erika Negroni

6-7.

All’origine delle radici della nostra fede Stefano Costi

8-9.

L’arte effimera della buona cucina Valentina Paderni

10.

Farinetti: la tenacità crea la creatività Gabriele Ziliani

11. 12-13.

Ciò che l’occhio ha visto il cuore non dimentica Un saluto e una festa per Suor Francesca Creatività artistica Francesca Bersani

14.

Decreto della conferenza Episcopale Italiana

15.

La nostra pagina della cultura : Un libro, un film, un teatro

immagine di copertina: Forest of the Fairy ( Foresta della Fata)

In un villaggio remoto nella regione del Tamba del Giappone, le lucciole illuminano la Foresta degli Dei in una serata estiva. Il tappeto delle lucciole è una scalinata di un piccolo santuario venerato dalla gente del luogo. foto di Y. TAKAFUJI Hyogo, Japan


CREARE E’ VIVERE Don Umberto Anni fa fui letteralmente rapito dalla lettura di un libro. Un testo impegnativo, voluminoso anche. Si tratta de “Il senso della creazione” del teologo russo Nikolaj Berdjaev. Era un tempo di pace e tranquillità per me. Avevo tempo e mi godetti in profondità la lettura (lo studio) di quel libro. Grazie a quella lettura cominciai a riflettere sul tema della creatività e, col passar del tempo, è cresciuta in me la persuasione che la creatività sia un elemento essenziale della vita spirituale. È il modo con cui l’uomo realizza quella somiglianza con Dio inscritta in lui sin dall’origine. Dio è creatore e colui che gli somiglia crea. Anche attraverso l’amore noi realizziamo la somiglianza con Dio ed è per questo che l’amore è creativo. Come la fede. La ricchezza interiore e intellettuale che trovai in Berdjaev fu legata alla visione della creatività intesa come realizzazione della persona nell’amore e nella comunione e non secondo l’io dell’individuo che vuole affermare se stesso e la sua originalità. Oggi si è quasi istintivamente portati ad identificare la creatività con l’essere se stessi, unici, originali. Personalmente non mi ha mai molto convinto questa visione delle cose. Mi chiedo cosa ci sia in noi di così bello e importante che non sia attinto da altri o da un Altrove più grande di noi e che ci precede. Mi tornano in mente le parole di un architetto santo Antoni Gaudì: “l’originalità è tornare all’origine”. Si entra nella Sagrada Familia come entrare in un bosco; le colonne come gli alberi. Ho ritrovato queste idee in tanti geni

della cultura, dell’arte, della vita della Chiesa. Possiamo essere originali e creativi quanto più restiamo nel solco di ciò che ci ha preceduto in quanto a bellezza e armonia. Recuperandolo, reinterpretandolo. Ma anche copiandolo nel caso. Non è un reato. La verità , se è verità, quando è ripetuta non fa che arricchirci. Nel mio ritornare incessante ad un altro libro “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar trovo: “siamo ingombri di statue, rimpinzati di capolavori della pittura e della scultura. Ma questa abbondanza è illusoria: non facciamo che riprodurre all’infinito

cose migliori quando lo hanno costretto a farlo e che la creatività spesso nasce dentro paletti ben definiti, dentro apparenti forzature. Che magari fanno soffrire, ma per questo rendono creativi. La tristezza, tante volte è un sentimento più fecondo della gioia. Dalla tristezza si vuol uscire e così ci si inventa qualcosa, giusto o sbagliato che sia. Si capisce che di questo tema della creatività non si finirebbe mai di parlare. Noi ci proviamo con questa VIA Speciale. Ci hanno aiutato diversi amici. Li ringrazio tutti. Quelli che hanno accettato una intervista telefonica, quelli che hanno scritto gli articoli e quelli che hanno impaginato il giornale. Soprattutto la splendida copertina, una foto che ha vinto il concorso del National Geografic: il giapponese Yutaka Takafuji ha immortalato lucciole che illuminano le scale che conducono al tempio di Tamba, in Giappone. La scala rappresenta il cammino della vita, le lucciole i momenti di creatività. Perfetto. Chiudo un editoriale più lungo del solito con un accenno al decreto della CEI pubblicato nell’ultima pagina. È ufficiale ora. Possiamo iniziare con la chiesa. poche decine di capolavori che non È una notizia importantissima, forse saranno più in grado di inventare”. da non collocare in fondo. Disfattismo pessimista? Non credo. Ma ho preferito dare priorità ad altro. Come tante frasi del libro queste sono Ai pensieri, alle idee, alle persone che parole che chiedono di essere “aperte”. hanno scritto. Per trovarci altro. Senza tutto questo nessuna creazioLa radice della creatività ad esempio. ne è possibile, neppure costruire una Quella di Michelangelo nacque anche chiesa. grazie agli obblighi che gli imposero. E se lo si facesse, le basi sarebbero Mi ha fatto riflettere molto l’intervista poco solide. rilasciata dal regista polacco Andrei Buon cammino Konchalovsky che sta preparando un film sulla vita del Buonarroti. Sostiene che Michelangelo ha fatto le -3-


Metti al mondo. Accudisci. Lascia andare Relazioni generative

conservando un significato attivo. “Tutte le nostre azioni sono un impasto tra ciò che non abbiamo scelto e ciò che noi riusciamo a tirarci fuori”. Parole che sembrano subiTessere relazioni generative: una frase d’effet- to più chiare pensando alla vita di Maria: to che suona bene per un nuovo inizio (del “L’Angelo le ha fatto un’offerta e il suo sì è nuovo anno pastorale) e per i parrocchiani stata una splendida azione deponente. Tutche sull’onda dell’espressione di Papa Fran- to questo può accadere anche attraverso di cesco si “promettono” di vivere un nuovo noi. Gli animali sono programmati, noi no. anno “in uscita”. Nessuna retorica, ma desiE così possiamo straorderio che su ciò ci si posdinariamente dire a sì a sa riflettere come comuquello che non avevamo nità cristiana, sì. Tessere, previsto”. da “texere”, parola latina La sequela, un gran che rimanda alla tecnica atto creativo. Generare, dell’intrecciare e combidar vita, per noi cristiani nare in modo scrupoloso richiama un’altra aziofili o elementi in modo ne, guarda caso ancora da creare un motivo o deponente per i latini: un disegno complesso. “sequor”, seguire, essere Mauro e Chiara Un’azione meticolosa che alla sequela. “La sequela caratterizza l’opera dei non è una via, non è come un’autostrada in telai della filatura ma anche degli uomini cui basta andare dritto - ha aggiunto la soche creano così legami l’uni agli altri: buffa ciologa -; Sequela è il modo che dobbiamo definizione se riferita a noi uomini dell’era reinventare ogni giorno per essere fedeli”. dei social che più che tessere tele, creiamo Quali vie ci inventiamo? “Siamo sempre grovigli di fili che a malapena sappiamo di- intrappolati in una dicotomia, tra potenza stinguere l’uno dall’altro; e se un filo si rom- e impotenza, siamo insieme condizionati e pe, poco importa, tanto un altro per rim- liberi. E’ la concretezza che ci dice che quepiazzarlo si trova sempre. “Tessere relazioni”, sta è la condizione umana”. E all’uomo non un’azione che al suo interno racchiude un resta che abitare questa tensione, tra cui non elemento imprescindibile, la generatività, occorre scegliere: “E’ una tensione tra due l’atto creativo. “Siamo una società sterile: poli opposti dove uno contiene l’altro. Non non cresciamo demograficamente, non ci occorre schierarci, la vita sta nella nostra capreoccupiamo della situazione ambientale e pacità di vivere questa tensione”, ha spiegato ai nostri figli non lasciamo che debiti, quelli la Giaccardi. pubblici”, è la pugnalata data ai presenti da L’uomo generativo: custode e coltivatore. Mauro Magatti, il sociologo ed economista La vita e la generatività che essa contiene che è intervenuto al Convegno diocesano non stanno nella conquista della libertà ma di apertura dell’anno pastorale al fianco di nell’apertura alla trasformazione, “la libertà Chiara Giaccardi, sociologa dei media, sua non sta nello slegarci da tutto, sarebbe disusposa da 30 anni e con lei genitore di ben 6 mano, ma nell’assecondare i cambiamenti”. figli, per riflettere sul tema della generatività. Una libertà che include lo slancio verso il Ma allora come si può abbattere la sterilità nuovo ma che non rifiuta le forme, “perché che incombe e dar spazio all’essere generati- la vita eccede sempre le forme ma non può vi? Perché proprio l’essere cristiano è la piena farne a meno”. Dove sta la strada da seguire espressione della libertà dell’uomo di andare (anche per la Chiesa), custodia delle forme verso l’altro e di tessere relazioni di amore? o aperture al nuovo? “Uomini si nasce e si Generare non è programmare. Si parte con diventa - spiega la sociologa-; la polemica la generatività e la figura per eccellenza che dei gender, per esempio, è pretestuosa: non la incarna: Maria, Madre di Dio. “Maria è possiamo custodire senza coltivare”. nostra maestra inconsapevole che ci fa com- Il mito della stabilità. Custodisci e coltiva, prendere che l’azione generativa può esse- facile da farsi meno da vivere, soprattutto re pienamente umana - ha spiegato Chiara per chi cerca una verità assoluta da impuGiaccardi -. Generare, far nascere, un’azio- gnare o a cui aggrapparsi perché, senza tanti ne certo, ma deponente”. Deponente perche giri di parole, l’uomo anela sempre a vivere il verbo nascere è deponente: ha deposto la in una zona di comfort, nella tranquilla staforma attiva e presenta forma passiva, pur bilità. “Spesso pensiamo che

Le relazioni generative lette con gli occhi di due (sposi) sociologi.

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Erika Negroni esistano due modalità dell’essere, stabile o instabile, ma è importante trovare un altro modo di leggere i processi: la meta-stabilità. Meta-stabilità, quell’equilibrio temporaneo che non può esistere per sempre. “Il nostro desiderio di stabilita ci porta a fossilizzarci, ma lasciato un equilibrio, un altro ci aspetterà, tutte tappe di un cammino che non si può fermare. Nessuna condizione è l’ultima”, ha spiegato Giaccardi. Bisogno di equilibrio che l’uomo spesso pensa di appagare nelle relazioni, mitizzate e immaginate sempre come cosa buona. “La relazione non è la soluzione. Relazione è un termine neutro, è positiva solo quando è generativa”. E’ generativo colui che “lascia andare via”. Due gli elementi basilari della relazione generativa: mettere al mondo e prendersene cura. “Prendersi cura in modo che non finisca, che possa arrivare a compimento. - ha evidenziato la sociologa -; qui entra la forma, routine, dove si costruisce una reciprocità che rimette al mondo. Un processo in cui si è trasformati”. Generare un figlio certo, ma anche un’impresa o un progetto che vedono pienamente compiersi l’atto generativo nell’ultimo passo: “generare vuol dire autorizzare l’altro ad andare”. Lasciare andare un figlio, passare la mano su un progetto, lasciare crescere un’esperienza pastorale... “Su questi passaggi la Chiesa a volte ha paura - così ha preso la parola Mauro Magatti - ma ogni schema e gerarchia sono destinati a scomparire, perché questa si chiama vita”. Parole appositamente lanciate come provocazione, non per confliggere ma edificare: “Nessuno può mettere le mani sulla vita; parlare di generatività significa lasciar andare, questa è la sostanza. C’è una frase del Vangelo, Chi perde la propria vita la troverà, ecco per poter assecondare il processo della vita devi toglierti dalla testa di volerla controllare”, spiega Magatti. Così si è pienamente generativi coi propri figli quando si autorizza loro a vedere uno spicchio della realtà che come genitori non si è nemmeno riusciti immaginare. “La fede ha a che fare con l’eccedenza della vita. E se l’eccedenza non c’è, i giovani cercano l’eccesso. sbagliano, ma forse perche non gli abbiamo fatto vedere che la vita è viva proprio perché eccede”. Genero dunque prego. “Quando hai creato ti chiedi cosa faccio? Lo blocco o lo autorizzo ad andare oltre di me? Ecco dentro questa prospettiva di generatività sta la preghiera. Preghiamo perché riconosciamo che la vita è molto più grande di noi”, ha concluso Magatti.


Figli nel Figlio

Anno pastorale 2017-2018 Una “nuova” lettera pastorale per vivere la missione “di sempre” Generativi ma soprattutto generati, perché “siamo tutti figli amati”, come ricorda il vescovo Ambrosio nella lettera pastorale 2017-2018.

Mons. G. Ambrosio

“Figli nel Figlio” è la lettera presentata nel Convegno diocesano di inizio settembre, dodici pagine per aiutare la nostra Diocesi a continuare a vivere la stessa missione uguale da due millenni: “incontrare Gesù Cristo e farlo incontrare nella vita quotidiana, nei rapporti coi fratelli e nell’ambito del lavoro”.

Ecco alcuni estratti che compongono la Lettera: LA VOCE DEL PADRE. Gesù ci manda ad annunciare, a comunicare a tutti la voce del Padre. Ogni cristiano deve ricordare che Dio, nel suo amore di Padre non ha confini. La sua bontà è offerta a tutti, non discrimina nessuno: il banchetto dei doni del Signore è aperto a tutti e a tutti è data la possibilità di rispondere al suo invito, riconoscendosi figlio amato e indossando l’abito nuziale dell’amore. SIAMO TUTTI FIGLI AMATI. L’invito del Papa ad aprirci alle periferie esistenziali e a vincere l’abitudine di collocarci comodamente al centro - come facevano i capi dei sacerdoti e i farisei - vuole stimolarci a conoscere la sempre sorprendente generosità di Dio e la maternità feconda della Chiesa LA VOCE DELLA CHIESA. La parola della Chiesa si fa eco del Vangelo che ci dona la gioia della paternità di Dio e della nostra fraternità [...] Siamo annunciatori e testimoni del Vangelo anche se la nostra vita è fragile e la testimonianza è povera LA CHIESA AMICA DI TUTTI. Camminando sulle orme del suo Maestro e Signore, la Chiesa fraterna e umile, solidale e semplice, lascia trasparire la forza irradiante della sua fede e della sua carità. Papa Francesco ci ricorda che “Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio”. LA CHIESA HA CURA DEI FIGLI. La maternità della Chiesa si esprime in modo del tutto particolare nei confronti dei ragazzi e dei giovani [...] In particolare desideriamo interrogarci se i nostri giovani sono davvero al centro dei nostri pensieri e delle nostre scelte: è l’interrogativo che deve starci a cuore se vogliamo che i nostri giovani possano guardare al futuro con speranza. -5-

Erika Negroni


A l l ’o r i g i n e d e l l e r a d

Creare significa chiamare ad esis

C’è un filo rosso che sta dietro le nostre azioni, scorre lungo la nostra vita, come il sangue dentro le nostre vene: la natura delle nostre relazioni che genera la vita e le dà forma. Stabilire dei legami è la cosa più importante perché dalla natura di questi dipende la nostra capacità di trasmettere la vita agli altri. Martin Buber (filosofo, teologo e pedagogista ebreo) si fa portatore nel pensiero contemporaneo della filosofia del dialogo. Non è certo in questo articolo che si ha la pretesa di spiegare questa filosofia, ma una cosa che mi ha sempre colpito molto dei soui ragionamenti è l’affermazione: “è il tu che definisce l’io”. In sostanza noi dipendiamo fortemente dal tu che abbiamo di fronte, dal contesto in cui siamo chiamati a vivere. E’ facile capire questo, anche senza grandi ragionamenti basta immaginare come sarebbe la nostra vita o come sarebbe diventata se noi fossimo nati in un Paese attanagliato da una grande miseria e povertà. Noi spesso dimentichiamo che la nostra vita ci è stata data da altri e che molte cose che stanno alla base di essa non sono state decise da noi. In molti casi trascorriamo i nostri giorni dimenticando questo dato fondamentale e cadiamo vittime di un protagonismo che non sempre ci lascia la serenità di vedere le cose con giustizia. Se dalla qualità delle nostre relazioni dipende anche la capacità di capire chi siamo e chi vogliamo essere, non possiamo trascurare il nostro rapporto con gli altri. Se capire chi siamo dipende dall’importanza degli altri questo vale a maggior ragione anche per la nostra fede. Nel battesimo il cristiano rinasce, rispecchiandosi in Cristo nel fonte battesimale come membro di una comunità. Nel ritrovarci all’interno della comunità parrocchiale la dinamica più importante sta nel riconoscere che tutti noi abbiamo ricevuto la vita da Dio e siamo chiamati a generare la

vita all’interno delle relazioni. Quante percorsi si possono generare all’interno di una comunità con la pazienza, la tolleranza, la carità, in tutte queste azioni possiamo toccare con mano che gli altri sono importanti. L’aspetto ancor più straordinario è che gli altri sono importanti anche quando sono fragili o attraversano momenti di difficoltà. Gli altri fanno parte della nostra esperienza di vita ed è necessario cercare di salvaguardare i legami anche quando questi rapporti sembrano incrinarsi o impossibili da mantenere. Tra i tanti legami forti che si possono vivere dentro la nostra comunità, la parrocchia ne coltiva uno speciale con la Terra Santa.

Sono veramente grato a tutti coloro che si sono prodigati e si prodigano per tenere vivo questo legame. Nell’ultimo periodo questo percorso verso Gerusalemme si è arricchito di nuove prospettive. Attraverso la nostra Caritas insieme alla Caritas diocesana siamo stati chiamati a partecipare a un progetto della Caritas nazionale verso il medioriente. Lo scorso maggio abbiamo avuto la possibilità (guidati dal direttore di Caritas Gerusalemme) di visitare le principali parrocchie cristiane palestinesi. Il percorso ci ha fatto attraversare tutta la Cisgiordania ed ad entrare in contatto con realtà parrocchiali estremamente dinamiche. Ogni parrocchia cattolica ha una scuola, un centro sanitario, e all’interno di queste i ragazzi e la comunità cristiana maturano esperienze molto simili alle nostre -6-

(le liturgie sono identiche anche se in arabo). In esse troviamo: l’ Azione Cattolica, gli scout , le attività sportive, i centri parrocchiali, le azioni di carità e in alcuni casi veri centri di assistenza per anziani. All’interno di questo percorso è stato possibile conoscere le loro preoccupazioni e prender visione dei progetti. Questo breve articolo non costituisce una tappa di un lavoro che all’interno della nostra comunità è iniziato da tempo attraverso i nostri pellegrinaggi e le azioni di mondialità. Stiamo preparando a riguardo una serata a tema ed alcune azioni che si svilupperanno nei prossimi mesi. Di tutto questo percorso però, la l’aspetto che mi ha colpito di più, è che visitando le varie parrocchie in Palestina la loro principale richiesta è quella di essere riconosciti. Ci hanno chiesto di stabilire un legame con la loro Chiesa, di condividere progetti e percorsi. Non hanno chiesto assistenzialismo ma di essere visibili ai nostri occhi. Queste comunità si sentono realmente parte di una Chiesa viva, sentono anche di essere la Chiesa delle origini. Come possiamo ignorare che è proprio in queste comunità che è nata la nostra fede? Mi ha sempre colpito molto il significato teologico di “creazione” che troviamo all’interno della Bibbia: “creare significa chiamare ad esistere all’interno di un significato”. Questa immagine si è fatta chiara all’interno del mio cammino in Palestina, queste parrocchie non vogliono cadere nell’oblio e nell’isolamento, non vogliono essere preda di un mondo che si carica quotidianamente di odio e di rancore; sentono il bisogno di portare al mondo la luce della speranza, sentono il bisogno di testimoniare la vita. Quella vita e quella luce che attraverso il battesimo non muore mai.


ici della nostra fede

stere all’interno di un significato. Durante la missione abbiamo visitato le seguenti parrocchie (12 su 15 in Cisgiordania): Gerusalemme est (molto brevemente), Betlemme, Beit Sahur, Beit Jala, Aboud, Bir Zeit, Ramallah, Ain Arik, Gerico, Taybe, Zababde, Jenin. A parte pochissimi casi si sono rivelate tutte comunità molto vive, con una ricca presenza di attività pastorali e liturgiche. Buona la presenza di giovani in quasi tutte le parrocchie. Ovunque abbiamo ricevuto un’accoglien-

Stefano Costi

za molto calorosa e un interesse per la proposta di gemellaggio. Da tutti è emersa la volontà prioritaria di costruire relazioni con altre Chiese, per sentirsi meno soli e abbandonati. Tutti hanno sottolineato l’importanza della visita alle “pietre vive” della Terra Santa. Il primo giorno abbiamo incontrato Mons. Marcuzzo (Vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini e Vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina), che si è detto molto felice di questo nuovo programma e ne auspica il successo.

In tutte le parrocchie, tranne che a Betlemme, manca una risposta organizzata ai bisogni sociali e alle povertà. Ci sono molte attività pastorali, liturgiche e di animazione, ma quasi nulla a livello di solidarietà. Tutti i parroci si sono dimostrati aperti e positivi rispetto alla possibilità di istituire gruppi di volontari Caritas a livello parrocchiale. Testo tratto da uno stralcio del Report di Caritas Piacenza sul percorso svolto in Terra Santa

Parrocchie cristiane palestinesi monitorate con il progetto Caritas Italiana (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) (10) (11) (12) (13) (14) (15)

Jenin / P. Redentore Zababde / P. Visitazione Rafidia / P. S. Giustino Jifnah / P S. Giuseppe Aboud / P. Addolorata Ain Ank ) P. Annunciazione Birzeit / P. I. Concezione Ramallah P. S. Famiglia Zababe / P. S. Giorgio Gerito P. B. Pastore Beit Hanina/P. S. Uacomo Gerusalemme / P Si Salvatore Betlemme P. S. Caterina Beit Sahour P. N. S. Fatima Beit Jala / P. Annunciazione

Rappresentanza del gruppo Caritas nazionale in visita ai cristiani Palestinesi -7-


L’a r t e e f f i m e r a d e Un dialogo “pop” con lo Era un martedì mattina. Alle 9.29 mi ar- contattarlo. Chiamata di nuovo annullarivava un messaggio che avrei letto solo ta. Alle 14.07 mi richiama lui e finalmendopo mezzogiorno, perché prima ero te riusciamo a parlare per 15 minuti e 40 impegnata e avevo il cellulare silenzio- secondi. Insomma, è stata un’intervista so. Il testo diceva: travagliata. Di«Questo è il nusponibilissimo lui, mero di Oldani. alla fine continuaChiamalo oggi va a dirmi «Adesalle 13.30». so ho tempo». Brutta partenza, Ecco sì, io invece, mi sono detta. ero abbastanza Come iniziare una oberata di lavoro gara con una store, sopratutto, dico Davide Oldani la verità, non sata alla caviglia che pevo bene cosa ti costringe a zoppicare per arrivare al traguardo. Ecco, chiedergli. Non mi ero preparata. Bisoavevo circa un’ora per pensare a cosa gna pure ammetterlo. chiedere allo chef stellato Oldani. Pecca- Quindi, per cortesia, non siate troppo to che mi sia venuto molto, molto diffi- severi nel giudicare questo pezzo. Il sugcile trovare il modo di concentrarmi in gerimento, però, potrebbe essere quello circa 60 minuti per tentare di formulare di mettervi comodi, magari a tavola, e qualcosa di leggere con leggerezza (appunto), come - se non interessante - quantomeno de- se foste al D’O (dove io non sono mai stacente. E la premessa che mi fu fatta, ta) e vi arrivasse una portata da voi non quando don Umberto mi diede l’incarico scelta, a voi sconosciuta, che dovete scodella stesura dell’articolo, il giorno pri- prire. E la cosa bella è che in questo caso, ma della commissionata telefonata, era: il piatto che vi offro umilmente io, non lo «Ti dirà che la cucina non è creatività». pagate. E’ gratis. Insomma, considerato che il generare, ossia il creare qualcosa, è il tema di que- Ecco cosa succede, quando un cuoco pop sto anno pastorale, questa affermazione si rende disponibile, nonostante la fitta risultava essere come uno strappo tendi- agenda di impegni, ad incontrare (telefoneo. In altre parole, lo svantaggio di par- nicamente) una scribacchina pop. tenza continuava ad aumentare. Ora mi Buona lettura! trascinavo una gamba. Sapevo che non sarebbe stata cosa facile. Che cos’è la creatività per Davide OldaMa la difficoltà più grande doveva ancora ni? arrivare. «Creare è qualcosa che compete al buon Alle 13.37 di quel martedì, ho fatto la Dio. Per ciò che riguarda il cibo, noi facprima telefonata. Occupato. Riprovo po- ciamo abbinamenti utilizzando ciò che è chi secondi dopo. C’è linea. Chef Oldani già stato creato. Il creare è una cosa, fare risponde. Iniziamo la nostra conversa- degli abbinamenti diversi per contrasti e zione (lui assolutamente ‘alla mano’, to- affinità è un’altra. L’obiettivo è riuscire a talmente pop), che però non scorre via fare qualcosa che non esiste, qualcosa di liscia. Dopo 7 minuti e 20 secondi, dob- nuovo. Mai stato proposto prima. Qualbiamo interrompere. «Ci sentiamo tra cosa di diverso». cinque minuti». Benissimo. Alle 13.51, ritento. Occupato. Alle 13.45, un altro La creatività è una parola spesso assotentativo. La chiamata viene volontaria- ciata alle varie forme d’arte (pittura, mente annullata. Alle 13.59, chef Oldani cinema, scultura, fotografia, musica) o risponde e in 13 secondi mi chiede gen- alla scrittura. Ma si può parlare anche tilmente di richiamarlo dopo due minu- di cucina creativa? ti. Non c’è problema. Alle 14.06, provo a «La cucina non è paragonabile all’arte. -8-

O meglio, la cucina è un’arte effimera, perché ciò che mangi poi non esiste più. Un’opera d’arte, invece rimane, è qualcosa che è possibile tornare a vedere per ritrovare emozioni più o meno uguali stando comunque di fronte ad un stesso pezzo. Anche il falso di un originale, rimane. A seconda invece dell’umore e dello stato d’animo dello chef, si riesce a mangiare più o meno bene anche se gli ingredienti sono uguali. E soprattutto, un piatto buono non rimane, finisce. Si esaurisce. Bisogna differenziare l’arte come un lavoro fatto con gli arti, con le mani, e quindi parlare di artigianato e la parte artistica che viene invece accolta come un qualcosa che non è per tutti. Ad esempio: l’arte figurativa, per chi non vede non va bene. La musica per chi non sente, non può essere ascoltata. Il cibo, invece è per tutti, penetra tutti. È questa la differenza sostanziale tra artigianato e arte. Cucina e arte nascono sotto lo stesso albero, ma sono frutti leggermente diversi». Nell’eterna battaglia tra cucina di creazione e cucina di tradizione, chi vince? «La cucina di tradizione deve essere quella non regionale italiana (il ‘non’ non è un errore). Adesso non c’è più bisogno di seguire i procedimenti suggeriti dalla bisnonna. C’è invece bisogno dello stesso prodotto. La cucina italiana è dettata dalla tutela delle sue ottime materie prime ancora prima che dal cucinato. Cucinare è il divertimento. Puoi seguire la ricetta della tua bisnonna, ma l’essere fedele al procedimento di una vecchia ricetta non è la cosa fondamentale anche perché i metodi di cottura, gli strumenti, l’approccio che si utilizza è tutto diverso. Ciò che è fondamentale sono gli ingredienti». Parlando di approccio alla cucina, ormai l’essere ai fornelli, ha assunto un valore altamente me-diatico. Cosa ne pensi? «La mediaticità della cucina va più che bene, perché da la possibilità di farsi una maggior cultura. E poi offre una libertà di scelta nello scegliere, appunto, il pro-


ella buona cucina chef stellato Davide Oldani gramma da seguire. Ognuno riesce a farsi un’idea chiara se il programma che sta guardano è all’altezza. Ma in generale, più si parla di un qualcosa più si riesce a capire quel qualcosa». Se non è coretto parlare di creazione, possiamo però parlare di trasformazione. Quale processo di trasformazione segue un cuoco per arrivare al piatto finito? «Noi siamo umili esecutori di qualcosa già creato. La creazione è qualcosa che compete a Dio. Dio ha creato la natura, gli animali, l’uomo, quello che abbiamo arriva da Lui. Non possiamo usare lo stesso termine in cucina. A noi spetta il buon senso di capire che bisogna seguire la stagione con i prodotti sani e accessibili che ci offre, per poi, dopo una piccola lavorazione, ricomporre, in altra forma, nel piatto, qualcosa di per sé già esistente. Ad esempio con l’arrivo dell’autunno, la cucina deve essere più incisiva, più grintosa rispetto a quella estiva, pur mantenendo l’idea della leggerezza che deve essere alla base del benessere delle persone». Qual è la funzione del cibo, oltre a quella di nutrirci? «La cucina, il cibo, è l’unica cosa che ci mette nella condizione di darci tempo. Per cucinare devi dedicarci tempo: a fare la spesa, a selezione i prodotti, a trasfor-

Valentina Paderni

marli e poi a presentarli. A ciò che ami, dedichi tempo. Stare in cucina non è come l’essere sui social dove è la velocità a determinare ogni cosa. Sedersi a tavola è bellissimo. E’ l’azione slow (lenta) che possiamo tutt’ora mantenere senza che il nostro corpo ci costringa ad andare veloce a postare una notizia su facebook o un’immagine su instagram. Trent’anni fa si diceva che nel 2000 ci saremmo nutriti tutti di pillole, per poter essere in grado di rimanere al passo con la velocità. Adesso siamo invece tutti alla ricerca di prodotti di qualità, senza conservanti, iper-bio. Questo perché sappiamo riconoscere che lo stare a tavola è convivialità, condivisione, compagnia. La cucina non tiene il passo della tecnologia. Quando noi dobbiamo mangiare, ci dobbiamo fermare, ci dobbiamo dedicare tempo. Ci sono pochissime persone al mondo che riescono a correre i 50 metri in meno di 8 secondi. E seppur pochi, anche questi secondi sono tempo impiegato. La dimensione dell’uomo però, per stare bene, per mantenere una vita di qualità, non può essere la velocità. Dobbiamo abituarci ad avere coscienza del valore del tempo. Con questo non voglio denigrare i social. Se i social si usano in modo intelligente, va bene. Ciò che conta è non diventarne dipendente. Bisogna utilizzarli come strumenti di consultazione. Ma la società bisogna viverla».

Qual è la buona cucina? «Il termine buono si riconosce nella stagionalità, nella purezza e nell’integrità del prodotto. La buona cucina è quella che nutre bene l’uomo, facendo tanto con pochi ingredienti, andando all’essenziale». Quali sono i tuoi prossimi impegni? «Ogni sabato dalle 9 alle 10 potete ascoltarmi su Radio24 con la trasmissione ‘Mangia come parli’. Io e Pierluigi Parco ci confrontiamo sul tema del cibo con tonalità leggera facendo il punto di una cucina pop per tutti quanti, dove quello che deve venire fuori è la personalità delle persone che intervengono». Chef Oldani sarà anche protagonista della trasmissione ‘Una settimana pop’ dal 25 settembre alle 17.30 su La7 e alle 18.10 su La7d. Tornerai a trovarci a Roveleto? «Mi piacerebbe molto. Al momento ho un sacco di impegni. Ma sono certo che ci sarà l’occasione di tornare. Ad esempio ho in cantiere un nuovo libro, al momento è solo uno scheletro, nessuno sa ancora nulla. Ma sono molto curioso. Diciamo che c’è l’idea, dopo otto libri, di realizzarne un nono con qualcosa di stuzzicante». E chissà, forse sarà proprio quella l’occasione per invitare nuovamente chef Oldani sul nostro territorio.

Non solo chef, ecco le copertine delle pubblicazioni di Davide Oldani. La presentazione di alcuni di questi volumi è stata occasione di incontri con l’autore presso il Centro Parrocchiale di Roveleto, lo aspettiamo con il suo nuovo libro.

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Farinetti: la tenacia crea la creatività. ..ai giovani insegnate a trovare Vie nuove

Oscar Farinetti è nato sessantatre anni fa ad Alba, in provincia di Cuneo. E’ fondatore della catena di negozi alimentari Eataly, che ha sedi ormai in tutto il mondo. Promuove varie iniziative culturali. Lo abbiamo intervistato per lo speciale “La via”. Buongiorno, sig. Farinetti, partiamo dall’inizio. Da dove nasce la sua storia di imprenditore e la sua voglia di spingersi oltre? Innanzitutto dal DNA. Nelle mie vene scorre sangue partigiano. Mio padre ha passato tutta la vita ad avere progetti. Il primo suo progetto fu quello di togliersi dalla malora di un’infanzia poverissima, il secondo quello di liberare l’Italia e fu appunto comandante nella 21ma Matteotti, il terzo progetto fu di fare l’imprenditore. Mi ha quindi trasmesso che è importante avere un orizzonte a cui puntare. Mi ha insegnato ad avere sempre due tipi di progetti: uno personale, famiglia e lavoro, e uno di aiuto agli altri, alla comunità in cui vivi. Devo ancora a mio padre il concetto che più importante dell’obiettivo a cui tendi è la coerenza nel cammino. Il cammino è più importante dell’obiettivo stesso. Cioè cambiare obiettivi si può, e cambiare nella vita è bellissimo, ma devi avere quattro o cinque valori base a cui rimanere fedele e su cui non sgarrare.

altissimo grado di creatività, occorre mettere insieme valori che agli altri sembrano contrastanti. Ve ne dico qualcuno. Mettere insieme informalità e autorevolezza. Oppure autoironia e orgoglio. Essere onesti ma furbi. O ancora vendere prodotti di altissima qualità a prezzi ridotti. Riuscire a mettere insieme queste cose che appaiono contrastanti rende la tua impresa speciale. Cosa pensa dei giovani? Per me è giovane chi non pensa solo a se stesso, non è una questione solo di età. Segnale di essere giovani avere al centro del proprio progetto l’uomo e non se stesso. Chi è vecchio si riconosce da quante volte dice “io” quando parla, chi è giovane cerca sempre anche di combinare qualcosa anche per gli altri.

Deve altro a suo padre? Si. Non dimenticarsi che nel tuo cammino incontrerai gli altri, delle persone e questa è la cosa più importante. E la creatività? E’ il “cappello” di tutto questo. In ogni progetto c’è una fase di analisi e una costruzione progettuale. La prima è fondamentale e non va assolutamente sbagliata. E in quella bisogna essere creativi, cioè inventarsi cose, far funzionare il cervello. Modo per farlo? Non pensare ad altro! E inventarsi due “robe”: la cosa che devi fare e come narrarla. Ed entrambe devono essere creative.

Si può “educare” alla creatività? Penso alla educazione dei ragazzi ma anche alla crescita personale di ognuno di noi. Per favorire la creatività bisogna farla diventare divertente. La prima regola è trasferire per esempio il valore del rispetto dal senso del dovere al senso del piacere. In Italia siamo molto creativi nel lamentarci e nel mettere divieti di ogni tipo. I n vece siamo noiosi quand o Oscar Farinetti parliamo di valori positivi, come ad esempio il rispetto. Occorre inserire il senso del piacere in questi valori, far diventare “figo” comportarsi bene. Per un giovane deve diventare un piacere avere un progetto, cercare di combinare qualcosa di grande nella vita, non perché è obbligato ma perché e bello, è “cool”.

E cosa rende un progetto vincente? Sempre mio padre mi ha insegnato un trucco. Quello dei contrasti apparenti. Quando noi uomini vogliamo fare qualcosa di bello ci mettiamo dentro tanti valori positivi che ci appaiono compatibili tra loro. Se voglio progettare un’ auto penso a un gran motore, a un fantastico software, a un bel design. Il risultato di un progetto pieno di valori positivi è bellissimo, ma se vuoi che sia qualcosa di speciale, cioè ad

Questo basta? No. C’è un secondo concetto: occorre insegnare a tutti a trovare vie nuove. Insegnare ad essere creativi significa insegnare a cercare nuovi modi di ragionare, di risolvere un problema o di affrontare un progetto. E occorre insegnare a non mollare mai. Viviamo in un mondo in cui la parola più detta è “non si può”. Di fronte al non si può scatta la pigrizia italica. E’ un’indolenza che di solito avviene nei luoghi di grande - 10 -

Gabriele Ziliani

bellezza. La bellezza ereditata, come quella che abbiamo nel nostro paese, favorisce il disimpegno. A Trieste ho aperto un negozio in un antico edificio della dogana. Sono stato in città una settimana e non sentivo che dirmi “no se pol, no se pol”, non si può. Ho fatto fare un enorme striscione e l’ho messo all’ingresso del negozio con scritto “se pol”, si puo! Bisogna sempre inventarsi vie nuove per farcela. Ma come trovare queste vie nuove e superare le difficoltà? A volte le soluzioni nuove ce le hai lì, nel cervelletto. Devi solo tirarle fuori ma non escono. Non escono perché siamo pigri e non ci pensiamo abbastanza. Pensaci di più! Vince la tenacia rispetto all’intelligenza. La tenacia crea la creatività! Non mollare mai. Hai un problema e non sai cosa fare? Io insegno ai miei ragazzi: prova a non pensare ad altro tutto il giorno per tre mesi e vedrai che troverai una strada. E’ pazzesco ma è così. Non mollare mai. Come la creatività, che spesso è espressione prettamente individuale ha ricadute sulla società, come può diventare un bene comune? Io sostengo che oggi il compito che ci dovremmo dare tutti è uno solo ed è: salvare il pianeta. Salvare il pianeta è un cappello che sta sopra a tutti gli altri problemi, migrazioni, epidemie, risorse… I cambiamenti climatici ci avvisano che la fine della terra ci sarà. Dobbiamo ritardarla il più possibile. Come si fa? Anche lì spostando il valore del rispetto dal dovere al piacere. Salvare il mondo, ripulirlo e prendersene cura può essere un grandissimo affare. Quindi bisogna pensare a un nuovo rapporto con l’acqua, la terra e l’aria e bisogna che i giovani inventino nuovi prodotti e servizi al cui centro ci sia questa mission. E le nostre pale eoliche, italiane, dovranno essere progettate da Renzo Piano, i nostri pavimenti che producono energia camminandoci sopra dovranno essere fatti delle meravigliose ceramiche del distretto di Forlì e avanti così con un sacco di idee innovative. Secondo me questo è il nostro futuro: passare dal desiderio centrale del “godere”, che ha caratterizzato la nostra società dei consumi, a quello del “durare”. Allontanare il più possibile la fine del mondo e la fine degli umani. Primo: evitare la fine del mondo che significa salvare il pianeta; secondo: salvare il genere umano che significa pensare nuove relazioni di armonia tra popoli che per motivi ancestrali hanno territori, storie, religioni, costumi diversi.


CIO’ CHE L’OCCHIO HA VISTO IL CUORE NON DIMENTICA Un saluto e una festa per suor Francesca "Dobbiamo tanto a lei che in questi anni con un operato quotidiano e silenzioso si è messa al servizio della comunità parrocchiale". Sono le parole della nostra cara suor Adeline Nkala Katshiala, (con noi a Roveleto da ben 14 anni) dedicate a Suor Francesca che presto farà ritorno in Congo. Dopo dieci anni trascorsi a Roveleto, è pronta a ripartire per dire il suo sì ad una nuova avventura: tornare a servire a Kisantu, come voluto dalla Madre generale dell'Ordine. Suor Francesca Masamuna, sorella congolese appartenenti all'ordine di Santa Maria di Kisantu, della diocesi congolese di Kisantu, è arrivata in Italia nel 2007 e prima di Roveleto ha fatto tappa a L'Aquila e Venezia; umile e riservata non ha mai fatto conoscere pubblicamente la sua storia, ma il ricordo del suo arrivo è impresso nella mente di tanti: un timido e composto sorriso, un italiano stentato e soprattutto il chiaro desiderio di mettersi in gioco, al servizio della comunità. Così all'inizio dove non arrivava la comunicazione verbale, arrivava il cuore e la sua disponibilità: la cura del Santuario e la preparazione delle celebrazioni liturgiche, in primis. In questi anni è stata un modello esemplare di madre - ha proseguito suor Adeline -; ha lavorato con pazienza ed amore, senza lamentele. Questa forza chiediamo a Dio anche per noi". Madre presente e protettiva con le consorelle, i malati e gli anziani; madre che non ha mai accantonato il pensiero dei suoi "figli" africani, in Congo, tanto da accompagnarvi un gruppo di parrocchiani nell'estate del 2011, per far conoscere le ricchezze e le sofferenze della sua terra. Suor Francesca lascerà la parrocchia a fine ottobre, non prima della festa di saluti e ringraziamento che sarà organizzata per lei domenica 22 ottobre: una celebrazione e un momento di festa a lei dedicati a cui è chiamata a partecipare l'intera comunità. Un commiato che racchiude l'amaro sapore dell'addio, ma Suor Francesca rimarrà a Roveleto nei cuori di tanti, perché come recita un detto congolese,

"Ciò che l'occhio ha visto il cuore non dimentica".

I NOSTRI OCCHI TI HANNO VISTA E NON TI DIMENTICHERANNO - 11 -


Creatività

L’ispirazione, non proviene solo da forti esperienze personali, ma an Creatività artistica: come definirla? Io la fregata francese che naufragò nell’oceano considero un atteggiamento naturale, un Atlantico nel 1816. In questo caso, la creaapproccio verso il mondo circostante. È la tività servì a rendere partecipe il pubblico straordinaria capacità di rendere visibile il di osservatori ad eventi drammatici a loro proprio io al di fuori di se stessi, riuscire a contemporanei attraverso un linguaggio trasformare in emoziofruibile a molti. L’arte ni visibili, le sensazioni di Frida Kahlo ha un che si provano costanaltro stampo: costrettemente, la capacità ta per un periodo alla di trasmetterle, di traquasi immobilità totascriverle attraverso un le a causa di un grave segno, un disegno, un incidente, si avvicinò tratto. La percezione è alla pittura per caso e una dote che ognuno scoprì la sua vena credi noi ha, ma la facoltà ativa. La sua produdi esprimere artisticazione è caratterizzata mente ciò che si perceda moltissimi ritratti e pisce, è un dono ancora autoritratti, la sua dipiù grande. È la conmensione è introspetsapevolezza di aprire tiva e familiare, ma è uno spazio personale resa unica e universale al mondo esterno e di da un connubio di stili condividerlo con esso. che spazia dal primitiL’ uomo ha sentito la vismo, all’arte naïf, dal forte necessità di esprisurrealismo al simbomersi graficamente già Cercando una meta ( F.B. 2010) lismo. L’espressione agli albori della civiltà, della sua creatività le è quando all’interno delle caverne tracciava servita per parlare di sé e far conoscere il immagini sulle pareti. Non lo faceva per i proprio io, così prepotentemente eterogeposteri, ma per se stesso, per personale ne- neo. Dal Messico torniamo in Europa, in cessità. Rappresentava ciò che per lui era Svizzera, con Füssli, dove possiamo importante (animali, scene di caccia o an- addentrarci in un mondo creativo che che semplicemente le impronte delle pro- va oltre la storia, oltre il proprio essere, prie mani). Ispirato dalla sua quotidianità, ma che esplora dimensioni fantasiose dava forma e corpo alla sua creatività, ne e profondamente introspettive, dove sentiva l’esigenza e ciò è avvenuto natural- prendono forma incubi, mostri e stati mente, senza insegnamenti. La creatività è mentali. Un’arte legata alla letteratura, una predisposizione innata ed è fortemente ma anche fortemente visionaria. legata all’ispirazione proveniente dalla no- Per quanto riguarda il mio lavoro, la stra esperienza. La storia insegna che ogni mia creatività è prevalentemente leartista, in qualsiasi tempo e in ogni luogo gata alla mia quotidianità. Ogni cosa del mondo, ha tratto ispirazione dalla pro- che attrae la mia attenzione può dipria vita, dalle proprie esperienze. Citerò ventare uno spunto: un personaggio solo alcuni esempi…Diamo un rapido che cammina in modo strano o che sguardo globale: in Francia con Théodore indossa un indumento particolare, un Géricault ed Eugène Delacroix, in Messico atteggiamento o un gesto compiuto con Frida Kahlo e in Svizzera con Johann da una persona. L’ispirazione infatti, Heinrich Füssli. Sia Géricault che Dela- non proviene solo da forti esperienze croix, usando la loro potenzialità creativa, personali, ma anche da piccoli dettarappresentarono la realtà storica in cui vi- gli che ci fanno fermare e riflettere. È vevano. Delacroix dipinse la rivoluzione così nel mio caso: un uomo che indosdi luglio del 1830, che destituì la monar- sa un borsalino o un tabarro, oppure chia assoluta di Carlo X, mentre Géricault un’ombra proiettata da un lampione, rappresentò la zattera della Medusa, una mi trasportano immediatamente in - 12 -

un’atmosfera mia che cerco poi di trasmettere attraverso le mie opere. E poi ci sono i gesti a stimolarmi…moltissime persone sono state per me spunti importanti con i loro atteggiamenti abituali e loro non lo sapranno mai, rimarranno per sempre anonimi, così come tutti gli uomini che compaiono sulle mie tele. La creatività sebbene possa assumere svariate forme, è sicuramente il frutto concreto della necessità di espressione e credo che al mondo d’oggi, in cui tutto è ormai automatizzato, possa essere considerata un privilegio, perché permette di rimanere in contatto profondo col nostro essere e di riuscire a trasmetterlo all’esterno coinvolgendo lo spettatore.

Spazzacamino ( F.B. 2009)

Ruota panoramica ( F.B. 2009)


artisitica

nche da piccoli dettagli che ci fanno fermare e riflettere.

Francesca Bersani

Si fermarono presso di Lui...(GV 1,39) F.B. 2009 - Centro parrocchiale Roveleto

Francesca Bersani

cresciuta a Roveleto, si forma al Liceo Artistico Bruno Cassinari di Piacenza, è laureata in Storia dell’Arte Medievale, Moderna e Contemporanea all’Università di Parma. Ha realizzato le tavole pittoriche per diversi libri tra cui il libro fotografico TIBET, ultima frontiera, Amdo e Kham del fotografo Roberto Bertoni.

Nel 2008 realizza la sua prima opera pubblica: un dipinto murale nel teatro del centro parrocchiale Maria Orsola di Roveleto di Cadeo (PC) a cui segue nel 2009 un altro dipinto murale intitolato: Si fermarono presso di Lui… (GV 1,39) nello stesso centro parrocchiale.

www.francescabersani.it

Francesca al lavoro presso il teatro nel centro parrocchiale di Roveleto - 13 -


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Un libro, un film, un teatro La nostra pagina della cultura

IL LIBRO

Donatella di Pierantonio, L’ARMINUTA, Einaudi

Per raccontare gli strappi della vita occorrono parole scabre, schiette. Di quelle parole Donatella Di Pietrantonio conosce il raro incanto. La sua scrittura ha un timbro unico, una grana spigolosa ma piena di luce, capace di governare con delicatezza una storia incandescente.

IL FILM

Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L’Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una

porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche piú care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo.

LA RAGAZZA DEL MONDO (2017), di Marco Danieli

Giulia, con tutta la sua famiglia, fa parte dei Testimoni di Geova. Un giorno conosce, durante uno dei suoi impegni di proselitismo, Libero. È un ragazzo che la colpisce immediatamente e di cui si innamora ma la sorella, che li sorprende una sera, ne parla con i genitori e la comunità viene subito coinvolta. Giulia viene diffidata dal continuare a frequentarlo, pena l’allontanamento dalla Chiesa ma decide di non arrendersi.

IL TEATRO

«Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza»

Ci sono film che meritano attenzione per ciò che raccontano e per come lo fanno. Altri hanno un valore aggiunto particolare. In questo caso il valore aggiunto ha origine nella modalità produttiva che vede nel Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma non solo un co-produttore ma anche, e soprattutto, come l’istituzione che ha formato gran parte di coloro che hanno contribuito alla realizzazione. Il tema certo non era dei più semplici da affrontare anche perché sui Testimoni di Geova interviene un immaginario popolare che li identifica come quelli che suonano ai campanelli per cercare di portare nuovi adepti alla comunità. Il film di Danieli non manca loro di rispetto anche perché la documentazione che sta a monte della sceneggiatura è corposa. Non siamo dinanzi a

una storia che li vede come i ‘cattivi’ perché anche Libero, che pure è lo strumento di una nuova e definitiva apertura al mondo da parte di Giulia, non è certo uno stinco di santo. Quella che il film cerca di andare a proporre non è una vicenda alla Romeo e Giulietta ma piuttosto una lettura di come l’adesione all’ortodossia religiosa finisca con il trasformarsi in un abbraccio soffocante che, mentre cerca di proteggere ed elevare spiritualmente, rischia quotidianamente di non comprendere proprio quella realtà che vorrebbe trasformare con la forza della fede. La luce di Dio deve, per definizione, illuminare. Se la si propone in maniera accecante si può rischiare di vanificarne la funzione.

compagnia EXIRE RACHELE, LA MOGLIE, di Sergio Di Benedetto

Nella Sacra Scrittura si parla della suocera di Simon Pietro, da cui si deduce che s e n z ’a l t r o egli era sposato. Tuttavia nulla si conosce della moglie dell’apostolo. Questa reticenza ha portato a qualche leggenda, storicamente poco attendibile, ma soprattutto al silenzio su una figura che desta curiosità: chi era questa donna? Quale rel

azione la unì a Pietro? Come visse la chiamata del marito e la presenza di Gesù nella sua vita? Dove non arriva la storia può arrivare l’arte, nel tentativo di ricostruire una vicenda oscura e rispondere agli interrogativi che essa pone. Cercando di fare luce dietro questa cortina di mistero, Rachele. La moglie mette in scena il dramma umano di una donna che si è sentita abbandonata dal marito e tradita dal Maestro di Nazareth, verso cui nutre sfiducia e ostilità, perché le ha tolto il bene più prezioso, l’amato. L’intero spettacolo è ambientato nel mo- 15 -

mento in cui l’incredulità di Rachele sembra aver ragione: il Sabato Santo. È il giorno dello smarrimento dei discepoli, del silenzio, della delusione profonda. È questa l’occasione più adatta che la donna ha per cercare di riportare a casa Pietro, sfidando Andrea e Giovanni e soprattutto la figura del grande Assente, morto in croce, per una rivincita esistenziale che ha il sapore della vittoria, perché tutta la vicenda del Nazareno appare come un’illusione finita nel peggiore dei modi. SABATO 7 OTTOBRE A ROVELETO CENTRO PARROCCHIALE ORE 21


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