La via raccolta 2013

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Raccolta “La Via� 2013

"Una parola ha detto Dio, due ne ho udite" Salmo 62.12

Parrocchia S.Teresa Benedetta della Croce Roveleto di Cadeo Piacenza


www.unitapastoralecadeo.altervista.org


EDITH STEIN nasce a Breslau da famiglia ebrea – 1911-13: diploma di maturità, perdita della fede, studi universitari a Breslau (germanistica, storia, psicologia) – 1913-15: studi a Göttingen sotto il prof. Edmund Husserl (filosofia) – 1915: esame di Stato, lavora come volontaria nella Croce Rossa tedesca – 1916: dottorato in filosofia «summa cum laude». – 1916-18: assistente di Husserl a Friburgo/Br. – 1922: battesimo nella Chiesa Cattolica, prima comunione, confermazione – 1923-31: insegnante presso il liceo femminile e l’istituto di formazione per insegnanti delle Domenicane di Spira – 1928-33: conferenze in patria e all’estero, attività di scrittrice, insegnante presso l’istituto tedesco per la pedagogia scientifica di Münster – 1933: ingresso nel Carmelo di Colonia con il nome di Teresa Benedetta della Croce – 1938: trasferimento al Carmelo di Echt, Olanda – 1942: arresto, deportazione, uccisa ad Auschwitz in odio alla fede cristiana (9 agosto) – 1962: inizio del processo di beatificazione e canonizzazione – 1987, 1° maggio beatificata a Colonia dal Papa Giovanni Paolo II – 1998, 11 ottobre: solennemente canonizzata a Roma dallo stesso Sommo Pontefice.



Domenica 16 dicembre 2007

prima uscita

LA VIA L’IMPORTANZA DEL NOME L’intuizione è arrivata da una constatazione immediata: Roveleto e Cadeo sono attraversati dalla via Emilia che è la croce e la delizia dei nostri paesi. Crea magari un po’ di traffico, ma garantisce la vitalità dell’ambiente e anche la funzionalità di esercizi commerciali. Evidentemente però non è questa la motivazione portante della scelta di questo nome. In realtà bisogna cercare il motivo direttamente nel Nuovo Testamento. La VIA era infatti il nome con cui era chiamata la prima comunità cristiana. Quando S. Paolo, negli Atti degli Apostoli, racconta la sua conversione, dice di aver perseguitato accanitamente ”questa nuova via” riferendosi al cristianesimo. (At 22, 4 ) I cristiani stessi erano chiamati, nel 1° secolo, “quelli della via”. Tutto questo è spiegato molto bene dal priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi, nel suo libro “La differenza cristiana”. A me pare stimolante pensare che, mentre in quei secoli tutti i sistemi di pensiero o le religioni venivano chiamate “dottrine”, il cristianesimo fosse chiamato “VIA”. Essere cristiani non è infatti questione di imparare una lezione, o di usare solo la mente per idee astratte. La fede cristiana è un’esperienza di vita, un luogo dove incontrare persone, stabilire rapporti, proprio come su una via. Siamo in cammino, mai fermi, esattamente come gli angeli che Giacobbe vide salire e scendere sulla scala (Gen 33 ). Per questo il nome “la via” mi è sembrato quanto mai azzeccato: siamo anche noi come la prima comunità cristiana, entusiasti dell’incontro con Gesù e i fratelli e mai sazi, mai arrivati, mai chiusi a quelle novità che lungo la strada Dio ci farà trovare.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”


Domenica

un pensiero.... Nell’arco di questi 6 anni abbiamo lentamente riscoperto l’importanza di essere chiesa alimentata costantemente dalla Parola di Dio. L’incontro con la parola è un incontro decisivo che ci consente di guardare oltre le nostre fragilità. Di fronte ai nostri limiti e alle miserere della vita possono maturare in noi sentimenti di inadeguatezza, impotenza, rabbia o rassegnazione. La Parola di Dio al contrario dischiude il nostro cuore a quella grazia che è in grado di trasformare la nostra vita in una incredibile opportunità. Solo la Parola è in grado di farci cambiare prospettiva. Solo attraverso Essa ci rendiamo consapevoli che al di la dei nostri limiti noi possiamo collaborare per qualcosa di più grande. Proviamo a pensare alla vita come dono di Dio, proviamo per un attimo a pensare che mondo sarebbe se ognuno di noi potesse trasformare la sua vita in dono per gli altri. Forse è proprio questo il grande progetto a cui lentamente e liberamente siamo chiamati. Non fermiamoci troppo a guardare i nostri difetti, quelli degli altri e le storture che ci circondano. Non cerchiamo di nascondere i nostri limiti mascherandoli dietro ad alibi o a complicati ragionamenti. Non cerchiamo facili e puerili giustificazioni, ma cerchiamo con tutta la generosità che abbiamo e che deriva dal Vangelo di rendere felici le persone con cui viviamo e che incontriamo. Questo è il grande progetto racchiuso in questa Parola che Don Umberto e don Stefano così sapientemente ci amministrano durante le celebrazioni, buona lettura Stefano C.


Domenica 6 gennaio 2013 DIO E’ VENUTO FRA NOI

(Mt 2,1-12)

Epifania è una parola greca che significa «manifestazione». E il tema delle letture della liturgia di oggi è appunto la manifestazione di Gesù. Nel racconto evangelico (Mt 2,1-12) Gesù è rivelato come re. I Magi arrivano a Gerusalemme e chiedono: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei?». Dunque Gesù è re. Matteo ha però cura di collocare questo titolo in un contesto di opposizione. Accanto al re Messia c'è il re Erode. E il secondo ha paura del primo, come già un tempo il faraone d'Egitto ebbe paura dei figli di Israele e ordinò di ucciderli. Solo che ora ad avere paura del Messia non è più l'Egitto, ma lo stesso Israele («Il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme»). L'Epifania non manifesta soltanto la regalità di Gesù, ma anche la sua universalità. I Magi sono le primizie dei pagani che incon­trano la salvezza. L'Epifania è la manifestazione pubblica, universale, della salvezza di Cristo: il segno che il Messia non è venuto soltanto per Israele, ma anche per i pagani. Cristo è per tutti. Il racconto di Matteo è un continuo rinvio, a volte esplicito e alle volte velato, a una linea di passi anticotestamentari che già imprimevano all'elezione di Israele una direzione di universalità. Chiarissimo in proposito è il passo di Isaia che costituisce la prima lettura di oggi (60,1-6) nel quale si descrivono i popoli che arrivano a Gerusalemme con tutte le loro ricchezze. È una lettura da non trascurare Il tema dell’universalità è ribadito anche da Paolo (Ef 3,2-6, seconda lettura): il mistero di Dio - tenuto nascosto e ora svelato - è il progetto di riunire in una sola famiglia «giudei e pagani». Le genti, cioè, «sono chiamate in Cristo a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo». La venuta dei Magi è appunto l’inizio di questa riunificazione. Dunque l’Epifania è una festa di universalità: una festa insieme cristologica ed ecclesiale. La luce che unifica è Cristo. Ma segno, anticipo e strumento di riunificazione di tutta l’umanità è la Chiesa. Suo primo compito è imprimere alla storia un movimento di riunificazione. Compito che deve svolgere a due livelli, contemporaneamente: annunciare a tutti i popoli il vangelo per riunire tutti nell’unica fede; aiutare gli uomini, mentre sono ancora divisi in differenti fedi, ideologie, politiche, a trovare punti di contatto, di unità, di convivenza pacifica e fraterna. Il racconto di Matteo non si accontenta di proclamare il signi­ficato universale e missionario della venuta fra noi del Figlio di Dio, ma svela, anticipandole, alcune di quelle direzioni e di quelle tensioni che, da una parte, costituiscono i tratti più caratteristici della fisionomia di Gesù e della successiva missione cristiana, ma che, dall’altra, sono apparsi (e continuano ad apparire) come

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Domenica 6 gennaio 2013 DIO E’ VENUTO FRA NOI

(Mt 2,1-12)

inaspettati, se non addirittura scandalosi. Gesù - afferma l’evangelista - è un Dio venuto fra noi, ma la sua gloria è racchiusa in un’apparenza di sconfitta. Sulla sua strada non ci sono soltanto i Magi che lo cercano. Ci sono anche Erode e Gerusalemme che, alla notizia della sua nascita, si turbano. C’è chi lo cerca per adorarlo e chi lo cerca per ucciderlo. Gesù è colui che l’Antico Testamento attendeva, in lui si compie l’attesa dei popoli, in lui le speranze degli uomini trovano il loro fondamento: questa è la lieta notizia. Ma il portatore della lieta notizia ha il volto di un profugo: deve fuggire in Egitto. È un tratto del tutto inatteso: il Messia porta un messaggio di speranza e tuttavia è abbandonato alla violenza degli uomini. Bruno Maggioni

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Domenica 13 gennaio 2013

Festa del Battesimo di Gesù

COMPASSIONEVOLE TU SEI O SIGNORE

(Lc 3, 15-16 . 21-22)

Le feste di questo tempo liturgico sono accomunate da un’idea di fondo: la progressiva rivelazione di Gesù Figlio di Dio al mondo. Prima il Natale, poi l’Epifania, oggi il Battesimo. Ma, a guardarla bene, la festa odierna non corre solo su questo binario. Il Battesimo di Gesù infatti ha più il tratto del nascondimento che della manifestazione. Il Signore è confuso tra la folla di coloro che vanno dal Battista, condivide quella situazione senza particolare enfasi, come se il primo gesto pubblico del suo ministero fosse la scelta di non farsi pubblicità. La colomba e la voce dal cielo di cui si parla sono esperienze personali di Gesù, sono il modo in cui si chiarisce alla sua coscienza la sua identità di Figlio di Dio.Altrimenti non si capisce perché le folle che erano con lui non lo avrebbero seguito entusiaste. Questo gesto di nascondimento e ordinarietà esprime una scelta a cui Gesù resterà fedele per sempre: il legame con lui non si impone, ma lo si scopre lentamente; è un sussurro, non una parola urlata; va cercato proprio perché nascosto.Ma nel battesimo si esprime anche un’altra scelta che connoterà per sempre lo stile di Gesù: la solidarietà con i peccatori. Ci vuole forza a condividere la condizione dei peccatori senza essere in peccato, ci vuole quella compassione che nasce da un cuore che soffre per i fratelli che peccano senza cercare in loro un alibi per la propria mediocrità. Gesù non sceglie la compagnia di anime belle, ma si fa trovare in mezzo a gente sbandata, fuggiasca e disprezzabile. Immergendosi nelle acque del Giordano, acque morte perché cariche dei peccati degli uomini, le purifica, le santifica caricandosi lui di quel male. E in questo modo restituisce, a tutti coloro che saranno battezzati dopo di lui, la vita nuova, la vita vera e trasfigurata. Questo è il senso del battesimo cristiano, di quel battesimo che noi stessi un giorno abbiamo ricevuto.Senza questa scelta di Cristo di scendere nell’abisso con noi, non potremmo mai risalirvi.Senza il battesimo di Gesù non avrebbe senso neanche il nostro.Se siamo comunità cristiane, non lo siamo per simpatia o affinità ma per questa comune radice battesimale che ci fa sentire tutti mediocri peccatori, ma salvati e così resi capaci di vera comunione.

Don Umberto

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Domenica 20 gennaio 2013

speciale

Solennità di S.Agnese

PER NON RESTARE ALL’ASCIUTTO Noi ci siamo abituati a chiamare “miracoli” i gesti prodigiosi di Gesù; il Vangelo invece li chiama “segni”. Ciò che accadde quel giorno alle nozze di Cana, ad esempio, fu un segno della gloria del Signore. Nella Bibbia le nozze sono l’immagine del rapporto d’amore che lega Dio al suo popolo.La mancanza del vino è quindi il simbolo di un rapporto che si sta raffreddando, un rapporto che langue, un’alleanza che non funziona. Il vino portato da Gesù, pertanto, è un messaggio chiaro: nella sua stessa persona Cristo ripristina e rilancia questo legame, ristabilisce una nuova ed eterna alleanza. Così il vino di Cana prefigura il vino dell’eucarestia, il sangue redentore del Signore.Solo dentro questa cornice teologica noi possiamo cogliere ulteriori significati di questo noto episodio. Alla mancanza del vino noi possiamo infatti associare tutte quelle situazioni, quelle scelte di vita, personali o comunitarie, che iniziano in modo scintillante ed entusiasta e via via si raffreddano, perdono mordente e convinzione. Capita spesso che sia così, ma il guaio è che forse ci rassegniamo con facilità a questa logica quasi inesorabile. Lo dice anche il personaggio del Vangelo: “tutti servono da principio il vino buono e quando sono un po’ brilli quello meno buono”. Come se così fosse la vita in genere: una festa agli inizi, una zavorra col passare del tempo. A questo destino Gesù non si rassegna, anzi, è la Madonna che non si rassegna coinvolgendo il Figlio nel suo appassionato amore per la festa della vita. E così, ancora una volta il Vangelo ribalta le cose: il vino più buono arriva dopo.Gli entusiasmi e le convinzioni migliori emergono con il passar del tempo e la vita offre il meglio di sé solo alla fine, quando, tra l’altro, ci si prepara all’incontro definitivo con Dio.(Che dura lotta con se stessi è accettare questa logica!)Perché ciò accada però c’è bisogno di Gesù, di un suo intervento, della sua grazia che solo il rapporto con Lui permette di sentire nell’intimo dei nostri cuori.Da questo stesso rapporto fioriscono le energie per il cammino che stiamo compiendo come unità pastorale: anche noi infatti rischiamo di restare senza vino.Non saranno i nostri sforzi o un puro atto canonico a dare concretezza ad un progetto: sarà la convinzione, il coraggio e l’apertura del cuore provenienti dal vino buono di Gesù. Solo in Lui potremo continuare la festa. Don Umberto

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Domenica 27 gennaio 2013 OGGI

Lc 1,1-4; 4, 16-20)

La liturgia sinagogale era piuttosto diversa dalla nostra. Ogni maschio adulto poteva leggere e commentare a voce alta il testo delle Scritture scelto per quel giorno. Gesù a Nazareth fece quindi qualcosa di usuale e normale (per il suo tempo). Lo dice il testo stesso: “si recò, come suo solito, di sabato, nella sinagoga e si alzò a leggere …” Diversa dal solito fu invece l’interpretazione che Gesù diede del brano del profeta Isaia appena letto: o meglio, diversa era la coscienza di Gesù quel giorno.Aveva maturato dentro di sé la consapevolezza più piena della sua figliolanza divina attraverso il Battesimo; aveva lasciato macerare questa convinzione nei quaranta giorni di deserto e ora accostava la Scrittura con occhi nuovi. Ecco un altro messaggio per noi: l’oggi di cui si parla è quello liturgico e sacramentale. Quando ci troviamo in chiesa noi non facciamo una pura memoria di avvenimenti del passato. Questo lo facciamo a livello civile: quando festeggiamo il 25 aprile o qualsiasi altra ricorrenza essa rimane un evento trascorso e la sua commemorazione non ha alcuna pretesa di renderlo nuovamente presente. Per la liturgia invece, il memoriale ricorda le gesta di Dio e pertanto tali gesta superano il tempo storico in cui si sono verificate perché Dio è eterno, oltre il tempo.Così quei gesti si rendono nuovamente presenti attraverso la celebrazione e nel nostro oggi recano salvezza. Con la nostra mentalità scientifica e razionale facciamo fatica ad entrare in questa dimensione. Io penso però che la nostra fatica sia legata anche a qualcos’altro: abbiamo veramente bisogno della salvezza di Dio? Ne avvertiamo la vitale necessità? Quel remoto sabato a Nazareth risultò chiaro chi erano i destinatari dell’annunzio: poveri, prigionieri, ciechi, oppressi. Ci vorrà tutto il ministero di Gesù per chiarire però che la sua non sarà una liberazione politica, un risanamento dell’economia o una pura cura di menomazioni fisiche.Quelle categorie indicano coloro che riconoscono la propria miseria e la propria incapacità a salvarsi da soli bastando a se stessi. Pressati da necessità esteriori non ci accada di tralasciare le necessità più profonde, le uniche che ci aprono la via dell’eterna salvezza. Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

Don Umberto La Via raccolta 2013


Domenica 3 febbraio 2013

speciale

TRA RESISTENZE E OPPOSIZIONI

S.Biagio (Lc 4, 21-30)

“Chi ben comincia è a metà dell’opera”, ci dice un noto proverbio popolare. Gesù invece cominciò malissimo. Secondo l’evangelista Luca infatti, l’episodio nella sinagoga di Nazareth è l’inizio dell’opera di Gesù. Ed è un fiasco.Ad una iniziale e fugace reazione di entusiasmo da parte dell’uditorio, segue una ben più cocente delusione che si trasforma in irritazione, addirittura in furia omicida.Perché tutto ciò?Occorre dire che per S. Luca questa scena anticipa e contiene in sé tutto il resto del Vangelo. L’opera pubblica di Gesù infatti seguirà queste stesse tappe: accoglienza iniziale, stupore, diffidenza, irritazione, violenza fisica nei suoi confronti.Ma l’interrogativo resta: cosa può mai generare una reazione simile?Perché quelli di Nazareth si sono opposti ad una buona notizia?Gesù non li aveva minacciati, ne’ tanto meno aveva negato loro qualcosa.Perché quindi si induriscono tanto?A volte le risposte più semplici sono quelle più vere e per questo io partirei da un motivo affettivo. Gesù era cresciuto a Nazareth, i suoi concittadini lo conoscevano e forse lo avevano anche aiutato alla morte del padre Giuseppe: si aspettavano qualcosa da lui, immaginavano avesse per loro un occhio di riguardo, una qualche forma di gratitudine.E invece Gesù va altrove a portare la Buona Notizia, è altrove che compie miracoli.Il loro quindi è un risentimento, tipico di chi si aspetta di essere ringraziato se fa del bene.Ci deve essere però anche qualcosa di più profondo, i compaesani avevano fatto i loro calcoli su Gesù: un uomo così famoso e importante poteva dare lustro al paese, essere una gloria locale, una specie di logo da stampare su prodotti per venderli.Se egli non rimane con loro tutto questo non può realizzarsi: mancato successo, mancata pubblicità, mancate entrate economiche: questo fa sempre irritare.Provate voi oggi portare via i Santi dai paesi in cui hanno vissuto!!Oltre a tutte queste meschine ma realissime motivazioni c’è la questione decisiva: se Gesù era il Messia, doveva esserlo solo per loro; perché andare anche dagli stranieri?Perché portare la salvezza anche a chi non era del loro clan?Un uomo così universalmente aperto come Gesù non poteva non infastidire chi si era adagiato nel proprio stile di vita e nel proprio piccolo mondo antico.È la reazione di chi sente che le proprie abitudini, fondate su convinzioni sbagliate, vengono ribaltate.È la stizza incontrollata che prende coloro che credono che il mondo finisca con il proprio paese e si trovano all’improvviso ad avere a che fare con qualcuno che giustamente ridicolizza questa visione.Sta di fatto che Gesù se ne andò e la Parola non poté essere annunciata.Tra resistenze e opposizioni potremmo barcamenarci anche noi? Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 10 febbraio

speciale Unità Pastorale

Strumenti (umili) nelle mani di Dio Il Vangelo ci presenta Gesù che sta predicando sulla riva del lago e che, per non essere oppresso dalla folla, decide di salire su unabarca,quella diSimone.Alla fine della predica Gesùdice a Simone: «Prendiillargo!». Questa espressione («Duc in altum!», in latino) è stata ripresa dal papa Giovanni Paolo II nella sua Lettera apostolica.Novo millennio ineunte, all'inizio del nuovo millennio. Gesù c'invita ad andare in profondità nelle cose, a essere intraprendenti, audaci; e il Papa vuole che noi ascoltiamo questo invito di Gesù, lo prendiamo sul serio e diamo alla nostra vita uno slancio, un dinamismo forte, naturalmente fondato sulla grazia di Dio. «Prendi il largo e calate le reti per la pesca», dice Gesù a Simone. E Simone risponde dapprima con un'obiezione: «Maestro abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». Possiamo immaginare i sentimenti di questi pescatori, che per tutta la notte avevano percorso in lungo e in largo il lago di Genesaret senza prendere nulla. Sono certamente sentimenti di sfiducia, di delusione. Ma subito dopo Simone ha un'ispirazione, e dice: «Sulla tua parola getterò le reti». Egli riceve questa ispirazione da Dio. É un'ispirazione di fede: una fede non soltanto «intellettuale», ma «attiva», che spinge all'azione. Anche noi siamo chiamati a dare questa risposta di fede. Quando ogni cosa sembra inutile, quando la vita sembra assurda, dobbiamo rivolgerci al Signore, che c'indirizza una parola di fiducia, d'incoraggiamento e di spinta. Se accogliamo questa parola, possiamo fare sempre qualcosa, possiamo avere sempre una reazione positiva, sia pur modesta, anziché rinunciare a ogni iniziativa. Il comando rivolto da Gesù a Pietro si rivela fecondo in modo straordinario: «E avendo gettato le reti, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano». Si tratta di una pesca miracolosa, segno della potenza della parola di Gesù. Egli non è solo un uomo come tutti gli altri, ma è il Figlio di Dio, partecipe della potenza creatrice di Dio. Quando una persona si mette generosamente al suo servizio, egli fa per lei cose meravigliose. La pesca miracolosa provoca un'impressione profonda in Simone, che vi scorge la manifestazione della potenza di Dio. Alla fine dell'episodio evangelico, Simon Pietro riceve una missione da Gesù. Il Signore gli dice anzitutto: «Nontemere!». Così pone fine al suo tremendo spavento. Poi gli promette: «D'ora in poi sarai pescatore di uomini». La missione di Simone sarà analoga a quella del pescatore, ma sarà anche profondamente diversa. Infatti, non si possono prendere gli uomini come si prendono i pesci. Essere pescatori di uomini è in realtà un'attività divina, e l'uomo, l'apostolo, è soltanto uno strumento nelle mani di Dio: uno strumento che deve rimanere umile, e nello stesso tempo generoso, per fare con Cristo l'opera di Cristo. Alla fine Pietro e i suoi compagni lasciano tutto per seguire Gesù e prepararsi alla missione di pescatori di uomini.ChiediamoalSignoredi essere disponibili per la sua opera, ciascuno secondo la propria vocazione. Nella Chiesac'è una grande diversità di vocazioni, ma ciascuno ha la sua, cioè è chiamato a fare l'opera di Cristo con Cristo. Si tratta di un'opera divina, che propaga la fede, la speranza e la carità, comunica la gioia e la pace, e attira la gente alla Chiesa. Don Stefano

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Domenica 17 febbraio 2013 DEBOLI MA LIBERI

Prima di Quaresima (Lc 4, 1-13)

Ero intento a scrivere le mie riflessioni settimanali con le quali avrei voluto commentare le tentazioni di Gesù quando ho appreso della libera rinuncia del papa Benedetto XVI al suo incarico di Sommo Pontefice. Ci ho pensato su un po’ e ho cambiato il contenuto di questo mio scritto. Per due ragioni: credo sia giusto che la comunità sappia, tra le tante opinioni, cosa pensa il proprio don sull’accaduto e ritengo inoltre che la Quaresima di quest’anno sarà evidentemente contrassegnata da una profonda preghiera per la Chiesa. Ed è giusto così: il cattolicesimo è comunitario e sociale prima che intimistico. La scelta del Papa non mi ha sorpreso: parlavo di questa eventualità con amici più di un anno fa sostenendo che Benedetto XVI avrebbe fatto una scelta del genere se si fossero realizzate certe condizioni. Personalmente ho avvertito un senso di libertà e di gratitudine e non condivido il clima di preoccupazione e ansia che mi pare di riscontrare quasi ci fosse solo una Chiesa alla deriva. Tanto meno posso allinearmi con quelle interpretazioni della scelta del Papa che mi sembrano indulgere alla fantapolitica. La mia sensazione di libertà deriva dall’aver accolto la testimonianza di un uomo che ha capito che è ora di farsi da parte e ha scelto, dopo accurato discernimento, di distanziarsi dalla secolare tradizione della Chiesa. Con il suo gesto mi ha fatto ancora una volta comprendere che noi non siamo quel che facciamo, non ci identifichiamo con il nostro ruolo, e con il nostro compito. Tutti siamo anzitutto discepoli del Signore e solo dopo si specifica in che modo lo siamo. Soprattutto del ministero Petrino si è servitori e non padroni. Così è di ogni ministero nella Chiesa: è un dono e non un’aspirazione, un progetto personale La decisione del Papa ha confermato un punto saldo del cattolicesimo, a volte un po’ andato in oblio: la coscienza del singolo credente, quando in libertà si confronta con Dio e si esamina, è istanza di verità superiore ad ogni tradizione e autorità. Joseph Ratzinger ora potrà tornare a fare ciò che sente più affine alle sue attitudini: pregare, riflettere, studiare, magari scrivere. E io sono profondamente contento per lui: la prima vera vocazione, per ciascuno, è il nostro dono naturale, non il nostro servizio. Egli ha fatto i conti con la sua umanità e in questo ha seguito l’esempio di Gesù al momento delle tentazioni: anche lì il Signore respinse il diavolo, restando Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 17 febbraio 2013 DEBOLI MA LIBERI

(Lc 4, 1-13)

fedele alla sua umanità bisognosa dell’aiuto del Padre, e non ai suoi eventuali poteri. Un Gesù che rinuncia il potere è una bella icona per il futuro della Chiesa: un invito alla purificazione, alla semplificazione, all’immersione nella vita reale delle persone senza perdere tempo in questioni astruse, scandalose divisioni interne e preoccupazioni canoniche che non hanno più senso. Questo Papa avverte che ci sono in ballo sfide importanti e decisioni dalle quali dipende l’annuncio e l’accoglienza del cristianesimo. Sono i temi che il Cardinal Martini ha sempre indicato: il laicato, la donna, il celibato sacerdotale, i sacramenti per i divorziati. Benedetto XVI ha ritenuto di non poter essere lui a guidare la Chiesa in questo passaggio. Ma si avrà il coraggio di farlo questo passaggio? Si sceglierà di conservare o di essere profetici? Proprio non lo so. Mi chiedo anzi se esista un’altra alternativa, soprattutto in Europa, a questo rapido evaporare del cristianesimo. E mi preparo ad una Quaresima più riflessiva del solito. Don Umberto

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Domenica 24 febbraio 2013 SONNO e PREGHIERA

seconda di Quaresima (Lc 9, 28-36)

Ho quarantacinque anni e quindici di questi li ho passati dormendo. Quando ci penso, la cosa mi fa sempre un certo effetto. È così per tutti in realtà: voi quanti anni avete? Bene, un terzo di essi li avete trascorsi nel sonno: il sonno occupa infatti un terzo (circa) della nostra esistenza. Possibile che sia stato tutto tempo inattivo? Tutto tempo perso o magari utile solo a ricaricare le pile per affrontare la giornata? Tutta una ingiustificabile pigrizia? Capita di trovare quelli che la pensano così: non lo dicono apertamente, ma lasciano intendere che se si dormisse la metà del tempo, si potrebbe produrre di più. Se durante il sonno non accadesse nulla e noi fossimo puramente passivi, costoro avrebbero ragione. Ma non sono persuaso che sia così. Per un bambino in fasce il sonno è assolutamente prioritario: è in quei frangenti che il bimbo cresce e assimila la conoscenza del mondo che progressivamente gli si manifesta. Per questo il sonno dà tanto alla conoscenza di sé : nella storia degli uomini incredibilmente numerose sono state le rivelazioni avvenute nel sonno o nel dormiveglia. Ricordo le parole di un grande teologo russo, Pavel Florenskij: “Il sonno colora la vita della nostra anima. È raro che l’uomo non abbia una relazione con altri mondi nel sonno. È lì che l’anima si china sulle profondissime radici delle realtà che nutrono la vita”. Perché mi sono avventurato in questa difesa del sonno? Per una suggestione dai testi biblici di oggi: c’è il torpore che cade su Abramo nella prima lettura e il sonno che opprime i discepoli nel Vangelo. In entrambi i casi avviene qualcosa di straordinario proprio mentre le persone dormono. Quel sonno però non è una assenza ma quasi la modalità con cui stare in relazione con la realtà divina che è dinnanzi a loro. C’è una realtà misteriosa e profonda che non possiamo raggiungere solo con i sensi, non possiamo spiegare a parole ne’ tradurre in immagini. Quando si parla di sonno si intende quindi la via per raggiungere questa realtà da cui la vita nasce. Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 24 febbraio 2013 SONNO e PREGHIERA

Seconda di Quaresima (Lc 9, 28-36)

È qui che si genera il timor di Dio, che è lo sfondo indistinto sul quale può edificarsi la fede. La fede infatti non nasce semplicemente da una parola che spieghi qualcosa o che dia un insegnamento: essa sgorga dal mistero, quel mistero che, ogni tanto, fugacemente, ci si rivela come accadde ai discepoli nel giorno della Trasfigurazione di Gesù sul monte. Non a caso essa avvenne nella preghiera: la preghiera è affine al sonno, nel senso che è la via per entrare in contatto con la dimensione più profonda delle cose, generalmente nascosta e inavvertita. Abbiamo iniziato questa Quaresima intensificando la preghiera? Gesù ci attiri a sé, ci doni il suo spirito di preghiera affinché la nostra vita sia trasfigurata insieme alla sua e la luce del Tabor irradi le nostre vicende quotidiane. Don Umberto

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Domenica 3 marzo 2013 IL TEMPO STRINGE

Terza di Quaresima (Lc 13, 1-9)

È un episodio curioso quello del Vangelo di oggi. Gesù commenta due fatti di cronaca, forse per la prima ed unica volta. Si tratta di due fatti negativi: un gesto increscioso che parla di Pilato e una disgrazia su un luogo di lavoro. Anche Gesù ha avuto a che fare con la cronaca del suo tempo e interpretandola ci ha aiutato offrendoci un modo di stare di fronte a certe notizie. Prima però bisognerebbe chiedersi: come leggo o ascolto la cronaca? A volte c’è un atteggiamento morboso, una curiosità malsana che è peccato perché dice che il nostro cuore è vuoto. Altre volte c’è indifferenza, come se a certe informazioni ci avessimo fatto l’abitudine: le sentiamo ma è come se non le ascoltassimo. Altre volte ancora ci lasciamo andare a considerazioni catastrofiche sul male nella società: “il mondo è impazzito e va a rotoli! Cosa sta succedendo?” Gesù, una volta udite le notizie riferitegli, le interpretò come segnali e appelli alla conversione. È come se ogni notizia di cronaca ci riguardasse e ci facesse chiedere: “cosa faccio io di bene di fronte a questo male che dilaga? Come posso convertirmi? In che maniera questi sentimenti sono presenti anche in me?” Sono domande necessarie perché noi non abbiamo a disposizione tutto il tempo che vogliamo. Anzi, ogni notizia è anche un’occasione per riflettere sul tempo che ci resta. Dio ce lo dà, ce lo regala, affinché noi possiamo farlo fruttare. Questo è il senso della parabola del fico che Gesù racconta quasi come chiosa ai due fatti di cronaca. La pazienza di Dio è grande, ma ha un limite. Non procrastina all’infinito le nostre responsabilità. La folgorante frase del Maestro “se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo” è a questo riferita. Non si tratta però della qualità fisica ed esteriore della morte, ma della sua qualità spirituale; senza conversione la morte, la disgrazia, il lutto e la cronaca che di queste cose racconta, sono destinate a rimanere cose incomprensibili, lontane o angoscianti. La nostra Quaresima sia tempo di conversione, in opere e in pensieri,perché possiamo anche noi portare frutto per l’avvenire. Don Umberto

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Domenica 10 marzo 2013 PER CHI E’ IL PERDONO?

Quarta di quaresima (Lc 15, 11-32)

In questa arcinota parabola del padre misericordioso sembra che l’unico peccatore colpevole sia il figlio minore. È lui il ribelle, lui l’anticonformista insofferente e godereccio che se ne va, facendo soffrire tutta la sua famiglia. Qualche volta dovremmo però leggere la pagina del Vangelo quasi ex-novo, cioè partendo da zero, senza precomprensioni giunte a noi della tradizione. Proviamo? Questo padre è il vero colpevole. Se in una famiglia le cose non vanno, certo non si può addebitare solo ai figli il motivo di ciò.Cosa fa questo padre per comprendere le ragioni del suo ragazzo? Cosa dice per tentare di capirlo e magari trattenerlo da un gesto che resta comunque grave? Nulla. Non sembra poi un padre tanto riuscito. Anche con l’altro figlio, quello maggiore , le cose non vanno benissimo. Avrebbe avuto bisogno, ogni tanto, di una festa tutta per lui. Ma il padre? Niente di tutto ciò. Chi deve avere la sensibilità per entrare nel cuore dell’altro, il figlio o il padre?E la moglie dov’è? Inspiegabilmente assente. Sembra una decisione presa solo da quest’uomo, senza confrontarsi con nessuno. A questo punto è lecito chiedersi chi abbia veramente bisogno di perdono. E dovremmo risponderci che anche questo padre ha bisogno di perdono e che quando il figlio torna, è a lui, il papà, che viene data un’occasione di riscatto, una ulteriore possibilità di manifestare il proprio amore. Senza volerlo, il figlio minore perdona il padre, lo rimette in gioco. E perdonare i propri padri, i propri genitori, è una cosa importante: significa riconciliarsi con la propria storia, anche nei suoi aspetti più faticosi e indigesti. Così, tutti i personaggi della parabola hanno bisogno di perdono: il figlio ribelle e il figlio maggiore così duro e consumato dall’invidia, il padre arrendevole e la madre nella sua assenza. Tutti sono accumunati da questa condizione di manchevolezza dinanzi alla quale sta Dio nella sua misericordia.Dio è più in là, è più grande di ciascuno di loro: la misericordia infatti è quel clima spirituale nel quale tutti siamo immersi , unico fondamento saldo della nostra conversione.Giunti alla quarta domenica di Quaresima dovremmo fare un punto sul nostro cammino e magari sentirci fuori posto, come persone mancanti perché troppo tiepide o insofferenti alla penitenza. Sentiremmo allora che anche a noi è offerta una nuova chance: proprio come al padre imperfetto di questa parabola. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 17 marzo 2013 ASSENTE INGIUSTIFICATO

Quinta di Quaresima (Gv 8, 1-11)

Genere maschile non pervenuto. Nonostante la complicità tra uomini l’abbia protetto, qualche domanda noi dovremo pur farcela: dov’è finito il compagno dell’adultera? Non è stato colto in fragrante anche lui? È una domanda legittima, tanto più se conosciamo la Scrittura che dice: “l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte” (Lc 20, 10) La sorte che stava per abbattersi sulla donna doveva quindi essere riservata anche a lui. E invece niente, sparito nel nulla. Questa è un’assenza che ci dice molte cose. Anzitutto rivela quanto sia inconsistente l’amore se è solo una realtà fisica ed estetica; quante parole dolci si saranno detti i due? E che fine hanno fatto di fronte al pericolo e alla paura? Un amore che non ha come fondamento la verità è troppo fragile; tanto più quando è peccato. La fuga dell’uomo ci parla però anche di altro: non l’avranno condannato perché sapevano di essere come lui, sapevano di non essere senza peccato e lo dimostreranno all’invito di Gesù a scagliare la prima pietra. Ma quanto bene può fare questa sensazione di mal comune? Si potrà mai uscire da un errore se si ha la convinzione che “tanto fanno tutti così”? È proprio una magra consolazione quella di considerarsi tutti peccatori come se andare alla deriva sulla stessa barca fosse più piacevole solo perché fatto insieme ad altri. Resta da capire quali emozioni avranno toccato il cuore di questo maschio, grande assente. Non avendo rischiato la morte avrà pensato di averla scampata bella. Ma “scamparla” non è la stessa cosa di “essere salvati”. Chi si sente salvato, come l’adultera peccatrice, sa di aver incontrato qualcuno, di poter colmare i suoi vuoti con una Presenza che scalda il cuore e lo apre alla verità; chi la “scampa bella” resta con la sua solitudine, ancora preda dei suoi vizi e delle sue prepotenti e incontrollate passioni. Ma per salvarsi bisogna uscire allo scoperto. Bisogna che si riveli la verità di noi stessi, il nostro limite, le nostre paure, anche fino a toccare il fondo. Poi si può solo risalire. Non da soli però, ma con quella dolce mano di Cristo che prima scrive per terra, poi è protesa a stringere quella di chi si sente perduto. Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 17 marzo 2013 ASSENTE INGIUSTIFICATO

Quinta di Quaresima (Gv 8, 1-11)

Di fronte a questa sublime pagina evangelica scorrono le immagini di quanto accaduto in questi giorni: Papa Francesco ci ha sorpreso tutti. Quella preghiera silenziosa da groppo in gola, quello sguardo e quelle parole che chiedono aiuto non per timore ma per scelta, quella fermezza mite e umile, sono state come l’aria pura. Persino il suo motto “ miserando atque eligendo” (che significa lo guardò con misericordia e lo scelse) ci comunica sensazioni che da tempo l’istituzione non dava. Dobbiamo scomodarla la Provvidenza, e crederci, se giusto oggi risuona così la prima lettura: “dice il Signore: ecco faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 24 marzo 2013 INIZIAMO

Le Palme (Lc 22, 14-23, 56)

Oggi l’importante non è prendere in mano le palme o gli ulivi e compiere qualche passo, ma esprimere la volontà di un cammino. L’ingresso di Gesù in Gerusalemme infatti, non ha un valore in sé, ma assume il suo significato dall’insieme degli eventi successivi che culmineranno nella morte e resurrezione del Signore. Con che spirito dunque siamo chiamati ad iniziare questa settimana? Anzitutto con lo stesso silenzio di Gesù. Mi fa sempre molta impressione, nella liturgia odierna, quanto poco il Signore abbia parlato. Se ne sta silenzioso e assorto sia di fronte a chi lo osanna che di fronte a chi lo condanna. È un silenzio ricettivo il suo, un silenzio che gli permette di accogliere le parole e i gesti degli altri, ma soprattutto le parole del Padre che risuonano in lui. Senza questo silenzio non avrebbe la forza di affrontare la sua croce. Questo tacere è solo il primo di una serie di gesti inediti, fuori dall’aspettativa della gente, che contempleremo nella Settimana Santa. Gesti che ci colpiscono per la loro passività, l’inermità difficile da accettare. Perché subire tanto? Perché portare fino a questo punto estremo la sua umiltà? Con il suo modo di essere Gesù ha insegnato che umiltà e regalità possono coesistere, che semplicità e sovranità non sono l’una l’opposto dell’altra. Attraverso di lui noi capiamo che una persona è tanto più grande e meritevole di fiducia quanto più è umile. Anche questo atteggiamento ci viene quindi suggerito all’inizio di questo cammino. E infine c’è la fraternità. Quella comunione con ogni uomo che Cristo ha voluto cercare con forza giunge qui al suo punto culminante. Egli realizza la comunione anche a costo di essere schiacciato e questo ci fa, onestamente, un po’ paura. Essere cristiani però significa vivere accogliendoci nell’amore vicendevole e quindi prepararsi alla Pasqua avendo nel cuore, o forse ritrovando, questi sentimenti. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 31 marzo 2013

S. Pasqua

LA SPERANZA BUSSA ALLA PORTA Siamo sempre un po’ sgomenti di fronte ad un messaggio come quello della resurrezione. Ci inquieta e forse ci lascia increduli questo annuncio che ribalta il modo di vedere la vita e le prospettive ordinarie delle cose. È come se aria fresca entrasse in una camera dove l’aria è viziata, come un mondo nuovo che subentra ad un mondo vecchio. Siamo preparati a tutto ciò?; Lo vogliamo veramente? Istintivamente noi cerchiamo di rendere concreto il grande messaggio della resurrezione, di applicarlo alla vita ordinaria e così traduciamo il messaggio religioso in uno morale, il messaggio morale in uno sociale, il messaggio sociale in uno politico.È sbagliato tutto ciò? È una forzatura ridurre le prospettive immense del regno di Dio alle nostre speranze di ogni giorno? Gesù non ha mai negato queste speranze e quindi non dobbiamo pensare che sia sbagliato. Noi non possiamo rinunciare a quella forma di speranza che nutre e orienta la quotidianità. La speranza di star bene fisicamente, la speranza di uscire dalla crisi, la speranza che i nostri affetti durino. Il Signore non è estraneo a queste cose. Non è neppure lontano da quelle speranze di più ampio respiro di cui oggi siamo testimoni: l’apertura e la freschezza della vita ecclesiale che l’elezione del nuovo Papa ha comportato e, fatte le debite proporzioni, i segnali di novità del nostro governo. La resurrezione di Gesù abbraccia tutte queste speranze e al contempo è più grande di ciascuna di esse.Proprio perché è più grande è in grado di nutrirle dal di dentro, di essere il motore che tutte le alimenta. Se il nostro destino non è la morte ma la vita vera, quanto potremo superare le scelte dettate da paure, divisione, conflitti interminabili? Cristo è risorto! Questa è la testimonianza che noi oggi raccogliamo. Da qui nasce il cambiamento dell’uomo e la possibilità di una moralità vera, di una giustizia seria e di una vita improntata non all’egoismo ma al dono umile di sé. Già si intravedono segni intorno a noi, ma questo annuncio sia, sempre più, l’incipit di una nuova storia. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 7 aprile 2013 BUTTARE DENTRO

seconda di Pasqua (Gv 20, 19-31)

“Ho buttato dentro”. È un’espressione che non avevo mai sentito prima di arrivare qui nel Piacentino. Mi ha incuriosito questo modo di dire e mi pare di aver compreso che significhi stancarsi di qualcosa, abbandonare un cammino intrapreso, magari per stanchezza, pigrizia o demotivazione. Probabilmente è una fase da cui siamo passati un po’ tutti. C’è passato anche l’apostolo Tommaso, anzi, il Vangelo di oggi ce lo presenta nel bel mezzo di questa fase. Si era fidato di Gesù, lo aveva seguito e le cose non erano andate bene. Ora basta. Non ce la faceva più. Fidarsi ancora, tanto più di un fantasma, proprio no. La questione non era quella di avere le prove, perché Tommaso non era uno sprovveduto. Lo sapeva che fede ed evidenza non vanno d’accordo. Se una cosa la vedi, la vedi e basta, non c’è bisogno della fede. La fede si fonda invece sull’affidamento. In verità Tommaso non era più disposto a nulla: era chiuso, pur stando fuori dal cenacolo. E come lui, anche tutti gli altri apostoli. Gesù venne da loro, ma ci venne a porte chiuse. Non poteva infatti contare sulle loro attese, sul loro desiderio di vederlo ne’ tanto meno sulla loro disponibilità all’incontro e all’accoglienza. Chiuse erano le porte, chiusi gli orecchi, chiuso il cuore e non più pronto a lasciarsi scaldare. A queste condizioni, tutt’altro che favorevoli, Gesù si presentò in mezzo a loro. Queste porte chiuse, invece che farci fantasticare sulla realtà del corpo risorto di Cristo, potrebbero suggerirci interrogativi sulle nostre ingiustizie, sulle nostre paure, sui nostri pregiudizi. Niente ferma la forza del Risorto, non ha bisogno di nostre particolari credenziali per manifestarsi, la sua presenza è un dono, puro, gratuito e inaspettato. Un dono che si rivela credibile non per la fisicità del suo corpo, ma per i segni dei chiodi. Sarà sempre così anche per la Chiesa, anche per la nostra testimonianza: crederanno in noi non per la potenza dei nostri mezzi ma per il segno dei chiodi. Perché solo l’amore è credibile. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 14 aprile LA DELICATEZZA DEL RISORTO

terza di Pasqua (Gv 21, 1-19)

Mi piace molto il brano evangelico di oggi. Mi trasmette un senso di intimità, di confidenza e di speranza. Mi da pace, perché riesco sempre ad identificarmi nello stato d’animo dei discepoli scarichi e demotivati, inclini a lavorare a vuoto, che incontrando il Risorto sentono riaccendersi in loro uno slancio che pareva languire assopito. Non è solo la presenza di Gesù a risvegliarli, ma anche i suoi gesti, o meglio le sue attenzioni delicate. Anzitutto quella domanda: “Non avete nulla da mangiare?” Gesù si preoccupa di una cosa tanto ordinaria e tanto necessaria che la sua domanda sembra persino banale. Il Signore non si lancia in discorsi altisonanti, in riflessioni impegnative, ma solo chiede se sono a digiuno dopo una notte di lavoro. Qualcuno direbbe che sono cose poco “spirituali …” ma per Gesù esiste un altro modo di intendere ciò che è spirituale: è cogliere il significato bello e amorevole che sta dietro a gesti semplici e quotidiani; è rivelare che niente è tanto spirituale quanto un pasto consumato in fraternità, dove ogni boccone fa assaporare il gusto dell’amore di Dio ridestato nei nostri cuori. Per questo Gesù quel pasto l’aveva preparato; lui, con le sue mani aveva già acceso il fuoco, vi aveva già cotto del pesce, cogliendo di sorpresa loro che non avevano più ne’ la forza ne’ la voglia di mettersi a cucinare. Quel fuoco di Gesù è l’opposto dei fuochi d’artificio del protagonismo, è l’opposto del fuoco della passione che distrugge lasciando amarezza dietro di sé. È la delicatezza di un anticipo, la premura semplice che dice come siamo sfiorati, prevenuti e accuditi nell’intimo dalla sua presenza. Quando è Lui ad accendere il fuoco lo senti e basta. La sua vicinanza è quotidiana, lo sappiamo. Ma in certi momenti, ogni tanto e non si sa come, è stato molto speciale. Mi scorrono davanti le notizie del Telegiornale, e ancora di più mi convinco che a questo stile di cura, attenzione e solidarietà dobbiamo crederci sempre di più, pena l’andare a fondo. Tutti. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 21 aprile 2013 FEDELI E CREATIVI

quarta di Pasqua (Gv 10, 27-30)

Siamo nel tempo pasquale eppure il Vangelo di oggi non ci parla di resurrezione. Non descrive nemmeno un incontro tra Gesù risorto e i suoi. Si riferisce invece a quel rapporto che lega il Signore a ciascuno di noi così ben espresso dalla metafora pastore/gregge. A cosa siamo chiamati? Ad ascoltare e a seguire. Sono due verbi che dicono tutto dello stile della Chiesa: Gesù ha già tracciato la strada, occorre inserirsi in quel solco con grande fiducia. Alla comunità cristiana è richiesto anzitutto la fedeltà della memoria più che la genialità dell’invenzione. La creatività potrà anche esserci, ma sgorgherà in modo sorgivo da quel profondo legame con le radici evangeliche delle nostre decisioni. Quando i nostri gesti e le nostre parole si rifanno a quelli di Gesù allora sono già eterni. Per questo il testo dice che le pecore di Gesù-pastore avranno la vita eterna. Così, in fondo, anche questo vangelo rivela il suo carattere pasquale: la nostra resurrezione è già in atto, non c’è da attendere la fine biologica della vita. Tutto quel che compiamo nell’amore e nel nome di Cristo, Dio lo assorbe nella sua eterna memoria e niente può strappargliela via, neppure la morte. Il fatto di celebrare oggi la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni è una ulteriore occasione per prendere coscienza di questo fine ultimo dell’esistenza a cui siamo chiamati. Ci conceda il Signore di udire la sua voce. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 28 aprile AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI

quinta di Pasqua (Gv 13,31-35)

Il comandamento che Gesù dona alla sua comunità (Gv 13,34-35) si esprime al singolare («un comandamento»). I molti comandamenti non sono che la manifestazione dell'unico comandamento che è l'amore. Il comandamento dell'amore è considerato da Giovanni un dono (il verbo «dare» è troppo debole, meglio tradurre «donare»). Che un comandamento sia un dono può sembrare paradossale, ma è conforme a tutta la tradizione biblica: la legge di Dio è un dono, perché il suo dettato corrisponde alla nostra vocazione più profonda. L'amore scambievole è per l'uomo movimento, vita, uscire dal chiuso, dall'odio, dall'egoismo e dall'indifferenza per respirare a pieni polmoni. Si legge nella Prima lettera di Giovanni: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte» (3,14). Amare i fratelli è la prova decisiva che si è vivi. L'amore reciproco trova in Gesù il modello e la fonte: «Come io ho amato voi». «Come» dice la norma e la misura. Ma dice anche la ragione: se possiamo amarci fra noi è perché lui per primo ci ha amati. «Come io ho amato voi», dice Gesù. Noi ci aspetteremmo: «Così anche voi amate me». Invece no: «Gli uni gli altri». C'è dunque nell'amore di Gesù una dimensione di gratuità che anche il nostro amore deve avere. L'amore di Gesù non accaparra il discepolo. Al contrario, è un dinamismo che lo spinge verso gli altri. È amando i fratelli che si ricambia quello di Gesù. L'amore tra i discepoli è un amore che tende alla reciprocità: «Amatevi gli uni gli altri» è ripetuto più volte. Ma se vuole so migliare a quello di Cristo, deve nascere da una gratuità. E deve trattarsi di una reciprocità che si apre all’universalità. «Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli». Un’affermazione, questa, che taglia corto su ogni eventuale tentazione della comunità di rinchiudersi in se stessa. L’amore cristiano proprio quando se ne sottolinea la reciprocità - non cessa di essere aperto. Il comando dell’amore fraterno è da Gesù definito «nuovo». Non si tratta di una novità cronologica, ma di una novità qualitativa. Il comando dell’amore è nuovo come è nuovo Gesù. Nuovo perché dischiude un mondo che appare nuovo e rinnovato, che sempre sorprende: nuovo a tal punto da essere il segno prefiguratore dei «nuovi cieli e della nuova terra». Nuovo anche perché è il segno e il frutto del mondo nuovo che la venuta di Cristo ha instaurato. La svolta è avvenuta e l’amore che ora i cristiani possono vivere appartiene già al mondo rinnovato. L’amore fraterno è la novità della vita di Dio che irrompe nel nostro vecchio mondo, rigenerandolo. Ed è l’anticipo della vita futura a cui aspiriamo. Bruno Maggioni Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 5 maggio 2013 ASSAPORARE LA PACE DI CRISTO

sesta di Pasqua (Gv 14, 23-29)

Le parole di Gesù nel vangelo di oggi hanno qualcosa di strano. Gesù parla del tempo in cui era ancora con i suoi apostoli, eppure non è ancora asceso al cielo. Parla e pensa al passato, parla come in un testamento. E soprattutto lascia in dono la pace in un momento in cui ogni cosa sembra toglierla: si può parlare di pace in un momento di addio? Ci si può sentire in pace nell’imminenza di perdere le persone care? Eppure proprio così parla il Signore: lascia una pace tutta diversa da quella che dà il mondo. In che senso ? Qual è la pace che da il mondo? È l’assenza di conflitti. Ma Gesù i conflitti li ha avuti, lo hanno condotto fino sulla croce. È il benessere. Ma Gesù ha patito le sofferenze più estreme. Soprattutto la pace come la intende il mondo è la filosofia del “vivi e lascia vivere”: ognuno si occupi delle sue cose senza impicciarsi di quelle degli altri e così vivrà in pace. Ma Gesù ha vissuto occupandosi solo degli altri e non di sé e da qui nascono le sue tribolazioni. Allora come la mettiamo? Che cosa intende dire il Signore? Parlando di pace Gesù parla di se stesso. Cristo Risorto si pone infatti come l’orizzonte ultimo della vita di ciascuno di noi; noi siamo chiamati ad unirci a lui , a conformarci alla sua vita e solo nella sua volontà è la nostra pace. Per questo tra mille difficoltà, incomprensioni, amarezze, il cristiano sa dove guardare, a cosa tendere, verso dove andare. Ed è questo pensiero a donare la pace. È questo pensiero a mettere al bando l’ansia, l’inquietudine e l’agitazione. Persino a controllare la frenesia. Nella tradizione cristiana questa esperienza ha assunto diversi nomi: a volte “consolazione” altre volte “agio dello spirito”. Ogni domenica ce lo sentiamo ripetere: “vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Il Signore ci renda accoglienti verso questo suo dono.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

Don Umberto

La Via raccolta 2013


Domenica 12 maggio 2013 UN VUOTO CHE RIEMPIE

Ascensione del Signore (Lc 24, 46-53)

La festa dell’Ascensione è legata al testo di Luca che ne parla sia nel Vangelo che negli Atti. Entrambe le letture sono quindi presenti nella liturgia odierna. È una festa che esprime la glorificazione piena e totale di Cristo risorto, ma ci suggerisce anche due tipi di riflessioni. La prima riguarda il tema dell’ASSENZA. Da quel giorno infatti i discepoli non incontrarono più il Signore che sparì dalla loro vista. Cosa era cambiato? Gesù non era più con loro ma era IN loro . Quell’assenza era quindi in realtà una nuova modalità di presenza che invece che deprimere e rattristare i discepoli li rese più convinti, più forti nella fede. Mi chiedo se l’assenza delle persone care, la loro perdita non sia da vivere proprio così: invece che crogiolarsi nel dolore, invece che restare paralizzati dalla nostalgia, cominciare a credere veramente che essi sono per sempre dentro di noi. La seconda riflessione riguarda il tema del COMPIMENTO. Con l’Ascensione si compie infatti la missione di Gesù, la sua esistenza terrena interamente votata a far conoscere il Padre. Per questo Luca la colloca 40 giorni dopo la resurrezione: come l’ingresso nella terra promessa era stato il compimento dei 40 anni nel deserto del popolo d’Israele, così l’Ascensione è il compimento del cammino di Gesù. Ma questo compimento non si raggiunge in terra bensì in cielo. I nostri progetti, le nostre aspirazioni, i nostri desideri più profondi resteranno sempre un’opera incompiuta qui sulla terra. E ancora mi chiedo se ogni tanto non abbiamo bisogno di sollevare la testa e alzare lo sguardo per non leggere come fallimento lo scarto che percepiamo tra le nostre idee e la realtà, ma prenderlo piuttosto come un segno. Di cosa? Del fatto che noi non siamo destinati a realizzarci pienamente in questa vita ma in un’altra patria più vera e più autentica . Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 19 maggio 2013 IN UNO STESSO LUOGO

Pentecoste (Gv 16, 12-15)

Il racconto di Pentecoste inizia informandoci che gli apostoli si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Era il luogo dove Gesù stesso li aveva raccolti per la cena prima della sua passione. Si trovavano là per paura, non certo per una scelta libera e coerente. Si può stare insieme per tanti motivi diversi, come diverso è il significato del luogo in cui ci si ritrova. Ci sono infatti tre tipi di luoghi: i luoghi fisici, i luoghi dell’anima e i luoghi dello Spirito. Il luogo fisico è determinato dallo spazio: può essere una casa una chiesa un salone o anche un semplice prato all’aria aperta. Preso in se stesso dice poco, perché ogni luogo fisico ha bisogno di un luogo dell’anima. I luoghi dell’anima sono caratterizzati da ricordi comuni, da esperienze vissute insieme, da comuni tradizioni che hanno creato profondi legami affettivi. Sono cose necessarie ma incompiute, tant’è che non c’è bisogno di essere cristiani per percepire la forza dei luoghi dell’anima. Soprattutto l’unità che si genera in questi luoghi è una unità esclusiva, chiusa e diffidente nei confronti degli estranei. Tanti luoghi ecclesiali, parrocchie comprese, sono semplicemente luoghi dell’anima senza mai diventare luoghi dello spirito. Le nostre quattro chiese cosa sono? Certo è importante che le persone ci tengano al luogo ove sono stati battezzati, si sono sposati, hanno ricevuto i sacramenti. Ma tutto questo può essere vincolante? Se le cose stanno così c’è qualcosa di storto. Il passaggio dal luogo dell’anima al luogo dello spirito è caratterizzato da uno stile di fraternità che si fonda sulla medesima fede, lo stesso ascolto della parola, lo stesso nutrirsi dell’Eucarestia pane di vita, che unisce i cristiani ovunque essi siano e che spalanca le porte chiuse dietro alle quali ci rintaniamo per scelte comode e di tranquilla routine. Noi stiamo per diventare una sola parrocchia: i nostri luoghi dell’anima stanno per fondersi in un unico luogo. Che sia un luogo dello spirito dipende dal dono di Dio, certamente effuso in abbondanza. Ma anche dalla nostra libertà: che non opponga ostinata resistenza. Buona Pentecoste a tutti. Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

Don Umberto La Via raccolta 2013


Domenica 29 maggio 2013 LE COSE FUTURE

SS. Trinità (Gv 16, 12-15)

Si parla ancora dello Spirito Santo;come se il Vangelo di oggi dovesse completare la domenica di Pentecoste. E si dice qualcosa di curioso sullo Spirito: “egli vi annuncerà le cose future”. È un’immagine che scatena la fantasia:quasi lo Spirito Santo fosse un indovino. Oppure usasse la sfera di cristallo. C’è da sbizzarrirsi, ma non ci servirebbe. Con la sobrietà che ci vuole in tutte le cose spirituali mi sembra che significhi questo: lo Spirito Santo illumina la mente dei fedeli perché possano guardare al futuro con fiducia. Ed è tutt’altro che facile di questi tempi. Il futuro non è nelle nostre mani e questo pensiero genera ansia:tentiamo di porvi fronte progettandolo, in genere facendo riferimento a cose che sappiamo e conosciamo già: e così per guardare al futuro ci serviamo del passato. L’azione dello spirito invece ci sostiene nell’accogliere il futuro che non sarà come lo vorremmo: accogliere che i nostri figli senza lavoro andranno all’estero; accogliere che le nostre esigenze saranno ridimensionate; accogliere che la vita della Chiesa sarà diversa; accogliere infine, anche la precarietà della malattia. Per guardare a tutto ciò in modo positivo ci vuole la forza dello Spirito che fa gettare il cuore oltre l’ostacolo. Mi sembra provvidenziale che queste parole risuonino nei giorni in cui le nostre quattro parrocchie vengono fuse in una sola: noi stiamo guardando al futuro. Un futuro in cui si vivrà questa comunione (già tale a livello civile) come una normalità. Provvidenziale è anche la solennità liturgica odierna: la SS. Trinità. È un mistero di unità nella differenza, proprio come sarà per la nostra comunità. È un mistero non del tutto comprensibile però, non penetrabile dai pensieri umani: per questo accostarci ad esso richiede umiltà e affidamento. Sono virtù chieste anche a noi; ci soccorra lo Spirito Santo, colui che “ci annuncia le cose future”. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 2 giugno 2013 TRA NOSTALGIA E PROMESSA

Solennità del Corpus Domini (Lc 9,11-17)

Oggi “La Via” la scriviamo in due. E’ inconsueto che sia così, ma oggi è un giorno speciale. Lo cogliete anzitutto già dall’intestazione: da questa domenica il foglio settimanale sarà presente anche nella chiesa di Saliceto. Ma c’è un altro motivo a rendere unico questo momento: mercoledì è arrivato il decreto del nostro Vescovo con cui viene istituita la Parrocchia S.Teresa Benedetta della Croce, frutto della unificazione delle nostre attuali quattro comunità. Ci siamo dilungati in lungo e in largo a spiegare come continueranno a funzionare le quattro chiese delle frazioni; lo abbiamo anche scritto sul cartoncino che abbiamo lasciato nelle case durante le benedizioni. Non ci dilungheremo quindi di nuovo a parlarne. Ciascuno infatti potrà leggere il testo integrale del decreto vescovile esposto nelle bacheche delle nostre chiese. Vogliamo invece metterci in ascolto della Parola del Signore in questa solennità del Corpus Domini. Esso ci racconta la moltiplicazione dei pani, un miracolo compiuto da Gesù “mentre il giorno stava per declinare”. È strano, ma tutti i segni eucaristici nel Vangelo accadono di sera: dall’incontro con i due di Emmaus all’ultima cena. L’eucarestia sembra quasi un sacramento serale. Questo perché alla sera si ha la sensazione del finire del tempo e della fragilità dell’esistenza. La sera ci dice che non c’è nulla nella vita che possa durare per sempre. Nel momento in cui il giorno tramonta viene quasi la nostalgia, a tratti il dolore per un ritorno impossibile di ciò che è stato. A volte può capitare anche il dubbio che il nostro tempo sia trascorso invano. Ad una situazione così non si può resistere se non accorgendoci che ad ogni declino del giorno si rende ancora una volta presente il Signore. Proprio quando le cose finiscono Gesù offre una promessa di eternità, di durata, di presenza rassicurante. Questa è la forza dell’Eucarestia! Mi piace esprimerla con le parole di una nota canzone: “quando non è finita hai ancora tanta vita, e l’anima la grida e tu lo sai che c’è”.(R. Zero) È una bella canzone: parla della vecchiaia che in fondo è la sera della vita. Forse sarà per questo che gli anziani l’Eucarestia la capiscono e la amano di più …

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 2 giugno 2013 TRA NOSTALGIA E PROMESSA

Solennità del Corpus Domini (Lc 9,11-17)

Le nostre comunità stanno concludendo una fase della loro storia e, nel segno del Cristo Eucaristico, ne stanno aprendo un’altra. Solo da questa forza si può essere sorretti perché la nostalgia non ci sorprenda sempre da capo. Nelle mani di S. Teresa Benedetta della Croce affidiamo il nostro cammino. don Umberto e don Stefano

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 9 giugno 2013 LA COMPASSIONE DI GESU’

(Lc 7,11-17)

Il racconto lucano della risurrezione del figlio della vedova è disseminato di particolari che hanno un profondo significato, non semplicemente lo scopo di abbellire e commuovere. Il ragazzo morto è figlio unico di una donna vedova. All'entrata della città Gesù si imbatte - si direbbe quasi per caso - nel suo funerale. Gesù è accompagnato dai suoi discepoli e il feretro è seguito da molta gente. Così il miracolo è compiuto davanti a molti testimoni. Gesù prova compassione per la madre, e le dice di non piangere. L'iniziativa è interamente sua, completamente gratuita. La madre non gli ha chiesto nulla, semplicemente mostra piangendo tutto il suo dolore. Il sentimento che spinge Gesù è dunque la compassione, espressa con un verbo che fa riferimento all'amore di una madre. Si tratta di un sentimento profondo e partecipe, umanissimo. Gesù si lascia coinvolgere dal dolore della donna, prescindendo da ogni valutazione di merito. Chi è quella donna? Che cosa ha fatto per meritarsi un così grande miracolo? Nulla è detto e nulla si deve aggiungere. Gesù ha intuito il dolore della vedova per la perdita dell'unico figlio, e questo gli è bastato per intervenire. Dunque il primo tema sottolineato è la gratuità dell’intervento di Gesù. Ma c’è un secondo tratto che qualifica il miracolo in modo particolare. Gesù lo compie con una parola che suona come un ordine: «Ragazzo, dico a te, alzati!». Nessuna invocazione a Dio, nessuna preghiera, nessun gesto, ma soltanto una parola in prima persona («dico a te»). E forse è proprio questo l’interesse principale di Luca: affermare che la parola di Gesù è la parola che salva. Si possono però fare anche altre annotazioni, riferendosi alla prima lettura che parla di Elia e di una donna vedova cui è morto il figlio (1Re 17,17-24). Le analogie fra i due episodi sono evidenti. Ma ci sono anche differenze. Elia risvegliò da morte il figlio di una vedova invocando il Signore. A Gesù, invece, è bastato un comando. La vedova, con la sua coraggiosa e generosa ospitalità, si è meritata il gesto del profeta Elia. Nel miracolo di Gesù nulla di tutto questo. L’intervento di Gesù è del tutto gratuito: nasce da un sentimento del Signore, non da un merito dell’uomo. E anche nell’espressione esultante degli astanti, «Dio ha visitato il suo popolo», ricorre un termine, visitare, che è un verbo che deriva da «vedere», ma un vedere che osserva, si fa vigile e si preoccupa, come il vedere del samaritano che, sulla strada tra Gerusalemme e Gerico, ebbe compassione dell’uomo trovato mezzo morto. L’avvicinarsi gratuito e salvifico di Gesù è la figura visibile dell’avvicinarsi invisibile di Dio. Bruno Maggioni Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 16 giugno OLTRE I FORMALISMI

(Lc 7, 36-50)

L’episodio della donna peccatrice che unge i piedi di Gesù ci colpisce profondamente. È uno tra i più noti del Vangelo e ogni volta che lo sentiamo non ci lascia mai indifferenti. In fondo rappresenta lo scontro, sempre in atto, tra le logiche formali di prudenza, decoro, convenienza e quelle emotive e coinvolgenti legate ai sentimenti. La donna in questione ci fa simpatia ma non so in quanti di noi avremmo apprezzato il suo gesto così inusuale e all’apparenza di cattivo gusto. Fino a che punto infatti è lecito manifestare i propri sentimenti? Fin dove arriva il riserbo e l’intimità di ciò che proviamo? Questa domanda ce la poniamo e, a volte, a forza di porcela ci perdiamo il meglio che la vita possa offrirci.Nella grande sala in cui Gesù sedeva a cena tanti benpensanti furono certo sconvolti dall’episodio, ma il Signore no. Ed è proprio questa sua capacità di accettare quel gesto a mettere in moto una serie di reazioni rivelatrici della verità di ciò che stava accadendo. Colui che aveva invitato Gesù infatti non aveva avuto i giusti riguardi nei confronti dell’ospite: lo aveva accolto a casa sua solo per potersi vantare di averlo fatto. Ma occorreva qualcosa, un fatto, un evento che svelasse ciò che lui si portava nel cuore e che non esprimeva mai a parole. Tutto ciò che Simone pensa infatti non viene mai esternato: il suo è un silenzio pieno di giudizi taglienti, saturo di un senso di superiorità che non deve mai metterlo in una situazione imbarazzante. Perché non reagisce? Perché non dice a Gesù quel che pensa di lui? Perché non allontana energicamente quella donna? Il mutismo a volte è un muro che impedisce di capire chi siamo. Così Simone appare come un uomo chiuso in se stesso, scontento per quanto avviene intorno a lui e tuttavia incapace di mettersi in questione e di accusarsi. Un po’ ci rappresenta, in tutte quelle volte in cui non comprendiamo le situazioni valutandole secondo criteri esteriori e senza sforzarci di penetrarle; in tutte le volte che facciamo prevalere la cautela come alibi per frenare gli sforzi nostri e altrui; in tutte le volte che, per il poco coraggio di amare ci precludiamo anche la gioia del perdono. Preghiamo un’altra donna, S. Teresa Benedetta della Croce che ci ottenga il dono di un giusto atteggiamento senza rigidi formalismi e senza facili accondiscendenze. Don Umberto e don Stefano Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 23 giugno 2013 COSA CHIEDERE A DIO

(Lc 9, 18-24)

La prima riga del Vangelo di oggi ci suggerisce pensieri importanti. Gesù si era ritirato in un luogo solitario a pregare. Perché Gesù pregava? Che bisogno aveva di pregare? Che cosa chiedeva nella preghiera? Il Vangelo non soddisfa la nostra legittima curiosità. C’è però la possibilità di intuire qualcosa attraverso quello che vien detto immediatamente dopo nel racconto di Luca. Gesù interroga infatti i suoi discepoli: “chi sono io per la gente? Chi sono io per voi?”Ci sembra quindi verosimile e non azzardato pensare che queste domande siano il ripercuotersi di una questione fondamentale che Gesù aveva sollevato prima, all’interno della sua preghiera e del suo colloquio con Dio Padre: “Chi sono io? Che senso ha quello che vivo?”.Noi di solito pensiamo che la preghiera di domanda abbia lo scopo di ottenere grazie concrete e quindi chiediamo la soluzione di casi difficili o la salute del corpo. Ma per Gesù la grazia da chiedere era un’altra: la luce sull’esistenza e sul suo significato. Per questo la nostra preghiera dovrebbe sempre più caratterizzarsi come un dialogo in cui capire perché siamo al mondo e che cosa siamo chiamati a fare. Solo all’interno di questo colloquio spirituale in cui si ricerca il senso di ciò che ci accade si può comprendere anche il riferimento esplicito alla croce. Nessuno che fosse abituato a pregare chiedendo a Dio che tutto vada bene e che non ci siano sofferenze può capire e accogliere le parole di Gesù e il suo messaggio sulla croce. Nemmeno i discepoli infatti lo hanno capito: anche loro si erano abituati a vedere Gesù fare guarigioni e sistemare ogni cosa. L’annuncio della passione li disorienta, li spiazza: se Gesù soffrirà, anche loro soffriranno e questo li spaventa. L’attaccamento dei discepoli ad una certa immagine di Gesù appare come espressione di un altro attaccamento, quello alla loro stessa vita: nessuno è disposto a perderla a cuor leggero. Per questo Gesù li fa uscire allo scoperto: per curare la loro fede , per farsi carico di questa loro vulnerabilità e indicare la croce come passaggio per la vita eterna. Non è un discorso destinato alla gente, ma ai suoi che lo seguono da vicino.Ci piace pensarlo come un messaggio anche per la Chiesa, troppo spesso preoccupata di ciò che pensa l’opinione pubblica e meno attenta a ciò che ciascun cristiano dice del Maestro. Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

Don Umberto e don Stefano La Via raccolta 2013


Domenica 30 giugno 2013 LE ESIGENZE DEL REGNO

(Lc 9, 51-62)

Nel Vangelo di oggi tre uomini incontrano Gesù con il desiderio di seguirlo. A tutti e tre Gesù risponde con una franchezza e una perentorietà che non ammette repliche. Le parole di Gesù sono quindi chiamate dagli studiosi: “i tre detti legali sulla sequela”. Gesù invita ad una decisione che deve essere una decisione ferma e risoluta. In questo senso si definisce la croce: essa non è solo emblema delle cose patite ma è la figura simbolica della decisione stessa. La croce è la forma che prende la propria vita mediante una risoluzione ardua, scomoda, che ci procura contrarietà. Non possiamo ridurre la croce alle sofferenze fisiche: ammalarsi e morire sono una cosa naturale; decidersi per qualcosa o per qualcuno è un atto della libertà e quindi ha qualcosa di soprannaturale. Certamente questa forma “violenta”della fede ci appare un po’ ostica, dura da accettare. Nella religione noi ci aspettiamo solo dolcezza, mitezza, riposo e pace. Ci pare anche che una religione sia apprezzabile se è frutto di spontaneità e sincerità, se esprime la inclinazione del cuore, se viene praticata quando uno”se la sente”. Che la verità della religione possa invece essere l’ascesi, il piegare la propria volontà e il proprio sentire verso Dio questo non ci sfiora nemmeno, anzi ci sembra dannoso e pericoloso. Così pure in noi preti viene apprezzata la spontaneità e la simpatia un po’ accomodante: più indigesti e poco frequentabili diventiamo allorchè ci facciamo portavoce delle alte esigenze del Regno di Dio. Possiamo metterla come ci pare ma la fede nel Vangelo non è un messaggio rassicurante per la nostra coscienza incerta. Quando ci sentiamo dire che seguire Gesù (cosa che riguarda ogni cristiano) viene prima dei legami familiari, dei gesti di pietà, delle opere che scegliamo noi (seppure buone), allora ci vengono un po’ i brividi. Ma non è questa la strada verso la libertà? La libertà non certo intesa come possibilità di fare della nostra vita quel che il capriccio ci suggerisce (“me lo sento …”) ma una libertà che consiste nello scegliere quel che ciascuno deve essere. Anche a noi sia concesso di conoscere la verità, e la verità ci farà liberi. don Umberto e don Stefano Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 14 luglio 2013 Festa della Beata Vergine del Carmelo Santa Teresa Benedetta Della Croce: santità straordinaria per la (nostra) vita ordinaria. E’ stata una donna ebrea fermamente atea poi convertita al cattolicesimo, una filosofa divenuta poi religiosa, “una figlia d’Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea”. E’ Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce, la santa a cui è stata intitolata la nostra nuova parrocchia che abbraccia tutte e quattro le parrocchie dell’unità pastorale; la santa a cui sarà dedicata la nostra nuova chiesa che sorgerà a Roveleto. Edith Stein,nacque a Breslavia 12 ottobre 1891, appassionata ricercatrice della verità, attraverso approfonditi studi di filosofia, morì martire della fede ad Auschwitz nei forni crematori il 9 agosto 1942, durante la persecuzione nazista, offrendo il suo olocausto per il popolo d’Israele. “Senza scegliere, presi il primo libro che mi capitò tra mano. Era un grosso volume che portava il titolo: Vita di Santa Teresa d’Avila, scritta da lei stessa. Ne cominciai la lettura e ne rimasi talmente presa che non la interruppi finché non fui arrivata alla fine del libro. Quando lo chiusi dovetticonfessare a me stessa: Questa è la verità!”. Così Edith incontra Cristo, una chiamata alla fede che coincide fin da subito con la vocazione al Carmelo. Un incontro che pare impossibile, dall’ateismo al totale affidamento a Cristo: “Nel suo cammino da ebrea-atea a cattolica ci vedo la meraviglia dell’opera del Signore; un incontro con Gesù verso la pienezza della vita che l’ha portata a donare la sua vita” -ha sottolineato suor Maria Paola, madre superiora del monastero delle Carmelitane Scalze di Piacenza -. Edith passa i suoi primi dieci anni dalla conversione dedicandosi all’insegnamento, fino al 1933 anno in cui le viene concesso di entrare nel monastero carmelitano di Colonia, dove prende il nome di Teresa Benedetta della Croce. Dove in Santa Teresa Benedetta della Croce emerge la spiritualità carmelitana? La ricerca dell’essenzialità è senza dubbio un aspetto tanto caro a Teresa d’Avila quanto a Teresa Benedetta della Croce, come ci ha aiutato a comprendere Suor Cecilia, giovane carmelitana. “Non bisogna partire dalla propria idea di realtà ma occorre porsi in ascolto della realtà.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 14 luglio 2013 Festa della Beata Vergine del Carmelo Un ascolto e una ricerca di semplicità attraverso l’eliminazione del superfluo che portano alla profondità della persona”. Persona e mai individuo, poiché per Suor Teresa Benedetta della Croce parlare di individuo separato è un’astrazione, è la relazione che ci qualifica come persone. “Noi pensiamo di dover costruire prima noi stessi, di divenire forti e poi di andare ad incontrare gli altri, ma non è così, è nell’incontro con l’altro che definiamo la nostra identità” – ha puntualizzato suor Cecilia.“Maria ci ha generati secondo la vita della grazia avendo data tutta se stessa, corpo e anima, per essere Madre di Dio. Da qui nasce un’unione strettissima tra lei e noi: ella ci ama, ci conosce ed è interamente disponibile per renderci quali dobbiamo essere” – così santa Teresa Benedetta della Croce parlava di Maria, suo modello, lampada di luce lungo la strada piena d’ombre che conduce al Cielo-. Ogni carmelitana, secondo Teresa d’Avila, deve divenire “immagine vivente di Maria”, cosi è stato anche per suor Teresa Benedetta della Croce, carmelitana scalza: Maria modello di consacrazione a Dio nonché di apostolato, l’apostolato dell’amore divino, nutrito di preghiera, di silenzio e d’immolazione. E oggi che festeggiamo la B.V. del Carmelo, tutti uniti in unica parrocchia dedicata ad una grande Carmelitana, chiediamo a Maria protezione, consolazione e che rischiari il nostro cammino verso il Cielo.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 8 settembre 2013 RADICALITA’ E PRUDENZA

(Lc 14, 25-33)

Ritornare a scrivere, settimanalmente, queste poche righe di commento al Vangelo è una sensazione salutare. È una scelta che mi costringe, in senso buono, a stare immerso nella Parola di Dio lasciandomi provocare da essa e tutto ciò è tonificante per l’anima. Quello di oggi sembra un Vangelo fatto apposta per gli inizi. Con immagini concrete Gesù invita a considerare attentamente le proprie risorse prima di accingersi ad iniziare una qualsiasi opera o attività. Noi ci troviamo al principio di un nuovo anno pastorale. Cosa dobbiamo valutare con attenzione? A quali ponderati calcoli dobbiamo applicarci? Prima di questo invito Gesù aveva usato parole durissime: “se uno ama il padre e la madre più di me non è degno di me”. Una frase che sembra intimorirci, quasi sconcertarci; ma è anche una frase che suggerisce la prospettiva in cui porci all’inizio dell’anno. Ciò che dobbiamo valutare ora non è tanto se abbiamo le risorse necessarie per i nostri progetti, se potremo concretizzare i nostri sogni, se riusciremo nelle nostre iniziative, ma se abbiamo la volontà di seguire più intensamente il Signore. All’inizio dell’anno pastorale invito ciascuno a porsi con serietà questo interrogativo: “io voglio e posso conoscere più intimamente e servire più fedelmente Cristo?” Questa è una di quelle domande di fondo, che vanno alla radice delle cose e dalla cui positiva risposta dipendono poi le altre scelte e la fermezza interiore con cui si elaborano progetti, si lanciano iniziative, si affrontano le spese. È importante infatti non fidarsi troppo degli entusiasmi iniziali e passeggeri: proprio per questo Gesù usò parole così forti mentre “tanta gente andava con Lui”. Gesù sembra sempre scoraggiare quelli che lo seguono con entusiasmo, quasi sedotti dalle sue parole. Gesù non vuole sedurre, non vuole un consenso suggerito dall’euforia, ma il consenso che passa per la decisione meditata e consapevole. Senza una deliberata convinzione interiore, infatti, non c’è cristianesimo. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 15 settembre 2013 FRATELLI

(Lc 15, 1-32)

Ai più avveduti questo titolo farà venire in mente la famosa poesia di Ungaretti, (scritta al fronte durante la guerra del ’15-’18) con quella parola “fratelli” isolata da tutto il resto per evidenziarne la forza e il significato. Ed è proprio così: l’ho copiato dal grande poeta. Ad altri invece verrà in mente che una riflessione sulla fraternità partendo dalla parabola del figliol prodigo (questo è il Vangelo di oggi) l’abbiamo già fatta in Quaresima. Non intendo certo ripetermi, ma non posso esimermi dal pensare che questa nota parabola non parli solo di Dio Padre, ma anche del rapporto tra i due figli. Visto poi il tema del nostro anno pastorale “aspettatevi gli uni gli altri” credo che una riflessione su questo tema sia opportuna. La liturgia ci dà la possibilità di sviluppare un confronto. Da una parte c’è Mosè (1° lettura): anch’egli è un fratello maggiore per il suo popolo, un fratello che difende davanti a Dio Padre gli altri fratelli che hanno peccato. Un fratello che si mette dalla loro parte, che implora Dio di perdonarli, che si apre alla misericordia. Dall’altra parte c’è il primogenito della parabola. È l’esatto opposto di Mosè, non difende il fratello minore, anzi lo accusa, si arrabbia con il padre e ne pretende la punizione, non lascia spazio alla misericordia ma si abbandona al rancore. Ma dove nasce la profonda differenza tra queste due figure di fratelli maggiori? Mosè è benevolo perché è stato lui stesso oggetto della benevolenza e non l’ha dimenticato. La salvezza è un’esperienza che egli per primo ha vissuto e questa personale convinzione lo conduce ad uno sguardo spirituale, buono e positivo sugli errori degli altri. L’uomo della parabola invece non ha fatto esperienza dell’amore: egli è un giusto e la giustizia è il suo criterio di valutazione delle cose. Quella giustizia priva di perdono che però non può sanare le situazioni, ma solo inasprirle. Si sente in diritto di giudicare e questo diritto lo acceca, rendendolo incapace di accogliere quei doni che il padre, da sempre , ha messo a sua disposizione. È come uno che pensa di aver subito un torto e cerca in ogni modo una rivalsa. Alla mitezza e magnanimità di Mosè fa da contrappeso l’animo polemico e amareggiato del fratello maggiore.Si tratta di due modi di vedere la vita. Per quanto concerne la parabola si tratta di una parabola che parla di conversione: ma non del peccatore alla giustizia, bensì del giusto alla misericordia. Il che, a volte, è molto più difficile. Don Umberto e Don Stefano Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 22 settembre 2013 UN ELOGIO SORPRENDENTE

(Lc 16, 1-13)

La lode che il padrone fa al suo amministratore disonesto ci coglie proprio di sorpresa. Non ci aspetteremmo di certo che Gesù portasse un uomo così ad esempio per tutti. Il mondo non è già luogo pieno di furbetti che imbrogliano il prossimo pur di tutelare se stessi? A noi cristiani non hanno forse sempre insegnato il contrario, cioè ad essere altruisti ed onesti? Allora è vero il proverbio che dice “il mondo è dei furbi”? La parabola di oggi necessita, anzi urge, di una spiegazione. Gesù non sta lodando la disonestà di quell’amministratore, ma una serie di qualità che lo hanno spinto ad agire. Anzitutto la veloce presa di coscienza della gravità della situazione e dei rischi che correva; poi l’intelligenza per capire come uscirne; e infine la prontezza nell’agire con rapida determinazione. Quel che la parabola lascia intendere è: perché tutte queste virtuose caratteristiche non vengono messe in atto nel rapporto con Dio? Perché accade che nei confronti delle cose di Dio non agiamo con altrettanta scaltrezza? Succede infatti, molto spesso, l’esatto contrario: anzitutto tardiamo a renderci conto della gravità della nostra situazione spirituale, quasi che non ci riguardasse o fosse solo una cosa passeggera. Quando poi ce ne accorgiamo, viviamo il discernimento sul da farsi con grande apatia, a volte complicandolo con ragionamenti astrusi e false ragioni. Se poi arriviamo ad una scelta pratica con cui uscire dalla situazione critica, la mettiamo in atto con molta lentezza, magari continuando a rimandarla o stancandoci rapidamente di quel che stiamo facendo. In questa luce l’elogio di Gesù ci risulta molto più comprensibile e la parabola molto chiara: veri furbi non sono quelli che fregano il prossimo, ma quelli che fregano il nemico, Satana, che vuole la nostra rovina. Oggi poi ci viene suggerito anche un ambito dal quale cominciare ad essere furbi secondo Dio: quello del denaro. Furbizia è non lasciarsene possedere, non diventarne schiavi, ma usarlo per fare il bene. Furbizia è non credere fino in fondo alle sue false illusioni: la ricchezza infatti è sempre disonesta perché non può dare la pienezza di vita che promette. Signore donaci la scaltrezza! Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

Don Umberto e Don Stefano La Via raccolta 2013


Domenica 29 settembre 2013

speciale apertura anno Pastorale

UNA FEDE VISSUTA NELLA CHIESA Papa Francesco, nella lettera che ha recentemente scritto in risposta agli editoriali di E.Scalfari, sulla sua fede di battezzato e di Pontefice dice: <<La fede, per me, è nata dall’incontro con Gesù Cristo. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l’accesso all’intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso I Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa mi creda non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità. Ora è a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell’ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme>>. Il papa afferma con chiarezza che la possibilità di dialogare con chi non crede, come pure ogni altra forma di testimonianza, nasce dalla fede vissuta nella Chiesa. Già dall’enciclica Lumen Fidei emergeva l’idea che i credenti hanno per Padre Dio e come Madre la Chiesa. Anche la Lettera Pastorale del nostro vescovo, concludendo il percorso dell’anno della fede imposta il lavoro pastorale partendo dalla dimensione ecclesiale della fede. Il cammino che la Chiesa diocesana ci chiede di fare per questo anno consiste nel prendere consapevolezza che non ci può essere testimonianza cristiana senza fede vissuta nella Chiesa: i battezzati che scelgono di rimanere ai margini della vita della comunità parrocchiale o addirittura al di fuori, come spettatori o ospiti occasionali, non crescono nella fede, restano cristiani nominali, destinati a esser rasati dalla corrente della mentalità del mondo, una corrente sempre più forte e insidiosa. Come ricorda il papa, solo dalla Preghiera e dai Sacramenti della Chiesa nasce la comprensione delle Sacre Scritture che diventa intelligente stile di vita e azione nelle situazioni e relazioni quotidiane, ossia catechesi, predicazione, vita fraterna con tutti, servizio ai deboli e sofferenti.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 29 settembre 2013

speciale apertura anno Pastorale

UNA FEDE VISSUTA NELLA CHIESA Siamo dunque chiamati a essere tutti protagonisti attivi nella vita di fede della nostra parrocchia, quindi non solo “utenti” di servizi messi a disposizione dai preti o da altri, ma a sentirci corresponsabili nel generare tutto ciò che fa la vita della comunità ecclesiale, nella liturgia, catechesi, carità e nelle realtà ad esse connesse. Solo così ci potrà essere sempre più acqua viva che, sebbene portata nei vasi fragili delle nostre persone deboli e peccabili, risana la comunità umana trasformando positivamente le realtà del mondo. Come ci ricorda il tema di questo anno pastorale, siamo chiamati ad aspettarci gli uni gli altri, ad avere cura gli uni della vita di fede degli altri con dedizione fraterna Santa Teresa Benedetta della Croce, nostra Patrona che festeggiamo per la prima volta, maestra nella preghiera e nella vita comunitaria ci procuri le grazie perché sempre più battezzati diventino membri attivi e corresponsabili della vita della nostra parrocchia. don Umberto e don Stefano

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 6 ottobre 2013 AUMENTA LA NOSTRA FEDE!

(Lc 17, 5-10)

Quando ti metti a pensare alla fede hai sempre l’impressione di non averla. E forse, a volte, è proprio così: non ce l’hai, o perlomeno, non abbastanza. Ma cosa significa “abbastanza”? Quand’è che la fede è tanta o poca? In fondo, la fede non ha una misura e oggi Gesù ce lo fa capire con l’immagine del granello di senape paragonato al gelso che viene trapiantato nel mare. La fede non può essere misurata come si può misurare un patrimonio. Se la cerchi nelle tue tasche, o nelle tue buone abitudini religiose, o addirittura nel cuore, hai la sensazione di non trovarla mai. Questo pensiero a volte ti scoraggia e ti fa sembrare l’avventura cristiana un’esperienza troppo alta per te. Accade ciò perché la fede deve essere sempre da capo decisa e la percepisci mentre sei in mezzo alle situazioni e non al di fuori di esse. Credo che accadesse così anche agli apostoli e che anche loro sentissero di avere poca fede. Da qui l’invocazione centrale del Vangelo di oggi “aumenta la nostra fede!” C’erano momenti nella vita dei dodici, nei quali forte era la sensazione di essere distanti dal maestro, di vivere dinamiche che fossero contrarie alla fede: i loro giudizi, meglio pregiudizi; le loro scelte e soprattutto i loro litigi. Niente è contrario alla fede quanto un litigio: perché alla radice di una lite c’è il senso di possesso, il sentirsi padroni di qualcosa, o di qualcuno, o di un’idea. Mentre la figura che incarna la fede è quella del servo, colui che non è padrone di niente. È questa figura che oggi Gesù ci indica: il servo. Inutile, per giunta. Servi che non cercano il proprio utile. Al di fuori di questo stile e di questo sguardo che nasce dalla fede restiamo noi esseri umani, da soli, con l’idea mortifera che ci facciamo di noi stessi come di esseri adulti, ragionevoli e padroni del proprio destino e del creato. Ma inesorabilmente condannati ai conflitti. Forse è un bene sentirci lontani dalla fede: almeno questo ci costringe ad invocarla, ad implorarla da Dio senza sentircene possessori, ma umili servi cui viene concesso non un diritto ma un dono.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

Don Umberto e Don Stefano

La Via raccolta 2013


Domenica 13 ottobre 2013 LA FEDE CHE SALVA

(Lc 17, 11-19)

Contrariamente alla mentalità diffusa del suo tempo, mentalità che aveva qualche radice nella stessa legislazione del Levitico, Gesù non considera il lebbroso come un maledetto, come un impuro: il lebbroso è amato da Dio ed è raggiunto dalla sua salvezza. È già un primo insegnamento. Ma subito un secondo: i lebbrosi sono inviati dai sacerdoti prima ancora di essere guariti: «Appena li vide Gesù disse loro: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono purificati». Con questo l'evangelista vuole indubbiamente sottolineare la fede e l'abbandono fiducioso di quei lebbrosi: obbediscono prima di vedere, prima di constatare. La guarigione si direbbe conseguenza di questa totale fiducia. È un insegnamento importante: l'azione di Dio richiede sempre un ambiente di fiducioso abbandono.Neppure questo, però, è l'insegnamento che a Luca preme maggiormente. Il movimento del racconto mette fortemente in luce un altro particolare: dieci furono guariti, ma uno solo tornò a ringraziare, ed era uno straniero, un samaritano. Questo è il punto che Luca vuole porre in evidenza: un samaritano fa sfigurare i giudei.Non è l'unica volta che Luca sottolinea tale motivo: una prima volta Gesù si meravigliò della fede di un pagano, una fede che invano si sarebbe cercata in Israele (Lc 7,9); una seconda volta Gesù presentò un samaritano come un modello di carità, che sa preoccuparsi di un ferito sconosciuto (Lc 10,33). Nel nostro racconto il samaritano guarito è presentato come colui che ha capito la realtà profonda della salvezza: una salvezza gratuita, di fronte alla quale deve nascere la gratitudine. Inoltre il samaritano non ha capito solo la gratuità della salvezza, ma pure che in Gesù gli si è fatto incontro il regno di Dio. Ha capito qualcosa del mistero di Gesù. A differenza dei profeti, semplici strumenti nelle mani di Dio, Gesù può e deve essere ringraziato. Qui sta la differenza fra l’episodio della guarigione di Naamàn Siro (prima lettura: 2Re 5,14-17) e la guarigione del samaritano: Naamàn non deve ringraziare il profeta, ma riconoscere l’unico Dio. Gesù invece accetta il ringraziamento: egli è più di un profeta.A questo punto siamo in grado di cogliere il significato conclusivo del racconto: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». Il samaritano già prima era stato raggiunto dalla potenza di Dio e guarito insieme agli altri nove, ma solo ora è dichiarato «risorto» (alzati: anastàs) e «salvato». La guarigione dalla lebbra non era la salvezza, bensì il segno che avrebbe dovuto aprire il cuore alla fede, a capire, cioè, la gratuità dell’azione di Dio, fattasi a noi presente in Gesù: questa comprensione (e non semplicemente la fiduciosa speranza nel miracolo della propria guarigione) è la fede (pistis) che salva. Bruno Maggioni UN DIO CHE FA GIUSTIZIA Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 20 ottobre 2013 UN DIO CHE FA GIUSTIZIA

(Lc 18,1-8)

Se si legge la parabola con attenzione ci si accorge che essa insiste non tanto sulla perseveranza della preghiera quanto sul comportamento del giudice: non come pregare, ma la prontezza di Dio nel far giustizia ai suoi eletti, questo è il centro della parabola. La figura principale non è la vedova, che con la sua preghiera ostinata induce il giudice a fare giustizia, ma è il giudice stesso. Il punto culminante della parabola è la certezza dell'esaudimento. Se un uomo cattivo come quel giudice («che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno») si lascia, alla fine, indurre a fare giustizia dalla preghiera di una povera vedova, quanto più Dio, Padre buono ed esatto contrario di quel giudice, esaudirà le implorazioni dei suoi fedeli. Tanto più che non si tratta di una preghiera qualsiasi, di una domanda meschina, ma di una domanda evangelica, importante: «Fammi giustizia». L'espressione «fare giustizia» ricorre quattro volte nel brano e può essere presa come parola chiave per la sua interpretazione. E difatti la sete di giustizia costituisce l'atmosfera dell'intera parabola. Nella Bibbia la vedova è il simbolo della persona indifesa, debole, povera, maltrattata. E così comprendiamo che qui la vedova rappresenta i poveri che domandano giustizia, i buoni che vengono oppressi e trattati come se fossero dalla parte del torto. La parabola intende rispondere al disagio dei buoni che, a volte, hanno l’impressione che Dio ritardi a fare giustizia. È un disagio che non si rifà a un momento preciso della storia, ma accompagna la storia di ogni tempo. Se è così, allora, l’orizzonte della parabola si allarga molto. Non è più soltanto il problema della preghiera e della sua efficacia, bensì il problema della giustizia di Dio che sembra, molte volte, messa in discussione. Nell’insistenza della povera vedova è racchiuso tutto il disagio dei buoni e degli onesti, che hanno l’impressione che Dio, anziché intervenire, lasci andare le cose come vanno. Se Dio è un padre amorevole, perché le disgrazie? Se è giusto, perché l’ingiustizia trionfa nel mondo? Ebbene - risponde la parabola - continuate a pregare con insistenza e con fiducia, l’intervento di Dio è certo. Non soltanto certo, ma pronto: «Vi dico che farà giustizia prontamente». Il vero problema però - conclude sorprendentemente Luca - non è che Dio faccia giustizia sulla terra, perché questo è certo. Il vero problema è un altro: quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora fede sulla terra? Bruno Maggioni Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 27 ottobre 2013 INCONTRARE SE STESSI PER INCONTRARE IL VERO DIO

(Lc 18, 9-14)

A prima vista i due personaggi della parabola odierna sono l’opposto l’uno dell’altro. In parte è proprio così. Ma c’è anche qualcosa che li rende simili e li accomuna. È la loro propensione a fare più di quel che gli è chiesto. Il fariseo, persona per bene, compie molto di più dei normali doveri religiosi perché digiuna due volte alla settimana anziché una come era la regola e paga la decima su tutto. Il pubblicano da parte sua è generalmente detestato perché esige più tasse di quelle legalmente imposte per intascare la differenza. Per entrambi questo sconfinare più in là del dovuto è fatto per egoismo ed interessi personali. Il pubblicano è interessato al suo vantaggio materiale, il fariseo al suo vantaggio morale e spirituale. In nessuno dei due prevale l’altruismo o l’amore, ma solo l’attenzione a se stessi. La differenza radicale sta nel fatto che il pubblicano riconosce tutto questo, il fariseo no. Il primo entra in contatto con la verità di sé, con il suo io più profondo; il secondo è come se restasse in superficie. E così il peccato del pubblicano è per lui l’opportunità di incontrare il vero Dio mentre i sacrosanti doveri morali del fariseo sono un modo per fuggire da Dio. Di fronte a questa pagina mi tornano alla mente le parole di un grande monaco, Isacco di Ninive: “chi conosce il proprio peccato è più grande di chi risuscita un morto. Chi piange un’ora su se stesso è più grande di chi ammaestra il mondo intero. Chi conosce la propria debolezza è più grande di chi vede un angelo. Chi segue Cristo in segreto e nel pentimento è più grande di chi gode molta fama nelle Chiese.” L’ho meditata molte volte e lo ritengo un invito ad andare in profondità, alla sorgente, alla radice di se stessi. Può succedere infatti di ingannarsi con i propri stessi pensieri. Nessuno di noi presume di essere giusto né tantomeno disprezza apertamente gli altri. Nessuno si metterebbe a dire: “io sono migliore!” Ma in cuor nostro presumiamo che sia giusto quasi tutto quello che facciamo e che sia sbagliato quello che fanno gli altri. Quasi inconsciamente pensiamo di sapere noi come vanno fatte le cose e crediamo che le faremmo meglio se fossimo al posto degli altri. E tutto questo pur continuando a dire “io non mi sento migliore di loro!”… Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 27 ottobre 2013 INCONTRARE SE STESSI PER INCONTRARE IL VERO DIO

(Lc 18, 9-14)

Ci portiamo dentro contraddizioni delle quali dobbiamo andare alla radice: riconoscere di essere affetti da questa smania di confronto e di cercare proprio attraverso il confronto con altri le ragioni per ritrovare la stima di noi stessi. Era cosÏ anche per il fariseo della parabola: aveva bisogno della stima di Dio, che Egli fosse il Grande Spettatore delle sue buone azioni. Ma piuttosto che spettatore plaudente, non è meglio che Dio sia Padre Misericordioso? Don Umberto e Don Stefano


Domenica 3 novembre 2013 L’ALBERO E LE SCHIENE

(Lc 19, 1-10)

Schiene. Una barriera di schiene; un muro fatto di schiene. Ecco cosa vedeva Zaccheo, quel giorno, davanti a sé. E un albero. Di fianco a lui un albero, ben piantato e invitante. Bastò poco per salirvi. Bastò il suo desiderio di vedere Gesù: non occorrevano altre credenziali. Così è l’albero: muto e accogliente. Non ti fa l’interrogatorio, non chiede perché sei lì, non indaga sui tuoi meriti e sulle tue colpe. Così dovrebbe essere la Chiesa: un luogo in cui incrociare lo sguardo di Cristo per pura grazia, senza esserne degni. Proprio il contrario delle schiene, del muro di schiene, cioè di pregiudizi, per penetrare i quali devi farti largo a suon di buone azioni e di buone reputazioni. Questa buona reputazione Zaccheo non l’aveva, ma ci vien da chiederci: perché non ha deciso di convertirsi già prima di quel giorno? Perché ha dovuto attendere che Gesù lo guardasse e venisse in casa sua? Non gli mancavano le buone disposizioni: è così repentina la sua reazione che si capisce bene che qualcosa già si muoveva nel suo cuore. Cosa gli mancava? Probabilmente gli mancava chi credesse nella sua conversione; chi accordasse credito a quella possibilità.È così anche per noi: le nostre buone intenzioni per diventare concrete e tradursi in comportamenti hanno bisogno di uno stimolo esterno. Non è detto che sia un rimprovero; più facile che sia la fiducia che qualcuno ripone in noi.Fino a quel giorno Zaccheo aveva intorno a sé solo schiene, cioè persone il cui giudizio era troppo rigido e duro, duro come un muro infrangibile. Ci volle uno sguardo diverso per mettere in moto la conversione e per fare accadere l’impossibile.Già era miracoloso che un esattore delle imposte si mettesse in avvistamento su un albero di sicomoro; ma che un ricco come lui desse la metà ai poveri era proprio il realizzarsi di quella cosa impossibile evocata da Gesù poco prima: “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco metta piede nel regno di Dio” (Lc 18, 25). L’avventura di Zaccheo è molto simile a quella di San Carlo Borromeo: anch’egli, ricco, si fece vicino ai poveri. Chissà, magari anche lui, in un’infinità di schiene anonime avrà trovato un albero dal quale guardare a Cristo. Don Umberto e Don Stefano Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 10 novembre 2013 RISORTI

(Lc 20, 27-38)

Ecco i Sadducei. Presi nel loro insieme, come gruppo, compaiono pochissime volte nel Vangelo. Erano la classe aristocratica e sacerdotale del tempo di Gesù: ricchi e potenti, addetti al tempio e alle offerte legate ad esso, tra loro veniva scelto il Sommo Sacerdote. Credevano solo ai primi cinque libri della Bibbia e soprattutto non credevano alla resurrezione. Forse la loro vita era già soddisfatta qui sulla terra e non sentivano il bisogno di nessun paradiso; o forse perché i primi libri della Bibbia non parlano esplicitamente di vita eterna; sta di fatto che consideravano ridicoli e ingenui coloro che credevano che dopo la morte ci fosse ancora qualcosa. Ogni epoca della storia ha il suo nutrito gruppo di persone che non credono che noi risorgeremo e non riescono, magari con sofferenza, a compiere questo salto nella fede. Sono coloro che vivono persuasi che tutto finisce qui, che dopo c’è solo il nulla, e che coloro che ci credono lo fanno solo per addolcire e alleviare il dolore della perdita dei propri cari e la paura della propria morte. Magari, chi più chi meno, qualche pensiero così ce l’abbiamo anche noi. Certamente l’avevano i Sadducei i quali fanno una domanda a Gesù per prenderlo in giro. Perché se si vive di troppa fantasia circa la resurrezione è facile diventare bersaglio dell’ironia altrui. È più saggio non entrare nei dettagli come appunto fa Gesù con la sua risposta. Egli dice che saremo come angeli e non prenderemo moglie né marito. La relazione coniugale era vissuta come un mezzo per procreare e così superare la morte nei propri discendenti. Nell’eternità non c’è più bisogno di superare la morte e quindi la relazione strumentale, finalizzata ad usare l’altro per uno scopo, seppur utile, non avrà più senso. Le relazioni in paradiso saranno gratuite, libere e vere. Gesù ha quindi detto che non riconosceremo le persone amate? No! Ha detto che non vorremo bene a coloro che abbiamo amato qui sulla terra?

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 10 novembre 2013 RISORTI

(Lc 20, 27-38)

Neppure questo. Anzi ha purificato le relazioni terrene da ogni incrostazione e ombra di egoismo. Ad un credente questo potrebbe anche bastare per parlare del paradiso … A volte con le nostre intricate domande, con le nostre barocche riflessioni vorremmo penetrare il mistero per renderlo limpido ed evidente. Quasi quasi vorremmo dominarlo e così controllare Dio. Ma non è Lui ad esistere perché noi lo pensiamo: siamo noi a poter pensare perché Lui c’è. Egli, Dio dei viventi, ci conceda quella fede per la quale anche la morte è vinta. Don Umberto e Don Stefano

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 17 novembre DISORIENTATI

(Lc 21, 5-19)

Proviamo ad immedesimarci nella comunità cristiana per la quale Luca scriveva il suo Vangelo. Siamo negli anni 70-80 dopo Cristo. Negli anni 64-67 Nerone aveva ordinato una tremenda persecuzione nei confronti dei cristiani. Nell’anno 70 poi il Tempio di Gerusalemme era stato distrutto dai Romani. Due eventi terribili, due fatti talmente inspiegabili da lasciare del tutto disorientati. Che ne sarebbe stato del futuro di quella comunità? Cosa sarebbe accaduto? Non è difficile riportare quelle sensazioni ai giorni nostri. Proviamo solo a pensare con quanta fiducia e speranza abbiamo iniziato il nuovo millennio e che clima positivo c’era durante il grande giubileo del 2000. Ora sono passati 13 anni e dove siamo? C’è stato l’11 settembre, il dilagare del terrorismo, lo tsunami e diversi terremoti, una grandissima crisi economica che sembra non finire. Dove stiamo andando? Il futuro è una vera incognita e anche noi, come la gente al tempo di Gesù, vorremmo sapere quando tutto ciò avrà una pausa, o come potremo difenderci dal peggio.Vorremmo poter controllare ciò che avverrà. L’incertezza ci disorienta; forse ci disorienta anche la velocità con cui corre la società tecnologica, la fine di un mondo di valori familiari che ci rassicurava, il lento e inesorabile sgretolarsi di istituzioni che parevano sicure, come il Tempio per gli Ebrei. Prima che le catastrofi di cui sopra accadessero, Gesù ne aveva già colto i segni premonitori e aveva tracciato uno stile. “Non lasciatevi travolgere dalle brutte notizie - aveva detto - e non angosciatevi per il futuro perché è nelle mani del Padre”. Ma non si è fermato qui; non si è accontentato di una pur importante parola di ottimismo e consolazione.Ha assicurato che sono proprio i tempi bui l’occasione propizia perché la luce risplenda ancor di più ed è la persecuzione la condizione ottimale per testimoniare il bene. Allergico com’eIL ra RE al quieto vivere,HA anche quella volta, Gesù fece di tutto per CHE NON MAI disorientare conREGNATO la sua lettura delle cose coloro che erano già disorientati per gli eventi negativi.Convertirsi è accogliere il modo di pensare di Gesù, rinno vando la nostra mente.Se lo facessimo, noi che stiamo toccando il fondo, potremmo magari “Per fortuna siamo rovinati” (Lc dire: 23, 35-43) Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

Don Umberto e Don Stefano La Via raccolta 2013


Domenica 24 novembre IL RE CHE NON HA MAI REGNATO

(Lc 23, 35-43)

Quando ci capita di vedere un film, al cinema o in TV, spesso non leggiamo i titoli di coda. Andiamo via prima o spegniamo il televisore, quasi istintivamente, come se il film avesse già detto tutto. Eppure i titoli di coda custodiscono segreti: dicendoti dove è stato girato il film, chi ha curato le musiche e i costumi, chi ne ha permesso la realizzazione, aggiungono particolari alla sua comprensione e la arricchiscono di nuova luce. La festa di Cristo Re sta all’anno liturgico come i titoli di coda stanno ad un film. È una festa che corona l’anno ma non in modo esteriore e coreografico, quanto piuttosto offrendo alle altre feste e a ciò che in quest’anno abbiamo vissuto una comprensione più profonda. In che senso? La regalità di Gesù è incomprensibile ad un pensiero mondano e ben lo attestano le parole di coloro che stanno sotto la croce. Come può essere re chi non sa badare a se stesso? Come può regnare chi viene umiliato in quel modo? Chi sceglierebbe come sua guida e suo leader uno sconfitto? A fronte di queste accuse Gesù tace e il suo silenzio bene illustra la grande distanza del Regno di Dio rispetto alle fantasie inseguite dagli uomini; illustra, però in generale, la distanza dei pensieri di Dio rispetto ai pensieri degli uomini. Non a caso, quando Gesù annunciò la vicinanza del Regno, subito aggiunse un imperativo: “convertitevi”. Per conoscere la vicinanza del Regno di Dio occorre la nostra conversione che non è solo un cambiamento di costumi, ma di mentalità. Noi che preghiamo con le parole del Padre Nostro ogni giorno diciamo: “venga il tuo Regno”. Ma di che regno stiamo parlando? Gesù è re senza regnare mai; Gesù è re non imponendosi ma servendo; non costringendo gli uomini ma lasciandoli liberi; non salvando la propria vita ma offrendola in dono. Le resistenze a questa logica non stanno solo nel mondo, ma anche nella Chiesa. Proprio questa è la luce che la festa di oggi diffonde su tutto l’anno trascorso: c’è bisogno di conversione, di cambio di mentalità per rileggere evangelicamente ciò che è stato.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 24 novembre IL RE CHE NON HA MAI REGNATO

(Lc 23, 35-43)

Allora non chiediamoci se abbiamo avuto o no problemi di salute; se sono diminuiti o aumentate le risorse economiche; se abbiamo raggiunto o meno i nostri obiettivi. C’è già il mondo che ci fa porre queste domande. Chiediamoci piuttosto come il Signore ci abbia avvicinato a lui, come ci abbia educato ad offrire la vita, come ci abbia guarito il cuore dall’incredulità e dall’egoismo. Siamo ai titoli di coda. Voltiamoci pure indietro. Ma facciamolo con lo stile di chi è chiamato a conversione. Don Umberto e Don Stefano

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 1 dicembre 2013 TEMPUS FUGIT

(Mt 24, 37-44)

La traduzione è semplice: “il tempo fugge”, anche se in italiano l’abbiamo reso meglio con “il tempo vola”. Così, a memoria, mi pare sia una citazione delle Georgiche del poeta Virgilio: “il tempo fugge irrimediabilmente”. E in effetti, si pronuncia la parola “tempo” e subito ci si sente in ansia. Si prova quasi una specie di risentimento. Ti guardi intorno, ti guardi dentro e ti accorgi che sei sempre di corsa per cercare di afferrarlo, questo benedetto tempo, di fermarlo e farlo ragionare perché non voli via così rapido. Ma vorresti anche impedire i suoi effetti più amari: il tempo logora i sentimenti, i monumenti, la bellezza delle persone e delle cose. Ha la capacità di smorzare, di spegnere gli amori e i buoni propositi, gli ideali e i sogni. E poi fa invecchiare: ti rendi conto di non poter fare più le cose di prima o ti accorgi che persone un tempo belle e attraenti vengono messe in un cantuccio. Quando servirebbe, il tempo non c’è mai; eppure abbiamo migliorato tantissimo la nostra qualità di vita e la velocità con cui facciamo le cose. Quindi, in teoria dovremmo avanzare un sacco di tempo per vivere, visto che facciamo tutto più in fretta. E invece no, per nulla. Il tempo è sempre lì, impassibile, a sentenziare in modo inappellabile che le nostre opere rimarranno sempre incompiute, i nostri lavori non finiti, i nostri progetti interrotti . Il tempo ingoia ogni cosa e custodisce anche gli errori a cui non puoi più porre rimedio: ti lascia con il rammarico o la vergogna, non sempre con dolci ricordi.Perché allora il credente non si rassegna? Perché in questo tempo, benedetto e maledetto, abita la grazia di Dio che lo trasfigura. Il tempo è nelle Sue mani e quella sensazione di fuggevolezza, di inesorabile ripetizione, di corsa verso il nulla non sono altro che preparazione all’incontro, memoria e speranza del Regno. Questo è il dono della liturgia e la grazia del tempo di Avvento: è il coraggio di fermarsi e aspettare Dio come mai ce lo immaginiamo. È il dono che rende possibile, a noi abitatori del tempo, di partecipare alla vita divina e alla comunione dei santi che ci hanno preceduto. Così possiamo vivere la nostra vita, lavorare, impegnarci, divertirci orientati all’oltre, all’altrove, al vero. E’ proprio bella questa stagione liturgica che sussurra che il nostro tempo non gira a vuoto per spegnersi come una candela, ma va verso la pienezza. Se la trovassi in internet, cliccherei su “mi piace”. don Umberto e don Stefano Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 8 dicembre

Immacolata Concezione

CHIAMATI DA SEMPRE, PER SEMPRE È difficile immaginare che la nostra vita possa essere parte di un disegno non nostro, essere pensati da sempre come strumento per realizzare qualcosa di grande, di talmente grande che sembra superarci. Lo sguardo che si posa su di noi, la voce che ci chiama sembra ben sapere cosa si realizzerà, ma questa chiamata, così sicura, ci porta a vacillare, a provare “turbamento” perché, in fondo, non è quello che stavamo pensando. Il turbamento ci pone dinnanzi a un bivio, a una scelta da compiere: un futuro del quale noi siamo i padroni, con la presunzione di poter bastare a noi stessi, o un affidamento che ci renderebbe servi liberi di quel Dio che da sempre ci ha amati e voluti suoi figli. È solo compiendo una scelta d’amore che, passo dopo passo, il progetto si svela, il turbamento si tramuta in gioia e il dubbio in certezza. L’affidamento è un “eccomi”, un semplice “si” da cui parte e in cui si realizza il disegno, in cui Dio trova una dimora per entrare nella nostra vita e trasformarla. Così ciò che ci sembrava impossibile è ora vivo, cresce in noi e ci consente di realizzare ciò che la mente, da sola, non riesce nemmeno a immaginare. Quel “si” pronunciato, ripetuto, a volte sofferto, ci consente oggi di accogliere, definitivamente, quell’invito alla sequela che ci è stato rivolto cinque anni fa, invito che in noi è cresciuto e maturato portando a compimento l’opera che Lui aveva iniziato. Saremo posti al servizio, della Chiesa e della comunità, mediante quell’annuncio nella carità, testimonianza di vita vissuta all’insegna del dono totale di sé. L’ordinazione diaconale non è un arrivo, una conquista, ma un punto di partenza che ci rende consapevoli dell’importanza di quello che siamo chiamati a fare: da sempre e per sempre. In noi oggi cresce e matura la consapevolezza che qualcosa verrà scritto in modo indelebile nei nostri cuori e quel progetto, che sembrava tanto grande da intimorirci, oggi non ci spaventa più. Abbiamo la certezza di non essere soli, sentiamo vivo in noi il sostegno del Cristo che si riflette nella comunità, in tutte quelle persone che siamo chiamati ad accogliere, servire, amare rinnovando continuamente quel “eccomi” che ci ha condotti fino a qui. Possa il Signore custodire e benedire, ogni giorno, questo cammino.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

Fabio Galeazzi e Paolo Capra

La Via raccolta 2013


Domenica 15 dicembre SULLA SOGLIA

(Mt 11, 2-11)

Quando penso al Battista mi vengono in mente Adamo ed Eva. Mi immagino il loro vestito, la tunica di pelle che Dio gli fabbricò prima di allontanarli dal paradiso. Furono loro a rompere quella comunione e le conseguenze non si poterono evitare; ma il vestito fu una premura di Dio, come quando un figlio si allontana di casa e i genitori lo attrezzano per affrontare il mondo. Anche Giovanni si vestiva con una tunica di pelle. Perché anche di lui Dio si preoccupava. Vestiti allo stesso modo, Giovanni e i progenitori in fondo stavano anche nello stesso luogo: sulla soglia, sulla sponda, su quel punto di confine in cui nutri il desiderio ma avverti anche l’incertezza. Adamo ed Eva sulla soglia del Paradiso, Giovanni il Battezzatore sulla sponda del Giordano. Sono il simbolo di tutti noi che siamo sempre idealmente sulla soglia. In attesa e insicuri attendiamo che qualcuno ci inviti, che la vita ci dia un segno, che succeda qualcosa che rompa la nostra incertezza, che sciolga i nostri dubbi e ci faccia fare un passo in più. non solo per ciò che dice ma anche per il luogo in cui sta. Quando c’è da superare un limite, quando c’è da varcare un confine , quando c’è da entrare in territori sconosciuti ti vien da chiederti “sto facendo i passi giusti?” Lo fece anche Giovanni e mandò a chiedere a Gesù “sei tu colui che deve venire?” Proprio lui, roccia del deserto, ultimo dei profeti non fu al riparo dal dubbio. Anche lui fu messo alla prova da un Messia totalmente diverso da come se lo era immaginato. E la domanda era legittima. Come legittima e doverosa è per noi quando la fede la prendiamo sul serio. Quando su Gesù abbiamo puntato seriamente, quando per la fede in Lui abbiamo investito tempo, affetti, energie, allora vien da chiederci “ho fatto la scelta giusta?” È la domanda di chi si sente sulla soglia. Ma non la varcheremo mai senza che Qualcuno ci inviti. Non dipende da noi entrare e trovare risposte ma dalla Grazia di Dio che illumina e ci spinge a guardare la vita concreta e i fatti reali con occhi nuovi.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 15 dicembre SULLA SOGLIA

(Mt 11, 2-11)

Così pure rispose Gesù “andate a riferire a Giovanni ciò che voi vedete”. Non rispose con una teoria, ma con le opere. E allora ripenso al Battista e alla purezza della sua fede così capace di cambiare prospettiva, di convertirsi, così pronto a seguire la voce che lo invitava a varcare la soglia. La porta è aperta anche per noi. Don Umberto e don Stefano

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


Domenica 22 dicembre 2013 S. NATALE 2013 Quest'anno ci stiamo facendo accompagnare da Santa Teresa Benedetta della Croce e desideriamo farlo anche in questo tempo natalizio, lasciandoci provocare dalle riflessioni che lei stessa fece ad una conferenza nel 1931 sul tema del Mistero del Natale. Il Natale è una chiamata a riconoscere una luce nel buio della notte, la luce di una stella che irrompe nel buio del male e dell'indifferenza che oscurano la nostra vita; il Natale ci invita alla sequela: "SEGUIMI"! è un invito rivolto a ciascuno di noi qui ed ora, SEGUIMI, è un appello talvolta doloroso, perchè richiede il coraggio di aprire il cuore solo a Lui. Quando contempliamo quel piccolo bambino, fragile, ci accorgiamo delle nostre fragilità e malvagità con le quali abbiamo reso questo mondo inospitale a causa del peccato, e con le quali abbiamo rifiutato "il bambino che porta la pace sulla terra". Questo dovrebbe essere il senso del contemplare Gesù bambino: non semplicemente provare tenerezza, ma andare oltre e vedere in questo evento il grande mistero dell'amore seminato nel buio e finalmente vittorioso, perchè "il Natale è l'inizio di un'avventura che non è altro che la grazia nelle nostre vite", e questa grazia trova il suo germe sorgivo nella morte e resurrezione di Cristo. La grazia si sviluppa in noi come un seme di vita che ci trasforma e ci rende partecipi della vita di Dio, è il grande mistero dell'amore seminato nel buio, un amore che spalanca l'oscurità e ci conduce al nostro SI, a mettere la nostra volontà nelle mani del Padre, che si rivela in quel bambino. Noi possiamo così metterci alla scuola del bambino-Dio per imparare a vivere da figli di Dio, con il battesimo lo siamo diventati, ma non basta: la sequela implica un impegno quotidiano, un esercizio continuo verso un amore caritatevole che ci conduca alla comunione e al servizio verso tutti, ma soprattutto verso i più deboli. Dio ci è vicino sempre non solo a Natale e ci educa gradualmente: ascoltando ogni giorno la sua Parola, pregando e vivendo i sacramenti. Che questa strada diventi la nostra scuola per essere semi di luce con le nostre opere in un mondo dove spesso l’oscurità ci avvolge.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


PREGHIERA: Dio dei nostri padri, riempici della Scienza della Croce, di cui hai mirabilmente arricchito Santa Teresa Benedetta nell’ora del martirio, e per sua intercessione concedi a noi di cercare sempre te, somma Verità , e di rimanere fedeli fino alla morte all’allenza eterna di amore, sigillata dal tuo Figlio con il suo sangue per la salvezza di tutti gli uomini. Per Cristo nostro Signore. Amen. S. Teresa Benedetta della Croce Patrona della nostra parrocchia

PREGA PER NOI

Roveleto di Cadeo Piacenza


Biografia: Bruno Maggioni è nato a Rovellasca, in provincia di Como, nel 1932. Dopo gli anni di studio nel seminario che all'epoca era situato presso la basilica di Sant'Abbondio a Como, è stato ordinato sacerdote della Diocesi di Como il 26 giugno 1955. Ha studiato teologia e scienze bibliche all'Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico di Roma negli anni tra il 1955 e il 1958. Dal 1958 ha Insegnato esegesi del Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica dell'Italia settentrionale e poi teologia biblica al Seminario Vescovile di Como ed attualmente Introduzione alla teologia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ma tiene costantemente incontri e lezioni in tutta Italia. Per il suo impegno in campo biblico e dell'insegnamento, il 4 luglio 1991 papa Giovanni Paolo II lo ha nominato prelato d'onore di Sua Santità. È noto e prolifico scrittore, avendo scritto diverse decine di testi, tutti incentrati sulla Bibbia e la Parola di Dio, nonché sull'esperienza di San Paolo di cui è profondo conoscitore. Risiede a Como nel quartiere periferico di Muggiò, presso la cui parrocchia collabora nella celebrazione dei sacramenti.


Bibliografia: Raccolta 2008 “ Lungo la Via del Vangelo “ Raccolta 2009 “ In Cammino con la Parola “ Raccolta 2010 “ Tracce di un cammino “ Raccolta 2011 “ La parola che apre alle parole “ Raccolta 2012 “ Ascoltate e vivrete “

tutte le raccolte sono consultabili su sito: www.unitapastoralecadeo.altervista.org

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

La Via raccolta 2013


grafica C. & C.


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