Poste italiane S.p.a. - Spedizionre in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 - DCB Sondrio
Pescare in Valtellina Rivista dell’Unione Pesca Sportiva della Provincia di Sondrio - Anno XXIX - N° 2 - 2013
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Editoriale
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uarant’anni fa non ce la si passava granchè bene. Non so dirvi se stessimo meglio o peggio rispetto ad ora, ma sicuramente il boom economico era ormai solo un ricordo. Del 2 dicembre del ’73 è la prima domenica a piedi. Una parafrasi ecologistica per dirci che il prezzo del petrolio era schizzato alle stelle e bisognava tagliare su tutto, luce, benzina, riscaldamento. Era cominciata l’austerity; ed eravamo anche nel pieno degli anni di piombo; la tensione a livello politico e sociale era altissima. Erano anche gli anni del diffondersi delle tv locali e delle radio libere. Silvio Berlusconi era ancora un palazzinaro di grande successo e dalle amicizie “importanti”, Beppe Grillo faceva ridere solo a teatro o in televisione e Matteo Renzi doveva ancora venire al mondo. Ma per il pescatori valtellinesi, quel 1973 vuol dire soprattutto una cosa: la nascita di UPS, e con questo numero vogliamo rendere omaggio a chi quell’esperienza l’ha vissuta in prima persona. Dalle pagine che leggerete un aspetto
si impone in modo evidente: per riuscire a far valere le proprie istanze è indispensabile diventare “massa critica”, avere peso, muovere numeri importanti. Gli autonomisti di Sondrio sono riusciti nel loro progetto perché – forti di un’aspirazione assolutamente legittima ed economicamente sostenibile – hanno bussato alle porte della politica e sono riusciti a farsi sentire, coinvolgendo la politica stessa e le istituzioni locali nella realizzazione di quanto avevano in testa. Ce l’avrebbero fatta se non si fossero coalizzati attorno a un progetto comune di ampio respiro? Immagino proprio di no. Emerge quindi con estrema chiarezza quanto conti il dialogo tra istituzioni e associazionismo di base. Un dialogo che deve essere mantenuto vivo e proficuo. E credo che iniziative pionieristiche a livello nazionale come l’abbattimento dissuasivo dei cormorani, il prolungamento della pesca invernale o l’accordo finalizzato al recupero delle merette che i pescatori della Valchiavenna sono riusciti a stringere con la Comunità Montana dimostrino come UPS sia ancora un soggetto capace di farsi sentire. E gli svasi, dove li mettiamo? Già mi sembra di sentirvi. E ne avete tutte le ragioni. Lo stress che stanno subendo i nostri corsi d’acqua è sotto gli occhi di tutti e nessuno fa niente per porvi rimedio. O meglio, c’è chi denuncia l’insostenibilità di questo sovrasfruttamento – penso a UPS o ai gruppi che si riconoscono nello IAPS – ma poco è cambiato; anzi. Se da un lato molto si è ottenuto – una su tutte lo stop al rilascio di concessioni per le minicentraline
(altro primato valtellinese in Italia) – dall’altro la gestione dei grandi impianti continua a seguire mere logiche di profitto. Un profitto che – l’abbiamo scritto sullo scorso numero e lo ribadiremo sempre – oltretutto convoglia gli utili di questo business su altre province lombarde, lasciando in Valtellina soltanto gli scarti di lavorazione del processo produttivo. Una situazione resa ancor più complessa dalla vetustà dei grandi impianti costruiti in valle, dall’elevato numero degli stessi e dalla conformazione morfologica di un territorio difficile come quello della provincia di Sondrio. Ho l’impressione che, più che la volontà della politica, su questo fronte siano le normative vigenti a non consentire un drastico capovolgimento dei campi. Le leggi ci sono, ma molto spesso sembrano più vicine agli interessi dei produttori idroelettrici che alla tutela dell’ambiente. E’ vero, le leggi sono scritte dalla politica, ma il pessimismo della ragione mi fa pensare che i problemi che si annodano attorno a questo tema siano tanti e tali da non suggerire una risposta troppo ottimistica, almeno a breve. Certo, qualcosa si può e si deve fare: denunciare situazioni critiche, monitorare il corretto svolgimento delle opere di manutenzione o partecipare a tavoli di programmazione per dialogare – per quanto possibile – sui piani di intervento sono impegni dai quali UPS non si è mai sottratta. Da lì ad aspettarsi una drastica revisione della normativa ne passa. Lo sanno in UPS e credo che ormai se ne sia accorta anche la gran parte dei suoi associati. Marco Corengia
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SOMMARIO
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Pescare La nostra storia
Quelli che la secessione l’hanno fatta per davvero
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in Valtellina
Antonio Paganoni: “Così ci prendemmo la gestione delle nostre acque”
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Rivista della Provincia di Sondrio T u t dell’Unione e l a a Pesca c q uSportiva e Anno XXV - N° 1 - 2009
Il ripristino del corridoio ecologico del tratto finale del fiume Spoel a Livigno
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Filo diretto El penelin: le mosche del nonno UNIONE PESCA SPORTIVA DELLA PROVINCIA Dl SONDRIO SONDRIO - Via Fiume, 85 Tel. 0342.21.72.57 (2 linee urbane) Fax 0342.21.89.69 www.unionepescasondrio.it info@unionepescasondrio.it Direttore Responsabile: Marco Corengia Redazione: Valter Bianchini Giorgio Lanzi Hanno collaborato per i testi: A. Scala P. Gibertoni S. Colleoni M. Messina Hanno collaborato per le foto: G. Holzer K. Marx G. Sala F. Ferraioli Foto di copertina: Archivio Ups Stampa Tipografia Polaris Via Vanoni, 79 23100 SONDRIO Tel. 0342.51.31.96 Fax 0342.51.91.83 info@litopolaris.it
Vicini di casa/prima parte La gestione delle acque in provincia di Bolzano
Iscritta al n° 166 Registro Tribunale di Sondrio
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A p p r o f o n d i me n t o L’importanza del tesserino segnacatture
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Tec n i c h e d i p e s c a La tenkara: tra moda e tradizione
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Le t t i p e r v o i Il fiume delle verità
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UPS c o n s i g l i a Il Lago Nero di Foscagno in comune di Valdidentro 42 (non) tirate troppo la corda La pesca al femminile (ovvero il lato B della pesca) 46 Il toro per le corna Risposta a una lettera mai spedita
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Il personaggio Pan, pess e scalpel
Della presente rivista sono state stampate e diffuse 7.500 copie
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Pe s c a t o e m a n g i a t o Trota alla mugnaia
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La nostra storia
Quelli che
l’hanno fatta per di Valter Banchini
1973 2013
Il momento della sottoscrizione della concessione tra il presidente della Provincia (al centro) e Antonio Paganoni (a destra).
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on c’è giorno che i pescatori più anziani non ricordino come la pesca di una volta in Valtellina fosse ben altra cosa. Temoli e trote, a volte enormi, abbondavano nei fiumi e in particolare nell’Adda. Le aperture vedevano migliaia di appassionati “prendere il posto” diverse ore prima dell’alba, i falò accesi sulle rive trasformavano il corso del fiume in un’affascinante coreografia di luci e l’attesa era accompagnata da bevute rigorosamente di contenuto alcolico. Decine e decine di pescatori nel corso della stagione affollavano per giornate intere le rive e i silos, una stagione che forse, lasciateci sperare, un giorno ritornerà. Ma possiamo affermare sia sempre stato così dai tempi dei tempi? No, non possiamo, se la Valtellina piscatoria fosse stata da sempre un bengodi nessuno avrebbe sentito la necessità di fare la rivoluzione che stiamo brevemente raccontando e l’Unione Pesca non avrebbe visto la luce. In verità, delle acque della nostra provincia negli anni ‘60 si poteva dire di tutto tranne che fossero incontaminate. In occasione di un convegno svoltosi a quel tempo a Sondrio, gli esperti convenuti avevano affermato che le acque dell’Adda, nei tratti asciutti entro i quali
si scaricavano acque bianche e nere dei paesi, erano zeppe di germi portatori di una mezza dozzina di malattie e di un altro centinaio riservate a chi se li andava a cercare. Insomma, in questi tratti il fiume era una vera e propria fogna a cielo aperto. Il fenomeno era stato registrato, sia pure in misura minore, anche in altri fiumi o torrenti. La quantità d’acqua che veniva lasciata defluire, in particolare nella bassa valle, era irrisoria. Dato l’allarme, fatto il solito volume degli atti del convegno, interessate le autorità di ogni ordine e grado, nel giro di poco tempo tutto venne archiviato nel dimenticatoio perchè nel nostro paese questa è la regola. Quanto emerso aveva però dato ai comuni cittadini le dimensioni di un dramma ambientale che si stava consumando sulla loro pelle senza che se ne rendessero conto. E soprattutto aveva scosso profondamente i pescatori che cominciarono a capire in quale micidiale brodo di bacilli inzuppavano le loro esche. Lo stato delle acque non eccelleva nemmeno per l’eccessiva presenza di fauna ittica, tutt’altro; gli anziani raccontano che, per potersi divertire in qualche modo, era consuetudine organizzare gare di pesca acquistando il pesce a proprie spese. Questo era il triste quadro della pesca a inizi anni ‘70 in regime di gestione delle acque in capo alla Fips, concessione che la stessa deteneva dal 1958. Certo, non tutte le colpe erano imputabili alla Federazione, ma la stragrande maggioranza dei pescatori valtellinesi non ne poteva proprio più di una tale situazione ed in cuor loro non attendevano altro che l’occasione per dire basta.
Il re è nudo. E c’è qualcuno che lo dice La “prima bordata”, cioè il primo NO alla gestione della federazione arriva con l’approssimarsi della scadenza del periodo di concessione sta-
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la secessione davvero bilita per il giorno 14 febbraio 1973. L’uomo che ha il coraggio di sparare a zero è Antonio Paganoni, classe 1930, direttore della Mutua Artigiana di Sondrio. Il 10 luglio 1972 Paganoni accusa pubblicamente la Fips di non rispettare il disciplinare di concessione in materia di ripopolamenti, di non fare nulla contro gli inquinamenti e altrettanto di non aver fatto per difendere gli interessi dei pescatori al momento della realizzazione dello sbarramento di Ardenno. Non andando tanto per il sottile dichiara che la Fips non fa nulla “ perché è un’organizzazione appesantita dalla burocrazia, accentratrice dei poteri e timorosa della democrazia.” In sostanza, qualsiasi richiesta o sollecitazione provenisse dai pescatori non veniva presa in considerazione se appena disturbava l’organizzazione centrale e ogni decisione veniva sempre assunta dall’alto ed imposta d’autorità. Non parliamo poi della formulazione del regolamento di pesca in merito al quale i diretti interessati non potevano eccepire. Ma Antonio Paganoni non si limita a mettere in discussione la gestione Fips, guarda più lontano, ha una visione che va ben oltre la pura e semplice pratica della pesca e pone all’attenzione di tutti una questione fondamentale: “Nei riguardi del turismo poi, sul quale la nostra provincia ripone notevoli speranze, è stata valida la politica della FIPS? Certamente NO! A che servono 10.000 presenze di pescatori di altre province nelle sole giornate di apertura della trota e del temolo per poi scemare completamente nel giro di pochi giorni? Il pescatore di fuori provincia diventerà turista di rispetto quando, attratto dalla costante pescosità delle nostre acque, soggiornerà per periodi più o meno lunghi in provincia.” Egli auspica che l’amministrazione provinciale non rinnovi la concessione alla Fips e che, tenendo presente gli interessi locali, venga creata la “Riserva di pesca delle acque pregiate della Provincia di Sondrio”, gestita da un organo composto dai rappresentanti dei pescatori
democraticamente eletti e dai rappresentanti delle maggiori istituzioni locali. Paganoni non era uno stakanovista come pescatore, ma era conosciuto in mezza Valtellina. Lui stesso aveva rapporti amichevoli con la gran parte di quelli che contavano al tempo, fossero uomini politici, delle istituzioni, industriali ecc. I pescatori lo scelgono quindi come loro portavoce. La sua denuncia innesca un dibattito che durerà mesi: Fips o gestione autonoma? La stampa locale non avrà dubbi nel definire la querelle come uno scontro tra gli “autonomisti”- come vennero da subito definiti - e la Federazione. Per chi parteggiasse la stragrande maggioranza dei pescatori è facilmente intuibile; Paganoni aveva sfondato porte aperte da tempo, ma per loro si trattava adesso di decidere se accontentarsi delle lamentele o proporsi concretamente come una forza alternativa candidata a gestire la pesca in provincia. Una decisione non facile da prendere perché da una parte c’era una potente e collaudata organizzazione, dall’altra solo un gruppo di incazzati che cullavano un sogno pur non avendo in quel momento a disposizione nè soldi e neppure uno straccio di struttura organizzativa su cui contare. Questo per di più a pochi mesi dall’apertura della nuova stagione di pesca.
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Come novelli carbonari
1973 2013
Gli agenti di vigilanza dell’Unione Pesca di allora.
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Nell’estate di quell’anno l’attività della società di pesca San Marco di Sondrio fu particolarmente intensa, gli autonomisti della prima ora appartenevano quasi tutti a questo storico sodalizio. I vari Angelo Sgualdino, Umberto Reschigna, Gianfranco Del Vo’, Gian Paolo Grassi, Walter Baroncini, Marcello Bettelli, Guido Rasella, insieme a Paganoni ed altri, si confrontarono a lungo seduti ai tavolini del Bar San Marco in Via Gorizia, valutando i pro e i contro e quali fossero le possibilità di spuntarla. I dubbi non mancavano, la paura di fallire induceva alcuni ad essere prudenti. La decisione definitiva fu presa però alla trattoria “Berniga” in località Belvedere (Briotti), nel Comune di Ponte in Valtellina, nel mese di luglio. La società di pesca “Valfontana” di Chiuro, che organizzava ogni anno una pescata non competitiva nel torrente Armisa, aveva
la consuetudine di invitare al ritrovo due o tre rappresentanti delle altre società di pesca valtellinesi. Naturalmente quell’anno, tra un piatto di pizzocheri e uno di sciatt, la discussione fu particolarmente accesa; così come il tema dominante, l’approssimarsi del rinnovo della concessione. La stragrande maggioranza dei presenti alla fine convenne che bisognava dare la spallata alla Fips, l’operazione doveva assolutamente essere tentata. Il 24 agosto 1972 una rappresentanza di 23 pescatori si presenta dal notaio Amedeo Leone di Sondrio e costituisce “Assopesca”. Il nome scelto non è casuale, il richiamo all’asso come carta vincente voleva essere di buon auspicio. Ecco come ben 40 anni fa descrissero felicemente la loro missione: “i fini che si intendono perseguire con l’aggiudicazione delle acque pubbliche per una gestione autonoma e la creazione della Riserva delle acque pregiate della Provincia di Sondrio trascendono dai puri e semplici problemi della pratica della pesca sportiva per investire interessi generali, sociali ed economici, di notevole importanza per le nostre popolazioni”. I costituenti danno mandato ad Antonio Paganoni e Umberto Reschigna (direttore didattico) di prendere immediato contatto con il Presidente della Provincia di Sondrio ai fini del conseguimento degli scopi statutari.
Il dado è tratto A questo punto si aprono le danze, il dibattito diventa infuocato ad ogni livello e la stampa locale concede ampio spazio alle ragioni delle due parti. Ma Antonio Paganoni capisce che non può spuntarla contando solo sulle forze dei pescatori - seppure siano numerosissimi questo non basta - servono alleanze importanti, serve bussare alle porte di chi occupa incarichi, funzioni e professioni di rilievo. Batte a tappeto la Valtellina, conquista da subito alla causa il presidente dell’Ente del Turismo Libero Duico, il presidente della Camera di Commercio Paolo Moro, il presidente del Consorzio Tutela Pesca Guido Scherini, nonchè buona parte del ceto politico. C’era però l’ostacolo più importante da superare, si trattava di convincere l’allora Presidente della Provincia Giorgio Scaramellini a cui competeva per decreto, in via esclusiva, la scelta del futuro concessionario. Assopesca, al pari della Fips, aveva inviato al Presidente la propria proposta tecnico/economica ma Scara-
mellini - chiavennasco come il presidente della Fips provinciale Faldarini - terrà sulla corda tutti per molto tempo senza mai sbilanciarsi. In una lunga intervista al quotidiano “l’Ordine”, alla ennesima domanda di un sempre più spazientito Giuseppe Mambretti che lo incalza più o meno così: ”ma lei si sarà pur fatto almeno una vaga idea……Scaramellini risponde esattamente come a tutte quelle precedenti: “tutte e due le proposte presentano vantaggi e svantaggi”. In verità, emergerà tempo dopo che il Presidente della Provincia, poco più di un anno prima, si era già ampiamente esposto, rispondendo così ad una lettera della Fips: “….è gradito dare atto alla Fips del pieno rispetto delle norme contenute nei disciplinari di concessione delle nostre acque, non solo, ma di avere in più occasioni e in vari momenti ampiamente superato gli stretti ambiti delle norme stesse, attuando una gestione delle acque senz’altro degna di ogni lode e considerazione. Così stando la situazione, l’amministrazione provinciale è a tutt’oggi seriamente orientata verso il rinnovo delle concessioni stesse a codesta Federazione”.
Gli autonomisti diventano massa critica Ora però gli autonomisti avevano ribaltato il tavolo e rimesso tutto in gioco, era oramai evidente che la decisione si sarebbe fondata soprattutto in base a considerazioni politiche. E la politica - impersonata da quella Democrazia Cristiana che in Valtellina riscuoteva
Quelli della S. Marco “A fine anni 60 avevamo costituito la Società S.Marco di Sondrio, con lo scopo di partecipare al campionato provinciale di pesca alla trota ma anche di cercare di controllare l’operato e come spendeva i soldi la Fips, almeno nella nostra zona. Eravamo molto affiatati e il nostro presidente Walter Baroncini spesso arrivava sull’Adda portando viveri e ottime bottiglie di vino per tutti. Nella primavera del 1972 mentre bevevo un caffè con un assessore provinciale, pur sapendomi pescatore gli scappò detto che gli uffici della Provincia stavano predisponendo il rinnovo della concessione a favore della Fips. Fu così che cominciò il tutto. Noi della San Marco cominciammo subito a riunirci e discutere il da farsi, poi coinvolgemmo tutti quelli che erano disponibili a mettere in discussione il monopolio della Fips. Fu un’estate frenetica, ci riunivamo quasi ogni sera per dividerci i compiti e dovevamo anche convincere i dubbiosi in giro per la valle che potevamo farcela. Ricordo che quando decidemmo di affiggere centinaia di manifesti in tutta la provincia per rivendicare la gestione delle acque, non avendo soldi, li consegnammo ai vari commessi viaggiatori che partivano da Sondrio e che a loro volta li distribuivano in tutti i paesini, nei bar, ristoranti e negozi. Praticamente avevamo al nostro fianco tutti i valtellinesi, compresi i partiti politici di ogni colore. Vincere quella battaglia fu una soddisfazione inimmaginabile”.
Gianfranco Del Vò
Santino “Pelarin” Mezzera a destra.
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Marco Mazza e Lanfranco Rumiz.
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consensi bulgari - propende a favore degli autonomisti, non fosse altro che migliaia di pescatori e le loro famiglie costituivano un bacino elettorale non da poco. Anche il Presidente della Provincia sarà convinto (o meglio costretto) a lasciare da parte le sue indecisioni e dichiararsi d’accordo con tale soluzione, ma porrà due condizioni: “voi autonomisti dovete sciogliere Assopesca”: se volete la concessione dovrete richiederla tramite una nuova associazione e voi due, Paganoni e Reschigna, farvi da parte”. Insomma, la Fips non doveva sentirsi umiliata da chi la aveva sconfitta. I due obbediscono? ma nemmeno per idea!
Padroni del proprio destino Angelo Squaldino.
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Certo, Assopesca viene sciolta e Il 4 Gennaio 1973, sempre nello studio del notaio Leone, viene costituita l’Unione Pesca Sportiva del-
la Provincia di Sondrio. Manco a dirlo, tra i firmatari ci sono ancora loro, Paganoni, Reschigna e buona parte dei “cospiratori” della prima ora. Il giorno successivo UPS chiederà ufficialmente al Presidente della Provincia il decreto di concessione. Il decreto ufficiale (della durata di anni uno) sarà emanato il 14 febbraio 1973, mentre bisognerà attendere il 25 novembre 1974 per la concessione decennale. La decisione non viene accolta con favore fuori provincia, il Giornale della Pesca titolerà: “Siamo tornati al feudalesimo” e l’articolista: “noi riteniamo che quello della Valtellina sia un atto di secessione prima di tutto dalla Lombardia e secondariamente dall’Italia, auguriamoci che la regione Lombardia che ne ha i mezzi, possa restituirci la Valtellina.” Anche il Giornale di Lecco parlerà di “incredibile decisione nella Provincia di Sondrio” ed un altro sparerà a zero contro “i figli degeneri della Valtellina”. In ogni caso, Unione Pesca da quel momento diviene titolare della gestione dell’attività di piscicoltura. La battaglia è vinta e si tratta ora di affrontare la fase transitoria in attesa che l’associazione si dia una struttura organizzativa propria. Viene pertanto istituito un Comitato di Gestione Provvisorio presieduto dallo stesso Presidente della Provincia. I componenti sono diciannove, presidente è nominato Bruno Fojanini; Vice presidente il noto industriale dei biscotti Mario Galbusera di Morbegno che rinuncerà poco dopo a favore di Guido Scherini. Antonio Paganoni - l’uomo che “doveva scomparire” - viene nominato direttore dell’Unione Pesca. In questo periodo, all’interno del comitato, c’è anche chi è favorevole a normalizzare i rapporti con la Fips ma la maggioranza non ne vuole sapere. Nelle numerose riunioni che seguiranno vengono affrontati i problemi dell’individuazione di una sede, del personale di vigilanza, del regolamento di pesca, molto tempo viene richiesto per formulare il libretto segnapesci e la tipologia dei cartelli per le palinature. Il primo regolamento di pesca dell’Unione Pesca verrà approvato l’1 Febbraio 1973. I costi dei permessi sono definiti in Lire 10.000 il permesso stagionale e in Lire 1.500 il giornaliero che sarà fruibile solo nei mesi di luglio, agosto e settembre. La misura legale della trota viene fissata in cm. 22 (10 capi giorno) mentre per il temolo sarà di cm. 30 (5 capi giorno). La Fips, che certamente non aveva digerito la sconfitta, all’insegna del motto: ” Non pagate
Mario Galbusera.
pedaggi feudali di nuovo conio se vorrete domani acque libere” invita i propri associati a non aderire alle “ingiuste richieste” e preannuncia battaglia presentando ricorso al Tar Lombardia e successivamente al Consiglio di Stato al fine di ottenere l’annullamento del decreto di concessione della Provincia a favore di Ups, la quale - difesa dagli avvocati Eugenio Tarabini di Sondrio e Dino Ambrosio di Roma - vince anche in quella sede. E vince da sola perché curiosamente proprio chi aveva emanato il decreto impugnato, cioè il presidente della provincia, deciderà di non costituirsi in giudizio e difenderlo. A pochi giorni dall’apertura della pesca viene acquistata una Fiat campagnola, vengono assunte sei guardie, viene decisa la semina di circa 16 quintali di trote adulte e di concedere gratuitamente il permesso di pesca agli ultra settantenni. Il comitato respinge a grande maggioranza la proposta di un consigliere di rilasciare permessi gratuiti al Corpo della Pubblica Sicurezza, Carabinieri, Finanza ecc. Nel settembre di quell’anno il Comitato provvisorio decide di indire le prime elezioni democratiche aperte ai soci che si tengono a novembre con l’elezione delle cariche sociali: Antonio Paganoni viene nominato presidente, vicepresidente Bruno Fojanini. Inizia quindi il lungo cammino della nostra associazione che, attraversando 40 anni di storia, prosegue sino ad oggi. Tra momenti da ricordare con piacere e periodi travagliati, battaglie vinte e perse. Quarant’anni passati a combattere per una passione che finalmente ci vedeva artefici del nostro destino.
Giorgio Franchetti
I costituenti dell’Unione Pesca sono: Antonio Paganoni, Libero Duico, Franchetti Giovanni, Reschigna Umberto, Cavigioli Giuseppe, Grassi Gian Paolo, Franchetti Giorgio, Angelo Sgualdino, Bondi Elia, Rasella Guido, Mauro Pierluigi, Scherini Andrea, Muffatti Diego, Poluzzi Flavio, Corvi Giulio, Mazza Marco, Buzzetti Eugenio, Meloni Orazio, Foianini Bruno, Parmiani Enzo, Mario Galbusera, Mezzera Santino, Guido Scherini.
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La nostra storia
ANTONIO PAGANONI: “ Così ci prendemmo la gestione delle nostre acque”
Intervista di Valter Bianchini
Antonio Paganoni con l’attuale presidente Ups. (foto Giorgio Lanzi)
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S 1973 2013
iamo nel febbraio 1973 e sta per scadere il periodo di concessione di piscicoltura delle acque valtellinesi di cui è titolare la FIPS dal 1958. Sette mesi prima della scadenza, interpretando l’umore dei pescatori valtellinesi, Lei mette sotto accusa pubblicamente la gestione della federazione. Ci vuole spiegare il perché? “C’erano tante cose che secondo noi dovevano essere cambiate, ma non venivamo ascoltati in nessun modo. Il comitato provinciale Fips accettava supinamente le decisioni prese a livello nazionale. Uno dei punti focali della
discordia era che la federazione faceva aperture differenziate della pesca nelle province lombarde e in Italia, quindi, quando si apriva la stagione in Valtellina, arrivavano migliaia e migliaia di pescatori. Era difficile dire quanti perché non ci venivano comunicati i dati ufficiali, ma certamente noi li stimavamo nell’ordine delle 20.000 presenze. Gran parte di questi pescatori venivano esclusivamente per l’apertura, non erano veri appassionati, venivano solo per razziare e poi si spostavano in altre località per le rispettive aperture. Tra l’altro la misura minima della trota ci appariva assolutamente inadeguata. Inoltre non esistevano limiti di cattura per cui si assisteva anche a scene disgustose di pescatori che pulivano il pesce lungo le rive dell’Adda e lo cucinavano sul posto facendo il picnic. Ovviamente per il resto dell’anno la valle restava spopolata di pesci. Certo, c’era anche una parte di pescatori foresti che ci appoggiavano e condividevano le nostre idee, quelli che anche successivamente hanno continuato a venire numerosi in Valtellina.” Erano anche altri i motivi del malcontento? “Certo, noi, intendo gran parte delle società pescasportivi valtellinesi e i pescatori vari, volevamo liberarci di una organizzazione autoritaria ed elefantiaca che non si era dimostrata capace di tutelare le nostre acque sotto nessun profilo. Noi volevamo che ci fosse una gestione autonoma delle acque valtellinesi che tenesse conto delle prerogative e del pregio di quelle che abbiamo definito come ‘acque pregiate’ ”. Non aveste modo di discutere i problemi con la dirigenza Fips? Non ci riuscimmo mai. Per darvi un’idea di quale fosse la concezione della pesca da parte della federazione, alcuni anni dopo che UPS ebbe ottenuto la concessione, quando io ero assessore in Provincia, ebbi l’occasione di incontrare un responsabile nazionale della Fips, anche in presenza del Presidente della Provincia l’ing. Roberto Marchini, ricordandogli le ragioni della nostra battaglia, tra cui quella della eccessiva pressione piscatoria, lui ci rispose: “ma cosa volete, più gente c’è sul fiume più i pesci scappano e si salvano; quindi dove è il problema?” Ecco, questo era un pensiero… difforme dal nostro”. Perchè proprio lei diventa il portabandiera dell’opposizione a FIPS? “Io non facevo parte di nessuna società di
pesca ma avevo capito che tutte le lagnanze dei pescatori non riuscivano a concretizzarsi in un’azione sostanziale. Allora ho dato la mia disponibilità per portare queste rivendicazioni su un piano più deciso e razionale. Inizialmente non è che noi volessimo impadronirci della pesca in Valtellina, cioè non eravamo pregiudizialmente contrari alla federazione se solo ci avesse ascoltato, ma il suo modello di gestione da noi non funzionava. Sapevamo anche che da soli sarebbe stato difficile riuscire ad ottenere la concessione delle acque, ma d’altra parte avevamo anche uno spirito combattivo per affermare le nostre idee su una politica delle gestione degli ambienti fluviali e della pesca, come si può dire, all’avanguardia coi tempi. ” Quindi, avevate una visione che andava ben oltre la pesca “Certo, pensavamo alla salvaguardia degli ecosistemi fluviali, al turismo, allo sviluppo della valle e delle sue risorse, era un modo innovativo di guardare alle cose e ai problemi. Come scrissi, a quel tempo, sulla stampa locale, se i valtellinesi e le varie istituzioni fossero
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se ci fossero le condizioni per ottenere la concessione della gestione della pesca. Fu Gim Mambretti nostro caro amico e sostenitore, a definirci così sul giornale “l’Ordine” delle province di Como e Sondrio che non ci fece mai mancare il suo sostegno”. Uno dei presenti ricorda che la decisione di costituire “Assopesca”, l’associazione che avrebbe dovuto presentare alla Provincia la domanda di concessione, fu presa durante un ritrovo conviviale.
partiti con il piede giusto potevamo essere quantomeno compartecipi del controllo delle centrali idroelettriche. Oltre a Lei chi erano gli “autonomisti”? Perché così vi definiva la stampa del tempo. “Io sono stato coinvolto dalla Società San Marco di Sondrio di cui facevano parte Angelo Sgualdino, Gianpaolo Grassi, Umberto Reschigna Gianfranco Del Vo’, ed altri. Ci confrontavamo per vedere se la cosa fosse fattibile,
Si, tutto partì durante una cena alla trattoria Berniga in Comune di Ponte Valtellina, dove ci trovammo numerosi dopo una gara di pesca nel torrente Armisa. In quella sede prendemmo la decisione di provarci. Certo, c’era anche molta indecisione, perché alcuni sostenevano che non ce l’avremmo mai fatta. In particolare la Società Mengolli, che contava molto, la Società Santo Tirinzoni di Sondalo e la Media Valle di Tresenda non erano favorevoli ed era un po’ titubante tutta l’alta valle. Però avevamo anche noi dei grandi punti di forza, in particolare la Società Val Chiavenna di nuova costituzione con Marco e Mario Mazza, la zona di Morbegno ci sosteneva con Mario Galbusera, Renzo Passerini, Santino Mezzera (Pelarin) e poi le società la San Marco e la Viale Milano di Sondrio, la Società Valfontona di Chiuro-Ponte Valtellina rappresentata da Giorgio Franchetti e Giuseppe Cavigioli, la Società Bocco di Castione di Gianni Franchetti e di Aprica e più timidamente quella di Tirano. Io facevo coraggio a tutti ed ero fiducioso. Molti cittadini in quei giorni venivano a dirci che stavamo facendo una cosa giusta. Conobbi a quel tempo anche l’avvocato Diego Muffatti che divenne presidente dopo di me è fu tra quelli che maggiormente contribuirono negli anni 80 a sconfiggere quelli che, in occasione dell’approvazione della legge regionale sulla pesca, volevano porre fine alla nostra esperienza”. Tra l’altro per sostenere la vostra battaglia, affiggeste manifesti in tutta la provincia. “Si; facemmo stampare 1500 manifesti che per la provincia di Sondrio sono tanti. Praticamente riempimmo ogni angolo dei paesi valtellinesi comunicando i nostri proponimenti sulla gestione della pesca, sulle problematiche relative alle acque (deflussi minimi, inquinamenti, ecc.) e in questa occasione i cittadini impararono a conoscere il logo dell’Unione
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Pesca che poi videro in diverse circostanze per quaranta anni”. Costituiste la società Assopesca nell’agosto 1972 ma pochi mesi dopo la scioglieste per far posto all’Unione Pesca, perché? “Diciamo che fu una condizione imposta dall’alto. Insomma dopo che conseguimmo la concessione. Sotto il profilo formale doveva apparire che tra i due litiganti, Assopesca e Fips, ne avesse tratto vantaggio un terzo nuovo soggetto, cioè l’Unione Pesca.” Ci spiacque molto perché l’Asso Pesca era la nostra prima creatura; ma accettammo. La competenza al rilascio della concessione spettava al Presidente della Provincia, al tempo Giorgio Scaramellini. Che posizione tenne? “Inizialmente era pessimista, temeva che non saremmo riusciti a sostenere la gestione e che nel giro di poco tempo i problemi si sarebbero scaricati sul tavolo dell’Amministrazione Provinciale. Certamente, da un lato lui si trovava esposto alle pressioni della federazione e in particolare di alcuni suoi amici chiavennaschi della società pescasportivi Mengolli aderenti alla Fips, dall’altro alle nostre rivendicazioni. Ricordo che, essendo anche suo amico - appartenevamo allo stesso partito ebbi modo di dirgli: “Caro Giorgio se ti schieri con noi forse perdi 10 amici ma in cambio ne guadagni 1000 e questo per te può essere un vantaggio futuro non indifferente”. In seguito sembrò convinto ad accogliere la nostra domanda.” Ma il giorno prima del termine ultimo per il rilascio della concessione arrivò la doccia fredda: il presidente della Provincia convoca una conferenza stampa e comunica che avrebbe concesso il rinnovo della gestione alla Fips. “Sì, per noi fu una notizia tremenda ma anche la reazione fu immediata e durissima. Non reagirono solo i pescatori, anche la gran parte degli esponenti politici del mio partito (la DC) che era largamente maggioritario in provincia, prese posizione a nostro favore. Oggi posso tranquillamente confessare che la nostra rivendicazione fu utilizzata anche per battaglie politiche interne. Insomma, per qualcuno appoggiare o ostacolare l’iniziativa che avevamo in corso voleva dire….. sperare di prendere due piccioni con una fava.”
E alla fine il la politica fece cambiare idea al Presidente della Provincia “Proprio così. Anche il secondo partito della provincia, il PSI, era favorevole alla gestione autonoma e so per certo che alcuni autorevoli rappresentanti dei pescatori aderenti a quel partito, Umberto Reschigna in testa, mantenerono gli opportuni collegamenti.”
1973 2013
Paganoni Antonio, nato a Sondrio il 20 dicembre 1930, diplomato Geometra • dal 1956 al 30 giugno 1957 economo al Comando dei Vigili del Fuoco provinciale quale dipendente della Amministrazione Provinciale; • dal 1° luglio 1957 con l’avvento della Assistenza Sanitaria per gli artigiani, passò alla Cassa Mutua per gli Artigiani. Realizzata la organizzazione e la funzionalità, ne divenne il direttore. • Con Decreto in data 13 gennaio 1972 gli fu conferita l’onorificenza di Cavaliere all’Ordine” al Merito della Repubblica Italiana” dal Presidente Giovanni Leone su proposta del Ministro per l’Industria il Commercio e l’Artigianato On. Antonio Gava. La segnalazione fu dell’Unione Artigiani della Provincia di Sondrio. • Nel 1980, con la riforma sanitaria confluì al sistema sanitario nazionale ove fu, Dirigente della gestione approvigionamento ed economato fino al pensionamento avvenuto nel 1990. • Nel 1975 fu candidato per la D.C. nel collegio provinciale di Albosaggia (Albosaggia-Caiolo-Cedrasco-Fusine–Colorina). Fu eletto e successivamente nominato Assessore Bilancio-Finanze-Patrimonio – Pesca. Nello steso anno fu candidato nella lista della D.C. per il Comune di Sondrio, fu eletto consigliere. • Con Decreto in data 27 dicembre 1978 gli fu conferita l’onorificenza di Ufficiale all’Ordine “ al Merito della Repubblica Italiana” dal Presidente Sandro Pertini su proposta del Ministro per l’Industria il Commercio e l’Artigianato On. Romano Prodi. La segnalazione fu dell’Unione Artigiani della Provincia di Sondrio. • Nel 1980 fu ricandidato nel Collegio di Albosaggia e riconfermato Assessore provinciale alla Agricoltura, Caccia e Pesca, dove svolse tale incarico fino al 1985.
È vero che una volta ottenuta la concessione Le fu chiesto di mettersi da parte? “E’ vero, sempre secondo qualcuno che stava in alto, era arrivato il momento della pacificazione con la Fips provinciale-società Mengolli Chiavenna e quindi io e Umberto Reschigna avremmo dovuto metterci da parte. Non avevo nulla in contrario a lasciare ma mi fu impedito a furor di amici. Anzi, per tutta risposta, il comitato di gestione provvisorio di UPS nominò subito il sottoscritto e Reschigna come
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esperti, cioè quelli che dovevano organizzare la struttura UPS, poi poco dopo venni anche nominato direttore di Ups. In questo episodio l’amico Renzo Passerini ci fu di grande aiuto con la sua saggezza e la sua capacità persuasiva; “ L’Union Pesca prima di ogni altra cosa poi tutto di sistema”. E così fu” Dopo l’ottenimento della concessione come erano i rapporti tra UPS e le società di pesca o i pescatori iscritti alla FIPS? “C’era la massima apertura, addirittura invitammo la Fips ad inserire nel comitato di gestione provvisorio alcuni suoi rappresentanti. Noi non avevamo alcuna preclusione, avevamo raggiunto il nostro scopo e desideravamo che anche la Federazione partecipasse al nostro operare.” A questo punto, avuta come si suole dire “la bicicletta”, si trattava di essere pronti per la stagione di pesca che sarebbe iniziata meno di due mesi dopo. Come fu possibile in così poco tempo? “Lavorai giorno e notte solo per quello. Ricordo in particolare lo studio del libretto segnapesci che ci impegnò per diverse sere, ma alla fine realizzammo un gioiellino che sostanzialmente è rimasto uguale ancora oggi, Gianpaolo Grassi mi fu, come in altre realizzazioni tecniche, di grande aiuto. Va anche detto che avevo già da tempo in mente le cose che andavano fatte, almeno quelle più importanti. Per esempio avevo già individuato e prenotato la sede in via Colombaro, dove UPS rimase per tanti anni, le norme per le elezioni degli organi amministrativi e di controllo dell’UPS, lo Statuto, ecc.” Poi le elezioni del novembre 1973, le prime aperte alla partecipazione dei soci. Al termine del percorso per la formazione degli organi dell’Unione Pesca venne nominato Presidente, il primo vero presidente dell’associazione, carica che ricopre fino al dicembre 1975 e poi lascia. “Si perché nel 1975 fui candidato alle elezioni per il consiglio provinciale nel collegio di Albosaggia, tradizionalmente di sinistra e dove nessun democristiano ce l’aveva mai fatta prima. Invece fui eletto tra la sorpresa di tutti, in particolare dei miei amici di partito. Successivamente fui chiamato a ricoprire la carica di assessore al bilancio- Finanze - Patrimonio e, tanto per restare in tema, anche della pesca.
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Così entrato a Palazzo Muzio. Poi ho creato l’assessorato Agricoltura, Caccia e Pesca, di cui mi occupai nel secondo quinquennio (80-85). Però in quel periodo la Provincia era molto generosa con UPS! “Sì, per svariati anni UPS ricevette un contributo annuale di 80 milioni delle vecchie lire, allora l’Amministrazione provinciale poteva permetterselo.” Le avevano proposto anche la candidatura a Sindaco di Sondrio, dal risultato certo, ma Lei rifiutò. “Accettai la proposta del mio Partito che era un sabato e il lunedì successivo feci marcia indietro. Mi sarebbe piaciuto amministrare la città ma quello che non sarei riuscito a sopportare erano gli obblighi di partecipare alle varie cerimonie che quel ruolo richiede. Fui comunque eletto consigliere comunale” Dove e come Le piaceva pescare? “Io frequentavo in solitudine le valli, in particolare il torrente Armisa e i laghi di Santo Stefano, fin quando mi sono reso conto che era meglio che smettessi dopo aver rischiato una brutta caduta. Comunque la mia grande passione era comunque con il sistema “camolera”. Da osservatore esterno che giudizio si è fatto dell’operato in questi anni? “Credo che abbia operato bene. Quello che preoccupa è il calo dei pescatori, ma questo non è colpa dell’Unione Pesca. Confido comunque nella passione di gran parte dei pescatori che è tanta. Ricordo che il nostro primo anno di gestione fu terribile perché nonostante avessimo seminato abbondantemente non si prendeva niente e davamo la colpa alla neve e a mille altri motivi. Poi negli anni successivi si catturarono tantissimi pesci, in particolare grazie al “Piano semine” e ai silos che oggi non ci sono più. Quelli erano le casseforti del fiume.” Spesso oggi veniamo accusati di non riuscire ad imporci ai produttori elettrici. Una volta era più facile? “Condurre queste battaglie fu molto difficile anche all’ora e oggi e tendenze autonomistiche marciano di pari passo con la crisi economica ed energetica e i conseguenti alti costi, Enel ed A2A sono al momento potenze difficilmente affrontabili”.
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TUT E LA A C QU E di Giorgio Lanzi (foto Giorgio Lanzi)
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l progetto inerente il ripristino del corridoio ecologico nel tratto finale del fiume Spoel nasce dalla ridefinizione del progetto “Interventi di rinaturalizzazione dei Torrenti Masino e Frodolfo (SO)”. Quest’ultimo è stato presentato a Fondazione Cariplo nell’ambito del bando Tutelare la qualità delle acque dalla Unione Pesca Sportiva della Provincia di Sondrio - capofila del progetto – e finanziato dalla Fondazione nel 2012. Le indagini condotte sul torrente Frodolfo, hanno evidenziato la presenza di una serie di
problematiche legate alla morfologia dell’alveo e alla variazione delle condizioni di portata. In particolare queste analisi hanno rilevato che la disgregazione dei ghiacciai in atto nell’area dell’alta Valtellina - fenomeno che si è particolarmente accentuato in questi ultimi anni - e gli eventi meteorologici dell’agosto 2012 hanno determinato un significativo dissesto idrogeologico dei torrenti Zebru, Uzza e Frodolfo caratterizzato da una marcata erosione spondale, da frane e smottamenti con il conseguente trasporto di grandi quantità di materiale
Il ripristino del corridoio ecologico nel tratto finale del fiume Spoel a Livigno Progetto: ripristino del corridoio ecologico nel tratto finale del fiume Spoel in Comune di Livigno Finanziamento: Fondazione Cariplo - A2A S.p.A Costo delle opere: 148.000 Euro Stazione Appaltante: Unione Pesca Sportiva della Provincia di Sondrio Progettista e Direzione Lavori: Blu Progetti S.r.l. di Varano Borghi (VA)
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grossolano e fine che si è depositato negli alvei dei suddetti corsi d’acqua e nel fiume Adda nel tratto di Bormio. Viste le condizioni di assoluta precarietà idromorfologica in atto, intraprendere azioni di riqualificazione fluviale del tratto del torrente Frodolfo che attraversa l’abitato di Bormio e del sottostante fiume Adda sarebbe stato molto problematico e rischioso. Dopo attenta valutazione e tenuto conto delle considerazioni sopra esposte, si è ritenuto che gli interventi prospettati avrebbero avuto effetti
benefici sugli habitat e le popolazioni ittiche limitati nel tempo e nello spazio, senza però ottenere quei risultati tanto auspicati su tutto il corso d’acqua. In relazione alla volontà di rispondere agli obiettivi del bando proposto da Fondazione Cariplo, si è ritenuto quindi di dirottare i fondi verso un corso d’acqua che garantisse il successo degli interventi su scala locale e regionale. Dopo un’attenta analisi del territorio circostante
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Inquadramento territoriale dell’area di interesse
Figura 1
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la scelta dell’area destinata a riqualificazione è ricaduta su un tratto di Fiume Spoel nel comune di Livigno, che si inserisce in un contesto ambientale e sociale di assoluto valore, potendo assicurare e conservare nel tempo i parametri attinenti la funzionalità idraulica ed ecologica. Incaricata di realizzare l’opera è stata la società BLU Progetti s.r.l. di Varano Borghi (VA) che ha redatto il progetto definitivo-esecutivo. Il piano di intervento si è posto come scopo principale il ripristino della continuità attraverso la realizzazione di una rampa in massi che possa consentire il superamento della briglia esistente da parte della fauna ittica, rendendo così accessibile un tratto di 1 km di fiume. Oltre a tali dispositivi finalizzati al ripristino della continuità ecologica, il progetto prevede interventi di miglioramento e diversificazione dell’habitat, quali la posa di massi in alveo e - sempre nell’ottica del miglioramento naturalistico del corso d’acqua - la posa di pennelli in massi. L’opera verrà realizzata nel 2014, una volta ottenute le dovute autorizzazioni in conferenza dei servizi.
Il fiume Spoel nasce vicino alla Forcola di Livigno e scorre nella Val di Livigno fino all’omonimo paese della provincia di Sondrio. Attraversato Livigno in tutta la sua lunghezza, il torrente si immette nel lago del Gallo, chiamato anche lago di Livigno. All’uscita dal lago entra nel territorio del Canton Grigioni, dove percorre la Val dal Spoel all’interno del Parco Nazionale Svizzero confluendo da destra. Nella parte terminale il fiume viene canalizzato in un alveo con fondo appiattito e sponde verticali, di cemento a destra e di massi sinistra; la vegetazione riparia è completamente assente, mentre sono presenti due briglie piuttosto ravvicinate. La morfologia dell’alveo risulta pertanto banalizzata, con scarsa diversificazione di microhabitat e caratteristiche poco conservative. Fino alla foce, il profilo e il percorso dello Spoel presentano, in modo più o meno accentuato, elementi artificiali, quali massicciate e muri di protezione spondale, risagomature dell’alveo e tratti canalizzati, tutti elementi la cui esistenza è giustificata dal fatto che il corso d’acqua lambisce l’abitato di Livigno, che a tratti si avvicina fino ad essere in contatto con il fiume. La vegetazione riparia è costituita da una fascia ristretta erbacea o arbustiva, mentre manca completamente la componente arborea; alcune sezioni sono addirittura prive di vegetazione. Gli interventi previsti nel presente progetto riguardano il tratto finale del torrente Spoel nell’abitato di Livigno. Il tratto fluviale interessato ha una lunghezza di circa 620 m, ad una quota variabile tra 1804 e 1798 m s.l.m. (Figura 1).
Morfologia del fiume Spoel nel tratto di interesse Il corso d’acqua oggetto d’intervento ha una lunghezza di circa 620 m a monte dell’ultima briglia esistente prima che il fiume confluisca nel lago di Livigno (a valle della latteria). Lungo questo tratto il fiume si presenta con zone golenali laterali larghe 10 m ciascuna e sezioni per lo più trapezoidali di larghezza pari a circa 16 m con la presenza di una savanella centrale di dimensioni 2.0 m x 0.5 (Figura 3). In particolare: • a monte dell’ultima briglia e per un tratto di circa 70 metri le sezioni trapezoidali sono caratterizzate da una savanella centrale nella
quale defluisce la maggior parte della corrente idrica, con velocità elevate; • s ubito a valle della soglia ubicata nei pressi della latteria, per un tratto di 180 m e a monte della stessa per un tratto pari a 150 m le sezioni si presentano con la savanella centrale per lo più interrita; in questo modo il deflusso idrico interessa tutta la sezione con velocità sempre abbastanza elevate ma con tiranti idrici di modesta entità (0.2 -0.3 m, con una portata di 2mc/sec. circa). Come si evince dalla Figura 2, la presenza della briglia nella zona terminale dell’area oggetto d’intervento rappresenta un ostacolo al passaggio della fauna ittica, dovuto ad un salto idrico di m. 1,20. (Figura 2) Il fondo alveo risulta molto irregolare, con la presenza di sedimenti anche di considerevole pezzatura che non favoriscono la crescita della vita acquatica e che determina battenti idrici di modesta entità.
corrente, poco profonda e a sedimento ghiaioso. Il tratto del fiume Spoel In questo contesto, la possibilità di accedere interessato dai lavori. e risalire la foce del Fiume Spoel - principale affluente dell’Invaso di Livigno - è fondamentale per lo svolgimento della fase riproduttiva delle popolazioni di trota e temolo del lago. Essa avviene nel periodo tardo-autunnale per la trota, tardo-primaverile per il temolo; per quest’ultimo, si tratta di un evento di notevole valenza dal punto di vista gestionale, in quanto la risalita di numerosi riproduttori nelle acque poco profonde dello Spoel ne agevola la cattura da parte degli operatori impegnati nel recupero dei riproduttori in vista della successiva ripro duzione artificiale.
Caratterizzazione della componente ecologica In seguito agli interventi di progetto finalizzati alla riqualificazione fluviale ci si attende un netto miglioramento della qualità ecologica del corso d’acqua. L’invaso di Livigno ospita diverse specie ittiche salmonicole di particolare rilevanza gestionale e faunistica, quali la trota fario, il temolo, il salmerino alpino. Mentre quest’ultimo si riproduce all’interno del lago stesso, le prime due necessitano per la frega di zone di acqua
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Questi pesci vanno infatti a costituire un prezioso “serbatoio” di riproduttori selvatici di temolo che forniranno al centro ittiogenico di Faedo uno stock di uova destinate al successivo ripopolamento delle acque della Provincia di Sondrio.
Interventi in progetto Gli interventi in progetto sono costituiti da: • realizzazione dell’alveo di magra naturali forme di 3.50 m di larghezza e 0.80 m di profondità, per un tratto di circa 500 m; • realizzazione dell’alveo di magra rettilineo di
4.50 m di larghezza e 0.80 m di profondità, per un tratto di 60 m (tratto in corrispondenza della latteria); • realizzazione dell’alveo di magra rettilineo di 4.50 m di larghezza e 1.10 m di profondità, per un tratto di circa 75 m, senza la disposizione né di massi in alveo né di pennelli spondali; • disposizione di massi in alveo alla rinfusa ogni 10-15 m circa; • ripristino soglia esistente con gaveta di dimensione 3.00 m x 0.50 m; • demolizione parziale briglia esistente; • realizzazione di due rampe in pietrame, collocate una a monte, dove si avrà un salto idrico di circa 0.80 m dovuto alla realizzazione dell’alveo di magra, e una in corrispondenza dell’opera di presa nel tratto finale del fiume Spoel con un salto idrico di circa 0.30 m.
Gli obiettivi dell’intervento Creazione di un ambiente fluviale più naturale che si adatti meglio al contesto paesaggistico dei torrenti alpini, finalizzato alla diversificazione dell’habitat fluviale; • riduzione della velocità in alveo con una conseguente limitazione della forza erosiva della corrente e un miglioramento delle condizioni idrauliche per la fauna ittica presente; • deviazione di flusso della corrente attraverso la realizzazione di pennelli, limitando così l’erosione spondale e creando delle zone di corrente veloce e lenta a valle delle strutture; garantire la formazione di una sorta di laghetto ubicato di fronte alla latteria, generato dal ripristino della soglia esistente, impedendo così che il materiale dovuto al trasporto solido interessi la zona a valle di essa; • ripristino dell’interruzione della percorribilità idraulica del fiume per mezzo di due rampe in massi.
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F ILO DIR E TTO
Le mosche n i l e n del nonno el pe
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ono rimaste chiuse in un cassetto per anni. 9 mosche fatte a mano, intrappolate in una scatolina di plastica. Erano arrivate a noi per caso: un pescatore le aveva regalate a mio papà. E con un pennarello rosso aveva scritto: “Neut de l’Andrea, sii regordet?”. Un gesto semplice per ricordare a quel nipote che suo nonno, Andrea Della Bosca, era stato un pescatore leggendario ai tempi in cui portare a casa un po’ di pesci significava mettere qualcosa sotto i denti. La testa della trota era esclusiva del nonno bis: diceva che lì era concentrato il meglio, ma credo fosse un modo per lasciare agli altri le parti nobili del pesce pescato poche ore prima nell’Adda. Un uomo libero l’Andrea: alla prima umiliazione subita in fabbrica, il calcio di un superiore, rispose lasciando lo stabilimento per sempre. Il fiume sarebbe stata la sua vita: meglio lottare contro l’astuzia dei pesci rispetto all’ottusità di qualche caporeparto. Le mosche, per esempio, se le costruiva da solo. Un lavoro paziente, certosino, da cui dipendeva la sua quotidiana sfida con il fiume e con quelle trote da leggenda come quella che lo aveva tenuto sulla corda per ore: era lunga come una vasca da bagno e ne aveva viste di tutti i colori. Per costruire quelle mosche Andrea ci metteva impegno e alcuni trucchi del mestiere. Come quello di utilizzare i peli della coda di cavallo, solo il maschio però: lo stallone quando gli scappa la fa in avanti, la femmina al contrario. E secondo il nonno, il pesce non avrebbe apprezzato una mosca con retrogusto (oggi si dice così, tutta colpa dei programmi di cucina!) di cavalla. Guardando quelle nove mosche chiuse nella scatolina di plastica penso a quanto la vita sia stata in salita a quei tempi. Oggi non è una passeggiata, ma le case con i muri che grondano umidità, il salto del pasto come sport popolare non sono la regola. Pescare oggi è passione, divertimento, turismo a contatto con la Natura, fuga dallo stress im-
Le mosche del nonno. (foto Giorgio Lanzi)
posto dall’era digitale dove basta una chiamata non risposta sul cellulare ad innescare mille congetture: come mai non risponde? Avrà perso il telefonino? Non vuole parlare con me? Ormai siamo messi così. C’è uno psicologo che per trovare un po’ di pace, lontano da pazienti e malati più o meno immaginari, prende tutto il necessario e va a pescare lungo le rive dell’Adda. Se lo chiami sul cellulare ti risponde: “Sto benissimo, sto pescando”. Morale: se lo stress vi assale, andate a pescare. Rilassa.
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V I C INI DI C ASA (1)
La gestione delle acque in provincia di Bolzano di Marco Corengia
Andreas Riedl.
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utto merito di internet. E non sto parlando delle ex fidanzate riagganciate su Facebook, i forum di pesca a mosca o il libero accesso alla cinematografia hard-core. Se una delibera della Provincia di Sondrio è arrivata fino in Alto Adige, il merito è tutto di Google e dell’ostinazione di Andreas Riedl. Stava cercando un barlume di speranza nella rete finchè non è riuscito a scoprire che - da qualche parte, in Italia – qualcuno aveva trovato il modo di intervenire in maniera energica di fronte a quelle invasioni di cormorani che stavano devastando fiumi e torrenti su tutto l’arco alpino. E se conoscersi grazie a un cormorano non era proprio
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il massimo, incontrarsi all’ombra del Sassolungo è stata l’occasione per scoprire come i problemi che condizionano le nostre acque non sono un’esclusiva solo valtellinese. La prima differenza che salta all’occhio è che, per esercitare la pesca in provincia di Bolzano, non basta come nel resto d’Italia il possesso della licenza di pesca, ma bisogna conseguire un’abilitazione attraverso il superamento di un esame. 53 domande selezionate tra un totale di 300 quesiti. Normativa provinciale, misure minime e tempi di divieto, norme di comportamento e ancora conoscenza delle attrezzature, delle specie ittiche e del loro habitat. Ogni anno si presentano alle selezioni tra i 350 e i 500 aspiranti pescatori. Di loro, un 70% otterrà l’abilitazione; agli altri toccherà aspettare l’anno successivo. In tutto i tesserati sono 12500 circa. “Il pescatore altoatesino – dice Andreas – è un pescatore “informato”, attento e responsabile. Formare un pescatore deve significare consolidare la sua coscienza ambientale, non solo in riferimento alla cattura del pesce ma anche verso la tutela e il rispetto dell’habitat nel quale il pesce vive”. A gestire la pesca in provincia di Bolzano è l’Ufficio Caccia e Pesca, che ne regola l’esercizio attraverso un disciplinare al quale devono sottostare acquacultori e gestori privati. Una forma di associazionismo che quindi vede la collaborazione tra l’ente pubblico e i soggetti privati titolari dei diritti. Infatti in Alto Adige sono i privati a essere “proprietari” di un determinato tratto di fiume o torrente; una forma catastale ereditata dall’antica amministrazione asburgica comune alla quasi totalità (il 92%) delle acque provinciali. Il diritto può poi essere venduto o assegnato in gestione ad altri soggetti. Proprietari, gestori e acquacultori – 131 soci in tutto – si radunano nel Landesfischereiverband, una sorta di federazione che li rappresenta e aiuta nella gestione delle acque. A guidarli è stato eletto proprio Andreas Riedl. 34 anni, laureato in ingegneria ambientale a Vienna, di lavoro fa il presidente della Federazione Protezionisti Sudtirolesi, una sorta di comitato che si batte per la tutela dell’Alto Adige di fronte al sovrasfruttamento del territorio. E’ stato eletto presidente a 31 anni. Non ha promesso semine di pronta pesca o l’abbassamento delle misure minime. Ha chiesto soltanto “che la pesca seguisse la potenzialità propria di ogni corso d’acqua”. La scommessa portata avanti dal Fischereiverband si Chiama Programma Marmorata, che è la prosecuzione di un progetto interreg, varato nel 2003 e portato avanti per 5 anni. L’Ufficio Caccia e Pesca ha individuato 300 km nei quali sono state seminate marmorate allevate nel centro ittiogenico di Merano selezionate geneticamente; contemporaneamente negli stessi tratti la semina di fario è stata proibita, così da ridurre il rischio di ibridazione tra le due specie.
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© Georg Holzer
© Georg Holzer
I pesci vengono seminati nelle primissime fasi del loro stadio evolutivo, ossia avannotti con sacco vitellino o attraverso il cocooning, una sorta di incubatrice per le uova di marmorata alternativo alle scatole vibert progettate dal ittiologo Georg Holzer e validate dall’Istituto di idrobiologia di Vienna. Si tratta in pratica di una serie di contenitori cilindrici con passaggi a retina fine, dove può
circolare esclusivamente acqua corrente, dentro i quali vengono collocate uova fecondate, solitamente con un massimo di circa 2000, insieme a ghiaia pulita. In seguito si sceglie un tratto di fiume a corrente uniforme dove viene steso un letto di ghiaia di granulometria 16-32mm e vi si impiantano fino a 5-6 cocoon. Nella stessa area (ma fuori dai cocoon) vengono depositate migliaia di uova con metodo tradizionale. La differenza più evidente rispetto alle classiche scatole vibert, dove le larve sono abbandonate fin da subito al flusso della corrente è che, a conti fatti, il cocoon costituisce una sorta di nursery protetta dove le uova possono schiudersi al sicuro da minacce esterne, come insetti acquatici, pesci predatori o violente alterazioni di livello. Un sistema chiuso e quindi controllabile, che fa da indicatore della buona riuscita o meno della schiusa di uova, anche quelle poste esternamente al cocoon stesso. “Al momento i risultati arrivano ma a rilento. Le cause che condizionano il successo dell’iniziativa sono da ricollegarsi agli sbarramenti presenti sui piccoli affluenti dei fiumi principali, quei corsi d’acqua minori che la trota marmorata è solita risalire per deporre le uova
© Georg Holzer
prima di tornare nel grande fiume. Le stesse acque che costituiscono l’habitat di accrescimento delle trotelle nei primi stadi evolutivi. Problemi che si accompagnano alla difficile coabitazione tra marmorate in fase di accrescimento e le trote iridee adulte seminate per accontentare i pescatori più impazienti”. Per quanto riguarda il temolo, i problemi che condizionano la vita della specie in Alto Adige sono molto simili a quelli valtellinesi. “Gli svasi – primo fra tutti quello della diga di Val Senales nel 2001 – alterano pesantemente l’ecosistema. Stesso discorso per gli sbalzi di livello improvvisi conseguenti alle operazioni di turbinamento a scopo idroelettrico. Una domanda che è aumentata sensibilmente da quando – tra il 2005 e il 2006 – il mercato europeo dell’energia elettrica è stato privatizzato”. Il dialogo con le società idroelettriche è sempre duro, ma da quando il vecchio gestore locale è stato coinvolto - insieme ad alcuni politici – da uno scandalo legato all’assegnazione “pilotata” delle nuove concessioni di sfruttamento, sembra che la politica si sia fatta meno arrogante e si sia instaurato un dialogo più proficuo. Come sempre, uno dei problemi più impattanti
è quello del deflusso minimo vitale e delle piccole centraline. I numeri parlano chiaro: in provincia di Bolzano ci sono 822 impianti che producono meno di 220 kw, 144 tra il 220 e i 3000 kw e 30 sopra i 3000 kw. Questi ultimi 30, da soli, producono l’87% di tutto l’idroelettrico provinciale. Gli altri rispettivamente il 2% e l’11%. Anche qui – come in Valtellina – la conseguenza è ovvia: ci sono un’infinità di © Georg Holzer
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Kortschersee (foto Marx Klaus)
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piccole centraline che producono una quantità di energia assolutamente trascurabile ma che provocano – ognuna moltiplicata per 784 – un grandissimo danno ambientale. Anche il venir meno dei silos – quei “buconi” scavati dai cavatori di ghiaia nel letto del fiume Adige che fungevano poi da oasi di riparo per i pesci, ha contribuito all’alterazione dell’ecosistema, dato che vengono a mancare quelle aree di decantazione dove sabbia e ghiaia trasportate dalle montagne potevano depositarsi. La conseguenza è stata l’inevitabile insabbiamento del corso del fiume e l’abbassamento della falda. Dei cormorani abbiamo già detto; forse quello che varrebbe la pena sottolineare ancora una volta è che, il risultato ottenuto da anni in Valtellina con gli abbattimenti dissuasivi, rimane ancora qualcosa di pionieristico; un esempio al quale diversi enti gestori guardano con interesse e una certa ammirazione. Più o meno come in provincia di Sondrio, i cormorani sono arrivati in Alto Adige tra il 2000 e il 2001; prima hanno fatto tappa nei laghi di bassa quota; con l’arrivo dell’inverno i laghi si sono ghiacciati e gli uccelli hanno pensato bene di spostarsi lungo il corso dei fiumi, Adige in testa, dove hanno razziato senza freno. Nella battaglia contro gli uccelli ittiofagi il Fischereiverband si è dovuto scontrare contro la Lega Antivivisezione che si è opposta agli
abbattimenti. “Al momento l’ipotesi di abbattimenti si è arenata di fronte al TAR (presso il quale le associazioni ambientaliste avevano fatto ricorso) ma una breccia sembra aprirsi in riferimento alle linee guida dell’Unione Europea – in particolare l’articolo 9 della direttiva habitat – che autorizzerebbe gli abbattimenti di cormorani qualora presentassero una minaccia per le specie autoctone di temolo e marmorata.” Oltre alla delibera della Provincia di Sondrio, l’associazione si è stretta in un gruppo di lavoro – l’Argefa – al quale partecipano anche le federazioni dei pescatori di Svizzera, Germania, Austria, Liechtenstein e Slovenia. I rappresentanti si ritrovano un paio di volte l’anno per fare il punto e confrontarsi sulle tematiche che ruotano attorno al mondo della pesca, come l’idroelettrico, gli svasi e il problema cormorano. L’idea che sta alla base di questa iniziativa è tanto elementare quanto efficace: unire le forze così da far arrivare la propria voce laddove si prendono le decisioni che contano, presso le autorità politiche regionali, nazionali fino ai vertici dell’Unione Europea. Una strategia che – in un contesto frammentato come quello italiano – sicuramente aumenterebbe il peso politico delle associazioni di pescatori sparse sul territorio nazionale, costrette spesso a fronteggiare – ognuna per suo conto – problemi comuni a tutti gli ecosistemi fluviali.
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APPRO F ONDI M E NTO
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(foto Valter Bianchini)
di Pierpaolo Gibertoni
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pesso mi sono trovato durante conferenze e seminari ad illustrare l’importanza del buon uso del tesserino segna catture laddove si vuole operare una razionale gestione delle attività piscatorie e soprattutto della risorsa ittiofaunistica. Ma andiamo per gradi in modo da poter realmente comprendere l’indispensabilità di tale strumento di indagine. Si, proprio di indagine, poiché in un dato comprensorio, al fine di gestire e programmare interventi come ripopolamenti e semine si deve regolarmente effettuare censimenti nei torrenti mediante elettropesca; da tali campionamenti emerge lo stato dei popolamenti rispetto alla costituzione
dei medesimi, al rapporto tra giovani e anziani, agli accrescimenti medi annui (fondamentali per tarare corrette misure minime legali), alle densità e concentrazioni, ecc. Esiste però anche la necessità di valutare con buona stima il prelievo, quantomeno quello operato dai pescatori, al fine di elaborare le politiche di ripristino delle popolazioni mediante la pratica dei ripopolamenti e delle immissioni. E qui entrano in gioco i tesserini segna catture o segna pesci. Se il tesserino è ben strutturato, se cioè contiene codici riferiti a tratti significativi di fiumi importanti, di torrenti e di laghi, si potrà alla fine di ciascuna stagione verificare quanti pesci sono stati
L’importanza del tesserino segnacatture
maggiormente catturati esemplari adulti di La risalita di una trota una briglia del fiume Mera questa specie e lì inizieranno le ricerche con su a Gordona. elettropesca con evidente maggior possibi- (foto Claudio Poesigni) lità di buon esito dell’operazione. Inoltre se si volesse PERMESSO n° S/ attuare una politica di maggior salLIBRET vaguardia di una T SEGNAP O data specie, per ESCI esempio a seguito di fenomeni naturali, come le piene alluvionali, o artificiali come gli svasi e le fluitazioni di inerti dalle dighe, mediante attenta elaborazione dei dati si può capire a quanti pescatori tali UNIONE PES eventuali StAgIONE PROVINCIA CA DI SONDRIO provvedi2013 menti più spazio applicaz ione del bollin o dei permess i Mosca/Artificia zone li Turistiche
pescati da un determinato corpo idrico. Se poi il prelievo è dettagliato rispetto alle specie ittiche catturate ed alle dimensioni, magari espresse in cm, allora il quadro inerente alla perdita di ittiofauna con la pesca è ben definito. A questi dati generalmente si aggiunge il prelievo non piscatorio, per esempio dato da avifauna ittiofaga, aironi e cormorani, sulla base delle presenze e frequentazioni medie storiche dei medesimi sui vari corpi idrici, ed ecco che prende forma il reale e complessivo prelievo che può essere compensato da una giusta azione di ripopolamento e semina. Ci sono poi dei casi particolari in cui si debbono prendere decisioni in merito a regolamenti e innovazioni; anche in questo caso si può fare riferimento alle “abitudini” dei pescatori e alle loro caratteristiche raccolte con una corretta compilazione del tesserino. Per esempio se si vuole iniziare una campagna di cattura e riproduzione di una specie particolare, mettiamo la Marmorata, si dovrà andarla a cercare dove è più facile che si trovino esemplari adulti che generalmente stazionano in tratti con certe caratteristiche oppure in torrenti con acque e fondali idonei. Da una rapida consultazione dei tesserini si potrà verificare in quali torrenti o in quali tratti di Adda o Mera sono state
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(foto Valter Bianchini)
restrittivi sono realmente indirizzati e concepire per conseguenza “compensazioni di mitigazione”. Faccio un esempio concreto: a seguito degli svasi di Cancano è evidente che i popolamenti ittici dell’Adda subiscono perdite ed in particolare una specie sembra soffrire più delle altre, il Temolo; tra le azioni gestionali di salvaguardia si decide di valutare per un dato periodo, mettiamo due anni, un minor prelievo che però si deve indicare con esattezza. Dal controllo delle elaborazioni dei dati inseriti nei tesserini potrebbe risultare che su 2.000 pescatori che praticano la pesca al Temolo solo 400 trattengono il pescato e che tra questi circa 100 tengono ogni anno 20 esemplari adulti e che gli altri 300 pescatori trattengono mediamente 6 Temoli adulti all’anno. A questo punto se ci fosse la necessità di tutelare i riproduttori selvatici di temolo al fine di consentire ingenti numeri di
Il libretto segnapesci VA RESTITUITO. Non ci interessa sapere quanto siete stati bravi. Dall’analisi dei dati relativi alle catture si possono dedurre una serie di informazioni che non immaginate nemmeno. In buona parte, le future politiche gestionali passeranno da qui. 34
riproduzioni naturali e per conseguenza maggior probabilità di resa delle freghe stesse per rimpinguare i contingenti andati perduti con gli svasi, si potrebbe ridurre da regolamento il prelievo massimo procapite per esempio a n° 10 esemplari sapendo sin dall’inizio che tra tutti i 2.000 pescatori di temoli andrei solo a penalizzarne un centinaio, pari al 5% del totale. Passati questi due anni di limitazioni, verificato lo status delle popolazioni mediante censimenti ittici e verificati i prelievi e la distribuzione dei medesimi dalla consultazione dei tesserini segna catture, potrebbe magari evidenziarsi una buona ripresa della popolazione del Temolo con sospensione o abrogazione del provvedimento di salvaguardia adottato in precedenza e ripristino delle norme originali. Ci sono poi altri casi in cui l’analisi dei dati adeguatamente elaborati può consentire di valutare danni ambientali alla fauna ittica per la corretta quantificazione di un danno economico correlato. Questo è il caso concreto del Lago di Livigno, in cui l’incidente avutosi alle opere di scarico della diga nella primavera scorsa potrebbe aver impoverito le popolazioni ittiche presenti, come per esempio il salmerino Alpino. Anche in questo caso l’analisi delle elaborazioni storiche sugli andamentali ci può dare importanti informazioni sulla correlazione tra sforzo di pesca e cattura e sulla taglia degli esemplari trattenuti, in modo da operare una corretta azione di risarcimento e ripristino delle condizioni precedenti all’incidente. Per concludere possiamo di certo affermare che oggigiorno non è più possibile gestire la risorsa ittiofaunistica con approssimazione e superficialità e che per operare in scienza e coscienza lo strumento del tesserino segna catture è di fatto indispensabile. Più volte in questo articolo compare il termine “elaborazione” dei dati inseriti nei tesserini; infatti di fronte ad una notevole quantità di tesserini la mole di dati utilizzabili ai fini di cui sopra è talmente elevata e “preziosa” tale da necessitare di programmi di inserimento e analisi dei dati in modo rapido e funzionale. Solo così le annotazioni fatte dai pescatori divengono costituenti essenziali nelle politiche gestionali di territori organizzati in cui la pesca non è solo ricreazione e sport ma anche un importante fattore di “incoming” e destagionalizzazione turistica.
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T E C NI C H E DI P E S C A
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TENKARA:
tra moda e tradizione di Silvano Colleoni (foto Filippo Ferraioli)
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L
a pesca a mosca viene giudicata da alcuni una tecnica sofisticata che fa assumere a chi la pratica un atteggiamento di snobistica superiorità nei confronti di chi utilizza altre tecniche: in realtà essa è una tecnica antichissima, praticata fin dai tempi più remoti e non certo per ragioni estetiche o di autocompiacimento. Una delle prime testimonianze scritte risale a un opera di Claudio Eliano intorno al 200 d.c., ben prima quindi che fosse descritta come attività “sportiva” dalla badessa di Sopwell, dama Juliana Bernes, alla fine del XV secolo (1486). In Italia la prima opera scritta che descrive diffusamente e con una certa precisione la pesca a mosca è di Eugenio Raimondi che in un suo libro del 1621 arriva a dare il “dressing” di alcune mosche per la trota da usarsi a seconda dei vari mesi dell’anno. Ovvio che il Raimondi, bresciano di Gavardo, nulla si era inventato di suo: aveva semplicemente osservato all’opera umili pescatori che, con questa attività, cer-
cavano di arricchire il contenuto di proteine del menu quotidiano delle loro famiglie. L’arte di pescare con la mosca artificiale non è stata quindi inventata da nobili nullafacenti ma nasce dalla geniale intuizione di chi aveva come unico scopo quello di incrementare le proprie possibilità di sopravvivenza insieme a quelle della propria famiglia. In particolare, nel Nord Italia troviamo ancora oggi robuste tracce di come essa veniva praticata: senza scomodare trattati scientifici o opere d’arte che ce la illustrano, è sufficiente guardare alla memoria dei nostri vecchi o alle tradizioni tramandate spesso solo oralmente di padre in figlio e molto radicate in alcune valli alpine. Che si chiami Ossolana, Valsesiana o Farfallina (è questo il nome che la disciplina ha preso in Valtellina), la tecnica è sempre molto simile e consiste nel lanciare una mosca artificiale attraverso l’impiego di una canna fissa e di una rudimentale lenza rastremata verso la punta. Una volta questo terminale era realizzato con
peli di cavallo maschio, visto che quelli della femmina erano ritenuti poco adatti in quanto indeboliti dall’azione corrosiva dell’urina. Ancora oggi, specie in Lombardia, il termine che definisce il finale della lenza è “sedal” che indica chiaramente come la “setola”, o pelo animale, fosse il materiale di costruzione più usato. Ciò che invece differisce molto tra le varie valli è il modo di realizzare gli ami e la vestizione degli stessi. Ciò perché, come è ovvio, una volta le condizioni di impiego erano diverse di valle in valle e, soprattutto, variava la facilità con cui venivano reperiti alcuni materiali di costruzione invece di altri. Di recente, nel mondo della pesca a mosca sono tornate di moda alcune di queste tecniche; inoltre tecniche simili sono state “importate” dagli angoli più remoti del globo. In particolare, dal Giappone è stata importata la tecnica della tenkara che - come si può dedurre nel riquadro di approfondimento - non ha nulla di diverso dalla Valsesiana se non l’impiego di canne più morbide, più corte e di una sola mosca anziché trenini di tre o cinque moschette e altri particolari ancora meno significativi. Occorre chiedersi, a questo punto, se l’impie-
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(foto Valter Bianchini)
go di queste tecniche trovi nel presente una giustificazione concreta o non consista in una semplice moda passeggera, come le tante che
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oggi assediano il nostro vivere quotidiano. Grafite, boron e altri materiali più o meno spaziali sono oggi di impiego pressoché generalizzato nel mondo della pesca in genere e di quella a mosca in particolare; oltretutto, fare ricorso a queste tecniche “vintage” risulta in genere meno performante rispetto all’impiego di una canna da mosca “all’inglese”, sia essa realizzata in bambù oppure con la grafite di ultima generazione. A proposito di ultima generazione mi viene da pensare che già oggi potremmo suggerire a qualche autore letterario in crisi di argomenti la scrittura di una nuova genesi nella quale elencare tutte le generazioni di grafite che si sono succedute nel corso degli ultimi 20 anni. È comunque evidente che l’impiego di canna da mosca e coda di topo può far pescare a 15 metri anche un lanciatore di capacità mediobasse, mentre con le canne fisse il raggio di azione efficace si riduce a 5-8 metri al massimo. Una tecnica che meriterebbe di essere presa in considerazione anche solo per la valenza propedeutica che riveste nei confronti di altre tecniche di lancio: una canna fissa con 4 o 5 metri di lenza è sicuramente più facile da utilizzare e l’azione risulta certamente più istintiva, consentendo un primo approccio a tecniche di lancio ben più complesse, indipendentemente da quali esse siano e da come vengano insegnate dalle varie scuole di pesca a mosca. Anche su questo argomento l’autore in crisi di argomenti di cui sopra avrebbe il suo bel da fare nell’identificarle e distinguerne concetti e stili. Anche sul piano esistenziale questo rifarsi a tecniche proprie di un passato ormai lontano ci fa capire quanto sia forte l’aspirazione alla semplicità – o per meglio dire, all’essenzialità - da parte di tanti pescatori che rifuggono, avvertendoli come estranei, il ricorso a terminologie latine o anglosassoni per definire tutto quanto appartiene al mondo della pesca a mosca: dalle attrezzature alle tecniche di lancio, dagli insetti alle loro imitazioni. Quello che più conta per i praticanti di tenkara ecc.. è sentirsi a diretto contatto con la natura senza la mediazione di teorie e tecnicismi vari. Non voglio semplificare ad ogni costo: la pesca sportiva praticata oggi è certamente un fenomeno anche culturale, in quanto la sua storia è intimamente legata alla storia dell’evoluzione umana, ma la gran parte di noi va a pescare per bisogno di relax e di evasione dalle pre-
occupazioni di tutti i giorni e per far questo non è certo necessario possedere una laurea. Sul piano tecnico ho due osservazioni da fare per quanto concerne la tenkara. Come prima cosa credo che canne flessibili e terminali sottili non siano adatti alla pesca di pesci di taglia, in quanto ne rendono difficoltoso il recupero veloce e finiscono per stressare il pesce, favorendo l’accumulo di acido lattico, finendo quindi per aumentarne la percentuale di mortalità dopo il rilascio. Raccomando quindi a tutti quelli che la praticano di riservare questa tecnica agli stessi ambienti in cui è nata - i torrenti - e alle prede di mole più contenuta. La seconda, più che una osservazione, è l’esternazione di un mio personale timore, ovvero che tale tecnica venga snaturata e modificata con l’utilizzo di éscamotage derivati dalla tecnica a mosca all’inglese, quali la ninfa piombata o lo strike indicator. Per chiarire meglio il mio pensiero segnalo a chi legge che di recente le nostre guardie hanno trovato in una zona di pesca a mosca qualcuno che pescava a streamer con una canna fissa da 8 metri: ovvio che questo non rientra né nella tenkara né nella valsesiana. So con questo di addentrarmi in un vespaio, ma ho di recente assistito all’espansione di tecniche di pesca a mosca che, a mio modo di vedere, hanno il solo scopo di ottenere un maggior numero di catture sacrificando sull’altare della quantità altri aspetti legati alla qualità - quali il lancio e la posa - che nella pesca a mosca hanno un’importanza preponderante soprattutto ai fini della propria personale soddisfazione. Per chiarire meglio e spegnere sul nascere ogni velleità polemica, anch’io pesco a ninfa se le condizioni lo impongono, ma appena posso ne faccio a meno e ricorro ad altre tecniche quali la sommersa o la secca, purtroppo sempre meno praticabili in valle a causa della condizione delle acque e della scarsità di schiuse. Certo si tratta di una mia personale scelta e non posso pretendere che tutti vi si attengano, ma insistere con tecniche non adeguate alle condizioni di pesca del momento mi lascia quantomeno perplesso. In conclusione, ognuno peschi come gli pare: l’importante è rispettare il regolamento, mantenere un atteggiamento di lealtà nella sfida con il nostro avversario subacqueo e un minimo di fair play verso chi condivide con noi la gioia di stare sul fiume.
Scheda tecnica Tenkara a cura di Filippo Ferraioli
Una mosca, un finale, una treccina e una semplice canna fissa: questa è l’essenza di una nuova quanto antica disciplina alieutica, quella della “pesca a Tenkara”. Si tratta di una tecnica che trae le proprie origini sia dal lontano oriente - ove tale parola descrive il modo in cui la mosca si posa delicatamente sull’acqua (in giapponese letteralmente “caduto dal cielo”) - sia dalle vicine regioni del Nord-Ovest italiano, ove con il nome di “Valsesiana” si usa indicare ancora oggi questo metodo di pesca essenziale. Naturalmente quella che oggi è considerata una pratica sportiva, in entrambi i luoghi di provenienza costituiva il primario strumento di sussistenza. Avvicinarsi alla “Tenkara” significa spogliarsi del superfluo per riuscire a cogliere l’essenza della pesca a mosca. Tale tecnica è particolarmente adatta ad acque dal corso rapido, ma può rivelarsi proficua anche su fiumi di media valle. Personalmente ho sperimentato con ampia soddisfazione alcune acque valtellinesi, quali i torrenti Liro, Scalcoggia, Masino e il fiume Mera sia a monte sia a valle di Chiavenna. La tipologia delle acque ha regalato prevalentemente trote fario e Iridee, anche di taglia, ma tale tecnica permette ovviamente di insidiare anche temoli, cavedani e tutti gli altri pinnuti normalmente propensi ad avvicinarsi alle nostre mosche artificiali. Per iniziare la pratica di questa tecnica occorrono: • canna tipo “Tenkara”, la cui lunghezza può variare da m 3,20 a m 4,50, e la cui azione si indica con una coppia di numeri 5:5, 6:4, 7:3, 8:2 (una canna parabolica viene contrassegnata con 5:5 mentre una canna potente e di punta sarà contraddistinta dall’indicazione 8:2); • treccia conica multi filo in Nylon o Carbonio; • un tip di lunghezza pari a cm 120 /150; • una mosca artificiale. • una bobina avvolgi lenza Naturalmente il finale e ancor più le mosche artificiali risponderanno a specifiche esigenze di pesca e alle abitudini personali di ciascun pescatore. Per evidenziare la redditività di questa appassionante tecnica segnalo che le mie battute di pesca estive in Valtellina sono state caratterizzate dall’utilizzo di un solo tipo di mosca (Royal Coachman) con varianti nella sola misura. Il passaggio alla “Tenkara” richiede una prima fase di assestamento, nella quale spogliarsi della gestualità e dei movimenti propri della tradizionale pesca a mosca con coda di topo, ma l’apprendimento è rapido e le soddisfazioni non tardano ad arrivare. Per le “nuove leve” o “aspiranti pescatori a mosca”, laddove questi non abbiano già preso confidenza con la “coda di topo”, le tecniche “Tenkara” e/o “Valsesiana” possono rappresentare una valida scuola per cogliere l’essenza della pesca a mosca. 39
L E TTI P E R V OI
Il fiume delle verità di Mario Messina
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avid James Ducan è uno scrittore americano nato a Portland nello stato dell’Oregon, soprannominato lo stato dei castori perché rappresenta una regione ricchissima di fiumi e di aree incontaminate situate sulla sponda americana del Pacifico, a poche centinaia di chilometri dal confine con il Canada. L’interesse per James Ducan discende dal fatto che è un pescatore a mosca ed un ambientalista convinto, impegnato attivamente nella campagna per la conservazione del salmone selvatico. In particolare fa parte di alcuni comitati che conducono una serrata battaglia per l’abbattimento di quattro dighe che ostacolano la risalita dei salmoni del Pacifico lungo lo Snake River, uno dei più lunghi fiumi del Nord America che nasce nelle Montagne Rocciose, nel Parco Yellowstone (Wyoming) e scorre per una lunghezza complessiva di 1.670 km attraverso gli stati del Wyoming, Idaho, Oregon, e Washington prima di confluire nel Columbia River. Ducan è autore di numerosi scritti ma noi siamo interessati ad un romanzo in particolare dal titolo “The River Why?” (letteralmente “ il fiume perché?” più liberamente “ il fiume delle
verità”) che tratta di pesca ed in particolare di pesca a mosca. Il romanzo è reperibile esclusivamente in lingua inglese; pertanto, per poterlo apprezzare pienamente è necessario avere una buona padronanza di tale lingua. Fortunatamente dal romanzo, a distanza di circa venti anni, è stato tratto un film, pure in lingua inglese, del quale, tuttavia è possibile scaricare i sottotitoli da internet. Si tratta di un film sulla pesca a mosca che, pur non raggiungendo il livello di “A River Runs Througt” (In mezzo scorre il fiume), è comunque abbastanza gradevole, soprattutto per le bellissime immagini di paesaggi incontaminati, di fiumi incorniciati da giganteschi alberi secolari, da una vegetazione lussureggiante, da rocce coperte di muschio verde, ed inoltre, e questo non guasta, sono presenti bellissime scene di pesca. Il romanzo, e quindi il film, è ambientato nell’Oregon in una località vicino a Portland e narra la storia di Gus Orviston “il Mozart dei pescatori a mosca”. Gus nasce in una famiglia di pescatori: la madre pesca con esche naturali, mentre il padre
Henning Hale Orviston è un raffinatissimo pescatore a mosca ed è autore di svariati libri tra i quali uno sulla pesca di grande successo. I due, conosciutisi sulle rive di un fiume durante una battuta di pesca, prima litigano per la cattura di un grosso pesce, poi finiscono per innamorarsi e si sposano. Gus, essendo nato in una famiglia di pescatori vive con l’idea fissa dell’ acqua, il suo unico dilemma nei primi anni di vita è stato quello di orientarsi verso le esche naturali o quelle artificiali. I continui contrasti e le liti tra i genitori convincono Gus, una volta divenuto adulto, a lasciare la casa paterna ed a stabilirsi in una capanna sulla riva di un fiume per dedicarsi esclusivamente alla pesca a mosca. Aggirandosi sul portico posteriore della baracca, il giovane osserva il bellissimo fiume che scorre sotto di lui e, pieno di gioia e di entusiasmo, predispone il programma della sua permanenza che prevede quattordici ore e mezza di pesca al giorno. Durante questo isolamento Gus incontra un assortimento di personaggi eccentrici che lo aiutano nel suo viaggio alla scoperta di sé.
Incontra Titus, un professore di filosofia che cerca di spiegargli il significato della vita, una numerosa famiglia, un giornalista e, sempre sulla riva di un fiume, la bella pescatrice Eddy, una ragazza misteriosa della quale si innamora. La ragazza conduce lentamente Gus a momenti di autorisveglio e quindi ad una migliore comprensione dei suoi genitori e del mondo intorno a lui. Nel romanzo di Ducan la pesca rappresenta la metafora della ricerca umana della conoscenza di sé. Il programma perfetto - il piano del giovane Gus per ottenere il numero massimo assoluto di ore al giorno di pesca - si rivela un fallimento terribile, si rende conto rapidamente che non è appagante e scopre che ci sono cose più importanti della pesca e, che queste cose, possono portare a cose più grandi ancora.
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UPS C ONSIGLIA
Il Lago Nero in comune di di Giorgio Lanzi
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I
n entrambi i versanti dell’arco alpino di laghi denominati “Lago Nero”,in tedesco “Shwarzsee”, ne esistono a centinaia. Questi specchi d’acqua, ubicati in genere tra i 1.800 e 2.500 mt. s.l.m., sono in buona parte di origine glaciale caratterizzati da acque profonde e cupe circondati per buona parte da rocce che li rendono ancora più tenebrosi. Ecco perché nell’immaginario delle popolazioni
montanare questi laghetti nel passato sono stati fonte di varie credenze e di leggende funeste, come quella in cui si racconta che una principessa e il suo amato pastore vennero gettati nel lago Nero di Gavia. Oppure la voce secondo la quale nel periodo delle guerre diverse persone furono affogate nel lago Nero di Campagneda. Con i poveri malcapitati che una volta buttati li dentro - andavano incontro a morte sicura a causa delle loro acque gelide.
di Foscagno
Valdidentro
nata vengono ombreggiati dalle cime che li circondano. Questa volta come itinerario di pesca abbiamo scelto uno di questi suggestivi laghi, il “Lago Nero di Foscagno” nei pressi della cima Foscagno che sovrasta l’omonimo passo inserito
Un laghetto incantevole facile da raggiungere anche con la famiglia
(foto Valter Bianchini)
Questi laghi hanno caratteristiche idromorfologiche diverse, ma in tutti prevale la medesima caratteristica, cioè quella di essere scuri e neri per buon parte della loro superficie, alcuni sono profondi quindi la luce non riesce a penetrarli, altri per buona parte della gior-
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SCHEDA TECNICA
(foto Valter Bianchini)
Lago Nero di Foscagno (m. 2.550 s.l.m). Latitudine nord 46°30’46’’ Longitudine est 10°13’14’’ Località di partenza: Passo di Foscagno mt. 2.300 – in prossimità Caserma Finanza Dislivello: m. 350 Salita complessiva: 1.00/1.30 ore Caratteristiche: naturale – conica asimmetrica – Superficie: 1,7 ha (circa) Profondità max. 5,40 m. – Rive: prateria alpina - sfasciume Specie ittiche presenti: Trota Fario – Trota Iridea - Sanguinerola Ripopolamenti: semine annuali di novellame cm. 4/12 Fario n.1000 - Iridea n.200 (dato 2013) a mezzo elicottero Tecniche di pesca: tutte – consigliata mosca e moschera
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tra il Monte Rocca (mt.2.810) e il Dossa Resaccio.(mt.2.719) dove le credenze popolari di una volta lasciano ora spazio alle bellezze dei luoghi, un posto ameno dove gli amanti della montagna e i pescatori possono ammirare un laghetto incantevole facile da raggiungere a piedi anche con la famiglia. Per potere accedere a questo lago ci sono due possibilità: dal Passo del Foscagno oppure dalla Val Vezzola, ma noi vi consigliamo il primo che è un percorso alla portata di tutti. Una volta raggiunto il passo di Foscagno si può lasciare l’auto in prossimità del parcheggio antistante la dogana. Da qui, a lato del piazzale vicino alla Caserma della Finanza si prende il sentiero segnalato con il numero “131” che prosegue a mezza costa in destra orografica rispetto al torrente Foscagno di Livigno. Continuando lungo il percorso, ben segnalato, si può ammirare il paese di Trepalle (il comune più alto d’Europa) e il Monte della Neve dove sorgono gli impianti di risalita. Si cammina costantemente in media pendenza senza mai abbandonare il sentiero principale, che in taluni punti ne incrocia altri che scendono verso la valle, diventando progressivamente sempre più ripido e faticoso ma comunque ben segnalato e privo di pericoli. Il tratto ripido non supera comunque i 250 mt circa. Terminato il pascolo estivo si cammina tra grandi massi fino a raggiungere un valico (2.650 m.) dove la vista può sconfinare fino al gruppo del Bernina mentre in lontananza si comincia a intravvedere anche uno scorcio del lago di Livigno e il Rio Torto. Dopo lo scollinamento si arriva ad un bellissimo ampio pianoro, qui bisogna prestare attenzione a non perdere di vista le bandierine bianche e rosse pitturate sui sassi finchè non si inizia una piacevole discesa tenendo bene la destra. Dopo una quindicina di minuti appare il lago Nero (mt.2.550) adagiato in un’ampia conca sfavillante. Le rive sono prevalentemente erbose e sul lato sud sono presenti diversi massi di varie dimensioni, residui terminali dello sfasciume del sovrastante monte Rocca.
si poteva esercitare la pesca esclusivamente a mosca no/kill, dopo questo periodo è stato liberalizzato a qualsiasi tecnica di pesca. Nel lago è presente una popolazione ittica ben strutturata, costituita da trote fario, iridee e sanguinerole (bamalo). Le immissioni vengono effettuate tramite l’elicottero nel periodo estivo insieme agli altri laghi alpini naturali situati nel bacino dello Spoel.
Due esemplari di trota fario catturati nel Lago Nero di Foscagno. (foto Giorgio Lanzi)
(foto Valter Bianchini)
Da qui si può apprezzare lo scenario che abbiamo di fronte: sullo sfondo, da est a ovest, si possono riconoscere l’Ortles, il Gran Zebrù, il ghiacciaio dei Forni ed il Pizzo Tresero. Il lago è un piccolo specchio d’acqua di circolo glaciale, di forma conica asimmetrica, con una profondità massima stimata di poco superiore ai cinque metri e un bacino di alimentazione molto limitato. Il fondo è irregolare con grandi massi verso la parte più profonda e melmoso in prossimità dello scarico; l’alimentazione è legata a piccoli immissari stagionali (scioglimento delle nevi) e all’apporto delle precipitazioni. In particolare nel periodo luglio/agosto, nell’immissario più importante è possibile vedere, con le dovute cautele, trote e sanguinerole che rimontano lungo il primo tratto di questo rivolo che poi nel proseguo andrà in secca . La colonna d’acqua è molto trasparente e termicamente stratificata lungo l’estate. Il lago è oligotrofico. La depressione del lago adagiata per buona parte in mezzo alla prateria e la presenza nel periodo estivo del bestiame al pascolo favoriscono una consistente presenza di insetti, rendendo il lago idoneo alla pesca a mosca senza comunque escludere tutte le altre tipologie di pesca. Dal 2005 al 2009 nel lago Nero di Foscagno
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(NON) TIRATE TROPPO LA CORDA
La pesca al femminile ovvero il LATO B della pesca
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non stiamo parlando di quelle rarissime temerarie che si avventurano in questo universo maschile. Sono casi eccezionali di donne che si cimentano con ami e nodi sui fili, canne da pesca e mulinelli, e non hanno paura di sporcarsi le mani con i vermi. Sfidano gli uomini su un terreno tutto loro e non temono le inevitabili ilarità. Solo per questo meriterebbero la licenza gratis. Anzi si potrebbe fare come nelle discoteche dove le donne entrano gratis... per attirare sul fiume ancora più pescatori/predatori/allocchi maschi. Le boschine tornerebbero quelle di una volta... allegre e piene di vita. Stiamo invece parlando di noi donne compagne dei pescatori. Siano esse mogli, fidanzate, conviventi, amanti, mamme, la pesca riserva sempre gioie e dolori. Partiamo dalle mamme. Sono contente e spronano i figli ad avvicinarsi ad uno sport sano, a contatto con la natura, lontano dai bar, che fa andare a letto presto. Ma poi…. cominciano alcune frasi del tipo:
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“devi studiare”, “te ghe sé mai” o addirittura “lascialo stare in cima alle montagne che fa meno danni che in città”. Poi arrivano le fidanzate e il sesso debole diventa forte. Il maschio pescatore, anche il più incallito, sente vacillare le proprie convinzioni, i progetti di pesca scricchiolano e tende a sbandare di fronte a tutte quelle curve. E’ come guidare una potente cabrio, sulle dolci colline toscane, in una bella giornata di primavera: irresistibile. Le frasi più ricorrenti sono: “non vorrai mica andare a pescare e lasciarmi sola?” “Domani mattina dormi che stasera ti invito a cena!” “Vengo anch’io sul lago in tenda!!” Questo è il momento di maggior forza di noi donne: le nostre armi naturali battono 10 a 1 il fantoccio/pescatore che è completamente nelle nostre mani. Siamo alle mogli. Qui il discorso si fa più articolato e complesso, anche perché il rapporto deve essere impostato per durare nel tempo. Ci sono coppie che stipulano contratti prematrimoniali, spesso richiamati negli anni nei momenti di bisogno: numero massimo
(disegno di Camilla Corengia)
di uscite settimanali, mensili, annuali, non lasciare vermi in giro e soprattutto pesci da pulire... che schifo!! In questo caso la coppia deve essere forte perché all’inizio del matrimonio “il miele è dolce”, ma col passare del tempo il pescatore tende ad approfittarsene e la moglie a tollerare meno. E infatti si arriva all’amante….. Poi c’è la moglie/dittatore che sfruttando al massimo la fase del fidanzamento ottiene una posizione dominante e si rivolge al malcapitato pescatore dicendo: “domani non vai … c’è il pavimento da pulire .. e poi dobbiamo andare al supermercato …” oppure: “basta portar pesci che non li mangia nessuno!” oppure: “te la spacco in due la canna da pesca se metti ancora le camole in frigo!!” Per contro c’è anche la moglie perfetta del pescatore: “tesoro vai pure a pesca quando vuoi che a casa ci penso io…” “Sei andato fino in cima alla montagna, riposati che i
pesci li pulisco io... “sai amore che la trota la so cucinare almeno in 10 modi diversi …..” “prima di andare a dormire ti massaggio un po’ le spalle?” Sono casi rarissimi... Come gli uffici pubblici che funzionano in Italia. Una di queste, modestamente sono io. E alla fine entrano in gioco gli amanti: il pescatore incallito, se rimane tale, viene mollato dalla moglie e non si fa nemmeno l’amante. Se invece punta sull’amante allora c’è poco da dire: è un miracolo... è come se tornasse un ragazzo. Attenti però pescatori: è più facile che visto che siete spesso assenti l’amante ce lo facciamo noi. E’ per questo che voglio dare un consiglio a tutti i compagni pescatori: telefonate sempre se rientrate prima del previsto... Non si sa mai!! Clara V.
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Il TORO per G
entile signor Cambiaghi, innanzitutto grazie per la sua lettera. Come avrà modo di capire leggendo il resto della rivista è merce rara. Ancor di più se scritta a penna. La contrazione del temolo che lei denuncia è un dato che abbiamo ben presente e del quale ci stiamo occupando. Come già ci trovammo a scrivere sullo scorso numero, il depauperamento degli stock ittici – vale per i temoli ma anche per le trote - riguarda soprattutto le prime classi di età, quelle strutturalmente meno dotate per affrontare lo stress dovuto a un ecosistema così condizionato dagli svasi degli ultimi anni. Come avrà modo di leggere nell’articolo di Pierpaolo Gibertoni, anche lui – in veste di biologo al quale UPS ha commissionato degli studi sulle popolazioni ittiche dei nostri corsi d’acqua – crede nella necessità di valutare attentamente lo stato attuale della fauna ittica presente così da progettare piani di intervento. Inutile dire che rivedere i numeri dei pesci trattenibili è uno di questi. Non so se la cosa possa consolarla o meno, ma i problemi che stiamo riscontrando nelle nostre acque sono gli stessi che condizionano altre concessioni del nostro Paese. Proprio per stabilire un confronto proficuo con queste altre realtà, con loro stiamo cercando di stringere relazioni. L’intervista ad Andreas Riedl dell’associazione dei pescatori altoatesini è solo l’inizio.
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le CORNA
Risposta a una lettera mai spedita Gentili lettori, quando la dirigenza di UPS mi propose di occuparmi della rivista pensai subito a quale contributo avrei potuto dare per arricchire questa pubblicazione. La prima cosa che mi venne in mente fu quella di creare una rubrica che potesse dare spazio a quelle riflessioni sottaciute che si sentono qua e là; in riva al fiume o al bar quando stai compilando il permesso e ti trovi a fare colazione vicino ad altri pescatori pronti a scendere in acqua. Certo, non mi aspettavo sacchi di lettere e indirizzi mail intasati, ma neanche il deserto che mi si è presentato in questi mesi. E si che le polemiche non sono mancate. Peccato che, per farsene un’idea, la sola possibilità è stata far scorrere uno ad uno gli interventi che via via si accumulavano sui forum dedicati alla pesca in valle.
Le considerazioni da fare sono tante, a partire da una sana autocritica sul lavoro svolto o sulla scommessa non concretizzata di invogliare voi pescatori a scriverci. Che poi alla fine non voleva certo dire impegnarsi in trattati di idrobiologia o avanzare ipotesi sul patrimonio genetico dei pesci che – ancora per poco sostengono alcuni – sguazzano nei nostri fiumi. Un’altra chiave di lettura potrebbe suggerire una mancanza di fiducia in UPS e nel suo operato, che disincentiverebbe la gente a scrivere. Un po’ come il tasso di astenuti che di elezione in elezione aumenta senza soluzione di continuità. Bene, vorrà dire che – dopo FIPS e UPS – avremo anche noi la nostra “Terza Repubblica” che prometterà acque sempre pulite e un mare di pesci sempre pronti a farsi fregare amabilmente da noi pescatori. Personalmente, preso atto che qualche complimento per l’ultimo numero è anche arrivato e visto che in Italia non si dimette mai nessuno, ho pensato di fare un collage del meglio che ho
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potuto trovare sul web. Non prendetela come una rappresaglia; è solo un modo per mettere in piazza i problemi e provare a parlarne. Lanciare un sasso nello stagno per vedere se – dalle onde concentriche che si diffondono intorno ad esso – possano emergere spunti di discussione e confronto. In un primo momento pensavo fosse corretto riportare la paternità di quanto letto collegandolo al nick name di chi l’avesse scritto; circostanziarlo con una data. Ho preferito soprassedere perché, in questo caso, più che l’autore credo conti il senso di quanto espresso. Inutile negarlo, la statistica è impietosa: la quasi totalità dei pescatori si lamenta per un’asta fluviale – bacino dell’Adda e del Mera – violentata dagli svasi e dai rilasci per scopi idroelettrici. Possiamo darvi torto? Assolutamente no. UPS cosa fa per affrontare questo problema? Ammesso che qualcosa faccia, è sufficiente? Sono proprio queste ultime due le domande che agitano voi pescatori. Ho letto di gente “stufa di fare figure di m…a” con amici e conoscenti, chi si sente derubato dei soldi del permesso, chi ritiene la Valtellina una riserva da 2 euro al giorno, “giusto per coprire le spese di cancelleria e stampa del permesso”; chi non si capacita di come non si riescano a stipulare accordi con i produttori di energia elettrica “almeno la domenica”; chi l’anno prossimo in Mera ci andrà si, ma a prendere il sole e giocare con paletta e secchiello, in mezzo alle dune di sabbia che ne soffocano il fondo; chi crede che in Adda ormai possano pescarci solo i locali,
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perchè se si affacciano dal balcone di casa e lo vedono bello scendono, ma se poi si sporca tornano a casa in cinque minuti; chi riesce a incazzarsi perché i pesci oggi non bollano, e allora meglio sarebbe un bel riservone pieno di iridee che tanto quelle alla fine mangiano sempre. Ci sono poi i complottisti, che vedono UPS come una “longa manus” fatta di depistaggi e insabbiamenti. Come se non bastasse quella che già appesta i nostri fiumi. E allora si legge di webcam scollegate intenzionalmente per non mostrare il reale stato delle acque o conferenze disertate per non essere costretti a fare i conti con il proprio pressapochismo. Per fortuna c’è anche chi sostiene che la Valtellina sia questo, prendere o lasciare. E magari riesce pure a divertirsi, sempre che decida di adeguare le proprie tecniche di pesca alle mutevoli condizioni delle acque. Bastian contrari. Sicuramente prezzolati da UPS. Personalmente ho l’impressione che tutta questa rabbia – assolutamente motivata e giustificata da dati tanto evidenti quanto oggettivi – si stia canalizzando contro il soggetto sbagliato. Come già scrissi in precedenza, in Valtellina rimangono soltanto gli scarti di lavorazione di un business che ingrassa altri. E non parlo solo della pesca, ma di tutto un sistema che – per motivi storici e politici – ha voluto che una risorsa venisse sfruttata in cambio di canoni di concessione ridicoli, senza porsi minimamente il problema di come compensare equamente gli effetti collaterali che quello sfruttamento lasciava dietro di sé. Vi assicuro che – tra tutti questi indignados
Ancora pochi dati su cui riflettere: sullo scorso numero mettevamo in palio uno stagionale per la migliore foto giunta in redazione. Volete sapere quanti associati hanno risposto all’iniziativa? Zero. Numeri poco incoraggianti anche da Twitter, visto che i followers non vanno oltre i 38 contatti su più di 4mila associati. Le lettere arrivate in redazione si contano sulle dita di una mano. Certo, sarebbe presuntuoso ancor prima che ridicolo invitare i pescatori a problematizzare il malcontento che stanno canalizzando verso UPS senza che l’associazione si metta in discussione in prima persona. Se il sistema non funziona vuol dire che è necessario metterci mano, valutare altre forme di comunicazione tra UPS e i suoi associati e rafforzare quelle già in atto. I pesci ci sono ancora. Sicuramente meno rispetto al passato ma con altrettanta probabilità in numero maggiore rispetto a quelli che potremmo trovare nelle concessioni che ci stanno intorno. Mancano soprattutto le prime classi di età; quelle che hanno risentito maggiormente di 4 anni di svasi. Ma per pochi o tanti che siano meritano rispetto. A conti fatti sono dei sopravvissuti. Nessuno potrà mai parlarvi di un bicchiere pieno; l’acqua che manca è tutta intubata. E quella che rimane è molto spesso torbida ma pur sempre viva. Vedere il bicchiere mezzo pieno vuol dire anche guardare a quelle zero foto, a quelle misere lettere e ai 38 followers di Twitter come un punto di partenza. Non sarà difficile fare di meglio.
(foto Valter Bianchini)
– non sono ancora riuscito a trovare una persona che mi sapesse spiegare che cos’abbia da guadagnarci un’associazione di pescatori da tutto questo. Certo, dando per scontato che perdere associati non sia l’obiettivo recondito di UPS. Si potrebbe fare qualcosa di più a livello di comunicazione? Sicuramente si. E non penso alle webcam disattivate intenzionalmente o ai cellulari dei guardiapesca che dalle sei del mattino cominciano a suonare per aggiornare i pescatori sullo stato delle acque. Quando ti trovi di fronte a una lotta impari, è difficile che qualcuno possa rimproverarti il fatto di esserne uscito sconfitto. Quello che puoi fare è raccontare la tua lotta e il tuo travaglio. Si potrebbe quindi pensare di rafforzare quelle forme di comunicazione “istituzionale” che per adesso si esprimono in buona sostanza con le web-news che appaiono sul sito. Qualcuno suggerisce l’ipotesi di creare un forum interno. Perché funzioni servono per lo meno due cose: soldi – non tantissimi per la verità – per realizzarlo e gli utenti che lo tengano vivo. Sareste disposti a qualche chilo di iridee di semina in meno per dirottare quelle risorse sull’investimento di un forum? E ancora, sareste pronti a scriverci, ad aggiornarlo di continuo, aprendovi a quel concetto di “community” che sta alla base della circolazione delle notizie via web? Uno strumento come questo infatti si alimenta sia di notizie istituzionali messe in rete da quello che comunemente si chiama webmaster – nel caso specifico UPS – ma anche dai report degli associati.
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IL P E RSONAGGIO
Pan, pess e scalpel
di Marco Corengia foto di Gianluca Sala
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i chiama “serendipità”, sta a indicare la sensazione che si prova quando si scopre una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un’altra e nel 2001 gli hanno dedicato pure un film. Cristoforo Colombo alla ricerca delle Indie che poi trovò l’America, gli effetti psichedelici dell’LSD per Albert Hofmann, il Velcro, la cottura a microonde fino ad arrivare al Viagra, che voleva essere un farmaco per curare l’angina pectoris e invece ha finito per “risollevare l’entusiasmo” di milioni di latin lovers sbiaditi dal tempo. Gianluca Sala la sua serendipity l’ha trovata nel garage di casa; si era fissato che avrebbe dovuto costruirsi un mobile con materiali di recupero – tipo quei bancali in disuso che vanno tanto bene per accendere il fuoco del
camino – e ha finito per intagliare il suo primo pesce nel legno. Un temolo. Pure in misura. Adesso ne ha a decine, il garage è un mix tra un acquario e un museo di scienze naturali e lui vive tra la panetteria e il laboratorio. Polvere bianca da una parte e polvere bianca dall’altra. Con la differenza che la farina gli dà da mangiare e la segatura non tanto. Almeno finora. Si perché le sculture del Gianluca – panettiere in Somaggia-Samolaco - si sono fatte già “una certa fama”in valle: all’inizio attrazione per parenti, amici e amici degli amici, da qualche tempo fanno bella mostra nel negozio del Rizzi su a Chiavenna. D’altronde si sa, con le opere d’arte funziona così, quando cresce la domanda aumentano anche le quotazioni; e stiamo parlando di valori a tre cifre. Senza contare le virgole si intende. Ho anche trovato un tizio che gli ha commissionato un salmerino per i compleanno del figlio. Forse la playstation andava meglio, ma i giocattoli in legno vanno sempre più di moda. E forse ha anche risparmiato qualcosa.
Ok, va bene, alcune scoperte arrivano per caso; ma di sicuro ogni invenzione è il raggiungimento di un traguardo; l’esigenza di trovare qualcosa che non c’è e si vorrebbe avere. E per ogni pescatore che si rispetti il sogno è uno e irriducibile: il trofeo. Il trofeo è la “prova provata” di quanto sei stato bravo; è come lo scalpo per l’indiano pellerossa, la pagella di fine anno, il segno di rossetto sul collo della camicia quando passi a raccontarla la sera dopo al bar. Una volta ho visto ragazzini imbustare cavedani mutanti e farsi tutto il lungolago a petto talmente in fuori da confonderli con le anatre al pascolo. Prendete le foto delle riviste di pesca: per il pescatore che ha realizzato la cattura della vita quel ritaglio è un oggetto transizionale che lo proietta nel pantheon degli eroi celesti. Galleggia a un metro da terra, ha un sorriso che neanche alla prima comunione. Non fa caso allo stivaletto da giardino infangato e la camicia a quadri sporca di sangue. Quel sangue di pesce che dalla mano gli è già colato fino al gomito. Ma lui non vuole mollare la presa, anche se ha le mani sporche di muco e il pesce gli scappa. E Gianluca Sala non solo è un pescatore, ma è uno di quelli che adesso chiamano “pescatori moderni”; a
FASI COSTRUTTIVE: foto 1 si ritaglia la foto del pesce stampata su un foglio di carta e poi la si incolla su una tavola di compensato che ci servirà come dima foto 2 prima fase di sgrossatura della sagoma foto 3, 4 e 5 si cerca di trasmettere vitalità alla sagoma valorizzandone le linee curve foto 6 levigatura con carta abrasiva più fine foto 7 incisione dei dettagli del muso, che andranno poi rifiniti a mano foto 8 pinne e piccole parti vengono scolpite a parte foto 9/10 si definiscono le scaglie mediante spatolatura o utilizzo del pirografo foto 11 applicazione del primer come fondo e schermatura delle pinne foto 12, 13, 14 applicazione delle prime mani di colore e successiva pagliettatura per creare una vermicoulate di fondo foto 15, 16 verniciatura mediante aerografo e pennelli foto 17, 18 verniciatura pinne
foto 19 a pesce ormai ultimato si rifiniscono le pinne, si applicano gli occhi e si completa la dentatura.
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lui sangue e muco fanno parecchio schifo e i pesci li pesca per il gusto di pescarli, poi li ributta in acqua. Ecco l’idea delle sculture: niente foto – che poi con l’autoscatto non capisci mai se volevi fare una foto al pesce o agli scarponi nuovi – e niente pesci in freezer, che poi non li mangia nessuno e li rivedi solo quando fai pulizie. Certo, all’inizio non è stato facile. SomaggiaSamolaco non è New York, ma su internet qualcosa trovi sempre. Peccato che trovare intagliatori di pesci di legno in Italia non è come trovare un compro oro o un evasore fiscale. La letteratura sta a zero, devi guardare nei siti americani, ti tocca rispolverare l’inglese. Però da quel momento in poi non sei più “uno che fa sculture”, adesso sei un “fishcarver”e in Italia sei un pioniere. Ma come tutti i pionieri ti devi arrangiare con quello che trovi. Trapano e frese ce le avevi già, la carta vetrata la trovi quasi dappertutto. Ma i colori no. Potevi usare le tempere, gli acquarelli; magari anche i pastelli a cera. Almeno all’inizio. Ma al Gianluca la prima cosa che gli è capitata in mano è stata la trousse dei trucchi di sua
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moglie. Con ogni probabilità gliel’aveva regalata lui. E in ogni caso avrebbe saputo cosa regalarle la prossima volta. Poi è venuto il primo aerografo, dopo il secondo e alla fine è arrivato Natale. Per lei ancora trucchi, anche se le hai detto che non ne avrebbe bisogno, e con quella frase ti sei guadagnato i punti per trafficare in garage tranquillo almeno fino all’estate. Dopo dovrai rilanciare, che con tutto quel casino che combini non te la cavi più con una settimana a Lignano. Per te l’aerografo più bello che c’era in giro. Comprato su internet, che Somaggia-Samolaco continua a non essere New York ma almeno i corrieri ogni tanto ci arrivano. C’è un’altra cosa che il Gianluca ha chiesto a sua moglie. E vista la trousse di Natale non gli si poteva dire di no. L’ha chiesto prima a lei e poi all’architetto che gli sta ristrutturando casa. Una nicchia in alto, lì, sopra al soggiorno. Ci dovrà stare un Marlin lungo tre metri, pieno di colori e con la vela alzata. Anche quelli a Somaggia-Samolaco non ci sono, ma con un po’ di fantasia riesci a farci stare tutto.
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P E S C ATO & M ANGIATO
TROTA alla mugnaia INGREDIENTI PER 4 PERSONE 8 filetti di trota salmonata gr. 250 l’una; gr.100 di burro, olio, latte, farina bianca, prezzemolo, n. 30 capperi sotto-aceto, n.1 limone, olive verdi sale, patate q.b.
PREPARAZIONE Preparate i filetti di trota, asciugateli delicatamente, immergeteli nel latte e poi passateli nella farina su entrambi i lati. In una teglia antiaderente fate sciogliere 50/60 gr. di burro con un filo di olio e cuocete lentamente i filetti infarinati per 7/8 minuti su entrambi i lati, facendoli dorare senza bruciare. Nel frattempo preparate il prezzemolo e i capperi tritati finemente. Quando i filetti saranno pronti, adagiateli bene allineati in una teglia preriscaldata di portata, salateli e irrorateli con succo di limone. Sciogliete nella pentola di cottura il burro rimasto (40/50 gr.) fino a quando si forma una schiuma dorata; versare quindi il tutto in modo uniforme sul piatto e servite guarnendo con rondelle di olive verdi snocciolate, fettine di limone e prezzemolo a ciuffi. Si può accompagnare questo piatto con delle patate lessate precedentemente preparate.
La trota alla mugnaia è una ricetta classica e davvero semplicissima; la definizione “alla mugnaia” indica un metodo di preparazione del pesce a carne bianca (branzino, sogliola, trota, ecc.) che consiste nell’infarinatura e nella successiva rosolatura nel burro. Il pesce viene poi condito con succo di limone e una spolveratina abbondante di prezzemolo tritato. Per cucinare i filetti di trota alla mugnaia è meglio utilizzare del burro chiarificato che si brucia difficilmente anche alle temperature alte. Difficoltà: Molto bassa. Cottura: 8/10 minuti Preparazione: 15 minuti Costo: € 25,00
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(foto Giorgio Lanzi)
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tit e p p a n Buo i n n a i G da
Dal 1° agosto 2013 il Lago di Livigno è finalmente navigabile! Si tratta di un’importante novità per la stagione estiva di Livigno che apre l’offerta turistica agli sport acquatici come kayak, kitesurf, sup, windsurf, canottaggio e barca a remi (in generale alle imbarcazioni non a motore fino
a 6 metri di lunghezza e 1,5 metri di pescaggio). Il Lago è navigabile ma non balneabile. Livigno, un turismo di sportivi per passione, per tutti coloro che sono alla ricerca di una vacanza attiva inserita in un contesto paesaggistico di assoluto valore.
ART - Daniela Haggiag.com
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Comunicato Stampa del 12 dicembre 2013 “Gli effetti collaterali di una cura sbagliata si chiamano Sondrio e Belluno. E’ stata recentemente riconosciuta la nostra specificità montana, ma il Governo persevera nel voler declassare anche queste due Province in enti di secondo livello: una sorta di grande comunità montana dove il presidente viene eletto fra in sindaci dai sindaci e dai consiglieri, dovendosi, quindi, occupare della gestione dell’intero territorio. Tutto ciò accade mentre l’attuale Governo ha concesso ancora più potere alle Province autonome di Trento e Bolzano, potere che deriva non solo dalle ingenti risorse finanziare, ma soprattutto dalla possibilità di legiferare. Come più volte ribadito sono numerosissimi gli effetti negativi che il declassamento della Provincia implicherebbe per un territorio tanto fragile e decentrato come il nostro (spopolamento della montagna). Riteniamo, dunque, che sia indispensabile e giusto mantenere questo ente così com’è, anzi rafforzandone l’autonomia, non solo per tutelare la nostra terra e le sue genti, ma anche a maggior garanzia degli equilibri nazionali. La nostra provincia, infatti, è una sorta di area cuscinetto fra gli stati esteri, le province autonome e il resto del Paese. Una sorta di corridoio di transizione il cui compito è anche quello di sfumare le differenze fra realtà per altro uguali dal punto di vista territoriale. Una necessità già prevista dal Governo con l’istituzione del fondo Brancher finalizzato proprio ad attenuare stridenti contrasti di trattamento. Chiediamo, dunque, una forma di autogoverno che possa garantire e anzi favorire l’insediamento delle genti in montagna a beneficio per altro dell’intero sistema Paese, lo chiediamo perché è giusto e
sensato. Mi rivolgo, dunque, ancora una volta ai valtellinesi e ai valchiavennaschi perché siano di nuovo protagonisti nello scrivere una pagina importante della storia della loro terra. Fate vostra l’iniziativa del drappo bianco con scritta la sigla “SO”, per difendere non solo la
vostra terra e il suo futuro, ma anche il vostro Paese. Mamme, nonni e nonne coinvolgete i bambini e fate scrivere loro il nome della loro provincia, se ne ricorderanno da grandi e forse, questo è il mio auspicio, capiranno di aver partecipato attivamente ad una grande battaglia di giustizia e buon senso. Alla politica, dunque, chiedo a tale proposito d agire con logica e giustizia”. Massimo Sertori Presidente della Provincia di Sondrio
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