Jazzit 117

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Civitates - Impresa sociale

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MENSILE DIGITALE DI MUSICA JAZZ ANNO 2024 N°117 FEBBRAIO

Roberto

Ottaviano IL SUONO DELL’UNITÀ




playing is not a game TRIENNIO e BIENNIO di JAZZ BASSO E CONTRABBASSO

MARCO SINISCALCO • LUCA BULGARELLI

BATTERIA FABRIZIO SFERRA • CLAUDIO MASTRACCI • GIANNI DI RENZO

CANTO CRISTINA ZAVALLONI • ELISABETTA ANTONINI • ALICE RICCIARDI • PIERLUCA BUONFRATE

CHITARRA UMBERTO FIORENTINO • NICO STUFANO • CRISTIANO MASTROIANNI • NICOLA DI TOMMASO • EDDY PALERMO

PIANO RAMBERTO CIAMMARUGHI • ALESSANDRO GWIS • ROBERTO TARENZI • PIERPAOLO PRINCIPATO • STEFANO SABATINI • CLAUDIO COLASAZZA

SAX ROSARIO GIULIANI TROMBA MARIO CAPORILLI • FRANCESCO FRATINI VIOLINO MARCELLO SIRIGNANO

jd


IMPRO E JAZZ ENSEMBLE

ROSARIO GIULIANI • CRISTINA ZAVALLONI • RAMBERTO CIAMMARUGHI • JAVIER GIROTTO • DARIO DEIDDA

ARRANGIAMENTO E COMPOSIZIONE ANTONIO SOLIMENE • LUIGI GIANNATEMPO

• IL DOCENTE DI STRUMENTO È A SCELTA DELLO STUDENTE OGNI ANNO • È POSSIBILE STUDIARE CON PIÙ DI UN DOCENTE DI STRUMENTO • PIANI DI STUDIO PERSONALIZZABILI • 60 MATERIE ELETTIVE A SCELTA DELLO STUDENTE • PRODUZIONE E PUBBLICAZIONE DI PROGETTI DISCOGRAFICI DI CIASCUNO STUDENTE • CONCERTI LIVE AL FIANCO DI JAZZ STAR INTERNAZIONALI

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direttore luciano vanni luciano.vanni@jazzit.it curatore editoriale chiara giordano chiara.giordano@jazzit.it progetto grafico davide baroni photo editor chiara giordano chiara.giordano@jazzit.it in redazione sergio pasquandrea editore civitates info@civitates.it direttore responsabile enrico battisti pubblicità arianna guerin adv@jazzit.it abbonamenti arianna guerin abbonamenti@jazzit.it sito web chiara giordano chiara.giordano@jazzit.it hanno scritto in questo numero massimiliano marangoni, rosario moreno, sergio pasquandrea , luciano vanni crediti fotografici L’editore ha fatto il possibile per rintracciare gli aventi diritto ai crediti fotografici non specificati e resta a disposizione per qualsiasi chiarimento in merito foto di copertina © Nicola Nardomarino Iscrizione al tribunale di Terni n. 1/2000 del 25 febbraio 2000 redazione vico San Salvatore 13 - 05100 Terni tel 0744.817579 fax 0744.801252 servizio abbonamenti Per abbonarti a jazzit collegati al sito jazzit.it Il costo di 29,00 euro all’anno comprende: - jazzit annuario in edizione cartacea (uscita a dicembre) con allegato il poster dei jazzit awards - jazzit dossier in edizione cartacea (uscita a maggio) - jazzit stream (appuntamenti in streaming con guide all’ascolto (Sommelier della Musica) e incontri con musicisti e addetti ai lavori del mondo del jazz) - archivio digitale di jazzit Per informazioni: abbonamenti@jazzit.it servizio arretrati Per acquistare gli arretrati di jazzit (edizione cartacea dal n. 1 al n. 116) collegati al sito jazzit.it o scrivi a ordini@ jazzit.it. Ciascuna copia arretrata di jazzit costa 10 euro senza cd e 14 euro con cd jazzit è distribuito da CIVITATES SRL – IMPRESA SOCIALE tel 0744.817579 fax 0744.801252


Contents GUIDA AL JAZZ Piacenza Jazz Fest 14 · MUSA Jazz 15 · I luoghi del jazz: Cotton Club - Intervista a Emiliano D’Auria 16 ·

APPROFONDIMENTI Cover story: Roberto Ottaviano - Il suono dell’unità 20 ·

ASCOLTI E LETTURE Claudio Fasoli 28 · Francesco Ponticelli 30 · Rising Stars 34 · Masters 36 · Libri 42 ·


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editoriale Dedicare la copertina di Jazzit 117 a Roberto Ottaviano significa rendere omaggio a una storia di straordinario valore umano e artistico. Una storia che viene da lontano, se è vero che grazie e attorno a Ottaviano, classe 1957, sono cresciute e maturate generazioni di musicisti che hanno trovato spazio nell’alveo della musica jazz di ricerca e sperimentale. Ottaviano è un maestro, nel senso più profondo del termine, ed è anche un buon esempio di musicista “militante”, occupando trasversalmente, con coerenza intellettuale e passione civile, il ruolo di musicista, compositore, educatore e promotore. E ci sembra particolarmente da esempio la collaborazione virtuosa e produttiva che nel corso degli anni, e sono oramai dieci, si è venuta a creare tra il musicista barese e la casa discografica Dodicilune, anch’essa pugliese ma del Salento: un sodalizio artistico fondato sul rispetto e sulla stima reciproca, che sta dando frutti maturi nel corso degli anni, contribuendo a documentare pagine di storia della musica di eccezionale valore.

maestro

Il numero prosegue poi con una serie di contenuti, agili e aggiornati, sulla cronaca, che alimenteremo nel corso del tempo. Ci piace immaginare questo nuovo corso editoriale di Jazzit, da mensile digitale, come una sorgente aperta in continua evoluzione. Dobbiamo migliorare, siamo ancora incompiuti, ma fa piacere sapere che il primo numero della nuova storia editoriale di Jazzit, il 116 uscito a gennaio, abbia superato abbondantemente le 17.000 letture, con centinaia di condivisioni. Era questo, del resto, il nostro desiderio più sincero: sostenere la filiera artistica e produttiva del jazz, italiano e non, ponendo lo sguardo attento dei nostri collaboratori su ciò che di meglio accade oggi nel panorama jazz internazionale. Perché è l’oggi, il contemporaneo, che ha bisogno di essere interpretato e sostenuto.

Luciano Vanni




JAZZIT

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PIACENZA JAZZ FEST XXI EDIZIONE DI LUCIANO VANNI

Elements, per la prima volta a Piacenza; Gabriele Mirabassi “Subitationes per clarinetto solo” (6); Attilio Zanchi Septet “Mingus Portrait” (9); Antonello Salis e Simone Zanchini “Liberi...” in co-produzione con la Fondazione Tetracordo (14); Antonio Sanchez 4et (16); Nicolini Jazz Trio (Ferrara – Rolff – Arco) special guest Dado Moroni (22); Eleonora Strino Trio (27). Concerto di chiusura il 5 aprile con Avishai Cohen Quartet “Naked Truth”. Il secondo blocco del festival arriverà dopo un paio di settimane dalla fine dei concerti principali e sarà dedicato a coinvolgere gli studenti delle scuole piacentine di ogni ordine e grado sotto il nome “Il Jazz va a scuola”. Come ha dichiarato Angelo Bardini, direttore artistico del Piacena Jazz Club: «C’è una bella collaborazione, un parlarsi, c’è un ascoltarsi, che credo sia molto importante».

© ANGELO BARDINI

Con la sigla di un protocollo d’intesa firmato dal Piacenza Jazz Club con il Conservatorio di Musica Giuseppe Nicolini, si sono unite due delle migliori energie musicali cittadine nell’ambito di un più ampio progetto di educazione e formazione diretto soprattutto alle nuove generazioni. Il Piacenza Jazz Fest, che quest’anno celebra la sua XXI edizione, dopo il concerto di anteprima che ha visto protagonista lo scorso 31 gennaio Greta Panettieri con il suo progetto “Fly me to Sinatra, vedrà l’inaugurazione vera e propria al Conservatorio Nicolini il 25 febbraio con il trio di Enrico Pieranunzi affiancato dall’Orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta da Michele Corcella: “Improclassica. Bach, Schumann, Debussy come non li avete mai sentiti”. Il cartellone proseguirà a marzo con Steve Coleman e il suo gruppo storico Five

ANGELO BARDINI Direttore artistico del Milestone Jazz Club, vicepresidente del Piacenza Jazz Club e membro della commissione artistica del Piacenza Jazz Fest

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MUSA JAZZ

ROBERTO SPADONI ALLA SAPIENZA DI LUCIANO VANNI

La direzione e il coordinamento della MuSa Jazz Orchestra, big band dell’Università La Sapienza di Roma, è stata affidata a Roberto Spadoni, chitarrista, arrangiatore, direttore di orchestra, didatta, divulgatore e già collaboratore di «Jazzit» attraverso la rubrica Jazz Anatomy e non solo. La MuSa Jazz Orchestra (MuSa è l’acronimo di Musica Sapienza) è una big band formata da venti elementi che agisce in seno al progetto “Sapienza CREA - Centro di servizi per le attività ricreative, culturali, artistiche, sociali e dello spettacolo” che ad oggi offre alla comunità universitaria l’opportunità di entrare a far parte di più organici, come MuSa Classica, EtnoMuSa, MuSa Blues e naturalmente MuSa Jazz. A Roberto Spadoni il compito di raccogliere il testimone ereditato dal Maestro Silverio Cortesi, mettendo insieme i valori

ROBERTO SPADONI Direttore artistico della MuSa Jazz Orchestra

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delle pari opportunità e della diffusione e promozione culturale del jazz in ambienti istituzionali – principi ispiratori di questa iniziativa della Sapienza – con un programma artistico che nel 2024 sarà ispirato e dedicato alla figura di Duke Ellington, nel cinquantesimo anno della sua scomparsa avvenuta nel 1974, con la rilettura di partiture originali e con brani a lui dedicati da altri musicisti. L’attività della MuSa Jazz Orchestra diretta da Roberto Spadoni sarà presentata da aprile in poi in contesti istituzionali come l’Aula Magna del Rettorato della Sapienza o l’Auditorium del Conservatorio Santa Cecilia di Roma ma l’esordio avverrà giovedì 8 febbraio alle ore 18:00 presso l’Aula Magna della Sapienza in occasione di MuSa in Maschera, una kermesse musicale in costume di tutti i suoi gruppi.


© PIERLUIGI GIORGI

I LUOGHI DEL JAZZ • COTTON CLUB

COTTON JAZZ CLUB ASCOLI PICENO

INTERVISTA A EMILIANO D’AURIA DI ROSARIO MORENO (PRESIDENTE ASSOCIAZIONE ITALIA JAZZ CLUB )

Se si ama la musica dal vivo, non ci si può far mancare la frequentazione di un jazz club. Luoghi affascinanti dove riecheggiano note mai uguali a loro stesse; luoghi simbolo di espressione artistica, di libertà e punto di riferimento non solo per gli appassionati, ma anche per i musicisti, dove è facile incontrare star del jazz e dell’arte in generale. Quando le luci si spengono e la musica prende il sopravvento, l’atmosfera diventa intima, quasi familiare, l’attenzione di tutti è focalizzata sui musicisti che suonano sul palco; da qui in poi inizia il viaggio, si apprezza l’essenza della musica, ci si dimentica del tempo, la fatica e lo stress restano fuori dal locale. Questa rubrica nasce per raccontare la vitalità, la bellezza, la funzione strategica, ma anche la fragilità dell’ecosistema artistico e sociale rappresentato dai jazz club.

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Emiliano, come hai scoperto la tua passione per il jazz e qual è stato il percorso per diventare il direttore artistico del Cotton Club? Mio padre, prima di essere un imprenditore, è stato un musicista professionista, quindi sono cresciuto con il fascino del jazzista evocato dai suoi racconti. Ho iniziato a suonare il pianoforte a nove anni, diplomandomi poi in Prassi e Composizione Jazz. Il passo da musicista a direttore artistico è stato immediato. Sono circa tredici anni che mi occupo di gestione e programmazione. Negli anni si sono alternate diverse sedi prima di approdare all’attuale Cotton Club. Circa sette anni fa, nello stabile dove prima c’era l’azienda tipografica di mio padre, ho rilevato parte della struttura per inserire all’interno una scuola di musica e uno spazio per ospitare i concerti. Una sorta di recupero di archeologia industriale ben riuscito. Il Cotton Club negli anni ha ospitato numerosi musicisti di fama internazionale, quale è stato un momento indimenticabile? Ho impresso nella memoria il giorno in cui mio padre mi telefonò con voce tremante chiedendomi di riferire a mia madre che non sarebbe tornato perché a cena con Chet Baker. Ero piccolo ma capii che stava vivendo qualcosa di unico. Aveva infatti organizzato il concerto di Chet accompagnato dallo Space Trio di Enrico Pieranunzi. Altro ricordo quello legato al concerto di John Patitucci e Joe Calderazzo. Quest’ultimo in piena notte si ripresentò e si mise a suonare fino alla mattina! Come mantieni l’equilibrio tra promozione della cultura jazzistica e sostenibilità finanziaria? Il Cotton si è mantenuto in tutti questi anni grazie agli sforzi di mio padre e dei suoi sodali che in ogni modo hanno cercato, anche rimettendo soldi dalle proprie tasche, di non far spegnere la fiammella. Oggi il Cotton è cresciuto nei numeri, ha consolidato un’importante base legata agli sponsor e riesce a muoversi agilmente all’interno dei bandi ministeriali. Questo grazie alla partecipazione all’interno dell’associazione Italia Jazz Club. E comunque, il comun-denominatore per aprire o portare avanti un club è indubbiamente la passione unita a un pizzico di sana follia. Come vedi lo stato di salute della musica live nei club? Non è semplice, soprattutto in una piccola città come Ascoli, priva di conservatori o licei musicali. Il nostro club sopravvive per il numero ridotto di appuntamenti, circa dodici per stagione. Sono sempre più convinto che l’attività di resistenza culturale che i club in Italia portano avanti da tempo debba essere riconosciuta e sostenuta a livello ministeriale. I jazz club sono delle vere e proprie botteghe artigiane che accolgono professionisti e spettatori alla ricerca di bellezza, unicità, buone emozioni. Dovrebbero essere tutelati al pari dei cinema d’Essai o di antichi mestieri

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Espontanea

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2023


© NICOLA NARDIRONI


ROBERTO OTTAVIANO IL SUONO DELL’UNITÀ SE IL TITOLO DEL DISCO, “PEOPLE”, E IL NOME DEL GRUPPO, “ETERNAL LOVE”, VI RICHIAMANO ALLA MENTE MEMORIE DEGLI ANNI SESSANTA E SETTANTA, SIETE SULLA STRADA GIUSTA: PERCHÉ SONO QUELLE LE RADICI DI ROBERTO OTTAVIANO. MA NON SI TRATTA AFFATTO DI UN’OPERAZIONE NOSTALGICA, PERCHÉ “PEOPLE” È UN LAVORO CHE SI CONFRONTA IN PIENO CON IL JAZZ DI OGGI

DI SERGIO PASQUANDREA

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ono cinque anni che Roberto Ottaviano è attivo con il quintetto Eternal Love. Nel 2018 il sassofonista barese ha messo insieme questa band con il contrabbasso di Giovanni Maier, la batteria di Zeno De Rossi, il pianoforte dell’inglese Alexander Hawkins e il clarinetto basso di Marco Colonna. «In testa avevo innanzi tutto un suono», spiega Ottaviano. «Poi, i membri della band sono tutte persone con cui ho condiviso non soltanto la musica, ma anche una visione del rapporto tra l’arte e l’esistenza. Con Giovanni lavoriamo ininterrottamente da una trentina d’anni. Alexander ha costituito un tramite molto importante con il mondo del jazz sudafricano, perché ha suonato ed è in contatto con molti musicisti del Sud Africa che risiedono a Londra. Con Zeno De Rossi non c’erano state molte occasioni di lavorare, ma mi è sembrato che il suo modo di approcciare il ritmo, il suo senso del colore, potessero funzionare bene insieme al contrabbasso di Giovanni. Invece Marco Colonna è stata una scoperta recente: un alter ego insolito, perché nel jazz l’amalgama tra sax soprano e clarinetto basso ha pochi precedenti, tranne quello – episodico – fra Coltrane ed Eric Dolphy. E poi Marco ha l’intelligenza di attraversare diversi linguaggi musicali e di adottare diverse strategie di interpretazione e improvvisazione, che riescono a dare una cifra personale al suono che avevo in mente».

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COVER STORY

ROBERTO OTTAVIANO

«Ormai, rispetto al jazz, abbiamo una prospettiva enorme, perché perlomeno dagli anni Sessanta è esploso in mille pezzi, con mille derivazioni e annessioni, dall’elettronica al rock alle musiche etniche. Anche l’Europa ha dato un contributo essenziale alla ricomposizione di questo mosaico»

UN INCONTRO TRA GENERAZIONI Il riferimento al Sud Africa non è casuale, perché il primo disco del gruppo, l’eponimo “Eternal Love” (Dodicilune, 2018) https://open.spotify.com/intl-it/ album/2N8Yr1iI23Bxff2pECazQl era proprio un omaggio alla Madre Africa e ai musicisti (sia sudafricani, come Louis Moholo, sia inglesi, come Keith Tippett) con cui Ottaviano ha collaborato. Nel 2022 è seguito “Resonance and Rhapsodies”, sempre per Dodicilune https://open.spotify.com/intl-it/album/6t79oYbBcsOSLT3AzgNVFk, in cui il gruppo si ampliava in un doppio quartetto, grazie alla partecipazione di Danilo Gallo, Giorgio Pacorig e Hamid Drake. «In questi cinque anni insieme», continua Ottaviano, «abbiamo tenuto tantissimi concerti, soprattutto all’estero, e siamo arrivati ormai al terzo disco. Si è creata fra noi una familiarità, che poi lasciamo libera di vivere sul palco. Siamo cinque esseri umani che si scambiano energie e pulsioni, piuttosto che semplicemente cinque musicisti, più o meno bravi, che eseguono un repertorio. Questo è il risultato di cui sono più soddisfatto». Un altro dato interessante sono le date di nascita dei musicisti, che identificano il gruppo anche come un interscambio tra generazioni diverse: in ordine di anzianità, Ottaviano è del 1957, Maier del 1965, De Rossi del 1970 e i due più giovani, Colonna e Hawkins, rispettivamente del 1978 e 1981. «Per me questo è un dono, che mi dà la possibilità di entrare a contatto con un modo di pensare diverso. Io, da questo punto di vista, li vampirizzo, perché mi danno moltissime chiavi di lettura nuove. Si parla spesso di un “ricambio generazionale”, come se una generazione dovesse per forza sostituirne un’altra, ma io credo che lo spirito vero del jazz sia quello dell’interconnessione tra maturità diverse che entrano in contatto». IL JAZZ È ESPLOSO Quel che è certo è che, in “People”, si riscontra uno spettro musicale molto ampio, che parte dal jazz per aprirsi a territori più vasti. Come si pone, dunque, Roberto Ottaviano, rispetto alla tradizione jazzistica? «Ormai, rispetto al jazz, abbiamo una prospettiva enorme, perché perlomeno dagli anni Sessanta è esploso in mille pezzi, con mille derivazioni e annessioni, dall’elettronica al rock alle musiche etniche. Anche l’Europa ha dato un contributo essenziale alla ricomposizione di questo mosaico. Ma mi piace pensare che non ci sia il rischio di perdere le radici, gli assiomi originari. Lo sviluppo della frase, le pronunce, la ricerca timbrica conservano sempre un elemento che lo fa riconoscere in quanto jazz. Chiunque voglia ancor oggi cimentarsi con il compito arduo e complicato di sapere che cos’è il Sacro Graal del jazz e quindi conservare in modo puristico il mainstream, si perde il meglio di questa musica, che nel frattempo ha costruito un variegato vocabolario, del quale tutti possiamo approfittare». «Questo disco dimostra come la band abbia molte facce: certo, ci sono momenti di ricerca, che potrebbero essere più respingenti per l’ascoltatore, ma ci sono anche esplosioni di colore, gioia, senso melodico. Ciò che mi auguro è di poter raggiungere il pubblico, anche nel nostro paese, dove purtroppo si fa sempre più fatica a trovare spazi per concerti. Ovviamente non produciamo una musica scontata o di moda, e so benissimo che nella scena musicale tante cose sono cambiate negli ultimi anni, ma io spero sempre che una certa apertura si possa ancora recuperare».

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© COURTESY OF CUNEIFORM RECORDS

ROBERTO OTTAVIANO ETERNAL LOVE

PEOPLE DODICILUNE, 2023 Roberto Ottaviano (sop, voc); Marco Colonna (clarb); Alexander Hawkins (pf); Giovanni Maier (cb); Zeno De Rossi (batt)

“People”, perché alcuni dei brani sono dedicati a persone precise: Mongezi Feza (Mong’s Speakin’), Coltrane (Hariprasad), Maria Callas, Niki Lauda. Ma “People” anche perché tutti i brani sono dal vivo e si arricchiscono grazie all’energia donata dal pubblico. In più, “People” è un viaggio, che parte dalla Grecia di At The Wheel Well, scritto dal compositore Nikos Kypourgos e passa per il Sud Africa, l’India, l’America, l’Europa (Gare Guillemans, scritta da Misha Mengelberg, prende il nome da una stazione del metrò di Liegi), fino al Brasile di Caminho das Aguas. Infine, il viag-

RESPIRARE AL DI SOPRA DELLE MACERIE Viene da chiedersi se questa musica non possa portare anche un messaggio – usiamo una parola forse fuori moda – “politico”. Per Roberto Ottaviano, la risposta è complessa. «Non credo che la musica di per sé abbia la possibilità di parlare direttamente, come un saggio o un brano di letteratura, perché viaggia su territori diversi; ma, come diceva Cecil Taylor, anche la musica è comunque politica, perché ha a che fare con l’emotività, le relazioni umane, con il senso di gioia e di piacere, con il trasmettere una sofferenza, una riflessione. Con questo gruppo, l’idea era di creare un tributo tangibile a quanto ci può essere di bello nell’umanità. Chris McGregor, l’artefice di quella Brotherhood of Breath https://www.youtube.com/watch?v=m2AQ6KIwwYc in cui mise insieme musicisti europei e sudafricani, diceva che, attraverso la musica, cercava l’unità: un’utopia, un virus positivo che potesse infettare chiunque ne entrasse in contatto. È quello che succede anche a noi, quando siamo sul palco: è come se si generasse una trance, un momento di partecipazione estatica. Proprio per questo il disco cattura alcune nostre esibizioni dal vivo, perché allora si crea un’esplosione positiva, insieme al pubblico. Ciò non significa che si debba rinunciare a vedere ciò che c’è di sbagliato, a denunciare anche duramente le brutture del mondo, ma c’è sempre una via d’uscita, una finestra verso l’altrove, da cui respirare al di sopra delle macerie»

gio è anche di natura strettamente musicale, perché da un brano all’altro – o persino all’interno dello stesso brano – si può svariare dal melodismo più aperto e lirico a momenti free, da gioiose atmosfere che richiamano il jazz sudafricano alle geometrie asimmetriche di Hariprasad, fino all’ironica evocazione di un funerale di New Orleans in Gare Guillemans. Su tutto, aleggia l’idea del jazz come inclusione, apertura a mondi diversi e multicolori. (SP) At The Wheel Well / Mong’s Speakin’ / Hariprasad / Callas / Niki / Gare Guillemans / Ohnedaruth / Caminho das Aguas

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TORRIO!

TORRIO! Paul Grabowsky Mirko Guerrini Niko Schäuble

Paul GRABOWSKY Mirko GUERRINI Niko SCHÄUBLE

MANUEL MAGRINI TRIO

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ManuelMAGRINI Francesco PONTICELLI Bernardo GUERRA

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S Modalità TRIO

Federico Nathan

AllOne

Manuel Magrini TRIO

Federico Nathan

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MODALITÁ TRIO

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M ASSIMO M ORICONI E LLADE B ANDINI N ICO G ORI

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FABIO DE ANGELIS

THIRD WAVE


© MARIAGRAZIA GIOVE

CLAUDIO FASOLI, NEL SUO CONTINUO PERCORSO DI RICERCA E SPERIMENTAZIONE, CI PRESENTA IL SECONDO CAPITOLO DEL SUO NEXT QUARTET, FORMAZIONE ELETTROACUSTICA TRA LE PIÙ INNOVATIVE DEL JAZZ CONTEMPORANEO, CHE CI AVEVA GIÀ SORPRESO NEL 2021 CON “NEXT”, SUO DEBUTTO SEMPRE SU ETICHETTA ABEAT. CI SIAMO FATTI RACCONTARE DAL MAESTRO LA GENESI DI “AMBUSH”

CLAUDIO FASOLI NEXT QUARTET AMBUSH

DI MASSIMILIANO MARANGONI


«In Next Quartet ciascun musicista ha sue caratteristiche particolari, una storia di ricerca della non-ovvietà, consapevolezza del proprio ruolo, grande esperienza, ottimo gusto, disponibilità alla collaborazione: questo si traduce in una unità di intenti importante e quindi in una compattezza e affidabilità nella realizzazione della musica»

“Ambush” è il secondo lavoro pubblicato con il tuo nuovo quartetto: che caratteristiche ha questa formazione? È un quartetto non caratterizzato sul piano dell’organico ma molto caratterizzato per i musicisti che lo compongono e per il pensiero che c’è dietro la musica. Dopo la lunga esperienza degli anni Novanta con la formula del trio come formazione tipo, pur nelle sue più eccentriche e inaspettate formulazioni, sono tornato al quartetto con una sfida ancor più difficile dato che questo tipo di organico è la tipologia di gruppo più inflazionata nella storia della nostra Musica. Quindi quando si pensa a questo tipo di formazione si ha in mente qualcosa di ben preciso, estremamente prevedibile, quasi una jam-session. Proprio da questo mi sono tenuto lontano molto severamente, scrivendo musica per le formazioni specifiche, per i musicisti specifici, per la concezione che vuole trasudare imprevedibilità senza adottare necessariamente cliché di tipo definitivamente informale. In Next Quartet ciascun musicista ha sue caratteristiche particolari, una storia di ricerca della non-ovvietà, consapevolezza del proprio ruolo, grande esperienza, ottimo gusto, disponibilità alla collaborazione: questo si traduce in una unità di intenti importante e quindi in una compattezza e affidabilità nella realizzazione della musica.

CLAUDIO FASOLI NEXT QUARTET

AMBUSH ABEAT, 2023 Claudio Fasoli (ten, sop); Simone Massaron (ch, eff), Tito Mangialajo Rantzer (cb); Stefano Grasso (batt, perc)

Ambush come “imboscata”, termine inglese dal suono misterioso quanto musicale, il cui concetto di imprevedibilità e aleatorietà del divenire risuona latente nei sotterranei musicali di questo secondo lavoro di Claudio Fasoli con il nuovo organico Next Quartet. “Ambush” abita perfettamente il qui e ora, quel presente sospeso tra passato e futuro. Così ancora una volta il musicista veneziano riesce a cogliere l’attimo e al riparo da mode e tendenze ci accoglie nel suo universo fatto di spazi dilatati, cura del suono, attenzione spasmodica al timbro degli strumenti, attimi sospesi. Una sequenza di nove brani in perfetto equilibrio tra pieni e vuoti: tra i suoni puri, quasi ancestrali, alti e luminosi dei sassofoni, che si riverberano negli spazi meditati e inquieti delle pause, e i ritmi asincroni dai colori cangianti e avvolgenti, dipinti dal resto dei musicisti, che proprio in Off trovano perfetta sintesi compositiva. Momenti di voluto disorientamento del brano di apertura o di Arogarb e gli attimi più spigolosi di Diachrono e Covent Garden, si alternano agli introspettivi assolo di Squero e Stucky in cui rispettivamente contrabbasso e chitarra ci accompagnano all’abbandono mesto e cullante di Venezia con la sua coda malinconica e consolante. (MM)

Il titolo dell’album, “Ambush”, tradotto dalla lingua inglese significa “imboscata”: a che cosa allude? Partiamo da ambush come “imboscata”: ogni registrazione è un’imboscata dato che gli equilibri nella realizzazione definitiva possono essere difficili da perseguire e realizzare. Ma il motivo principale di questo titolo è semplicemente che mi piace il suono della parola e il suo significato profondo e misterioso dato che è quotidiano il nostro incontro potenziale con tale situazione, nella musica e fuori. C’è una composizione in particolare che potrebbe sintetizzare l’intero lavoro, e se sì perché? I brani stanno bene insieme e quindi il singolo forse significa meno perché rinuncia alla sua funzione nella sequenza. Comunque, se proprio devo rispondere, posso scegliere il brano Off perché è composto più da vuoti che da pieni. Armonicamente è intelligente, il suono vola. Il disco si chiude con il brano Venezia, una sorta di milonga sospesa e malinconica che immagino sia dedicata alla tua città natale. Vuoi descrivere brevemente questa composizione? Il rapporto tra tempo del pedale e melodia è interessante dato che gli accenti non collimano quasi mai. Mi sembra giusto avere scritto questo brano e averlo collocato a conclusione della sequenza. Rappresenta bene un concetto conclusivo di equilibrio musicale valorizzato dal suono del sax soprano. Anche questo disco è caratterizzato sia da una grande attenzione al suono e al timbro degli strumenti sia agli spazi vuoti, alle pause: caratteristiche che contraddistinguono la tua poetica. Ne vuoi parlare? Hai elencato alcune mie caratteristiche che ritengo vitali per la sopravvivenza di un mio modo di comporre e di suonare, cioè valorizzare l’ascolto “del dentro” di me oltre che l’ascolto “del fuori” come ho fatto da sempre

Dortny-DEC.26th / Belly / Arogarb / Off / Squero / Diachromo / Stucky / Covent Garden / Venezia

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© GIACOMO CITRO

FRANCESCO PONTICELLI MEGAPASCAL

IL MUSICISTA ARETINO, FORMATOSI NELLE FILA DEL QUARTETTO NEW GENERATION DI ENRICO RAVA, SI È DIMOSTRATO NEGLI ANNI UNO DEI CONTRABBASSISTI PIÙ ATTIVI IN ITALIA E CON TUK MUSIC PUBBLICA ORA IL TERZO LAVORO A SUO NOME DOPO “ELLIPSES” (2014) E “KONTIKI” (2017) MA CON UNA NUOVA FORMAZIONE E NUOVE VISIONI MUSICALI DI MASSIMILIANO MARANGONI


«Bisogna avere l’intelligenza di usare la macchina e non essere soggiogati da essa. In ambito jazzistico, in cui l’improvvisazione vive nel presente, un aspetto delicato è che questa macchina può ingannare il tempo, sovrapporre suoni che non sono accaduti insieme, come ha fatto Miles in “Bitches Brew”»

Rispetto ai tuoi precedenti album, in “Megapascal” affronti nuove sonorità insieme a nuovi compagni: ci racconti come è nato il progetto? Buona parte del disco è stato scritto durante la pandemia, un momento drammatico ma che è stato per me anche un’occasione per gettare uno sguardo diverso sul mondo e sulla propria vita. Un periodo di “forzata riflessione” che mi ha portato a viaggiare in territori musicali per me nuovi e inesplorati. Questo disco è decisamente diverso dai precedenti. La formazione è innovativa e insolita e ho deciso di esplorare per la prima volta la scrittura per voce e la composizione per arpa. FRANCESCO PONTICELLI

Parlami della formazione, come si è creata? Conoscevo Giovanni Iacovella, avevamo suonato insieme varie volte. È un batterista sensibile e straordinario e mi sono definitivamente persuaso a coinvolgerlo nel progetto dopo aver sentito il suo concerto in solo in cui mi ha colpito il modo di integrare l’elettronica nel suo set acustico. Di Samuele CYMA mi ha parlato la prima volta Cristina Zavalloni: ascoltando alcuni suoi brani, ho scoperto un musicista poliedrico con un’estetica molto definita e ho pensato che sarebbe stato perfetto. Quando ho deciso di inserire l’arpa nell’organico ho cercato Stefania Scapin che suonava nell’ensemble di Stefano Battaglia e, oltre a essere un’arpista di primo piano, si dedicava a un’interessante ricerca anche sull’improvvisazione.

MEGAPASCAL TUK MUSIC, 2023 Francesco Ponticelli (cb, b el); Samuele CYMA (voc, ch, ewi); Stefania Scapin (arp); Giovanni Iacovella (batt, ewi); Ida Di Vita (vl); Massimiliano Canneto (vl); Riccardo Savinelli (vla); Gianluca Pirisi (vlc)

Il titolo del disco si riferisce all’unità di misura della pressione quale simbolo della criticità del periodo storico che stiamo vivendo, in particolare rispetto ai temi quali il riscaldamento globale o la situazione politico-economica internazionale. Una spinta a reagire emerge dai testi di questi sette brani scritti dal contrabbassista, alcuni dei quali in collaborazione con Sara Battaglini, Samuele CYMA e Simona Tempesta. Piccoli mondi intimi, dai contorni sfumati, la cui composizione è stata la sfida maggiore per il musicista che affronta per la prima volta la forma testuale. L’aggiunta di un quartetto d’archi, formatosi proprio per l’occasione, e il cristallino e incantatorio suono dell’arpa di Stefania Scapin impreziosiscono l’atmosfera. In “Megapascal” la parola si fonde in maniera equilibrata con le parti strumentali non solo grazie a un sapiente utilizzo di elettronica e campionamenti, ma anche alla morbidezza della voce di Samuele CYMA, prezioso narratore. Ciò si manifesta in particolare in Papillon, brano d’apertura, o Largo e Rinascimentale, introspettivi acquarelli dalle tinte delicate e minimali, mentre Stiamo testimonia la capacità di Ponticelli nell’affrontare le difficoltà contrappuntistiche e di costruire architetture musicali di elevato livello compositivo. (MM)

Per la prima volta hai utilizzato un quartetto d’archi: hai avuto qualche difficoltà nella scrittura degli arrangiamenti? La scrittura per quartetto mi ha portato a usare il contrappunto. La difficoltà maggiore è stata quel filo di inibizione dato dal trovarsi a comporre per una formazione musicale come il quartetto classico così storicamente importante e immensa. Oltre tutto hai affrontato un testo cantato… La scrittura del testo è stata la sfida più grande. Mentre scrivevo, ho iniziato a pensare a melodie intonate da una voce maschile… sarà perché mi piace cantare quando scrivo. Immaginare questa voce mi ha portato a pensare a cosa avrei voluto che questa voce dicesse. Mi è stato di grande aiuto confrontarmi con alcuni cantanti come Sara Battaglini e lo stesso CYMA. Ho sempre amato tantissimo De Andrè, De Gregori, in cui senti la lingua italiana che sboccia e si colora e ti trasporta in un sogno, ma è uno stile con cui lego con difficoltà nel mio modo di comporre. Perciò ho voluto mantenere il progetto in italiano non raccontando storie vere e proprie, ma preferendo frammenti di frasi come fossero immagini sfocate. Nel 2020 hai fondato la Cicaleto Recording Studio confermando una tua vocazione all’utilizzo creativo dello studio di registrazione: anche in “Megapascal” così come in “Ellipses” fai ampio uso di elettronica e post-produzione? Tutto è natura, non esistono suoni “finti”. Bisogna avere l’intelligenza di usare la macchina e non essere soggiogati da essa. In ambito jazzistico, in cui l’improvvisazione vive nel presente, un aspetto delicato è che questa macchina può ingannare il tempo, sovrapporre suoni che non sono accaduti insieme, come ha fatto Miles in “Bitches Brew”. Ma il momento e il modo in cui li sovrapponi è sempre ispirazione del momento, reazione a quello che senti, seguire il flusso come in un’improvvisazione. In questo disco c’è soprattutto architettura della composizione e ricerca di atmosfere particolari; ho usato lo studio di registrazione come strumento di composizione di un suono

Papillon / Kiev / Largo / Rinascimentale / Stiamo / TBT / Enki

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RISING STAR ITALIA

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BLEWITT EXPLORING NEW BOUNDARIES

NEUKLAND/ADA MUSIC, 2023

otto la sigla Blewitt si celano Stefano Proietti (pianoforte), Oscar Cherici (basso elettrico) e Gian Marco De Nisi (batteria), un trio di giovanissimi che sommati insieme non fanno cento anni di età. L’incontro con la loro musica è sorprendente: per la qualità e la dimensione espressiva del suono e della produzione artistica (non è un caso che il disco sia stato registrato in uno dei migliori studi del mondo, i Bauer Studios), matura e di livello internazionale (si ascolti la meravigliosa Verso l’Atman), per l’autorialità compositiva e per la vastità della

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Nitai Hershkovits CALL ON THE OLD WISE

ECM, 2023

l pianista e compositore israeliano Nitai Hershkovits, classe 1988, firma il suo primo album da leader per l’etichetta ECM dopo che, per la stessa casa discografica, aveva registrato due album a fianco di Oded Tzur (“Here Be Dragon”, 2020 e “Isabela”, 2022). Con alle spalle quattro incisioni a propria firma e una collaborazione con Avishai Cohen, Hershkovits sale alla ribalta internazionale con un’opera ardita e complessa, misurandosi con il piano solo. Le diciotto tracce, spesso di breve durata, tra uno e tre minuti, si presentano come altrettante miniature che compongono una lunga suite. Sono brani essenziali,

L’

The Jakob Manz Project THE ANSWER

ACT, 2024

altoista tedesco Jakob Manz, poco più che ventenne, è già al quarto album con l’etichetta ACT e mai come in questa circostanza la sua musica si carica di uno spettro espressivo straripante che flirta con il funk (la trascinante, e perché no esuberante, Keep On Burning), la world music (straordinariamente evocativa, e per certi versi ipnotica, Voyage Sureel) e disco pop (When Weasles Fly). C’è grande energia e carica virtuosistica, che il leader esercita alla guida di un quintetto con musicisti con cui ha inaugurato il suo percorso professionistico, il Jakob Manz Project, che si compone di Hannes Stollsteimer al pianoforte

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poetica con cui si esprimono, fondendo più linguaggi: groove, swing, serialità, melodismo mediterraneo, classicismo, bolero e chi più ne ha più ne metta. Siamo davanti a un trio con piano che suona come un organismo autonomo, con vigore creativo, plasticità, espressività e forte tensione ritmica: che guarda agli EST ma anche ai Bad Plus, Tingvall, GoGo Penguin, ma che fa sintesi di personalità. Il repertorio si sviluppa nell’espansione creativa di cellule melodiche, miscelando con gusto ed equilibro gli interventi solistici. Bello riascoltare una Passion Dance tyneriana carica di adrenalina e saggezza.

intermezzi (non è un caso che ne compaiono due in scaletta), in costante equilibrio tra accademismo classico e improvvisazione jazzistica. Il pianoforte suona con raffinatezza ed essenzialità, in un’atmosfera sospesa, carica di pedale e d’impronta cameristica. Ma ci sono anche accenni di danza, lirismo alla Satie e dissonanze, espressione di una flessibilità e imprevedibilità espressiva.

e tastiere, Frieder Klein al basso elettrico, Paul Albrecht alla batteria e Karl-F. Degenhardt alle percussioni. Ma ci sono anche ospiti illustri, come il chitarrista Lionel Loueke (in questa occasione anche alla voce). Nella scrittura di Manz c’è una forte propensione per la melodia, per una lunga serie di obbligati, per la varietà timbrica e naturalmente per il groove. C’è virtuosismo ma anche sense of humor e tanta voglia di spensieratezza e ballo (si ascolti Einsatiz Live): e c’è un suono squillante, pulito e pungente, sempre carico di tensione.


Autore: Luciano Vanni

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l chitarrista Giampiero Spina, classe 1969, ha già alle spalle una maturità espressiva e una carriera artistica di notevole pregio, come performer e come didatta, ma forse con questo album emerge, in modo nitido, la forza e il valore delle sue idee da leader. Alla guida di un quartetto composto da Luca Fabio Gusella al vibrafono, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e Massimo Pintori alla batteria, Spina registra una musica sofisticata (si ascolti la meravigliosa Lunatica) e riflessiva (l’ispirata e affascinante Stralunato), onirica (è il caso di Neverland, con i suoi ampi e dilatati spazi poetici), dolce (come

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armonica cromatica è uno strumento che, grazie a pochi ma eccellenti artisti, si sta ritagliando un ruolo da leader sempre più rilevante nel jazz contemporaneo. Ed è per questo che va premiato chi, come Luca Tagliabue, sta affermando un percorso artistico che la valorizza. Alla guida di un quartetto completato da Eugenia Canale al pianoforte e Fender Rhodes, Andrea Grumelli al basso elettrico e Carlo Attolini alla batteria, Tagliabue si afferma in modo maturo e compiuto con “Brezza”. Nel disco si mette in scena una musica lirica, dolce e soave, mediterranea e melodica: un blend affascinante per le melodie eleganti e raffinate, e per quel bouquet timbrico che si viene a creare quando il

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ietro la sigla Tetrad Quartet operano Armando Iacovella (chitarra), Gianluca Manfredonia (vibrafono), Alessandro Del Signore (contrabbasso) e Alessandro Forte (batteria), che hanno realmente un ruolo e una relazione complementare nella costruzione e gestazione della produzione musicale, così come esprime perfettamente il poliedro a quattro facce rappresentato in copertina. Il combo si caratterizza per un timbro assolutamente personale, giocato nel sofisticato intreccio tra vibrafono e chitarra, spesso a dettare i temi, così come sono altrettanto affascinanti gli innesti del contrabbasso con l’archetto e il suono percussivo della batteria. La musica è intensa,

la sorprendente title-track Alien Flowers) e rapsodica (come la sfuggente e intricata Clacksonite). Spina ha un fraseggio che evoca alla memoria il miglior Pat Martino, essenziale e ragionato, con una voce strumentale dal ricco bouquet timbrico, gestendo con grande efficacia effetti ed echi. Ottima l’azione dell’ensemble, perfettamente a proprio agio nelle partiture.

Giampiero Spina ALIEN FLOWERS

BARLY RECORDS, 2023

suono dell’armonica cromatica – per sua stessa natura ovattato, morbido ed etereo – s’innesta in un contesto espressivo determinato dal Fender Rhodes e dal basso elettrico (come in Phuket e Sonhando com o mar). Una musica che scorre senza esercizi di forza plastica ma con grazia e che tocca vertici lirici nelle ballad, come ad esempio in Camilla.

Luca Tagliabue Quartet BREZZA

BARNUM, 2023

profonda ma anche intima, colta, elegante e per certi versi di tipo cameristico, e ci appare perfettamente bilanciata nelle sue fasi scritte e spontaneamente libere, tanto da risultare orchestrale. C’è sobrietà e gusto, e l’album appare come una lunga suite progressive, a dimostrazione di una forte omogeneità e sintesi unitaria delle composizioni in programma.

Tetrad Quartet EVEN ODDS

FILIBUSTA, 2023

ESTERO 35


FOCUS JAZZ REVIEW

MASTERS

ESTERO

Joey Alexander CONTINUANCE

MACK AVENUE, 2023

Baldych/Mozdzer PASSACAGLIA

ACT, 2024

Luigi Grasso DANTESCA

LP345 RECORDS, 2023

I

l pianista di origine indonesiana Joey Alexander, nonostante abbia appena vent’anni, è un artista affermato con alle spalle sei album da leader e con una straordinaria carriera inaugurata in tenera età che lo ha immediatamente catapultato nell’Olimpo del jazz. “Continuance” è il secondo album per la sua nuova casa discografica, la Mack Avenue, e lo vede ancora una volta al centro di un trio questa volta completato dal bassista Kris Funn e dal batterista John Davis, anche se l’assetto dell’organico si configura più come un quartetto grazie

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a passacaglia è una tipologia di composizione che si è affermata nel periodo barocco, tra il XVII e il XVIII secolo, e proviene da una danza popolare di origine spagnola (da cui il suo nome derivato dallo spagnolo pasar, “passare”, e calle, “strada”, perché danzata spesso per le strade) che consiste in una serie di variazioni su di un basso ostinato; in quanto danza, la passacaglia è frequentemente usata con un metro ternario. In questo contesto si muove l’album che ha come protagonisti due musicisti polacchi, il pianista Leszek Mozdzer e il violinista Adam Bałdych, artisti di punta dell’etichetta tedesca ACT. Si tratta di

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fratelli Luigi e Pasquale Grasso (di lui Pat Metheny ha detto «è forse il miglior chitarrista che io abbia sentito in tutta la mia vita»), sassofonista il primo e chitarrista il secondo, entrambi di origine italiana (Ariano Irpino, in provincia di Avellino) ma residenti all’estero, rispettivamente Amburgo e New York, da anni meritano stima e riconoscimenti su scala internazionale. Luigi si distingue anche come arrangiatore e compositore, e in questa opera riunisce i due mondi a cui ha dedicato studio e a cui fa sempre riferimento, quello classico e quello jazzistico. Ne nasce un’opera sinfonica ambiziosa e raffinata, “Dantesca”, ispirata

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Autore: Luciano Vanni

al coinvolgimento in più tracce del trombettista Theo Croker, con cui emerge un’affinità che va oltre il featuring. Si respirano grande saggezza, ispirazione, gusto, energia, compostezza, dinamiche e sfumature timbriche (Alexander lo si ascolta anche al Fender Rhodes), tecnica ma anche predisposizione a improvvisare cantando. Merito di Alexander quello di scrivere e costruire un repertorio che unisce profondità, intensità espressiva (e groove) con uno spiccato melodismo, anche attraverso la scrittura di arrangiamenti davvero superbi. Il risultato è un elevato e abbastanza raro esempio di bellezza.

un album di ricerca, di tipo cameristico, poetico e fortemente sobrio, che obbliga i due leader in un lavoro di sottrazione e di selezione di ogni singola nota. Delle quindici tracce di “Passacaglia” solo tre non sono a firma di Mozdzer e Bałdych, e una di queste è la celeberrima Gymnopedie di Erik Satie, probabilmente il compositore che più di altri sintetizza la poetica del disco, tra classicismo e avanguardia impressionista di inizio Novecento, minimalismo e lirismo. Il dialogo tra i due è sempre intenso, mai di maniera o forzato plasticamente, alla ricerca dell’ispirazione e soprattutto dell’interplay e del silenzio.

al viaggio del sommo poeta Dante Alighieri, che si presenta come una vasta suite. Come naturale, il primo riferimento storico-artistico a venire in mente è la “Rhapsody in blue” di George Gershwin, ma “Dantesca” viene eseguita dall’Orchestra Senzaspine, senza sezione ritmica e con Luigi Grasso solista, ed è quindi più eterea, sfumata, immateriale e impressionista, evocando alla memoria Claude Debussy. Un’opera matura, destinata al futuro, colta e ispirata, strutturata attorno a quattro movimenti ispirati ad altrettanti protagonisti della Divina Commedia (Virgilio, Cerbero, Catone e Beatrice).


ESTERO

G

iunti al quarto album, il quintetto americano Irreversible Entanglements trova un punto di svolta discografica: tra collettivo (liberation-oriented free jazz collective è la sua declinazione) e avanguardia, per sua natura spontaneamente fluido e carico di energia e spiritualità, ed ensemble capace di generare una musica più strutturata e organica che non a caso fa il suo ingresso in una etichetta leggendaria come la Impulse! Records e nasce all’interno dei monumentali studi di Rudy Van Gelder. “Protect Your Light” è un titolo che evoca diritti civili ma anche tormento esistenziale,

A

l suo secondo album da leader per la Blue Note, il pianista Ethan Iverson sceglie di farsi ascoltare su disco alla guida di due diversi trii – con Thomas Morgan e Kush Abadey, e con Simón Willson e Vinnie Sperrazza – dando vita a un lavoro che spiazza l’ascoltatore per il fatto che buona parte della materia suonata ha un sound anni Quaranta e Cinquanta ma con un evidente approccio pianistico contemporaneo. Per chi conosceva Ethan Iverson nei Bad Plus, rimane forse esclusivamente invariato il timbro pianistico, intenso e persistente. Si respira un innegabile gusto rétro, che si manifesta anche nell’interpretazione serena e pacata della ballad Killing Me Softly with His Song, e un

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ai titolo è più azzeccato per inquadrare un album firmato da quattro protagonisti del jazz italiano contemporaneo – il chitarrista Fabio Zeppetella, il pianista Dado Moroni, il contrabbassista Ares Tavolazzi e il batterista Fabrizio Sferra – che si riuniscono per rievocare alla memoria otto grandi maestri della storia del jazz come McCoy Tyner, Jim Hall, Miles Davis, Charlie Parker, Thelonious Monk, John Coltrane, Wes Montgomery e Lee Konitz. Otto stelle polari che hanno ovviamente a che fare con la biografia sonora di Zeppetella. Ecco quindi un repertorio, tutto originale e a firma del leader, che rende omaggio a chi ha contribuito alla sua maturazione artistica. Ed

e l’album è difatti travolto da passione e ardore politico, tra anarchia, foga e libertà espressiva e compostezza compositiva. Ipnotico, onirico, intenso e fortemente carico di spiritualità, l’opera mette in dialogo i musicisti con i versi dettati dalla poetessa e attivista Camae Ayewa (meglio conosciuta come Moor Mother), che degli Irreversibile Entanglements è voce e punto focale. Tra ballate e fughe solistiche nell’impeto improvvisativo, “Protect Your Light” fissa lo stato dell’arte del jazz creativo contemporaneo.

Irreversible Entanglements PROTECT YOUR LIGHT

IMPULSE!, 2023

approccio minimalistico e sobrio, come accade con l’interpretazione della classica ‘Round Midnight, avvolta dal theremin e per certi versi manieristica. Le ultime tre tracce dell’album fanno un’opera a sé stante: una sonata per pianoforte in tre movimenti interamente composti da Iverson che mette assieme il carattere musicale del pianista, tra compostezza classica, sense of humor, eccentricità, lirismo e virtuosismo.

è affascinante scoprire come ogni brano racconti, in modo poetico e non didascalico, l’identità dei grandi maestri a cui si ispira. Ad esempio, c’è profonda energia in Bird e Trane, ma anche feeling misurato e ragionato in Waltz For Jim e tutto il vocabolario timbrico di Wes: e non sarà difficile ritrovare la relazione tra brano e artista di riferimento. La sensazione è quella di ritrovarsi davanti a una jam in studio, di eccellente qualità espressiva, dove il quartetto si muove con grande sintonia e passione comune.

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Julian Lage THE LAYERS

BLUE NOTE, 2023

Fabio Zeppetella JAZZ MASTERS

VVJ/JANDO MUSIC, 2023






JAZZIT

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libri DI SERGIO PASQUANDREA

Cominciamo con Up Jumped the Devil di Bruce Conforth e Gayle Dean Wardlow (Chicago Review Press, 2019), che porta come sottotitolo “The Real Life of Robert Johnson”. L’aggettivo, “real”, non è né irrilevante né esagerato, perché lo scopo degli autori è proprio quello di sottrarre la figura del bluesman dalle nebbie del mito (viene affermato esplicitamente che quasi tutto ciò che è stato scritto su di lui è falso o incompleto) e fornire, per la prima volta, una ricostruzione accurata e ben documentata della sua vita. Il libro è il coronamento di una ricerca pluridecennale, che ha portato a molte scoperte fondamentali, una fra tutte il certificato di nascita e il ritrovamento della (probabile) casa natale di Johnson. Ma ogni pagina fornisce una messe di materiale: fotografie, certificati anagrafici, carte topografiche, estratti dai censimenti, interviste con persone che lo conobbero. Il resto lo fa la competenza di Conforth e Wardlord, che dipingono un quadro vivo e palpabile degli ambienti in cui il blues veniva prodotto: la Memphis dei primi anni del Novecento, le piantagioni di cotone dell’Arkansas, il Mississippi più bieco e razzista, ma anche le grandi città del Nord, come New York e Chicago, dove il nuovo blue elettrico – di cui Robert Johnson non fece mai parte – stava nascendo.

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Il libro sfata una serie di fake news, primo fra tutti il fatto che Johnson fosse un musicista incolto e istintivo: gli autori, che dedicano un terzo delle pagine all’infanzia e giovinezza del musicista, dimostrano come egli avesse avuto un periodo di apprendistato musicale, per quanto informale, e si esibisse in pubblico già all’età di diciassette anni; e poi il celebre patto con il diavolo (ovviamente un falso, ma alimentato da lui stesso) e la registrazione con la faccia rivolta contro il muro, entrambe leggende di cui vengono rintracciate e smentite le fonti. Il ritratto che ne viene fuori è quello di un musicista autocosciente, un professionista che scriveva i testi delle proprie canzoni e le eseguiva con precisi arrangiamenti. Insomma: spesso si spreca l’aggettivo “definitivo”, ma in questo caso direi che lo si può considerare più che appropriato. Una traduzione italiana è in preparazione, ma per il momento non possiamo rivelare dettagli. Segnalo che è appena uscito un altro libro importante su Robert Johnson: Biography of a Phantom (Smithsonian Books, 2023) di Mack McCormick. L’autore ha studiato anch’egli Johnson per decenni, ma alla sua morte ha lasciato purtroppo incompiuta la sua ricerca, che è servita da base per il volume di Conforth e Gaylord. Non l’ho ancora letto, quindi ne riparleremo in qualcuna delle prossime rubriche. Un altro testo che mi è rimasto per troppo tempo sul comodino è La scuola che sognavo. La musica come bene comune, il jazz come dialogo (Edipan, 2020) di Bruno Tommaso. Un’autobiografia musicale, si potrebbe definire: la narrazione si apre nel 1973, quando viene chiuso il corso di jazz che Giorgio Gaslini aveva aperto, da pioniere, a Santa Cecilia, e si estende lungo cinquant’anni, durante i quali Tommaso è stato, come scrive Stefano Zenni nella prefazione, «una figura chiave della musica del nostro Paese. Tanto più importante e decisiva quanto defilata». Soprattutto, Bruno Tommaso è stato ed è, oltre che un grande contrabbassista, compositore e arrangiatore, un grande didatta (uno dei creatori della Scuola Popolare di Musica di Testaccio, tanto per dirne una). Entrambe le dimensioni emergono in questo libro volutamente a-sistematico, dove si alternano narrazione, riflessioni, liste di consigli, fotografie, interviste, discografie. Tutto condito da una sana ironia e da uno sguardo sempre pregno di intelligenza e anticonformismo. Ci spostiamo – ma neanche tanto – di ambito per l’ultimo titolo: Poeti e testi del tango. Storie, contesti, analisi (Abrazos, 2021) di Nicola Contegreco. Come già il titolo denuncia, il libro non si occupa dell’aspetto musicale del tango, ma di quello specificamente poetico. Si tratta comunque di una dimensione essenziale per comprendere a fondo un genere musicale che, fra l’altro, ha molto a che fare con l’Italia, dato che molti dei suoi più grandi esponenti portano cognomi come Troilo, D’Arienzo, Pugliese, Discepolo, Piazzolla, e che persino il gergo del tango, il lunfardo, ha perlopiù origini italiane. Avvalendosi di un’indubbia padronanza della materia e di una solida preparazione anche in campo letterario (Contegreco è laureato in Lettere e insegnante di professione), l’autore ci guida in un viaggio attraverso la storia di questa musica, partendo dalla Guardia Vieja di Ángel Gregorio Villoldo (autore, fra le altre, della celeberrima El choclo), attraverso il tango canción, il sodalizio tra Alfredo Le Pera e Carlos Gardél, fino al secondo dopoguerra. L’analisi entra in profondità nei testi, illuminandone gli aspetti formali, i legami con la società e la storia e soprattutto i grandi temi – l’amore, la nostalgia, il barrio , il tempo – che costituiscono l’anima del tango.

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RECORDS

JAZZ REVIEW

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encore music

www.encoremusic.it info@encoremusic.it

Ultime Uscite Barbara CASINI

Daniele SEPE

SEPè LE MOKò

Barbara Casini Hermanos

Hermanos Javier Girotto Roberto Taufic Seby Burgio

Stefano Bedetti Organ Trio

Marco Frattini

Chinese Sundays

EMPTY MUSIC

Stefano Bedetti Yazan Greselin Max Furian

Marco Frattini Claudio Vignali Gabriele Evangelista

Stefano Bedetti Organ Trio CHINESE SUNDAYS

Roberto Gatti

Federico Pierantoni

Amanolibera Mario Rodriguez Horacio “El Negro” Hernandez Paoli Mejas Gabriele Mirabassi Oscar Valdes Roberto Quintero Jhair Sala Lorenzo Bisogno Manuel Magrini Pietro Paris Tetraktis Percussioni

Tatiana VALLE & Giovanni GUACCERO

CANTO ESTRANGEIRO

Federico Pierantoni

6x2

Federico Pierantoni Stefano Dallaporta Giulia Barba Piero Bittolo Bon Mir Mirko Cisilino Gianluca Fortini

6x2

Vol. 1

Cristina Zavalloni

CANTO ESTRANGEIRO As canções de Giovanni Guaccero e Luís Elói Stein

Cristina ZAVALLONI

For the living

Tatiana VALLE Giovanni GUACCERO Bruni MARCOZZO Barbara PIPERNO Ma Marco RUVIARO

FOR THE LIVING Jan BANG

Elvind AARSET Simone GRAZIANO Cristiano ARCELLI ranc rancesco Ponticelli

TATIANA VALLE & GIOVANNI GUACCERO




GIOVANNI TOMMASO QUARTET featuring RITA MARCOTULLI JAVIER GIROTTO ALESSANDRO PATERNESI

WALKING IN MY SHADOW

GIOVANNI FALZONE FREAK MACHINE CANTO TERRESTRE

JAVIER GIROTTO & ALMA SAXOPHONE QUARTET COLYSEUS

MARIA PIA DE VITO THIS WOMAN’S WORK


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