Federico Gervaso
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Federico Gervaso ha lavorato per 37 anni nell’ambito delle imprese che fanno parte del gruppo Impregilo, prima come direttore di cantiere, poi come direttore tecnico ed infine come amministratore delegato di una società del gruppo. Dal 2002 ha preferito rivolgere i propri interessi culturali verso il giornalismo di settore relativo alle grandi opere civili e contemporaneamente verso l’insegnamento universitario, basato sulla propria esperienza cantieristica, svolto presso il Dipartimento di Infrastrutture Viarie del Politecnico di Milano. Per questo volume commemorativo è stata estremamente gradita e quindi viene doverosamente segnalata la collaborazione di Mario Lampiano, Alberto Buffa, Piero Sembenelli e Alessandro Zaffaroni, che hanno proposto capitoli di rilevante interesse.
Il Canale di Panama per il terzo millennio
Questo volume è l’ottavo (mai dire l’ultimo) di una raccolta di libri con formato, grafica ed impaginazione comune, tutti dedicati alle grandi opere infrastrutturali ferroviarie ed autostradali realizzate nel nostro paese, con la sola eccezione di Panama per ubicazione e tipologia.
Casa Editrice la fiaccola srl 20123 Milano Via Conca del Naviglio, 37 Tel. 02 89421350 Fax 02 89421484 www.fiaccola.com direzione@fiaccola.it
Il Canale di Panama per il terzo millennio Federico Gervaso
L’eccezionalità di quest’opera è chiara a tutti, infatti i media internazionali ne hanno parlato più volte abbinando immagini spettacolari. Pochi però ne hanno colto la genesi progettuale e le difficoltà realizzative. Le nuove chiuse che si aprono nel 2016 rappresentano qualcosa di più dell’ampliamento con una terza corsia per il transito delle navi: rappresentano una svolta significativa sia nella tecnologia del sistema che nella ricerca del massimo risparmio energetico e del rispetto dell’ambiente. Il sollevamento e la discesa delle navi sfruttano infatti due concetti noti a tutti: la forza di gravità ed il principio dei vasi comunicanti. Pochissima l’energia necessaria, solo quella per muovere le paratoie e le numerose valvole, una briciola nel confronto con il risultato ottenuto, che è quello di sollevare di 27 metri dall’oceano al lago Gatun dei mostri marini da migliaia di tonnellate. Ma per farlo occorre far discendere milioni di litri d’acqua dolce verso l’oceano dal lago artificiale ricavato con le dighe costruite 100 anni fa ed alimentato dalle copiose piogge, lago che non dispone di una cubatura infinita. Ecco quindi le due grandi novità che differenziano i nuovi set di chiuse da quelle esistenti: le porte delle conche non più vinciane ma scorrevoli, ed i nuovi bacini per il risparmio dell’acqua dolce, affiancati con diversi livelli ad ogni conca. Questo volume racconta quindi lo sforzo progettuale ed organizzativo di migliaia di tecnici ed operai che hanno vinto, in condizioni spesso avverse, la sfida di muovere 50 milioni di mc di materiale, produrre 5 milioni di mc di calcestruzzo e mettere in opera paratoie dal peso di migliaia di tonnellate. Abbiamo infine approfittato dell’occasione per raccontare nei capitoli iniziali la storia spesso drammatica della costruzione del canale, prima negli ultimi anni dell’ottocento con il tragico fallimento dei francesi, e successivamente all’inizio del novecento con la vittoriosa spedizione americana che ha completato l’opera nell’agosto del 1914.
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Presentazione Per chi ha scritto queste pagine il canale di Panama del terzo millennio non è stato solamente uno dei tanti cantieri infrastrutturali, già visitati e descritti molte volte viaggiando per l’Italia e l’Europa. È stata una esperienza nuova ed affascinante, durata cinque anni, tra ricerche storiche e visite in cantiere. L’eccezionalità dell’opera è chiara a tutti, i media internazionali ne hanno parlato più volte abbinando immagini spettacolari. Pochi però ne hanno colto la genesi progettuale e le difficoltà realizzative. Le nuove chiuse che si aprono nel 2016 rappresentano qualcosa di più dell’ampliamento con una terza corsia per il transito delle navi: rappresentano una svolta significativa sia nella tecnologia del sistema utilizzato per le chiuse sia nella ricerca del massimo risparmio energetico e del rispetto ambientale. Bisogna cogliere le differenze tra le vecchie chiuse e le nuove per comprendere quanto diverso sia il canale di Panama del terzo millennio rispetto a quello in funzione da 100 anni. Innanzi tutto non viene raddoppiato il canale inteso come la via d’acqua che porta le navi da un oceano all’altro: la frase molto abusata “raddoppio del canale” non ha riscontro nella realtà. Il passaggio tra gli oceani rimane sostanzialmente lo stesso, pur se allargato in qualche punto ed approfondito in molti tratti per l’incremento del pescaggio nelle navi oggi in costruzione in tutti i cantieri del mondo. Quello che cambia non è solo la dimensione delle navi che possono transitare attraverso le nuove chiuse, che si affiancano fisicamente alle precedenti, ma la tecnologia elettro-meccanica ed il grande rispetto per un risparmio energetico, dove per energia si intende l’acqua dolce che scende dal lago Gatùn verso i due oceani. Il sollevamento e la discesa delle navi sfruttano infatti due concetti noti a tutti: la forza di gravità ed il principio dei vasi comunicanti. Pochissima l’energia necessaria, solo quella per muovere le paratoie e le numerose valvole, una briciola nel confronto con il risultato ottenuto, che è quello di sollevare di 27 metri dei mostri marini da migliaia di tonnellate. Ma per farlo occorre far discendere milioni di litri d’acqua dolce dal lago all’oceano: il lago artificiale ricavato con le dighe costruite 100 anni fa ed alimentato dalle copiose piogge non ha cubatura infinita. Ecco quindi le due grandi novità che differenziano i nuovi set di chiuse da quelle esistenti: le porte delle conche non più vinciane ma scorrevoli, ed i nuovi bacini per il risparmio dell’acqua dolce, affiancati con diversi livelli ad ogni conca ma assenti nella vecchia configurazione. Le pagine che seguono, scritte insieme ai tecnici che hanno partecipato alla progettazione dell’opera ed allo studio della gara di appalto con soluzioni tecniche innovative, riassumono in una prima parte l’affascinante ed insieme tragica storia del canale di Panama negli anni tra il 1885 ed il 1914, mentre nella seconda parte illustrano lo svolgimento dei lavori fino ai collaudi finali che si sono svolti nel 2016. Mancano in verità, per completare il quadro della nostra storia, i festeggiamenti per l’inaugurazione con il transito della prima nave postpanamax: ma li lasciamo volutamente ad una viva e palpitante cronaca. Federico Gervaso
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Realizzazione
Casa Editrice la fiaccola srl 20123 Milano - Via Conca del Naviglio, 37 Tel. 02 89421350 - Fax 02 89421484 www.fiaccola.com - e-mail: direzione@fiaccola.it Progetto editoriale Lucia Saronni Testi ed immagini raccolti da Federico Gervaso Copyright immagini Archivio di cantiere Archivio dell’autore David Wilson, foto da drone Segreteria di redazione Ornella Oldani Progetto grafico e impaginazione Vincenzo De Rosa Stampa Colorshade Peschiera Borromeo - MI
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Indice 7
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Il fallimento dei francesi Federico Gervaso
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Gli anni di mezzo 1900 - 1904 Federico Gervaso
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Il trionfo degli americani Federico Gervaso
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Verso il nuovo millennio Federico Gervaso
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La terza corsia Federico Gervaso
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La gara del terzo millennio Mario Lampiano
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L’odissea di un piccolo sasso nero Alberto Buffa
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L’insostenibile pesantezza degli scavi SC Sembenelli Consulting
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I portoni scorrevoli Federico Gervaso
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La danza dell’acqua Alessandro Zaffaroni
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Finalmente! Federico Gervaso
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Il fallimento dei francesi
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utti i testi storici concordano nel chiamare in modo decisamente inappropriato “indiani” i nativi americani. Ha cominciato Cristoforo Colombo che ha creduto per un bel pezzo di aver fatto quasi tutto il giro del globo e di aver raggiunto le Indie (invece era solo arrivato ai Caraibi) ed hanno poi proseguito gli altri conquistatori spagnoli, tra cui il primo traghettatore terrestre tra l’Atlantico ed il Pacifico, il temibile Vasco Nunes de Balboa. Era l’anno 1513 e costui, pochi anni dopo la scoperta dell’America, arrivò a Panama nella regione del Darien e precisamente nella baia e nel villaggio che oggi chiamiamo Colon. Già ne aveva combinate di cotte e di crude dalle parti di Santo Domingo, distinguendosi sia per malefatte che per debiti. Comunque Balboa mette insieme un paio di centinaia di ribal1
di come lui con il miraggio di grandi conquiste essendosi accertato dell’esistenza, già nota a Colombo, di un vicino oceano occidentale bagnante terre ricchissime d’oro. Decide quindi di tentare la traversata. Il 1° settembre del 1513 raduna 190 spagnoli e 600 “indiani” sulle spiagge del Golfo del Darien e parte nel punto che i racconti degli indigeni convalidano come il più stretto rispetto all’altro oceano ed inoltre con alture inferiori ai 500 metri. Con fatiche disumane e con non poche perdite per la durezza del clima, le foreste fittissime e la stagione sfavorevole (piogge abbondanti e terribili: non aveva, come si può facilmente intuire, informazioni meteo dettagliate) giunse dopo 25 giorni in vista dell’oceano e dopo 29 lo raggiunse. Presenti i pochi sopravvissuti spagnoli, 67 su 190, tra cui Francesco Pizzarro più tardi divenuto famoso, il Balboa si immerse nell’oceano fino al ginocchio con spada e bandiera proclamando il re di Spagna “Signore del nuovo oceano” tutto incluso, dal polo boreale fino a quello australe. Quale ricompensa per il nostro eroe? Ben poca cosa, solo il titolo di governatore della nuova provincia spagnola dei mari del sud che non durò a lungo. Infatti per il suo caratteraccio fu prima arrestato e poi condannato a morte nel 1517. Comunque Balboa rimane nella storia come il primo bianco ad aver attraversato l’istmo di Panama, 80 km di insalubri foreste abitate da “indiani” molto mal disposti verso i visitatori, ma non particolarmente aggressivi.
L’epopea gloriosa del treno interoceanico Saltiamo a piè pari trecento anni di storia ed andiamo a metà dell’800 quando la rivoluzione del trasporto su ferro stava ormai trasformando il modo di viaggiare in Europa. Perché non a Panama? La distanza ridotta (meno di 50 miglia), la bassa altimetria (il Continental Divide, ovvero i monti che fungono da spartiacque tra i due oceani, può essere superato ad una quota inferiore ai 200 metri), tutto giocava a favore di un possibile tracciato ferroviario. Nel 1830 gli Stati Uniti cominciarono a pensare che una ferrovia che unisse i porti tra i due oceani non fosse una cattiva idea. Trasportare merci da New York a San Francisco via terra significava allora 3.000 miglia alquanto turbolente e comunque costose. Effettuare invece il percorso totalmente marino via Capo Horn, dallo Stato di New York alla California, significava un mese di navigazione e 13.000 miglia. Via Panama le miglia di-
1. Vasco Nunez de Balboa il primo bianco ad attraversare l’istmo.
2. Illustrazione d’epoca della ferrovia tra Colon e Panama City.
3. Ponte in legno sul fiume Chagres nel mezzo della giungla panamense.
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venterebbero solo 5.000 di navigazione e 50 di ferrovia, con un bel risparmio di tempo e di costi. Mandare le navi a Colon, scaricare, trasportare i carichi via ferro e reimbarcarli a Panama City sarebbe stato certamente più veloce e sicuramente meno costoso. Nel 1832 il Congresso degli Stati Uniti inviò il colonnello Charles Biddle a negoziare con i Colombiani il permesso per la costruzione della ferrrovia, infatti il territorio era allora sotto la giurisdizione di Bogotà. Il nostro colonnello studiò inoltre nei suoi numerosi sopralluoghi il percorso migliore. Dopo molte chiacchiere perditempo, finalmente nel 1848 il governo degli Stati Uniti firma una concessione alla società Pacific Mail Steamship Company per il trasporto della posta attraverso Panama, dandogli contemporaneamente il diritto di scavare un canale e di costruire una strada oppure una ferrovia. La concessionaria aveva l’esclusiva per quarantanove anni e le veniva garantito il libero utilizzo di 250.000 acri di terra. La società concessionaria fu registrata a New York nell’aprile del 1849 come “Panama Railroad Company” ed immediatamente venne inviata una squadra di tecnici sotto la direzione del colonnello Hughes per un sopralluogo conclusivo. Certo il luogo non era ideale: da giugno a dicembre pioggia a catinelle, nebbia a volontà ed, incredibilmente, vista l’abbondanza di alberi, la mancanza della specie di legname durevole per le
traversine ferroviarie. Ciliegina sulla torta, la manodopera locale, i cosiddetti “indiani”, non erano abituati, beati loro, ad un lavoro fisico e quindi anche la manodopera doveva essere importata così come tutti gli altri materiali. La società concessionaria preparò una bella gara di appalto ed il 12 ottobre 1849 il contratto di costruzione fu firmato. I lavori iniziarono nell’agosto del 1850: dovevano durare due anni per le 50 miglia di percorso e costare un milione tondo di dollari, in realtà ne costarono otto e durarono sette anni. Il villaggio di Colon, da dove partiva la ferrovia, si ingrandì rapidamente, decine di commercianti aprirono magazzini di materiali, anche un hotel, bar e sale da gioco per gli addetti ai lavori. Furono costruite anche dighe foranee e moli adatti al tonnellaggio delle navi che trasportavano a Panama tutte le risorse necessarie. Il 1° ottobre 1851, quindici mesi dopo l’inizio dei lavori, furono inaugurate le prime otto miglia di binario ferroviario con un costo superiore al milione di dollari. Cominciarono quindi a svanire le aspettative di alti ed immediati profitti e le azioni della Panama Railroad Company iniziarono una vorticosa discesa. Ma nonostante tutto, fu il turismo inizialmente e la corsa all’oro successivamente a spingere le azioni verso l’alto e la ferrovia verso il traguardo del Pacifico. Nel dicembre del 1851, in piena stagione secca, due navi arri-
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varono a Panama con mille passeggeri assatanati di novità e letteralmente impazziti nel sentire laggiù, in mezzo alla giungla, il fischio di un treno. Nonostante l’avvertimento che erano disponibili solo otto miglia di binario, l’ufficio della ferrovia fu assalito dai nostri esploratori che, con una tariffa di mezzo dollaro al miglio e tre dollari per 50 kg di bagaglio, versarono alla Compagnia in poche ore l’astronomica cifra di 7.000 dollari. Fantastico! Alla Borsa di Wall Street le povere derelitte azioni della Compagnia salirono rapidamente e la Railroad Company incassò 4 milioni di dollari in pochi giorni con la conseguente ripresa in grande stile dei lavori di costruzione. Nel giugno dell’anno successivo, il 1852, la ferrovia raggiunge il villaggio di Barbacoas in corrispondenza del fiume Chagres. La costruzione del lungo ponte di attraversamento fu completata in quattro mesi ed il 6 novembre il primo convoglio con nove vagoni pieni di felicissimi passeggeri e materiale da costruzione attraversarono il nuovo ponte sul fiume. Solamente nel gennaio del 1854 iniziarono i lavori per realizzare lo scavo della trincea posta nel punto più favorevole delle colline che costituiscono lo spartiacque tra Atlantico e Pacifico, nelle vicinanze del villaggio di Culebra (ricordiamoci questo nome, perché molto importante nel prosieguo della nostra storia) già abitato da 2.000 esseri umani. Ma la gradita sorpresa che aspettava i nostri costruttori era solo tre miglia più avanti: l’ingresso nella valle conosciuta come Paradiso. Un vero e proprio giardino tropicale di incredibile bellezza, immerso in una foresta che niente aveva da spartire con la giungla atlantica. La discesa verso il Pacifico fu completata nel novembre del 1854 ed un mese più tardi, il 27 gennaio 1855, le due squadre di lavoro provenienti dai due oceani si incontrarono. Alla luce delle lanterne alimentate ad olio di balena, tutti si misero a lavorare come furie per il traguardo ormai raggiunto: all’alba si completò la ferrovia con gli ultimi spezzoni di binario nel tripudio generale. Poche ore più tardi, era il 28 gennaio 1855, il primo treno corse senza fermarsi dall’Atlantico al Pacifico, la ferrovia di Panama era pronta a raccogliere i successivi frutti di tanto lavoro. Cinquanta miglia di binario correvano nella foresta, attraversavano i fiumi e le creste dei monti con un percorso abbastanza rettilineo e con una pendenza massima di poco superiore all’1%: una pacchia per le locomotive di allora. Meno divertente risultò lo sfaldamento delle traversine di pino utilizzate per la prima
4. Un’azione della Panama Railroad Co. alla borsa di New York.
5. Panama ha una giacitura Est-Ovest e confina con Costarica e Colombia.
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posa, sfaldamento dovuto sicuramente all’umidità tropicale. Le traversine furono tutte sostituite con legno duro importato da Cartagena in Colombia, legno talmente tenace da dover essere inizialmente trapanato prima della posa dei chiodi. Furono costruite tre stazioni di precedenza a Gatun, a Barbacoas e nella trincea di passo. Ai terminali di Colon e di Panama City furono costruiti nuovi binari di stazionamento, officine e magazzini di deposito. Ogni quattro miglia furono realizzate fermate per il carico e scarico di merce e di passeggeri. Alla fine del 1855 la Compagnia ferroviaria disponeva di 6 locomotive, 22 vagoni passeggeri ognuno per 60 persone e 51 carri merci. Le tariffe per poter passare dall’Atlantico al Pacifico non erano certamente low cost: 25 dollari in prima classe e 10 in seconda, bagaglio escluso. Per le valige altri 20 cent al chilogrammo e quindi per 20 kg di bagaglio, tanto per rimanere in cifre oggi abituali, si sborsavano altri 4 dollari. Lo sviluppo della ferrovia crebbe in maniera costante nei successivi quindici anni, ma l’apertura del collegamento ferroviario tra le due coste statunitensi nel maggio del 1869 costituì un punto di svolta nelle fortune e nella storia della nostra ferrovia. In un anno le azioni crollarono da 369 dollari a 52 e nel 1877 in pratica per la Panama Railroad Company si prospettava la bancarotta.
Il primo approccio al canale Ma dove è situata Panama, esattamente? Se lo chiedete a qualcuno poco incline alla geografia, vi dirà solamente in America Centrale. Se la domanda la ponete a qualsiasi persona discretamente acculturata, vi risponderà che si trova nel punto più stretto di quel lungo lembo di terra che scende dalla California, attraversa il Messico e poi restringendosi sempre più collega l’America del nord a quella del sud collegando Guatemala,
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Honduras, Nicaragua, Costa Rica ed infine per ultima Panama, per raggiungere poi la Colombia, prima nazione del Sudamerica. Panama viene quindi geograficamente collocata dalle persone istruite tra il Pacifico ed il Mar dei Caraibi, nel lontano Ovest del continente americano. Neanche per sogno: Panama è situata ad oriente della Florida! Infatti Miami è, anche se di poco, ad occidente dell’ottantesimo meridiano mentre Panama City è situata ad oriente. Certamente di poco ma comunque più ad Est. Pagato il necessario tributo alla cultura geografica, di scienza esatta si tratta, l’osservatore anche distratto che esamina un mappamondo od una carta geografica del continente americano, individua immediatamente come nella nazione panamense sia collocato il punto più stretto tra l’Atlantico ed il Pacifico. Quindi come logica conseguenza la ricerca di un possibile collegamento via acqua tra i due oceani non può prescindere da Panama. Parliamo di un percorso di 50 miglia contro le 5.000 necessarie per girare a Sud intorno al continente Sudamericano. Ricordiamo per inciso come l’anno 1869 fosse stato un anno rivoluzionario per i trasporti mondiali. La già citata congiunzione tra i binari della Pacific e Central Railroad avvenuta nello Stato dello Utah aveva di poco preceduto l’inaugurazione del Canale di Suez avvenuta il 17 novembre. 5
Improvvisamente il mondo si era rimpicciolito. Entrambi gli avvenimenti, decisamente epocali, in parte sfiorarono ed in parte determinarono uomini e fatiche che ci apprestiamo con queste pagine a narrare.
Gli americani aprono le danze Nel gennaio del 1870 il comandante statunitense Thomas Oliver Selfridge, incaricato direttamente dall’allora segretario di Stato, arriva a Colon con due navi ed un centinaio di uomini per una diretta esplorazione delle terre tra il Pacifico e l’Atlantico, al fine di progettare un canale di collegamento tra i due oceani. Ricordiamo che la ferrovia sbuffava già da quindici anni tra Colon e Panama City. Oltre agli uomini, la solita megalomania americana aveva caricato sulle navi 600 paia di scarpe, 100 miglia di cavo telegrafico, 3.500 kg di pancetta, 3.000 kg di zuppa di pomodoro, 1.200 kg di caffè e solo 100 cassette di birra. Le navi arrivarono nella stessa spiaggia dov’era sbarcato Balboa tre secoli e mezzo prima. L’obiettivo: la foresta del Darien, la regione più stretta dell’istmo, giungla, foresta, pioggia, caldo umido e malsano. Selfridge doveva comunque raccogliere ogni utile notizia su fauna, flora, clima, fiumi e montagne.
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Quella di Selfridge non era la prima spedizione. Nel 1850 il geologo Edoardo Cullen aveva annunciato al mondo di aver attraversato diverse volte con facilità l’istmo di Panama. Cullen aveva ben marcato il suo sentiero, riferendo tra l’altro, erroneamente, di non aver riscontrato alture con elevazione superiore ai 50 metri. Quattro anni più tardi il tenente di vascello Isaac Strain con 27 uomini e provviste per pochi giorni, partì alla ricerca del sentiero di Cullen che non trovò mai. Le provviste finirono, le piogge e gli insetti fecero il resto. Metà degli uomini morirono o diventarono pazzi. Strain con i tre uomini meno malandati riuscì ad arrivare presso un villaggio vicino alla costa del Pacifico dove chiese aiuto per ritrovare i sopravvissuti. Strain, che al ritorno a Colon pesava 37 kg, descrisse il Darien come assolutamente impraticabile per la costruzione di un canale. Questo non fermò l’ottimo comandante Selfridge che diligentemente e con oculata organizzazione riportò dati attendibili su fiumi e colline, clima e vegetazione, distanze ed elevazioni. Sotto la presidenza Grant altre sei spedizioni statunitensi tra il 1870 e il 1875 determinarono con precisione la topografia della zona e, fatto più importante, trovarono un avallamento tra le montagne del Continental Divide ad una quota inferiore ai 90 metri, quindi più in basso di quanto precedentemente stimato. La possibilità di scavare un canale tra i due ocea6
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6. Planimetria di dettaglio del lago Gatun.
7. Ferdinand de Lesseps, padre indiscusso dei canali di Suez e di Panama.
8. Il canale di Suez visto dal satellite.
ni diventava sempre più realistica. Ma gli americani non avevano fatto ancora i conti con l’UOMO DEL DESTINO, il francese Ferdinand de Lesseps carico di gloria e di ingegno.
Ferdinand de Lesseps, l’eroe Il visconte Ferdinand de Lesseps era un eroe. Più famoso ai suoi tempi di quanto non lo siano stati successivamente l’astronauta russo Gagarin, primo uomo nello spazio o quello americano Neil Armstrong, che pose sulla luna il suo piede in piena diretta televisiva davanti a due miliardi di persone. Negli ultimi quarant’anni del XIX secolo de Lesseps, pur senza la televisione od i sofisticati mezzi di comunicazione di massa come abbiamo oggi, era famoso in tutti gli angoli civilizzati del pianeta. Fascino puro, volontà indomabile, genio indiscusso, trascinatore di uomini, costruttore di opere grandiose. Amava i libri, la musica, i cavalli, il suo lavoro, le sue mogli, i suoi figli ma soprattutto le grandi sfide. Visto in retrospettiva Ferdinand de Lesseps risalta come uno degli uomini più straordinari del XIX secolo. De Lesseps era quello che aveva compiuto il miracolo della realizzazione del Canale di Suez. Eppure anche se veniva chiamato il grande ingegnere non aveva né una base tecnica né esperienza finanziaria né capacità amministrativa. Tra l’altro si annoiava a morte per qualsiasi lavoro direttivo. La sua vita cambia drammaticamente nel 1849. Era stato inviato a Roma per risolvere la crisi susseguente alla nascita della Repubblica Romana di Mazzini e Garibaldi, con l’incarico di restaurare a tutti i costi il potere temporale dei Papi. In realtà il nostro Ferdinand de Lesseps era a Roma per guadagnare tempo in attesa di rinforzi: riuscì invece a concordare un cessate il fuoco, che nessuno gli aveva chiesto, tra il papato ed i repubblicani. Ma non erano queste le intenzioni francesi. Subito dopo infatti Luigi Napoleone con forze fresche scatenò l’attacco ai repubblicani rimettendo il Papa al suo posto. Richiamato in patria, Ferdinand de Lesseps ricevette una pubblica reprimenda in Parlamento, fatto che lo costrinse alle dimissioni dall’esercito. Così a 43 anni, stroncato nella carriera e fortemente indebitato, il nostro eroe si trovava sull’orlo del disastro. Aiutato dalla famiglia della moglie che gli versa una modesta rendita, riesce a sopravvivere e ritorna con la mente ai suoi studi egiziani ed a coltivare con profondo interesse la costruzione di un canale a Suez. Lo aiuta molto il suo vecchio amico Mohamed Said (a cui
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poi dedicherà la città di Porto Said) diventato improvvisamente vicerè d’Egitto. Costui fu fulminato dalla geniale idea del canale mentre era a gozzovigliare nel deserto insieme all’amico francese. Ferdinand illustrò a lungo il progetto all’amico vicerè che gli disse: “Vai, ti sarò sempre amico e potrai contare sul mio totale supporto”. E così Ferdinand de Lesseps partì con lo scavo del canale. Per i successivi cinque anni egli fu dovunque: in Egitto, a Londra, a Costantinopoli, a Parigi convincendo monarchi e banchieri, dirigendo i lavori, occupandosi di ogni dettaglio. Una furia, un leone affamato senza background tecnico ma sorretto da una straordinaria volontà, accoppiata ad un fascino squisito. Ferdinand de Lesseps combatté e vinse tutte le sue battaglie da straordinario imprenditore. La mattina dell’apertura del Canale di Suez, il 17 novembre 1869, diecimila persone lo videro a fianco dell’imperatrice sulla tolda della nave imperiale. Non era stata risparmiata spesa alcuna: un banchetto per 6.000 invitati, 500 cuochi importati dall’Europa, una nuova città, Ismailia creata dal niente, 50 navi austriache russe britanniche e francesi pronte ad attraversare il canale, una nuova opera, l’Aida, commissionata a
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Giuseppe Verdi. Per i successivi otto mesi - siamo arrivati adesso al 1870 - Ferdinand de Lesseps viaggiò in Europa come un eroe come lo fecero successivamente Gagarin e Neil Armstrong esattamente un secolo dopo. L’inquadramento del nostro eroe nel suo secolo e nella sua gloria costituisce premessa indispensabile per capire il seguito della storia, la stretta connessione che lega la gloria di Suez al disastro di Panama.
Gli studi approfonditi Nel 1875 la Società di Geografia Francese (un’istituzione di altissimo livello) organizzò a Parigi un primo congresso internazionale sul tema “Un canale interoceanico in America centrale”. Un de Lesseps carico di fascino prende la parola, e spiega che i problemi da risolvere sono due: il primo logicamente è relativo alla posizione geografica per ottenere il migliore dei tracciati possibili, il secondo riguarda quale tipo di canale doveva essere costruito, cioè se a livello del mare oppure ad una quota più alta, con l’adozione di chiuse su entrambi gli oceani. Molti studiosi americani, che erano già stati sul posto, parlarono delle loro esperienze per la costruzione di un canale sia a Panama
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come in Nicaragua e dei loro progetti con l’adozione di chiuse, ma il nostro Ferdinand de Lesseps costruttore del canale di Suez a livello del mare fu inflessibile: sulla scorta della sua esperienza egiziana, non vedeva altro che un “canal a niveau sans ecluses”. Convincimento quanto meno affrettato non avendo il nostro eroe nessuna conoscenza diretta dei luoghi. Contemporaneamente gli inglesi, aiutati dai banchieri Rochshild, conquistano il controllo finanziario della Compagnia del Canale di Suez congedando amabilmente Ferdinand de Lesseps che ne era presidente, lasciandolo quindi libero di accettare altri incarichi. Sempre nello stesso periodo, come abbiamo già riferito, il Presidente americano Grant istituisce una commissione incaricata di stabilire se e dove era possibile un canale tra i due oceani. Al termine degli studi gli americani erano favorevoli non solo ad un canale con le chiuse, ma addirittura non a Panama bensì in Nicaragua. La reazione di Ferdinand de Lesseps fu immediata: l’annuncio di un grande congresso internazionale aperto a tutte le nazioni civilizzate e sponsorizzato dalla Società di Geografia Francese, con lo scopo di discutere su dove e sul come. La decisione degli americani, infatti, per il nostro eroe era totalmente errata. Contemporaneamente all’annuncio del congresso, a Parigi viene fondata la “Società Internazionale per il Canale Interoceanico” con un capitale modesto, 300.000 franchi, società di cui, è bene chiarire, Ferdinand de Lesseps non era né fondatore né azionista né presidente. La società infatti era governata da tre direttori che avranno un’importanza fondamentale nel nostro racconto: - Istvan Turr combattente con Garibaldi in Sicilia e possessore del più affascinante paio di baffi di tutta Parigi, personaggio noto e ricercato nei salotti bene della capitale; - il barone Jacques de Reynach banchiere, speculatore e sciupafemmine; - il tenente Lucien Wyse, figlio illegittimo della principessa Letizia nipote di Napoleone. Alto, atletico, bello con gli occhi blu e la barba colta e ben curata fu proprio lui a contattare per primo il nostro eroe. Dal 1875 iniziano le esplorazioni francesi sull’istmo di Panama. Wyse parte nel novembre del ’76 e sta via per sei mesi accompagnato dal tenente Reclus, suo principale collaboratore. Torna distrutto, malato di malaria, magro come un’acciuga e riporta a Ferdinand de Lesseps la tragica notizia che a suo parere l’unico
9. Un’azione della Compagnia Universale del Canale Interoceanico.
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modo per realizzare un canale a livello del mare era tramite la costruzione di un tunnel lungo 9 km! Un tunnel!?! De Lesseps, fuori dalla divina grazia, li maltratta con parole di fuoco e li rimanda a Panama convincendoli a trovare una soluzione a livello del mare seguendo lo stesso tracciato della ferrovia. Ma mentre i francesi si trastullavano tra i due oceani viaggiando avanti e indietro con la ferrovia, gli americani facevano un egregio lavoro con spedizioni serie ed organizzate, con mesi di lavoro totalmente trascorsi sul sito. Il rilievo plano-altimetrico accurato di tutto l’istmo a fianco della ferrovia era accompagnato da uno studio statistico sulle portate del fiume Chagres, vero protagonista della futura realizzazione del lago Gatun e della connessione tra i due oceani. I francesi invece si comportano pigramente nell’esplorazione dell’istmo, attivissimi solo nell’arte dei rapporti internazionali. Infatti il tenente Wyse nel marzo del 1878 riesce a firmare un contratto con il presidente della Colombia, sotto la cui giurisdizione allora ricadevano le terre di Panama, contratto in cui era garantito alla Società Internazionale del Canale Interoceanico il diritto di costruire e gestire il futuro canale a fronte di un ritorno del 5% su tutti i ricavi per un periodo di venticinque anni. Insieme al diritto di costruzione, la Colombia concedeva alla società francese 500.000 ettari di terra oltre ad una striscia di 200 metri su entrambi i lati delle sponde del futuro canale. Insomma un bel contratto da esibire come biglietto da visita all’imminente congresso che si sarebbe aperto pochi mesi più tardi a Parigi, esattamente il 15 maggio 1879.
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Il congresso di Parigi Il congresso non fu solo un confronto tra francesi ed americani, fu una vera e propria guerra combattuta senza esclusione di colpi. Con un solo vincitore. Il congresso venne organizzato presso la sede della Società di Geografia nel quartiere latino, a Saint Germain tanto per intenderci, in una grande sala di rappresentanza. Vi parteciparono ben 136 delegati in rappresentanza di 21 nazioni. In stretto ordine alfabetico: Austria, Belgio, Cina, Colombia, Costa Rica, Germania, Gran Bretagna, Italia, Messico, Nicaragua, Norvegia, Olanda, Perù, Portogallo, Russia, Salvador, Spagna, Svezia, Svizzera oltre naturalmente alla Francia e agli Stati Uniti. Fra gli americani coloro che saranno i tecnici i protagonisti del futuro canale: il tenente Ammon, l’ingegner Menocal ed il comandante Selfridge che già conosciamo. Comunque dei 136 delegati ben 73, cioè più della metà, erano francesi e tra di loro ben pochi ingegneri e tecnici. Mentre i rapporti iniziali dei francesi erano basati più sulla retorica che su dati tecnici o scientifici, l’intervento degli americani, preciso puntuale e supportato da basi incontrovertibili, scatenò una specie di rivoluzione abbinata ad una sconvolgente rivelazione: un canale attraverso il Nicaragua avrebbe avuto minori problemi costruttivi e finanziari. Da Est verso Ovest, sfruttando il San Juan River reso navigabile ed aggiungendo 40 miglia di canale con dieci chiuse, si sarebbe giunti al lago Nicaragua, da dove solo 16 miglia lo distanziavano dal Pacifico; da qui un secondo canale a scendere con altre dieci chiuse avrebbe risolto il problema. Il percorso totale sarebbe stato di 180 miglia, 56 delle quali erano però rappresentate dal lago Nicaragua. Infine i costi: gli americani stimavano un importo globale di 66 milioni di dollari, il 30% in meno dei 95 stimati dal tenente Wyse per quello di Panama. La relazione degli americani era così precisa, puntuale e supportata da dati scientifici inconfutabili da lasciare di stucco i delegati francesi. Infatti la loro esposizione piena di paroloni non era supportata né da planimetrie né da profili altimetrici. La loro esposizione era basata sul racconto dei loro viaggi e sulle loro impressioni e quindi su niente di tecnicamente valido. Due giorni dopo l’ingegner Menocal riprende la parola parlando questa volta non del Nicaragua ma di Panama. Dopo tre mesi di rilievi nella valle del fiume Chagres, l’ingegner Menocal spiega all’allibito uditorio francese che qualsiasi soluzione per un ca-
nale a livello sarebbe stata un disastro: il canale infatti avrebbe dovuto attraversare il fiume diverse volte. Non solo, la caduta del fiume nel canale avrebbe significato la creazione di una cataratta con 13 metri di altezza ed inoltre durante la stagione delle piogge il fiume sarebbe cresciuto di almeno 3-4 metri peggiorando ulteriormente la situazione. Ed inoltre: l’attraversamento del Continental Divide a Culebra avrebbe comportato una trincea di 90 metri d’altezza con il pericolo costante di enormi frane. Insomma, concludevano i tecnici americani, il progetto francese di un canale a livello del mare supportato da Wyse era totalmente folle ed impraticabile. Ci furono altre deboli proposte dai rappresentanti di altre nazioni ma a tutti fu chiaro che il Congresso doveva scegliere ormai tra le due opzioni rimaste sul tavolo, il canale a livello proposto da Wyse a Panama ed il canale a chiuse dell’ingegner Menocal da costruire in Nicaragua. A questo punto nell’arena scende il nostro eroe pieno di gloria, ancora splendente e maestoso per l’impresa di Suez, un vero attore sul palcoscenico, alto virile radioso affascinante. “Cari congressisti, inizia Ferdinand de Lesseps, basta dare un’occhiata alla carta geografica per capire che non c’è altro posto che Panama per un canale tra gli oceani. C’è già una ferrovia, ci sono due città alle loro estremità e ci sono due porti. Va bene, ci sono dei problemi, c’è un fiume che dà fastidio, qualche montagna da abbassare, ma risolveremo tutti i problemi come li abbiamo già risolti a Suez. Per ogni sfida ci deve essere un uomo di genio capace di vincerla. E per il denaro? C’è un sacco di soldi in Francia che aspettano solamente di essere investiti in azioni fruttifere”. Ma nonostante questo exploit mattutino di de Lesseps, il capo del famoso dipartimento di Ponts e Chaussées, il barone De Lepinay, non solo non ne tenne conto ma alzò la voce su una modesta e seria proposta assolutamente profetica. In Nicaragua c’è un lago che aiuta la costruzione dell’attraversamento tra gli oceani? Bene, a Panama il lago lo creiamo noi. Un paio di dighe ben disposte vicino all’Atlantico ed al Pacifico risolveranno contemporaneamente i due problemi che sembravano insolubili: il fiume Chagres e le alture del Continental Divide. Le dighe alzeranno di una trentina di metri il livello delle acque ed il fiume verrà domato, lo scavo attraverso il Culebra sarà dimezzato, tre chiuse su entrambi i lati saranno sufficienti. Piano perfetto, tanto è vero che fu proprio quello realizzato quarant’anni dopo dagli americani. Aggiunge il De Lepinay che il
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progetto si poteva realizzare in sei anni al costo di 100 milioni di dollari. Ma questa proposta, seria, del barone non venne mai considerata valida al Congresso, per cui alla votazione finale vennero ammesse solo quelle di Wyse a Panama e di Menocal in Nicaragua. Durante la votazione Lesseps si rivolse all’assemblea dichiarando il suo voto per il progetto francese ed aggiungendo di essere disposto ad assumersi anche l’onere e l’onore del comando. Naturalmente la sua dichiarazione fu seguita da una standing ovation ed il congresso votò con 74 a favore e solo 8 contrari la proposta francese. Gli americani se ne tornarono a casa pieni di rabbia per una votazione assurda su un progetto assurdo non supportato scientificamente: ma non avrebbero dovuto aspettare molti anni per assistere al fallimento dell’avversario.
Inizia l’avventura “Ed io confermo che il canale di Panama sarà più facile costruirlo e gestirlo rispetto a quello di Suez”. Questa è l’altisonante promessa che de Lesseps dedica al suo pubblico quando il 30 dicembre 1879, all’inizio della stagione secca, arriva a Colon con la nave francese Lafayette. Colon era un disastro, popolata da poveri neri, la maggior parte giamaicani che avevano costruito la ferrovia vent’anni prima, un puzzolente putrido squallore di assoluta povertà. Ferdinand de Lesseps in un confortevole vestito di lino bianco, circondato da moglie e figli arriva carico di fascino ripetendo ad ogni piè sospinto “il canale si farà”. Pochi giorni dopo, il 6 gen10
10. I giamaicani scavano a mano con pala e cariola.
11. Una delle tante frane che hanno seppellito gli escavatori.
naio 1880, dopo aver atteso alcuni uomini d’affari americani provenienti da New York, la maggior parte azionisti della ferrovia, de Lesseps sale a bordo del treno che porta tutta l’allegra comitiva verso Panama City. Dopo un primo tratto di giungla di una bellezza straordinaria per chi non era abituato alla vegetazione tropicale, il treno si ferma presso il ponte che attraversa il fiume Chagres, il nemico numero uno del canale. Solo che il ponte non c’era più. Due mesi prima, a novembre, tre giorni di pioggia torrenziale avevano fatto aumentare la portata del fiume da 100 mc/secondo, valore medio durante la stagione secca, ad un impressionante 8.000 mc/secondo. Trenta km di binario erano finiti sott’acqua ed il ponte giaceva inerte qualche centinaio di metri più a valle, spostato da una piena che aveva fatto innalzare la quota del fiume di ben 14 metri. Con un sentiero arrangiato con tavole di legno e passerelle metalliche fu possibile trasferire tutti i passeggeri verso un treno proveniente da Panama City che attendeva i leggermente meno entusiasti visitatori a mezzo chilometro di distanza. Nessun rapporto verso Parigi doveva nominare il ponte scardinato dalla violenza del fiume. Nei pochi successivi chilometri il treno attraversò una decina di fiumi tutti affluenti del Chagres. Un numero d’altronde non eccezionale pensando che la ferrovia nella totalità della sua linea era caratterizzato da 170 ponti e tombini con luce superiore ai 5 metri e 134 con luce minore. Nei discorsi tenuti con gli americani a bordo del treno, Ferdinand de Lesseps apprese che tutto, letteralmente tutto, materiali e manodopera, era da importare a Panama per la costruzione del canale. Ed insieme agli uomini bisognava predisporre case, mense, dormitori, ospedali, negozi, tutto ciò che poteva servire per l’impresa. Il treno, ripresa la sua corsa, arriva con una docile salita al passo tra le montagne, il famigerato Culebra Pass che in lingua indio significa serpente, dove sorgeva la stazione di sommità. Poi la discesa veloce verso Panama City attraversando i villaggi di Paradiso, Pedro Miguel e Miraflores, nomi che dobbiamo tenere a mente perché saranno i protagonisti del canale. Tutto in un panorama di incomparabile bellezza. L’arrivo a Panama nella luce del tramonto doveva apparire splendido ai nostri passeggeri un po’ affaticati che avevano appena trascorso sui treni sei ore di viaggio invece delle tre previste. Panama in quei primi giorni dell’anno di grazia 1880 non era certamente accogliente, anzi, come ricordano i cronisti dell’epoca, vecchia e miserabile, cadente e puzzolente. Ma per l’arrivo della co-
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mitiva francese la popolazione tutta era stata gentilmente pregata di darle un aspetto pulito e presentabile. Una trasformazione miracolosa era stata portata a termine in pochi giorni. Per la grande occasione quasi tutti i 14.000 abitanti erano alla stazione ad attendere de Lesseps, velocemente scortato dopo i discorsi di rito verso il Grand Hotel, anch’esso totalmente rimesso in sesto nelle settimane precedenti, con una cucina che sfornava piatti francesi ed un pianista di prima classe che intratteneva gli ospiti. La mattina del 7 gennaio nella riunione dei nove membri della commissione tecnica, poche ed incisive le parole di Ferdinand de Lesseps: “Avete visto ciò che bisognava vedere, sapete quello che c’è da fare. Andate avanti e fatelo”. Tornato verso Colon e prima di salpare per New York, dove banche ed investitori erano pronti ad ascoltarlo, la commissione tecnica preparò un lungo rapporto conclusivo con una stima di costi inferiori al 30% a quello stimato a Parigi, cioè 184 milioni di dollari contro gli iniziali 240. Ma nel viaggio verso Manhattan Ferdinand de Lesseps ridusse ulteriormente la stima a 132 milioni di dollari con una diminuzione del 45% sul primo valore stimato. Dopo l’attraversata dell’Istmo in treno, si era autoconvinto che l’impresa di Panama fosse più semplice e sicuramente meno costosa di quella di Suez. Arrivato a New York Ferdinand de Lesseps attraversa in lungo ed in largo tutti gli Stati Uniti con un road show degno dell’impresa che proponeva. Ma gli americani non erano viziati da manie di grandezza e pur rispettando l’uomo, le grand français, non concordano affatto sulla sua intangibile fiducia nel canale a livello. Comunque quello che interessava il nostro eroe era la protezione americana durante e dopo la costruzione del canale, e questa gli venne sicuramente garantita. Ferdinand de Lesseps tornò a Parigi a metà aprile dopo cinque mesi di viaggio nel continente americano: aveva raccolto successo ed entusiasmo intorno al suo progetto, ma non un solo americano aveva comprato una singola azione della sua Compagnia.
Le azioni della Compagnia A Parigi la vendita delle azioni della Compagnia universale per il canale interoceanico di Panama fu un successo grandioso. Tutti i venture capital di cui l’Europa era già allora ampiamente costellata si buttarono sull’affare. Tutto questo nonostante che una delle maggiori banche dell’epoca, quella franco-egiziana, aves-
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se fatto trapelare la propria contrarietà, stimando il fallimento di una mezza dozzina di Compagnie prima che qualsiasi nave potesse passare attraverso il canale. Un consorzio di banche commerciali e di investimento si occupò del collocamento delle azioni; fu fissato un capitale iniziale di 60 milioni di dollari suddiviso in 600.000 azioni da 100 dollari ciascuna. Per avere un’idea basta ricordare che 100 dollari rappresentavano allora il salario annuale della metà della popolazione della Francia. Comunque l’acquisto era rateizzato: 25% di acconto e sei anni per pagare il saldo. L’investimento sul canale di Panama diventò in breve il “magico mondo” sul quale investire tutti i propri risparmi: i giornali facevano a gara a prevedere dividendi altissimi. D’altronde in precedenza le azioni di Suez avevano quasi centuplicato (per l’esattezza 76 volte) il loro valore in venti anni. Il collocamento delle azioni iniziò il 7 dicembre 1880, ed in tre giorni furono prenotate 1.208.000 azioni da oltre 100.000 pretendenti, più del doppio del quantitativo disponibile. Ottantamila piccoli azionisti avevano acquistato da uno a cinque azioni, ma sarebbe meglio correggerci in “piccole azioniste” in quanto ben 60.000 su 80.000 erano donne. La formale registrazione della Compagnia avvenne il 3 marzo 1881: naturalmente Ferdinand de Lesseps fu nominato presidente ed il figlio Charles direttore generale, con stipendi non eccessivi per l’epoca e per la funzione. La preparazione fu lunga, bisognava mettere insieme una squadra di 40 ingegneri ed un nutrito gruppo di tecnici a supporto.
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Solo alla fine di gennaio del 1881 un primo gruppo arrivò a Colon a bordo del fedele piroscafo Lafayette, con a capo della squadra due direttori: Gaston Blanchet e Armand Reclus; molte famiglie si associarono alla spedizione. Il 1° febbraio Reclus mandava un laconico telegramma: “Lavoro iniziato”. La strategia era semplice: primo, preparare un sentiero di esplorazione largo 15 metri da costa a costa per poter visionare con accuratezza il tracciato del canale, poi iniziare lo scavo del Culebra, certamente la tratta che avrebbe richiesto sforzi e tempi maggiori. Comunque il tracciato tagliava il fiume Chagres non meno di quindici volte ed il fiume si confermava il vero protagonista del canale. Ma mentre il lavoro procedeva per il meglio, la stagione secca, quella che Ferdinand de Lesseps aveva visto da gennaio ad aprile, purtroppo finiva. La pioggia di Panama è speciale: 25 mm di acqua in meno di un’ora è del tutto normale. Da maggio a novembre, alla luce del mattino, il cielo è pieno di luminose torreggianti nuvole bianche. Ad un certo punto del pomeriggio le nuvole diventano nere, la temperatura si abbassa di otto gradi ed arrivano le piogge con la P maiuscola: con gli stivali che calpestano le foglie impassibili, hai pochi secondi per trovare un rifugio, poi si aprono le paratoie del cielo ed è l’inferno. Se sei sotto un tetto di lamiera sembra che un treno merci ti passi sopra la testa a tutta velocità. La prima esperienza durante la stagione delle piogge si rivelò tragica: solo il 10% dei lavoratori presenti nel cantiere rimasero sul
12. Scavo del canale eseguito con una draga montata su rotaia.
13. Una fase degli scavi sui monti del Culebra - cut.
14. Una delle numerose frane che hanno contrassegnato gli scavi del trincerone.
posto di lavoro per una durata superiore ai sei mesi. Tutti gli altri fuggivano prima. Le conseguenze del clima di Panama sugli attrezzi, sui vestiti e sugli effetti personali erano devastanti. Sui vestiti, sulle scarpe e sugli strumenti di lavoro cresceva la muffa durante la notte ed i vestiti da lavoro raramente diventavano asciutti. I mobili incollati si aprivano in due, si deformavano porte e finestre, rivestirsi al mattino con abiti asciutti era un sogno irrealizzabile. Inoltre tutti i trasporti di uomini e di mezzi dipendevano dalla ferrovia che aveva ritmi ed orari incompatibili con le esigenze dei cantieri. Il povero ingegner Reclus, disperato, reclamava con forza l’acquisto dell’intera struttura ferroviaria, binari vagoni e locomotive, per averla a propria disposizione. Ad un prezzo di 20 milioni di dollari, quasi il triplo del valore di mercato, la Compagnia del canale interoceanico di Panama acquistò la ferrovia; e quasi tutto il capitale francese al momento disponibile se lo presero gli americani. Ferdinand de Lesseps difese l’acquisto della ferrovia nel suo incontro con gli azionisti e li convinse ad indebitarsi per 60 milioni di dollari con le banche. Con quei quattrini, disse, finiremo il lavoro. Gli azionisti abbagliati dalla grandezza dell’uomo, approvarono. L’altro direttore dell’avventura panamense, l’ing. Blanchet, nel frattempo riuscì a terminare il rilievo topografico completo della fascia interessata dal canale. I topografi riuscirono nell’impresa armati fino ai denti, uccidendo migliaia di moschitos e scor-
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pioni grossi come un pugno che si arrampicavano sugli stivali. Ammazzarono alligatori e giaguari, difendendo i loro strumenti con ogni mezzo, e finirono il lavoro. Lo scavo del canale si palesava con conteggi di metri cubi ben superiori alla stima iniziale. Ma dopo la pioggia arriva la morte, in modi e con cifre inaspettate: per malaria all’inizio poi per febbre gialla. Si moriva in pochi giorni: prima una febbre altissima poi un vomito nero di sangue, la temperatura del corpo che si abbassa di colpo e quindi la morte in poche ore. Se si sopravvive non sempre il cervello funziona a dovere. Anche l’ingegner Blanchet ci lascia le penne e con lui nel primo anno i morti sono sessanta ufficialmente, molti di più in realtà. Alla fine del 1881, il primo anno di lavoro, gli uomini del cantiere erano 2000 e 200 i tecnici francesi; con il loro numero erano cresciute a Panama le tre industrie principali: alcool, prostituzione e gioco d’azzardo.
La grande trincea Il lavoro di scavo dell’enorme trincea, 190 metri di altezza massima ed una lunghezza complessiva di circa 4 km con altezze significative, iniziò con grandi festeggiamenti e molta dinamite il 30 gennaio 1882 nel pieno della stagione secca e nel secondo anno di lavoro effettivo. Ma fu anche l’anno in cui qualsiasi tipo di macchinario adatto allo scavo ed al trasporto raggiunse il canale, senza alcuna programmazione sia per tipologia che per meccanica, tanto da divenire oggetto di scherno tra i politici americani che vegliavano attenti sui lavori del canale, aspettando come avvoltoi la inevitabile fine tragica di quel tentativo così assurdo come lo scavo di un canale a livello del mare. Addirittura non solo i binari per la movimentazione dei treni di smarino erano con scartamenti differenti, così come i locomotori ed i vagoni, ma tra gli ordinativi emessi faceva bella figura la richiesta prontamente soddisfatta di 10.000 pale per la neve! Gli impianti ed i macchinari francesi riempivano i cantieri con la massima differenziazione di marche e di modelli, quasi che Panama fosse una specie di arca di Noè. E siccome la fortuna è cieca ma la rogna ci vede benissimo, nel mezzo della stagione delle piogge e della notte ecco che un terribile terremoto fa tremare tutta la regione, distruggendo mezza Panama ed in particolare la cattedrale ed il municipio. Era il 3 settembre 1882 e la botta era stata così forte da peggiorare ulteriormente
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una situazione già compromessa. Al di là dei danni materiali, il danno peggiore risiedeva nella consapevolezza che mai il canale avrebbe potuto essere terminato nei tempi programmati e con il budget previsto e sbandierato. In questo clima totalmente negativo, la storia di Panama dal 1982 in poi si regge su due nuovi ed eccezionali personaggi: il direttore generale Giulio Dingler, capo dell’Istituto parigino di Ponti e Strade, e Filippo Bunau-Varilla certamente la figura più affascinante della storia che vi stiamo narrando, protagonista assoluto fino all’ultimo atto. I francesi sono costretti a mettere da parte l’orgoglio nazionale ed amaramente subappaltare agli americani un terzo dello scavo del canale, in particolare tutta la parte relativa al dragaggio. Con le gigantesche draghe Slaven costruite a Filadelfia gli americani facevano evidenti progressi. L’organizzazione dei lavori era suddivisa in tre cantieri base: a nord lo scavo del canale seguendo la parte bassa del fiume Chagres, in centro lo scavo dell’enorme trincerone di Culebra, a sud il canale che dal Continental Divide si porta nella baia di Panama. Sotto la direzione di Dingler l’ammontare di macchinario ed attrezzatura raggiunse la massima espansione così come la formicolante manodopera a maggioranza giamaicana, allettata da salari per allora straordinariamente elevati: un dollaro e mezzo al giorno. I programmi faraonici erano basati su cifre spettacolari (un milione di metri cubi al mese) mentre in realtà a malapena raggiungevano i 200.000 metri cubi. Ma comunque tutte le quan-
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tità inserite nei magisteri di lavoro parlavano eloquentemente di cifre eccezionali per l’epoca: il canale doveva essere lungo 74 km, avere una larghezza minima alla base di almeno 22 metri ed una profondità garantita di 9 metri per far navigare navi con pescaggi a pieno carico di 8 metri. Oltre al canale, anche la diga necessaria per regolare le piene del fiume Chagres doveva avere un’altezza di 48 metri. Il direttore generale Dingler fece rifare tutti i conti e la revisione dei valori di scavo si impennò di 45 milioni di metri cubi rispetto ai 75 inizialmente stimati raggiungendo quindi la quota eccezionale di 120 milioni di metri cubi da scavare. Ma nuvole ancora più nere si addensavano sulla storia del canale: nel corso del 1883 i decessi per febbre gialla raggiunsero le 50 unità tra gli impiegati francesi ma ben 1.300 tra gli operai quasi tutti giamaicani. Una tragedia senza fine: ma la testardaggine (e l’orgoglio) dei francesi superava anche la conta dei cadaveri. Nel 1884 il numero degli operai presenti sul cantiere arriva a 19.000. Il 1884 si annuncia anche con piogge torrenziali, nel mese di maggio il fiume Chagres si innalza di 3 metri in 24 ore ed in luglio di ben 5 metri nell’arco di una sola giornata. L’approfondimento degli scavi a Culebra si appalesa in tutta la sua tragica realtà, con
15. Tutti i trasporti dello smarino corrono sui binari.
16. Gustave Eiffel fornitore incaricato per la costruzione delle porte vinciane.
enormi incontenibili frane di migliaia di migliaia di metri cubi che trascinano nel loro violento movimento pale, escavatori, locomotive, vagoni e binari. Il grande scavo rimaneva stabile durante la stagione secca ma nella stagione delle piogge l’acqua penetrava nei sottili strati di argilla incuneati nella fondazione basaltica e provocavano disastrosi movimenti franosi. Rimedi? Certo, ridurre la pendenza delle scarpate, costruire dei canali paralleli alla direzione principale per allontanare l’acqua dalle zone in pendenza. Ma questo comportava un aumento esponenziale delle quantità di terreno da scavare; volendo limitare il nostro conto ad una pendenza di uno su quattro, la larghezza massima del canale alla quota più elevata diventava di ben 1200 metri. La geometria non racconta bugie: se il canale doveva essere largo 22 metri sul fondo e 27 metri in corrispondenza del pelo dell’acqua e se la pendenza massima non doveva superare uno su quattro, la larghezza lassù in cima, a 130 metri d’altezza, non poteva che essere di1.200 metri. Il solito giornalista americano in visita di controllo sull’operato dei francesi a Panama, stimò senza essere smentito che con l’attuale ritmo di lavoro lo scavo di tutto il canale a livello del mare sarebbe durato altri ventiquattro anni. Ma la tragedia non era finita: il peggio doveva arrivare nel 1885. Muore la moglie adorata del direttore generale Giulio Dingler ed il conteggio dei cadaveri raggiunge cifre impressionanti. Una stima realistica fa risaltare una situazione tragica: su ogni 100 lavoratori 20 muoiono, 60 guariscono ma non sono più abili al lavoro e solo 20 rimangono. Di tutti i 200 ingegneri e tecnici francesi la metà sale in cielo. Dei 33 italiani presenti nei cantieri ben 27 ci lasciano le penne. Ma peggio ancora capita alle suore Figlie della Carità che lavorano negli ospedali: delle 24 presenti ben 22 volano non stop in Paradiso. Quaranta morti al giorno, 17.000 nel solo anno di grazia 1885. Nell’agosto di quell’anno il direttore generale Dingler esausto e disperato torna in Francia, dopo di lui l’affascinante e giovanissimo Philippe Bunau-Varilla (che ha solo 26 anni) prende il suo posto alla direzione generale del canale.
La caduta “Fedele al mio passato, più qualcuno tenta di fermarmi, più combatto per andare avanti”. Lo diceva Ferdinand de Lesseps, ammesso tra gli immortali di Francia il 23 aprile 1885. Ma mentre questo accadeva a Parigi, le cose a Panama non sta-
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vano affatto bene. Come avvoltoi, i giornali di lingua inglese cominciarono inizialmente a scatenare un pettegolezzo di basso livello, seguito poi da una satira violenta verso la fine dell’anno. Infatti mentre Philippe Bunau-Varilla raccontava all’assemblea degli azionisti che i lavori erano a metà ( ed in realtà solo il 10% dello scavo era stato effettivamente completato) le cose si mettevano davvero al peggio. Allora come oggi, piove sempre sul bagnato: un fortunale di eccezionale intensità nel mese di dicembre fa affondare dieci navi a Colon e gonfia le acque del fiume Chagres di oltre 10 metri in una sola giornata. Per visitare i lavori, il nuovo direttore generale Philippe Bunau-Varilla doveva muoversi in canoa. Un disastro. Anche Ferdinand de Lesseps intuisce che la fine è vicina e ad 80 anni suonati tenta l’ultima carta: un ulteriore viaggio a Panama dove arriva il 17 febbraio 1886. Ancora una volta la sua personalità è tra- 16 scinante, l’accoglienza della folla è la stessa del dopo Suez, entusiastica fino al delirio, sublimato da un enorme striscione che scandisce: gloria al genio del XIX secolo. Tutto questo però si svolgeva, come per le visite precedenti, in piena stagione secca. Per cui i delegati che accompagnavano il nostro eroe tornavano a Parigi entusiasti per il lavoro visitato nell’enorme cantiere. Ma l’ing. Russeau, famoso ingegnere del Dipartimento di ponti e strade, inviato dal governo per conoscere tecnicamente nei dettagli la situazione dei lavori, tornava a Parigi affermando due crude verità: 1) che abbandonare i lavori avrebbe significato un disastro finanziario per migliaia di azionisti ed uno schiaffo doloroso al prestigio francese. 2) che l’unica soluzione drastica e tecnicamente percorribile era abbandonare definitivamente il progetto del canale a livello del mare e salire di quota installando le chiuse. Naturalmente Philippe Bunau-Varilla non ci sta, ( nella sua scaltrezza porge le sue dimissioni anticipando l’inevitabile fine francese, ma anche per prepararsi ad un rientro dalla finestra americana) e lancia una proposta a suo dire rivoluzionaria. Suddividere gli 80 km del canale in una serie di laghetti artificiali collegati gli uni agli altri da chiuse con un dislivello di
circa 3 o 4 metri e scavare il canale partendo dall’alto con draghe e non con escavatori e pale. Mano a mano che una porzione del canale viene approfondita al livello inferiore due chiuse per volta, una verso l’Atlantico e l’altra verso il Pacifico, verrebbero naturalmente smontate. In linea teorica veniva così salvata la faccia dei francesi. In realtà il furbo Philippe Bunau-Varilla sapeva che le chiuse non sarebbero mai state smontate, ma per l’opinione pubblica l’onore della grandeur francese sarebbe stato salvo. Cogliendo al balzo l’occasione, Ferdinand de Lesseps e suo figlio Charles preparano il pubblico al cambiamento progettuale, promettendo l’apertura del canale per il 1890 con il sicuro passaggio di almeno 20 navi al giorno. Ma la situazione finanziaria era ormai disperata, e al nostro eroe non rimaneva che supplicare il Ministro delle Finanze per l’emissione di un’altra sostanziosa fetta di obbligazioni per poter terminare i lavori. Per il nuovo progetto servivano altri 330 milioni di dollari che si aggiungevano ai 220 milioni che gli azionisti francesi avevano già tirato fuori di tasca propria. Cosa fece Ferdinand de Lesseps a questo punto? Un colpo di genio: associò alla Compagnia l’ingegner Eiffel, anche lui carico di gloria mentre stava costruendo a Parigi la più famosa torre in acciaio del mondo. La connessione era logica in quanto decine di porte di acciaio dovevano essere costruite con il progetto a scalini (10 coppie di porte). Il progetto revisionato c’era. Con un tour de force incredibile per la sua età (ma purtroppo non solo con quello) Ferdinand de Lesseps convinse i deputati a votare una legge che autorizzasse l’emissione di un prestito obbligazionario di 145 milioni di dollari. Le obbligazioni furono vendute a 72 dollari contro un valore nominale di 80, questo inizialmente, ma dei due milioni di titoli obbligazionari solo 800.000 furono piazzati all’inizio, meno della metà. Fatto incredibile è che questi 800.000 furono sottoscritti da ben 350.000 persone che avevano acquistato da uno a tre titoli, in pratica tutti i loro risparmi, riponendo ancora una volta un’estrema fiducia nel loro eroe, oltre ogni logica.
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Ferdinand de Lesseps e suo figlio ricominciano a girare la Francia in cerca di altre sottoscrizioni, il prezzo dei bond scese dal livello iniziale di 72 dollari prima a 64 e poi addirittura a 52, ma nonostante tutto questo sforzo 400.000 bond rimasero invenduti alla data finale fissata per la sottoscrizione. Il risultato non poteva che essere la bancarotta: la Compagnia universale per il canale interoceanico di Panama non era in grado di restituire gli importi sottoscritti da centinaia di migliaia di disperati cittadini francesi. Il 14 dicembre la stampa internazionale annunciò al mondo “the great canal crash”. La Camera dei deputati respinse la richiesta della Compagnia per una moratoria di tre mesi: la fine ufficiale fu scritta sei settimane più tardi, il 4 febbraio 1889, con la nomina di un liquidatore. La Compagnia interoceanica francese per il canale non esisteva più.
Lo scandalo
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La storia del disperato tentativo francese non finisce qui. Tre anni più tardi nel 1892 esce il libro di Edoardo Brumont “I segreti di Panama” a dimostrazione di un presunto complotto giudaico. Il libro viene seguito dalla denuncia di un deputato che alla Camera asserisce che 150 colleghi avevano preso laute mazzette per votare la legge che permetteva alla società per il canale interoceanico di emettere 400 milioni di dollari di obbligazioni. Lo scandalo che ne seguì scosse non solo la Francia ma tutta l’Europa. Fu assodato infatti che Ferdinand de Lesseps, con l’aiuto di un finanziere d’assalto, il barone Jacques de Reinach, avesse distribuito mazzette a giornalisti e parlamentari in grande quantità. Un deputato della destra urlò alla Camera che 150 deputati erano stati corrotti e che di conseguenza andava votata l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare per accertare la fondatezza delle accuse. La commissione, composta da 33 membri, si riunì sessantatre volte, ricevette centocinquanta deposizioni e compilò mille dossier individuali. Ad un certo punto dell’inchiesta si sussurrò addirittura che anche il grande George Clemenceau fosse coinvolto nello scandalo.
17. Philippe Bunau Varilla, sarà protagonista fino all’inaugurazione del canale.
Il protagonista vero invece fu Cornelio Hertz, straniero ed ebreo con una brillante carriera politica a Parigi, da tutti conosciuto, temuto e stimato, decorato con la grande croce della Legione d’onore. Hertz pagò l’avviamento del giornale “La Giustizia” di Clemenceau, ma in particolare fu provato che Hertz versò al barone de Reinach un assegno di 600.000 dollari che a sua volta fu suddiviso in ventisei assegni separati al portatore. Gli assegni ricercati in tutta Europa dimostrarono senza alcun dubbio un notevole giro corruttivo: un altro assegno di 400.000 dollari fu incassato da Hertz, spezzettato e girato a 104 deputati. Facendo le somme un milione di dollari fu distribuito fra 130 parlamentari ed influenti giornalisti. È chiaro che questo enorme scandalo fece della parola “Panama” il sinonimo di corruzione e spreco, un vero e proprio dispregiativo. Lo scandalo montò ancora più violento quando il barone de Reinach fu trovato morto nel suo appartamento di Parigi (disgrazia?... omicidio?... suicidio?...). Mentre si svolgeva il processo Ferdinand de Lesseps desiderava solo riposo e pace e non partecipò alle udienze, in sua difesa accorse l’ingegner Eiffel, bello e vigoroso oltre che famoso. L’accusa per lui era basata su 16 milioni di dollari quale anticipo sulla costruzione delle chiuse mai fornite. Il giudice lo assolse: “il contratto era curioso” sentenziò, ma non illegale. Il processo per la frode più grande di tutti i tempi si chiuse con la condanna a cinque anni di carcere per padre e figlio de Lesseps, che però non andarono subito nelle patrie galere. Dopo il processo d’appello solo Charles scontò un anno di prigione.
Conclusione - L’ingegner Eiffel prima finì di costruire la sua torre poi si diede alla meteorologia. - Hertz morì nel 1898. - Clemenceau finì politicamente distrutto, un vero disastro le successive elezioni, ma riemerse come padre della patria nel 1917 durante la prima Guerra Mondiale. - Ferdinand de Lesseps morì il 7 dicembre 1894 a 89 anni. Il funerale fu esclusivamente familiare e la Compagnia di Suez pagò tutte le spese. La parola Panama non fu mai pronunciata. L’avventura di Panama era costata 300 milioni di dollari (il triplo di Suez) e 25.000 morti, un bilancio davvero tragico.
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Federico Gervaso
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el settembre del 1901 un grave avvenimento scosse l’America. Il neoeletto presidente William Mckinley venne ucciso a Buffalo con due colpi di pistola da un anarchico. Come immediata conseguenza (ricordiamo che Johnson giurò sull’aereo che lo conduceva a Washington poche ore dopo l’assassinio di Kennedy nel novembre del ’63) il vicepresidente Theodore Roosevelt divenne il 26esimo presidente degli USA. Era il più giovane presidente americano, a soli 42 anni. Rappresentante dell’agiata borghesia del New England, era laureato ad Harvard, colto, intelligente, di bell’aspetto. Il primo presidente a chiamare White House la residenza di Washington, il primo ad essere chiamato con le soli iniziali, il primo a giocare a tennis e saltare a cavallo. Roosevelt ha un’importanza fondamentale nella storia di Panama così come il suo segretario di Stato John Hay: entrambi erano i più convinti assertori della necessità di un canale interoceanico in centro America. Dall’altra parte del tavolo delle trattative per la costruzione del canale troviamo il vecchio direttore generale della Compagnia francese per il canale interoceanico di Panama, Philippe Bunau-Varilla, che aveva dato le dimissioni dalla Compagnia ma era rimasto a Panama alla testa di una delle tante imprese americane che lavoravano allo sbancamento di Culebra. Quando nel febbraio del 1889 la Compagnia fu sciolta per fallimento, il Tribunale civile francese aveva nominato un liquidatore che, come atto iniziale, fondò la Nuova Compagnia del canale di Panama per gestire i pochi asset rimasti. Tra gli azionisti uno dei maggiori era certamente Philippe Bunau-Varilla. Da dove avesse tirato fuori i soldi resta tuttora un mistero. Rimane il fatto che fu il solo personaggio francese che agì da protagonista assoluto anche negli anni successivi, la sola controparte attiva al tavolo delle trattative tra panamensi e americani. Ma andiamo con ordine: in quegli anni la realizzazione del collegamento tra l’Atlantico ed il Pacifico attraverso il centro America era per l’amministrazione di Washington una priorità assoluta. Sul tavolo rimanevano in teoria le due alternative a lungo esaminate da centinaia di tecnici nella zona dell’istmo: la soluzione Panama, iniziata dai francesi, ora con la variante chiuse al posto del canale a livello; e quella nicara-
1. Un’illustrazione panoramica dello scavo a Culebra.
2. Theodore Roosevelt, protagonista assoluto dell’impresa americana.
3. Philippe Bunau Varilla, il tessitore della tela tra Panama e Washington.
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guense, più lunga ma che sfruttava per una buona metà del percorso un lago esistente, il lago Nicaragua, il cui confine occidentale era posto a poche miglia dal Pacifico. L’amministrazione americana considerava assolutamente prioritaria la costruzione del canale ed il segretario di Stato John Hay, che firmò un trattato con gli inglesi nel novembre del 1901 per avere mano libera, voleva che gli Stati Uniti avessero il sacrosanto diritto di costruire un canale che come a Suez fosse aperto in tempo di pace ed in tempo di guerra alle navi di tutte le nazioni in termini di equità universale. Bisogna a questo punto della nostra storia precisare che Theodore Roosevelt seguiva la vicenda del canale nell’ovvia convinzione (per gli americani) che il canale dovesse essere costruito in Nicaragua. In nessuno dei discorsi pubblici e nei documenti scritti fu mai pronunciata od utilizzata la parola Panama. Dai tempi del con-
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a spese degli Stati Uniti e se il trattato sei giorni dopo (il 16 dicembre) fosse ratificato al Senato con votazione unanime. Non solo: il 9 gennaio la Camera con voto quasi unanime, 308 a 2, approvò la decisione di procedere con la costruzione del canale in Nicaragua. Quindi tutto finito per Panama? Neanche per sogno: sentite questa storia che con le premesse appena fatte ha realmente dell’incredibile. 2
gresso di Parigi del 1879, per gli americani la scelta per l’ubicazione del canale interoceanico nemmeno si poneva. Infatti: • nel Nicaragua era ubicato il punto più basso di attraversamento di tutto il continente americano dall’Alaska fino alla Terra del Fuoco; • 80 km erano già costituiti da un magnifico lago che tra l’altro offriva una illimitata quantità d’acqua per la gestione delle chiuse; • il Nicaragua era un paese fertile e salubre senza il contorno di tutte quelle malattie che infestavano la giungla panamense. Nessuna meraviglia che gli archivi di Camera e Senato disponessero di migliaia di rapporti tecnici e descrittivi sulla saggezza della soluzione Nicaragua. Nessuna sorpresa quindi se il 10 dicembre a Managua il segretario di Stato John Hay firmò la convenzione per la costruzione del canale in Nicaragua
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Il ribaltone Il 20 gennaio la Commissione, che solo undici giorni prima si era espressa in modo favorevole al Nicaragua, praticamente plagiata dal presidente Roosevelt che aveva chiamato i componenti uno per uno privatamente, dichiarò con forza la propria unanime decisione favorevole alla costruzione del canale di Panama! Non solo: a seguito della decisione della commissione, il Senato in data 28 gennaio 1902, rovesciando la decisione precedente, autorizzò il Presidente ad acquistare dalla nuova Compagnia francese del canale di Panama la concessione per la sua costruzione per un importo di 40 milioni di dollari; inoltre ad acquistare dalla Colombia il controllo perpetuo di una zona larga 10 km a destra e a sinistra del canale. Infine a costruire il canale in Nicaragua solamente se non si fosse concretizzato in un tempo ragionevole l’accordo con Panama e con la Colombia. Solo in questo caso il Presidente sarebbe stato autorizzato a procedere
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con la costruzione del canale in Nicaragua. Ma cosa diavolo era successo perché in pochi giorni il vento cambiasse così rapidamente e drasticamente direzione? La risposta sta nell’estenuante attività di una nostra vecchia conoscenza, il visconte Philippe Bunau-Varilla ben coadiuvato da un avvocato americano lobbista, William Cromwell. Il gatto e la volpe: si spiega solo così il grande ribaltone.
Panama lobby Cromwell, ben noto negli ambienti che contano, era entusiasta di essere chiamato “uomo del mistero” oppure il “manovratore di marionette”, ed in realtà era un uomo pericoloso, quando si metteva in testa un traguardo da raggiungere non usava riguardi particolari verso chi vi si opponeva. Aveva un atteggiamento diretto verso l’interlocutore del momento, diceva cosa voleva e quando. Se prometteva una ricompensa manteneva la parola. Ma la sua maggiore abilità risiedeva nel trovare i punti deboli dei potenti e di sfruttarli a suo favore. Philippe Bunau-Varilla lo conosciamo già. Usò tutta la sua abilità e quasi tutto il suo patrimonio personale per un road show attraverso gli USA per convincere il suo pubblico privilegiato ad adottare la soluzione panamense invece di quella nicaraguense. Nel suo libro “Panama: past present and future” Philippe Bunau-Varilla aveva elencato, e li ripeteva in pubblico, i vantaggi di Panama: più breve, minor volume di scavo, meno chiuse, una ferrovia già funzionante a lato del cana-
4. Il dottor Gorgas, a lui si deve la sconfitta delle malattie tropicali.
5. Il progetto americano 3 chiuse sull’Atlantico e 2+1 sul Pacifico.
6. Il vulcano Momotombo, incolpevole affossatore delle speranze nicaraguensi.
le. Chiaramente non parlò mai di piogge torrenziali, di frane, di malaria e di febbre gialla. Ma il suo punto di forza in realtà era l’assenza di vulcani a Panama. E lo dimostrava regalando a tutti i suoi interlocutori ed agli onorevoli parlamentari americani i francobolli del Nicaragua che mostravano con evidenza sovrana un vulcano in eruzione. Quanto era costata questa lobby vincente? Da parte dell’ingegner Eiffel due milioni di dollari. Direttamente dalle tasche di Philippe Bunau-Varilla 450.000 dollari. E dove erano finiti? Ovviamente per spese di viaggio e di rappresentanza, ma certamente anche in gentili omaggi. Di sicuro sappiamo che l’avvocato Cromwell pretese 800.000 dollari per le sue prestazioni vincenti. Alla fine del mese di gennaio del 1902, il nostro nuovo eroe francese poteva sicuramente esclamare che il vento che soffiava sulle vele di Panama aveva cambiato direzione, ora soffiava di poppa con forza. Ma la battaglia non era ancora completata, in effetti la commissione nominata dal Senato continuava ad indagare ascoltando tutte le motivazioni tecniche a favore o contro le due soluzioni e questo per oltre due mesi. Nell’aprile del 1902 un’altra botta di fortuna si metteva a fianco del nostro infaticabile Philippe. Il Monte Pelee, un vulcano situato ad oriente nell’isola della Martinica nel mare dei Caraibi, esplose con una incredibile violenza. La città di Saint Pierre venne spazzata via e quasi 30.000 persone trovarono la morte in pochi minuti. È vero che la Martinica era oltre mille miglia dal
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Nicaragua, ma questo non rivestiva alcuna importanza per l’opinione pubblica americana che era piuttosto ignorante in geografia e scioccata dall’avvenimento. Non solo: pochi giorni dopo arrivò la notizia tramite alcuni dispacci da New Orleans (allora non c’era ancora la CNN a mostrarci le immagini in diretta) che il grande vulcano Momotombo del Nicaragua stava eruttando lava, cenere e lapilli. Non era vero, il governo del Nicaragua smentì decisamente la notizia, ma ormai la paura delle possibili azioni violente dei vulcani del centro America era saldamente instillata nella pubblica opinione. E a Panama di vulcani neanche l’ombra. A dare il colpo di grazia finale alle residue speranze per un canale a Managua fu il discorso, anzi la lunga orazione del senatore Hann nell’emiciclo del Senato. Con un’ampia documentazione geografica e tecnica pervenuta in fretta e furia attraverso Philippe Bunau-Varilla dalla sede della nuova Compagnia di Panama a Parigi, il senatore illustrò brillantemente lo stato di tutti i pro e i contro per il ca-
nale di Panama concludendo con otto incontrovertibili punti a favore di Panama: 1) canale più corto di 135 miglia, con molte curve in meno nel suo tracciato rispetto a quello nicaraguese e tempo di transito un terzo di quello in Nicaragua; 2) dislivello con un numero minore di chiuse; 3) migliori porti su entrambi gli oceani; 4) una ferrovia in perfette condizioni; 5) costo minore; 6) regione più civilizzata; 7) risoluzione di tutte le questioni tecniche, e 8) (ma Hann lo disse con una forte accentuazione) se gli USA costruiscono quello in Nicaragua non potranno mai impedire ad un’altra nazione, per esempio la Germania, di terminare il canale già parzialmente costruito dai francesi. Dopo quattordici giorni di dibattito, la votazione finale decretò il successo di Panama per 42 a 34. Pochi giorni dopo Theodore
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Roosevelt firmò il cosiddetto Spooner Act che autorizzava gli USA ad acquistare definitivamente la nuova Compagnia francese del canale e quindi tutti i diritti stabiliti dal vecchio trattato con la Colombia. Il congresso ratificò la decisione con votazione quasi unanime (259 favorevoli ed 8 contrari) il 26 giugno del 1902 e due giorni dopo questo trattato venne controfirmato dal presidente Roosevelt.
La rivoluzione di Panama Ve lo diciamo subito, fu assolutamente incruenta. Durante le brevi giornate di battaglie non violente quasi sempre solamente verbali, le uniche vittime furono un barbiere cinese che dormiva tranquillo nel suo letto ed un asino. Entrambi colpiti da una bordata di cannone sparata sulla città di Panama da una nave da guerra colombiana ormeggiata nella baia. Anche in questo caso protagonista della rivoluzione fu sempre il nostro, dopo Ferdinand de Lesseps, secondo eroe francese, il visconte Philippe Bunau-Varilla che non difendeva solamente gli interessi di Panama bensì i propri, visto che coincidevano con quelli della Nuova Compagnia del Canale francese di cui era azionista, unica titolare del diritto di costruirlo quale concessionaria della Colombia che, ricordiamolo, allora aveva piena sovranità sulle terre dell’istmo. Comunque alla base del contendere c’era sempre il denaro: la Compagnia francese del canale avrebbe ricevuto 40 milioni di dollari per cedere agli americani il diritto di costruire e gestire il canale, ed i colombiani stimavano in punta di diritto che una cospicua fetta di quel denaro dovesse essere versata alla Colombia per la sua disponibilità a permetterne la vendita. Il trattato tra USA e Colombia tra il segretario di Stato John Hay ed il ministro colombiano Herran fu firmato il 21 gennaio 1903. Come abbiamo detto 40 milioni di dollari dovevano andare ai francesi, 10 milioni alla Colombia più un affitto annuo di 250.000 dollari. Ma i colombiani, che non vedevano di buon occhio che gli americani gestissero il traffico del canale in terre poste sotto la loro sovranità, nicchiavano, anche per cercare di costringere gli USA ad una maggiore generosità. Comunque sia, un lungo periodo di trattative non diede gli esiti positivi per cui il 12 agosto 1903 il Senato di Bogotà respinse all’unanimità il trattato Hay-Herran. Ciò rese furioso Il presidente Roosevelt che aveva perfettamen-
7. Carta topografica del Nicaragua: il grande lago è vicino al Pacifico.
te realizzato essere imprescindibile la costruzione di un canale che collegasse via mare e quindi anche il mondo economico le due sponde lontane degli Stati Uniti, e lo voleva a Panama e non in Nicaragua, la ruota di scorta. È ora di introdurre, dopo il Segretario di Stato Hay e Philippe Bunau-Varilla, il terzo personaggio protagonista della rivoluzione: il dottor Manuel Amador, medico di buona fama e protagonista della vita sociale di Panama ed anche direttore medico della ferrovia panamense. Ma soprattutto, il dottor Amador, panamense doc, era il portavoce di quel sentimento popolare che aveva in mente un’immediata secessione dalla Colombia e la nascita di una repubblica panamense sovrana ed indipendente. Per raggiungerla era facilmente intuibile mettere sul tavolo l’asso nella manica, e cioè la costruzione del canale tanto ambito dagli americani. I nostri rivoluzionari in pectore furono accolti con tutti gli onori nel loro viaggio negli Stati Uniti dal Segretario di Stato Hay, tanto che il colombiano Herran suonò tutti i possibili allarmi telegrafando al suo governo che agenti rivoluzionari panamensi stavano tramando, in combutta con gli americani, la secessione. A questo punto l’avvocato Cromwell, noto lobbista ed osservatore degli avvenimenti politici della capitale, intuì una possibile conclusione positiva del grande affare e telegrafò a Philippe Bunau-Varilla di prendere il primo piroscafo e di precipitarsi a New York. Il primo incontro con i rivoluzionari in pectore si tenne il 24 settembre nell’Hotel Waldorf Astoria. Il francese fu informato che dal punto di vista militare, la Colombia disponeva solo di una piccola guarnigione a Panama City a cui non veniva pagato lo stipendio da mesi e che il bisogno primario dei rivoluzionari era uno solo: i soldi. L’astuto francese, intuita la possibilità di risolvere radicalmente la questione del canale, non si sa come ma probabilmente attraverso i buoni contatti dell’avvocato Cromwell, riuscì a farsi ricevere dal presidente Roosevelt ed a sussurrargli la parolina magica: rivoluzione. La reazione del presidente era una via di mezzo tra il dubbio e la speranza: “Pensate veramente che questa sia una soluzione possibile?”. Avendo praticamente ricevuto semaforo verde, Philippe Bunau-Varilla mette a punto il suo piano sul treno che lo riporta da Washington a New York. Infatti incontra subito Amador,
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gli garantisce 100.000 dollari dal suo patrimonio personale per le piccole spese e prepara tutto ciò di cui lo sprovveduto dottor Amador potesse necessitare per una rivoluzione soft, una specie di “ready made revolution kit” contenente: 1) testo di proclamazione di indipendenza; 2) uno schema difensivo di base per Panama City; 3) un piano difensivo per Colon; 4) una bozza di costituzione; 5) un codice segreto per scambiarsi informazioni telegrafiche senza essere intercettati.
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Nel frattempo Roosevelt aveva provveduto ad inviare due emissari nell’istmo, precursori degli agenti CIA, per conoscere in dettaglio la situazione politica. Al loro ritorno costoro lo informarono che la secessione di Panama era nell’aria e che a loro giudizio sarebbero bastati 100.000 dollari di mazzette ben collocate per risolvere la questione. In perfetto stile CIA. Comunque, pensa Roosevelt, un bel risparmio rispetto ai 10 milioni di dollari che avrebbe dovuto pagare alla Colombia. Pur non avendo ricevuto alcuna esplicita assicurazione né da Roosevelt né da altri sull’appoggio americano ad una rivoluzio-
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ne panamense, Philippe Bunau-Varilla assicura al dottor Amador di aver avuto validissimi contatti in altissimo loco per cui può senz’altro affermare che a fronte della nascita di una nuova repubblica panamense, le forze americane sarebbero intervenute sul posto entro quarantotto ore, per proteggerli da eventuali reazioni colombiane. Come omaggio ben augurante, consegna ad Amador (ma pensava proprio a tutto il nostro visconte) la nuova bandiera repubblicana che la moglie aveva cucito nella notte: a strisce bianche e rosse con due soli che in alto a sinistra si riuniscono con un breve tratto di linea a simboleggiate l’istmo di Panama che unisce i due continenti americani. Con tutte le istruzioni, la bandiera, il codice segreto e la promessa di 100.000 dollari sull’unghia, Amador e la sua scorta si imbarcano per Panama per far nascere la nuova repubblica. Il 27 ottobre 1903, Amador telegrafa a Bunau-Varilla che tutto è pronto e di inviare subito a Colon una bella nave da guerra della marina americana per l’opportuna sceneggiata. Non uno ma due incrociatori degli Stati Uniti, il Dixie ed il Nashville di stanza a Cuba ed in Giamaica, muovono verso Panama. Non spareranno un solo colpo.
L’ incredibile rivoluzione
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Intanto Amador arriva a Colon e poi a Panama City senza incidenti. I problemi cominciano quando, durante la serata, illustra ai cospiratori il kit rivoluzionario preparato da Philippe. La bandiera non piace proprio a nessuno, troppo simile a quella degli Stati Uniti, inoltre tutti si aspettavano l’accordo firmato dal segretario di Stato americano e gli indispensabili quattrini, invece niente, solo parole. Non solo, un battaglione di 500 tiradores colombiani stava arrivando a Colon da Baranquilla sulla nave da guerra Cartagena comandata dal colonnello Torres e con a bordo il generale Tobar. Ma arrivavano anche le buone notizie: un incrociatore colombiano di stanza a Panama si schiera con i ribelli a fronte di una promessa di 35.000 dollari. Da New York giunge contemporaneamente il via di Philippe Bunau-Varilla. La bandiera viene ripensata e cucita dalle gentili signore in modo diverso (quattro rettangoli, due bianchi, uno rosso ed uno blu con due stelle una rossa ed una blu nei rettangoli bianchi) e la data della rivoluzione viene fissata per il 4 novembre. Il segno certo che gli Stati Uniti appoggiavano la rivo-
8. Bandiera di Panama, cucita dalla Signora Bunau Varilla.
9. La vera bandiera panamense adottata durante la rivoluzione.
luzione arrivò la mattina del 3 novembre, quando l’incrociatore Nashville getta l’ancora a Colon non distante dalla nave colombiana che ha a bordo i 500 tiradores pronti a sbarcare. Sbarco che effettivamente avviene la sera stessa con attendamento vicino alla stazione ferroviaria per poter iniziare subito il viaggio verso Panama City. Purtroppo l’ordine da Washington teso ad impedire lo sbarco delle truppe colombiane giunse al Nashville solo la mattina successiva. Amador capì che era il momento di agire: se le truppe colombiane fossero arrivate a Panama City sarebbe stata la fine sul nascere di una ingloriosa rivoluzione. Amador riunì i suoi al grido o adesso o mai più e fece due passi fondamentali. Bloccò il treno delle truppe colombiane a Colon permettendo solo la partenza di una carrozza speciale con a bordo il generale Tobar ed alcuni ufficiali. E si assicurò, promettendo la gloria ed il raggiungimento dell’immortalità nella storia della repubblica di Panama, la complicità attiva del generale Huertas, ambizioso comandante della modesta guarnigione colombiana di Panama. Così quando a mezzogiorno del 3 novembre il generale Tobar arrivò a Panama, fu disarmato arrestato ed imprigionato. L’accadimento fu largamente pubblicizzato, avvenne infatti davanti ad una folla in delirio che acclamava Amador come Presidente della neonata repubblica di Panama. Amador telegrafò a Washington sul successo rivoluzionario ed attese le concordate conferme sull’appoggio degli USA. In effetti a Panama tutto si era svolto tranquillamente, a parte la già accennata cannonata che uccise un barbiere cinese ed un asino. Rimaneva insoluto il problema dei 500 tiradores colombiani sbarcati a Colon e là attendati in attesa del loro treno per Panama City. Il mattino del 4 novembre le truppe americane ospitate a bordo del Nashville sbarcano e si piazzano di fronte alle truppe colombiane. Il momento era di assoluta gravità: se qualcuno avesse iniziato a sparare sarebbe stato un vero massacro in entrambi gli schieramenti. Ma il buonsenso prevalse e fu concordato l’invio di alcuni messaggeri a Panama per permettere agli ufficiali colombiani guidati dal colonnello Torres di prendere ordini dal generale Tobar di cui non conoscevano l’arresto. Con questa ragionevole mossa molte teste furono salvate. Quando Torres giun-
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se a Panama, si rese ben presto conto che la rivoluzione era ormai una realtà, che il suo generale era stato arrestato, che la nuova bandiera panamense sventolava sulla città e fece l’unica cosa ragionevole: accettò 8.000 dollari d’oro cash e tornando a Colon imbarcò le truppe sulla nave mercantile Orinoco con rotta verso la Colombia. Alle sette del mattino del 5 novembre mentre i marines degli Stati Uniti giunti in porto sbarcavano, a Colon le truppe colombiane facevano dietrofront. A Panama davanti a una folla ebbra di gioia (e non solo) fu letta la dichiarazione d’indipendenza, e due giorni dopo gli Stati Uniti riconobbero formalmente la Repubblica di Panama. L’opinione pubblica americana però non era per niente felice dell’avvenimento: il New York Times scrisse senza perifrasi che si era trattato di una sordida conquista a spese della piccola e incolpevole Colombia, dove gli animi dei governanti erano fortemente agitati non solo per la brutta figura (perdere una fetta di territorio a favore di un popolo praticamente disarmato era una
vergogna) ma anche per le conseguenze economiche: 10 milioni di dollari in oro previsti dal trattato firmato con il segretario di Stato Hay due anni prima andavano in fumo e con loro i 250.000 dollari di affitto annuo. Il danno arrecato alla Colombia ed anche a tutta l’America latina era consistente.
La fine della missione Risolta brillantemente la questione della rivoluzione panamense, Philippe Bunau-Varilla doveva portare a termine la sua missione con l’acquisizione da parte degli USA della Nuova Società francese del Canale interoceanico. Inviò ad Amador i promessi 100.000 dollari e contemporaneamente si fece nominare “inviato straordinario e ministro plenipotenziario” della Repubblica di Panama presso gli Stati Uniti. Così Philippe Bunau-Varilla poté presentarsi assolutamente fiero e gioioso dal segretario di Stato Hay confermandogli che per quanto riguardava il canale di Panama doveva trattare esclusivamente con lui. Pochi giorni dopo, il 18 novembre 1903, il trattato Hay-Bunau-Varilla fu
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ufficialmente siglato. Sicuramente il più controverso trattato mai firmato dagli Stati Uniti, foriero di tre generazioni di negative conseguenze tra USA e Panama. Solo nel 1977 infatti, con il nuovo trattato firmato da Carter, la pace venne ristabilita e fu acclarato che il 31 dicembre 1999 il canale sarebbe tornato sotto la sovranità panamense. Ed in effetti appare ai posteri incredibile che un impegno così vincolante per la neonata Repubblica di Panama fosse stato firmato da un francese che tra l’altro non aveva mai messo piede a Panama negli ultimi diciassette anni e che non vi sarebbe mai più ritornato. Il trattato garantiva 40 milioni di dollari alla Compagnia francese concessionaria per la costruzione del canale, 10 milioni di dollari a Panama più i soliti 250.000 dollari di annualità. Di contro Panama cedeva la sovranità di una zona di 16 km (e non 10 come il precedente trattato) da entrambi i lati del canale oltre che logicamente il diritto di costruire e di gestire il canale senza limiti di tempo. Infatti invece che cento anni come stabilito dal precedente trattato il diritto americano sulla zona del canale sarebbe stato perpetuo. Il trattato fu presentato da Philippe Bunau-Varilla e da Hay al presidente Roosevelt che lo approvò informalmente prima che arrivasse alla Camera. Alla breve cerimonia non era presente nessun Panamense ( Amador era in viaggio per New York con tutta la sua delegazione) e non era stata proferita una sola parola in spagnolo. Bunau-Varilla arrangiò l’agenda in modo tale da bloccare la delegazione panamense a New York al fine di disporre del tempo necessario per porre la sua firma sul trattato. Quando la sera del 18 Amador giunse a Washington, trovò ad attenderlo alla stazione un raggiante Philippe che gli comunicò la splendida notizia. Dapprima increduli, poi indignati, poi costernati, infine incazzati neri, i panamensi presero anche a sberle il nostro visconte, che se le meritava tutte. Quando infine Amador riuscì a parlare con il segretario di Stato, fu concordato che il testo firmato dall’odiato francese avrebbe potuto avere un supplemento per correggere ogni possibile di-
fetto prima della ratifica da parte degli Stati Uniti. Amador lo avrebbe portato a Panama nel suo viaggio di ritorno sulla nave “City of Washington” in partenza l’indomani. E qui il furbo francese giocò un’ennesima volta di anticipo e senza consultare nessuno inviò l’intero testo per telegramma a Panama al nuovo ministro degli Esteri, il quale ovviamente rispose che sarebbe stato ratificato appena Amador fosse sbarcato a Panama. Con un secondo colpo di mano, Bunau-Varilla rese edotto il Ministro sul suo timore che in mancanza di un’immediata approvazione senza modifiche, gli Stati Uniti avrebbero ritirato la loro protezione sulla nuova Repubblica di Panama ed avrebbero firmato il trattato con la Colombia. Il 2 dicembre il Congresso panamense senza il povero Amador ratificò il trattato all’unanimità, successivamente ratificato anche dal Senato americano. Per gli USA non fu un grande affare, infatti pagarono per quel pezzo di Panama più di quanto avessero pagato per i territori della Louisiana (15 milioni), per l’Alaska (7 milioni) e per le Filippine (20 milioni) sommate tutte assieme. Ma lo fu per la Nuova Compagnia Francese del Canale, i cui obbligazionisti ricevettero un buon ritorno dal loro investimento. Non per gli azionisti, che non videro un solo dollaro, e nemmeno per l’avvocato Cromwell che dei suoi 800.000 dollari ne vide solo 200.000 e parecchi anni dopo. Sicuramente lo fu per Bunau-Varilla che, a parte una ricca cedola di 26 dollari per azione, poté togliersi la soddisfazione di scrivere: “ Ho completato la mia missione. Ho salvaguardato il lavoro del genio francese. Ho vendicato il suo onore. Ho servito la Francia.” In una splendida mattina del maggio 1904, tutta la zona del canale e tutti i possedimenti francesi furono consegnati agli Stati Uniti e la bandiera a stelle e strisce sventolò sulla sede storica della Compagnia a Panama. La rivoluzione era terminata e gli Stati Uniti potevano costruire un Canale tutto loro.
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Federico Gervaso
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ensate che i veri protagonisti della costruzione del Canale di Panama siano stati gli ingegneri? Ovviamente sì è la risposta logica. Invece no, chi ha realmente permesso la costruzione del canale è stato un medico dell’esercito, il colonnello William Gorgas, noto in tutti gli ambienti scientifici come una brillante autorità nel campo delle malattie tropicali. Ma andiamo per gradi: appena la bandiera a stelle e strisce è sventolata su Panama, a Washington viene insediata sotto l’egida del Ministro della Difesa William Taft, una Commissione dei sette saggi (di cui almeno quattro dovevano avere ampia specializzazione ed esperienza nell’arte dell’ingegneria) al fine di dirigere i lavori e sorvegliarne l’andamento economico. La commissione come primo atto nomina due protagonisti della nostra storia: John Wallace, ex direttore generale della società ferroviaria Illinois Central, quale ingegnere capo di Panama ed il nominato William Gorgas quale medico responsabile della salute di dipendenti. Ne stabilisce anche i salari: 25.000 dollari all’anno per l’ingegnere e 16.000 dollari all’anno per il medico. Il primo doveva dirigere i lavori, il secondo curare i corpi di chi lavorava. Il primo doveva risolvere il problema degli scavi della grande trincea a Culebra, il secondo sconfiggere i nemici mortali degli esseri umani: la febbre gialla e la malaria. Gli studi recenti avevano stabilito che le cause della febbre gialla erano le punture di una dannata zanzara piccola quieta e casalinga chiamata Stegonya fasciata, mentre per quanto concerne la malaria la zanzara allo scopo specializzata si chiamava Anofele, la prima di colore marrone con dei punti neri sulle ali. Negli anni precedenti, dal 1901 in poi, un certo dottor Ross aveva scritto un libricino “La brigata delle zanzare” in cui spiegava come bisognava organizzare la guerra contro questi insetti e come sconfiggerli entrambi. Il nostro dottor Gorgas, nel 1902, dimostrò a Cuba che la battaglia si poteva vincere anche se la scienza medica di allora lo riteneva impossibile. In otto mesi in una delle peggiori ed insalubri città della terra, la capitale Avana, la febbre gialla fu sconfitta totalmente e la malaria ridotta ai minimi termini in poco meno di un anno. Per la storica campagna all’Avana, dove nel 1900 ben 1.400 per-
sone erano morte di febbre gialla, Gorgas applicò la sua tecnica dal febbraio del 1901 ed in ottobre non c’era più neanche un caso mortale di febbre gialla. La sua tecnica? Vediamola applicata a Panama.
1. L’ingegnere John Wallace, il primo direttore generale dei cantieri sul canale.
4. L’ospedale di Colon affacciato sull’Oceano Atlantico.
2. La zanzara anofele, responsabile della morte di migliaia di lavoratori.
3. Il carico di un treno di smarino con un escavatore Ruston-Bucyrus.
La battaglia delle zanzare L’istmo era letteralmente un paradiso per le zanzare. La temperatura che cambiava poco durante la notte e durante l’anno permetteva una continua propagazione degli insetti, prova ne sia che a Panama City un’ispezione accurata dimostrò che quasi tutti gli edifici erano fittamente abitati dalle zanzare Stegonya ed Anofele, che ogni pozza d’acqua ma addirittura le brocche per l’acqua da bere erano colonizzate dalle zanzare. Allora Gorgas iniziò la sua battaglia considerando le zanzare come predatori molto più feroci delle bestie selvagge che abita1 vano la giungla. In particolare contro la Stegonya femmina, che vista al microscopio appariva di indicibile bellezza e che sopravviveva grazie alla vicinanza degli esseri umani dai quali si nutriva pungendoli e succhiando il loro sangue. In realtà le basterebbe qualsiasi animale a sangue caldo ma ha una spiccata preferenza per l’uomo. Questione di gusti. Ma ha anche altre esigenze particolari: oltre alla vicinanza dell’uomo ha bisogno di piccoli recipienti o pozze d’acqua pulita per depositare le uova e riprodursi. Con queste semplici informazioni la guerra di Gorgas poteva svilupparsi agevolmente. Infatti bastava eliminare ogni luogo dove la dannata depositava le sue uova per distruggerla. Quindi: prima di tutto fumigazione di tutte le case e di tutti gli ambienti dove si erano verificati casi di febbre gialla, facendo bruciare per ore padelle piene di zolfo o di piretro in polvere e chiudendo ermeticamente porte e finestre ed ogni più piccola fessura. In secondo luogo eliminazione di ogni contenitore anche piccolo, quindi cisterne, barili ma anche piatti e scatole di latta dove l’acqua piovana poteva depositarsi a lungo. I risultati furono estremamente rapidi: infatti il ciclo di maturazione della zanzara da uova a larva, da larva a pupa, da pupa ad insetto adulto dura meno di dieci giorni e con le misure prese gli effetti erano stati straordinariamente rapidi. Più2 difficile la lotta contro la zanzara Anofele: infatti mentre la
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Stegonya è praticamente casalinga con un campo d’azione estremamente limitato, l’Anofele si trova ovunque ci sia acqua stagnante ed a Panama lungo il tracciato del canale le paludi erano una vera folla. La malaria e non la febbre gialla era il nemico numero uno e la causa di morte maggiore durante il periodo francese di cantierizzazione del canale. Un sopralluogo preliminare dimostrò che l’Anofele era presente in ogni campo, in ogni abitazione, magazzino e deposito costruito dai francesi. Convincere i capi che solo con una lotta sistematica alle zanzare le malattie
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o la morte degli esseri umani (ricordiamoci, da 20 a 25.000 defunti nel periodo francese) potevano essere sconfitte ed evitate, questo era il difficile. Gorgas ed il suo padre putativo Ronald Ross (che per inciso vinse il Premio Nobel nel 1902 per i suoi studi sulle zanzare come trasmettitrici attive della febbre gialla e della malaria) cercavano in ogni modo di essere creduti, di rendere sistematiche le misure che si erano dimostrate valide nella lotta alle febbri. Assolutamente inascoltati. Nei suoi colloqui a Washington con i tecnici e la commissione dei sette saggi Gorgas
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veniva immediatamente zittito con la classica frase: “Cosa c’entrano le zanzare con la costruzione del canale?”. Gorgas, inascoltato, guardava tristemente squadre di tecnici, carpentieri, minatori, operatori di macchine arrivare a centinaia a Colon senza alcuna istruzione di base sulle condizioni di vita e di salute a Panama. Cassandra inascoltata nei suoi presagi di sventure, non doveva attendere molto per l’avverarsi delle sue più nere previsioni.
Il panico
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Mentre il dottor Gorgas combatteva la sua battaglia contro le zanzare, l’ingegner Wallace, ingegnere capo ed in pratica direttore generale di tutta l’avventura, portava avanti la sua battaglia contro la “grande trincea” ma anche contro la burocrazia di Washington ovvero la Commissione dei sette saggi, che tra l’altro doveva decidere all’unanimità, e che riteneva Wallace responsabile di ogni dollaro che veniva speso a Panama. L’inevitabile conseguenza non poteva che essere un tragico ritardo nella spedizione di macchinari e materiali da costruzione. La potente macchina burocratica pretendeva sei differenti buoni per noleggiare un veicolo ed impiegava 50 kg di carta per dare la paga settimanale agli operai. Se il francese Philippe Bunau-Varilla in condizioni ben peggiori non si era mai disperato, l’ingegner Wallace viveva ed operava in un continuo stato di profonda depressione. E ne aveva motivo: lungo la linea degli scavi centinaia di macchine francesi erano sparpagliate a pezzi o sommerse nelle paludi. Tutti gli edifici costruiti dai francesi erano in condizioni miserabili ed anche la ferrovia era in uno stato pietoso e non garantiva i trasporti necessari. Ovunque gli scavi erano iniziati, ma non completati. Faceva eccezione un tratto di 10 km a nord del passo Culebra che era già stato abbassato di 56 metri rispetto alla quota originale. L’ammontare degli scavi completato dai francesi era di 21 milioni di mc, poco più del 10% del volume totale secondo il progetto francese per un canale a livello del mare. L’ingegner Wallace si mise di buona lena a cercare di mettere insieme i pezzi e di salvare il salvabile, ed alla fine del 1904 aveva rimesso in sesto sei grossi escavatori, un centinaio di locomotori belgi e duemila vagoncini di smarino. Inoltre 1500 edifici (sui 2150 lasciati dai francesi) erano stati ripristinati. Nel frattempo era arrivato dagli Stati Uniti il primo escavatore da 95
5. L’ingegnere John Stevens, secondo direttore dei cantieri e famoso esperto ferroviario.
6, 7. Due immagini del Presidente americano Theodore Roosevelt.
8. Ha fatto il giro del mondo la foto del Presidente ai comandi di un escavatore.
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tonnellate prodotto dalla Bucyrus, una macchina di dimensioni, potenza e produttività triple rispetto alle macchine francesi. Ma Wallace fallì non tanto nella produzione giornaliera degli scavi, quanto nel preparare un ambiente favorevole all’accoglienza degli uomini che operavano nei cantieri sia pure a diversi livelli di responsabilità ma che comunque dovevano essere al-
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loggiati, nutriti, lavati, vestiti e trasportati in maniera perlomeno accettabile. Nel novembre del 1904 c’erano già 3.500 uomini a cui era stato promesso un alloggio pulito e confortevole e che invece a malapena trovavano lo spazio per appendere un’amaca in una stanza sudicia insieme ad altri 5 o 6 disgraziati. Il cibo era pessimo e monotono, naturalmente carissimo e non c’erano mai né latte né verdura fresca. Wallace pensava solo a scavare, a diminuire i costi di scavo, di carico e di trasporto, ed aumentare le quantità prodotte da inserire nei rapporti mensili sulle produzioni che doveva inviare alla commissione di Washington. Quindi escavatori su escavatori: in autunno ce n’erano altri 11 ordinati od in arrivo e nella primavera del 1905 Wallace
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ne ordinò un’altra dozzina. Rimanevano le lungaggini burocratiche di una commissione di sette membri a Washington che supervisionava e decideva su ogni acquisto e su ogni spedizione: qui il Presidente Roosevelt, e Taft, Segretario alla Difesa, diedero ragione a Wallace e chiesero ed ottennero dal Congresso di ridurre il numero dei membri da sette a tre. Comunque il vero problema di Wallace era il mortale terrore di ammalarsi in questa Panama che chiamava il paese dimenticato da Dio. Ma non aveva tutti i torti: infatti il 21 novembre 1904 scoppiò il primo caso di febbre gialla, un operaio italiano. Altri sei casi in dicembre ma nessuno mortale. Ma la febbre scoppiò a fine anno a bordo della nave Boston ancorata a Panama City e la notizia irruppe su tutti i giornali ame-
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9, 10. L’ospedale di Ancon Hill a Panama City.
11. Il Colonnello Goethals, terzo ed ultimo direttore del cantiere “militarizzato”.
12. Operazioni di dragaggio a Culebra.
13. Scavo nella frana denominata Cucaracha, nel punto più alto della trincea.
14, 15. I casseri ed il derrick per il getto dei muri delle chiuse.
16, 17. Fasi finali del montaggio delle porte vinciane.
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ricani. Il dottor Gorgas era disperato, non lo ascoltava nessuno mentre predicava inutilmente che ogni dannata finestra di Panama doveva avere la sua zanzariera. Nell’arco di due settimane febbre gialla e malaria avevano preso di mira gli edifici amministrativi e 60 persone con le loro famiglie furono evacuate, ma questo non era sufficiente per smorzare la paura. In poco tempo 200 impiegati diedero irrevocabili dimissioni e partirono per gli Stati Uniti. Una sensazione sempre più diffusa di allarme cominciò a spargersi tra gli americani e ci volle poco per trasformarsi in vero e proprio panico. Nonostante le immediate operazioni di fumigazione degli edifici e l’ordine di tenere le finestre chiuse in assenza di zanzariere, la grande paura “scoppiò” senza freni. Tre quarti della forza lavoro americana lasciò Panama nel
giro di un mese, i giornali americani pubblicarono giornalmente il bollettino dei morti e dei nuovi malati. Panama veniva dipinta come un luogo di malattie, di alcolismo e di morte. L’ingegner Wallace crollò ed a metà giugno, con la scusa delle ferie, silenziosamente si imbarcò per New York insieme alla moglie. Taft si sentì tradito: la fuga di Wallace lo aveva sorpreso proprio nel momento in cui molte delle sue richieste erano state soddisfatte. Il Segretario alla Difesa prese il treno per New York ed affrontò Wallace di petto appena sbarcato da Panama chiedendo il motivo di questa fuga improvvisa. Wallace rispose che aveva ricevuto (ed era vero) un’offerta migliore di lavoro, anche se il motivo scatenante era il terrore delle malattie e della morte. Messo davanti ad una decisione irrevocabile, Taft convocò
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18. Due turbo betoniere alimentano i secchioni per il getto del calcestruzzo.
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19, 20. Panoramica dei muri di testata delle chiuse sull’Atlantico.
21. Il cantiere sull’Atlantico: tutto si muove su binari.
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una conferenza stampa leggendo il testo completo del suo incontro-scontro con Wallace. L’ingegner Wallace era finito e nonostante la successiva carriera come presidente del consiglio di amministrazione di Westinghouse, non riuscì mai a riparare i danni alla sua reputazione.
John Stevens A sostituire Wallace fu chiamato John Stevens, considerato da molti imprenditori nel campo delle infrastrutture il miglior ingegnere degli Stati Uniti. A 52 anni Stevens aveva alle spalle una carriera splendida costellata di successi in opere quasi sempre realizzate in paesi di frontiera, in condizioni ambientali difficilissime, come la linea ferroviaria di 400 miglia nell’estremo nord
del Michigan e più recentemente l’attraversamento delle montagne rocciose verso il Pacifico nello Stato del Montana. Stevens trovò un passaggio a soli 1600 metri d’altitudine nel Continental Divide e lo superò con una galleria di 5 km in corrispondenza del Maria’s Pass, da lui personalmente scovato dopo una lunga esplorazione che lo portò quasi al congelamento in mezzo ad una bufera di neve. Il titolare della Hill Construction Company presso cui lavorava lo definiva così: “Stevens è sempre sul posto giusto nel momento giusto e fa la cosa giusta senza chiedere niente a nessuno”. Fu lo stesso Hill a suggerirne la candidatura al presidente Roosevelt che lo accolse nella sua casa di vacanze ordinandogli di prendersi la responsabilità del canale di Panama e di riferire direttamente
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a lui, dipingendogli la situazione come un casino infernale (a devil of a mess). Stevens arrivò a Panama il 26 luglio 1905 , mentre il lavoro di scavo procedeva piuttosto a rilento ed il New York Times sottolineava beffardamente che dopo aver criticato e preso in giro i francesi non è che gli americani facessero bella figura, anzi lavoravano con minor efficienza, con scarsi risultati e certamente con meno coraggio dei francesi. Dopo le indispensabili presentazioni Stevens chiese al dottor Gorgas qual’era il maggiore problema di Panama ricevendo un’inaspettata risposta: “Proprio il cibo, il cibo per gli operai è il problema più grave, cibo sempre peggiore e sempre più caro”. Dopo aver ispezionato tutti i cantieri, parlato con i capi cantieri e con gli assistenti, esaminato ogni macchina, visitato ogni baracca, l’ingegner Stevens inviato a Panama dal Presidente per accelerare i lavori tira fuori dal taschino una decisione veramente formidabile: ordina di fermare immediatamente tutti i lavori di scavo!!! Era il 1° agosto 1905. Ripetendo a tutti i collaboratori che lo scavo era il minore dei problemi, incita prima di tutto il dottor Gorgas a togliere di mezzo la febbre gialla entro quattro mesi. Poi prende di petto il problema delle condizioni di vita, cominciando dalle strade, dalle case, alberghi, scuole, mense e dormitori, lavanderie, fogne e serbatoi d’acqua. Tutto doveva essere riparato e rifatto, reso efficiente, pulito ed accogliente. Con la collaborazione e la spinta continua del dottor Gorgas, Stevens si trovò a dirigere la più grande campagna salutare mai tentata al mondo. Casa per casa, strada per strada, tutto doveva essere pulito e disinfettato, ogni cantiere doveva avere acqua corrente e sistema fognario, ogni pozza d’acqua stagnante doveva essere eliminata. Un anno dopo l’epidemia era sconfitta, i decessi per febbre gialla e malaria un ricordo lontano. Solo successivamente Stevens cominciò ad affrontare radicalmente il problema dello scavo, intuendo che la chiave di volta era il trasporto dello smarino, e che la soluzione era quindi “ferroviaria”. Da ingegnere ferroviario Stevens capì che quella di Panama era sottodimensionata a cominciare dai binari troppo leggeri. Dalla ferrovia dipendeva tutto, sia l’approvvigionamento dei materiali (esplosivo, carburante, legname, ricambi, cibo) sia il trasporto a discarica dello scavo. A suo parere il sistema ferroviario di Panama era un patetico giocattolo. Quindi raddoppio dei binari, armamento pesante, nuove traversine, officine di riparazioni, magazzini, ma anche un enorme capannone fri-
22. Fasi finali dello scavo di Culebra.
gorifero a Colon per conservare i cibi che arrivavano dagli Stati Uniti via mare ed inoltre un forno capace di sfornare 40.000 panini al giorno. Poi la manodopera: dopo un anno, alla fine del 1906, era triplicata fino a raggiungere le 24.000 unità al lavoro, con operai e tecnici ben nutriti e ben alloggiati. La maggior parte proveniva dalle Barbados e da Martinica: tutti assunti con regolare contratto, 22
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viaggi gratuiti, ferie dopo 500 giorni di lavoro, salario di 10 cent all’ora, 10 ore al giorno, sei giorni la settimana. Anche se ben pagati i caraibici erano assolutamente incapaci anche nei lavori più semplici, secondo Stevens erano idioti oltre ogni immaginazione. Un giorno trovò tre di loro, due che caricavano con i badili una carriola e che dopo averla ben riempita la mettevano sulla testa del terzo operaio che provvedeva al trasporto! A titolo spe-
rimentale Stevens assunse un centinaio di baschi e dopo pochi mesi i baschi diventarono 8.000, duri efficienti forti ed instancabili. Stevens li pagò il doppio e mai se ne pentì. La stessa efficienza ed organizzazione anche per gli espatriati degli Stati Uniti, Stevens stimò in 4.892 (!!!) gli operai specializzati americani per completare il lavoro: 1.710 carpentieri poi ferraioli, operatori, meccanici, elettricisti, cuochi, idraulici ma anche tracciatori,
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dell’Atlantico ed una serie continua di tre chiuse, ciascuna con un salto di 9 metri. Mentre sul lato Pacifico il progetto prevedeva un primo salto a scendere di 9 metri a Pedro Miguel correlato di una piccola diga proprio allo sbocco della trincea del Continental Divide. Dopo un piccolo lago che comunque costituiva una splendida riserva d’acqua dolce vicino a Panama, altre due chiuse a Miraflores ed un canale finale verso il Pacifico a fianco del villaggio di Balboa. La decisione finale ha comportato la creazione del più grande lago artificiale del mondo, 400 km quadrati di giungla sarebbero scomparsi, tutti i villaggi dovevano trovare una nuova collocazione ed anche la ferrovia doveva essere riposizionata per oltre la metà del suo percorso. Ma le piene del Chagres sarebbero state vinte e lo scavo di Culebra senza gli ultimi 27 metri avrebbe comportato quantità accettabili. Stevens stimò il costo inferiore ai 250 milioni di dollari ed il tempo in cui il canale sarebbe stato completato: 9 anni. Il periodo preparatorio era completato, l’intero ufficio tecnico del canale e tutti i principali collaboratori di Stevens traslocarono da Panama City a Culebra sopra il trincerone, per avere costantemente sott’occhio il cuore del lavoro. Erano trascorsi un anno e tre mesi da quando Stevens aveva preso il comando dell’operazione di Panama.
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La visita di Roosevelt contabili ed ingegneri; Stevens riuscì a portarne a Panama solamente 3.243. Ogni scapolo era dotato di una elegante camera e di un bagno, i tecnici con le famiglie godevano di un alloggio confortevole fornito di carbone per cucinare, di ghiaccio per la ghiacciaia, di acqua corrente, di elettricità e anche di un servizio per il ritiro della spazzatura e per la manutenzione dei giardini. Stevens ritornò anche sul problema progettuale, ristudiò a fondo tutti i rilievi planoaltimetrici, le portate dei fiumi, specialmente del Chagres, il posizionamento della diga con i relativi problemi fondazionali. Un’analisi completa che diede ancora una volta ragione al barone De Lepinay che ventisette anni prima al congresso internazionale di Parigi aveva presentato il suo progetto che Ferdinand de Lesseps non aveva neanche preso in considerazione, prigioniero com’era dei suoi ricordi sul canale di Suez costruito a livello del mare. Stevens progettò una diga a soli 4 miglia dal mare, a Gatún, per formare un lago di dimensioni ancora maggiori ad una quota di 27 metri sopra il livello
23. Il piroscafo Ancon attraversa il punto più stretto del canale.
24. L’edificio direzionale per il controllo delle chiuse a Miraflores.
25, 26. Panoramica di un lunghissimo treno di smarino nelle fasi finali di scavo.
“Mai un Presidente fu in modo così deciso lo specchio dei suoi tempi”. La visita di Roosevelt a Panama fu un avvenimento epocale. Fu “l’evento”. Per i nostri tempi un presidente che lascia i propri confini per una visita all’estero è un fatto di assoluta normalità. Ma dobbiamo riflettere che allora il programma di Roosevelt di recarsi a visitare i lavori del canale di Panama rivestiva un carattere di assoluta eccezionalità: mai dico mai un presidente americano aveva lasciato il suolo degli Stati Uniti durante il proprio mandato, cosicché la sola intenzione scatenò un’accesa discussione su tutti i giornali, tra favorevoli e prudenti, anche se l’estensione dei collegamenti telegrafici poneva il presidente in continuo contatto con il proprio governo. Comunque la preoccupazione per la sicurezza del viaggio era notevole, e tutto fu organizzato in un clima di rispettosa prudenza: infatti con Roosevelt e la moglie viaggiavano il loro medico personale e ben tre, diconsi tre, uomini dei servizi segreti. Oggi sarebbe impensabile, tanto più che insieme a Roosevelt non viag-
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giava neanche un giornalista né un fotografo. Roosevelt viaggiò sul piroscafo Louisiana da 16.000 tonnellate di stazza scortato da due incrociatori, tutti partiti da New York il 6 novembre 1906 in piena stagione delle piogge. Roosevelt voleva visitare i cantieri sotto la pioggia nel periodo peggiore - non come De Lesseps che andò a Panama sempre e solo nella stagione favorevole - e questo per rendersi conto della reale difficoltà del lavoro. Arrivò a Colon prima del previsto ma non scese dalla nave, anche se Stevens e il presidente panamense Amador si precipitarono a riceverlo. Scese a terra la mattina successiva alle otto in punto dopo un disastroso temporale (80 mm di pioggia in due ore) sguazzando ovunque nel fango. A Panama City era in costruzione un grosso albergo a tre piani chiamato “Tivoli”, e Stevens in sei settimane aveva fatto completare un’ala per il Presidente, dove appena giunto in treno a Panama City avrebbe dovuto recarsi. Ma lui letteralmente scomparve. Aveva infatti incontrato il dottor Gorgas e con lui si era diretto a visitare l’ospedale di Ancon. Mentre tutti lo cercavano per il pranzo di benvenuto, Roosevelt e la moglie si erano seduti in una mensa impiegati a mangiare zuppa, manzo con patate bollite, budino e un caffè. Figuriamoci la scena! Poi Roosevelt cominciò la visita ai lavori fermandosi a parlare ogni piè sospinto con gli operai caraibici, saltellando lungo le traversine dei binari per ispezionare ogni escavatore ed ogni treno. La famosa, perché riportata da tutti i giornali del mondo, arrampicata al posto di guida di un escavatore Bucyrus da 90 ton, avvenne il giorno seguente. Ma Roosevelt non lo fece per essere immortalato dai fotografi, era lì per capire esattamente cosa voleva dire scavare con una benna da 4 mc e caricare i treni di smarino. Per venti minuti ascoltò le spiegazioni dell’operatore, poi cominciò a manovrare da solo le otto tonnellate di roccia che riempivano la benna. Volle salire su un treno speciale che lo portò nel fondo dello scavo dove la roccia veniva perforata, sparata e caricata su treni di grandi dimensioni e portata. A causa della pioggia incessante solamente 25 escavatori erano in azione quel giorno, ma comunque Roosevelt volle vivere l’enormità dello scavo e la vastità del lavoro portata avanti in un concerto di rumori assordanti. La sua presenza fu definita magica e logicamente diede un impulso di grande vitalità ed incondizionato entusiasmo per tutti i lavoratori del canale. Al suo ritorno a Washington (il viaggio tra andata e ritorno con
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una sosta di soli tre giorni durò in totale due settimane) Roosevelt si rivolse al Congresso dove con disegni e fotografie illustrò i lavori con dovizia di dettagli tecnici ma ricordando a tutti il sentimento di grande orgoglio nel constatare la forza e la professionalità di tanti giovani americani che avevano lasciato la patria per intraprendere il più grande lavoro che si era mai visto sulla faccia della terra. Ma gli elogi di Roosevelt andarono prima di tutto al dottor Gorgas ed alla sua vittoriosa lotta contro la febbre gialla all’ospedale di Ancon, dove 470 medici ed infermieri curavano gratuitamente bianchi e neri, americani e caraibici. Inoltre più di 1.000 uomini, la cosiddetta “Brigata Anofele”, giravano Panama fumigando e disinfettando case e giardini. La mortalità, prima al 10%, crollò al 17 per mille. Roosevelt era sempre più entusiasta del lavoro ed ancora più di John Stevens. Così quando il 2 febbraio 1907 ricevette una lunga lettera dallo stesso Stevens che annunciava non direttamente le dimissioni, ma la sua scarsa volontà di proseguire nel suo lavoro a Panama, Roosevelt andò su tutte le furie. Chiamò il segretario alla difesa Taft con un ordine secco e perentorio: “Stevens deve andarsene subito”. La de26
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cisione fu immediata e dopo la seconda fuga di un generale “privato” da Panama, Stevens dopo Wallace, la logica conseguenza non poteva che essere quella di incaricare direttamente l’esercito nella conduzione del lavoro di Panama: “Voglio uomini che stiano al lavoro finché io mi stanco di loro e che lo lascino solo quando dico io” disse furiosamente Roosevelt. Toccò quindi, terzo cambiamento, al Tenente Colonnello Gothals l’onore di sostituire Stevens. La notizia fu tenuta segreta finché Gothals non raggiunse Panama dove la sostituzione fece l’effetto di una bomba. A chi gli chiedeva spiegazioni, a tutti i suoi collaboratori più stretti Gothals rispondeva: “Non parlare, scava”. Il lavoro di Stevens era stato fantastico, il suo schema ferroviario su entrambi i lati del Culebra eccezionale, l’organizzazione del lavoro di scavo con escavatori Bucyrus e treni pesanti funzionava alla perfezione. Ma Panama non era solo lo scavo del Continental Divide, Panama era anche una diga a Gatún, due serie di chiuse, un enorme lavoro di calcestruzzo, l’opera meccanica di apertura e chiusura delle chiuse. Quando Stevens la30
27. Un’altra immagine del colonnello Gothals ultimo direttore dei cantieri.
28. Sale l’acqua dal lago Gatùn allagando il canale.
29. Roosevelt e Taft all’Università di Harvard.
sciò, la progettazione definitiva di dighe e chiuse non era neanche iniziata, per non parlare di tutti i relativi dettagli costruttivi che non erano ancora nemmeno affrontati. Stevens era un grande, grandissimo ingegnere ferroviario ma non conosceva né l’idraulica né la strutturistica. La sua uscita di scena fu un grande rimpianto per tutti i suoi collaboratori e per la gente di Panama, ma per Roosevelt Stevens era solamente un comandante che abbandonava il suo esercito.
Gothals Gothals era fiammingo, i suoi genitori erano immigrati dall’Olanda pochi anni prima della sua nascita avvenuta a Brooklyn nel 1858; aveva quindi 49 anni all’inizio della sua avventura panamense. Militare di carriera, diplomato brillantemente a West Point, la sua ascesa professionale comprendeva un vasto numero di lavori idraulici nella valle del fiume Ohio ed in Tennessee ed anche la costruzione di una chiusa di 9 metri di altezza. Era tra i 44 ingegneri che progettavano e realizzavano i lavori della più elevata importanza e standard esecutivi in tutti gli Stati Uniti. Era alto, dignitoso ed efficiente, insomma un militare tutto d’un pezzo. Chiamato da Roosevelt alle dieci di sera alla Casa Bianca, ascoltò gli ordini del Presidente e seppe del suo futuro a Panama come responsabile unico dei lavori ed ingegnere capo per la costruzione del canale. Era un militare, non poteva dire altro che obbedisco. Gli furono assegnati un numero rilevante di collaboratori tecnici ed amministrativi, su cui Gothals aveva autorità completa ed assoluta. Una posizione molto simile ad un dittatore. In effetti se qualcuno del suo staff avesse mai dovuto espri-
30. Lo scavo della frana di Cucaracha.
31. La diga di Gatùn che permette la formazione del lago 27 m sopra il livello del mare.
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mere qualche dissenso - commentò Roosevelt - questo avrebbe significato per lui immediate dimissioni. Per una intera generazione di americani Roosevelt e solo Roosevelt era il costruttore del canale di Panama, anche se i Presidenti durante il periodo della realizzazione furono tre. Dopo Roosevelt il suo segretario alla difesa Taft dal 1909 e poi Wilson dal 1913. In effetti non era così: era stato Taft che aveva assunto Wallace, Taft che aveva assunto e licenziato Stevens, Taft che aveva segnalato Gothals. Sotto la presidenza Taft nei quattro anni che vanno dal 1909 al 1913 i lavori del canale ebbero la massima espansione e raggiunsero la conclusione. Ma per tutti, per l’immaginario collettivo, il vero costruttore di Panama era stato e sarebbe rimasto Theodore Roosevelt, l’uomo che credeva nel potere del comando.
La Cucaracha Ma quanti milioni di mc sono stati scavati per il canale di Panama? 50 milioni, 70 milioni, ovvero in misura non decimale 100 mi31
lioni secchi di yarde cubiche? Ma cosa volevano dire questi numeri in immagini realistiche cosicchè potessero significare qualcosa per la nostra semplice immaginazione? Pensate, un treno di smarino che porti tutto il volume di terra scavata per il canale farebbe il giro della terra all’altezza dell’Equatore per quattro volte. Oppure potrebbe costruire una piramide grande sessantatre volte quella di Cheope in Egitto. Le cifre sono enormi e sono cresciute di anno in anno, mano a mano che l’organizzazione del lavoro migliorava e che le frane incrementavano i volumi. 18 milioni di metri cubi scavati nel 1907 addirittura 25 milioni nel 1908. Pensate che la stima iniziale dei francesi era di 45 milioni di metri cubi, aumentata a 57 milioni nella stima revisionata del 1910, per arrivare alla cifra finale di 70 milioni nel 1913. Da 50 a 60 escavatori erano contemporaneamente al lavoro nel buco di Culebra, con uomini e mezzi che lavoravano in un ambiente infernale sia per la temperatura (oltre 40 gradi con punte spesso fino a 45) e per il rumore assordante degli escavatori e dei treni.
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Quando Gothals arrivò a Panama nel febbraio del 1907 l’accoglienza fu gelida. La paura della popolazione e di tutti gli operai per la militarizzazione del cantiere era avvertibile in ogni passaparola. Nei discorsi di insediamento il nome di Stevens scatenava entusiasmi non repressi, il nome di Gothals nemmeno un applauso di cortesia. Eppure Gothals fu chiarissimo: “Non sono più un ufficiale dell’esercito, sono il comandante di Panama, i miei nemici sono gli scavi di Culebra la diga di Gatún e tutte le chiuse”. Gothals non indossò mai fino al giorno dell’inaugurazione la sua divisa militare. Il passaggio delle consegne avvenne alla mezzanotte del 31 marzo 1907. Alla partenza di Stevens seguirono dimissioni di massa di ingegneri, tecnici ed operai altamente specializzati. Più di metà degli escavatoristi si imbarcarono per gli Stati Uniti. In questo ambiente ostile Gothals metodicamente e freddamente organizzò le sue giornate lavorative sempre uguali per sei giorni alla settimana: sveglia alle 6, colazione, treno delle 7.10 verso il nord oppure alle 7.19 verso sud per visitare tutta la linea produttiva negli 80 km che vanno dal Pacifico all’Atlantico. Sempre vestito bianco, stivali ed ombrello neri. Nel pomeriggio nel suo enorme ufficio d’angolo a Culebra, Gothals riceveva i suoi collaboratori, i tre direttori di tronco come li chiameremmo oggi, i progettisti e gli amministrativi. Un lavoro ed una responsabilità enorme, basti pensare che nel 1910 il libro paga contava quasi 40.000 dipendenti. La domenica era diversa: Gothals aveva organizzato una mattinata di porte aperte. Dalle 7.30 fino alle 12.00 chiunque poteva chiedere udienza ed essere ascoltato dal grande capo, il suo assistente organizzava anche il servizio di traduzione simultanea per chi parlava solo spagnolo, francese o italiano. E chi era l’interprete? Incredibilmente Giuseppe Garibaldi, il nipote dell’Eroe dei due Mondi. Comunque la mattinata della domenica era molto apprezzata dagli operai: Gothals scendeva dal suo scranno di comandante in capo per comportarsi ora da padre ora da confessore. Ma il vento del cambiamento non soffiava solo la domenica mattina. Variazioni ben più importanti avvenivano nel progetto: - la larghezza al fondo dello scavo di Culebra passò da 60 a 90 metri; - la pendenza della scarpata raggiunse in molti punti il valore di uno su cinque, quindi molto sdraiata; - le dimensioni delle chiuse furono aumentate da 28 a 33 me-
32. Il piroscafo Ancon durante il viaggio inaugurale .
tri in larghezza e da 270 a 300 metri in lunghezza; - la diga foranea sul Pacifico, al fine di evitare correnti troppo forti all’ingresso del canale, fu aumentata fino a 5 km di lunghezza; - le chiuse del Pacifico vennero spostate di molte centinaia di metri verso l’entroterra, le prime due furono collocate a Miraflores e la terza a Pedro Miguel; - l’organizzazione del lavoro fu divisa in tre tronchi: Atlantico, Centrale e Pacifico. La divisione Centrale, la più difficoltosa, fu assegnata al Maggiore David Gaillard, sicuramente il personaggio più in vista di tutto il cantiere dopo Gothals.
Arrivano i turisti Già allora Panama era una meta ininterrotta di turisti. Da tutti gli Stati Uniti nei sette anni della costruzione dal 1907 al 1913 migliaia di visitatori si imbarcavano per Colon per non perdere lo spettacolo della lotta titanica degli ingegneri americani contro la natura selvaggia. Per ore si ammirava dall’alto il brulicare di treni e di escavatori nel canyon che diventava sempre più lungo e più largo. In effetti lo spettacolo era impressionante: 68 escavatori contemporaneamente al lavoro, centinaia di perforatori per forare la roccia, i treni di smarino che venivano caricati e che viaggiavano su sette differenti livelli mentre i binari venivano costantemente spostati da un piano all’altro per seguire le diverse quote a cui lavoravano gli escavatori. Tutto si muoveva esclusivamente su ferro, c’erano 140 km di binario all’interno dei 15 km della trincea di Culebra. Gli escavatoristi facevano a gara su chi produceva di più: il record spettò alla macchina 123 che nel marzo del 1910 in ventisei giorni lavorativi scavò e caricò 52.000 mc di roccia e di argilla. Le discariche erano ovunque lungo la linea. La più grande era a Tabernilla, dove 11 milioni di metri cubi furono letteralmente scaricati nella giungla. Milioni di metri cubi finirono a Miraflores, a Gatún (la discarica più distante) ed a Balboa dove 15 milioni di mc strapparono una vasta area al Pacifico per realizzare una nuova città. Tutto questo in un ambiente con un clima tra i peggiori dell’America per umidità ed intensità delle piogge. Terribili quelle del 1908 e del 1909 dove i pluviometri sorpassarono i 10.000 mm di pioggia all’anno. La tragica ed inevitabile conseguenza erano le frane. La più ter-
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ribile quella di Cucaracha posizionata nel lato orientale del canale poco a sud del passo. Il primo movimento franoso si registrò il 4 ottobre 1907 dopo giorni di violenti temporali. Senza alcun preavviso una montagna di 350.000 mc di roccia e fango scivolarono nel canale. Nel 1910 altre due frane. Nel 1911 ci vollero tre mesi per caricare tutto il fango e la roccia che erano scivolate nel canale, mentre una decina di escavatori e migliaia di metri di binario con centinaia di vagoni venivano seppelliti. Infine nell’estate del 1912 altri due milioni di metri cubi crollarono a valle con la conseguenza che all’altezza della grande frana di Cucaracha la larghezza dello scavo aumentò di 400 metri rispetto al progetto originario. Le frane venivano seguite in tutto il mondo, ogni nuovo disastro meritava la prima pagina dei giornali di informazione popolare, ma anche studi, progetti e suggerimenti dalle facoltà di Geologia e Geotecnica d’America e d’Europa. La più terribile, l’abbiamo già accennata, avvenne il 19 gennaio 1911 quando lo scavo aveva ormai raggiunto il 60% del volume totale stimato. La frana scivolò nel fondo del canale e poi si arrampicò sull’altra sponda. Il Maggiore Gaillard in stato di shock si presentò da Gothals disperato. La risposta? “Scava di nuovo quell’inferno di terra”.
Il trionfo È difficile esprimere il sentimento che tutti gli uomini impegnati nella costruzione racchiudevano nel proprio cuore. Una cosa è sicura, certa: il frutto del loro lavoro lo vedevano crescere fisi-
camente giorno dopo giorno, mese dopo mese. Vedevano lo scavo approfondirsi a Culebra, la costruzione di nuovi moli e magazzini nei porti. Vedevano la diga di Gatún crescere fino al coronamento, inserita in un contesto dove sembrava sempre essere stata posizionata. Ma soprattutto vedevano il lago. Ettari di giungla sparire sotto le acque chiare e dolci, costruire isolotti dove c’erano colline, raggiungere le cime degli alberi più bassi. E poi le chiuse: due canali lunghi oltre un miglio erano stati scavati a Gatún in un unico tratto, a Pedro Miguel e Miraflores in due contesti differenti ma vicini. La costruzione delle chiuse durò quattro anni, con il primo getto di calcestruzzo avvenuto il 24 agosto del 1909. Ogni conca era un enorme bacino chiuso da due alte pareti di calcestruzzo ai lati e da due enormi porte d’acciaio all’inizio e alla fine. Enormi piroscafi come il Titanic se non fosse affondato e l’Imperator da 52.000 tonnellate di stazza ci potevano stare comodamente. Le chiuse di Panama crescevano getto dopo getto, cassero dopo cassero. Le dimensioni erano e sono 300 metri di lunghezza e 33 di larghezza. Per costruirle servirono un milione e 400 mila metri cubi di calcestruzzo, gettati ogni giorno con un record di 1200 mc in dodici ore. A Gatún il getto veniva realizzato con spettacolari blondins, con torri oscillanti alte 25 metri. L’impianto di betonaggio alimentava una serie di vagoncini che viaggiavano su un percorso circolare, impianto-viaggio a pieno carico-scarico tramite blondinritorno a vuoto. Tutte le chiuse furono costruite in sezioni di 10
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metri per tutta la loro altezza, raggiunto il coronamento i casseri venivano spostati nella posizione a fianco. A Pedro Miguel e a Miraflores invece di usare blondin furono usati giganteschi derrick le cui torri si vedevano a miglia di distanza tra gli alberi della giungla. Gli inerti per il getto sul lato Atlantico venivano trasportati con bettoline da una cava a 60 km di distanza. Sul lato Pacifico gli inerti provenivano dagli scavi in roccia del canale, un solido basalto nero, e venivano frantumati sul posto. La sabbia invece veniva dalla stessa baia di Panama. La tecnologia ed il controllo di produzione di inerti per il calcestruzzo era decisamente avanzata: oggi a cento anni di distanza i calcestruzzi sono ancora in condizioni ottimali, un risultato davvero eccezionale. Ma l’elemento fondamentale per far funzionare le chiuse, il fattore vitale del progetto, era l’acqua. È l’acqua che fa alzare ed abbassare le navi. È l’acqua che fa muovere le enormi porte delle chiuse, leggermente e silenziosamente. È l’acqua che presso la diga di Gatún genera la potenza elettrica necessaria alla movimentazione di porte e di valvole. Una sola forza muove tutto l’impianto: quella di gravità. Con un sistema di condotti che avevano un diametro di 6 metri, con un sistema di tubazioni con minore diametro ma in numero di 14 per ogni conca, ognuna delle quali con cinque aperture, l’acqua usciva ed entrava nella conca facilmente e silenziosamente. In totale 70 buchi in ogni conca che facevano entrare ed uscire l’acqua in relazione al movimento delle valvole. Un così grande numero ha due conseguenze positive: evita la turbolenza nella conca e permette la discesa e la salita dell’acqua nella conca in meno di 15 minuti. Le porte delle chiuse furono costruite a Gatún a partire dal maggio 1911, tutte le porte avevano una larghezza di 20 metri ed uno spessore di 2.10, entrambe costanti mentre l’altezza variava da un minimo di 14 metri ad un massimo di 25 in relazione alla loro posizione. Le più pesanti, 745 tonnellate, erano quelle verso il Pacifico e Miraflores, a causa delle maree dell’oceano. Il sistema a gravità aveva però un inconveniente: per ogni viaggio completo di una nave attraverso il canale il consumo di acqua dolce era di 160.000 mc o se preferite 25 milioni di galloni. La movimentazione delle porte era assicurata da un meccanismo semplice: la porta era collegata con un braccio ad una ruota orizzontale di 6 metri di diametro che comandata da un motore elet-
33. Una bellissima illustrazione d’epoca per l’inaugurazione del 15 agosto 1914 .
trico e con una rotazione di circa 200 gradi azionava il movimento. Il sistema fu provato nelle peggiori condizioni cioè con conca vuota e quindi peso pieno delle porte: un successo. I motori elettrici erano un vero esercito, un numero non minore di 1500 in tutto il canale. Oltre i 92 per muovere le porte, altri 46 azionavano un meccanismo che manteneva le porte serrate ed immobili quando erano chiuse. Altri motori azionavano le catene di sicurezza allungate tra le due pareti della conca, che provvedevano a rallentare le navi in arrivo fino al loro completo arresto, poi venivano rilasciate e sparivano sul fondo. La nave ormai ferma veniva presa in carico da quattro rimorchiatori diesel di servizio: due a prua in tiro e due a poppa in freno. Mai le navi potevano azionare i loro motori durante il passaggio delle chiuse. In totale questi locomotori erano 40 (20 per ogni lato del canale), tiravano le navi ad una velocità di 3 km orari ed inoltre dovevano anche superare con una pendenza di 45 gradi il dislivello di 9 metri tra due conche successive. La costruzione delle chiuse si sviluppò così velocemente che finì con quasi un anno di anticipo rispetto al programma generale. Se non fosse stato per la dannata frana di Cucaracha (altri 15 milioni di mc finiti in fondo al buco) il canale avrebbe potuto essere aperto anche nel 1913. La chiusa di Pedro Miguel terminò alla fine del 1911, quelle di Miraflores nel maggio del 1913. L’ultima benna di calcestruzzo fu gettata a Gatún il 31 maggio del 1913. Dieci giorni dopo i due escavatori n. 222 e 230 si incontrarono benna contro benna in fondo alla trincea di Culebra, 12 metri sopra il livello del mare. Il 27 giugno dello stesso anno la diga e gli sfioratori di Gatún entrarono in funzione con il lago che aveva già 15 metri d’altezza e che ora potevano raggiungere la quota di 27 metri sopra il medio mare. Il 26 settembre si svolse la prima prova di funzionamento delle chiuse: vittima predestinata un vecchio rimorchiatore chiamato Gatún. Ci volle tutto il giorno a riempire le tre conche con l’acqua del lago, poi alle cinque di sera finalmente le porte sull’Oceano si aprirono ed il vecchio rimorchiatore pavesato a festa entrò piano piano nella prima conca: sembrava una barchetta da bambini in una enorme vasca da bagno. Le manovre furono tutte manuali, non era ancora installato il comando centralizzato di tutte le sequenze con i relativi blocchi di sicurezza sui comandi. Chiuse le porte a mare e riaperte le valvole, il Gatún cominciò a sollevarsi piano piano, l’acqua saliva silenziosamente senza turbolenze. L’emozione delle cen-
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tinaia di spettatori era palpabile, nessuno parlava. Il vecchio Gatún percorse tutti e tre i salti poi finalmente le porte sul lago (27 metri sopra il livello del mare) si aprirono ed il rimorchiatore come liberato cominciò a navigare nel lago sconfinato. La folla esplose in un delirio di grida e di lacrime. Era il 25 settembre 1913 alle 6.45 di sera, era quasi buio ma la luce della gioia era negli occhi di tutti. La seconda cerimonia fu tenuta il 10 ottobre e si svolse contemporaneamente a Washington e a Panama; nel giardino della Casa Bianca il Presidente Wilson premette un bottone collegato via telegrafo a Culebra dove un minuto dopo una enorme carica di dinamite provocò il crollo di 30 metri di argine e l’immensa trincea divenne una semplice estensione del lago Gatún. Il 10 dicembre una vecchia draga francese, il Marmot, aprì un passaggio attraverso la frana di Cucaracha aprendo così la navigazione nel trincerone. La fine dei lavori si avvicinava sempre più, migliaia di operai lasciarono il lavoro, centinaia di case e di uffici vennero smontati e demoliti. Il dottor Gorgas se ne andò in Sudafrica a combattere una epidemia di polmonite tra i minatori neri. Il Presidente Wilson nominò Gothals primo Governatore della zona del Canale. Intanto i preparativi per l’inaugurazione ufficiale progredivano faticosamente. Oltre che a Panama, a Washington ed a San Francisco si programmavano celebrazioni sontuose. Il 15 agosto il viaggio inaugurale del piroscafo Ancon si svolse perfettamente mentre Gothals sorvegliava la navigazione da tutti i punti viaggiando in ferrovia. Ma per una tragica coincidenza la notizia dell’apertura del canale che avrebbe riempito le prime pagine di tutti i giornali del mondo fu relegata nelle pagine interne. Il 14 agosto infatti la Germania dichiarò guerra alla Francia ed in Europa esplose la Prima Guerra Mondiale.
I conti non tornano Per gli americani il costo del canale fu enorme: 352 milioni di dollari compresi i 10 milioni per Panama ed i 40 per la Compagnia
francese, un costo quadruplo rispetto a Suez. Se aggiungiamo le spese del fallimento francese il totale arriva a 639 milioni di dollari. In vite umane il lavoro americano contò “solamente” 5.609 vittime quasi tutti operai caraibici, certamente meno delle 25.000 vittime del tentativo francese. Il solo scavo delle 9 miglia di trincea a Culebra costò 90 milioni di dollari. A consuntivo il volume totale di scavo toccò i 200 milioni di metri cubi, quattro volte il volume stimato da De Lesseps per un canale a livello del mare e tre volte il volume scavato per il canale di Suez. Tecnicamente, sia dal punto di vista civile che elettromeccanico, il canale fu un capolavoro assoluto: come 100 anni fa, oggi il canale e le sue chiuse funzionano perfettamente. Per colpa della guerra, i transiti iniziali non furono molti: circa 2.000 all’anno. Negli anni 20 il trafficò iniziò ad aumentare,( la portaerei Saratoga transitò per un pelo, per una trentina di centimetri) poi nel 1966 tutto il canale venne illuminato ed il transito permesso giorno e notte. Negli anni ’70 il conto raggiunse i 15.000 transiti, una media di 40 navi al giorno. Per milioni di persone dopo il 1915, l’attraversamento di Panama rimane un’esperienza memorabile, una giornata da ricordare per tutta la vita. Dodici ore di navigazione circondati da una natura selvaggia ed incontaminata, pochi gli insediamenti umani lungo le sponde. Il lago risulta molto più grande delle aspettative, e Panama molto più bella con il suo lago, e l’apparire di una grande nave dopo una curva del canale rimane un’intensa emozione. Lo spettacolo delle navi che si alzano per tre volte da un livello all’altro, nel silenzio, trainate tra le conche da piccoli e simpatici locomotori, emoziona ogni volta anche un vecchio professore che le guarda con gli occhi di un bambino, dimenticando per un attimo l’enorme lavoro ed il sacrificio umano che hanno permesso la realizzazione di questo capolavoro di ingegneria.
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Federico Gervaso
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bbiamo lasciato l’America con il canale aperto al traffico marittimo e l’Europa in vista della devastazione della prima guerra mondiale. Era il 1914. Seguiamo ora Panama ed il suo Canale negli avvenimenti del XX Secolo che culmineranno il 31 dicembre 1999, a mezzogiorno, con il trasferimento della proprietà e della gestione del canale dagli Stati Uniti alla Repubblica di Panama. All’inizio, per la concomitanza con il conflitto europeo, il canale non fa grandi affari. Ma nel giro di una decina di anni dal 1915 al 1925 il numero di transiti attraverso il canale comincia subito a mostrare cifre significative, intorno ai 5.000 all’anno, con una media di circa 14 passaggi al giorno. Numero che è poi aumentato di molto nel corso del secolo anche se dal 1970 in poi il numero dei transiti annuali si è stabilizzato intorno ai 14.500/15.000, il che comporta un massimo di circa 40 transiti al giorno, cifra che evidentemente costituisce la portata limite odierna del sistema chiuse-lago-chiuse.
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1. Navigazione di una porta container nel lago Gatùn.
2. La diga sul lato Atlantico che ha permesso la creazione del lago Gatùn.
3. Le porte vinciane presso le chiuse di Miraflores sul lato Pacifico.
L’unità di misura personalizzata Ciò che invece è decuplicato, da 30 milioni a 300 milioni, è il peso delle merci trasportate. Un piccolo inciso: mentre tutto il mondo misura il carico in tonnellate, Panama ha una sua unità di misura privilegiata: le tonnellate PCUMS, ovvero con un proprio sistema di misura universale per il canale di Panama, che corrisponde ad un peso di un volume di carico di 100 piedi cubici. Il resto del pianeta usa le tonnellate metriche oppure, visto l’inarrestabile sviluppo del trasporto via mare ed anche via terra tramite container metallici, usa il TEU, ovvero Twenty Feet Equivalent Unit, il contenitore base che misura 20 piedi di lunghezza per una sezione trasversale di 8 piedi per 8 piedi. Oggi i container sono quasi tutti lunghi il doppio cioè 40 piedi ovvero 12 metri ma il TEU rimane la misura fondamentale. Tutto questo cosa significa? Che le navi mercantili sono aumentate con legge esponenziale di dimensione, ovverosia di larghezza e di lunghezza. Ed è questo il punto nodale della nostra storia: navi sempre più grandi, sempre più lunghe, sempre più alte.
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Al di là dei numeri, quali sono gli avvenimenti politici ed economici che riguardano strettamente Panama ed il suo canale nel corso del XX Secolo? Nel 1936, Panama ottiene dagli Stati Uniti condizioni migliorative di affitto, con modifiche lievi al Trattato iniziale Hay Bunau-Varilla. Eclatanti invece sarebbero state le modifiche che gli americani volevano apportare alle dimensioni e quindi alla portata del canale già nel 1939. Gli americani infatti scavarono come matti, sia sul lato Pacifico che su quello Atlantico, due nuovi canali per un ulteriore e maggiorato set di chiuse al fine dichiarato di far passare la loro flotta da guerra da un oceano all’altro.
La seconda guerra mondiale Gli americani non avevano però fatto i conti con i giapponesi, che nel dicembre del 1941 bombardarono e distrussero metà della flotta americana del Pacifico nella Baia di Pearl Harbour. Allora decisero di abbandonare gli scavi al loro destino (resteranno aperti come reliquati per altri settant’anni) e per disporre di due flotte da guerra assolutamente indipendenti, una nell’Atlantico e una nel Pacifico. Per stare dalla parte dei bottoni e non rischiare una seconda catastrofe, gli Stati Uniti trasferirono a Panama nel 1942 ven-
4. Panoramica delle esistenti chiuse lato Atlantico.
5. La bandiera panamense issata al posto di quella americana che ha dato inizio alla rivolta studentesca.
6. Il monumento a Los Martires a Panama City.
7. Il colonnello Omar Torrijos, futuro presidente della Repubblica di Panama.
8. Il colonnello Manuel Antonio Noriega.
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ticinquemila militari costruendo un bel numero di installazioni difensive. È vero che i giapponesi non hanno mai invaso il canale di Panama, ma è altrettanto vero che un piano dettagliato per la conquista ed il controllo del canale era già pronto e sigillato in cassaforte. Panama intanto cresce insieme al suo canale dopo che nel 1947 gli Stati Uniti, prima restii e poi a malincuore consenzienti, abbandonano le installazioni militari di difesa, mantenendo comunque il 8 controllo della zona e del traffico marittimo che rimane sotto il loro incondizionato dominio grazie al Trattato del 1904 che garantisce agli USA sovranità eterna. Forse per lenire i rimorsi di coscienza, nel 1955 ingenti capitali statunitensi arrivano a Panama per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione: scuole, case e sanità. Ma arriva anche un grosso prestito della Banca Mondiale per la costruzione di strade ed in particolare per la Panamericana già arrivata in Costa Rica e che lentamente prosegue il suo cammino fino a Panama City o poco oltre. E lì incredibilmente si ferma ed è tuttora interrotta. Infatti ad un centinaio di chilo-
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metri dalla capitale ed altrettanti dal confine della Colombia la strada Panamericana si interrompe nella regione del Darien. Dalla Colombia prosegue verso sud per altre migliaia di chilometri verso la Terra del Fuoco così come da Panama prosegue verso nord fino all’Alaska, ma per i 100 km del Darien niente. Se da Panama vuoi andare in Colombia o prendi l’aereo o prendi la nave. La strada non esiste. Perché? C’è chi sostiene che la realizzazione di quel tratto di strada nella foresta con tutte gli inevitabili insediamenti a latere snaturerebbe definitivamente un’area verde incontaminata. Ma la maggior parte delle opinioni converge invece su ragioni legate in qualche modo al traffico di droga e al dominio nella zona dei clan colombiani. A nostro avviso difficile pensare a motivazioni tecniche ed ambientali. Evidentemente c’è una volontà politica che ha deciso di non costruire l’anello mancante di una catena infrastrutturale che corre dall’Alaska fino allo stretto di Magellano. Andando avanti con gli anni, ritroviamo avvenimenti degni di nota nel 1964, quando a
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Panama cominciano i moti e le turbolenze che sfoceranno tredici anni dopo, nel 1977, nel cambiamento radicale del cammino politico ed amministrativo del canale. Infatti nel 1964 un gruppo di giovani studenti del Liceo Balboa situato all’interno della zona americana del canale, issa la bandiera panamense al posto di quella a stelle e strisce. La rivolta studentesca finisce nel sangue, i soldati americani reagiscono sparando ad altezza d’uomo e 22 ragazzi perdono la vita.
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9. La stretta di mano che suggella la firma del trattato Carter - Torrijos nel 1976.
10, 11, 12. Lo storico passaggio dagli Stati Uniti alla Repubblica di Panama di tutte le opere del Canale.
13. Il nuovo ponte del Millennio attraversa il canale al suo sbocco sul Pacifico.
14. L’edificio che ospita il centro turistico e il museo presso le chiuse di Miraflores.
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Pochi anni dopo, nel 1968 la guardia nazionale (Panama non ha esercito) depone il presidente Diaz democraticamente eletto e prende il controllo del governo. La nuova giunta impone la censura ai giornali, sospende le garanzie costituzionali e scioglie il Parlamento. Tra i nuovi uomini al potere, emerge come leader il colonnello Omar Torrijos che cambia la Costituzione allargando i poteri del presidente. Nell’elezione del 1972 la nuova assemblea è tutta formata da uomini scelti da Torrijos che gode di ampi poteri esecutivi. Il nuovo presidente cambia anche la faccia di Panama con uno spettacolare programma di lavori pubblici. Più di ogni altro avvenimento, Torrijos è il protagonista, assieme al presidente americano Jimmy Carter della totale revisione del vecchio trattato Hay - Bunau-Varilla. Il nuovo infatti prevede la prossima consegna alla Repubblica di Panama di tutta la zona del canale controllata dagli americani e garantisce la piena sovranità e la gestione del canale ai panamensi a partire dal 31 dicembre 1999. Un atto fondamentale nella storia della giovane Repubblica.
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L’ascesa e la caduta di Noriega Negli stessi anni si consolida anche la figura ed il potere del colonnello Manuel Antonio Noriega, ragazzo del popolo che scala tutte le posizioni all’interno della guardia nazionale. Mentre era a capo della provincia settentrionale di Chiriqui, aiuta il rientro in patria di Torrijos in uno dei tanti sconvolgimenti di potere che caratterizzano la storia di Panama, permettendogli di ritornare in patria con un romanzesco atterraggio notturno in un piccolo aeroporto non dotato di luci (sostituite dai fari di decine di veicoli coordinati da Noriega). La sua carriera si impenna, il suo potere si allarga e quando il 31 luglio 1981 Torrijos rimane ucciso in un ancora dubbio incidente aereo, Noriega prende il potere come capo della guardia nazionale, rinominata Panama Defence Force (PDF). Noriega viene accusato di traffico di droga e di armi, perde il supporto degli Stati Uniti che lo condannano pubblicamente. Le elezioni presidenziali diventano una farsa in cui Noriega decide tutto. Nel dicembre del 1989 Noriega dichiara lo stato di guerra contro gli americani. La scintilla esplode quando alcuni soldati panamensi uccidono un marines degli Stati Uniti disarmato ed in borghese. Il 7 dicembre il Presidente George Bush ordina l’invasione di Panama per proteggere i cittadini statunitensi ed inoltre ordina l’arresto di Noriega. Nei combattimenti che seguono 300 panamensi e 23 soldati americani perdono la vita. Noriega circondato si rifugia nella Nunziatura Apostolica Vaticana di Panama, che viene poi bombardata (!) da un incessante concerto di altoparlanti che suonano musica rock a volume impossibile! Il 3 gennaio 1990 Noriega si arrende e si consegna ai militari americani. Viene portato a Miami, processato e condannato a quarant’anni di prigione poi lievemente ridotti. Dopo il 1990 inizia per Panama una lenta ma costante transizione verso la
democrazia e la sua sovranità sul canale che culmina, come abbiamo anticipato, il 31 dicembre 1999 a mezzogiorno quando la bandiera a stelle e strisce viene ammainata da tutti i possedimenti americani della zona del canale: dal 1° gennaio 2000 la Repubblica di Panama è proprietaria del canale e lo gestisce molto efficacemente attraverso la nuova società ACP, acronimo per “Autorità del canale di Panama”.
Si dia inizio alla festa L’avvenimento questa volta non viene rovinato dallo scoppio di una guerra mondiale, anzi viene esaltato dal concomitante fantasmagorico capodanno per il nuovo millennio. Ma non tutti erano felici per questo giorno di festa. Non lo erano i conservatori americani, che ricordavano come il trattato del 1977 era stato approvato dal Senato americano con un solo voto di scarto e che il canale esisteva solo per l’enorme sforzo ingegneristico ed economico degli Stati Uniti nel primo decennio del secolo. Non erano felici nemmeno le migliaia di panamensi che lavoravano per gli americani residenti nella zona del canale, con paghe orarie cinque volte maggiori rispetto alla media panamense. E non lo erano neanche i molti pessimisti che paventavano nuvole nere negli anni a venire, vista la crescente influenza cinese nella zona del canale, cinesi che insieme agli americani sono di gran lunga i maggiori utilizzatori della struttura transoceanica. E sembra che non lo fosse neanche il Presidente americano Clinton, che si guardò bene dal presenziare all’imponente cerimonia, inviando al suo posto l’ex presidente Jimmy Carter, che aveva negoziato il turnover del Canale vent’anni prima. Comunque erano immensamente felici milioni di Panamensi, che vedevano restituita alla loro nazione la sovranità sull’intero territorio nazionale, prima diviso in due, e la conseguente partenza delle truppe straniere dalla ex-zona americana del canale.
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Federico Gervaso
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on il canale totalmente sotto la loro giurisdizione, i panamensi non se stanno con le mani in mano. Finalmente padroni del canale dopo ottantasei anni di dominio americano, pensano in grande. Sentono il canale come una propria creatura a cui hanno contribuito prima durante la costruzione, poi durante le estenuanti battaglie per la revisione del Trattato del 1903 e finalmente con i primi anni di gestione esemplare. Nel 2006, dopo anni di studi, constatato il continuo incremento del traffico e con l’attenzione rivolta ad una visione a medio termine fino al 2025, Panama decide di cambiare e di ottimizzare le risorse dell’infrastruttura con la costruzione di un terzo gruppo di chiuse. Appunto, la terza corsia.
Il progetto del terzo millennio Il grande progetto, successivamente approvato con un referendum popolare, consiste principalmente in tre distinti interventi infrastrutturali: 1) La costruzione di due nuove serie di chiuse, una sull’Atlantico ed una sul Pacifico, ciascuna composta da tre conche con i relativi bacini di riutilizzazione delle acque dolci. 2)Lo scavo del canale di approccio alle chiuse e l’ampliamento degli attuali canali navigabili.
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1. Rendering delle nuove chiuse e dei bacini per il risparmio dell’acqua dolce.
2. Situazione del traffico marittimo nell’anno 2000.
3. Confronto tra le navi Panamax attuali e le future post-Panamax in termini di portata.
3) L’approfondimento dei canali di navigazione per permettere un maggior pescaggio con l’aiuto anche di un piccolo ma significativo innalzamento del livello delle acque del lago Gatùn. La visione di questo nuovo assetto nasce all’inizio del 2000 e sfocia nel 2006 in un master plan che guarda fino al 2025 come orizzonte temporale di traffico. Oggi il canale ha due corsie. La proposta, in una semplice espressione oggi abbastanza usuale per il traffico autostradale, è quella di costruire la terza corsia attraverso la realizzazione, a fianco ma non adiacenti, di una nuova coppia di chiuse di dimensioni notevolmente maggiorate. Inoltre ogni conca (in totale saranno sei, tre sull’Atlantico e tre sul Pacifico) avrà al suo fianco tre bacini di riutilizzazione dell’acqua dolce per un totale di nove bacini per gruppo e quindi diciotto in totale. Come per le chiuse esistenti, anche le nuove saranno riempite e svuotate solamente attraverso la forza di gravità. Insieme con il nuovo canale di accesso da e per gli oceani si realizzerà un vero e proprio itinerario navigabile a fianco del vecchio. Ma con due differenze fondamentali: la prima nella dimensione delle chiuse, 427 metri di lunghezza, 55 di larghezza e 18 di profondità, la seconda nel sistema di chiusura delle conche, che utilizzerà degli enormi portoni scorrevoli (sempre in coppia per ridondanza) al posto delle vecchie porte vinciane.
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Inoltre, particolare non trascurabile, le navi non saranno più movimentate da locomotori che si muovono sulla cima dei muri perimetrali come accade oggi, ma da speciali rimorchiatori così come accade in altre chiuse (Belgio, Olanda) di dimensioni e di caratteristiche similari. Un canale di 1300 metri sarà scavato sul lato Atlantico per connettere il set di chiuse all’oceano. Sul lato Pacifico i nuovi canali saranno due, uno verso l’oceano e l’altro verso il lago Gatùn, 27 metri sopra il livello del mare. Ciliegina sulla torta: un nuovo ponte per il traffico automobilistico sarà costruito sull’Atlantico; oggi infatti si passa da un lato all’altro con un piccolo ponte girevole nell’ambito delle chiuse stesse. Infine, sembra poco ma moltissimo in termini di milioni di litri d’acqua dolce disponibile, la quota operativa del lago Gatùn sarà alzata di 45 cm. Con il dragaggio dei canali esistenti ci saranno 625 milioni di litri in più sufficienti per 1.100 concate addizionali e questo senza conseguenze per l’acqua di uso umano che proviene dal lago Gatùn. La prima stima di costo della terza serie di chiuse ha raggiunto i 5.250 milioni di dollari di cui 2.730 per le chiuse vere e proprie, 620 per i bacini di accumulo e 820 per i canali di accesso. Sono stati infine aggiunti 290 milioni di dollari per l’allargamento e l’approfondimento dei canali esistenti al fine di raggiungere il pescaggio minimo stabilito in 18 metri. Infine, per aggiungere anche le bretelle alla doverosa cintura nell’analisi dei costi, sono stati aggiunti 530 milioni per i costi imprevisti e per l’inflazione durante il periodo di costruzione (2008-2014). La cura ed il dettaglio con cui i costi sono stati stimati offrono già un notevole grado di sicurezza al riparo da eventi incerti ed allo stato non prevedibili. Quanto detto riguarda i costi. Invece per ciò che riguarda i ricavi le stime sono senz’altro più precise e mostrano un alto grado di profitto finanziario, attestandosi su una percentuale di ritorno dell’investimento pari al 12%. In effetti la terza corsia, così com’è stata progettata, raddoppia letteralmente la capacità del canale mentre ne aumenterà l’efficienza provvedendo sicuramente ad incrementare la qualità di vita di tutti i panamensi. Infatti l’espansione del canale permetterà negli undici anni coperti dal piano (2014-2025) il transito di 1250 milioni di tonnellate PCUMS e porterà ad un fatturato di oltre 6.000 milioni di dollari nel 2025 (ricordiamo ancora
il significato dell’acronimo PCUMS cioè Panama Canal Universal Measurement System; invece un TEU, largamente più usato internazionalmente, vale circa 13 tonnellate PCUMS). Ciò che più colpisce è la constatazione che, fatti tutti i conti, la stima più aggiornata preveda che l’investimento nella terza corsia potrà essere ripagato in soli otto anni.
Le previsioni di traffico Nel 2005 per la prima volta il volume di traffico delle navi portacontainer supera le altre categorie di navi, in particolare quelle che trasportano merci secche (grano, mais, soia, minerali e fertilizzanti) e quelle che trasportano liquidi (prodotti liquidi, gas metano e derivati del petrolio). Inoltre il 64% dei transiti viene ormai coperto da traffici tra il nordest asiatico e la costa est degli Stati Uniti in entrambi i sensi di marcia. Ragioniamo un momento sul traffico insieme agli spedizionieri internazionali: per avere un servizio settimanale di trasporto 2
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tra il nordest asiatico e la costa orientale degli USA con una nave tipo Panamax e cioè con una portacontainer da 4200 TEU, ci vuole una flotta di otto navi per garantirne la regolarità. Questo ovviamente genera due transiti settimanali attraverso Panama e quindi 104 all’anno. Il transito avviene nello stesso giorno settimanale e quindi per evitare di aumentare il numero di navi impiegate per coprire il servizio, il transito deve essere programmato e prenotato con largo anticipo. Non si può perdere ore ed ore ad attendere il semaforo verde per transitare. Quindi è indispensabile che il canale di Panama garantisca assoluta tempestività e correttezza di programmazione nei transiti fissati dai clienti.
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È chiaro che se la capacità di transito del canale raggiungesse un limite non superabile e si andasse velocemente verso la saturazione, la tempestività dei transiti non sarebbe più garantita. Conseguenza? Gli spedizionieri cercherebbero percorsi alternativi per evitare le maggiori spese per lo scarico e il carico nei porti di partenza e destinazione, che non avverrebbe nei tempi programmati ma con maggiori spese. Il transito attraverso il canale diventerebbe non più conveniente, in parole povere sarebbe da abbandonare. Sì, va bene, ma quali sono le alternative al canale di Panama? Prima di tutto il trasporto interno attraverso gli Stati Uniti, poi il canale di Suez e la vecchia navigazione via Capo Horn e Capo di Buona Speranza. Al momento la soluzione via oceano Pacifico più trasporto via terra attraverso gli Stati Uniti ha ancora il 62% come quota di mercato e Panama solo il 38%. Questo dato va visto in una duplice prospettiva: da un lato segnala che il trasporto nave + treno/tir dall’Asia alla costa orientale degli Stati Uniti stia raggiungendo la saturazione specie nel tratto via terra, dall’altro che Panama non aumenta la sua quota per via delle dimensioni relativamente ridotte delle navi attuali che oggi l’attraversano. È accertato che con l’uso di navi portacontainer Post Panamax, per intenderci oltre i 10.000 TEU contro gli attuali 4200, sposterebbe considerevolmente la bilancia a favore del canale. La rete di trasporto attraverso Suez, cioè est Asia - Suez Mediterraneo - Gibilterra - Oceano Atlantico - costa est USA, richiede undici navi al posto delle otto necessarie via Panama per garantire lo stesso trasporto settimanale di 4200/4800 TEU. Ma attraverso Suez oggi si possono utilizzare le navi da 8.000 TEU e quindi il vantaggio di Panama si riduce. Ma appena il canale sarà in grado di utilizzare le navi Post Panamax il suo vantaggio in termini di costi e tempo complessivo di trasporto salirà del 23% rispetto a Suez. Rimane da analizzare come possibile concorrente del canale di Panama la rotta attraverso l’Oceano Artico. Infatti il riscaldamento globale del pianeta potrebbe causare intorno al 2030-2040 lo scioglimento di parte della calotta polare artica per i tre mesi estivi aprendo così al traffico marittimo il cosiddetto “passaggio a nord-ovest”. Per ora la rotta attraverso l’Artico non è garantibile sia in termini di sicurezza che in termini di durata annuale. Troppo presto, tra 30-40 anni si vedrà come evolverà la situazione climatica. 4, 5. Il sistema di misura personalizzato per i transiti delle merci attraverso il canale
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6. La situazione origine destinazione dei traffici merci attraverso il canale nel 2009.
7. Transiti e tonnellaggio attraverso il canale in un secolo di vita.
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La grande opportunità Tutte le previsioni e gli studi di mercato danno per certo il raddoppio del traffico nei prossimi vent’anni con un incremento medio del 3% all’anno. È inoltre sufficiente un incremento del 3,5% all’anno del pedaggio per garantire il raddoppio dell’attuale fatturato nel 2025. Il tonnellaggio che attraverserà il canale con l’apertura della terza corsia passerà dai 100 milioni di tonnellate PCUMS a 300 nel 2025 e questo nello scenario più prudenziale. Prudenziale perché l’incremento annuale registrato negli ultimi dieci anni, dal ’95 al 2005 è stato a due cifre, ben il 10,4%. Per il numero di passaggi l’incremento sarà molto minore, si potrà passare da 14.000 a 18.800 all’anno, ma è chiaro che cambieranno dimensioni e tonnellaggio. Tutti i porti della costa orientale degli Stati Uniti si stanno già attrezzando per servire in modo efficiente le navi Post Panamax: questo vale per i porti dello Stato di New York e del New Jersey, Savannah in Georgia e Charleston in Carolina. Porti che già adesso servono navi molto più grandi delle Panamax, navi che rappresentano il 27% del loro traffico e che chiaramente per ora non transitano da Panama. Ma è proprio questa gara a costruire e varare navi che hanno dimensioni e capacità di trasporto molto maggiori rispetto alle attuali che giustifica anzi obbliga ad incrementare la capacità del canale. Una considerazione in più: è prevedibile la cattura di nuovi mercati che già adesso potrebbero utilizzare navi Post Panamax. Si pensi al trasporto di carbone dalla Colombia, al trasporto di petrolio dal Venezuela all’Asia orientale e di gas naturale dal Perù alla costa est degli Stati Uniti. E poiché il numero di transiti attraverso il Culebra Cut non può aumentare di molto, solo utilizzando navi Post Panamax si può diminuire il numero di transiti a parità di tonnellaggio trasportato.
La sfida e la capacità Il canale di Panama raggiunge in questi anni la sua massima capacità di trasporto: 340 milioni di tonnellate PCUMS. Nonostante l’incremento del livello di servizio degli ultimi cinque anni, il tetto è ormai raggiunto. Il passaggio attraverso il Culebra Cut è stato allargato, da 192 a 218 metri, allargamento che ha comportato un importante volume di dragaggio. Il lago Gatùn ha incrementato il proprio pescaggio all’interno del canale navigabile. La flotta dei rimorchiatori è stata totalmente
rinnovata mentre si è passati ad un sistema di ritmi di transito notevolmente migliorato per garantire la massima efficienza (ricordiamo ad esempio che le navi più grosse oggi possono attraversare il Culebra Cut solo di giorno). Ma tutti questi miglioramenti hanno potuto aumentare di poco, da 280 a 330 i milioni di tonnellate PCUMS che riescono annualmente a transitare attraverso il canale. Tutte le considerazioni svolte portano ad un’unica conclusione: se nel 2014, come sta effettivamente avvenendo, la capacità del canale raggiunge e gratta il fondo del barile, non resta che costruire la terza corsia che permetterà il passaggio di 16.000 navi all’anno ed il raddoppio del tonnellaggio da 300 a 600 milioni di tonnellate PCUMS. 6
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quindi battuto a tappeto tutte le possibili soluzioni. - Canale a livello o canale con le chiuse? Tanto per non lasciare nulla di intentato anche dopo cento anni. - Numero di salti di quota. - Dimensioni delle nuove chiuse. - Tipologia delle paratoie. - Movimentazione delle navi. - Bacini per il risparmio dell’acqua.
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Il dimensionamento della terza corsia: i principi basilari del progetto È chiaro che per un progetto di questa portata sia in termini di investimenti iniziali che di costi manutentivi futuri non poteva che essere determinato al termine di una lunga analisi che prendesse in considerazione tutte le possibili alternative. Lo studio ha 9
8. I transiti attraverso il canale non possono aumentare oltre i 40 giornalieri.
9. Schema dei “water saving basins” durante il transito di una grossa porta container.
10, 11. Andamento dei traffici e del tonnellaggio delle navi nel XX secolo.
1. Un canale a livello o con le chiuse? Sinceramente sembra un eccesso di pignoleria riportare a galla una soluzione scartata cento anni fa, ma in effetti molte cose sono cambiate in un secolo, tra cui la capacità organizzativa e tecnologica per la movimentazione di terre di grandi dimensioni. Ma la conclusione comunque è stata ancora quella di cento anni fa: un canale a livello genera infatti impatti ambientali permanenti ed irreversibili di enorme entità sia alla terra che agli ecosistemi marini. A parte s’intende la necessità di trovare una collocazione alternativa a migliaia di famiglie, la perdita di molte foreste e peggio ancora le inimmaginabili conseguenze delle migrazioni di specie marine dall’Atlantico al Pacifico. Analisi inutili? Forse sì comunque pietra tombale sul progetto di Ferdinand De Lesseps. 2. La terza corsia uguale alle precedenti Bocciata, non se ne vede la razionale utilizzazione. Si aumenta
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del 50% il traffico del canale ma, per dirla in termini semplici, solo per il traffico leggero lasciando a casa quello pesante. La terza corsia deve avere una carreggiata molto maggiore. 3. La tipologia delle chiuse Una, due, tre o quattro salti? Chiuse con meno salti a parità di dislivello totale richiedono un minor numero di porte ma molto più imponenti. Chiuse con maggior numero di salti (per esempio quattro) comportano sforzi operativi minori ma maggiore investimento iniziale e costi di manutenzioni più elevati per via del maggior numero di componenti. La soluzione migliore dello studio riporta nuovamente il numero di salti ottimale a tre . 4. Le dimensioni delle chiuse È stata selezionata una nave campione per la tipologia Post Panamax con le seguenti caratteristiche :1200 piedi di lunghezza pari a 366 metri, 160 piedi di larghezza pari a 49 metri e 50 piedi di pescaggio pari a 15 metri. È una tipologia media tra le navi che esistono già in navigazione e quelle progettate od in costruzione. Conseguentemente, come più avanti analizzeremo, le navi saranno trainate da rimorchiatori e non da una moltitudine di piccoli locomotori. Le dimensioni delle chiuse saranno compatibili con questa tipologia campione: 427 metri di lunghezza e 55 metri di larghezza e due rimorchiatori a prua e a poppa. 5. Le porte delle chiuse Nella tipologia delle chiuse con dimensioni così importanti si è semplicemente utilizzata l’esperienza belga ed olandese, ciò che ha comportato l’abbandono delle attuali porte vinciane. I cancelli scorrevoli lavorano partendo dal loro “parcheggio” perpendicolare all’asse delle chiuse. Questa configurazione permette di trasformare i loro “parcheggi” in un bacino asciutto con evidenti vantaggi per la manutenzione, perché permette di eseguire lavori di manutenzione senza rimuoverli e senza interrompere le operazioni di concata, data la dotazione doppia per ogni chiusa. 6. La movimentazione delle navi L’analisi è stata approfondita prendendo in considerazione anche il posizionamento delle navi con sistemi elettromeccanici. Il posizionamento con locomotori, di maggiore potenza degli attuali, sarebbe estremamente rischioso perché richiederebbe il movimento coordinato di un numero tra 8 e 12 locomotori, com-
portando tra l’altro un maggior tempo di concata. Quindi l’uso di rimorchiatori risulta la migliore alternativa, utilizzata ormai in tutte le chiuse del mondo con dimensioni similari (ad eccezione proprio di quelle attuali a Panama!). 7. I bacini per il risparmio dell’acqua Ogni concata oggi comporta la perdita di milioni di litri d’acqua dolce. Per diminuire questo “spreco”, d’altronde indispensabile perché tutto funziona con l’utilizzo di una sola forza, quella di gravità, non c’è altra soluzione che realizzare a lato di ogni conca dei bacini di accumulo per l’acqua sopravveniente da una concata in discesa per poterla poi successivamente utilizzare per una con10
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cata in salita. Quanti di questi bacini? Certo più sono numerosi per ogni concata, maggiore è la quantità di acqua salvata. Ma la proporzione non è lineare. Un solo bacino salva il 33% dell’acqua necessaria, due bacini il 50%, tre bacini il 60%, ma con quattro solo il 66% e con cinque solo il 71%. Quindi costruirne più di tre è uno spreco: ogni bacino in più riduce la convenienza. La scelta di tre bacini risulta così la soluzione più conveniente perché comporta il maggior risultato in termini di costi di costruzione ed ancora un basso impatto sui tempi di concata. Le prove eseguite nel laboratorio idraulico di Delft in Olanda hanno confermato inoltre che tre bacini per conca non comportano conseguenze negative sul lago Gatùn che continuerà a fornire acqua dolce sufficiente per il consumo umano di Panama. Le nuove chiuse con tre bacini di riutilizzazione dell’acqua consumano il 7% in meno delle chiuse esistenti.
Ma quanto incasserà il canale? La motivazione profonda, vera, incontrovertibile ma spesso taciuta per la costruzione della terza serie di chiuse è l’ininterrotto flusso di denaro contante che questo genererà. Un fiume di dollari. Il calcolo è presto fatto, sulla base delle previsioni di traf-
12. Schema planimetrico del posizionamento delle nuove chiuse sul lato Atlantico.
fico e di tonnellaggio che attraverseranno il canale per esempio nel 2050: l’incasso totale al lordo dell’inflazione sarà pari a 6.200 milioni di dollari. Esattamente il doppio di quanto vale oggi il contratto per la costruzione delle nuove chiuse. Non solo, la quota di mercato nel trasporto tra l’Asia e la costa orientale degli Stati Uniti passerà al 50%. Dal 2015, anno di apertura al traffico della terza corsia, fino al 2025, ultimo anno a cui lo studio previsionale fa riferimento, il canale sarà attraversato da 4.850 milioni di tonnellate PCUMS. Se non ci fosse la terza corsia questa cifra scenderebbe a 3.600 milioni. In totale durante tutto il decennio 2015-2025 gli incassi del canale ampliato sorpasseranno gli incassi senza la terza corsia di 12.650 milioni di dollari. Facendo una semplice proporzione si può senza dubbio affermare che il costo della terza corsia con tutti gli annessi e connessi, sarà ripagata in soli sette/otto anni. Al netto delle spese di gestione e manutenzione, gli importi che il canale trasferirà al Ministero del Tesoro saranno di 4.310 milioni nel 2025, in termini cumulati nel decennio in esame il canale trasferirà al Ministero 8.500 milioni in più rispetto al previsto introito senza la terza serie di chiuse. Altro che petrodollari! Il canale raddoppiato è un vaso di Pandora. E la pacchia non finisce qui: al di là dei vantaggi direttamente connessi all’espansione del canale ci sono interi settori trainanti che beneficeranno di incrementi a due cifre durante il decennio in esame. Si stima che gli investimenti su Panama subiranno un incremento del 40%, che il prodotto interno lordo arriverà a 31.700 milioni di dollari nel 2025 con un incremento del 5% all’anno (altro che le povere percentuali vicine all’unità che si stimano per la vecchia Europa!) e che i posti di lavoro nel periodo di costruzione saliranno di 35.000 unità, inclusi i 6.500 posti direttamente connessi con il contratto di costruzione. Ma in generale la previsione stima che nel 2025 saranno tra i 150 mila e i 250 mila i posti di lavoro nuovi quale diretta conseguenza dell’espansione del canale. Per una nazione di 3 milioni di abitanti questo significa la fine della disoccupazione. In conclusione: il progetto prevede, al di là delle nude cifre che abbiamo illustrato finora, che Panama sarà in grado di investire moltissimo in istruzione, salute e benessere per i suoi abitanti: nel grigiore mondiale questa piccola stella brillerà di luce propria.
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La gara del terzo millennio Mario Lampiano
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opo aver commissionato prima uno studio di fattibilità e poi un progetto esecutivo, la mossa successiva per un Committente che vuole realizzare grandi opere infrastrutturali è lanciare sul mercato internazionale una richiesta di prequalifica, per determinare quali imprese o gruppi di imprese abbiano le capacità tecniche e finanziarie per poter costruire l’opera programmata. Per lavori di notevole spessore economico ed impegno tecnico (parliamo di dighe, autostrade, ferrovie) l’importo medio dei lavori sull’orizzonte mondiale è di circa 300-500 milioni di dollari. Per i Paesi emergenti o per quelli del cosiddetto “terzo mondo” l’ente finanziatore è spesso la Banca Mondiale. Negli altri Stati industrializzati sono gli stessi Enti statali dell’energia, delle strade o delle ferrovie a presentarsi come Committenti diretti. Nelle normali prequalifiche è prevista una serie di documentazioni standard che sono richieste dalle Committenti, riguardano l’elenco delle opere costruite dalle imprese negli ultimi dieci anni, gli organigrammi del personale, le garanzie di solidità tecnica e finanziaria. Per le gare a livello internazionale, si tratta in genere di inviare una documentazione di routine. Per il terzo set di chiuse del canale di Panama, l’approccio alla prequalifica è invece stato del tutto anomalo, con un cammino suddiviso in più fasi. Cerchiamo di ricapitolarle insieme.
Le forche caudine della prequalifica La richiesta per la prequalifica viene emessa dal cliente (il cliente è la ACP, Autorità per il Canale di Panama), il 27 agosto 2007 e la data di presentazione della documentazione viene fissata, dopo alcuni rinvii e revisioni dei documenti contrattuali, per il 12 novembre 2007. La richiesta per essere prequalificati comprende tre sezioni: - una sezione amministrativa-legale che include l’identificazione del richiedente, la copia del documento associativo se è una joint-venture od un consorzio di imprese, la struttura organizzativa del richiedente, per chiarire in particolare se i costruttori delle porte delle chiuse siano stretti membri dell’associazione o solo sub-contractor, ed inoltre lettere di referenze commerciali e bancarie per ogni membro dell’associazione; - una sezione finanziaria che comprende la copia dei bilanci consolidati degli ultimi tre anni per ogni membro dell’associazione ed una dichiarazione che il richiedente è in grado di ottenere
1. Calendario delle fasi di prequalifica e di offerta.
2. Dettaglio della composizione dei quattro gruppi prequalificati.
un performance bond di importo non minore di 500 milioni di dollari ed un payment bond di importo non minore di 250 milioni di dollari. Già queste sono cifre molto, molto elevate; - una sezione tecnica che comprende la descrizione ed i dati dei progetti portati a termine dal richiedente ed i certificati di buona esecuzione emessi dai Clienti. Bisogna dire che già a questo punto il volume cartaceo è notevole, ma permette sicuramente ai Panamensi una valutazione in due fasi distinte. Infatti i dati ricavati dovranno essere completati in modo che il Cliente possa verificare, oltre alla capacità di emettere un performance bond di 500 milioni di dollari e un payment bond di 250 milioni di dollari, i punti seguenti: - un fatturato medio totale minimo (la somma dei fatturati di tutti i membri dell’associazione) di 2 miliardi di dollari all’anno negli ultimi dieci anni dalla costruzione! - il completamento negli ultimi dieci anni di almeno tre progetti comparabili a Panama con un valore minimo di 500 milioni di dollari ciascuno, più almeno un progetto del valore minimo di un miliardo di dollari; - per il designer, un fatturato medio di 100 milioni di dollari negli ultimi dieci anni della sua attività di progettazione; - la realizzazione negli ultimi dieci anni da parte del designer di almeno due progetti comparabili, il valore di ciascuno dei quali non sia inferiore a 400 milioni di dollari; - da parte delle imprese, il completamento negli ultimi dieci anni di almeno due progetti compatibili per progettazione e costruzione, il valore di ciascuno dei quali non sia inferiore a 500 milioni di dollari; - l’esecuzione negli ultimi dieci anni di almeno due progetti comparabili nei quali siano stati gettati più di 2.000 mc di calcestruzzo al giorno per un totale di almeno mezzo milione di mc per ogni progetto. Questa produzione di calcestruzzo qualifica le imprese che abbiano eseguito negli ultimi anni una diga in calcestruzzo di volume almeno equivalente a quello segnalato dalla committenza; - che il costruttore delle porte abbia capacità, tecnologia ed esperienza per costruire le paratoie delle chiuse e che possa dimostrare di aver progettato e costruito strutture meccaniche comparabili in almeno tre progetti, per un peso minimo di 5.000 tonnellate di strutture metalliche per ogni progetto. Alla faccia della prequalifica! È chiaro che a questo livello la scrematura dei possibili concorrenti è estremamente selettiva, per-
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ché imprese o gruppi di imprese che abbiano capacità tecniche ed economiche per ottemperare a tutte le richieste del Cliente sono davvero poche. Inoltre solo se questa prima fase viene superata con successo, si può passare ad una seconda fase di valutazione che avviene a punteggio secondo una scaletta predefinita, ma è chiaro che a questo punto i concorrenti sono già ridotti sulla punta delle dita di una mano sola, e la successiva scaletta, con punteggio massimo 1.000 punti, potrebbe sembrare un esercizio inutile. Comunque vediamola: - i concorrenti devono avere una capacità di bond addizionali fino a un miliardo di dollari, e questo vale 50 punti addizionali; - un maggior fatturato annuale di costruzione fino a 20 miliardi di dollari, e qui ci sono 100 punti in ballo; - una maggiore esperienza nella costruzione fino a 20 progetti, e qui c’è un massimo di 100 punti; - un fatturato annuale per progettazione fino a un miliardo di dollari, 50 punti assegnati; - un maggior numero di progetti “design and build” , altri 150 punti; - una maggiore esperienza nei getti di calcestruzzo, 100 punti; - un sistema di gestione e qualità del progettista, 50 punti;
3. Tutti pronti a ricevere le offerte dei gruppi prequalificati.
4. Il contenitore trasparente con le offerte economiche e la stima della Committente.
5. Il tavolo della commissione giudicatrice durante l’apertura delle buste.
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un sistema di gestione e qualità delle imprese, 50 punti; un record per la sicurezza nei cantieri, 25 punti; un’esperienza a livello internazionale, 50 punti; precedenti esperienze comuni tra impresa leader e progettista, 75 punti; - maggiore esperienza in strutture meccaniche comparabili, 100 punti. Il cliente ha completa discrezionalità nell’accettare o rifiutare le richieste e tra l’altro non viene nemmeno indicato il numero massimo di soggetti prequalificati.
I quattro gatti sopravvissuti I risultati della prequalifica sono stupefacenti, in confronto a quanto avviene normalmente in procedure analoghe. Sono solo quattro i grandi gruppi prequalificati che possono accedere alla gara d’appalto: oltre ad Impregilo e Sacyr , che si sono associate anche con il gruppo belga Jan de Nul e con il socio locale panamense Cusa, affiancati da un consorzio di progettisti capitanato da Montgomery Watson Harza che comprende anche l’italiano Sembenelli Consultant, gli altri tre sopravvissuti alle forche caudine sono:
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- un consorzio denominato Canal, eminentemente spagnolo formato dalle imprese ACS, Acciona ed FCC, tutte spagnole, oltre alla tedesca Hochtief; - un gruppo capitanato dalla Bechtel americana, la piÚ grossa impresa di costruzioni del mondo, accompagnato dalle giapponesi Taisei e Mitsubishi, quest’ultima per la parte elettromeccanica; - un consorzio denominato Atlantico-Pacifico capitanato dalle imprese francesi Bouygues e Vinci e dalla tedesca BilfingerBerger insieme ad un gruppo di quattro imprese brasiliane. Solamente questi quattro gruppi al termine della prequalifica risultano ammessi alla gara. E non poteva essere altrimenti viste le stringenti richieste del Cliente per poter contare, per un lavoro che si immagina sicuramente intorno ai 4 miliardi di dollari, sulle imprese e sui consorzi piÚ validi in campo mondiale.
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di gara si capisce perfettamente che già in questa fase deve essere sviluppato dal gruppo di imprese e dal gruppo di progettazione un design di tale dettaglio da poter quotare senza errori le opere oggetto del contratto e dimostrare al Cliente il rispetto delle sue richieste. Le condizioni principali per la gara sono la validità dell’offerta fino a sei mesi dopo la data di presentazione, una cauzione provvisoria di 50 milioni di dollari valida fino a sei mesi più due dopo la presentazione dell’offerta e, per quanto riguarda la base dei prezzi, si intendono valide le condizioni vigenti nel mercato internazionale 28 giorni prima della data di presentazione. La quotazione dell’offerta è esclusivamente in dollari USA e la lingua per l’offerta è l’inglese, anche se si tratta di una nazione in cui la lingua ufficiale è lo spagnolo.
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9 marzo 2009 I documenti di gara vengono emessi e consegnati ai quattro raggruppamenti nella loro versione iniziale il 21 dicembre 2007, con data di presentazione delle offerte inizialmente prevista per il 22 agosto 2008, ma, a causa di notevoli addendum nell’emissione dei disegni e delle specifiche tecniche, la gara viene man mano spostata fino al 3 marzo 2009. Durante questo periodo si tengono numerose riunioni con il cliente sia collettive che singole. Il gruppo Sacyr-Impregilo costituisce a questo punto un forte gruppo di analisti in diverse località di tutto il mondo e coordina il gruppo di progettazione da Milano e Chicago. Il progetto a base di gara è stato consegnato dal cliente ai concorrenti solamente a livello preliminare, ma comprende comunque tutte le indagini e gli studi effettuati durate cinquant’anni dall’autorità del canale attraverso un buon numero di consulenti internazionali, fin dai tempi in cui si era cominciato a pensare ad un ampliamento, e cioè per la prima volta nel 1939 in vista della Seconda Guerra Mondiale, e successivamente nel 1999 nel momento in cui il canale è passato sotto la assoluta autorità panamense. Lo schema contrattuale scelto dal cliente è quello a forfait con appalto integrato di progettazione e costruzione. Si prevede quindi che l’Appaltatore parta dalla progettazione preliminare consegnata dal Cliente e che la completi sotto la propria responsabilità, ma in modo perfettamente adeguato alle specifiche contrattuali. Comunque dalle richieste espresse nei documenti
6. L’apertura delle buste con le offerte economiche.
7. Dettaglio del risultato del maxi appalto per il terzo set di chiuse sul Canale di Panama.
La consegna delle offerte in genere si esaurisce con il ricevimento, da parte della Segreteria o di un funzionario addetto, di tutti i plichi che contengono la documentazione di gara e l’offerta economica. Per il terzo set di chiuse, l’Autorità del Canale invece fa le cose veramente in grande, una semplice anteprima della fastosa cerimonia che si compirà qualche mese più tardi all’atto dell’aggiudicazione. Prima di tutto il luogo, una enorme sala, quasi un teatro presso la sede dell’Autority. In secondo luogo, la ripresa diretta televisiva, a sottolineare la grande importanza che questo momento riveste per tutto il paese. Insomma, una scenografia tipicamente sudamericana, manca solo l’orchestra per l’accompagnamento musicale. Certo le offerte non sono contenute in una busta o in uno scatolone, ma sono una vagonata di documenti che vengono portati a fatica nel salone delle feste. Una prima sorpresa arriva quando si capisce che le offerte sono tre e non quattro come i gruppi prequalificati: infatti il gruppo a maggioranza francese si è ritirato dalla gara. Dal mucchio dei documenti viene salvata una sola busta contenente l’offerta economica. Le buste, sigillate, vengono introdotte ciascuna in un contenitore trasparente, a sua volta sigillato. Alle tre buste se ne aggiunge una quarta contenente la stima del Committente, stima che non deve essere superata dagli offerenti pena la loro esclusione. Le quattro scatole trasparenti vengono consegnate ad un gruppo di poliziotti in alta uniforme, caricate su un furgone porta valori blin-
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dato, scortato da centauri motorizzati anch’essi in pompa magna. La comitiva a sirene spiegate si dirige verso la Central Bank of Panama, nel cui caveau le quattro scatole vengono opportunamente rinchiuse. Il tutto con ampia copertura televisiva. Nel teatro rimangono le buste contenenti la documentazione tecnica, ed in particolare: - la proposta tecnica complessiva; - il piano di esecuzione della commessa; - il personale preposto nelle posizioni chiave; - il piano di progettazione; - il piano di costruzione; - i documenti amministrativi. A questo punto il pallino passa agli ingegneri dell’Autorità per il Canale ed ai loro consulenti. Sembra che il team per la valutazione delle offerte tecniche sia molto numeroso, una cinquantina di ingegneri. L’esame dura quattro mesi esatti, ed il 9 luglio 2009 viene convocata una seconda riunione pubblica, alla presenza del Presidente della Repubblica e sotto l’occhio attento delle telecamere nazionali .
9 luglio 2009 Questa volta la sceneggiatura prevede il gran finale, e quindi vengono messi in atto tutti quegli accorgimenti scenici che 7
fanno di una semplice apertura di buste un avvenimento nazional-popolare. L’aggiudicazione del contratto è prevista secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, con un sistema di valutazione basato su un massimo di 10.000 punti assegnabili, di cui 5.500 discrezionali basati sulla valutazione della documentazione tecnica, ed i restanti 4.500 punti basati sia sul prezzo base offerto (4.000 punti) sia sul valore delle somme provvisionali (500 punti). Prima fase: vengono proclamati i punteggi tecnici calcolati dalla Commissione aggiudicatrice. Sacyr/Impregilo è in testa, con 4.088 punti, seguito dal gruppo spagnolo Canal con 3.973 e dal gruppo nippoamericano guidato da Bechtel con 3.799. A questo punto le buste sigillate con gli importi economici e la valutazione del Committente inizia il viaggio di ritorno dalla Central Bank of Panama al teatro delle operazioni, sempre con grande dovizia di scorte armate e rullo di tamburi per annunciare il verdetto lungamente atteso dal popolo panamense, che qualche anno prima aveva votato favorevolmente in un referendum popolare per il raddoppio del canale. L’apertura delle buste avviene nell’ordine riportato nella tabella e provoca pochissima suspence perché le differenze sono talmente eclatanti da rendere praticamente superflue le addizioni
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tra i punteggi parziali. Infatti la Bechtel offre 4.586 milioni di dollari, il gruppo spagnolo Canal addirittura 5.981 milioni e il consorzio Sacyr-Impregilo solamente 3.119 milioni di dollari, praticamente la metà dell’offerta più alta. Sacyr e Impregilo erano già in testa come punteggio tecnico, e non vi è dubbio che con l’abbinamento agli importi economici la concorrenza venga ulteriormente distanziata. Manca solo l’apertura dell’importo stimato dal Committente, infatti bisogna che sia verificata anche l’ultima clausola delle condizioni di offerta. Non ci sono sorprese: il Cliente stima 3.481 milioni di dollari, l’offerta vincente è minore e quindi il contratto viene ufficialmente assegnato a Sacyr-Impregilo, che per l’occasione hanno costituito un consorzio chiamato GUPC, (grupo unido por el Canal). Non si percepiva un grande tripudio in sala: non gioivano i perdenti né tanto meno gli aggiudicatari, che vincono con un importo inferiore di 300 milioni di dollari alla stima già stringata
del Cliente ed inoltre con una differenza abissale rispetto agli altri concorrenti. Raramente capitano, nei grandi appalti internazionali, differenze così vistose. Gioisce il Committente e l’intera comunità di Panama rappresentata nell’avvenimento da personaggi al massimo livello: la gara non solo viene aggiudicata ad un validissimo gruppo europeo, con la capogruppo che parla la stessa lingua, ma anche con un risparmio del 10% su di un budget certo non generoso. Per la storia e per la cronaca, diamo comunque i valori finali della gara: 1° Sacyr Impregilo 2° gruppo Bechtel 3° gruppo Canal
8.088 punti 6.769 punti 6.559 punti
A questo punto il raggruppamento vincitore comincia a sudare, e continuerà a farlo per i successivi cinque anni!
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li impianti montati nei cantieri di Panama sono sostanzialmente di due tipi, quelli di frantumazione e quelli di betonaggio. Il primo è propedeutico al secondo, in quanto lo nutre. Sono doppi, una coppia per il cantiere del Pacifico ed una quasi uguale per l’Atlantico. Nel processo che li vede protagonisti, all’inizio entra la nuda roccia frantumata dalle esplosioni, alla fine ne esce il calcestruzzo. Il calcestruzzo lo conoscono tutti, molti ne parlano impropriamente chiamandolo solo cemento. In realtà è un impasto con una ricetta ben precisa, che può variare di poco in funzione di specifiche necessità. Non me ne vogliano i tecnici, però è giusto dare un minimo di informazione di base a chi di cemento e di ferro sa molto poco. Sostanzialmente gli ingredienti della ricetta sono sempre gli stessi, infatti per 1 metro cubo di calcestruzzo servono mediamente: - 1400 kg di ghiaia di diversa pezzatura, in genere tra 5 e 30 mm; - 600 kg di sabbia fina, tra 0 e 5 mm; - 300 kg di cemento; 1
1. Un Caterpillar 777 è pronto a scaricare 70 ton di roccia nel frantoio primario.
2, 3. I frantoi primari Cedarapids LJ - TS forniti da Terex.
- 150 kg, o litri, di acqua; - qualche additivo a piacere, che in genere non supera i 30 kg. Per convenzione, si considera che il peso di 1 metro cubo sia pari a 2.500 kg. Detto questo, mettiamo subito in chiaro i numeri che caratterizzano i lavori del canale di Panama, sia per coloro che hanno una vasta esperienza sia per i profani dei getti, numeri che fanno veramente paura. Premesso che il fabbisogno di calcestruzzo è quasi identico per le chiuse sull’Atlantico che quelle sul Pacifico (la differenza sostanziale tra i due cantieri sta nella reperibilità del materiale da frantumazione, che è limitata al solo basalto presente nella zona delle chiuse lato Pacifico e che quindi deve garantire il necessario fabbisogno per tutta l’opera) diamo finalmente i numeri complessivi: - calcestruzzi da produrre: 5 milioni e 100 mila metri cubi; - inerti da trattare: 12 milioni e 900 mila tonnellate, di cui 7 milioni e 900 mila provenienti dagli scavi necessari per le chiuse e 5.000.000 dagli scavi effettuati dagli americani nel
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1939. Se non basteranno, sarà necessario aprire una cava di prestito prima del termine dei lavori. Vediamo ora in dettaglio il processo tecnologico che serve a produrre i 5 milioni di metri cubi di ottimo calcestruzzo.
La frantumazione primaria Il basalto non è poi tanto male per produrre inerti per calcestruzzi ma ha sicuramente un paio di gravi difetti per poter soddisfare norme decisamente restrittive in merito ai coefficienti di forma ed ai moduli di finezza delle sabbie. Infatti il basalto è sporco e con la frantumazione produce un sacco di inerte finissimo che dobbiamo forzatamente eliminare e la cosa non è facile. Il basalto viene perforato e fatto brillare negli scavi del Pacifico con ritmi di produzione davvero importanti: la roccia frantumata che ne esce viene caricata con grossi escavatori sui dumper fuoristrada della Caterpillar contrassegnati dal numero 777. Dumper che portano a spasso su qualsiasi terreno e con notevoli pendenze 100 tonnellate di materiale dirigendosi verso l’im-
pianto di frantumazione, e salendo una rampa che li porta alla bocca dei frantoi. L’impianto parte con tre frantoi primari a mascelle con un’apertura della bocca da 1.500 mm e con una potenzialità fino a 3.000 tonnellate/ora: da questa prima frantumazione escono dei grossi sassi con una pezzatura media da 50 fino a 350 mm. Subito dopo il passaggio dai frantoi primari, uno dei difetti riscontrati all’inizio della produzione viene già corretto: infatti il frantumato viene passato attraverso un primo impianto di lavaggio per evitare fastidiosi blocchi di produzione nei processi successivi. Sono stati montati dei vagli con reti di 10 mm : ciò che passa attraverso le maglie viene lavato e inviato ad un impianto di trattamento. Il fango se ne va in enormi vasche di decantazione, l’acqua ritorna ai vagli per essere nuovamente utilizzata e gli inerti lavati proseguono il loro percorso nell’ impianto, con il grande vantaggio che tutto il processo di frantumazione successivo sarà quasi libero da materiali fini e quindi molto più pulito, anche perché si sarà liberato del limo che spesso blocca i successivi vagli 4
4. I cumuli dopo la frantumazione primaria. Tutto l’impianto è fornito da ICM.
5. L’enorme tendone che copre i cumuli di sabbia a monte dell’impianto di betonaggio.
6. L’intreccio disordinato dei nastri evidenzia al contrario un progetto estremamente rigoroso.
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ed alimentatori. I tre frantoi scaricano il loro prodotto su tre enormi cumuli da 18.000 mc con ripresa automatica del materiale sottocumulo: vengono presi in carico da due grossi nastri sotterranei che alimentano due linee di produzione parallele ed indipendenti. Prima di passare alla frantumazione secondaria quattro grossi vagli con reti da 38 e 75 mm dividono tutto il frantumato in tre grosse classi: lo 0-38 mm, il 38-75 mm ed il supero del 75 mm, materiali che hanno destini diversi.
La frantumazione secondaria Il 38-75 mm viene indirizzato in un cumulo a parte e sarà utilizzato per i dreni, cioè per i materiali che verranno posati a tergo dei muri in calcestruzzo delle conche e delle chiuse (probabilmente ne serviranno circa 400.000 tonnellate) prima del reinterro definitivo. Il materiale con pezzatura maggiore di 75 mm viene indirizzato nei quattro frantoi secondari a cono da 350 kw ciascuno, i Cone Crusher dell’americana Cedarapids. I frantoi secondari sono in
7. Le frantumazioni secondarie e terziarie evidenziano le due linee di produzione.
8, 9. Il carico, lo scarico ed il trasporto su chiatte che non impegnano le chiuse.
grado di trattare 500 tonnellate all’ora di inerti cadauno, riducendone la pezzatura da 350 a 75 mm. Ai dreni sono destinati circa il 15% degli inerti mentre il rimanente 85% viene suddiviso praticamente a metà tra i fabbisogni dell’Atlantico e quelli del Pacifico. Con un gioco di nastri e di vagli l’impianto garantisce la possibilità di suddividere secondo le necessità. Ma resta fissata la suddivisione principale, quindi il supero dei 75 mm passa attraverso i frantoi secondari mentre il 50% dello 0-75 mm viene indirizzato verso un enorme cumulo destinato all’Atlantico, cumulo che rilancia il materiale verso una tramoggia di carico per i dumpers che a loro volta lo trasportano ad una non troppo vicina banchina portuale (che si trova già a monte delle chiuse e quindi alla quota del Lago Gatùn). Qui viene caricato su enormi chiatte che lo trasportano all’impianto di frantumazione del cantiere Atlantico, impianto che, salvo per la frantumazione primaria che non c’è, è identico a quello del Pacifico.
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Il trasporto degli inerti dal Pacifico all’Atlantico MOPC, il ramo d’Azienda del Gruppo Movendo dedicato a questo lavoro, ha vinto la gara indetta da GUPC per il trasporto giornaliero degli inerti dalla cava lato Pacifico al cantiere lato Atlantico.Il progetto logistico e strutturale è stato coordinato da Alberto ALBERT, ingegnere navale in Genova. GUPC ha definito progettualmente la pianificazione logistica del movimento degli inerti dal lato Pacifico al lato Atlantico utilizzando la via d’acqua per evitare il notevolissimo impatto ambientale che avrebbe procurato una teoria senza soluzione di continuità di autocarri lungo il tragitto terrestre. I punti salienti della pianificazione progettuale sono stati i seguenti: - Trasporto giornaliero di 8000 t di inerti. - Carico degli inerti vicino alla chiusa lato Pacifico di Pedro Miguel tramite convogliatori di terra su un pontone adeguatamente attrezzato per scaricare a terra con macchine operatrici convenzionali.
- Trasporto degli inerti indipendentemente dai vincoli operativi del corridoio di transito commerciale. - Scarico degli inerti sul lago di Gatun vicino alle chiuse lato Atlantico attraccando ad un pontile appositamente costruito per il convogliamento agli impianti di fabbricazione del calcestruzzo. Per effettuare un “round trip” giornaliero è stato necessario prevedere ed approntare due imbarcazioni complete di rimorchiatore e di tutti gli accessori per la movimentazione in coperta, ed in particolare tramite l’utilizzo di due pontoni aventi le seguenti dimensioni: - Lunghezza 91.5 m - Larghezza 27.5 m - Altezza 5.5 m - Portata del ponte 15 t/m2 9
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La frantumazione terziaria La pezzatura rimasta, lo 0-38 mm e lo 0-75 mm che non abbiamo inviato al cantiere Atlantico, alimentano due linee parallele che vanno alla frantumazione terziaria, dove transita circa il 60% di tutto il frantumato. Dalla frantumazione terziaria escono finalmente le quattro classi di inerti per il nostro impianto di betonaggio: - lo 0-5 mm che va all’impianto di trattamento delle sabbie; - il 5-19 mm; - il 19-38 mm; - ed il 38-75 mm; che vengono destinati ai rispettivi cumuli di inerti per il calcestruzzo. Nella frantumazione terziaria sono presenti dei frantoi a cono simili ai secondari e dei VSI (Vertical Shaft Impactor) da noi più comunemente conosciuti come correttori di forma. A cosa servono? A produrre sabbia e smussare gli angoli. Sono provvisti di un rotore centrale ad asse verticale dove arriva
10, 11. Immagini panoramiche dell’impianto di frantumazione, fornito ed assemblato da ICM.
12. Il nastro che alimenta lo 0-75 mm destinato al cantiere Atlantico.
l’inerte che viene lanciato, meglio sparato, per forza centrifuga contro le pareti della macchina. Per un più formale dettaglio, queste sono macchine che hanno motori da 400 kw, portate da 300 tonnellate/ora e pareti rivestite di piccoli incudini in manganese. Qui gli inerti perdono spigolosità ed acquistano una rotondità di forma. Questo è un bene per rispettare la normativa sui coefficienti di forma, ma capita male per il finissimo che viene prodotto, circa il 18% del totale. Se si aggiunge il 5% di finissimo naturale già presente si ottiene un 23% di finissimi che proprio non vogliamo. Non resta che ritrattarli dopo la frantumazione terziaria ed inviarli alle vasche di decantazione. Comunque i vagli, gli alimentatori ed i rispettivi ricircoli possono in questa fase quasi finale variare le diverse percentuali di aggregati in funzione delle richieste degli impianti di betonaggio, richieste che spaziano tra i calcestruzzi cosiddetti di massa per i grandi spessori dei muri delle conche, che prediligono il 38-75 mm, ed i calcestruzzi più pregiati, i cosiddetti cal-
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cestruzzi marini a contatto con l’acqua, che hanno una preponderanza di 19-38 mm. In questo punto dell’impianto c’è la netta separazione tra la produzione ed il consumo: qui entra in funzione il grande direttore d’orchestra che sta nella cabina di comando, come se fosse alla direzione un immenso parco ferroviario, dove manovrando gli scambi (tramogge, nastri ed alimentatori) smista i vagoni di un treno infinito sui diversi binari, dove sono composti i treni in partenza per l’impianto di betonaggio. In pratica il direttore d’orchestra riceve dal betonaggio la partitura settimanale e regola la produzione e lo smistamento dei treni, al fine di mantenere sempre pieni i diversi cumuli di inerti, le cui quantità a stock vengono costantemente pesate con bilance a lettura continua.
Li vogliamo freddi Abbiamo tralasciato le sabbie che hanno un destino differente. Ma dobbiamo terminare prima con le tre pezzature di inerti che dopo la separazione vengono nuovamente prelevati con un unico nastro, secondo percentuali chiaramente comandate dal direttore d’orchestra. Questo nastro porta ad un fin troppo famoso nastro lento di grossa dimensione, lun-
13. I nastri di trasporto degli inerti raffreddati a 12°.
14. Particolari degli impianti di raffreddamento e produzione ghiaccio, forniti da NR Cooling Services.
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go 220 metri che viaggia a soli 25 cm al secondo, cioè circa 15 metri al minuto. Tenendo conto della sua lunghezza è evidente che i nostri inerti passeggiano sul nastro per circa 15 minuti. Cosa succede su questo nastro che è completamente inscatolato in una struttura chiusa? L’inerte viene continuamente spruzzato con acqua fredda la cui temperatura è stata ridotta a 4 gradi in un impianto di raffreddamento. Gli inerti entrano a 30-32 gradi ed escono rigorosamente a 7 gradi: questo trattamento viene pomposamente chiamato “wet belt cooling system”. Sul nastro ci sono sempre 150-200 mc di materiale in ogni istante, materiale che al termine del viaggio viene rivagliato nelle tre classi ed inviato direttamente all’impianto di betonaggio con tre nastri diversi contenuti in una struttura chiaramente chiusa per mantenere la temperatura a 7 gradi. Qui vengono depositati in tre tramogge da 100 mc ciascuna, pronti per l’ultimo viaggio nella turbo betoniera dove l’inerte con sabbia, ghiaccio (sì!) cemento ed additivi di produzione Mapei perde la sua personalità distinta e viene elevato al rango di calcestruzzo.
Ma le sabbie? Le abbiamo lasciate nella frantumazione terziaria, dove arrivano a due gruppi di idroseparatori a coni con sfioro del finissimo in modo da togliercelo dai piedi ancora una volta, cioè subiscono un altro trattamento defillerizzante dove i finissimi che rimangono nel nastro 0-5 mm sono inferiori al 7%. Questa sabbia purificata viene a sua volta suddivisa in due classi: lo 0-1,5 mm e lo 1.5-5 mm, quindi segue la stessa logica degli inerti. Ma se la sabbia grossa è troppa rispetto alla richiesta, allora la facciamo passare attraverso due mulini a barre che provvedono ad una ulteriore frantumazione in modo da ottenere la corretta percentuale tra la sabbia fine e la sabbia grossa (in genere 60% di 01,5 mm e 40% di 1,5-5 mm). Ricordiamo che il fabbisogno della sabbia non è poco, vale circa il 35-38% del totale degli inerti. La sabbia si incammina verso il gruppo di trattamento delle sabbie (otto cicloni e quattro vagli per il gruppo primario, un vaglio con due cicloni per il gruppo terziario che riceve solo lo 0-1,5 mm). Questi cicloni funzionano in pratica da asciugatori. L’acqua con i finissimi va nelle fil14
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tropresse e le mattonelle che ne escono sono in pratica formate solo da limo finissimo: da qui le mattonelle vengono inviate in discarica mentre l’acqua viene nuovamente utilizzata in circuito chiuso: nel processo nulla si spreca! Questo trattamento estremo, questa lotta continua per eliminare prima lo sporco e poi i limi finissimi è conseguenza di stringenti specifiche per la composizione e la qualità dei calcestruzzi ma anche per una esasperata ed in questo caso superflua guerra ad un inquinamento che non esiste. Le mattonelle sono fatte di materiale frantumato presente in natura e di acqua pulita con cui lo laviamo, non è certo un materiale inquinante da inviare in discarica! Ma torniamo alle nostre due classi 0-1,5 e 1,5-5 mm. Le sabbie tramite due nastri salgono verso un distributore orizzontale, una specie di navetta sopraelevata che si sposta su binari lunghi 150 metri in modo da poter realizzare 6 cumuli diversi, 3 per ogni classe. Perché? Perché qui si avvia automaticamente un drenaggio del tutto naturale che riduce l’umidità delle sabbie dal 15-20% iniziale ad un 7% finale. Le sabbie che verranno inviate all’impianto di betonaggio saranno quindi prelevate dal cu-
15. Impianto di betonaggio lato Pacifico, fornito ed assemblato da Simem.
16. Panoramica dell’impianto gemello montato sul lato Atlantico.
mulo più vecchio e quindi più secco. A questo punto però le sabbie ce le ritroviamo calde, e vanno raffreddate. Entrano in due grossi scambiatori di calore dove circola aria raffreddata ad un solo grado. Le sabbie, che entrano a 30 gradi, escono ad 11 gradi, vengono inviate finalmente alle due turbobetoniere dell’impianto dove incontrano gli inerti, il cemento e l’acqua. Le turbobetoniere possono produrre circa 4,5 mc di calcestruzzo ogni 50 secondi e quindi in teoria oltre 500 mc/ora. Diciamo che una media ragionevole nelle 16 ore di lavoro può attestarsi intorno ai 370 mc/ora quindi in totale 6.000 mc per ogni giorno lavorativo. Ora che abbiamo visto la destinazione e la lavorazione di tutti gli inerti cerchiamo di fare un bilancio termico: - gli inerti oltre i 5 mm arrivano a 7-8 gradi; - le sabbie sotto i 5 mm arrivano a 10-11 gradi; - il cemento purtroppo arriva a 60 gradi ma si tratta generalmente di 300 kg sui 2.000 kg di impasto e quindi solo il 15%. La temperatura di 60 gradi è quella di riferimento nei calcoli, ma la mattina presto e la sera tardi è sicuramente molto meno.
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L’acqua d’impasto, diciamo 150-180 litri per ogni mc è sicuramente a 4 gradi perché proviene da vasconi raffreddati alimentati da un impianto dedicato, e quando le temperature ambienti sono più gravose verrà parzialmente sostituita da ghiaccio prodotto in impianti con capacità di 12 tonnellate/ora (200 kg di ghiaccio in scaglie al minuto, hai voglia di cocktail per l’happy hour!). L’impasto prodotto dalle turbobetoniere ha quindi una temperatura massima di 14 gradi ed è a questa temperatura che viene caricato sugli agitatori Maxon che, come disciplinate formichine, si muovono veloci in fila indiana verso le attrezzature di getto del calcestruzzo. Sembra terminata qui la nostra storia ma c’è un capitoletto finale che riguarda la durabilità dei calcestruzzi: la Committente vuole essere sicura che le strutture del canale abbiano una durata minima di 100 anni, richiesta più che legittima visto anche il perfetto stato di salute delle strutture delle conche realizzate nel 1914 dagli americani. Considerata la correlazione diretta
tra permeabilità e durabilità, è ovvio che oggi il calcestruzzo debba quindi presentarsi come assolutamente impermeabile, caratteristica che può essere misurata attraverso semplici test di tipo elettrico. La miscela iniziale non presentava queste caratteristiche, data anche la tipologia degli inerti e del cemento che troviamo a Panama. Si è quindi dovuto aggiungere al nostro impasto una trentina di kg di silica fume, o fumo di silice, la polvere magica che risolve tutti i problemi. Che cos’è? È un sottoprodotto dell’industria della produzione al forno elettrico delle leghe ferro-silicio . Il diametro delle sferette di queste microsilici è 100 volte inferiore al diametro delle sferette che costituiscono il cemento, e quindi il fumo di silice si comporta da inerte finissimo andando a riempire i vuoti lasciati dai granuli di cemento. Ecco come la nostra polvere nera ci aiuta a produrre calcestruzzi con altissima resistenza ma anche con elevata durabilità, data la drastica diminuzione della permeabilità.
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L’insostenibile pesantezza degli scavi SC Sembenelli Consulting
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ono numeri che fanno impressione: 25.800.000 mc di scavi sul lato Atlantico e 17.500.000 mc su quello Pacifico. Sono numeri che si riscontrano, insieme ai 5.200.000 di mc di calcestruzzo da gettare, solo in pochissime grandi opere realizzate nel mondo. E sono numeri che devono essere spiegati per capire quanto sia determinante ai fini dell’intera opera una corretta progettazione degli scavi. Cerchiamo di semplificare al massimo la comprensione: oggi il complesso di opere noto come il terzo gruppo di chiuse del Canale di Panama (in funzione senza interruzione alcuna da quasi cento anni) consiste di quattro sezioni fondamentali geograficamente divise. Osserviamo una carta geografica: partendo da nord verso sud: in alto vediamo le chiuse di Gatùn sull’Atlantico, poi un lago artificiale ad una quota di circa 27 mt s.l.m. (realizzato costruendo una diga sulla foce del temibile fiume Chagres) quindi un vero e proprio canale ristretto di circa 13 km noto come Culebra cut tra il lago e l’Oceano Pacifico, scavato attraverso le colline che costituiscono i ri-
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lievi più bassi del Continental divide, ovvero i monti che costituiscono lo spartiacque tra Atlantico e Pacifico. Ed infine vediamo più a sud le chiuse per ridiscendere da quota +27 al livello del mare, questa volta l’Oceano Pacifico. Contrariamente a Gatùn dove le tre conche attuali per superare ciascuna un dislivello di 9 mt sono consecutive, sul lato Pacifico le chiuse presentano un primo salto in località Pedro Miguel e due salti a Miraflores, e sono separate da un piccolo lago a quota +18 rispetto all’oceano, chiamato anch’esso Lago di Miraflores. Le nuove chiuse in corso di realizzazione in questo grandioso scenario sono ubicate nelle immediate vicinanze di quelle vecchie, a circa 800 metri di distanza. Entrambe, sempre allo scopo di facilitare la comprensione al nostro lettore, sono composte da tre conche che suddividono il dislivello tra gli oceani ed il lago in tre salti uguali di circa 9 mt ciascuno. Le conche hanno dimen-
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1. Planimetria dello stato di Panama, con evidenza dell’imbocco a Colon, del lago Gatun e del canale da Gamboa al Pacifico.
2. Il progetto in sintesi, le 3 conche ed i 3 water saving basins.
3. In evidenza il flusso bidirezionale dell’acqua dai secondary culverts ai WSB.
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sioni molto maggiori rispetto alle vecchie, sono infatti larghe 55 metri, lunghe 427 metri e profonde 18 in modo da permettere il transito di navi di stazza ben superiori a quelle attuali. Tanto per fare un paragone immediato, le dimensioni attuali permettono il passaggio di navi con un carico di circa 1.400 container standard da 12 metri, mentre quelle in costruzione ospiteranno navi tipo “post panamax” con un carico di 12.000 container e dimensioni fino a 360 metri di lunghezza e 49 metri di larghezza. Insomma dei veri e propri mostri marini. La differenza sostanziale tra le vecchie e le nuove chiuse non si limita però alle sole dimensioni. Per capirne la ragione dobbiamo ricordare che la movimentazione verticale delle nostre navi non richiede alcuna forza motrice ma sfrutta solo la gravità uni-
versale che, ringraziando Dio, è assolutamente gratuita e non sciopera mai. La gravità, abbinata al principio dei vasi comunicanti che recita la semplice constatazione che in due contenitori qualsiasi messi in comunicazione il livello del liquido si pareggia (principio dei vasi comunicanti), muove tutto il sistema. Quindi nessun pompaggio. Questo miracolo ha però un risvolto negativo: l’acqua posta al piano superiore cioè dentro il lago Gatùn, si svuota di qualche migliaio di mc d’acqua dolce ogni volta che una nave scende verso gli oceani o sale verso il lago. È esattamente ciò che accade attualmente: anche qui grazie al buon Dio della pioggia, le precipitazioni annuali su Panama sono talmente abbondanti da sopperire in massima parte allo stillicidio di acqua dolce che
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avviene per ogni concata e lasciare praticamente invariato il volume d’acqua dolce necessario per il fabbisogno umano della città di Panama. Facciamo un conto estremamente semplice: le nuove conche sono larghe 55 metri lunghe 427 e profonde 18, contengono quindi circa 400.000 mc d’acqua; quando una nave scende di 9 metri trascina a valle 230.000 mc di acqua dolce che si perderebbe nell’oceano. Poiché questo accadrebbe decine di volte al giorno tra Atlantico e Pacifico le cifre in ballo sono tali da preoccupare. Quindi ecco la seconda grande differenza tra vecchie e nuove chiuse: ogni conca dispone sul lato destro entrando dall’oceano, di 6 bacini per il riutilizzo dell’acqua dolce e quindi in totale 18 bacini per l’Atlantico ed altrettanti per il Pacifico, che vengono anch’essi riempiti e svuotati durante ogni ciclo semplicemente sfruttando la gravità senza utilizzo di pompe. Non salvano al cento per cento l’acqua dolce, solo il 65%, percentuale che costituisce comunque un buon traguardo. La presenza dei bacini di risparmio dell’acqua comporta quindi lo scavo e la costruzione di condutture che trasferiscono l’acqua tra i 9 bacini e le 3 conche complicando sostanzialmente il progetto più elementare delle vecchie chiuse. Un’altra sostanziale differenza: cambia il sistema di apertura e chiusura delle conche. Mentre nel vecchio canale le porte tra le conche erano di tipo vinciano, cioè le porte sono formate da due battenti che ruotano su cerniere laterali, le nuove chiuse hanno paratoie che scorrono perpendicolarmente alle chiuse ed hanno dimensioni medie pari a 55 metri di lunghezza, 10 di larghezza e 30-40 metri in altezza e pesano la bellezza di circa 4.000 tonnellate ciascuna. Per ogni salto le paratoie sono doppie per ridondanza ( se si guasta una c’è sempre quella vicina che garantisce il funzionamen-
to del sistema). Ne consegue che le paratoie hanno bisogno di grossi spazi laterali dove alloggiare durante l’apertura e questo complica maggiormente il profilo degli scavi. Abbiamo esaurito l’esame delle differenze tra le vecchie e le nuove conche. Adesso entriamo nel vivo del progetto degli scavi, tenendo presente che come ogni tipologia di appalto “design and build” progetta e costruisci, l’onere della progettazione poggia tutto sulle spalle del consorzio vincitore che a sua volta ha trasferito l’onere per il progetto degli scavi allo studio SC Sembenelli Consulting Srl di Milano, un’autorità mondiale nel campo geologico e geotecnico.
Geologia e geotecnica A fronte di una gara internazionale di appalto di questa portata, l’autorità del Canale di Panama ha giustamente richiesto proposte basate su una corretta integrazione tra progetto e costruzione. A disposizione di geologi e geotecnici vi era una notevole messe di dati idrogeologici e sismici nonché una vasta serie di sondaggi sia recenti che risalenti al 1939, anno in cui gli americani scavarono due enormi trincee per la costruzione di una terza serie di conche al fine di poter spostare velocemente la flotta militare dal Pacifico all’Atlantico. Il bombardamento di Pearl Harbour alla fine del ’41 fece abortire il progetto: di flotte ne ser-
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4. Inserimento per posizione e stratigrafia dei sondaggi nel modello.
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5. Come si presentava il canale costruito nel 1939 e poi abbandonato dagli americani (lato Atlantico).
6. Sezione dello scavo a Gatùn, con evidenza dell’Atlantic Muck.
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vivano due, una verso l’Europa e l’altra verso il Giappone e quindi niente più allargamento delle chiuse. Abbiamo dimenticato una differenza sostanziale tra i due lati Pacifico ed Atlantico, cioè il diverso riutilizzo dei vecchi scavi: la trincea scavata nel 1939 in Atlantico viene riutilizzata, mentre quella lato Pacifico deve essere parzialmente riempita, infatti la sua posizione coincide con quella dei water saving basins. Grazie a questi scavi la geologia (le rocce ed i terreni) dei due siti era abbastanza nota ai progettisti salvo per qualche incertezza dovuta alla presenza di una notevole quantità di mangrovie sul lato Atlantico. La topografia a disposizione dei progettisti ha permesso di inserire sul rilievo di prima pianta il progetto tridimensionale delle nuove conche; questo è il primo indispensabile passo per ottenere un modello geologico tridimensionale, modello che è alla base di tutta la progettazione degli scavi. Infatti inserendo nel modello topografico tutti i dati risultanti dalle investigazioni geologiche e geotecniche del periodo 20012008 (489 sondaggi per una lunghezza complessiva di oltre 20.000 metri, nonché i 1.065 sondaggi eseguiti nel periodo 1938-1939) il quadro che si va formando in un ambiente CAD è abbastanza chiaro. Il primo lavoro portato a termine è stato l’inserimento di tutti i dati risultanti dai sondaggi nella loro posizione reale identificando con notevole precisione le quote dei passaggi dall’una all’altra delle varie formazioni.
La geologia lato Atlantico La roccia sedimentaria sull’Atlantico consiste principalmente di arenaria tufacea del medio miocene. Questa formazione rocciosa è poco sviluppata, non più di 400 metri, ed è generalmente identificata come la Gatùn formation. D’altronde la parete perfettamente verticale degli scavi del ’39 è già di per sé stessa una visione in larga scala della situazione geologica. Verso la costa settentrionale la parte superiore è formata da argilla plastica non consolidata nota come Atlantic Muck: è una formazione recente composta principalmente da argilla plastica, montmorillonite, sabbia fine, materiale organico, il tutto estremamente soffice con un elevato contenuto d’acqua. L’Atlantic Muck è largamente diffuso nella zona del canale di accesso alle chiuse dall’Oceano Atlantico. Lo strato superficiale di ricoprimento più recente a spessore variabile raggiunge la massima altezza di 17 metri nell’area della conca intermedia.
La geologia lato Pacifico La situazione sul Pacifico racconta tutta un’altra storia, perché basata su rocce vulcaniche basaltiche e su uno strato di roccia sedimentaria nota come formazione La Boca. Ne discende che il 70% delle nuove chiuse verrà fondato su basalto ed il rimanente 30% sulla formazione La Boca. Il basalto è forte, denso, spesso in formazione colonnare, ricoperto da quella terra rossa tanto
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diffusa nelle regioni tropicali. La formazione La Boca è la tipica roccia sedimentaria di origine vulcanica. Largamente tufacea, fossilifera ed alterata nel tempo, ai fini dello scavo può essere considerata una roccia da soffice a mediamente dura. È presente anche qui il Pacific Muck specie nella porzione meridionale con uno spessore da 2 a 8 metri: bassa consistenza ed alta plasticità, di colore da grigio scuro a nero. Il ricoprimento superficiale è largamente da considerarsi come un residuo dello scavo del 1939, in pratica suolo rosso con frammenti di basalto.
Il modello tridimensionale La conseguenza di tutto il rilievo visivo, dello studio dei sondaggi eseguiti e dell’analisi di tutti i dati disponibili da varie fonti è una precisa caratterizzazione geologica riportata sul modello tridimensionale, insieme ad una notevole messe di dati
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7. Sezione progettuale degli scavi lato Atlantico, con gli interventi di stabilizzazione del versante orientale.
8. Inizio della modellazione degli scavi.
relativi a permeabilità e deformabilità. Assistiamo quindi alla nascita di una prima versione del modello tridimensionale per gli scavi. Si è passati quindi ad un’analisi più dettagliata, con metodi e software differenti, al fine di ottenere un progetto che definisse un profilo di scavo stabile per ciascun materiale fondazionale. L’uso combinato tridimensionale di topografia e geologia ha permesso di produrre disegni costruttivi sufficientemente vicini alle condizioni reali della tipologia dei materiali in situ ed ha quindi permesso di determinare le pendenze corrette delle pareti ed i volumi di scavo nelle diverse formazioni. Planimetrie e sezioni derivate dal modello sono state riportate sui disegni finali per la costruzione definendo anche quantità e dimensionamento del materiale di scavo stimato, come già detto, in circa 25,8 milioni di mc per l’Atlantico e in 17,5 milioni di mc per il Pacifico.
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Il progetto costruttivo È chiaro che la prima fase dei lavori, e quindi il primo progetto necessario per l’esecuzione dell’opera, non può che essere che quello relativo agli scavi. Nell’ambito del gruppo di progettazione sparso tra Milano, Chicago, Buenos Aires e Rotterdam, allo Studio SC Sembenelli Consulting di Milano è toccato l’ingrato compito di presentare i primi progetti iniziando il cammino di invio, correzione ed approvazione di un incredibile numero di disegni costruttivi. Lo scavo infatti rappresenta comunque un cammino incerto, nonostante i dati raccolti in oltre mille sondaggi, prove di laboratorio ed analisi comparative. L’incertezza deriva anche dalla presenza di una fitta foresta che ricopriva gran parte dei suoli: quindi il rischio di qualche errore è rimasto in un angolo dell’intelligenza progettuale che guida il progetto realizzativo. Insieme al progetto, là dove rimanevano le incertezze più evidenti, sono ripartite nuove campagne geologiche e geotecniche che hanno comportato continui adattamenti del modello tridimensionale. Il programma iniziale era quello di seguire la suddivisione pro-
gettuale delle opere civili, che era ripartita in 28 sezioni divise verticalmente. Troppe per un lavoro dimensionalmente esteso come lo scavo, per cui le sezioni sono state ridotte a 16. Viene modificato anche il programma di dettaglio delle fasi progettuali, in modo da permettere l’inizio degli scavi posti sul percorso critico del programma il prima possibile. I progettisti non si sono fatti mancare niente: altri 100 sondaggi sul lato Atlantico e 126 sul Pacifico, principalmente per determinare la massima quota della roccia compatta e lo spessore del Muck su entrambi gli oceani. Da sottolineare il caso del canale di accesso alle nuove chiuse dall’Oceano Atlantico, 1400 metri di lunghezza e 218 metri di larghezza alla base, che ha richiesto 34 sondaggi effettuati da pontone con i relativi test, che hanno permesso di determinare con certezza le superfici di contatto tra roccia dura e materiale soffice. Tutti questi successivi approfondimenti, ne abbiamo citati solo alcuni, hanno permesso di editare un nuovo modello tridimensionale notevolmente più aderente alla realtà. Le basi su cui insistono le nuove strutture sono notevolmente estese: si tratta per ogni lato di tre conche, quattro chiuse, tre bacini di recupe-
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ro, due muri d’ala e due canali di accesso per ogni oceano. Insomma 3.350 metri di lunghezza il progetto sul lato Atlantico e 3.928 metri sul lato Pacifico: l’area totale coperta dal progetto degli scavi è pari a 1.535.000 mq e 1.079.000 mq rispettivamente sui due lati. Tanto per capire che non si tratta di un progetto limitato alle sole strutture delle chiuse vere e proprie.
Non è semplice Uno sguardo superficiale ad un modello può indurre l’osservatore ad un giudizio di estrema semplicità e chiarezza. In realtà non è così. Le nuove chiuse non sono solamente tre conche di diversa altezza suddivise da enormi ma semplici paratoie ed affiancate dai sei bacini per il risparmio dell’acqua dolce. Sotto la superficie vi sono numerose strutture di elevata complicazione progettuale ed esecutiva. Ogni conca è contornata da entrambi i lati da due larghi condotti, uno principale ed uno secondario posti
9. Inserimento del progetto degli scavi nel modello tridimensionale.
10, 11. Viste assonometriche del progetto con il dettaglio delle biforcazioni.
12. Il modello tridimensionale di un water saving basin.
alla base dei muri. La connessione tra i bacini è garantita da due condotti ad ipsilon sotto il pavimento delle conche che portano le acque ad una triforcazione chiaramente sotterranea rispetto ai bacini laterali. Per ogni conca i bacini sono sei e sono a quote diverse. Questo comporta scavi a quote e pendenze laterali diverse che comportano larghe trincee fino a 13-17 metri di profondità. La geometria complessiva degli scavi è ulteriormente complicata dalle rientranze rispetto al filo principale delle conche dove si parcheggiano le paratoie quando mettono in comunicazione le conche contigue. La ciliegina sulla torta della complicazione sta nel fatto che al di sotto di tutte le strutture bisogna realizzare due condotti sotterranei pedonabili che permettono a cavi e condutture di tutti i servizi di sottopassare l’intera struttura, condotti che sono accessibili da due pozzi (uno per lato) profondi oltre 40 metri. Non vogliamo spaventare il lettore ma renderlo partecipe della sco-
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perta di un complicato complesso di canali e di condotti che permettono al sistema chiuse di funzionare ed all’ambiente di risparmiare acqua dolce. Il progetto degli scavi per realizzare tutto questo è l’arduo compito assegnato a SC Sembenelli Consulting Srl di Milano.
I vantaggi del modello 3D Il processo di preparazione dei disegni disponendo di un modello tridimensionale completo viene semplificato e reso congruente tra le diverse sezioni e planimetrie: e non potrebbe essere diversamente, in quanto sono tutte figlie della stessa madre. Questa tipologia di procedimento è ancora più vantaggiosa in caso di modifiche al progetto, come è capitato più volte per le chiuse di Panama: sezioni e planimetrie possono essere aggiornate in tempi brevissimi. È chiaro che questo metodo implica che le modifiche siano prima riportate sul modello e successivamente trasferite ai disegni. Sembra un processo complicato ma in realtà con la geometria complessiva in 3D il rischio di errore è minimo ed il trasferimento dal modello ai disegni diventa veloce e corretto. Tutto questo ha permesso la produzione di 137 disegni per il Pacifico e 135 per l’Atlantico seguendo gli standard CAD stabiliti per il progetto. Insieme ai disegni sono stati editi una ventina di rapporti, sempre in armonia con i requisiti progettuali.
13. Particolare di una fase degli scavi.
14. Sezioni trasversali ricavabili dal modello in qualsiasi posizione.
15. Cantiere e progetto: gli scavi realizzati sono conformi ai disegni.
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Veniamo infine al procedimento di consegna revisione ed approvazione dei disegni da parte del Committente, processo invero lungo e laborioso: infatti comporta tre successive edizioni dei disegni ed un tempo minimo di quattro-cinque mesi. Viene inviato inizialmente un progetto intermedio (ID) e la Committente ha trenta giorni di tempo per esternare il proprio parere in quattro modi differenti: - procedere; - procedere come annotato; - procedere come annotato ma revisionare; - revisionare ed inviare nuovamente. Nei primi due casi l’edizione finale può procedere, negli ultimi due bisogna ripartire da capo con il progetto intermedio. Il progetto finale degli scavi è stato spesso differente dall’intermedio perché ha dovuto tenere presente tutte le modifiche introdotte nei disegni strutturali, che procedono di pari passo. Il tempo disponibile per il progetto finale è di soli due mesi. Dopodiché l’iter non è completato: la Committente ha anco-
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ra trenta giorni di tempo per eventuali commenti ed osservazioni. Solo a questo punto esce l’edizione finale approvata per la costruzione (RFC) che include solo modifiche di minima importanza da redigersi in un tempo molto breve, esattamente 12 giorni. In totale quindi quattro mesi e mezzo di tempo teoricamente minimo: in realtà il processo è stato più lungo per le inevitabili richieste dell’appaltatore dovute a decisioni spesso strategiche per variazioni strutturali, idrauliche ed architettoniche. In definitiva: dall’inizio del processo di progettazione all’approvazione finale non trascorrono meno di sette mesi, quasi il tempo necessario per un essere umano dal concepimento alla nascita! Al termine di tutto ecco la fatica finale: gli “as built drawings” (i disegni di come è stato costruito) non sono altro che la fotografia di quello che effettivamente è stato realizzato in cantiere. Questo è l’ultimo onere per i progettisti degli scavi.
Iniziano gli scavi Siamo nella primavera del 2010 e i cantieri vengono invasi da escavatori, pale, dumpers da 70 tonnellate ed autocarri articolati nonché da tutte le attrezzature necessarie per lo scavo in roccia, la perforazione e lo sparo. Ed il progettista è sempre presente in cantiere con i propri ingegneri per ispezionare le scarpate degli scavi, la costruzione delle dighe temporanee e supportare i disegni per i necessari drenaggi. In Atlantico la formazione rocciosa Gatùn non ha richiesto l’uso di esplosivi e le scarpate sono state rifinite con una fresa puntuale che ha reso la realtà perfettamente simile al modello. Sul Pacifico invece la roccia basaltica è stata tutta sparata e quindi le condizioni finali erano meno precise anche se abbastanza regolari. Durante gli scavi i progettisti presenti in cantiere hanno emesso delle istruzioni progettuali (DFI) quasi tutte mirate per assicurare la stabilità delle scarpate suggerendo gli opportuni ancoraggi e l’applicazione di spritz beton là dove necessario. Ricordiamo
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16, 17. È perfetta la coincidenza tra il modello progettuale e gli scavi.
18, 19. Il cofferdam sull’oceano Pacifico all’ingresso delle nuove chiuse: sezione trasversale e vista panoramica della costruzione.
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che la stabilità delle scarpate cammina insieme alla sicurezza dei lavoratori. Questo concetto di sicurezza è reso più stringente dal clima di Panama: otto mesi è la durata media della stagione delle piogge, solo il periodo che va da gennaio ad aprile è quasi esente da precipitazioni. Ma le piogge durante gli otto mesi critici possono essere disastrose per intensità, 400 mm in poche ore, e quindi le protezioni lungo i perimetri superiori degli scavi rappresentano una necessità assoluta ed inderogabile.
I cofferdams La costruzione delle nuove chiuse del Canale di Panama è ubicata su entrambi i lati in due strisce di terra (meno di 2 km) che collegano gli oceani ad un lago artificiale nato cento anni fa; tutti i cantieri devono essere quindi protetti con un sistema di dighe (tre sull’Atlantico e tre sul Pacifico) alte fino a 32-35 metri rispetto alla quota di massimo scavo. Ne descriviamo le due più importanti.
La diga sul Pacifico La diga sul Pacifico deve tenere conto delle maree dell’oceano, che rispetto al livello medio del mare può scendere fino a -2,40 metri e salire al massimo di 3,60 e quindi con una escursione massima complessiva di 6 metri. La fondazione della diga è su roccia basaltica ad una quota di circa 20 metri sotto la marea più alta e quindi tutto il materiale soffice ha dovuto essere rimosso. Il progetto della diga è partito quindi con dragaggi intensivi, seguito dalla costruzione di due argini rocciosi riempiti al centro 18
con la cosiddetta terra rossa che ha un comportamento colloidale ed una permeabilità molto bassa, soggetta ad una facile compattazione. SC Sembenelli Consulting ha utilizzato l’esperienza fatta con lo sbarramento del Paranà (a Itaipu) negli anni 70 dall’Ing. Sembenelli che ne fu il progettista. La terra rossa è stata scaricata sott’acqua con un procedimento particolare, con il risultato di ottenere un rilevato omogeneo portante. Infine sulla parte centrale della diga, per una larghezza di circa 25 metri su un totale di 100 metri di larghezza complessiva e ad una quota di 2,50 metri sopra il livello medio del mare, è stato posto in opera un rilevato in roccia con uno spessore di 2,60 metri fino a raggiungere una quota finale di 150 cm sopra la quota di massima marea e quindi con un coronamento sempre percorribile all’asciutto. Ma il cantiere è stato protetto non solo dalla parte oceanica: infatti osservazioni successive all’inizio dei lavori hanno evidenziato la necessità di proteggere gli scavi delle chiuse anche dal canale attuale che conduce alle chiuse di Miraflores. Il prolungamento comporta una estensione di circa 700 metri ed ha richiesto l’asportazione del Muck per uno spessore di 10 metri a cui si aggiungono dai 2 ai 3 metri di sabbia. Questa diga risulta quindi la più lunga delle sei costruite.
L’argine sul lago Gatùn Il terzo set di chiuse sull’Atlantico risulta all’inizio del cantiere protetto da un setto di roccia lasciata cento anni fa e che rappresenta la sponda settentrionale del lago Gatùn. Gli scavi eseguiti dagli ame-
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sviluppo di modelli sia bidimensionali che tridimensionali, al fine di verificarne la stabilità delle sponde e la capacità di evitare qualsiasi percolamento. I risultati di tutte le analisi hanno portato alla conclusione che l’argine esistente naturale può efficacemente operare anche come diga. L’unica misura di maggior precauzione è stata la realizzazione di una paratia verticale di 228 metri di lunghezza realizzata con calcestruzzo plastico (cemento più bentonite), una specie di ulteriore sipario resistente tra il lago e le chiuse.
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ricani nel 1939 hanno abbassato e ristretto questo argine ad una sezione trapezoidale trasversale di circa 190 metri alla base e 110 metri alla sommità con una quota massima assoluta di 30 metri sul livello del medio mare e quindi circa 3 metri sopra la quota attuale del lago Gatùn. È evidente che il crollo anche parziale di questa barriera naturale causerebbe una catastrofe eccezionale con la conseguente paralisi del canale. Le indagini in luogo, estensive e dettagliate, hanno investigato la deformazione e la permeabilità dell’argine che ha permesso lo
20. Modellazione degli scavi per il manufatto di imbocco.
Dobbiamo riconoscere, noi vecchi ingegneri di cantiere, che il progetto degli scavi l’abbiamo frequentemente snobbato, fidandoci della nostra consuetudine ad un giudizio dettato dall’esperienza sulle condizioni di stabilità dell’ammasso. In condizioni facili ci è andata quasi sempre bene, ma in situazioni complicate l’errore ci è costato molto caro in termini di tempi e di costi. Oggi abbiamo imparato sulla nostra pelle che fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio: le recenti metodologie di rilievo e di calcolo hanno garantito risultati certi in termini di stabilità e di sicurezza. Progetti come quello che ci ha appena illustrato la Sembenelli Consulting per gli scavi del canale di Panama hanno indicato una strada maestra dalla quale ci sarà difficile deviare per il futuro.
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Federico Gervaso
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È
la forza di gravità che governa tutto il sistema delle chiuse: l’energia necessaria a far salire e scendere le navi al lago Gatún dagli oceani è fornita gratuitamente da madre natura. Una piccola eccezione è rappresentata dalla movimentazione delle numerosissime valvole che comandano la danza dell’acqua. Ma l’eccezione maggiore è costituta dall’energia, comunque modesta (300 HP) necessaria alla movimentazione delle porte scorrevoli che costituiscono il cuore visivamente pulsante del sistema delle nuove chiuse di Panama proprio per la loro imponenza dimensionale.
Le dimensioni Ciascun complesso di chiuse è costituito da tre conche e da quattro gruppi di porte scorrevoli. Ogni gruppo ne ha due, per ridondanza: infatti deve esserci sempre una possibile alternativa in caso di guasto. Il sistema non si può fermare mai.
1,2. Le prime 4 paratoie parcheggiate presso lo stabilimento Cimolai di S. Giorgio di Nogaro (UD).
La larghezza delle chiuse è di 55 metri, misurata tra i fili interni dei muri. Il livello minimo per la profondità dell’acqua è di 18 metri e questo vale non solo per le conche ma anche per le soglie delle porte e per le strutture di accesso alle conche. La lunghezza delle conche è di 427 metri se misurata tra le porte più prossime alla conca e di 488 metri se misurata tra le porte esterne, vale a dire con quelle interne aperte. Nel dimensionamento delle vasche e delle porte bisogna tener presente anche le possibili variazioni di livello delle acque sia nel lago Gatún che nei due oceani. Il lago può variare, a fronte di un valore medio di 27 metri sul livello del mare, fino ad una massima quota di 28,70 calcolando anche il movimento delle onde, e ad una quota minima di 24,70 che si verifica solo in caso di estrema siccità dovuta all’azione di “El Nino” la corrente pacifica che ha in certi anni effetti devastanti sul clima determinando grave siccità.
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livello Gatún 27.13
Escursione maree da -0.12 a +0.30
quota nelle 3 conche MIN 27.13 18.21 19.25 MAX 18.13 9.11 -0.12
Con lo stesso livello del lago e con l’oscillazione di marea ordinaria, i livelli sul Pacifico diventano: livello Gatún 27.13
Escursione maree da -2.82 a +2,14
Per i due oceani le variazioni di livello sono nettamente differenti. L’oscillazione dell’Atlantico va da un massimo di +57 cm ad un minimo assoluto di -39 cm come valori estremi in casi eccezionali. Di norma però questi valori sono ricompresi in un differenziale di soli 50 cm. Tutto l’opposto accade nel Pacifico, che gode (o soffre?) di maree significative, da un massimo di +366 cm ad un minimo di -344 cm quindi un differenziale di ben 7 metri, valore notevole di cui il dimensionamento di vasche e porte deve tener conto, anche se in genere l’oscillazione di marea è contenuta in 4-5 metri. I cicli di marea sono due ogni giorno, ma quelli dell’Atlantico che avvengono tre ore prima di quelli del Pacifico, sono effettivamente poco percepibili. Sulla base dei livelli di marea e te2
quota nelle 3 conche MIN 27.13 13.31 9.64 MAX 18.01 8.66 -2.32
nendo presente che il livello minimo delle acque in ogni conca non può essere inferiore a 18,30 metri, si possono calcolare facilmente le oscillazioni dell’acqua nelle diverse conche. Per esempio con il lago Gatún ad una quota media di 27,13 i livelli nelle conche Atlantiche risultano come da questa tabella. Da dove si evince che in caso di bassa marea l’ultimo salto si avvicina ai 12 metri e supera i 13 in caso di maree eccezionali, invece che un valore medio di 9 metri.
I parametri per il dimensionamento delle porte Prima di tutto bisogna definire una “nave di riferimento” cioè le massime dimensioni del bastimento che può impegnare il terzo gruppo di chiuse. È stato dunque battezzato un “vascello di pro-
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getto”, che come è facilmente deducibile dall’odierno e futuro traffico mercantile è una nave portacontainer con ben 19 unità affiancate sulla tolda del bestione (difficile utilizzare una diversa definizione quando si avvistano questi mostri marini che portano a spasso 12.000 container). Queste le dimensioni prefissate per il vascello di progetto: Larghezza 49 metri Lunghezza 366 metri Pescaggio 15,20 metri Stazza 160.000 ton Questa nave, definita internazionalmente come “post panamax”, deve poter navigare in piena sicurezza tra le chiuse e nel lago Gatún. Ma la condizione più stringente che viene posta ancora prima a progettisti ed esecutori del grandioso progetto è la disponibilità del sistema: le chiuse devono essere perfettamente operative per il 99,6 % del tempo complessivo di ogni mese, e questo per tutta la vita utile delle chiuse che non deve essere inferiore a 100 anni per le opere in calcestruzzo e a 50 anni per le porte scorrevoli. Lo 0,4 % del tempo di ogni mese, tanto per intenderci, sono 3 stringatissime ore e sono le sole ore ammesse per il fermo del sistema, dovuto a manutenzione e/o riparazione di emergenza. Sono ovviamente da escludere dal calcolo, bontà loro, cause di forza maggiore. Dopo aver definito tutti gli indispensabili parametri progettuali, si può finalmente inoltrarsi nel labirinto dei dettagli costruttivi.
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Le caratteristiche di costruzione Prima di tutto vediamo quanti sono i nostri portoni. Sono quattro le posizioni per far funzionare le tre conche e sono doppi per ridondanza quindi saranno otto sull’Atlantico e otto sul Pacifico, in totale quindi sedici portoni scorrevoli. Ma non sono tutti uguali, comprendono sei diverse tipologie. Più avanti ne vedremo il perché. Come saranno dimensionalmente questi portoni? Sono dei parallelepipedi regolari, abbastanza lunghi per chiudere la luce libera delle conche ed abbastanza alti per rispettare l’altezza massima dell’acqua con un franco di sicurezza di un metro. La larghezza è stata fissata in dieci metri per tutti i portoni, tranne per quelli vicini al lago Gatún dove si è ritenuto che una larghezza di otto metri sia strutturalmente accettabile. Naturalmente sono di acciaio, ed oltre che scorrere lungo la loro posizione durante il nor-
3. La dimensione frontale di una paratoia: 10 m di larghezza ed oltre 30 m di altezza.
4, 5. La saldatura continua: l’uomo è sempre protagonista negli stabilimenti Cimolai.
male esercizio devono essere anche in grado di navigare in piena sicurezza. Per questo motivo la parte inferiore è composta da numerose camere di galleggiamento con differenti funzioni ma con lo scopo di assicurare la stabilità e la manovrabilità, mentre la parte superiore della struttura è aperta e permette all’acqua di fluire liberamente al suo interno. In caso di necessità, per trasporto, rimozione o manutenzione, speciali piastre chiuderanno anche i lati corti della parte superiore per costituire il cosiddetto “guscio di navigabilità”. Della larghezza abbiamo già parlato, la lunghezza è uguale per tut-
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ti i nostri portoni - 57 metri e 60 centimetri - mentre l’altezza è variabile in funzione della loro posizione: si va da un minimo di 22 metri per le quattro porte sul lago Gatún ad un massimo di 30 metri sull’Atlantico e di 33 metri per le due porte poste al contatto con l’oceano Pacifico. Complessivamente si possono considerare come dei grossi parallelepipedi di acciaio, costituiti da una struttura la cui parte inferiore è totalmente chiusa, contenente 12 diversi serbatoi anch’essi chiusi e con differenti funzioni, mentre la parte superiore è rivestita da lamiere continue solo sui lati lunghi mentre quelli
corti risultano aperti, chiudibili solamente per assicurarne la navigabilità. La superficie superiore orizzontale, mediamente lunga 57 metri per 10 di larghezza, sarà percorribile pedonalmente per tutta l’area e può anche essere attraversata da veicoli, limitatamente per le porte più esterne.
6. La prima paratoia viene dotata di 4 carrelli con 480 ruote gommate pivottanti per la sua movimentazione.
9. Particolare dei carrelli che mantengono il carico orizzontale nonostante le variazioni di altimetria.
7. La paratoia inizia il suo percorso tra lo stabilimento Cimolai e la chiatta Paula ancorata alla banchina.
8. La chiatta Paula accostata alla nave Rose 2 nel porto di Trieste per il transhipment.
Le camere di galleggiamento I portoni scorrevoli, lo abbiamo già accennato, sono dotati nella parte inferiore di una camera di galleggiamento suddivisa in tre diverse sezioni tipologiche costituite da serbatoi d’aria, da
10. La nave cargo STX Rose 2 è caratterizzata dal castello di poppa posizionato a prua e dal basso piano di carico.
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serbatoi di zavorramento e da quelli di trimmaggio ovvero di regolazione fine. Cosa servono nel loro complesso le camere di galleggiamento? A ridurre il peso operativo, a limitare i carichi sui supporti ed a ridurre la potenza necessaria per la loro operatività. La camera di galleggiamento rimane sempre interamente sommersa durante le manovre evitando carichi eccessivi sui carrelli. A fronte di un peso complessivo reale di circa tremila ton, la camera di galleggiamento permette una riduzione a sole 300 tonnellate del carico di esercizio. Ricordiamo che la parte superio-
re è aperta, ma con piastre d’acciaio posizionate a chiusura dei lati corti forma un guscio chiuso che permette la navigazione dell’intero portone. Le piastre non sono presenti durante la normale operatività ma solo in caso di navigazione per rimozione trasporto o semplice manutenzione. Tra le due file di serbatoi, ce ne sono ben 12 nella sezione inferiore, viene realizzato un corridoio a cui si accede tramite tre lunghi pozzi verticali. Corridoio e pozzi d’accesso sono a tenuta stagna e permettono l’ispezione di tutti i serbatoi, dotati di doppie porte stagne, anche se speciali apparecchiature elettroniche per-
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mettono il controllo dei livelli ed individuano eventuali perdite. I serbatoi di zavorramento sono progettati per resistere ad un impatto delle navi e quindi rafforzati nella zona critica che è chiaramente al centro del portone.
Come le carriole Ogni portone è dotato di un suo sistema di guida che ne permette la movimentazione. Ci siamo sempre chiesti come si fa a muovere in pochi minuti, massimo 5, un bestione che pesa tre-quattro mila tonnellate (ma abbiamo già scoperto che il principio di Archimede, vuotando o riempiendo opportunamente 12 serbatoi che costituiscono la sezione inferiore, permette di ridurre lo sforzo di movimentazione di 10 volte). Come si fa a movimentarli? Semplice: imitando, in scala maggiorata, la movimentazione di una carriola. Infatti il portone poggia su due tipologie di carrelli: - uno inferiore ed anteriore, dotato di quattro ruote che scorrono su una coppia di rotaie - non di una sola ruota come la carriola ma che può essere facilmente assimilata al suo ruotino anteriore; - i due manici della carriola sono rappresentati da un carrello su-
11. Panoramica del cantiere Atlantico: in primo piano la zona di sbarco ed i “parcheggi” per le prime quattro paratoie.
12. La prima delle 4 paratoie sbarca sul molo appositamente costruito a fianco del canale di accesso alle chiuse attuali in Atlantico.
periore cha ha una larghezza di una dozzina di metri e che sostiene il portone attraverso un perno centrale che si appoggia con le sue coppie di ruote laterali sui muri in calcestruzzo che delimitano la rimessa in cui il portone riposa. Le illustrazioni ne chiariscono, più che una dettagliata descrizione, il movimento. Fin qui abbiamo capito che c’è un carrello centrale inferiormente e due carrelli riuniti in un’unica struttura superiormente, ma mentre nella carriola è lo sforzo di un solo uomo a provocarne il sollevamento verticale e la traslazione orizzontale nel nostro caso chi muove il portone in senso orizzontale sono delle funi. Ci pensano infatti due argani mossi da motori elettrici, di cui solo uno utilizzato per la movimentazione ed il secondo si riserva in caso di malfunzionamento del primo più un terzo motore di taglia inferiore - 55 kw - per aggiungere la cintura alle bretelle e non rimanere mai con un portone a mezza strada. Sui tamburi accoppiati ai motori si avvolgono e si svolgono quattro funi, due che comandano l’apertura e due che comandano la chiusura. Le funi sono tutte avvolte sullo stesso tamburo ed ogni rotazione dell’albero fa in modo che attraverso un sistema di pu-
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legge collegate sia al carrello superiore sia ad un punto di ancoraggio posto all’estremità dei muri laterali della rimessa, i nostri portoni si muovano. Il complicato marchingegno fa in modo che ad ogni rotazione del tamburo faccia riscontro una doppia contemporanea rotazione di tutte le funi, due che presiedono alla chiusura ed avvicinano il carrello all’altra sponda del canale e due di apertura che riportano il carrello nella sua posizione di riposo. Un sistema idraulico mantiene sempre in tensione tutte le funi. Il carrello superiore è simile ad un carrello ferroviario con quattro ruote ma con una struttura molto più larga, circa 12 metri, affinché le ruote possano appoggiare sulle rotaie esterne alla rimessa. Al centro invece dell’usuale ralla che collega il carrello ferroviario alla cassa del vagone o del locomotore c’è la struttura necessaria per trasferire metà del peso del portone scorrevole al carrello superiore. Questo tipo di carrello, ed il discorso vale anche per quello inferiore, è già stato progettato, costruito e sperimentato nelle chiuse di Anversa in Belgio e di quelle denominate Principe Guglielmo Alessandro ad Amsterdam.
Il limitatore di carico Ricordiamo per inciso che sulla parte superiore del carrello per una lunghezza di circa sei metri è posizionato un pontile carrabile che può reggere il peso del traffico pesante tra le due sponde della rimessa. Per evitare carichi superiori al limite di calcolo, il carrello superiore è dotato di un dispositivo automatico di limitazione del carico, che consiste in un gruppo di tre molloni precompressi accoppiati a tre barre che tengono la forza di precompressione. Con l’incremento del carico verticale le molle non possono essere compresse oltre il carico di calcolo e questo finché il carico esterno uguaglia la forza di compressione. Infatti il carico esterno trasmesso al portone in condizione di normale operabilità riduce la tensione nelle barre. Quando il carico esterno lo supera, il pacchetto delle molle sarà compresso proporzionalmente finché la distanza di 60 millimetri tra il portone e gli appoggi posizionati sul fondo della struttura si annulla. Quindi tutti i carichi oltre il limite consentito si trasferiscono direttamente sulla soglia in calcestruzzo. Collegata al carrello superiore è posizionata una trave di supporto delle pulegge due per lato in cui scorrono le funi
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di apertura e di chiusura del portone che trasferiscono il movimento rotazionale dei tamburi al carrello superiore tramite le doppie funi.
Il carrello inferiore È il ruotino della nostra carriola anche se con dimensioni e pesi nettamente diversi ma con funzione analoga assolutamente intuibile. Come avviene per le ruote di un normale veicolo tutto il carrello con le quattro ruote e la trave verticale che lo collega alla sommità del portone deve poter essere sostituito e riparato
13. Il percorso delle paratoie è stato reso possibile da limitate pendenze tra i quattro diversi livelli.
14. Uno dei numerosi (in totale sono 64) supporti presenti nei recessi per il provvisorio bloccaggio delle paratoie.
15. Un particolare delle paratoie: numerosi sono gli impianti elettromeccanici installati al loro interno.
in poco tempo: nel nostro caso il tempo massimo è di quattro ore. Anche per il carrello inferiore è previsto un limitatore di carico simile a quello descritto per il carrello superiore che entra in funzione quando c’è un sovraccarico dovuto ad una diminuzione di galleggiabilità della struttura o a carichi esterni causati da un terremoto. Per trasferire il carico del carrello alla sommità del portone vengono utilizzate delle travi verticali (colonne di compressione) che si muovono contenute orizzontalmente da travi di guida saldate alla struttura. Tutto il complesso carrello più travi di compressione è solle-
16, 17, 18. Sequenza della complicata manovra di ingresso della paratoia all’interno del suo alloggio definitivo.
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È più difficile scriverne che capirne il funzionamento, facilmente comprensibile in una visione animata od al termine dei lavori in una contemplazione visiva diretta. Auguriamo a tutti di poter ammirare un giorno non lontano lo spettacolo delle enormi navi che si muovono e si sollevano silenziose nelle nuove chiuse di Panama, dopo che i portoni hanno svolto con successo il loro lavoro.
Il carico ed il trasporto
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vabile da un’ordinaria autogrù: la connessione tra il carrello e le colonne è garantita da supporti elastometrici mentre le ruote del carrello appoggiano su due rotaie ancorate al fondo delle chiuse. Al centro delle rotaie è posizionata una guida che mantiene il carrello nella corretta posizione lungo tutto il tragitto. Le quattro ruote hanno un diametro di 90 centimetri, una larghezza di 21 e scorrono su rotaie con un interasse di soli 160 centimetri. Poiché esiste una trave di guida centrale le quattro ruote portano solo il carico verticale e quindi non hanno il bordo di guida come i carrelli ferroviari.
Per il trasporto fino a Panama dallo stabilimento di San Giorgio di Nogaro, posizionato al centro della splendida laguna di Marano tra Lignano e Grado in provincia di Udine, certamente non serve il carrello a 4 ruote che vi abbiamo appena descritto: servono ben 480 ruote (avete capito bene, 480!), quelle di cui sono forniti gli speciali carrelli che si infilano sotto i portoni. Ma andiamo per ordine: l’unico modo per poter caricare, trasportare ed infine posizionare i portoni è farli viaggiare prima sulle ruote gommate, poi su una nave speciale, e poi ancora sulle gomme. Non esiste nessuna gru al mondo capace di sollevare un carico di grosse dimensioni pesante 4000 ton, per cui l’unica soluzione è proprio quella adottata. In verità un’alternativa sarebbe stata possibile, cioè costruire i portoni in pezzi di dimensioni e pesi ridotti e successivamente congiungerli in sito, caricando e scaricando i vari elementi con gru reperibili sul mercato. Ma la saldatura tra i vari componenti sarebbe risultata difficoltosa per le condizioni ambientali in cantiere. Al di là di ogni altra considerazione, qualità e precisione non avrebbero potute essere sufficientemente garantite come quelle ottenibili con le lavorazioni in stabilimento. Alla fine di giugno del 2013, dopo mesi di lavoro che hanno occupato oltre 50 tecnici e 300 operai, i primi 8 portoni sono pronti ed allineati nel vasto piazzale posto tra i capannoni dello stabilimento e la banchina di carico alla foce dei fiumi Aussa e Corno. Certamente, doveva esserci una via d’acqua sufficientemente ampia per permettere la manovra di un natante capace di imbarcare 4000 ton di acciaio. Presentiamo quindi “PAULA”, una chiatta oceanica verniciata di blu in grado di caricare un portone alla volta e trasferirlo nelle acque tranquille del porto di Trieste dopo un viaggio di 30 miglia. Sui portoni sono stati applicati 18 piedi inclinati, 9 per parte, che dovranno trovare riscontro preciso su altrettanti appoggi sia sulla chiatta che sulla nave oceanica destinata al trasporto fino a Panama.
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i locali destinati all’equipaggio. Invece la Rose 2 ha il castello a prua, e tutta la sezione centrale e posteriore del cargo è occupata da un vasto “piazzale di carico”, una sorta di campo di calcio lungo 120 metri e largo 30, posizionato solo un paio di metri sopra la linea di galleggiamento, in modo da risultare complanare con banchine e chiatte. Il cargo è quindi in grado di ospitare 4 portoni, e saranno quindi 4 i viaggi necessari per completare il trasporto dei 16 gates. Il ritmo è di un viaggio ogni 80 giorni, quindi sono stati necessari quasi 10 mesi per carico su chiatta, trasporto a Trieste, traversata dell’oceano Atlantico fino a Panama e ritorno a vuoto. Verniciata con un inconfondibile colore corallo, la nostra nave completa dei 4 portoni grigio titanio risulta immediatamente riconoscibile nella sua navigazione.
La strana nave color corallo
Il primo carico
Questa incredibile nave, battezzata STX Rose 2, varata nel 2012 per trasporti eccezionali, 24.000 ton di stazza lorda che batte bandiera delle isole Marshall, è il terzo componente, dopo i carrelli e la chiatta Paula, che completa il terzetto necessario al trasporto. La Rose 2 è un cargo fuori dal comune, perché manca della poppa, nella corrente accezione del termine. In genere le navi cargo hanno tutte un castello di poppa, per la sala comandi ed
Primo luglio 2013, una splendida e calda domenica di piena estate sulla costa settentrionale dell’Adriatico. I carrelli, 20 in tutto, vengono assemblati in 4 file, e collegati sia meccanicamente che idraulicamente. Il circuito idraulico infatti è unico, le pressioni dell’olio che agiscono sia per la movimentazione delle ruote sul piano orizzontale, trazione e direzionalità, sia per il sollevamento in senso verticale per bilanciare il carico mantenendolo perfettamente
19. Una panoramica del cantiere Pacifico all’inizio del 2015; le paratoie Cimolai sono parcheggiate a spina di pesce.
22. Un upper wagon che verrà agganciato alla paratoia per la sua traslazione.
20. La doppia attrezzatura per il sollevamento delle paratoie che vengono posizionate sui loro 4 supporti.
21. Particolare di uno dei 4 punti di aggancio per il sollevamento fino a 4.000 ton di acciaio.
23. Il cilindro verticale con sezione a quadrifoglio dove verrà inserito il lungo braccio che si aggancia al lower wagon.
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orizzontale anche in presenza di diverse quote dei piani di rotolamento, non possono che essere gestite da un unico circuito comandato da un computer centrale. Sterzo, trazione, sollevamento sono movimenti univoci per tutte le 120 ruote, accoppiate 2 a 2. Questo vale per tutte le quattro file di carrelli. Un gruppo nutrito di meccanici in tuta blu e giubbetto ad alta visibilità si muovono velocemente intorno ai carrelli, ma è un solo uomo che comanda tutta la manovra da una semplice pulsantiera. Primo atto: messa in moto dei quattro motori diesel, piazzati in testa ad ognuno dei quattro trenini, già sistemati in file parallele sotto i travoni trasversali collocati sotto il portone. Secondo atto: i pistoni idraulici posizionati sotto ogni asse, quindi in tutto 240, spingono verso l’alto per alcuni centimetri permettendo al carico di sollevarsi e disfarsi dei pilastrini di appoggio su cui è stato assemblato. Inizialmente con molta prudenza, poi più velocemente ma sempre al passo di una tartaruga, il portone si allontana dal suo parcheggio con moto rettilineo, sfilandosi dai portoni vicini. Quando il portone è totalmente libero da ostacoli adiacenti, le 480 ruote iniziano a girare a destra per percorrere un lungo arco di cerchio e posizionarsi in affaccio al lato posteriore della chiatta. Qui sono stati posizionati quattro “lamieroni”, che fungono da ponti tra la banchina e la chiatta. Il passaggio dalla terra ferma alla chiatta è lentissimo, il control-
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lo della stabilità del carico continuo. Il team leader, un giovane ingegnere fiammingo di sesso femminile, stivaloni ai piedi, un giubbetto di sicurezza troppo grande per lei ed i lunghi capelli biondi raccolti sotto il casco di ordinanza, sorveglia la manovra con una accuratezza estrema che rasenta la pignoleria. Ma è giusto così, basta un piccolo errore per provocare un disastro. La terraferma si sa non si muove ma la chiatta è relativamente mobile in senso verticale, anche se le pompe di cui è dotata lavorano a pieno regime per modificare il ballastaggio in funzione dell’avanzamento del carico.
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24. La navigazione lungo il canale della prima delle 8 paratoie Cimolai trasferite dall’Atlantico al Pacifico.
25. La prima paratoia transita tra le chiuse di Miraflores salutata da migliaia di spettatori lungo il suo cammino.
26, 27. La chiatta accosta al piccolo molo predisposto nel porto di Panama city ed inizia la sua discesa verso le chiuse.
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I pistoni modificano con continuità la loro estensione verticale mano a mano che il portone avanza sui lamieroni e poi sul pianale della chiatta, dove i pilastrini di ancoraggio da accoppiare ai 18 piedi saldati sui portoni sono ovviamente già predisposti. Quando il portone è giunto nella sua posizione finale viene bullonato saldamente alla chiatta.
La navigazione Terminata l’operazione, è il turno per i tre rimorchiatori di agganciare lo strano carico muovendolo con grande dolcezza nella stretta striscia di mare che congiunge la banchina con la laguna di Grado. Trainata, trattenuta o spinta, la chiatta inizia la lenta navigazione verso il porto di Trieste. La visione dalla costa triestina di questo strano bestione che naviga lentamente verso oriente provoca centinaia di telefonate ai porti di Monfalcone e di Trieste, alle redazioni dei giornali ed alle stazioni radio-televisive locali. Domenica 2 luglio, mentre i quotidiani cercano di spiegare il misterioso carico, avviene il primo trasbordo dalla chiatta alla nave madre Rose 2. Come già avvenuto presso lo stabilimento Cimolai a San Giorgio di Nogaro, sono i lamieroni a fungere da ponte di collegamento tra i due natanti. La chiatta è relativamente mobi-
le, ma la nave la possiamo considerare un punto fisso come la terraferma, vista la stazza ed il robusto ancoraggio. Il carico si muove ancora più lentamente che in stabilimento, frequenti sono le soste per controllare l’orizzontalità dei carrelli e di conseguenza la verticalità del carico. Durante la traslazione, la prua di Paula si abbassa e si alza la poppa, mentre le pompe di ballastaggio girano a pieno regime. Nel pomeriggio il primo portone viene agganciato sui supporti predisposti sulla Rose 2. Serviranno altri 12 giorni per completare il trasferimento degli altri tre, poi finalmente la nave può salpare per Panama.
L’arrivo a Panama In agosto a Colon il cielo è scuro, nemmeno un raggio di sole per illuminare l’arrivo tanto atteso dei primi portoni. La copertura mediatica però è completa, e quindi l’attracco della nave al molo appositamente costruito a 500 metri di distanza dalle nuove chiuse viene trasmesso in diretta dalla televisione panamense. Poi naturalmente c’è internet a diffondere notizia ed immagini in tutto il mondo. Comunque pochi i discorsi ed un brindisi sudato, il tutto in modo molto sobrio: altri 3 carichi ed altri 12 portoni devono ancora arrivare, quindi c’è tempo per una celebrazione più festosa, maga-
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ri nella dry season panamense quando si suda meno copiosamente del 20 agosto 2013. L’arrivo dei portoni a Panama non è stato continuo come sarebbe stato auspicabile. Problemi di contenzioso tra costruttori e Committenza hanno notevolmente rallentato il viaggio transatlantico delle porte. Anche lo speciale cargo per il loro trasporto è stato sostituito nel corso del 2014 da un altro analogo, questa volta di colore blu. Ma la sequenza delle manovre per il carico a Trieste e lo scarico a Colon non è sostanzialmente mutato. La differenza eclatante nelle manovre si registra nella parte terminale del viaggio verso il loro alloggiamento conclusivo. Infatti per il cantiere Atlantico l’ultimo viaggio è totalmente stradale, mentre per il Pacifico la discesa nelle conche è stata preceduta dal viaggio attraverso il lago Gatún, percorrendo tutto il canale chiuse comprese.
Il passo finale sul Pacifico Si poteva optare per il viaggio dell’intero cargo con le prime 4 paratoie per il Pacifico attraverso il canale. Questo avrebbe però comportato la necessità di costruire un secondo “parcheggio” a valle delle chiuse, in stretta vicinanza con il cofferdam che separa il cantiere dall’oceano, a due passi dal ponte de las Americas. Si è invece preferito scaricarle quattro per volta a valle delle chiuse a Gatún sul parcheggio già operante, e trasferirle una per volta su una chiatta trainata da due rimorchiatori verso il Pacifico, compiendo tutti i passi necessari, tre salite e tre discese, per l’attraversamento del canale. Sul molo di attracco le paratoie sono sostate solo una notte, e quindi immediatamente fatte scendere con una pendenza del 7% e parcheggiate, ancora a spina di pesce, nelle vicinanze del rispettivo box di destinazione finale. L’intera operazione è durata poco più di due mesi, rispettando la scadenza contrattuale che prevedeva il loro posizionamento definitivo entro il 31 ottobre 2014.
Il passo finale sull’Atlantico Due le limitazioni restrittive per la movimentazione a Colon: il parcheggio in corrispondenza del molo di arrivo, che poteva contenere solamente 4 portoni, ed il percorso tra quest’ultimo e le conche, che doveva avvenire via terra attraversando terreni notevolmente instabili. Si è dovuto di conseguenza costruire ex novo un tratto di pista “palificato” che potesse permettere e sostenere senza il minimo rischio di cedimenti differenziali il trasporto eccezionale. Si è provveduto quindi all’asportazione in profondità di tutto lo strato superficiale di terreno instabile, alla perforazione ed al getto di pali di grande diametro fortemente armati per realizzare la base di una pista in calcestruzzo dove la portanza della nuova struttura così realizzata fosse sufficiente a reggere il carico. Le prime 4 paratoie arrivate nel 2013 sono state quindi trasferite nell’estate del 2014 all’interno delle conche atlantiche e parcheggiate, permetteteci il gergo automobilistico, a spina di pesce in attesa del completamento dei lavori all’interno dei recessi (anche questo è il termine tecnico corretto, ma mantenendo un linguaggio automobilistico noi preferiamo chiamarli box). Il trasferimento delle prime quattro paratoie ha permesso l’arrivo del secondo gruppo di quattro per il cantiere Atlantico, e successivamente quelle del Pacifico, che logicamente hanno un’altra storia.
La manovra di parcheggio In effetti non si discosta molto da quella di una qualsiasi automobile che entra in un parcheggio ristretto a retromarcia. Cambiano pesi e dimensioni, cambia la tolleranza, solo 30 cm di spazio di manovra a disposizione, ma cambia anche “lo sterzo” a disposizione del guidatore. Con le 480 ruote pivottanti in tutte le direzioni, la manovra diventa discretamente agevole. Devono essere compiute alcune operazioni preliminari: - prima di tutto, il pavimento del recesso deve essere livellato per permettere il corretto rotolamento delle ruote; - poi i quattro supporti cosiddetti di manutenzione devono essere accoppiati con i quattro pistoncini idraulici che servono alla loro movimentazione; - devono essere posizionate a cavallo dei muri laterali del box due speciali attrezzature dotate di strand-jacks per il sollevamento della paratoia dai carrelli. Sollevando la struttura di un paio di metri, i supporti di manutenzione possono incastrarsi nelle sedi predisposte ed agganciare definitivamente la paratoia ponendola nella posizione finale. Solamente con l’entrata dell’acqua nelle conche sarà possibile la movimentazione delle paratoie, cioè il loro scorrimento in senso trasversale: fino a quel momento sarà possibile solo completare il montaggio dell’upper e del lower wagon. E qui ci fermiamo in attesa del loro galleggiamento.
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La danza dell’acqua
Alessandro Zaffaroni
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ei capitoli che ci hanno preceduto abbiamo analizzato i lavori di scavo, poi quelli di casseratura, armatura e getto dei calcestruzzi, infine abbiamo assistito alla costruzione, al trasporto ed al montaggio delle paratoie, che sono sicuramente gli elementi più in evidenza dell’opera, apparentemente gli unici in movimento. Ma non è così: è il movimento, anzi la danza dell’acqua che fa vivere tutta la nostra opera.
Gravità e vasi comunicanti In queste pagine analizzeremo come, sfruttando una sola forza totalmente gratuita e sempre a disposizione dell’uomo, quella di gravità, sia possibile sollevare od abbassare una nave pesante oltre 160.000 tonnellate senza sforzo umano o ausilio meccanico. Consumando acqua, è vero, ma curiosamente in modo indipendente dalla dimensione del natante che stiamo movimentando. Il principio su cui tutto questo si basa è molto semplice, e lo abbiamo imparato a scuola qualche tempo fa: è il principio dei vasi comunicanti. Semplificando al massimo , un fluido posto in due contenitori separati ma in qualche modo comunicanti tra loro si disporrà sempre in modo tale che il livello nei due recipienti sia identico. Il gioco delle chiuse è semplicemente quello di realizzare un vaso, che chiamiamo Conca o Chamber, abbastanza grande da permettere ad una imbarcazione di entrarci e poi di alzarsi od abbassarsi, con l’aiuto di condotti e di valvole che le mettano in comunicazione al momento opportuno con altri vasi più alti o più bassi. Iniziamo ad applicare questa teoria al nostro caso, ma in modo molto semplificato: immaginiamo che il vaso più alto sia il lago Gatún, che ci sia un vaso intermedio e che l’ultimo in basso sia l’oceano. Insomma, immaginiamo che le chiuse siano realizzate con una sola conca. Un’ imbarcazione giunge dall’oceano e vuole risalire per poter attraversare l’istmo di Panama attraverso il lago Gatún (che si vada dall’Atlantico al Pacifico o viceversa è indifferente) entrerà nella conca che abbiamo costruito e che sarà in quel momento allo stesso livello dell’oceano. Per assicurarci che sia così, la conca sarà stata messa in comunicazione con l’oceano aprendo le sue porte (ovviamente, l’oceano non cambierà di livello). Una volta che l’imbarcazione sarà entrata, si provvederà a chiudere la conca ed il condotto, isolandola dall’oceano. Aprendo un ul-
1. Le porte vinciane delle chiuse di Miraflores.
2. Una nave cargo transita nelle vecchie chiuse trainata dai locomotori.
teriore “rubinetto” che metta in comunicazione la conca con il lago, l’acqua fluirà naturalmente fino a che il livello dell’acqua nella conca abbia raggiunto il livello del lago. La nave proveniente dall’oceano, si sarà alzata allo stesso livello del lago. Nonostante l’acqua del lago Gatún non sia infinita, la nostra manovra ne cambierà il livello solo in minima parte. Adesso possiamo aprire le porte superiori e lasciar navigare la nave nelle acque dolci del lago. Abbiamo sollevato il nostro natante, di qualsiasi dimensione esso sia, basta che sia inferiore alle dimensioni della conca, senza usare una sola pompa: l’unica energia che abbiamo speso è quella necessaria per muovere le porte ed i rubinetti. C’è però un prezzo da pagare, ed è pari al valore dell’acqua dolce che abbiamo utilizzato per riempire la chiusa e che poi finirà in quella salata dell’oceano.
Il prezzo da pagare Infatti, una volta percorsi gli ottanta tortuosi chilometri del lago artificiale e del canale tra i monti, la nostra nave arriverà al secondo sistema di chiuse, necessario per scendere nell’altro oceano. Ovviamente la situazione che troverà è identica a quella che si è lasciata alle spalle, con la conca allo stesso livello del lago. Entrerà nella conca, verranno chiuse le porte posteriori e le valvole che mettono in comunicazione il lago con la conca. Si potranno ora aprire le valvole Conca-Oceano ed il livello dell’acqua, ed insieme l’imbarcazione, inizieranno a scendere. Quando i due livelli si saranno equalizzati, si apriranno le porte e la protagonista della nostra storia potrà finalmente riprendere il suo viaggio. Ancora, il prezzo di maggior valore è il volume di “Oro Blu” che si è riversato nell’oceano, questa volta senza possibilità di recupero. Qui si materializza il genio di Gothal, che controllò il rio Chagres per sfruttare le importanti piogge tropicali e compensare la perdita. Purtroppo per Panama una sola chiusa non è sufficiente: la combinazione di dislivello, dimensioni, condizioni operative genererebbe sforzi e costi eccessivi. Non potendo cambiare le dimensioni e condizioni operative delle chiuse, che sono la specifica principale del progetto, non resta che giocare sul dislivello e numero di livelli intermedi. La configurazione “ottima” si conferma quella su tre livelli intermedi per riuscire a risalire dalla quota “zero” degli oceani fino alla quota “27” del lago Gatún. Il sistema è identico, con la sola differenza che il passaggio tra la vasca inferiore a quella centrale, e dalla centrale alla superiore, avverrà
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tramite due livelli intermedi. Quello che abbiamo descritto finora è, di fatto, il sistema di funzionamento del canale attuale. Soffermandosi ancora un pò, è possibile individuarne almeno due importanti limiti.
I limiti del sistema Il primo è che, per quanto vasto, il lago Gatún non è infinito, così come l’afflusso dell’acqua apportato dai suoi immissari (Rio Chagres in primis) è limitato ed incostante durante l’anno. Le conseguenze sono che non solo il livello del lago può variare, nel corso dell’anno, di circa un metro e storicamente tra un massimo di 27.1 metri ad un minimo operativo di 24.7 metri, ma anche che le scorte disponibili per operare un nuovo canale sono limitate. Il secondo limite è rappresentato dal fatto che la quantità d’acqua necessaria per la movimentazione è indipendente dalla dimensione del natante: è sempre pari al volume corrispondente al salto di livello. Che dentro la conca ci sia una enorme portacontainer od una piccola canoa, sarà sempre pari alla superficie
3, 4, 5, 6. Sequenza dell’infilaggio di una valvola nel suo alloggiamento e posizionamento all’interno di condotto
di comunicazione dalla conca ai water saving basins.
della conca moltiplicata per il suo dislivello. Con una lunghezza di oltre 427 metri, 55 metri di larghezza e circa 10 metri di dislivello, per 3 volte e per ogni nave dovranno essere incanalati 240.000 m3 di acqua. Per superare queste limitazioni è necessario escogitare un modo per limitare la dispersione durante il riempimento e lo svuotamento delle vasche. La soluzione, ancora una volta semplice ma estremamente geniale, scaturisce confrontando il sistema basico con una singola conca al sistema reale con tre conche. Il volume di acqua perso ogni volta è proporzionale al dislivello realizzato ad ogni passo. Triplicando il numero di vasche, se ne riduce ad un terzo il consumo. Inoltre, se si utilizzano vasche separate, è anche possibile aumentarne il numero senza che si debba spostare la barca. Il risultato sono i Water Saving Basins, cioè le vasche di recupero, in grado di ridurre del 59% la perdita di acqua dolce nell’oceano, addirittura ad un livello minore di quella consumata dalle chiuse attuali. Questi sono i principi generali e l’idea progettuale di base su
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cui si fonda tutta la costruzione delle nuove chiuse del canale di Panama. Detto questo, ora è possibile entrare maggiormente nel dettaglio, particolarmente per quanto concerne la movimentazione dell’acqua.
I tre passi di danza Consideriamo adesso una seconda nave che deve attraversare il canale. Essa giungerà molto lentamente al nuovo sistema di chiuse ed utilizzerà un lungo molo per allinearsi correttamente, come facciamo con le nostre vetture quando dobbiamo entrare in un parcheggio stretto. La nostra nave però viene aiutata da alcuni rimorchiatori, da sola sarebbe una manovra lenta ed anche insicura. Potrà quindi entrare scortata nella conca inferiore. Davanti a lei dominano le due prime porte identiche in sequenza ravvicinata che evitano che l’acqua della conca intermedia si riversi in quella inferiore. Perché vengono utilizzate due porte, una davanti all’altra? Prima di tutto, per garantire che non si perda il controllo dell’acqua nel caso in cui l’imbarcazione entrante colpisca in manovra la prima delle due. Poi per ridondanza, per permettere la manutenzione ordinaria e straordinaria. Una volta entrata e “parcheggiata” verrà chiusa una delle due paratoie dietro di lei. Perché solamente una? Perché tra due paratoie posteriori si creerebbe a sua volta una piccola conca secondaria, che per ora non vogliamo. È infatti necessario assicurarsi che durante i cambi di livello delle vasche, anche in questa piccola intercapedine l’acqua raggiunga il livello corretto. Quando
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le due porte anteriori sono chiuse, una piccola valvola (si fa per dire, le dimensioni sono 3 m x 4 m, 10 tonnellate) si apre tra di loro. Alle spalle della nave è improbabile che vi possa essere un incidente, quindi chiudendone una solamente si evita l’uso di entrambi. Ora che si è isolata la conca bassa dal mare, è possibile iniziare ad innalzare il livello. Ma non si sfrutta l’acqua della conca superiore, bensì quella accumulata nei bacini di accumulo/recupero posizionati a fianco della prima conca. Si inizia aprendo la condotta che comunica con il primo bacino di recupero, il più basso in assoluto, ma comunque ad un livello superiore al livello del mare. Per il controllo di questa condotta, sono previste due valvole una accanto all’altra, anche qui per ridondanza: in questo modo è possibile effettuare manutenzione su una di esse senza interferire con le normali operazioni. Per permettere la costruzione di un futuro quarto gruppo di chiuse, i Water Saving Basins sono costruiti tutti sullo stesso lato, quello compreso tra il canale nuovo e quello vecchio. Essi sono inoltre ulteriormente suddivisi in coppie, in modo da ridurre i volumi d’acqua in gioco e permettere di gestirli nei tempi previsti.
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7. Particolare della biforcazione dell’acqua verso i due lati delle conche.
8. Vista di assieme del cantiere di deviazione dei flussi.
9. Culvert primari e secondari posizionati alla base dei muri di contenimento.
10. Il particolare cassero fornito da Peri per realizzare i passaggi dal culvert secondario alle conche.
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L’acqua però dovrà entrare da entrambi i lati della vasca, altrimenti spingerebbe la nave ormeggiata contro la parete opposta. è quindi necessario che l’acqua nella sua danza percorra una condotta che scende al di sotto della vasca principale, dove si divide esattamente in due (con molta fantasia, questa condotta viene denominata “Bifurcation”, biforcazione). Metà del flusso si dirige verso destra, l’altra metà a sinistra.
Condotti primari e secondari Quindi l’acqua risale verso i condotti che si definiscono “se-
11. Culverts primari e secondari in costruzione nella base dei muri.
12. Il primo WSB parzialmente completato con rivestimento in calcestruzzo.
condary culverts”, che altro non sono che due diffusori, simmetrici rispetto all’asse delle chiuse. Si chiamano “secondary”, ma con una sezione di 20 mq, creano già i loro grattacapi. Questi infatti si incaricano di distribuire il flusso in modo equilibrato lungo i 430 metri di lunghezza della vasca. Utilizzando il primo bacino di recupero, il livello si innalzerà di un quinto del dislivello totale tra le vasche successive. Quando il primo bacino di recupero si sarà svuotato, questa prima condotta si chiuderà e si aprirà quella che mette in comunicazione la conca con il secondo bacino di recupero, ad un livello più alto
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del precedente. In realtà, questa condotta si unisce alla precedente: le valvole sono posizionate una accanto all’altra, permettendo di selezionare quale bacino debba essere messo in comunicazione con la vasca. La struttura nella quale operano le valvole e convoglia l’acqua nella “conduit” è indicata come “trifurcation” (triforcazione). Triforcazione perché si collega alle coppie di valvole dei tre bacini di recupero. A Panama tutto è enorme: queste valvole misurano 5 x 6 metri, e pesano circa 25 tonnellate ciascuna. Ancora una volta, la nave si innalzerà di un altro quinto del totale. Si ripeterà l’operazione con il terzo ed ultimo bacino. L’ultimo passo, percorrendo gli ultimi due quinti del cammino totale, verrà effettuato mettendo in comunicazione diretta le due vasche, quella intermedia con quella inferiore. Queste sono infatti comunicanti attraverso due condotti (di dimensioni maggiori, 8.3 metri x 6.5 metri, ma ancora una volta simmetrici) che possono aggirare lo sbarramento delle porte. Questi condotti sono denominati Primary Culverts, e sono i “rubinetti” che abbiamo incontrato nel nostro modello basico.
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Ovviamente, deve essere possibile aprirli e chiuderli tramite delle apposite valvole. Come nel caso precedente, sono previste, per ognuno di essi, due valvole identiche affiancate per non interferire con le operazioni in caso di manutenzione. Date le titaniche dimensioni, le valvole sono in realta larghe la metà del condotto, 4.15 x 6.5 metri. In questo caso specifico è però necessario prendere qualche provvedimento ulteriore: in caso di mancata chiusura di una di queste valvole non è possibile proseguire con le operazioni di riempimento della vasca inferiore,riempimento che sarebbe dissimmetrico e quindi le operazioni dovrebbero essere rallentate (in teoria, sarebbe addirittura possibile drenare il lago Gatún). Come per le paratoie, per ridondanza, a valle di ciascuna di queste valvole ne sono previste altre due. Inoltre, per mettersi al riparo da ogni possibile pericolo, in caso di perdita di energia elettrica tutte le valvole devono chiudersi sotto il loro stesso peso. Con l’apertura di questi condotti, gli ultimi metri cubi di acqua necessari per pareggiare il livello si sposteranno dalla conca centrale alla inferiore.
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13. Lavori di impermeabilizzazione e di finitura del primo WSB in Atlantico, con prodotti forniti da Mapei.
14. Lo schema dei tre differenti passaggi dell’acqua dalle conche ai water saving basins.
15. In basso a sinistra i condotti di carico e scarico posizionati al centro della vasca.
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Percorreranno i Primary Culverts e si immetteranno ancora nei Secondary Culverts, gli stessi diffusori utilizzati precedentemente. Se necessario, è possibile operare le chiuse direttamente tramite queste valvole. Potrebbe essere il caso di operazioni di manutenzione ai bacini, ma anche di livelli eccessivi del lago a causa delle abbondanti piogge che si possono verificare. Messe ormai in comunicazione diretta, il nostro combustibile percorrerà i condotti, (tanto per dare una misura, l’acqua viaggia ad una velocità che potrebbe reggiungere gli 8 metri al secondo), e le vasche raggiungeranno esattamente lo stesso livello. Per essere proprio puntigliosi, visti gli elevatissimi profitti in gioco, il nostro Cliente richiede di poter aprire le paratoie con un dislivello residuo di 10 cm e guadagnare qualche istante. Sicuramente importante è un’ulteriore precauzione a favore della sicurezza: per come è concepito, il flusso attivato attraverso l’apertura delle valvole si arresta sempre automaticamente quando i due livelli si equalizzano. In caso di completa avaria del sistema di controllo delle valvole, il processo si arresta e trova un automatico sicuro equilibrio, fino a che non si intervenga nuovamente. Quando il flusso si sarà arrestato, ed il livello equalizzato, si apriranno le due paratoie e la nave si potrà spostare nella conca intermedia. Il processo si ripeterà una seconda volta per risalire nella conca superiore. La terza ed ultima volta, il livello sarà coincidente con quello del lago Gatún. Il processo di discesa sarà effettuato quasi a ritroso. L’ordine con 15
cui il livello della conca sarà equalizzato sarà bacino alto, bacino intermedio, bacino inferiore, conca inferiore; in questo caso, un teorico errore nell’apertura delle condotte potrebbe far debordare i bacini. Per evitarlo, sono previsti una serie di blocchi di sicurezza per scongiurare l’errore umano. La nave abbandonerà il gruppo di chiuse con tutte le camere piene, ed i bacini vuoti. In teoria sarebbe la situazione ideale perchè una seconda nave possa scendere nella direzione opposta. Questa è infatti la condizione di utilizzo ottimale e sarà relativamente facile realizzarla sul lato caraibico. Purtroppo a tutt’oggi dobbiamo scontrarci con i limiti dimensionali e sul lato Pacifico sarà decisamente più complicato: il lago Gatún, ed in particolare il “Culebra Cut”, ovvero il passaggio tra i monti, sono a senso unico. Questa condizione implica che tra il passaggio di una nave in una direzione e la successiva nella direzione opposta possa essere necessario un intervallo di 3 ore. Non dimentichiamo però un ulteriore vantaggio nell’utilizzare 3 camere. Nessuno vieta, infatti, di far scendere il livello della prima conca una volta che la prima imbarcazione lo ha definitivamente abbandonato. Si permette quindi che una seconda nave sia contemporaneamente presente nel sistema di chiuse. Il prezzo da pagare è un dislivello doppio nelle paratoie, che in condizioni particolari può addirittura raggiungere i 20 metri. Ora che abbiamo capito le regole dell’opera, possiamo goderci lo spettacolo.
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La moviola Antefatto. Timonare una nave lunga 370 metri non è un gioco da ragazzi. L’accesso è angusto, un percorso obbligato in mezzo alla terra ferma, con bassi fondali e secche ad entrambi i lati. Il tutto condito con correnti, raffiche di vento, magari pioggia battente che non permette di vedere la prua stessa della nave. I Piloti di ACP già si allenano in un simulatore per affrontare questa sfida, ma la parte più difficile ancora deve arrivare. All’avvicinarsi al sistema di chiuse incontreranno acque tutt’altro che tranquille, agitate e confuse dal labirinto che, insieme a loro, ci apprestiamo a percorrere. La scena: tutto comincia quando una nave arriva nella conca inferiore e viene ormeggiata. Una paratoia viene chiusa alle sue spalle per evitare l’uso delle valvole di equalizzazione, le 8 valvole di scarico finale vengono chiuse per sigillare il complesso dall’oceano. La scena è ora pronta e l’acqua e la gravità prendono il controllo.
Atto primo Per tre volte i protagonisti sono i bacini di recupero. Si aprono le quattro valvole di comunicazione la prima coppia di bacini, e 50.000 mc di acqua di riversano nelle conduit 5 e 6. Le “tri-
16. Panoramica del cantiere al termine del 2014: in basso il lago Gatún, sullo sfondo l’oceano Atlantico.
17. Sezione longitudinale delle conche sul Pacifico: tre quinti dell’acqua dolce viene risparmiata attraverso l’utilizzo dei WSB.
18. Disegno schematico della danza dell’acqua tra i culverts ed i water saving basins.
furcation” permettono di coprire un dislivello di 17 m, fino a trovarsi ad un livello inferiore alla conca. Raggiunto questo livello, il flusso d’acqua si divide in due parti uguali e simmetriche. Sotto la spinta dell’acqua alle loro spalle, entrambe risalgono al livello delle chambers per entrare nei “secondary Culverts” per poi essere distribuite in modo uniforme nelle camere vere e proprie. Qui la velocità viene controllata e ridotta fino a 4 m/sec per evitare che il suo impeto renda incontrollabile lo scuotimento dell’imbarcazione. Quando i livelli della chamber e dei primi due bacini hanno raggiunto l’equilibrio, le prime due coppie di valvole si chiudono e si aprono le seconde due. E la scena si ripete, in modo assolutamente simile, per altri due bacini. Il processo però non è ancora completo, manca un ultimo passo importante.
Atto secondo Protagonista il Primary Culvert. L’imbarcazione è rimasta ancora qualche metro sotto al livello della conca in cui deve entrare. Ancora non basta. È necessario mettere in comunicazione diretta le camere per essere assolutamente sicuri che, in ogni caso e qualunque cosa succeda, le camere siano allo stesso livel-
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lo. Si aprono allora le 8 Culvert Valves, le più grandi, le più imponenti. A causa dall’immenso volume d’acqua che può scorrere attraverso il Primary Culvert, la velocità di apertura di queste valvole deve essere modificata in funzione dei livelli reali delle camere. In caso contrario, sarebbe impossibile controllare l’imbarcazione nel canale. In questo caso, è la furia dell’acqua dell’intera conca intermedia che viene raccolta dai Culvert secondari ed immessa nei Culvert principali. Attraverso di essi eludono la barriera delle paratoie, attraversano la barriera rimossa delle valvole, correndo anche ad 8 metri al secondo, e si immettono nel Culvert secondario della conca inferiore. Questi canali, infatti, sono collegati al centro, con una unione piuttosto caratteristica. Solo quando la gravità si sentirà soddisfatta ed il flusso di acqua sarà cessato, solo allora sarà possibile aprire le due paratoie in fronte alla nave e chiudere le 8 valvole.
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to il salatissimo biglietto di ingresso, possa godersi lo spettacolo. Appena isolate le due camere, possiamo aprire le due coppie di valvole dei bacini superiori. L’acqua inverte la sua corsa, entra nel culvert secondario, scende nella Biforcazione, si incontra con la gemella sotto alla chamber e viene spinta di nuovo nel bacino. All’esaurirsi di questa spinta si chiuderanno le valvole perché non possa liberarsi, e si ripeterà per i due livelli successivi, in buon ordine, per non perderne il controllo.
Atto terzo Protagonista la transizione. Ora che i livelli si sono equalizzati, i bacini svuotati e le paratoie aperte, si è esaurita l’energia disponibile nelle prime due camere ed è necessario utilizzare quella ancora disponibile nei due gruppi di bacini della conca intermedia e nella conca superiore. Detto fatto: la nave lascia gli ormeggi e si muove lentamente, accompagnata dai rimorchiatori, nella conca successiva. Quando avrà raggiunto la posizione corretta, allora una paratoia (la numero 6) si chiuderà alle sue spalle. Gli atti “uno” e “due” si ripetono. Abbiamo però molta fretta, il tempo è denaro, la conca inferiore non può rimanere inattiva. Dobbiamo approfittarne per riorganizzare le idee, ripristinare le condizioni ottimali perchè una seconda nave, che ha già paga-
Intermezzo Prendiamoci una breve pausa mentre il ciclo si ripete identico per risalire nella conca superiore e per risalire una parte della conca superiore usando i bacini relativi. Ci rivediamo per il quarto e conclusivo atto.
Atto quarto L’ultimo passo. Non ci siamo dimenticati che tutto questo trambusto è stato messo in piedi per portare una nave dall’oceano in un lago. E della conca superiore si presume che sia possibile entrarci nel lago Gatún. Infatti c’è un’ulteriore formalità che permette questo passaggio: in un certo senso potremmo dire che c’è una ultima conca, gigantesca: il lago. Anche in questo caso, 8
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valvole si aprono nella prima Lock Head. Per guidare il flusso dell’acqua nel Culvert sono previsti due imbocchi, gli “intakes”, enormi imbuti che raccolgono le acque del lago su una sezione di 8 mq (6.5 x 12) e la riportano alle più gestibili dimensioni dei Primary Culvert. Nella stessa struttura, sono inoltre previste alcune griglie in modo tale da separare dall’acqua possibili oggetti galleggianti, come tronchi, parabordi e…coccodrilli.
Atto quinto L’epilogo. Dopo l’attraversamento del canale, la discesa all’altro oceano non sarà molto diversa. Ormai il gioco dei livelli non ha più segreti, almeno nella camere. Ci sono però due ultimi fenomeni da tenere in conto, subdoli, poco evidenti, nascosti tra i flutti. Il primo è relativamente semplice. L’ultimo livello in questo caso è quello dell’oceano. L’apertura delle Culvert Valves permetterà quindi di scaricare nell’oceano il noto 40% di volume d’acqua. Questa fase crea una notevole corrente nel canale
19. I pilastri che reggeranno le travi del molo lungo 500 metri costruito per il corretto imbocco delle navi nelle conche.
di accesso, un flusso d’acqua agitata che investe una nave in eventuale attesa: mulinelli, correnti in direzioni diverse tra prua e poppa della nave, un caos per cui da tempo il Cliente si allena in specifici simulatori. Questa è la parte facile. Il fenomeno più insidioso ancora non ha avuto modo di presentarsi. Non molti ricordano che il peso specifico dell’acqua salata e dell’acqua dolce sono diversi. Nella camera inferiore troviamo dell’acqua che è stata rimescolata con acqua dolce del lago. All’apertura della paratoia incontrerà l’acqua salata dell’oceano. La corrente di salinità che si forma è estremamente insidiosa e complessa. L’acqua dolce scorre verso l’esterno, nei primi due metri circa. Questa è acqua visibile dal pilota. La maggior parte della nave però sarà immersa per altri 13 metri, in acqua salata, che si muoverà in direzione opposta, entrando nella camera. Questi effetti sono il principale motivo per cui, all’ingresso delle chiuse, è previsto un molo, lungo 500 metri, che potrà essere usato come guida.
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er coloro che, come lo scrivente, hanno lavorato per 40 anni nel campo delle costruzioni di grandi infrastrutture di trasporto, la realizzazione delle nuove chiuse per il canale di Panama ha rappresentato un momento di grande coinvolgimento tecnico ed emotivo. Dopo averne seguito la costruzione per oltre quattro anni, il 2015 ha finalmente rappresentato un punto di arrivo: infatti già a metà anno i lavori, con il 90% di avanzamento, avevano iniziato la fase conclusiva. A metà giugno 2015 il primo “allagamento” delle conche sia nel lato Pacifico che Atlantico ha permesso l’inizio di tutti i test relativi alla movimentazione delle 16 paratoie, che come sappiamo non possono scorrere in assenza d’acqua nelle conche, acqua che garantisce il loro parziale galleggiamento Gli enormi parallelepipedi di acciaio hanno finalmente preso vita. Contemporaneamente sono scomparsi i muri laterali ed il pavimento del grande corridoio caratterizzato dai tre “salti” di 9 metri, che per anni ha accompagnato le nostre visite in cantiere, mentre hanno preso sempre più spazio nella nostra visuale i bacini di risparmio dell’acqua dolce del lago Gatún. In effetti il corridoio delle conche ha dimensione ben minore rispetto ai bacini. Proprio la loro presenza però ci ha ricordato che le nuove conche applicano una tecnologia totalmente diversa rispetto alle chiuse storiche. Le paratoie scorrevoli anziché vinciane cambiano la cinematica del movimento, ma in ultima analisi eseguono la stessa funzione. Invece sotto il solettone di fondo ed a lato dei muri centinaia di metri di canali, di triforcazioni, biforcazioni e relative valvole, che esistono ma in misura nettamente minore nelle vecchie chiuse, permettono il sollevamento o l’abbassamento delle navi salvando i tre quinti dell’acqua dolce. I relativi test di funzionamento si sono protratti per sei mesi, controllando le tre modalità di operatività delle conche, automatica, semiautomatica e manuale, in attesa delle prove finali di navigazione che scandiscono i tempi di apertura e chiusura delle paratoie, i tempi di riempimento e svuotamento delle conche ed infine i tempi di transito tra le conche: questi ultimi sono di competenza della Committente ACP.
Lo sprint finale L’anno 2015 è stato l’anno decisivo per le sorti del nostro lavoro, l’anno che ha visto il completamento delle opere civili e l’installazione di tutte le opere elettromeccaniche, cominciando dal-
1. Panoramica del cantiere Pacifico all’inizio del 2015, con le paratoie pronte per il passo finale.
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le 16 paratoie che indubbiamente definiscono in termini visivamente coinvolgenti le caratteristiche salienti del nuovo gruppo di chiuse. Un’anteprima di quello che si sarebbe concretizzato nel 2015 si è verificato il 15 dicembre dell’anno precedente, con l’installazione della prima paratoia nelle chiuse dell’Atlantico. Il posizionamento delle altre 7 è avvenuto con celerità impressionante, tant’è che il 19 gennaio, un mese dopo, l’ottava ed ultima paratoia ha trovato il suo collocamento finale. Le 480 ruote dei carrelli semoventi per il loro trasporto non si sono mai fermate. Nel frattempo le altre otto paratoie destinate al Pacifico hanno attraversato senza problemi, bloccate fermamente sopra una chiatta trainata e guidata da tre rimorchiatori, tutto l’istmo di Panama, arrivando nell’oceano Pacifico, esattamente nella zona antistante il nuovo canale di accesso alle chiuse, con un tempo di transito inferiore alle 48 ore. L’installazione delle 8 paratoie nelle tre conche del Pacifico si è conclusa con successo il 28 aprile 2015, in tempi decisamente più brevi rispetto a quelli programmati. Il
2. Panoramica del cantiere Atlantico quasi al termine della costruzione dei muri laterali.
3. I bacini per il risparmio dell’acqua dolce pronti per le prove di funzionamento.
4. Arriva nel mese di giugno 2015 il momento tanto atteso: l’acqua del lago Gatún riempie le conche atlantiche.
trasporto dall’Italia e l’installazione a Panama, felicemente conclusi, sono stati il risultato di uno studio approfondito durato ben tre anni, che ha analizzato decine di possibili alternative ed ha trovato, coinvolgendo tecnici di tutto il mondo, la soluzione migliore, soluzione racchiusa in una sintesi che i tecnici Cimolai hanno partorito non senza sofferenze. Di pari passo con l’avventura delle paratoie venivano installate le 152 valvole che comandano la danza dell’acqua nei condotti sotterranei tra biforcazioni e triforcazioni, mentre venivano iniziati e completati i 32 edifici che contengono le installazioni di sicurezza e quelle elettromeccaniche, che a loro volta comandano, controllano e mantengono tutte le apparecchiature, tra di loro interconnesse con centinaia di km di cavi elettrici e di fibra ottica. Gli 8 edifici più importanti – machinery buildings – che contengono gli argani di movimentazione delle coppie di paratoie, sono quelli visivamente di maggiori dimensioni, posizionati in asse ai cancelli scorrevoli. La contemporanea costruzione di tutti i bacini per l’accumulo
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temporaneo dell’acqua dolce proveniente dal lago Gatún, i water saving basins, che permettono un risparmio consistente del suo utilizzo rispetto alle vecchie chiuse, hanno totalmente mutato l’aspetto dei cantieri, colorando con il grigio chiaro del calcestruzzo tutta la fascia, larga 150 e lunga 1.500 metri, che fiancheggia le chiuse, area prima occupata in parte dal terreno naturale ed in parte dalle installazioni tecniche dei cantieri, che hanno contemporaneamente iniziato la loro fase di smontaggio. Ma le date più significative dal punto di vista emotivo per tutti coloro che per anni hanno lavorato alla realizzazione di questa opera grandiosa così colma di significati, sono state quelle relative al riempimento delle conche con le acque provenienti dal lago Gatún, avvenute in date molto ravvicinate, l’11 giugno 2015 per il cantiere Atlantico ed il 22 giugno per il Pacifico. Una grande festa per tutta Panama. Il 2015 ha visto anche il completamento di altre importanti strutture, le dighe Borinquen ed il canale di accesso alle chiuse per le navi provenienti o dirette al lago Gatún sul lato Pacifico. Infatti
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per circa 2.300 metri a fianco del lago di Miraflores il livello delle acque tra il vecchio ed il nuovo percorso differisce di 9 metri, dato che il salto di 27 metri tra l’oceano Pacifico ed il lago Gatún viene compiuto con tre salti consecutivi nel nuovo gruppo di chiuse, mentre nel vecchio canale ciò avviene in due tappe separate da un lago intermedio, 18 metri di salto a Miraflores e 9 metri a Pedro Miguel. Nella tratta compresa tra queste ultime è indispensabile quindi una diga che definisca, separandolo dal vecchio, il nuovo canale di accesso alle chiuse. L’allagamento della nuova via di accesso e quindi la sua transitabilità si è compiuta nel mese di settembre. Sono inoltre terminati durante il 2015 anche i lavori per alzare il livello del lago Gatún di 45 centimetri, che a prima vista potrebbero sembrare molto pochi, ma che permettono invece l’accumulo di oltre 200 milioni di metri cubi d’acqua dolce per sup-
plire al consumo di tutte le chiuse, vecchie e nuove, funzionanti simultaneamente. Raggiunto nel mese di ottobre 2015 il 95% di avanzamento di tutte le opere, è stata avviata la fase conclusiva: la realizzazione delle opere di finitura (strade, illuminazione, opere a verde, segnaletica) ed il processo di collaudo delle nuove strutture, civili ed elettromeccaniche, per verificarne il raggiungimento di tutti gli standard dimensionali e funzionali stabiliti in contratto.
5. Una panoramica delle conche a lavori ultimati evidenzia i 3 gradoni da 9 metri.
8. Una panoramica aerea delle chiuse atlantiche all’atto del primo allagamento nel febbraio 2015.
6. Le evidenti infiltrazioni tra la conca intermedia e quella inferiore nel cantiere Pacifico.
7. Iniziano i lavori di riparazione estesi a tutte le chiuse, completati con successo nel febbraio 2016.
I requisiti generali del progetto Prima di illustrare nel dettaglio le prove a cui sono state sottoposte l’insieme delle opere che compongono il progetto, analizziamo le specifiche tecniche che illustrano in poche righe i suoi requisiti generali. La loro lettura è estremamente significativa, perché definiscono con pochi concetti e pochi numeri ciò che
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la Committente ha voluto che fosse realizzato da progettisti e costruttori. Il primo requisito si riferisce alla tipologia della nave che deve attraversare in sicurezza il canale, cioè “la nave di progetto” e non ne indica le misure, ma la sua capacità di carico. Infatti dice che attraverso le chiuse devono passare quelle navi che portano sulla tolda 19 container da 40 piedi affiancati. Nel variegato mondo delle modalità di trasporto, un solo oggetto ha incredibilmente raggiunto la piena condivisione universale: il container da 40 piedi. Per noi affezionati al sistema metrico, si tratta di uno scatolone lungo poco più di 12 metri e con dimensioni trasversali in larghezza pari a 243 centimetri ed altezza 259 centimetri. La larghezza soddisfa la sagoma limite di trasporto sulle grandi vie di comunicazione, pari a 250 cm, e l’altezza complessiva è inferiore alla sagoma limite in altezza, tenendo presente che il piano di carico dei nostri autocarri si trova generalmente a circa 150 cm dal suolo. Quindi 19 container affiancati totalizzano poco più di 46 metri. Solo a questo punto le specifiche ci danno le dimensioni delle chiuse, in larghezza, profondità e lunghezza. La larghezza, cioè la distanza netta tra i due muri laterali delle conche, deve risultare almeno 55 metri, e quella usufruibile 54,50 metri. L’altezza minima dell’acqua nelle conche durante il passaggio delle navi non può essere inferiore a 18,30 metri, regola dettata dal pescaggio massimo ammesso per le navi in transito. Per quanto riguarda la lunghezza, invece, le dimensioni indicate sono tre: 427 metri se misurati tra le due paratoie più interne nella stessa conca, 458 metri tra una più interna e l’opposta più esterna, ed infine 488 metri, una misura molto vicina al mezzo chilometro, (una dimensione veramente eccezionale se facciamo per un attimo riferimento a 5 campi di calcio affiancati nel senso della lunghezza) tra le paratie più esterne. L’ultimo requisito generale è anche il più stringente e riguarda i tempi di transito di una nave attraverso le tre conche, quindi in pratica quello per sollevare il natante dal livello degli oceani a quello del lago Gatún o viceversa. Le specifiche generali non danno il tempo di apertura o di chiusura delle paratoie, né il tempo di riempimento o di svuotamento di una conca, lasciando in un primo tempo la definizione dei tempi parziali ai progettisti. Dicono però con chiarezza che una nave deve occupare le conche per un tempo massimo di 154 minuti se sono in funzione i bacini di recupero dell’acqua dolce e 133 minuti se non lo
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9. A fianco delle conche sono in pieno svolgimento i lavori per la realizzazione di strade e piazzali.
10. Un particolare dei water saving basins: la membrana sintetica è Sibelon prodotta dal Gruppo Mapei.
11, 12. Due immagini dei lunghi moli che indirizzano correttamente le navi nella prima conca.
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sono. Indicano inoltre i tempi minimi tra una concata completa e la successiva, cioè 88 minuti con i bacini di recupero dell’acqua dolce in funzione e 74 senza. È evidente che tali tempi definiscono la capacità operativa del nuovo sistema di conche, cioè quante navi riescono ad attraversare il sistema delle conche nell’arco delle 24 ore, meglio delle 12 ore se, come avviene attualmente, il senso di passaggio viene alternato ogni 12 ore. Infine le specifiche generali indicano un altro parametro fondamentale: il sistema delle conche deve avere un’operatività mensile pari al 99,6%. In parole povere, le chiuse possono NON funzionare solo per 3 ore al mese!
Gli stress test
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Sono prove a cui viene sottoposto l’intero sistema delle chiuse per testarne il funzionamento anche in condizioni anomale, cioè al di fuori del normale ciclo di salita/discesa delle navi. Gli stress test sono normalmente utilizzati in tutti i cicli di produzione, sia meccanici che civili. Le prove di carico sui ponti sono l’esempio a noi più vicino: in genere si utilizzano valori e posizionamento dei carichi tali da sottoporre gli impalcati a sollecitazioni che quasi mai si potranno verificare nella vita utile della struttura, ma che sono indispensabili per verificare se le deformazioni conseguenti siano in armonia con i dati provenienti dal calcolo. Per quanto riguarda le conche dobbiamo parlare di un particolare test che ha dimostrato quanto siano utili questo tipi di prove. Nella trattazione che segue utilizziamo alcune semplificazioni nei valori delle quote. Nella conca più bassa, quella adiacente all’oceano, il livello dell’acqua può assumere in condizioni di esercizio solo due valori: quello al livello del mare con le paratoie lato mare aperte, oppure a quota assoluta +9 all’atto del passaggio della nave alla conca intermedia. Quindi la paratoia tra la conca inferiore e quella intermedia, che ha una quota di pavimento assoluta pari a -9 ed una quota di cresta pari a +18, riceve una spinta dell’acqua nella sua faccia rivolta verso l’oceano per un’altezza di 9 metri oppure di 18. Sull’altro lato, cioè nella conca intermedia, la spinta dell’acqua può provenire da un’altezza fino a 27 metri in condizioni di totale sollevamento della nave. Tale spinta risulta sempre controbilanciata almeno parzialmente dalla spinta dell’acqua presente nella conca inferiore. In condizioni estreme ed estremamente improbabili, per esem-
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pio in caso di fuori esercizio per problemi di manutenzione della conca inferiore, può accadere che questa sia totalmente vuota, quindi tanto per semplificare con il fondo asciutto a quota -18. In questo caso i carichi dissimmetrici a cui è sottoposta la paratoia tra le due conche intermedia ed inferiore assumono i valori massimi, infatti sono nulli sul lato mare, e di conseguenza sono massimi i carichi, gli sforzi e le relative deformazioni sul lato lago Gatún. Un osservatore posizionato sul fondo della conca inferiore vuota vede lato mare una paratoia alta 27 metri e sull’altro lato un muro, meglio un gradone di calcestruzzo alto 9 metri e sopra di esso un’altra paratoia alta anch’essa alta 27 metri, che regge la spinta provocata dal mas-
13. Il canale di collegamento con le nuove chiuse pacifiche; sullo sfondo il ponte del Millennio.
14, 15. Panoramica e particolare delle machinery room che alloggiano gli argani di movimentazione delle paratoie.
16. I moli che si protendono nelle acque degli oceani indicano la via corretta di accesso alle chiuse.
simo livello dell’acqua nella conca intermedia. Ecco, in queste condizioni estreme ed anomale si sono verificate, all’inizio dell’autunno 2015, alcune filtrazioni nell’ultimo gradone di calcestruzzo sul versante Pacifico. Dopo studi approfonditi, sono state individuate soluzioni di riparazione consistenti in un rinforzo della struttura con l’introduzione di un numero consistente di barre in acciaio speciale. Anche se il fenomeno si è verificato solo in uno dei sei gradoni che suddividono le conche di entrambi gli oceani, si è preferito estendere i provvedimenti di rinforzo a tutti i gradoni sia sul cantiere del Pacifico che sull’Atlantico. Queste opere supplementari hanno inciso poco significativamente sul programma lavori, circa tre mesi, in quan-
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to nell’autunno 2015 il percorso critico era rappresentato più che altro dalle opere elettriche, dominate dalla stesa e dal collegamento di un elevatissimo numero di cavi e di fibre ottiche.
I collaudi di tutto il sistema Completati i collaudi dei singoli componenti, strutturali ed elettromeccanici, si passa finalmente ai test sul campo, che comprendono la salita e la discesa delle navi sia sul lato Atlantico che Pacifico. In verità le specifiche ci raccontano che queste prove possono essere eseguite anche senza una nave che sale e scende tra le diverse conche, ma a noi piace pensarle, ed ammirarle, eseguite con un natante vero, anche di notevole stazza, tanto per non scordarci che qui passeranno dei mostri marini di straordinarie dimensioni. Le specifiche tecniche prevedono 4 tipi di prove: 1. Salita dall’Atlantico al lago Gatún 2. Discesa dal lago all’oceano Atlantico 3. Salita dal Pacifico al lago 4. Discesa dal lago Gatún all’oceano Pacifico Queste prove debbono essere portate a termine in duplice modalità, con oppure senza l’ausilio dei bacini per il risparmio dell’acqua dolce, che d’ora in poi chiameremo per semplicità con il loro acronimo ufficiale, WSB (water saving basins). Ognuna di queste prove deve essere completata senza soluzione di continuità, gli inconvenienti che determinano pause o ritardi nelle loro esecuzione per oltre 8 ore comportano l’annullamento dei test e quindi il loro rifacimento il giorno successivo. Vediamo in dettaglio il programma temporale di uno dei test, ricordando che se la prova riguarda la discesa di un natante verso l’oceano la conca superiore dovrà essere inizialmente al livello del lago e le due conche inferiori dovranno essere con l’acqua al minimo livello di esercizio. Se la prova è relativa alla salita di una nave, allora la conca inferiore dovrà essere al livello dell’oceano e quelle intermedia e superiore con l’acqua al massimo livello. Inoltre se la prova prevede l’utilizzo dei WSB, il loro livello sarà l’opposto a quello della corrispondente conca. I test dovranno inoltre comprendere l’opzione “staffetta”, ovvero la possibilità (in realtà nell’uso quotidiano questa opzione viene quasi sempre applicata) che una seconda nave entri nella conca (la più alta in caso di discesa o la più bassa in caso di salita) quando la prima nave è entrata nella conca intermedia. In altre parole, non si aspetta che un nave esca dal complesso delle
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Tempi massimi in minuti per operazioni di concaggio con natante singolo
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Fase Operazione 1 apertura paratoia 2 entrata nella prima conca 3 chiusura della paratoia 4 riempimento/svuotamento 5 apertura paratoia 6 passaggio alla conca intermedia 7 chiusura della paratoia 8 riempimento/svuotamento 9 apertura paratoia 10 passaggio all’ultima conca 11 chiusura paratoia 12 riempimento/svuotamento 13 apertura paratoia 14 uscita dalla sistema di chiuse TEMPO max TOTALE
Senza WSB 5 17 5 10 5 17 5 10 5 17 5 10 5 17 133
Con WSB 5 17 5 17 5 17 5 17 5 17 5 17 5 17 154
Tempo dipendente dal progetto GUPC Tempo di movimentazione da parte ACP
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17. Il traffico automobilistico tra i due lati delle chiuse è assicurato da un percorso alquanto singolare.
18. La torre di controllo ha la stessa funzione di quelle aereoportuali.
19, 20. Due immagini dei WSB: è in corso la posa dell’impermeabilizzazione con membrana sintetica Sibelon.
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chiuse per farne entrare una seconda, le navi procedono come in una staffetta, salendo o scendendo insieme appena la prima ha lasciato la conca di entrata ed è posizionata nella conca intermedia.
In definitiva, utilizzando costantemente i water saving basins, ogni 88 minuti, ovvero ogni ora e mezza, il sistema delle conche consente il passaggio di una nave, e quindi in una giornata il numero delle navi che possono transitare attraverso il terzo set di chiuse risulta essere 16.
Finalmente i test di navigazione I tempi per l’apertura e la chiusura delle paratoie, così come i tempi per il riempimento o lo svuotamento di una qualsiasi conca, sono sotto la responsabilità dell’Appaltatore, mentre lo spostamento delle navi da una conca all’altra ed il loro ancoraggio durante il movimento dell’acqua sono sotto la responsabilità del Committente. Quest’ultimo tempo viene contrattualmente fissato in 17 minuti, ed entra sempre con lo stesso valore nel computo totale del tempo di passaggio attraverso il sistema di conche. Nel caso in cui il passaggio attraverso le conche non sia a concaggio singolo, ma con il sistema a staffetta ovvero con una seconda nave che entri nel sistema delle chiuse quando la prima abbia raggiunto la conca intermedia, allora i tempi si riducono notevolmente perché si limitano alla prime 8 fasi e quindi risultano di 74 minuti senza WSB e di 88 minuti con WSB.
Conclusione Al termine di un lungo percorso di esame del progetto e di numerosi viaggi a Panama, abbiamo voluto andare in stampa mentre sono in corso le prove di navigazione e quindi con un leggero anticipo rispetto alla inaugurazione ufficiale. Questo per permettere ai nostri lettori di avere una conoscenza approfondita della storia del canale e della complessità del progetto del terzo set di chiuse in leggero anticipo rispetto alla normale operatività. Spero che questo risulti gradito, anche se non siamo logicamente in grado di illustrare i grandiosi festeggiamenti che sicuramente si terranno a Panama nell’estate 2016. Ma a questa nostra veniale mancanza suppliranno sicuramente le immagini che tutti i network mondiali trasmetteranno con abbondanza di commenti nelle nostre case.
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7 - Impianto produzione ghiaccio in fase di montaggio
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Finito di stampare nel mese di maggio 2016
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Federico Gervaso
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Federico Gervaso ha lavorato per 37 anni nell’ambito delle imprese che fanno parte del gruppo Impregilo, prima come direttore di cantiere, poi come direttore tecnico ed infine come amministratore delegato di una società del gruppo. Dal 2002 ha preferito rivolgere i propri interessi culturali verso il giornalismo di settore relativo alle grandi opere civili e contemporaneamente verso l’insegnamento universitario, basato sulla propria esperienza cantieristica, svolto presso il Dipartimento di Infrastrutture Viarie del Politecnico di Milano. Per questo volume commemorativo è stata estremamente gradita e quindi viene doverosamente segnalata la collaborazione di Mario Lampiano, Alberto Buffa, Piero Sembenelli e Alessandro Zaffaroni, che hanno proposto capitoli di rilevante interesse.
Il Canale di Panama per il terzo millennio
Questo volume è l’ottavo (mai dire l’ultimo) di una raccolta di libri con formato, grafica ed impaginazione comune, tutti dedicati alle grandi opere infrastrutturali ferroviarie ed autostradali realizzate nel nostro paese, con la sola eccezione di Panama per ubicazione e tipologia.
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Il Canale di Panama per il terzo millennio Federico Gervaso
L’eccezionalità di quest’opera è chiara a tutti, infatti i media internazionali ne hanno parlato più volte abbinando immagini spettacolari. Pochi però ne hanno colto la genesi progettuale e le difficoltà realizzative. Le nuove chiuse che si aprono nel 2016 rappresentano qualcosa di più dell’ampliamento con una terza corsia per il transito delle navi: rappresentano una svolta significativa sia nella tecnologia del sistema che nella ricerca del massimo risparmio energetico e del rispetto dell’ambiente. Il sollevamento e la discesa delle navi sfruttano infatti due concetti noti a tutti: la forza di gravità ed il principio dei vasi comunicanti. Pochissima l’energia necessaria, solo quella per muovere le paratoie e le numerose valvole, una briciola nel confronto con il risultato ottenuto, che è quello di sollevare di 27 metri dall’oceano al lago Gatun dei mostri marini da migliaia di tonnellate. Ma per farlo occorre far discendere milioni di litri d’acqua dolce verso l’oceano dal lago artificiale ricavato con le dighe costruite 100 anni fa ed alimentato dalle copiose piogge, lago che non dispone di una cubatura infinita. Ecco quindi le due grandi novità che differenziano i nuovi set di chiuse da quelle esistenti: le porte delle conche non più vinciane ma scorrevoli, ed i nuovi bacini per il risparmio dell’acqua dolce, affiancati con diversi livelli ad ogni conca. Questo volume racconta quindi lo sforzo progettuale ed organizzativo di migliaia di tecnici ed operai che hanno vinto, in condizioni spesso avverse, la sfida di muovere 50 milioni di mc di materiale, produrre 5 milioni di mc di calcestruzzo e mettere in opera paratoie dal peso di migliaia di tonnellate. Abbiamo infine approfittato dell’occasione per raccontare nei capitoli iniziali la storia spesso drammatica della costruzione del canale, prima negli ultimi anni dell’ottocento con il tragico fallimento dei francesi, e successivamente all’inizio del novecento con la vittoriosa spedizione americana che ha completato l’opera nell’agosto del 1914.