n.26
veritĂ egiustizia La newsletter di liberainformazione
NAPOLI 21MARZO
Il chilometro piĂš bello
Speciale 19/21 marzo
In 150mila contro le mafie e per i diritti Tantissimi da tutt’Italia e da tutt’Europa a Napoli per la giornata della memoria di Libera. Sul palco c’è anche Saviano. Don Ciotti sfida la camorra: “Confischeremo tutti i vostri beni, fermatevi”
È
il popolo degli onesti a scendere in piazza a Napoli. Sfilano in 150mila alla quattordicesima giornata della memoria e dell’impegno, tanti giovani, tante famiglie, insieme ai migranti campani, ai volontari dell’antimafia sociale, ai familiari delle vittime delle mafie. In marcia contro la criminalità organizzata, ma soprattutto in marcia per la giustizia e per i diritti. Il 21 marzo di Libera e Avviso Pubblico si trasforma quest’anno in un rito civile ancora più carico di significati, per dire no alle cosche e al terrorismo, per onorare la memoria di chi è stato ucciso perché si è opposto ma anche delle “vittime del dovere”, per riscattare la bellezza di un paese assediato dai clan e dalla corruzione. Nel primo giorno di primavera il lungomare partenopeo è un simbolo, è il chilometro più bello d’Italia. E Napoli ritrova un altro simbolo: Roberto Saviano sale sul palco in piazza Plebiscito, accanto a don Luigi Ciotti e Ilya Politkovskij, il figlio di Anna Politkovskaja, accanto ai familiari delle vittime delle mafie e ai tanti rappresentanti delle istituzioni. Arriva a sorpresa e la sua voce ricorda i nomi
dei sei immigrati africani uccisi a Castelvolturno, della giornalista russa, delle vittime della faida di Scampia e di Annalisa Durante, uccisa a Forcella a soli 14 anni. È un messaggio ai camorristi, che il fondatore di Libera sfida e ammonisce: “Che vita è la vostra? Vi aspetta il carcere, la clandestinità, la morte. I vostri beni li confischeremo tutti. Fermatevi”. Ma è anche un messaggio alle istituzioni: “Saremo una spina nel vostro fianco, con le nostre idee e il nostro impegno” dice don Ciotti. Perché “bisogna dare vita ai diritti”, a quei diritti affermati dall’articolo 1 della Costituzione “che nessuno può mettere in discussione”, nel rispetto della giustizia sociale e della legalità, “un concetto che troppo spesso si piega a facili strumentalizzazioni per legittimare provvedimenti che vanno in direzione opposta”. Un messaggio alla politica “che calpesta tutti i giorni la legalità e la giustizia”. Il corteo. Sono arrivati da tutt’Italia e da 30 paesi europei, con due navi e decine di trene, con 800 bus e centinaia di auto. Un fiume di gente, gioioso e composto. In testa i 500 familiari delle vittime, che portano le foto dei loro cari e aprono la mar-
2
cia con le parole di Mameli. Sfila il popolo dell’antimafia, mentre dagli altoparlanti risuonano i nomi dei tanti caduti per mano delle mafie. Sono più di ottocento, ogni nome è un esempio. Chi si è opposto al pizzo e chi ha detto no, chi è morto perché ha fatto il proprio dovere, con la toga o con la divisa. È la memoria che si rinnova e si rafforza con i nomi delle vittime del terrorismo. La memoria che si fa globale con i dieci nomi delle vittime delle mafie europee. I colori.Un corteo gioioso e festoso. I ragazzi delle scuole medie campane si vestono da clown, quelli di Lucca hanno il volto coperto da fazzoletti bianchi, perché “vogliamo guardare con altri occhi”. Dietro uno striscione giallo ci sono gli africani del Movimento dei migranti e rifugiati di Caserta, che marciano “Contro la camorra e il razzismo”. Magliette bianche con un codice a barre e un uomo con il cappio al collo ricordano che “La mafia ha un
Speciale 19/21 marzo
Dobbiamo crederci, se ognuno di noi porta anche solo un’altra persona allora ce la possiamo fare”. prezzo”. “Vivo in mezzo alla mondezza, la vogliamo spazzare sta camorra o no?” dice ridendo Ugo, un bambino di Scampia. Gli studenti dell’Uds e dell’Udu cantano e ricordano che l’antifascismo è un valore. Dal camioncino parte un pezzo storico dei 99 Posse, “il sole splende forte a piazza Plebiscito”. E la fantasia linguistica supera l’eccellenza quando su un cartello si legge la coniugazione del verbo camorrare. La denuncia e la speranza. Ma quello di Napoli è anche un momento di protesta. Mario Congiusta - il padre di Gianluca, usccio a Siderno dalla ‘ndrangheta – alza le mani coperte da guanti bianchi con una scritta che è un’invocazione: “Certezza della pena”. Claudio Fava dice secco a un cronista che lo interroga sul caso del sottosegretario Cosentino: “Non è vero che il governo non ci dà risposte, il silenzio è già una risposta”. E Rita Borsellino parla con dolcezza ai ragazzi che la fermano e la salutano: “Avete visto in quanti siamo.
Sul palco. La primavera debutta in piazza Plebiscito coi girasoli portati in braccio da due ragazze sorridenti. Quando il corteo entra nello slargo la coda deve ancora partire, e ci metterà parecchio a guadagnare la piazza. Don Tonino Palmese, referente campano di Libera insieme a Geppino Fiorenza, accoglie la folla mentre sul palco si susseguono gli ospiti, si leggono i nomi dei morti. Le testimonianze. Ci sono le autorità, ci sono i familiari, ci sono i racconti. A parlare per prima è Anastasia, studentessa scesa a Napoli insieme ad altri 1500 torinesi. Racconta l’esperienza della coopeativa nata su un bene confiscato a San Sebastiano da Po. Una cascina presa alla ‘ndrina Belfiore, quelli che ammazzarono il giudice Bruno Caccia nell’83, proprio in Piemonte. “La mafia c’è anche al Nord”, ma c’è anche l’antimafia, che faarte e cultura e si prepara alla produzione del miele, un altro dei tanti prodotti di Libera Terra. Il giorno della memoria e dell’impegno
3
dà voce ai migranti, agli africani colpiti lo scorso settembre. Moamadou Ji, della Rete antirazzista di Caserta, non li vuole commemorare, “perché sono qui insieme a tutte le altre vittime”. E per loro, “per la convivenza e la solidarietà” si scenderà ancora in piazza il 18 aprile proprio a Castel Volturno. La commozione sale quando il figlio della Politkovskaja dice poche ma sentite parole: “Andate avanti, dobbiamo essere sempre di più”. Grazie Napoli. Il dolore si trasforma in speranza quando Alessandra Clemente racconta la storia di sua madre, Silvia Ruotolo, ammazzata nel ’97 quando aveva 39 anni. Alessandra è giovane, ma fortissima: “Non dobbiamo arrenderci. Ci hanno travolti con la loro violenza, senza alcuna motivazione. Ma noi dobbiamo raccontare le nostre storie, abbiamo il dovere e il diritto di farlo”. Quasi una liberazione, in quella che “è la mia città e finalmente posso dirlo, grazie Napoli”.
Speciale 19/21 marzo
Ricordare le vittime ma anche chi resta
C
iro Rossetti, poco più che trentenne, operaio dell’Alfasud, fu ucciso da un proiettile durante una sparatoria a San Giovanni a Teduccio a Napoli. I gruppi camorristici erano in guerra per il controllo del contrabbando di sigarette. Ciro, colpito a morte, lasciò moglie e figli piccoli. Anche loro vittime, perchè lasciati soli dopo la morte di Rossetti, unico sostentamento della famiglia. Ne abbiamo parlato con Giacomo Lamberti, cognato di Ciro, durante la giornata della memoria e dell’impegno. Signor Lamberti, può raccontarci brevemente la storia che la porta ad essere qui a Napoli per ricordare le vittime di mafia? Io sono qui in qualità di cognato di Ciro Rossetti, un operaio dell’AlfaSud, ucciso a San Giovanni a Teduccio l’undici ottobre 1980. Si tratta di una vittima poco nota, come tante altre che oggi vogliamo ricordare. Come ricorda quei momenti, anche storicamente, in che contesto si inserisce la vicenda di Ciro? All’epoca a Napoli era in atto una guerra tra clan camorristici per il controllo del contrabbando di sigarette. Come poi fu appurato nel quartiere dove risiedeva la famiglia di mio cognato era in atto una caccia all’uomo, all’inse-
intervista a GIACOMO LAMBERTI guimento di un pregiudicato, Sorrentino, che doveva essere ucciso dai rivali. Come morì Ciro Rossetti? Quella sera mio cognato Ciro era andato a trovare sua madre per un motivo molto semplice. C’era una partita di calcio in televisione, ItaliaLussemburgo. Come usa molto da queste parti quando c’è una partita di calcio ci si riunisce in famiglia per seguire l’incontro. Per questo Ciro era andato a San Giovanni a Teduccio. Ma nel frattempo, durante la gara, si cominciarono a sentire degli spari. Ciro Rossetti pensava si trattasse di “botti”, di fuochi di artificio, per festeggiare la gara. In realtà erano gli spari che i clan rivali esplodevano contro gli avversari. Giunto sull’uscio, fu colpito da un proiettile all’occhio sinistro e morì dopo poco. Cosa ha significato veder morire un padre di famiglia? La morte di Ciro è stata un dramma. Sia perché ha strappato una vita così giovane in maniera ingiusta, dolorosa, straziante. Sia perché la sua morte ha reso vittime della camorra anche quelli che sono rimasti. Intendo dire che casi come questo lasciano completamente sola una famiglia. Ciro era l’unico sostentamento economico per i suoi cari. Lasciare una famiglia con figli
4
piccoli senza i soldi per vivere rende soli, isolati, vittime anche loro. Pensa che ora le leggi per il riconoscimento di vittime di mafia siano buone? Io penso che la legge sia spesso disattesa. Circa il 90% dei familiari di vittime innocenti della mafie, a livello nazionali, stanno godendo di scarsi o nulli benefici. Anche la burocrazia in questo non aiuta. Dopo il riconoscimento nazionale di vittima di mafia, ci sono spesso occasioni in cui si deve compilare una domanda per rinnovare questo status. Allora mi chiedo, di fronte alla drammaticità di queste vicende, perché non agevolare le procedure e far ricadere invece tutto questo nella burocrazia più gretta e algida? Lei è molto impegnato sui percorsi di memoria, cosa è per lei il 21 marzo? Il 21 marzo è per me la memoria che diventa impegno, impegno che io porto avanti con l’associazione campana dei familiari delle vittime per attuare assistenza a chi, nel suo percorso, deve ancora ritrovare giustizia. Siamo qui in tantissimi da tutta Italia, grazie a Libera. Sento un abbraccio fondamentale da parte di tutti, siamo qui insieme. Sono orgoglioso di questo, orgoglioso che sia Napoli e spero che a Napoli e a tutta la Campania questo serva.
Speciale 19/21 marzo
Campania Express
in viaggio per dire no alla camorra sì alla libertà
S
ono arrivati via terra, via mare. Un fiume umano di colori e musica che ha invaso per tre giorni la Campania da Casal di Principe al capoluogo napoletano. Sono arrivati qui da tutta Italia per dire che questa non è solo terra di Camorra ma anche e soprattutto la terra di una “società responsabile “ che sta rialzando la schiena. Scout, scuole e associazioni insieme da Taranto, Gela, Alba, Aversa per dire che i giovani non intendono accettare il patto del silenzio che la camorra e tutte le altre mafie hanno stipulato con le generazioni precedenti. “Siamo qui per dire no alla Camorra – commenta un ragazzo scout arrivato dalla Calabria - ma soprattutto per affermare il nostro diritto ad essere liberi”. La parola libertà riecheggia più volte nel corteo di Casal di Principe e in quello dei 150 mila di Napoli.
“Libertà e diritti – come ricorda il gruppo scout di Gela – che devono essere riaffermati con forza in Sicilia come in Campania”. “Siamo qui per dire – commenta uno studente del liceo classico di Palermo dal corteo di Napoli – che la Sicilia grida forte contro la mafia”. Ed un grido forte contro la mafia che è l’anteprima di un gemellaggio con i ragazzi campani che parte non solo dalle regioni del centro sud ma che coinvolge in massa anche il nord Italia.
voglia di cambiare questa terra. “Siamo qui perché abbiamo preso un impegno concreto – dichiarano i ragazzi del presidio di Libera ad Alba – è un impegno che portiamo avanti durante tutto l’anno e che riconfermiamo qui a Napoli con la nostra presenza”.
Scout, scuole e associazioni Italia si è unita in insieme da Taranto, Tutta un abbraccio grande e ai famigliari di Gela, Alba, Aversa caldo vittime di mafia e ha
Con intelligenza e senso di responsabilità dal Piemonte all’Emilia Romagna i giovani hanno capito, forse meglio degli adulti, che le mafie non sono un affare lontano dalla loro realtà e sono arrivati in Campania – dopo una lunga notte in viaggio – per condividere il peso di questa battaglia e la
5
ribadito il proprio impegno costante contro le mafie. “Non è un corteo, non è una manifestazione - ribadisce dal palco del 21 marzo – Don Luigi Ciotti presidente di Libera, è il frutto di un lavoro che dura 365 giorni l’anno e che deve sempre stimolarci a fare di più”. Di più.
Speciale 19/21 marzo
I
1 dicembre 1980. Sono passati solo diciotto giorni dal terremoto che a fine novembre ha devastato la Campania e non solo. Ma la potente macchina della camorra già si è mossa. Infiltrarsi nell’assegnazione dei primi appalti per la ricostruzione è una occasione troppo ghiotta. A meno che qualche sindaco non metta i bastoni fra le ruote. Marcello Torre, sindaco di Pagani, di lasciare in mano alla camorra la ricostruzione non ne vuole certo sapere. E per suo impegno civile fu ucciso in quel dicembre di quasi trent’anni fa, su ordine del potente boss della Nuova camorra organizzata Cutolo, come ha accertato il processo riguardante il suo assassinio.
Annamaria, figlia di Marcello è nervosa quando la incontro in albergo, poche ore prima della riunione dei familiari che da tutta Italia sono convolati a Napoli per la giornata della memoria dell’impegno. Ma nonostante ciò non disdegna un caffè e guardandomi negli occhi dice: «Sono molto tesa perché oggi pomeriggio farò un intervento davanti agli altri familiari; per me il 21 marzo in Campania ha un doppio significato, essendo non solo la giornata della memoria ma anche un momento di risveglio per la Campania, quell’etica che non solo “libera la bellezza” ma libera anche la nostra coscienza civile». Annamaria da quel giorno non ha mai smesso di soffrire: «una morte del genere non la sorpassi, è un dolore costante che ti porti dietro, il tempo non aiuta, però noi ci battiamo, ci dobbiamo battere perché questa terra ha anche bisogno di noi per riscattarsi». Ne è convinta Annamaria che appunta su un foglio questa frase, «mi servirà per questo pomeriggio, perché anche noi dobbiamo impegnarci e batterci». A Pagani, come mi ricorda Annamaria, il ricordo di suo padre è molto forte. La realtà paganese, poco considerata dai media, non è certamente avulsa da logiche camorriste anche oggi: «Non è giusto pensare a un cono d’ombra che inglobi questa realtà e la preservi perché la camorra è molto pervasiva e le collusioni sono all’ordine del giorno». E mi ricorda le imprese edili che solo qualche giorno fa sono state indagate per il collegamento con la camorra casalese. «Non si può parlare di camorra con una visione Ottocentesca della questione, in un momento di acclarata globalizzazione mafiosa- mi dice Annamaria- negare questa realtà, questa zona grigia assai diffusa ovunque è “omertoso”».
“Questa terra ha bisogno di noi” incontro con Annamaria Torre
Chiedo ad Annamaria come si concretizza soprattutto nella sua città il suo impegno e il ricordo di suo padre. E lei ricorda le appassionanti parole del padre scritte nella sua lettera testamento del 30 maggio 1980, indirizzata alla moglie Lucia e ai due figli, Giuseppe e Annamaria appunto. Pochi giorni dopo sarebbe stato eletto sindaco per una lista civica, ma già in quella lettera affidava ai familiari il suo alto senso civico e l’importanza dei valori che avrebbe rispettato soprattutto dopo l’elezione a sindaco. «Non ho alcun sogno personale. Sogno una Pagani civile e libera. [...] Siate sempre degni del mio sacrificio e del mio impegno civile». Parole che quasi presagiscono l’alto sacrificio cui Marcello Torre andò incontro: «Per me l’ultima lettera di papà è un Vangelo – dice Annamariasu cui baso la mia vita e l’impegno nel ricordare la sua memoria, anche tramite il premio e l’associazione Marcello Torre a lui dedicati». Nella tensione, nella dura amarezza e nel dolore del ricordo di quei giorni Annamaria non riesce a nascondermi la sua anima solare anche quando mi ricorda i momenti più duri non l’ultimo quello dell’uccisione di Marco Pittoni, giovane tenente dei carabinieri, il cui funerale, lo scorso anno, portò Annamaria a rivivere il trauma della morte del padre: «Fu come ritornare a trent’anni prima, fortunatamente ci fu più mo-
6
bilitazione attiva, ma penso che morti del genere siano una ferita costantemente aperta». Il dolore per chi si ne va riesce purtroppo a fare altre vittime. Il trauma del ricordo della morte del padre così duro per Annamaria è stato più duro per il fratello Beppe che mai ripresosi da quell’omicidio è morto sette anni fa. Anche per lui bisogna combattere, per quel filo di dolore e disperazione che un omicidio lascia dietro di se. Il 19 marzo la madre di Annamaria Torre e moglie di Marcello e Iolanda Di Tella, madre di Don Peppe Diana erano a Casal di Principe. Ricorrevano i quindici anni dall’uccisione del prete casalese. Ed era anche S. Giuseppe. Non solo per don Diana ma anche per Beppe Torre, strappato sette anni fa alla vita. Le due donne ha portato un mazzo di fiori sulla tomba di don Diana per ricordare i loro due figli: «Hanno voluto ricordare così i due Giuseppe, Don Diana ucciso direttamente e mio fratello vittima di ciò che la camorra ha fatto a mio padre» mi racconta commossa Annamaria, prima di salutarmi.
Speciale 19/21 marzo
Quando il cinema si fa IMPEGNO
Intervista a PEPPE RUGGIERO
S mafia.
iamo nelle terre di Biutiful cauntri. La bellezza e le ecomafie, la camorra dei Casalesi e la speranza del popolo dell’anti-
Sì, siamo nelle terre di buitiful cauntri. La manifestazione del 19 marzo a Casal di Principe è un momento di grande speranza. Ma non dobbiamo mai dimenticare che, nonostante il tema sia ormai ignorato dai media, in queste terre continua lo sversamento illegale dei rifiuti. Non solo a Casale, ma anche a pochi chilometri da qui, a Qualiano, Giugliano e Villaricca. La grande partecipazione della gente è importante per raggiungere l’obiettivo, per far capire che queste terre, le terre dei Casalesi, le terre di biutiful cauntri sono anche e soprattutto le terre di Don Peppe Diana. Da qui può passare un messaggio forte di speranza al Paese, per non abbassare la guardia, per continuare a raccontare l’inferno e la bellezza, due aspetti che
convivono nella stessa realtà, ovunque. Infatti biutiful cauntri non è solo Casale, ma biutiful cauntri è in ogni parte del nostro territorio.
Da Biutiful cauntri a Fortapàsc, da Don Peppe Diana a Giancarlo Siani. Anche l’arte e il cinema hanno una funzione pedagogica indispensabile.
C’è un altro messaggio di speranza: la nascita di una cooperativa su un bene confiscato che produrrà mozzarella con un marchio di garanzia, quello mafie free.
Penso che il linguaggio del cinema e dell’arte sia un linguaggio incisivo, diverso da quello giornalistico. Linguaggi che si affiancano e si completano. Il linguaggio dell’arte visiva arriva immediatamente ai giovani, si riesce più facilmente a scuotere le coscienze anche attraverso delle immagini forti, dei veri e propri pugni nello stomaco. Con il cinema e con il documentario si può raccontare la realtà così com’è, nella sua complessità, si può dare la possibilità di conoscere senza dimenticare la poesia. Spesso si dice che il cinema che racconta la mafia è un cinema che “diffama”, che distribuisce immagini negative. Io penso che il cinema racconti la realtà, dia allo spettatore la possibilità di conoscere, e gli dia la possibilità di scegliere. Il cinema fa in modo che su certi fatti non cali mai il silenzio.
Si produrrà la mozzarella della legalità. Un atto simbolico in queste terre dove l’oro bianco è un valore aggiunto, dove la mozzarella è patrimonio identitario e un elemento essenziale dell’economia locale, una filiera danneggiata dai veleni sversati da criminali. Un segnale forte per i cittadini, per far capire che con l’impegno senza delega si può arrivare al cambiamento. La mozzarella è un simbolo di questa regione, la mozzarella della legalità sulle tavole degli italiani vuol dire dare la speranza del futuro.
7
Speciale 19/21 marzo Incontro Ilya Politkovsky al Maschio Angioino. Il 21 marzo, giornata della memoria e dell’impegno organizzata da Libera, anche lui è voluto essere qui. Lui che ha perso nell’ottobre 2006 la madre Anna, uccisa nel suo appartamento a Mosca. A due anni e mezzo dall’omicidio di Anna Politkovskaya di certezze ce ne sono poche, forse solo una: il processo da poco conclusosi è stato un buco nell’acqua, voluto o meno da parte di qualcuno. Lacunoso fin nelle sue fasi investigative, il procedimento giudiziario ha portato ad una assoluzione per gli imputati che erano stati accusati di aver progettato logisticamente l’omicidio, il 7 ottobre 2006, sulla giornalista della Novaya Gazeta. Nessuno accusato di aver fatto fuoco e tanto meno nessun tentativo di far luce su i mandanti dell’omicidio della Politkovskaya, al momento ignoti. Ilya, in Italia il 21 marzo è ormai un appuntamento fondamentale per il ricordo delle vittime delle mafie, cosa hai sentito ad essere qui? Essere qui è una cosa molto importante per me. Devo dire che il primo sentimento che mi ho provato è che questa cosa, che noi, io e te abbiamo fatto qui oggi Napoli sarebbe impossibile in Russia. So che la vostra situazione in merito alle mafie è molto difficile ma le cose che state facendo oggi sono davvero importanti e significativi e penso che nel mio paese questo è ancora lontano da venire e al momento impossibile. Cosa pensi della situazione processuale riguardo l’omicidio di tua madre? Penso che le persone che sono state scagionate erano sicuramente coinvolte in qualche modo ma non erano colpevoli. Il loro rilascio secondo me è stato frutto di un lavoro corretto da parte della giuria. Li capisco perfettamente, sulla base di quegli elementi la giuria ha agito in modo corretto. Non posso colpevolizzare o biasimare la decisione e penso sia stato fatto tutto il possibile in base agli elementi in loro possesso. Cosa pensi che ci sia stato di sbagliato,
Dalla Russia a Napoli intervista a Ilya Politkovsky Il figlio della giornalista uccisa nel 2006: una giornata emozionante, in Russia sarebbe impossibile perché non c’è la democrazia. La promessa: tornerò una impostazione errata a monte? Penso che le investigazioni siano state fatte professionalmente, ma ad un certo punto sono comparsi documenti, interrogatori che nulla avevano a che fare col processo. Penso che siano necessarie altre investigazioni. Per questo siamo contrari al ricorso: ritornare alla corte con le stesse carte non avrebbe senso. I due indiziati di aver pedinato mia madre si dice l’abbiano fatto due giorni prima dell’omicidio. Non è così, uno dei due ha un sacco di testimoni che lo provano essere in università.
ler assoldati da mandanti esterni e che le investigazioni abbiano subito dei rallentamenti? Riguardo alle investigazioni posso dirti che ho questa sensazione, ovviamente, senza però conoscerne la ragione. Quanto alle persone che hanno materialmente sparato, come in molti altri casi, non sono direttamente collegati. Loro hanno ucciso semplicemente per affari, hanno sparato a mia madre perché sono killer di professione. Non avevano altro motivo per farlo. Stiamo ancora cercando chi possa essere dietro a questo omicidio.
“Indagini ostacolate, restano oscuri i mandanti”
Bisognerebbe iniziare nuovamente. Pensi che dietro all’omicidio ci siano kil-
8
Hai più volte dichiarato che il governo russo non vi ha indirizzato nessuna condoglianza, nemmeno una parola, cosa
Speciale 19/21 marzo
pensi della repubblica russa?
dal governo.
Ah, la repubblica Russa....Qui in Italia c’è la democrazia da noi non ancora, spero che venga in futuro. Non sono completamente contrario all’attuale governo, ma non c’è una democrazia compiuta. Se penso ad altre repubbliche ex sovietiche dove la situazione è ben peggiore non posso assolutamente lamentarmi.
Su questo tema ti assicuro che anche in Italia non siamo da meno..
Penso che tutto sia da rapportare al proprio contesto, quella democrazia che tu vedi in Italia, c’è per i tuoi occhi di russo, per molti italiani è in bilico. Ad esempio sul terreno della libertà di stampa, in Russia come stanno le cose? Parto sempre dal paragone con altre repubbliche ex sovietiche. In alcune di esser non esiste nulla che non sia governativo o filogovernativo. Anche in Russia per la maggior parte è così. SI tratta di televisione direttamente o indirettamente controllate
Allora è una cosa comune. Comunque dicevo che in Russia esiste ancora qualche piccolo baluardo dell’indipendenza della libertà di stampa. Non ti parlo di realtà di grandi canali televisi ma di una radio come Echo of Moscow (che è di proprietà di Gazprom media per il 65%) e di realtà come la Novaja Gazeta dove lavorava mia madre. Il fatto che esistano questi piccoli fortini della libertà di stampa è un minimo di garanzia contro una deriva completamente governativa. A gennaio è stato ucciso l’avvocato Markelov e un’altra giornalista della Novaja Gazeta, pensi a qualche collegamento? Non so, non ne ho le ho prove. Di certo la gente non è molto scossa da queste
9
morti. A gennaio hanno ucciso Stanislav Markelov. Lui lavorava come avvocato per diritti civili, difendendo anche donne cecene. Con lui è morta pure la giornalista Anastasia Baburova, che si trovava lì per caso e ha tentato di soccorrere l’avvocato. Sui loro casi si è spostata leggermente di più l’opinione pubblica ma dal punto di vista giudiziario la situazione, sebbene agli inizi, non ha ancora svelato killer e tanto meno mandanti. Grazie Ilya, spero di rivederti, ora tornerai al tuo lavoro? Si tornerò a occuparmi di Pubbliche relazioni, ma ti auguro di vederti nuovamente, magari l’anno prossimo, per il 21 marzo. Buon lavoro.
Speciale 19/21 marzo Le interviste/1
CONTRO LA CAMORRA
una sfida senza precedenti
Intervista a Beppe
Lumia confiscare appartamenti nei quali collocare servizi ai minori, ai disagiati, può diventare un veicolo straordinario in grado di far ritornare alla comunità quello che i mafiosi hanno tolto. Questa la migliore strada per l’antimafia nel nostro Paese. In Campania si calcola che su 1300 beni confiscati alla criminalità soltanto una trentina venga riutilizzata a fini sociali … perché?
S
en. Lumia parte oggi da Casal di Principe questa tre giorni per la Memoria e l’Impegno e proprio dalla terra di Don Peppino Diana. Un segnale nuovo di partecipazione dal casertano? E’ ancora vivo in me il ricordo del suo impegno e anche quello dei tentativi di depistaggio dopo la sua morte che tentarono di infangarne il ricordo e di ostacolare la giustizia. La memoria è importante e da sempre Libera fa di questa memoria non un momento di nostalgia o consolazione, bensì un luogo dove si tiene alta la motivazione costante nell’impegno, severo, responsabile, in grado di verificare il cammino fatto nella lotta alle mafie e provare a fare sempre un passo in avanti.
Bisogna andare avanti perché qui ci aspetta una sfida senza precedenti. Battere i Casalesi sul piano militare, colpire i grandi latitanti ma soprattutto estirpare le collusioni con l’economia e la politica, e riprodurre un clima sociale e di cultura della cittadinanza che possa fare recuperare a tutti quell’impegno che Don Peppino Diana ha lasciato a queste terre.
“Ricordo i depistaggi su don Diana, la memoria serve a questo”
Quali le sfide oggi da affrontare nel casertano contro la camorra?
Nella stessa giornata in cui si ricorda Don Peppino Diana si firma il protocollo che consentirà la nascita della prima cooperativa casertana che produrrà mozzarelle su un bene confiscato alla camorra, ai casalesi… Si questa è la strada più importante trasformare i beni della mafia in risorse della legalità. Legalità e sviluppo devono stare insieme. Produrre mozzarelle, recuperare le ville, mettere in produzione terreni,
10
Ho denunciato questi dati in commissione antimafia. La situazione è insopportabile, questo è vero, ma proseguiamo nella battaglia affinché si modifichino i sistemi di assegnazione dei beni che, a mio avviso, dovranno essere gestiti dalle prefetture insieme alle associazioni come Libera che operano quotidianamente sui territori; senza abbandonare l’idea dell’Agenzia unica per la gestione del patrimonio sottratto alle mafie, idea sulla quale questo Governo si è pronunciato in maniera contraddittoria. Quanto c’è di vero nelle voci che ipotizzano la vendita in aste pubbliche dei beni confiscati alla criminalità organizzata? Posso con certezza sostenere che impediremo, con qualsiasi mezzo, legislativo e con presenza fisica l’eventuale vendita all’asta dei beni confiscati alle mafie
Speciale 19/21 marzo
“Diamo una dimensione sociale alla lotta alle mafie” Intervista a Francesco Forgione questa modernizzazione capitalistica di questa economia falsata e distorta che ha trasformato, devastandolo, il paesaggio sociale del mezzogiorno, e non nei punti bassi dell’arretratezza e del sottosviluppo. Dobbiamo cercarle in questi territori e nella cittadella finanziaria di Milano piuttosto che nelle grandi holding economiche criminali e questa è la sfida che abbiamo. Punti alti che sono anche quelli troppo spesso della politica … quanto ancora c’è da fare in terra di Camorra per rompere queste compiacenze o contiguità?
C
osa è rimasto del messaggio di Don Peppino Diana a 15 anni dalla sua morte?
Sono rimaste quelle straordinarie parole che davano il titolo alla sua lettera, per amore del mio popolo non tacerò. Rompere tutti i silenzi vuol dire infrangere tutti i muri di omertà, quella sociale, politica, istituzionale che rendono forti le mafie e costruire una indignazione di massa. Bisogna farlo per amore del popolo. Per amore di una idea diversa delle relazioni sociali e della libertà. Inoltre questo messaggio indicava una strada all’antimafia. Quale? Quella di superare l’esclusività della di-
Bisogna evitare l’ecumenismo dell’antimafia. Quello che siamo tutti uniti a leggere una pagina di Gomorra in pubblico ma che poi il giorno dopo non mette sotto accusa politici e amministratori collusi con la camorra. E poi delega tutto alla magistratura, rinunciando a fare pulizia al suo interno.
mensione penale e giudiziaria. Bisogna recuperare una grande dimensione sociale nella lotta alle mafie, altrimenti finiamo per delegarla sempre alla magistratura alle forze di polizia che sono necessari e devono rimanere indipendenti ma non bastano da soli. Dobbiamo tutelarne l’indipendenza e l’autonomia e non privarli di strumenti fondamentali come le intercettazioni. A Casal di Principe saranno più di 10.000 i giovani che arriveranno da tutta Italia, scout, associazioni, scuole… a Napoli sono previsti in 100 mila. C’è qualcosa che si muove nonostante tutto? Si, bisogna ripartire da qui, ricostruendo una cultura ricca, della realtà dell’esistente, per cercare le mafie laddove non si vedono. E le mafie vanno cercate nei punti alti di
11
E per il settore dell’imprenditoria, del mezzogiorno in particolare? Gli imprenditori del sud e del nord devono fare una autocritica di fondo. Io dalla Mercegaglia non ho sentito parole interessanti su questi temi. Quando attraverso la Salerno – Reggio Calabria vedo le condizioni dell’imprenditoria calabrese ma vedo anche quella degli imprenditori del nord, che quando vengono al sud, la mattina firmano protocolli della legalità e il pomeriggio si spartiscono con i capimafia appalti e subappalti. Bisogna ricostruire un’etica pubblica che attraversi economia, politica, imprese e anche nelle relazioni individuali e collettive di ognuno di noi.
Speciale 19/21 marzo La Politica del fare Intervista a Pierpaolo Romani
A
nche i comuni protagonisti a Napoli e a Casal di Principe, nelle manifestazioni che hanno portato alla quattordicesima giornata della memoria e dell’impegno, insieme a Libera e ad Avviso Pubblico. E quegli amministratori riuniti nella rete degli enti locali contro le mafie hanno voluto organizzare nel capoluogo partenopeo la loro assemblea nazionale, il 20 marzo. “Siamo qui per lanciare un messaggio – dice Pierpaolo Romani, coordinatore di Avviso Pubblico - vogliamo raccogliere le buone prassi, e diffonderle anche attraverso il sito Avvisopubblico.it, perché vogliamo riscoprire la politica come azione responsabile, al servizio di tutti”. Rinnovare la politica per contrastare le mafie, dunque. Ma in che modo? “È l’obiettivo che ci siamo posti nel ’96, quando è nato Avviso Pubblico. La nostra rete mette insieme più di 180 enti, tra comuni, province e regioni. Una rete di amministratori che non solo si schierano contro le mafie, ma si impegnano nella formazione civile, con progetti e iniziative. Crediamo che la mafia si combatta anche dal punto di vista culturale. In positivo”. C’è però un fronte caldo, quello delle infiltrazioni. “Nei comuni si gioca la partita principale contro le mafie. Per un semplice motivo: se le mafie non avessero un rapporto con la politica, con quella parte della politica che dalla mafia ha consenso, restituendo in cambio ricchezza ad esempio dalla determinazione dagli appalti, la mafia non sarebbe tale, non esiterebbe da 150 anni. Dobbiamo tenere alta la guardia sugli appalti. Lì ci sono i soldi e i mafiosi cer-
cano quello. Attenzione: non solo al Sud. L’ultima relazione della Dna ci dice che ci sono cosche che se in Calabria si fanno la guerra, in Lombardia hanno trovato una pax determinata dagli affari. Cercano di drenare più denaro possibile, attraverso aziende legali e si infiltrano”. Cosa vuol dire tenere alta la guardia? “Gli amministratori hanno delle responsabilità: è vero che alcune funzioni, che sono poi determinanti per la concessione degli appalti, sono svolte dai dirigenti, ma questo non può esimere l’amministratore locale dal controllo e dall’eventuale sanzione del dirigente. La politica deve essere questo”. La legge sullo scioglimento dei comuni sembra però non risolvere il problema burocrazia. Quali sono le proposte di Avviso Pubblico? “Abbiamo promosso un seminario sui comuni sciolti per mafia. Sono ormai più di 180 dal ’91. Parlarne a Napoli è significativo: è la provincia con il più alto numero di scioglimenti, sono 44 i comuni commissariati. Si stanno facendo passi in avanti importanti: le proposte di legge della commissione antimafia presieduta da Francesco Forgione sono entrate a par parte del pacchetto sicurezza già approvato al Senato. Abbiamo chiesto al nuovo presidente dell’Antimafia Giuseppe Pisanu che questo provvedimento, che introduce la licenziabilità dei dirigenti, che spesso sono quegli uomini cerniera tra le mafie e le amministrazioni locali, venga sostenuto e migliorato. Chiediamo che i commissari che vengono spediti a gestire lo scioglimento, in attesa delle nuove elezioni, siano persone professionalmente preparate, e che si de-
12
dichino a tempo pieno alla ricostruzione del tessuto democratico e amministrativo violato”. Spesso dopo gli scioglimenti e le elezioni, si rivedono le stesse facce. “Dobbiamo dire con forza che sono in gioco e i partiti e i cittadini. Dico che i partiti non devono candidare non solo personaggi condannati e rinviati a giudizio, come si sostiene nel codice etico della commissione Forgione, ma anche personaggi discussi. Questa è la degenerazione della politica. Tra il 2001 e il 2005 sono stati un centinaio i deputati che hanno cambiato schieramento. Perché oggi non abbiamo partiti in grado di veicolare il consenso politico, ma ci sono singole persone. Finché non si distrugge il meccanismo del consenso personale, finché non imporremo ai partiti di non candidare personaggi discussi, cambierà molto poco”. Quei personaggi, però, raccolgono i voti. “Esatto. Anche i cittadini devono smettere di votare i mafiosi, bisogna rifiutare di barattare il loro voto con favori. Anche le imprese devono rompere il loro legame con certa politica, non finanziando certe campagne elettorali. Allora il rapporto mafia politica riguarda tutti, chi è amministratore, chi è in politica, chi è imprenditore e chi è semplicemente cittadino. Bisogna pretendere il rispetto dei diritti costituzionali, ma anche impegnarci a rispettarne i doveri, altrimenti facciamo solo parole”.
Speciale 19/21 marzo Lettera ai Casalesi
DA SOLI SI PUO’
O
di Paolo Esposito sservavo quella piazza fino a mezz’ora prima stracolma di giovani e non solo da ogni angolo d’Italia, dal Piemonte alla Sicilia, dalla Sardegna alle Marche. Alcuni volontari nel giro di pochi minuti avevano accantonato molte sedie in un angolo, di lì a poco avrebbero smontato anche il palco. Intorno a me qualche sparuto gruppetto di scout e gli amici di Libera. A parte loro, la piazza si era completamente svuotata. Ero lì anche nel 2004, in occasione del decennale dalla morte di don Giuseppe Diana, come negli anni precedenti. Non ho mai conosciuto don Peppe di persona, ma come scout del suo gruppo, a differenza di molti, ho da sempre conosciuto la sua storia dai genitori e da quanti hanno condiviso con lui tante avventure e battaglie. Anche questa volta ho sentito il dovere di esserci, perché come mi hanno insegnato gli scout una noce in un sacco non fa rumore. Da cittadino di questa Terra ho sentito ancora una volta il diritto e il dovere di aggiungere la mia noce in quel sacco. Eppure, nel vedere quella carovana allontanarsi man mano da Casal di Principe, ancora una volta ho avvertito un forte senso di angoscia e solitudine. Sono sempre contrapposti i sentimenti di chi vive o si lascia vivere da queste parti. Da una parte un forte desiderio di riscatto e di cambiamento, dall’altra però rassegnazione. Ci si guarda intorno e ci si sente soli tra la gente. Soli tra alcune di quelle facce presenti lì giovedì ormai consumate dall’arrogante arrivismo politico; soli tra quelle facce che, pur consapevoli di ciò che è buono e ciò che è cattivo, per tirare avanti devono quotidianamente piegarsi a dei meccanismi perversi; soli tra alcune di quelle facce che farebbero di tutto pur di guadagnarsi un posto nel novero degli pseudo-professionisti dell’antimafia; soli tra torinesi, milanesi, veneti, emiliani, sardi, siciliani e romani che in questi giorni
faranno ritorno nelle loro rispettive città; soli con quegli appena due minuti dedicati dai telegiornali alla manifestazione; soli con una chiesa aversana quasi totalmente assente. Non sono tra quelli che pensano che queste manifestazioni servano a ben poco, al contrario sono un punto di partenza per riaffermare la propria voce su un territorio martoriato, per dire che ci siamo, per far capire anche che Libera c’è, è una garanzia e non ama le passerelle. Ma mi chiedo quanti tra i conterranei presenti giovedì fossero lì perché realmente animati da un desiderio di riscatto. Ho come la sensazione che siamo vittime di noi stessi, del nostro mancato senso di attaccamento alla Terra, del nostro volerci lasciare vivere. All’indomani dell’inva-
13
sione pacifica nella nostra zona, ho girato e sbirciato qui e là. Tutto sembra tornato come prima, i riflettori si sono già spenti, tutti ritornano alla propria vita di sempre. Impresse nella mia mente due immagini, il mio grazie al colonnello Carmelo Burgio, comandante provinciale dei carabinieri di Caserta e uno dei protagonisti della cattura di Giuseppe Setola, e l’originale trovata dei ragazzi dell’ex parrocchia di don Peppino Diana che hanno montato una telecamera su un braccio elevatore di legno per riprendere l’intera manifestazione. Un’immagine questa che spero diventi il simbolo di questa giornata, perché tutti si rendano conto che anche dal nulla, anche con pochi mezzi si può fare qualcosa. Basta il Noi, basta riempire quel sacco di noci…