Verità e giustizia

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n.99

10 dicembre 2012

veritĂ egiustizia

La newsletter di liberainformazione


>>editoriale

La guerra invisibile

Pace per il Messico

di Tonio Dell’Olio

di Anabel Hernández

Con Libera abbiamo presentato alla stampa la Campagna “Pace per il Messico. Mexico por la paz” (www. messicoxpace.it) e abbiamo intitolato il dossier che raccoglie dati e storie di quella terra “Messico la guerra invisibile”. Non era un facile ricorso al titolo ad effetto e nemmeno il tentativo di incuriosire i giornalisti non coup de theatre di dubbio stile. Semplicemente una constatazione. Perché alzi la mano in Italia chi sa che negli ultimi sei anni sono 136.100 i morti nella guerra ai narcos, nella guerra dei narcos e nella guerra tra i narcos. Un numero superiore a quello di qualsiasi conflitto armato che si sta combattendo in giro per il mondo. Eppure non se ne parla e, forse, non se ne deve parlare. Per non offuscare l’immagine di quel Paese. Per non turbare le relazioni del nostro Paese con quel governo. Per non rischiare di comprometterne i rapporti economici e commerciali. Per mille ragioni. Ma noi continuiamo a sperare in un’informazione con la schiena dritta che voglia scommettere sui risultati di una solidarietà internazionale che contribuisca a sanare le ferite e a costruire la pace. 2 verità e giustizia - 10 dicembre 2012

Uno Stato in decomposizione. Corruzione e illegalità dilagano e le mafie hanno trovato complicità ai più alti livelli istituzionali del Paese. Migliaia i desaparecidos, le vittime della guerra fra i narcotrafficanti

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l Messico è devastato. La profonda cultura di illegalità e corruzione hanno messo in pericolo ciò che c'è di più prezioso nel paese: le famiglie, il loro patrimonio, le imprese legali che danno lavoro sicuro, la sicurezza nelle strade e a scuola, la salvaguardia delle risorse naturali e degli esseri viventi, e l'integrità dello Stato e delle sue istituzioni. Silenziosamente, per decenni, in Messico si è andato sviluppando uno stato di decomposizione. La corruzione è penetrata in tutti gli ambiti della vita quotidiana: il governo, la politica, l'industria e il commercio, la cultura, lo sport e lo spettacolo. La società ha tollerato e accettato di essere parte del fenomeno e ha coniato frasi vergognose come "ciò che non è corrotto non progredisce". Grazie a tutto ciò la criminalità organizzata ha trovato circostanze agevoli per diffondersi. Si è infiltrata in tutti i settori grazie alla complicità e alla protezione dei governanti, dei rappresentanti del popolo e


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degli imprenditori. Le stesse autorità si sono trasformate in assassini e delinquenti. Mai, in tutta la storia del mondo, la corruzione è stata portatrice di pace e benessere. Al contrario ha portato ingiustizia, impunità, disuguaglianza, povertà, emarginazione, insicurezza e violenza. Il costo della corruzione non si misura solamente in milioni di dollari di tangenti per la concessione di contratti, interventi e favori e nell'ingiustzia in cui pochi si arricchiscono mentre nel resto della popolazione cresce la disuguaglianza. In Messico il costo della corruzione si misura in migliaia di persone diventate vittime della guerra tra narcotrafficanti, migliaia di desaparecidos, centinaia di migliaia di desplazados che hanno dovuto abbandonare le loro case e strapparsi alle loro radici e milioni di noi che sono stati vessati dal sequestro e dall'estorsione. La corruzione è la principale causa della violenza che viviamo e il nostro silenzio e la nostra tolleranza fanno sì che questa cresca sempre di più. Oggi il paese è una scatola nera di violenza e impunità e noi tutti ci viviamo den-

tro. Oltre ai cartelli della droga che distruggono il Messico, centinaia di cellule criminali in molti stati del paese si dedicano alla vendita al dettaglio della droga, al sequestro, all'estorsione, alle rapine e ad altri settori illegali; inoltre hanno cominciato ad assumere funzioni di governo come quelle di "sicurezza" e "giustizia". Oltre a ciò sono iniziati ad emergere piccoli gruppi criminali appaltati dai cartelli, dalle cellule criminali o da chi li finanzia, per commettere omicidi e sequestri. La paura è diventata parte della nostra vita quotidiana e la paura o ci paralizza o ci spinge all'azione. Poiché è impossibile oggi non avere paura in Messico, facciamo di questa paura una forza vera di cambiamento: Diffondiamo a partire dalle nostre famiglie una cultura di legalità e giustizia. Non diventiamo indifferenti come sono stati i nostri governanti davanti al dolore e alla disgrazia dei più. Non giriamo lo sguardo dall'altra parte, in silenzio, quando si compie un delitto o un'ingiustizia, non accogliamo a braccia aperte i delinquenti, né la criminalità organizzata né i colletti bianchi, quando vengono a bussare

alla nostra porta o ai nostri quartieri, carichi di denaro sporco per comprare le nostre coscienze. Non permettiamo che chi lotta per una causa giusta resti da solo o venga ammazzato e minacciato. Ciò che abbiamo perso in questi ultimi anni nel nostro paese non ha prezzo. Non c’è denaro che possa ripagare il dolore di una madre, di un marito o di una bambino che piangono per i loro defunti o per i loro familiari scomparsi. La diagnosi della situazione del nostro paese è terribile, desolante. Però nel mezzo delle avversità brilla la speranza che ognuno di noi possa cambiare con le sue azioni ed il suo esempio in un motore di innovazione e legalità. Mille uomini e donne lavorano tutti i giorni in silenzio nelle loro case o pubblicamente in organizzazioni sociali, nella convinzione di un futuro migliore. Se tutti ci impegniamo per uno stesso fine i nostri sforzi avranno ancora più efficacia. L’associazione LIBERA ha realizzato in Italia un decennale ed importante lavoro per la creazione di una cultura di legalità e attraverso essa per poter combattere in profondità la corruzione, l’ impunità e la mafia che nei decenni passati ha destabilizzato questa nazione. La campagna che LIBERA, insieme ad organizzazioni civili messicane, comincia in Messico può contribuire profondamente a questa luce di speranza se anche noi ci mettiamo la nostra volontà e il nostro lavoro. E’ venuta l’ora di ridisegnare dal più profondo ciò che siamo come individui e come società e portare la pace in Messico, la quale è possibile solo se si combatte la corruzione e l’impunità. Gli uomini e le donne corrotti che hanno portato a questa situazione nel nostro paese non cambieranno. Si sono riempiti le tasche di denaro sporco e non gli pesa, sia che rimanga nelle loro mani un minuto o un eternità. L’unica cosa certa che può cambiare è la società, siamo noi che possiamo far si che lo stato e le istituzioni applichino la legge. Solo così possiamo riscattare la cosa che abbiamo di più valore: la nostra vita. La corruzione cresce con la nostra tolleranza e il nostro silenzio. Non siamo complici. verità e giustizia - 10 dicembre 2012

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Un Paese in ginocchio Estratto dal dossier "La guerra invisibile" a cura di Libera

In Messico la violenza e il controllo del territorio da parte dei narcos è rafforzata dalla corruzione di apparati investigativi e istituzionali. L'80 per cento dei comuni è sotto scacco. 32 Stati nel mirino dei mafiosi e una società civile senza libertà e giustizia. I numeri, le cifre e le storie di questa mattanza senza fine

Dal 2006 ad oggi in Messico

136.100 morti 53 al giorno

1620 al mese

19.442 all’anno

116 mila interni alle bande

20 mila per delinquenza comune

1685 ragazzi uccisi da 0 a 14 anni

354 i minori

Il controllo dei narcos Presenti nei 32 Stati del paese

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Nell’80% dei comuni del Messico


focus Messico << Operatori dell’informazione

56 giornalisti uccisi 16 giornalisti scomparsi 62% carta stampata

13,7 giornali on line.

17,2 in radio I cartelli del narcotraffico Los Arellano Félix Cártel del Pacifico Sur, Los Zetas Cártel de Sinaloa Carrillo Fuentes Cártel del Golfo Familia Michoacana Caballeros Templarios Cártel de Jalisco Nueva Generación Facción de “La Barbie”

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Narcos e 'ndrangheta, viaggio di sola andata Estratto dal dossier "La guerra invisibile" a cura di Libera

I rapporti tra i boss messicani e calabresi sono ormai documentati da inchieste, da arresti, dalle Relazioni della Direzione Investigativa Antimafia. Solo quatto anni fa fra Stati Uniti, Messico e Italia, sono state arrestate circa duecento persone

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iverse inchieste dei carabinieri del Ros, anche in passato, avevano sottolineato il rapporto tra cosche calabresi e organizzazioni paramilitari colombiane come le Farc e le Auc per il traffico della cocaina diretto sia in Italia che in altri Paesi europei. Le organizzazioni dei narcotrafficanti, come infatti dimostrato dalle indagini, sono state costrette a trovare nuove aree per lo stoccaggio della cocaina e in particolare si sono rivolte al cartello del Golfo del Messico. E la narco-guerra in Messico è necessariamente anche un problema italiano. Come scrive Lucia Capuzzi, giornalista di Avvenire e profonda conoscitrice delle questioni messicane. “La ‘ndrangheta domina ormai il mercato

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della polvere bianca in Europa. Grazie ai rapporti coi narcos colombiani e soprattutto alla recente alleanza con uno dei principali cartelli della droga messicani: Los Zetas. Negli ultimi dieci anni, rotte e gestione del traffico di coca hanno subito una rivoluzione. Quest’ultima proviene quasi interamente da tre Paesi latinoamericani: Colombia, Bolivia e Perù. Negli anni Ottanta e Novanta erano i colombiani a gestire il business: la droga veniva inviata nei centri di consumo (Stati Uniti ed Europa) via aerea o con la collaborazione dei malviventi messicani. Che, però, si limitavano ad agevolare il trasporto degli stupefacenti sul loro territorio: dove, come e a quanto smerciare era deciso dai boss di Cali e Medellín. Dall’inizio del 2000 – in seguito all’inde-

bolimento dei grandi gruppi criminali colombiani -, il sistema è cambiato. I messicani hanno assunto la gestione diretta del traffico. Non si limitano a trasportare la coca – a svolgere il lavoro di “muli” come si dice nel gergo mafioso -: ora ne decidono il prezzo, le rotte, le destinazioni. Queste attualmente sono principalmente tre: il mercato Usa – a cui è destinato il 40 per cento della coca prodotta – attraverso la porosa frontiera Sud -, quello europeo – dove arriva una identica quantità mediante il corridoio caraibico: le Antille sono il trampolino verso il vecchio continente – e quello emergente africano. Spesso i narco-voli diretti in Europa fanno scalo nei pochi controllati aeroporti dell’Africa occidentale. La maggior parte della coca prosegue via nave verso l’Italia, la Spagna o l’Olanda. Un 20% resta lì, per incrementare il consumo locale. Europa e Africa sono sbocchi sempre più rilevanti per le bande criminali, specie dopo che l’aumento dei controlli lungo il confine statunitense ha reso meno allettante il mercato americano. “ E’ chiaro, come si legge dalle carte delle inchieste, che la ‘ndrangheta è il partner


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perfetto: con la sua rete capillare riesce a smerciare la droga per tutto il continente. L’alleanza è vantaggiosa per entrambi. I messicani si occupano del trasporto all’interno del continente e del viaggio intercontinentale. La ndrangheta si occupa di garantire sbocchi sicuri e una serie di piazze redditizie. I cartelli messicani preferiscono la ndrangheta a Cosa nostra perché difficilmente i calabresi si pentono, dato che il legame criminale in genere è sovrapposto a quello familiare, di sangue. I legami fra i due sono stati dimostrati da alcune operazioni realizzate dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria. In particolar modo: Il 17 settembre 2008 sono state arrestate 166 persone tra Italia, Messico e Stati Uniti nell’ambito dell’operazione Solare. Mesi di indagini, con la collaborazione della Dea e dell’Fbi, hanno permesso di smantellare una rete che agiva da entrambe le sponde dell’Atlantico con l’obiettivo di introdurre coca in Italia, dal porto di Gioia Tauro. A coordinare il traffico, la cosca AquinoColuccia che, attraverso una cellula a New York (la famiglia Schirrippa), aveva

stretto un “patto criminale” con Los Zetas – all’epoca ancora parte del cartello del Golfo - per rifornirsi di polvere bianca. Il 14 luglio 2011, a tre anni da Solare, “Crimine 3” è riuscita a documentare nel dettaglio le relazioni tra ‘ndrangheta e Zetas. Tra il 2004 e il 2008, il Cartello del Golfo ha introdotto negli Usa, 80 tonnellate di cocaina pura. Poi, aveva cominciato a concentrarsi sul mercato europeo, delegando la mediazione al suo braccio armato, Los Zetas. Una cellula, situata a New York, ha preso contatti con i calabresi attraverso la famiglia Schirrippa, una cosca di profilo minore, dietro cui si celavano le potenti famiglie Macrì e Coluccio. Al vertice, secondo quanto emerso da “Crimine 3” c’era Domenico Oppedisano, super boss arrestato nel 2010. Dopo il colpo subito con Solare, il business non si è fermato. La rete “transoceanica” si è ricostituita sotto il controllo delle cosche Bruzzese, Aquino, Commisso, Jerino di Siderno e Gioiosa Jonica che, grazie all’alleanza coi Pesce di Rosarno, si sono infiltrate nel porto di Gioia Tauro e agivano attraverso la compagnia fantasma Diamante Fruit.

Europa e Africa sono sbocchi sempre più rilevanti per le bande criminali, specie dopo che l’aumento dei controlli lungo il confine statunitense ha reso meno allettante il mercato americano

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Quando i messicani sbarcano in Italia di Cynthia Rodrìguez

Estratto dal dossier "La guerra invisibile" a cura di Libera

Le mafie si sono globalizzate, diffuse, sviluppate. Anche i cartelli del narcotraffico operano in tutto il mondo, senza confini politici o geografici. Secondo documenti ufficiali già dagli anni ’20 del secolo scorso i mafiosi siciliani trafficavano droga nel mondo

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iù di un secolo fa la mafia italiana scopri l’America. Molte cose sono accadute da allora. Come tutto, anche le organizzazioni mafiose si sono trasformate, si sono sviluppate e si sono globalizzate. Oggi, a più di cent’anni dallo sbarco dei siciliani a New York, quando hanno creato la Cosa Nostra americana, le alleanze hanno cominciato a crescere e le reti non si sono mai più fermate. Grazie a diverse indagini, che non riguardano solo la mafia ma anche questioni di tipo migratorio, oggi sappiamo che i più importanti spostamenti internazionali di persone sono cominciati nei primi anni del secolo scorso, e con loro, si è intensificato ugualmente il trasporto di prodotti, legali e illegali, e di conseguenza, di

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gruppi e di modelli criminali che si sono stabiliti e sviluppati nei paesi di arrivo. Esistono rapporti ufficiali che ci dicono che negli anni ‘20 i siciliani già trafficavano la morfina nascondendola nelle cassette di arance e limoni. Con il passar degli anni, hanno cominciato a trafficare con altre droghe e presto sono diventati sovrani nel traffico di eroina. Poi, è arrivata la cocaina ed è stato allora che i cartelli sudamericani hanno scoperto l’Europa, quasi un secolo dopo la scoperta dell’America da parte degli italiani. Fra il 1989 e il 1990 è stata presentata l’indagine condotta dalla Polizia di Stato italiana, la DEA e FBI che mostrava come, da Aruba, le famiglie

mafiose di Palermo avevano stretto accordi tempo prima con membri del Cartello di Medellin per ottenere il controllo dell’importazione di cocaina colombiana per portarla prima in Italia e poi in tutta Europa. Con l’Operazione Big John, nome di questa indagine, che aveva accertato i contatti fra alcuni rappresentati di famiglie mafiose palermitane che avevano deciso di barattare l’eroina ‘europea’ con la cocaina prodotta in Colombia. Così si dava la possibilità al Cartello di Medellin di entrare nel lucroso mercato americano dell’eroina e in cambio Cosa Nostra avrebbe ottenuto l’esclusiva per il mercato all’ingrosso della cocaina in Europa. Cinque anni dopo, questo è esattamente quello che è successo. Lo stesso anno della riunione ad Aruba, è arrivato un carico di 40 tonnellate di cocaina in Italia, nel 1992 questa cifra si era quintuplicata. Indagini più recenti dicono che il Cartello di Medellin non solo è stato l’unico cartello colombiano a partecipare alle spedizioni, e che pure Cosa


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Nostra è stata l’unica organizzazione criminale italiana ed europea a richiederne il prodotto, perché da una parte ogni organizzazione criminale ha avuto i suoi processi e le proprie crisi; dall’altra, come già si è detto, tali organizzazioni si sono globalizzate. È precisamente in questo scenario che i cartelli messicani fanno la loro comparsa, divenendo negli ultimi anni i protagonisti più rilevanti dello scenario mondiale. In questo momento, le autorità europee sanno che la cocaina ha nel Vecchio Continente un alleato, non solo perché il mercato statunitense (ancora oggi il maggior consumatore di droghe al mondo) è prossimo alla saturazione, ma anche perché le tendenze nel consumo stanno cambiando. Negli ultimi anni il Messico è dilaniato da una violenza senza precedenti. Da più di quattro anni gli equilibri si sono rotti e i giorni passano superando in crudeltà le giornate precedenti. E in quest’ambito, nel 2008 si è scoperto che i narcotrafficanti messicani avevano allungato i propri tentacoli fino all’Europa, specificamente fino

all’Italia. Grazie ai legami con alcuni narcotrafficanti italiani, membri dei Los Zetas, (tuttora il braccio armato del Cartello del Golfo) hanno cominciato a spedire cocaina dagli Stati Uniti in piccole quantità fino a questo Paese, perpetuando così il loro traffico. Le ricerche condotte dalle autorità italiane e statunitensi in questo caso sono riuscite ad identificare le persone coinvolte nel traffico di cocaina verso l’Italia, nonché a sapere quali persone erano coinvolte e con quali altri gruppi criminali. L’Operazione Solare, conclusa il 17 settembre 2008 con l’arresto di circa duecento persone appartenenti a un’organizzazione transnazionale dedita al traffico di tonnellate di cocaina fra il Sud America, il Nord America e l’Europa, fu soltanto un piccolo esempio dei risultati che il giro d’affari della droga produce, di quello che significa, di quello che distrugge. Con questa Operazione, l’Italia ha capito il nuovo ruolo preponderante che ha il Messico dove i cartelli messicani sono riusciti ad assicurare l’indispen-

sabile controllo del territorio, anche attraverso di sanguinari gruppi mercenari come Los Zetas. Con l’Operazione Solare, per la prima volta l’autorità italiana, così come quella degli Stati Uniti, è riuscita a documentare questo ruolo che fino a alcuni anni fa aveva la Colombia. Di ciò si è venuti a conoscenza in quanto ci sono stati un lavoro d’intelligence specifico durato molti mesi, una collaborazione seria fra i paesi, e si è trovato il modo per avviare e far funzionare un sistema. Grazie a tutto questo sono riusciti a fermare, almeno in quest’occasione, il traffico in Europa degli italiani con l’aiuto dei messicani. Nonostante nessuno, da questa parte dell’Atlantico, ha cantato vittoria. Da alcuni anni a questa parte l’Europa continua ad essere invasa dalla cocaina e le previsioni non sono molto incoraggianti: fra cinque anni essa sarà molto più accessibile a tutti, cioè ci saranno più tossicodipendenti e più persone che amministreranno questi affari. Tutte le volte che apprendiamo che verità e giustizia - 10 dicembre 2012

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una persona è stata fermata perché trasportava droga, non importa se erano tre, cinque, dieci chili, magari tonnellate, dietro ci sono delle storie di complicità, di ricatto, di corruzione. Per far arrivare un carico di droga in Europa, bisogna intraprendere un viaggio molto lungo, al quale partecipano centinaia di persone, ciascuna con un ruolo specifico: chi si occupa della coltivazione, chi la lavora, chi poi ‘trova’ la merce, chi la trasporta, chi la compra, chi è corrotto e chi deve corrompere a sua volta un altro durante il viaggio, chi la riceve, chi la distribuisce nuovamente, chi viaggia di ritorno, chi corrompe di nuovo, chi ritorna a trasportare, ecc., ecc. Un’organizzazione completa addetta a tale scopo che non si riposa mai. Già nel 2009, la Dea ha calcolato che le organizzazioni del narcotraffico, solo in Messico, hanno utilizzato 450 mila persone nella coltivazione, lavorazione e vendita di diverse droghe illegali. Ma questo purtroppo è solo una parte della storia dal momento che ci sono altrettanti affari illegali a cui 10 verità e giustizia - 10 dicembre 2012

partecipano ancora più persone. Immaginiamo quante persone al mondo sono coinvolte, e che in più esiste la minaccia che questa cifra possa crescere considerando l’attuale crisi economica. Gli ultimi dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC) confermano che l’attività del narcotraffico è la più redditizia al mondo. Nessuna, né il petrolio, né le armi, la prostituzione, pedofilia, traffico di esseri umani o industria del sesso è paragonabile in termini di ritorno economico. Le cifre dell’UNODC (2008) evidenziano che la droga ha dei margini di guadagno di 321miliardi di dollari, che se potessero essere considerati come un Prodotto Interno Lordo, il grande business della droga sarebbe al quattordicesimo posto nella lista mondiale dei paesi più ricchi, subito dopo la Svizzera. Come segnalano diversi esperti del fenomeno criminale, la singolarità delle mafie è che hanno sempre un’enorme capacità di adattamento nei confronti di nuove situazioni e si vedono bene-

ficiate ogniqualvolta esiste incertezza politica e istituzionale nei paesi. La stessa Organizzazione delle Nazioni Unite riconosce che debellare il narcotraffico è impossibile, anche se è possibile ridurlo, sempre che esista un lavoro congiunto, una strategia pubblica, come la stessa Organizzazione menziona, un coordinamento internazionale di polizie sempre maggiore, ma anche l’impegno della società civile, che deve avere l’esatta percezione della pericolosità che rappresentano le mafie. Il resoconto dell’Operazione Solare è soltanto un esempio di quello che succede o di quello che potrebbe accadere quando due organizzazioni di narcotrafficanti, apparentemente diverse, si uniscono per realizzare affari e per continuare a espandersi da una all’altra sponda dell’Atlantico. In Messico si continua a sperare che si approvino importanti iniziative di legge che potrebbero servire a combattere la delinquenza organizzata. Nel frattempo, il numero di tossicodipendenti, di morti e di persone sequestrate continua a crescere.


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Periodistas de a pie, una rete per tutelare i giornalisti messicani

di Gaetano Liardo

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l Messico è uno dei paesi più pericolosi dell’emisfero occidentale per i media. I cartelli della droga e i funzionari corrotti sono implicati in molti crimini violenti contro i giornalisti, che quasi sempre restano impuniti. Come risultato, i giornalisti spesso si autocensurano e alcuni sono fuggiti in esilio». E’ questa la fotografia che fa Reporters sans frontiers del paese latino americano. Un quadro agghiacciante. Nel dossier “Messico, la guerra invisibile”, pubblicato da Libera lo scorso 3 dicembre, si calcola che sono 56 i giornalisti uccisi dal dicembre del 2006, 16 quelli scomparsi e tantissimi quelli obbligati a lasciare il paese. Il Commettee to Protect Journalist (Cpj) calcola che dal 1992 i giornalisti uccisi in Messico sono 70, la maggior parte dei quali vittime della violenza dei narcotrafficanti e della guerra scatenata dallo Stato federale per debellarli. In percentuale, il 79% di tutte le vittime sono causate dai cartelli di narcotrafficanti, il 29% da funzionari corrotti. Dei 70 giornalisti uccisi, in ben 38 casi non si è arrivati a trovare un colpevole, anche le prove chiamano in causa sempre i soliti noti: i narcos. Una mattanza che sta mettendo in ginocchio l’informazione libera e non allineata al “silenzio” imposto a suon di vittime. Una carneficina, perpetrata con con esecuzioni barbare e plateali da parte dei narcos, con l’obiettivo di mettere a tacere radio, tv e giornali. Il “silenzio” che i cartelli vogliono imporre non risparmia neanche internet: giornali

online o semplici blog sono una minaccia, come pericolosi sono considerati i social network. Una situazione che ha spinto i tuiteros, i twitters, a lanciare un documento pubblico contro la violenza nei confronti di chi, in Messico, utilizza i social network, uno dei pochi strumenti dove è possibile ottenere e scambiare informazioni mantenendo l’anonimato. Nel manifesto del novembre del 2011 si legge: «La mancanza di informazione originata dal silenzio della stampa e dei media locali, delle autorità municipali a tutti i livelli, così come gli abusi costanti e la violazione dei diritti umani da parte delle forze di polizia, ha portato moltissimi cittadini a informarsi e prendere precauzioni attraverso i vari social network (Twitter, Facebook, etc) chat e blog». Di fronte alle costanti intimidazioni subite dai giornalisti, alla censura imposta, o all’autocensura adottata da molti, internet è diventato uno dei pochi strumenti per sapere. «Nel nord-est del Messico – si legge nel manifesto – questi mezzi si sono trasformati in una forma di protezione, autogestita dai cittadini, per diffondere e denunciare i fatti violenti derivanti dalla lotta tra i diversi gruppi criminali e le diverse istituzioni nazionali incaricate della sicurezza». Sono continui gli omicidi di chiunque scriva sulle violenze dei cartelli, sui loro affari, sulle protezioni che godono. Chi ne parla, muore. Decapitazioni, impiccagioni, violenze sessuali, stupri e sevizie, corpi letteralmente fatti a pezzi e lasciati in punti ben visibili per la popolazione. Di fronte a questo attacco frontale, il

mondo dell’informazione cerca di proteggersi, organizzandosi. E’ il caso della Red de Periodistas de a Pie, un network messicano nato nel 2007 e costituito da un agguerrito gruppo di giornalisti. L’obiettivo della rete è quello di far risaltare la dimensione sociale delle notizie, valorizzando la prospettiva dei diritti umani. Un giornalismo dal volto umano. Dal 2010, tuttavia, insieme a queste importanti priorità, ne è sorta una nuova: difendere la libertà d’informazione, tutelando i giornalisti a rischio che lavorano nelle zone di frontiera. Quelle della guerra contro i narcos, e dei narcos tra loro. La migliore descrizione della Red la da la giornalista Daniela Pasrtana nel blog dell’associazione: «Chi fa parte di questa rete di giornalisti è convinto che il primo requisito per raccontare le storie è uscire per strada. Vedere, domandare, mettere da parte i rapporti ufficiali e la realtà virtuale dei discorsi. E’ convinto che per mostrare questo paese deve parlare con la sua gente. Sentire i suoi odori. Vedere i suoi colori. Toccare le sue fibre». Un giornalismo fatto da cronisti coraggiosi che consumano le suole delle scarpe, proprio in Messico, dove fare troppe domande diventa rischioso, anzi certamente lo è. L’importanza della Red è quella di proteggere chi decide che, nonostante tutto, vale la pena contrastare lo strapotere dei narcos, schierandosi. Scrive la Pastrana che: «Non si può essere neutrali di fronte a una guerra e non si può essere neutrali di fronte al dolore umano». verità e giustizia - 10 dicembre 2012

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Fra gli strumenti che colpiscono la libertà di stampa, insieme con le intimidazioni ai cronisti, c’è l’uso strumentale della legge sulla diffamazione, con esose richieste di risarcimento danni in sede civile, senza alcun rischio per il querelante. Un’arma in grado di annientare iniziative editoriali, scoraggiare e intimidire singoli giornalisti, impedire di far luce su oscure vicende di illegalità e di potere.

Per usufruire di consulenza e di assistenza legale giornalisti e giornaliste possono: Inviare una e-mail all’indirizzo:

sportelloantiquerele. roma@libera.it inserendo in oggetto la specificazione “sportello antiquerele" 12 verità e giustizia - 10 dicembre 2012

Per non lasciare soli i cronisti minacciati

che siano in grado di dimostrare la loro buona fede e la loro correttezza, Federazione Nazionale della Stampa, Associazione Stampa Romana, Ordine Nazionale e regionale dei giornalisti, Unione Cronisti Italiani, Libera, Fondazione Libera Informazione, Articolo 21, Osservatorio Ossigeno, Open Society Foundations hanno deciso di costituire uno sportello che si avvale della consulenza di studi legali da tempo impegnati in questa battaglia per la libertà di informazione.

Telefonare al numero :

06/67664896-97


speciale ambiente <<

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l sostituto procuratore della Procura di Santa Maria C.V., Giuliana Giuliano, ha aperto un procedimento penale per disastro e irregolarità in materia di sicurezza nucleare nei confronti della Sogin, la società di Stato incaricata della bonifica ambientale della dismessa centrale del Garigliano. La settimana scorsa per ben due giorni (mercoledì e giovedì) esperti del centro interforze studi applicazioni militari (Cisam) di Pisa, il nucleo sommozzatori della Guardia di Finanza di Napoli e un consulente dell’Università Federico secondo di Napoli, guidati dal Capitano della Gdf di Mondragone, Marco Biondi, sono entrati nel sito nucleare, per effettuare controlli sul piano di dismissione e bonifica che sta eseguendo la Sogin. Per due giorni di seguito sono stati controllati dati ed effettuati prelievi di materiali. I controlli, che qui li doveva effettuare l’Arpac, a quanto pare non vengono effettuati da circa sette anni. Sono stati sequestrati anche alcuni registri (quello degli scarichi liquidi ed aeriformi era compilato a matita). “I controlli che stiamo facendo presso la centrale del Garigliano - spiega il Procuratore Capo di Santa Maria C.V., Corrado Lembo - rientrano nelle attività della Procura per monitorare tutti i reati che mettono a rischio l’ambiente e, conseguentemente, la salute dei cittadini. Abbiamo firmato un protocollo d’intesa coi i ministeri dell’Ambiente, della Giustizia e dell’Interno per verificare eventuali reati in zone particolarmente a rischio e la centrale nucleare era uno dei siti da controllare. Se ci sono già in corso procedure di controllo è un bene. Ma, come ho spesso sostenuto, ci vuole anche chi controlla i controllori”. Nel registro degli indagati risulta iscritto, al momento, il direttore della Sogin, Marco Iorio, in attesa di ulteriori approfondimenti. Allarmati gli ambientalisti del Comitato antinucleare del Garigliano, del Comitato Civico di S. Castrese di Sessa Aurunca e Legambiente. Il 27 novembre scorso il direttore della Sogin al “Tavolo della Trasparenza” “TaTras” , (un tavolo dove siedono istituzioni e rappresentanti delle popolazioni che ospitano i siti nucleari), aveva spiegato che la bonifica avver-

Centrale nucleare Garigliano, inchiesta della magistratura

di Raffaele Sardo

Nel registro degli indagati da parte della procura di Santa Maria Capua Vetere è iscritto, al momento, il direttore della società incaricata della bonifica ambientale, la Sogin. I magistrati spiegano: “I controlli che stiamo facendo sono nell’interesse dei cittadini” rà tra 2014 e il 2016. In forte ritardo rispetto agli obiettivi comunicati un anno fa che prevedevano l’inizio della bonifica per il luglio 2012 e il termine entro giugno 2013. “Non vorremmo che questi ritardi sui tempi della bonifica – sostengono gli ambientalisti – siano dovuti alle inadempienze riscontrate dai controlli della Procura”. Al “Tatras” del 27 novembre scorso,

convocato e presieduto dall’assessore regionale all’ambiente, Giovanni Romano, era presente per la prima volta, tra gli altri, anche il rappresentante del Ministero della Salute. La Sogin, per parte sua, in una nota diffusa domenica, sostiene che: “Tutte le attività vengono svolte nel pieno rispetto dei parametri ambientali e della normativa di riferimento”. verità e giustizia - 10 dicembre 2012

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redattori di Stampo antimafioso dialogano con gli autori del libro “Buccinasco la ndrangheta al nord”, Nando dalla Chiesa e Martina Panzarasa. «La mafia al Nord. L’espansione della ‘ndrangheta in Lombardia. Milano e i clan. “La ‘ndrangheta è penetrata nella società lombarda come lama nel burro, trasformandola. Con metodo, con baldanza. Con lo spirito impunito di chi sapeva di potersi muovere a piacimento […]». “Buccinasco. La ‘ndrangheta al Nord” è l’ultima opera di Nando dalla Chiesa e Martina Panzarasa. Il libro ricostruisce e spiega tutte le ragioni che hanno portato Buccinasco ad essere considerata un caso esemplare di vera e propria colonia della ‘Ndrangheta, “la Platì del Nord”, come è stata poi ribattezzata. Ma come è potuto accadere che un piccolo nucleo di cascine si trasformasse nell’epicentro dei sequestri prima, nel covo del traffico della droga poi e infine nel regno indiscusso del potentissimo boss Antonio Papalia, capo reggente della ‘Ndrangheta al Nord? L’indagine metodologica del libro fa luce e indaga su tutta una serie di meccanismi che ha originato quello che gli autori chiamano “paradosso sociologico”; una serie di dinamiche sociodemografiche (la migrazione regionale, le comunità nelle comunità che hanno prodotto il mimetismo sociale), socioeconomiche (la perdita di riferimenti quali la fabbrica e il sindacato), politiche (gli effetti cono d’ombra del terrorismo rosso prima, dello stragismo di Cosa Nostra poi, uniti alla continua competizione e ricerca del potere da parte della classe dirigente), e criminali che hanno portato Buccinasco ad essere la colonia per eccellenza del Comune aspromontano. Quale di queste dinamiche ha concorso più delle altre alla formazione di questo “paradosso sociologico”? Hanno avuto tutte la medesima intensità? Dalla Chiesa: E’ difficile dirlo, non sono le concause a stabilire quale sia la causa efficiente cioè quella che più di tutte rompe gli equilibri e produce 14 verità e giustizia - 10 dicembre 2012

La Platì del Nord di Sara Manisera

una situazione nuova. E’ la combinazione del movimento migratorio in un comune piccolo in un clima politicamente favorevole. Però abbiamo già unito tre fattori insieme. D’altra parte sono proprio le combinazioni a produrre le differenze. Possiamo dire , però, che se non ci fosse stato quel clima politico a Milano negli anni ottanta e novanta, questo non sarebbe successo. Ma possiamo anche dire che se non ci fosse stato un aumento demografico verso un comune privo di identità, anche questo non sarebbe successo. E’ una situazione in cui le cause efficienti sono più di una. E anche questo è abbastanza paradossale. Una colonizzazione dunque che

parte da lontano e che affonda le sue radici con i primi flussi migratori del dopoguerra ma che si consolida quasi con naturalezza, proprio perché il centro abitato viene contaminato fin dalla sua formazione. Come recuperare il tempo perso ora che siamo arrivati con decenni di ritardo? Panzarasa: La lettura del nostro libro dovrebbe suscitare una capacità analitica e al tempo stesso un allarme e quindi dire, va bene questo è un caso, ma ce ne saranno altri come Buccinasco in Lombardia; Desio, per esempio, è un altro caso storico anche se lì è presente un altro elemento, ovvero il soggiorno obbligato che a


libri<< valoriale? Panzarasa: Sicuramente la scuola è uno strumento così come la formazione in generale. Nel caso della prima generazione diciamo che Salvo Morabito, era arrivato lì quasi adolescente e ragazzino, gli altri sono arrivati che avevano già quindici, sedici, diciassette anni, quindi la scuola l’hanno fatta giù, nel caso specifico. Dalla Chiesa: Se non c’è la consapevolezza che esiste il problema, non è che la scuola educa. Se c’è una scuola che ti educa per i valori della legalità contro la mafia, se c’è una classe politica che ne fa un tema dibattuto, allora si può intaccare ma se viene ignorato perché tutti si mettono d’accordo che la cosa non esiste e gli altri non sono sufficientemente preparati e attenti per capire invece l’esistenza del problema, l’enclave criminale si gestisce i fatti suoi senza intaccare la qualità della vita civile. Il risultato è che la scuola non se ne occupa, le classi dirigenti non se ne occupano, le associazioni non se ne occupano e perfino lo si smentisce. Lo hanno smentito nel 1990 quando l’ho raccontato in Società civile, lo smentiscono oggi nel 2012.

Buccinasco. La 'ndrangheta al nord Dalla Chiesa Nando; Panzarasa Martina € 18,00 246 p. Einaudi, 2012

Buccinasco non c’è. Sarebbe auspicabile, se la rilettura in chiave storica e sociologica diventasse uno strumento di attenzione, di allarme e di informazione invece che un continuo negare. Che reazione vi aspettate dalla pubblicazione di questo libro da parte della cittadina di Buccinasco e dagli amministratori attuali? Dalla Chiesa: Diciamo che la reazione da parte degli amministratori di Buccinasco c’è già stata. C’è un’intervista del sindaco al Giorno, in cui ha attaccato il libro. Il fatto è che tutto questo non si sarebbe verificato se non ci fosse stata una connivenza di rappresentanti politici in modo più o

meno partecipato, più o meno volto a perseguire i propri interessi particolari. Tuttavia, l’avevamo messo in conto. Ero sicuro che una volta uscito il libro su Buccinasco, conoscendo le dinamiche di tutte le amministrazioni degli anni settanta, oggi avrebbero detto “così si sfigura l’immagine di Buccinasco, proprio adesso che la stiamo risanando”. E’ un classico. Nel libro voi scrivete che “l’appartenenza, la nascita a Platì, indica, incarna e rimanda a un sistema di valori, un insieme di regole, modi di pensare che vengono conferiti dalla famiglia di appartenenza”. Ora, poiché la famiglia riproduce il codice culturale mafioso, come si fa ad intaccare questo sistema

Il libro è stato presentato durante il primo festival dei Beni confiscati che si terrà a Milano dal 9 all’11 novembre. Che importanza ha questo festival per Milano? Perché avete scelto di presentare il libro proprio per il festival? Panzarasa: Sicuramente, è importante che la pubblica amministrazione milanese dia un messaggio così forte rispetto ai beni confiscati, cioè che li faccia conoscere attraverso una serie di iniziative che hanno come tema la legalità. Dalla Chiesa: Abbiamo scelto di presentarlo durante il festival indubbiamente per il valore simbolico; il libro poi parla della colonia per eccellenza della ‘Ndrangheta nella provincia di Milano, Buccinasco, dove ci sono numerosi beni confiscati all’organizzazione. Il problema è infine portare prodotti significativi a questo festival e non prodotti che trattino altri temi. verità e giustizia - 10 dicembre 2012

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>> media ne parlano

Il Paese della fatica di Enrico Fierro

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oveva restare una notizia di poche righe in cronaca e invece e’ diventata una vicenda che cha commosso l’Italia. Cosi la vita di due donne si e’ incrociata in un momento tragico che ha portato avanti una pagina di buon giornalismo, quello che racconta della vita delle persone, realizzata dalla cronista Laura Bagliolo e ripresa da molti giornali e tv. Un pensiero per Isabella Viola, la donna morta a Roma in metro per un malore, attraverso l’articolo di Enrico Fierro per “Malitalia” Isabella Viola è morta, undici giorni fa da sola nelle turbolente viscere di Roma. Il suo cuore è stato spezzato da una vita difficile. Dovevano essere dieci righe in cronaca (giovane donna colpita da malore muore su una banchina della metro A) di quelle che si leggono di mattina distratti dal dilemma del cappuccino (con o senza schiuma?), e invece la sua si è trasformata in una morte che parla all ‘Italia. Racconta di un popolo intero, una moltitudine ignota ed ignorata. Di loro sanno poco i dotti professori 16 verità e giustizia - 10 dicembre 2012

di economia, gli accigliati ministritecnici sempre pronti a giudicare “gli italiani”, per loro non c ‘è mai posto nelle poltroncine dei talk-show che al massimo, quando vogliono parlare della “ggente” la fanno raccontare da chi non prende una scassattissima metro da secoli. Sono uomini e donne, bianchi, gialli e neri, che si svegliano all ‘alba per raggiungere precarissimi posti di lavoro, guadagnano quattro soldi e lottano con mezzi di trasporto affollati, puzzolenti, è una umanità che tira tardi fino a sera lavorando e si porta il panino da casa per risparmiare. Isabella era una di loro, non sapeva di spread, di Europa, di luci in fondo al tunnel, no, Isabella sapeva solo che a 34 anni doveva conquistarsi la vita a morsi, lo faceva per lei, per il marito, bravo muratore ma disoccupato, e per i suoi quattro figli da crescere. Ogni mattina sveglia alle quattro, la colazione da preparare per i bambini, il pranzo da avviare, una rassettata veloce alla casa e poi la corsa alla fermata dei bus. Dal lungomare fino alla piazza di Torvaianica, la ressa

per conquistarsi un posto a sedere sul pullman della Cotral tra i volti assonnati delle mille razze che ad ogni alba dalla periferia migrano verso la città eterna: 30 chilometri di viaggio. Capolinea all ‘Eur, un ‘altra corsa alla metro b, fermata a Termini, attraversamento col cuore in gola dell ‘infinito labirinto che porta alla metro a, ultima fermata a Furio Camillo, e poi a piedi lungo la Tuscolana, in via Nocera Umbra. Il bar Kelly apre alle sette, a quell ‘ora devono essere già pronti dolci e cornetti. Così, fino alle sette di sera, lo stesso ritmo, ogni giorno che il padreterno manda in terra, domenica compresa. Isabella viveva in una casa della periferia di Torvaianica, litorale romano che Ugo Tognazzi scelse negli anni Sessanta per costruirsi una villa. Portò il bel mondo il grande Ugo in questa fetta di mar Tirreno una volta stretta tra campagne e macchia mediterranea. Tutti a casa di Ugo al torneo di tennis, al più bravo lo scolapasta d ‘oro. Di quella epopea è rimasto poco, vecchi alberghi cadenti, stabilimenti che si


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Isabella non sapeva di spread, di Europa, di luci in fondo al tunnel, no, Isabella sapeva solo che a 34 anni doveva conquistarsi la vita a morsi

chiamano ancora “La Bussola”, ristoranti che promettono pesce sempre fresco. E tanta miseria. Don Gianni è il parroco della chiesa dell ‘Immacolata concezione. “Ho celebrato i funerali della povera Isabella, ho visto gli occhi smarriti dei suoi quattro bambini, la disperazione del marito, ma una cosa mi ha colpito e che faccio fatica a descrivere con una parola che non va più di moda: dignità. Sì, la dignità di questo gruppo familiare unito. Mai una parola fuori posto, mai un chiedere qualcosa. Isabella non ha retto il peso della fatica”. Don Gianni e la sua parrocchia hanno messo su un banco alimentare e una casa accoglienza, si occupano di famiglie disagiate, fanno quello che possono in un mare di disperazione. “Ormai da noi non vengono più le famiglie di extracomunitari, da un paio di anni anche famiglie italiane, ci chiedono un aiuto in soldi, un pacco alimentare”. Settecento euro di affitto, quattro figli da mandare a scuola, il conto dei pochi soldi del suo lavoro e dei lavoretti che di tanto in tanto il marito strappava a qualche

cantiere. Ogni sera: questo per le bollette, quest ‘altro per l ‘affitto, tanto per mangiare, il bambino vorrebbe quel giocattolo, non possiamo. Una sconfitta continua, quotidiana. Che ti mangia il cuore. “Isabella è riservata non racconta mai le sue difficoltà, ma io lo vedevo che stava male”. Faith, giovane ragazza nigeriana banconista del bar Kelly parla al presente di Isabella. “Ma lo sai che mi ha insegnato a fare i dolci?”. La signora Ada, edicolante del quartiere dopo una vita ai mercati generali, ha un cuore grande così. Annarella Magnani l ‘avrebbe abbracciata e baciata come una sorella. Ha già raccolto 4mila euro per Isabella e ne sta raccogliendo ancora. “Ci sono persone che hanno deciso di tassarsi ogni mese per aiutare quei quattro bambini”. No, non è una storia da dieci righe in cronaca, è una storia dell ‘Italia di oggi. E forse Isabella si sarebbe commossa di fronte a tanta solidarietà. Lei che affidava i suoi giovani e ingenui pensieri a Facebook. “Una donna il suo gioiello più prezioso non lo indossa, lo mette al mondo”. verità e giustizia - 10 dicembre 2012

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>> dai territori a cura di Norma Ferrara

Piemonte Altro colpo ai Marando: sequestri per 20 milioni Di euro La Dia ha messo i sigilli al patrimonio della cosca operante in Piemonte

Lazio Approvata la legge sull’equo compenso per giornalisti precari, freelance e autonomi. Il testo è un passo storico in una categoria, soprattutto per chi rischia sui territori governati da mafie

Sicilia Era il 5 dicembre 2011 quando si inaugurava questo quotidiano. Da allora, è passato un anno. Tra notizie, storie, una linea editoriale severa e apprezzata ogni mese da sempre più lettori.

18 verità e giustizia - 10 dicembre 2012


rubriche <<

IPSE DIXIT a cura di Norma Ferrara

Nel mutevole silenzio del bosco è la mia casa di Attilio Manca Dalle basse finestre della mia camera il mio compito è di ascoltare: un fruscio di erba mossa, uno stormire di foglie, un gocciolio di rugiada; e di ricordare..... Ma ciascuno di questi suoni è solo un indizio E con gliocchi socchiusi vedo le ombre della mia infanzia, il tramestio delle donne al lavoro. Sono gli attimi di passato che la mia memoria ormai logora ruba all’oblio. Fiammelle che ardono rapide. Ma questi piccoli fuochi sono il mio fuoco. Ora, che con difficoltà sollevo la penna per affidare alle carte quello che sono stato, mi sostento della mia vita passata. E dalla nebbia odo le voci di quelli che furono i miei compagni, di quelli che furono i miei amori. In questo continuo divagare si succedono gli episodi che hanno costituito la mia vita e che mi sopravvivranno, incollati in qualche mucchio di terra. Per adesso è compito mio: sono io che col mio pensiero tengo in vita la gente che ha incrociato la mia. Oggi sono con i bambini della mia strada, poi ascolto una giornata della mia sposa, infine è la volta dei passanti che si affollano per un brandello di vita. In verità tento un’equa suddivisione dei miei ricordi, e attendo. Che il prossimo prenda il mio posto. Leggo sui tronchi di questo bosco, i solchi scavati dal tempo, che conservano e narrano le loro storie, simili ai segni profondi che la vita ha disegnato sul mio viso. Da Pensieri di Attilio Manca, urologo morto l 11 febbraio del 2004, ufficialmente suicida. Si sospetta sia stato l urologo che ha dovuto operare Bernardo Provenzano durante la sua latitanza. Il caso è ancora senza verità e giustizia. I pensieri di Attilio son tratti da: www.attiliomanca.it verità e giustizia - 10 dicembre 2012

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Verità e giustizia newsletter a cura della Fondazione Libera Informazione Osservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie

Direttore responsabile: Santo Della Volpe

Sede legale via IV Novembre, 98 - 00187 Roma tel. 06.67.66.48.97 www.liberainformazione.org

Redazione: Peppe Ruggiero, Gaetano Liardo, Norma Ferrara

20 verità e giustizia - 10 dicembre 2012

Coordinatore: Lorenzo Frigerio

Hanno collaborato a questo numero: Ufficio Stampa di Libera, Raffaele Sardo, Tonio Dell’Olio, Sara Manisera, Enrico Fierro Grafica: Giacomo Governatori


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