Verità e giustizia n.77

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n.77

9 settembre 2011

veritĂ egiustizia

La newsletter di liberainformazione

11 SETTEMBRE


>>editoriale

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asta prendere in mano una qualsiasi prima pagina dei giornali degli ultimi mesi per rendersi conto di come il Paese si stia avvitando inevitabilmente su se stesso. Oppure basta salire su un mezzo pubblico e mettersi in ascolto, per cogliere il senso dei discorsi delle tante persone che si incontrano quotidianamente, dove la sfiducia verso tutti e tutto è la costante di ogni chiacchiera più o meno frivola. Sotto la minaccia di un terribile Minotauro – a cui ognuno può attribuire le fattezze che vuole, tanto il risultato, purtroppo, non cambia sia che si tratti della recessione, o della sicurezza personale e dei conflitti mondiali, della malattia o della fame – sembra proprio che gli italiani non sappiano più uscire dal labirinto nel quale si sono infilati ormai da tempo. Non si riesce cioè a trovare la via d’uscita da una crisi che non è soltanto economica, ma – come ricorda sempre don Ciotti – è una crisi etica e valoriale, ben più allarmante e devastante per gli esiti sulle future generazioni. Non c’è dubbio che ad aggravare la situazione economica, condivisa con il resto del mondo in questo momento, vi sia uno specifico tutto italiano che vede corruzione pubblica e vizi privati pericolosamente mescolati in un mix esiziale per la tenuta complessiva del sistema repubblicano, così come era stato pensato e realizzato dai padri costituenti. L’attacco frontale alla magistratura condotto dal premier Berlusconi fin dalla sua discesa in campo, che viene definito dai suoi supporter la giusta reazione ad una ingiusta persecuzione; l’imposizione della volontà della maggioranza al Parlamento, portata avanti a colpi di voti di fiducia, anche in un tempo in cui sarebbe più utile il confronto e la condivisione; le necessarie misure economiche che vanno prese per uscire da questa fase; il mercimonio ripetuto ed aggravato delle istituzioni e delle cariche pubbliche che emerge quotidianamente dalle intercettazioni e dalle inchieste di diverse procure che colpiscono la maggioranza quanto l’opposizione; il malaffare generalizzato che ha provocato danni all’ambiente, al territorio e alle persone; l’idea che basti avere un santo in Paradiso per aver fortuna nella vita e tanto altro ancora. Questo sommario elenco, tutto italico, cerca di spiegare come ai fattori strutturali dell’economia mondiale così come l’abbiamo conosciuto finora – di fatto terminato definitivamente nel momento del sorpasso dei colossi asiatici ai danni degli Stati Uniti e delle altre potenze occidentali – si debbano

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Gli italiani e il labirinto di Lorenzo Frigerio

sommare gli effetti perversi delle tante piccole discrasie italiane. Sembra ormai del tutto smarrito il senso dello stare insieme, perché il continuo attribuire maggiore rilevanza all’appartenenza di partito, di fazione, di casta e così via ha portato gli italiani a dividersi per ogni questione, ma anche pericolosamente sull’orlo del baratro. Lo scenario è reso ancora più complesso dalla presenza costante e asfissiante di una criminalità mafiosa che ormai si è fatta sistema economico soprattutto nelle regioni del nord. Le inchieste delle DDA di Milano e Torino, alcune delle quali giunte in aula, testimoniano l’avanzate delle cosche in Lombardia e Piemonte. Segnali negativi in tal senso non mancano dall’Emilia Romagna e dalla Liguria, mentre il Veneto sembra rimanere ancora una enclave inespugnabile, forse. I segnali positivi di un’altra Italia che non si rassegna non mancano, ma stentano ad emergere, come sempre. Solo un esempio: oltre quattromila giovani si sono spesi durante l’estate nei campi di volontariato di “E!State Liberi” promossi da Libera in tutto il territorio nazionale e la straordinaria testimonianza di impegno civile offerta difficilmente è riuscita a bucare gli schermi televisivi e a finire in prima pagina. Il mondo dell’informazione stenta a raccontare il negativo e il positivo che c’è con

il giusto e doveroso approfondimento, diviso com’è tra gelosie e rivalità e sottoposto a tentativi di imbrigliarne per sempre la libertà con bavagli e divieti. In questo senso, oggi più che mai, la scommessa lanciata da Libera e raccolta e sviluppata da Roberto Morrione e da Libera Informazione sono quanto mai attuali. Nei prossimi mesi avremo pronti e disponibili tre nuovi dossier: uno dedicato all’Emilia Romagna, un altro all’Umbria, mentre il terzo si propone di rilanciare i contenuti dell’ultima battaglia condotta da Roberto, quella per la tutela dei giornalisti dalle querele temerarie in sede civile. Attorno a questi nuovi materiali organizzeremo iniziative pubbliche per proporre analisi e dati utili alla comprensione del fenomeno mafioso come si struttura in regioni a non tradizionale presenza di criminalità organizzata, quali Umbria ed Emilia Romagna e a proporre un nuovo impegno per tutta la categoria giornalistica, nel segno della coraggiosa denuncia di quanto non va nel nostro Paese. E poi il lavoro quotidiano con il portale e gli altri progetti in cantiere. Noi ci siamo e vogliamo fare la nostra parte. Certo, ci fosse Roberto sarebbe più facile trovare le giuste indicazioni per uscire dal labirinto.


editoriale <<

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ichiarazione di guerra in diretta televisiva. Le grandi tragedie collettive hanno sempre una chiave di lettura personale. Il dare un senso a ciò che senti e vedi. A volte la prima emozione coincide con una valutazione sensata, quella che ti resta dentro. Come mi è accaduto, da vecchio “televisivo” attonito che, come tutti voi, guardava quelle immagini da follia inimmaginabile. Dal dubbiosperanza iniziale dell’incidente assurdo per la prima torre, all’esplicito attentato terroristico con il secondo aereo che si impastava sulla gemella. “La regia del terrore”, pensai allora, in un momento, quasi avessi assistito ad una messa in scena televisiva di bassa lega e pessimo gusto. L’attacco di Al-Qaeda, l’11 settembre dei 2001 alle Torri gemelle di New York -ripensiamoci assieme- è in realtà la prima dichiarazione di guerra in diretta televisiva. Ogni obiettivo è un simbolo. Il potere economico statunitense, il World Trade Center, colpito. Il potere militare, il Pentagono, colpito. Il potere politico, la Casa bianca, mancata per un soffio. Golpe televisivo universale. Il ragionamento che segue l’emozione razionalizza le percezioni. Se lo scopo degli attentatori fosse stato quello di uccidere il maggior numero possibile di nemici, gli stessi terroristi avrebbero potuto dirottare gli aerei su delle centrali nucleari a della dighe. Invece gli obiettivi sono metafore politiche, distrutte in modi e tempi assolutamente televisivi. I 18 minuti trascorsi tra lo schianto del primo aereo e il secondo attacco fanno si che tutte le telecamere, puntate sul rogo che devasta la prima torre, possano mostrare il secondo attentato in diretta planetaria. Osama bin Laden realizza, di fatto, una sorta di golpe televisivo universale. Occupa il video di tutti i paesi del mondo e impone le immagini del proprio devastante delirio. Svela l’insospettabile vulnerabilità del colosso americano e di tutti noi ricchi occidentali, e mostra assieme la propria potenza in una coreografia del terrore accuratamente costruita. Osama bin Laden diventa il primo profeta digitale del nuovo terrorismo, che non ha confini.

Diretta planetaria del terrore di Ennio Remondino

Effetto Stranamore. Un terrore che non esige concessioni politiche o territoriali, o l’instaurazione di un certo regime. Un terrore che ripesca dal Medioevo delle crociate la rabbia vendicatrice che, nell’interpretazione di Bin Laden, diventa Fatwa, giudizio di morte. Resa dei conti con i paesi occidentali eredi dello sciagurato Urbano II, e contro la leadership statunitense, che alla storia delle prepotenze cristiane nei confronti dell’Islam aggiunge l’incondizionato appoggio a Israele. Terrorismo di memoria arcaica, declinato attraverso aggiornatissimi linguaggi mediatici. E regole della comunicazione che valgono anche per l’antiterrorismo. Quando un cattivo sfugge per troppo tempo alla sua punizione, i buoni non fanno una gran bella figura. Ed ecco che la caccia a Bin Laden scatenata tra le montagne afghane, scompare nell’attenzione politica e giornalistica, salvo l’ennesimo funerale di Stato per il quarantesimo soldato italiano morto. Quasi Bin Laden sia stato il parto di una fantasia paranoica di qualche Stranamore impazzito. Sia esso vivo o morto.

Troppi trombettieri fra di noi. La regia nella creazione del consenso a sostenere, o del silenzio ad occultare, appare chiara. Oggi a commemorare, domani a rimuovere. Soprattutto di fronte ai risultati incerti a drammatici delle guerre scatenate da allora contro il terrorismo. L’A fghanistan che frequentavo nel 2002, anticipando e inseguendo i primi bombardamenti americani, rispetto all’A fghanistan che oggi, migliaia di morti e migliaia di miliardi di dollari dopo ci appare peggio di prima. E allora, Mea culpa doveroso. Anche il giornalismo è assieme carnefice e vittima di questo circuito perverso. Scrivi sul giornale e, come leggenda vuole il tuo sforzo servirà a incartare l’insalata. Parli in televisione e ti riconoscono dal verduraio. Nel giornalismo attuale ogni tromba che chiama all’assalto vuole un suo trombettiere. La questione se sia la guerra a corrompere l’informazione o se, viceversa, sia l’informazione satura di volontari a dare i peggio di sé, somiglia all’eterno litigio sul primato fra uovo e gallina. verità e giustizia - 9 settembre 2011

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>> internazionale

Caos afgano di Gaetano Liardo

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os’è oggi l’Afghanistan dopo dieci anni di guerra al terrore? Si può provare a dare una risposta mettendo insieme alcuni dati. Sconfortanti. Per l’ennesima volta il paese si conferma come il primo produttore mondiale di oppio, come la nazione che produce più hashish di qualunque altra e come il secondo più corrotto. Una realtà ben lontana di quella che avrebbe dovuto essere il paese liberato dai talebani. Ebbene, dieci anni di una lunga e sanguinosa guerra hanno devastato l’Afghanistan. Senza, con questo, liberarlo dai talebani che continuano a fare uno stillicidio di soldati stranieri. L’agenzia delle Nazioni Unite su droga e criminalità organizzata (Unocd) stima che nel 2010 l’Afghanistan ha prodotto il 63% dell’oppio mondiale. Su 195.700 ettari di terreno a livello globale coltivati ad oppio, da cui poi si ricavano morfina ed eroina, ben 123.000 si trovano proprio nel paese dell’Asia centrale. Nello specifico, più dell’80% dell’oppio afgano è prodotto nelle regioni dove forte è la presenza talebana. Inoltre, il paese si è riempito di laboratori dove l’oppio viene raffinato e poi smerciato in mez-

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Dopo dieci anni dall'attacco al regime dei talebani la situazione nel paese resta instabile. La corruzione è carattere distintivo delle istituzioni mentre la produzione di oppio e hashish è arrivata a livelli elevatissimi finanziando la lotta armata zo mondo. «L’eroina afgana – si legge nel World drug report dell’Unodc – è trafficata in ogni parte del mondo, con l’eccezione dell’America centro-meridionale». La posizione strategica del paese gli permette un facile accesso ai mercati della droga. «Gli oppiacei – scrive ancora l’Unodc - confluiscono dall’Afghanistan attraverso Pakistan, Iran e Asia centrale prima di essere spostati nei principali mercati di consumo». Quali? Europa dell’est e Asia sud-orientale. Lo scorso anno, stimano ancora dall’Onu, il traffico di oppiacei ha avuto un fatturato di 68 miliardi di dollari. Di questi ben 60 miliardi provenivano dall’oppio afgano. Ancora non basta? L’Afghanistan ha scoperto un altro importante volano di “sviluppo”: l’hashish. Secondo l’Unodc tra i 9 mila

e i 29 mila ettari di terra sono coltivati a cannabis. Ogni ettaro coltivato rende 145 chili di hashish rispetto ai 40 del Marocco. C’è una relazione tra la produzione di narcotici e gli esiti fallimentari della guerra? A ben vedere, oppio e cannabis sono coltivati maggiormente nelle regioni più instabili. Guarda caso quelle dove è maggiore la resistenza armata contro le truppe Onu. Nella sola provincia di Helmand, al confine con le regioni pashtun del Pakistan, nel 2010 è stato prodotto più della metà dell’oppio afgano, oltre 66 mila tonnellate. I talebani non promuovono la coltivazione di oppio. Durante il loro regime la vietarono, abbattendone la produzione. Gli “studenti di Dio” si limitano ad imporre una tassa a produttori, proprietari di laboratori di raffineria


internazionale << Afghan heroin traffickin g routes and volumes, 20 09 Source:UNODC .

North Eur ope Russian Federat io n 77

West, Central , East Europ e

USA, Canad a

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Oceania

Produrre narcotici risulta molto conveniente. Un chilo di oppio è pagato 274 dollari e trafficanti, con la quale finanziare la lotta armata. Spesso sono gli stessi contadini a scegliere di produrre oppio e cannabis, perchè frutta molto di più. L’oppio essiccato, ad esempio, quest’anno viene pagato in media 274 dollari al chilo, registrando un aumento del 180% rispetto al marzo del 2010 quando valeva 98 dollari al chilo. Paragonato alla produzione di cereali la differenza nei ricavi è abissale. Il grano viene venduto a 0,40 dollari al chilo, il riso a un dollaro al chilo e il masi a 0,33 dollari al chilo. Nonostante i tentativi, i programmi di eradicazione delle coltivazioni di oppio e cannabis non hanno raggiunto i risultati prefissi. A completare il quadro disarmante del nuovo Afghanistan si aggiunge la corruzione. La nuova democrazia afgana è debole

e corrotta. Transparency international, nell’annuale rapporto sulla corruzione nel mondo, definisce il paese «altamente corrotto». Nella classifica stilata l’Afghanistan è al penultimo posto. Una situazione che rende difficile la stabilità del paese, e praticamente impossibile uno sviluppo economico alternativo a quello legato al narcotraffico. Per Transparency: «La corruzione minaccia il successo della missione internazionale in Afghanistan». Una realtà nei confronti della quale né il governo di Hamid Karzai, né la comunità internazionale, né gli Usa riescono a dare risposte concrete. Spesso perchè di quella corruzione sono gli artefici. L’invito fatto dall’ong statunitense è di dare maggiore impulso ad azioni di contrasto interne contro la piaga della

corruzione, rafforzando la legislazione e applicando le leggi. Un invito esteso anche alla comunità internazionale affinchè: «Modifichi il modo in cui gestisce i flussi finanziari, specialmente i soldi associati con le operazioni di sicurezza e il modo in cui offre contratti per beni e servizi». Una richiesta simile arriva anche dall’Afghanistan stesso. Dalle associazioni nate dopo il conflitto e che, nonostante i mille pericoli, hanno iniziato un lavoro di ricostruzione dal basso. Hanno lanciato un appello alla comunità internazionale affinchè lavorino non solo per la sicurezza militare, ma anche per la sicurezza umana degli afghani. Altrimenti, avvertono, il tanto annunciato ritiro si trasformerà in una nuova lunga e dolorosa occupazione militare del paese. verità e giustizia - 9 settembre 2011

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>> migranti & diritti

Da Kabul a Perugia in marcia per la Pace di Gaetano Liardo

Il 25 settembre ricorre il 50° anniversario del primo raduno pacifista. Quest'anno rappresentanti della società civile afghana con i familiari delle vittime dell'11 settembre. Insieme contro la guerra e per la fratellanza dei popoli

«A

bbiamo visto una città devastata dalla guerra, crocevia di miseria, traffici e illegalità. Abbiamo percorso a piedi, di giorno e di notte, le strade più pericolose, quelle che gli afgani sono costretti a battere quotidianamente senza avere nemmeno il diritto di avere paura. Abbiamo cercato di andare incontro alla gente comune, là dove vive, sopravvive, mangia, si riposa, lavora, si sposta. Non abbiamo mai percepito ostilità, qualche sguardo sorpreso sì, visto che di turisti da quelle parti non se ne vedono molti». Racconta così Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace, la missione dei pacifisti italiani a Kabul. Forse la prima missione di pace nel paese in guerra da dieci

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anni. Un modo per cercare di capire, toccare con mano, le difficoltà di un paese ancora in ginocchio ma che prova a muoversi. Kabul, infatti, ha visto nascere le prime realtà associative che lavorano per un futuro diverso da quello a cui sembra essere condannato l’Afghanistan. L’esperienza afgana, a cui hanno partecipato anche Libera, gli Enti locali per la Pace e l’associazione delle vittime Usa dell’11 settembre, Peaceful tomorrows, è stata una delle tappe di avvicinamento della prossima Marcia della Pace. Il 25 settembre si festeggeranno i 50 anni dalla prima marcia da Perugia ad Assisi, nata dall’intuizione di Aldo Capitini che nel tempo ha raccolto l’adesione di migliaia di persone, associazioni, gruppi. Tutti pronti a camminare insieme per

un mondo migliore. «Insieme contro la morte per fame, la corruzione, l’illegalità, le mafie, le dittature, la censura, le guerre, il commercio delle armi, il terrorismo, la violenza, il razzismo, lo sfruttamento, l’indifferenza, l’individualismo, il consumismo…», riepilogano gli organizzatori. Quest’anno con loro torneranno anche alcuni rappresentanti della nascente società civile afgana. Le prime vittime della “guerra al terrore” marceranno insieme ad una delegazione dei familiari delle vittime dell’11 settembre. Un modo per ribadire insieme l’importanza della pace e della fratellanza tra i popoli. Due elementi necessari ancora oggi, in un mondo tormentato da guerre, ingiustizie e adesso anche dalla scure della crisi economica.


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Summer School Organised Crime di Norma Ferrara

Il sociologo Nando dalla Chiesa sull'iniziativa ospitata dall'Università di Milano: «Spero che i partecipanti diventino moltiplicatori di responsabilità sociale e civile»

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na economia mafiosa sempre più integrata nel tessuto socio economico internazionale. Vasi comunicanti che collegano i capitali dei boss agli investimenti pubblici e privati nel nostro Paese e sempre più nella finanza globale. A Milano la Summer School Organised Crime, promossa presso l'Università di Milano e coordinata dal sociologo e scrittore, Nando dalla Chiesa, analizzerà a fondo le evoluzioni e il contesto di questa economia sommersa che corrode le fondamenta democratiche e socio - economiche del Paese, mentre in tempi di recessione a pagare sono sempre i cittadini: i meno garanti e informati sul presente e sul futuro. Con dalla Chiesa una finestra sulla cinque giorni dedicata a "L'impresa mafiosa. Prospettive di analisi e strategie di contrasto". Dalle ultime ricerche sociologiche e economiche sul tema emerge un dato: al modello dell'infiltrazione mafiosa nell'economia si sta sostituendo un modello di integrazione delle imprese mafiose nel tessuto socio-economico. Come avviene questo passaggio e perchè? L'economia, come la società è fatta di vasi comuni-

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canti. E' una zona che è continuamente in relazione con altre aree. Così l'economia mafiosa beneficia della possibilità di costruire reti, relazioni e muoversi con una certa dimestichezza in questo contesto. Si tratta, dunque, di un meccanismo molto naturale rispetto al quale bisognerebbe mettere in campo provvedimenti che intensifichino i controlli sui meccanismi dei mercati. Secondo i dati fornti dalla Banca d'Italia, infatti, il riciclaggio incide sull'economia nazionale per il 10%del Pil. Qual è la situazione attuale in materia di antiriclaggio? L'attuale governo, in questi anni, è andato nella direzione di una graduale facilitazione delle diverse forme di riciclaggio. Lo ha fatto con provvedimenti correlati che incidono su queste operazioni che permettono di ripulire capitali mafiosi, con l'ingresso nell'economia legale. Provvedimenti come lo "scudo fiscale", meno controlli e tracciabilità del denaro. Allo stesso tempo leggi come quella del falso in bilancio e tutte le altre volte a depenalizzare questo reato, aiutano a nascondere e far entrare in circolo, capitali di provenienza sconosciuta e spesso

illecita. Un ruolo importante, a volte centrale, è svolto dai professionisti. Questa parte della società civile ha preso coscienza del proprio ruolo nella lotta all'economia sommersa e le mafie? E' necessario ridurre gli spazi in cui i capitali mafiosi possano muoversi. In tutti gli ambiti, compreso quello dei professionisti, si tratta sempre di cultura, di responsabilità civile e sociale. Spero a tal proposito, che la Summer School, che vede proprio la partecipazione di professionisti, studenti e persone già sensibilizzate all'argomento, possa essere l'occasione per una riflessione proprio su questo tema e sulla responsabilità di ciascuno di noi. Spero i partecipanti possano farsi moltiplicatori di responsabilità sociale. In questi giorni è stata approvata la manovra finanziaria con provvedimenti urgenti in materia economica. Si ha la sensazione che a pagare i costi della crisi e dell'economia sommersa siano sempre le stesse fasce di cittadini. Dove si potevano prendere i soldi? L'abbiamo detto molte volte: basta guardare le cifre della Corte dei


Otranto Legality Experience di Valentina Dirindin

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Conti sulla corruzione nel nostro Paese. Lì c'è già la cifra necessaria per fare questi interventi urgenti in economia, senza incidere sui cittadini onesti. Quei soldi collegati all'evasione fiscale, alla corruzione, all'economia sommersa, appunto, sono "invisibili". E' necessario, dunque, che il Governo ammetta che esistano, dica dove sono collocati e poi li usi per risanare le casse dello Stato. Questo sarebbe un atto "rivoluzionario" che avrebbe costi alti in termini di consenso elettorale da parte degli "amici del mercato". Queste valutazioni politiche e elettorali bloccano l'uso di quel denaro. La Summer School Organised Crime ha scelto da subito un approccio internazionale all'argomento. A che punto si trova il dibattito pubblico su questi temi all'estero, in Europa in particolare? E' un dibattito in crescita. C'è una qualità sempre più alta e un interesse in termini di ricerche e riflessioni sempre maggiore. Non si riesce ancora a far diventare dominante questo tema nell'agenda pubblica, dei mass media, delle istituzioni e della società civile. Ma è un percorso che va nella direzioni giusta.

i è trasferita a Otranto la carovana della seconda edizione di OLE – Otranto Legality Experience, l'evento organizzato da Flare Network e Libera per strutturare una riflessione collettiva sul tema “Economia Illegale, Mafie e Globalizzazione Finanziaria”. Dopo la conclusione della prima parte dell'appuntamento (la summer school tenutasi a Lecce dal 5 all'8 settembre), il nutrito gruppo di OLE, forte del bagaglio di conoscenze accumulate in questi giorni di lavoro, si è ritrovato all'ombra della Porta Alfonsina, nel cuore di Otranto, per continuare a discutere sul binomio economia-illegalità. “Vogliamo mettere insieme competenze diverse per un obiettivo comune”, ha detto Michele Curto, presidente di Flare, facendo un primo bilancio del campus. “È necessario oggi fare un passo avanti, in questa fase di crisi dei mercati in cui le economie criminali diventano sempre più competitive. La sentita partecipazione del pubblico accademico e di relatori di rilievo internazionale ci fa capire quanto siano attuali gli argomenti che trattiamo in questi giorni". Il forum di Otranto, che continuerà praticamente senza sosta per l'intero weekend, è aperto al pubblico e ospita la crème dei relatori internazionali che hanno aderito a OLE. Due sono gli obiettivi principali dell'iniziativa: diffondere una reale conoscenza sulle dinamiche dell'illegalità internazionale e trovare nuovi e più efficaci metodi per contrastarla. “ L'elemento principale che sta emergendo in questi giorni di lavori è che la vastità della zona grigia finanziaria è pari a quella della zona lecita”, ha spiegato Vittorio Agnoletto, curatore culturale di OLE. “Tuttavia, c'è ancora spazio di intervento per una finanza etica: per questo la società civile deve premere sulla società politica e sulle istituzioni internazionali affinché si impegnino per stroncare questa situazione”. Ad aprire i lavori questa mattina, la

commemorazione di Toni Fontana, giornalista dell'Unità a cui è stata dedicata la giornata odierna del forum. Il primo dibattito, seguito con notevole interesse dal pubblico pugliese, è stato tutto sudamericano, con due ospiti fra i più attesi: Ricardo Vergas Meza, direttore di Acciòn Andina Colombia e Carlos Hernandez, l'honduregno direttore di Asj (Asociacion para una Sociedad mas Justa). “Un punto cardine per la lotta all'illegalità è la fiducia tra cittadini e giustizia”, ha detto Vergas Meza. “La collaborazione diretta tra questi due nuclei quando hanno come interesse comune la sanità del tessuto sociale, è ciò che porta ai migliori risultati tangibili nella lotta alla malavita”. Proprio sul tema della giustizia e sulla sua naturale interconnessione con la lotta all'illegalità, è intervenuto anche il magistrato Francesco Greco, magistrato della Procura di Milano, fra i massimi esperti sul tema dei reati di natura finanziaria. “La difficoltà della magistratura a contrastare la criminalità organizzata è soprattutto riconducibile a due questioni”, ha riassunto Greco, “una è che è difficile inquadrare le complesse operazioni finanziarie illegali nelle violazioni del diritto. L'altra è che la magistratura ha potere locale, mentre la finanza ha un'azione globale”. E, proprio Greco, ha sottolineato l'importanza di eventi come Ole, che portano in primo piano il tema della legalità e che intersecano la dimensione locale della lotta alla criminalità con quella internazionale, creando sinergie inedite che auspicabilmente porteranno a nuove frontiere risolutive. “La grande risposta data a questo genere di iniziative mi fa pensare che finalmente la gente stia alzando la testa. Vedere sale gremite di giovani attenti a comprendere quei meccanismi illegali che dominano il mondo mi fa pensare che ci si voglia realmente scontrare con le dinamiche dominanti che ne stanno alla base”. verità e giustizia - 9 settembre 2011

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>> informazione

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ome ogni otto settembre, riprendiamo gli aggiornamenti con l’ultimo editoriale del direttore di Step1. Da oggi non firmerà più questo giornale che, dopo lo sfratto voluto dall’Ateneo, non ha più né sede né redattori” . Così il direttore della testata degli universitari catanesi, Roberta Marilli, presenta il suo ultimo editoriale sul portale www.step1.it. Il giornale on line degli studenti della città etnea chiude i battenti. A seguire il testo della lettera che spiega motivazioni, contesto e futuro di una esperienza che per anni ha raccontato la città, l’Università e tante inchieste scomode sul territorio. Cari lettori, questo è il mio ultimo editoriale su Step1. Stamattina ho inviato alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Catania le mie dimissioni da direttore di questa testata. Ho preso questa decisione dal momento che mi è impossibile continuare a svolgere il mio lavoro. Come sapete, la redazione non ha più una sede. Da giugno scorso un atto firmato dal direttore amministrativo dell’Ateneo, Prof. Lucio Maggio, impedisce a chiunque l’accesso all’aula 24 dell’ex Monastero dei Benedettini di Catania prima che essa venga messa a norma. Mi duole comunicarvi che, nonostante le rassicurazioni, i lavori non sono ancora iniziati.Come ha acutamente rilevato il rettore dell’università di Catania, Prof. Antonino Recca, non è impossibile per un giornale online continuare ad esistere e ad essere aggiornato anche in assenza di una sede fissa. Il Magnifico non ha tutti i torti. Grazie alle moderne tecnologie, al giorno d’oggi molti lavori, probabilmente perfino quello di rettore, possono essere svolti da casa o da un internet point. E tuttavia, soprattutto per la redazione di un magazine – palestra di giornalismo - uno spazio fisico comune rappresenta un’esigenza più che un’opzione. L’aula 24 per anni ha ospitato riunioni, lezioni, seminari, attività di laboratorio, confronti costanti (agli orari e ai giorni più impensabili) tra i tutor professionisti e gli aspiranti giornalisti. I due computer e la linea telefonica - i soli beni che, insieme a un paio di scrivanie e qualche sedia, ci sono stati dati in uso dalla facoltà- hanno assicurato il normale lavoro redazionale che i giornalisti-studenti

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L’ultimo chiuda la porta di Roberta Marilli

Da giugno la redazione del giornale on line non ha più una sede. Un provvedimento dell'Università vieta l'ingresso nell'aula 24 per motivi di sicurezza. L'ultimo atto: la redazione si dimette e il progetto editoriale chiude i battenti sono quotidianamente chiamati a svolgere. Tocca esser franchi. Sin da subito la Facoltà si è attivata per trovare una sede alternativa per l’associazione Upress, sfrattata anch’essa dall’aula 24. Insomma, non sarebbe stato di certo impossibile trovare l’ennesima soluzione provvisoria e conciliante, in attesa di un chiarimento definitivo dei rapporti tra l’Università e questa testata. Il fatto è che, nel corso dell’estate, è sopraggiunta un’altra difficoltà, questa davvero insormontabile. Step1 ha perso la componente più importante: i suoi redattori. Stanchi di sentirsi un peso e un fastidio per l’Università che li ha formati, i dodici giovani che rappresentano ormai da tre anni il nucleo vitale della redazione, hanno deciso di non lavorare più per

Step1. Non parlo per loro, che se vorranno (e vorranno, statene certi) spiegheranno da soli il motivo del loro addio. Immagino – perché li ho avuti anch’io non troppo tempo fa - che a vent’anni si sia meno disposti ad indugiare nel limbo di risposte e confronti mai avvenuti. Un limbo nel quale tanti all’interno dell’ateneo catanese sembrano comodamente intrappolati. Del resto, rispetto ad altri, studenti ed ex studenti hanno ben poco da perdere e troppo poco da aspettarsi. Cari lettori, vi ringrazio per la pazienza, la costanza e l’entusiasmo con cui ci avete seguito non risparmiandoci né critiche, né lodi. Ringrazio il coordinatore della redazione Gianfranco Faillaci, che è stato il vero maestro di tutti, me compresa, e che


informazione <<

ha condiviso con me un’enorme mole dell’attuale realtà dell’università catanedi lavoro. E grazie all’altra vulcanica tu- se. Un prof straordinario che, insieme ad tor, Rosa Maria Di Natale: ha portato in Escher e Gianluca Reale, ha dato vita a redazione la sua professionalità, il suo Step1 e a Radio Zammù. Come forse saocchio critico, la sua prete, i nostri “cugini inesauribile energia. radiofonici” non sono Un ringraziamento I redattori stanchi di più dentro al Monava anche allo straorsentirsi un fastidio stero dei Benedettini dinario Salvo Scibilia, ed ora si trovano ad per l'università affrontare nuove sfiai redattori di iblalab e al loro coordinatore hanno deciso di non de, chi da una parte, Marco Moriggi. chi dall’altra. Scomlavorare più per metto che non fareE poi ancora grazie a Francesco Grasso Step 1 te fatica a ritrovare (per noi molto più nell’etere o sul web la che un webmaster) loro musica e le loro e ad Antonio Pioletti, il preside che ac- parole.Anche a loro il Rettore deve ancocolse con entusiasmo l’idea di Enrico ra delle risposte. Escher di far nascere dentro la facoltà di Infine, ringrazio tutti i redattori e i collaLingue e Letterature straniere di Cata- boratori del giornale, uno ad uno. I loro nia una radio e un magazine online fatti progressi, le loro speranze, i loro sogni dagli studenti. Un esperimento folle e vi- mi ripagano dei tanti pezzi di giorni e di sionario (eppure dannatamente concre- notti che ho ritagliato alla mia vita per to e necessario) che negli anni ha visto dedicarli a Step1. formarsi e crescere numerosi, poliedrici, Molti di questi ragazzi sono ancora qui, straordinari talenti. a Catania. Alcuni di loro continueranno Un grazie speciale va a Luciano Granoz- sulla strada del giornalismo (me ne aszi. In tutti questi anni ci è stato accanto, sumo, in parte, la responsabilità!). E’ inesollecitandoci a volare alto e a non rima- vitabile, del resto: ci sono ancora troppe nere impigliati nella vischiosa ragnatela storie da raccontare in questa città.

Ripenso alle centinaia di articoli, speciali, video, reportage e inchieste che ho commissionato o che mi sono arrivati su proposta dei redattori (i più belli). Eppure dovessi dire quanto tempo è passato dal primo che ho ricevuto non saprei dirlo. Non sono mai stata brava con le date. Non ricordo più neanche il giorno in cui sono diventata il direttore di questo giornale. Anzi la “direttora”, come la redazione ha deciso di chiamarmi sin dall’inizio. Una cosa, però, me la ricordo. Il titolo del mio primo editoriale. Si intitolava Sulla strada. Come sempre in questo mestiere, è da lì che bisogna ripartire. Ed è da lì che ripartiremo. Bene! A questo punto, non mi rimarrebbe che chiudere simbolicamente la porta dell’aula 24, ormai vuota e silente, alle mie spalle. Ma i battenti sono già da tempo sbarrati e, a guardarla da fuori, quella celletta al piano terra del Monastero dei Benedettini assomiglia a una delle tante officine artigianali costrette a chiudere dalla crisi. Il fallimento, però, non è certo di chi quel progetto l’ha fatto nascere, né dei tutor, né, soprattutto, degli studenti che, dal 2004 ad oggi, hanno fatto parte, orgogliosamente, di Step1. verità e giustizia - 9 settembre 2011

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>> Sicilia Viaggio tra gli ambulanti che ogni estate animano il lungomare della cittadina siciliana. Scarse condizioni igieniche, mancanza di servizi e sporcizia nel "villaggio" dove vivono i migranti. Nell'indifferenza della gente

Gela. Tra i dimenticati della movida di Rosario Cauchi foto di Paolo Ravalli

D

ormono, mangiano, cucinano tra le foglie oramai secche, cadute da alberi che, fino a qualche decennio fa, facevano da scenario ad una piscina rimasta sbarrata da un alto cancello bianco. Sono i forzati del commercio ambulante che fa da contorno alla vita notturna del lungomare di Gela. Arrivano dal Bangladesh, dallo Sri Lanka, dal Pakistan, dal Maghreb, dall’Africa sub sahariana. A Gela, tra una miriade di bancarelle, alcune volte ridotte solo ad alcuni piccoli espositori, vendono oggetti d’artigianato insieme a qualsiasi tipo di souvenir per la spiaggia. Nell’attesa che il caldo della mattina si assopisca con l’arrivo delle ore serali e, in questo modo, consenta loro di aprire le bancarelle: vivono all’interno di una piccola giungla, fatta di rifiuti e popolata da topi ed insetti di ogni tipo. «Almeno – dice Kazy – qui c’è ombra». Kazy, che mi accompagna in questo viaggio fra i suoi colleghi ambulanti, viene dal Bangladesh, ha una laurea in economia, vive a Palermo: ma in Sicilia non ha potuto fare altro che girare fra le tante feste patronali organizzate dai comuni, piccoli e grandi, e guadagnare il necessario per sopravvivere. «A Gela – spiega Kazy – rimaniamo praticamente per l’intero periodo estivo. In molti andranno via dopo la festa dell’8 settembre. Ci arrangiamo, non possiamo permetterci di viaggiare periodicamente fino a Palermo e, poi, ritornare. Per questo motivo molti dormono nelle macchine, altri, invece, a terra sui cartoni oppure all’interno di piccole tende». Mentre i

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bagnanti percorrono il tratto di strada che li divide dalla spiaggia, gli ambulanti sono intenti a cucinare tra gli alberi dove, contemporaneamente, dormono. «Noi paghiamo tutto per occupare i sei posti a disposizione – spiega sempre Kazy – ci sono, per dire la verità, anche gli abusivi ma noi non possiamo farci nulla, anche loro vengono a Gela per guadagnare qualche soldo. Purtroppo,

andiamo spesso in municipio ma i servizi, almeno un bagno per lavarci, non ci sono mai stati messi a disposizione». Gli ambulanti che, in alcuni casi, arrivano a Gela anche con bambini piccoli, sono costretti a lavarsi all’interno dei bagni presenti nei tanti esercizi commerciali del lungomare. Pagano quotidianamente una somma al gestore e possono accedere: insomma, si paga


Sicilia <<

La Cgil:«Abbiamo più volte segnalato le condizioni di vita di questi lavoratori». Si era trovata la soluzione ma è ancora tutto fermo»

anche per fare una doccia o rinfrescarsi la faccia. In alternativa utilizzano le docce collocate sulle passerelle che conducono al mare. Le pentole convivono con i rifiuti sparsi ovunque: l’odore delle spezie utilizzate per condire i pasti è sempre più intenso. Tutti stanno attenti a non fare troppo rumore: un ambulante africano, appena arrivato in città per la festa patronale, infatti, sta

dormendo su un cartone poco distante dalle “cucine”. L’odore emanato dal contenuto delle pentole, però, si scontra con il tanfo prodotto dall’assenza di bagni. «Ogni tanto – commenta Kazy – capita che i bisogni più impellenti vengano fatti tra l’erba». La loro estate a Gela sta per concludersi, ma la piccola tendopoli messa su dagli ambulanti è, oramai, una costante del lungomare

gelese da almeno tre anni. Tutti sanno, pochi, però, cercano di porre fine a questa prassi. «Come sindacato – spiega Nuccio Corallo responsabile dello sportello migranti della Cgil – abbiamo più volte segnalato le condizioni di vita di questi lavoratori. Abbiamo avuto colloqui, anche lo scorso anno, con l’assessore al ramo. Si era trovata una soluzione che prevedeva lo spostamento delle bancarelle a pochi metri di distanza da questa zona, praticamente a ridosso della capitaneria di porto. Ma i lavori avviati in quell’area hanno riportato tutto indietro». Gli ambulanti, intanto, radunati al centro della loro piccola giungla, iniziano a mangiare, i piatti di molti, però, sono stati coperti da uno strato di sabbia trascinata dal forte vento che si è abbattuto sulla spiaggia. verità e giustizia - 9 settembre 2011

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>> i media ne parlano

Scioperiamo per difendere la testata di Cdr Rainews

Il comitato di redazione della rete allnews della Rai ha deciso di scioperare contro la decisione di cedere mezz'ora di palinsesto televisivo all'informazione regionale che interromperebbe il flusso informativo

N

o alla cessione alla Testata Regionale dello spazio di palinsesto dalle 22.30 alle 23.00 sette giorni su sette, e qualunque altra cessione di spazi di palinsesto ad altra struttura, che non può che essere definita uno scippo di sovranità e un impedimento al compimento della propria missione editoriale! No a qualunque ipotesi di interruzione del flusso informativo che, in una “allnews” quale è Rainews, non può essere frazionato e affidato ad altra Testata o Struttura di qualunque genere! Sì a un vero rilancio di Rainews in quanto unico canale “allnews” della Rai, rilancio ancora più necessario in vista dell’avvio del canale ‘allnews’ di Mediaset! L’Assemblea di Rainews, all’unanimità, ha deciso un pacchetto di giorni di sciopero, da proclamare al più presto, e si riserva di varare nuove forme di protesta pubblica, in vista di un’azione incisiva che non si limiti alla sospensione dal lavoro. Ribadiamo la nostra totale contrarietà a conflitti con i Colleghi della TGR come di altre redazioni Rai, con cui è interesse di tutta la Redazione di Rainews continuare e arricchire la collaborazione già esistente. Ma ribadiamo altresì di non essere disposti a vederci trasformati da “allnews” a una rete qualsiasi da riempire con contenuti purché sia. Vogliamo ricordare alla Di-

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rezione Generale che, se quello che un tempo era Rainews24, poi divenuto inspiegabilmente Rainews, è oggi il primo canale tv “allnews” in Italia in termini di ascolti e di credibilità, lo è essenzialmente per il grande sforzo profuso, in tutti gli oltre dodici anni di storia che la Rai non si è mai preoccupata di celebrare, dalla Redazione tutta, in condizioni sempre difficili, tra una tecnologia non sempre affidabile, spazi e mezzi limitati, sottodimensionamento e strutture aziendali disponibili sempre in seconda battuta. Una Redazione che non si è sottratta a questo sforzo neanche nel periodo estivo che si avvia a concludersi, consentendo a Rainews di coprire in diretta eventi fondamentali per la vita civile del Paese, quale la crisi finanziaria e il confronto politico per il varo della Manovra, ma anche la crisi libica e tanti eventi internazionali, anziché limitarsi a mandare in onda repliche o materiali registrati, come avviene di norma in periodo di ferie estive. Un impegno che è costato molta più fatica di quanto non richiedesse il nostro contratto, perché basato sulla passione per il nostro lavoro e il senso di responsabilità nei confronti del Contratto di Servizio e dei nostri telespettatori. Non siamo quindi disposti a sacrificare tutto questo per vederci espropriati di spazi di informazione e di democrazia.

In una allnews l'informazione non può essere affidata ad altre testate sospendendo l'attività del canale


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>> libri

Il quarto comandamento di Lorenzo Frigerio «Non ce l’hai fatta. Forse ti sei messo solo in viaggio verso un’altra vita. Forse sei voluto andare a cercare papà. Non trovo la risposta. Solo le tue parole, scritte in queste tue memorie che hanno il sapore di un testamento: “Non so se quello che faccio è giusto o no. E dov’è scritto cosa è giusto e cosa non lo è. Io sono fatto così”..». Sono queste alcune delle commosse parole che Giulio Francese dedica a suo fratello, in esito al bel libro scritto da Francesca Barra, nota al grande pubblico per il programma su Radio 1 “La bellezza contro le mafie”. Ne “Il quarto comandamento”, l’autrice ricostruisce la parabola professionale e umana di un padre e di un figlio, rimasto orfano in giovanissima età. Il padre è Mario Francese, giornalista di punta de “Il Giornale di Sicilia”, mentre il figlio, Giuseppe, è l’ultimo della nidiata di quattro figli maschi che sono l’orgoglio di famiglia. Le pagine scorrono veloci, merito anche di uno stile narrativo che porta subito all’interno della terribile tragedia vissuta dalla famiglia Francese. «La prima vita dei fratelli Francese finisce il 26 gennaio 1979. A Palermo, ha piovuto tutto il giorno. Un giorno come tanti altri». In realtà, quello non sarà un giorno come gli altri, perché è quella la data in cui i killer della mafia attenderanno sotto casa Mario Francese per togliergli la vita. Tra i primi ad arrivare sul luogo dell’attentato mortale, un altro giornalista, il primogenito di casa Francese, Giulio che, fin da giovane, aveva seguito le orme paterne, dedicandosi ad un lavoro che quando ti entra dentro, finisce per diventare una seconda pelle. Mario Francese è il primo a cogliere sul campo la trasformazione epocale della mafia: non più “viddani” con le scarpe sporche di fango, ma rampanti criminali in grado di trovare le alleanze politiche ed economiche per stringere d’assedio Palermo e non solo. Una nuova mafia che da figlia del sottosviluppo del modello economico del latifondo si presenta sotto le nuove vesti di mafia imprenditrice, in grado di gettarsi anima e corpo nei business del narcotraffico e degli appalti pubblici. Proprio alcuni di questi appalti, da quelli relativi alla ricostruzione del Belice, uscito distrutto dal terremoto, a quello inerente la diga Garcia, sono oggetto di approfondita analisi da parte di Francese. La sua corsa verso la morte inizia così, dall’ostinata volontà di fare 16 verità e giustizia - 9 settembre 2011

bene e fino in fondo il proprio lavoro e termina nei pressi della sua abitazione, sotto un telo bianco di quelli che vengono pietosamente stesi in queste terribili circostanze. La vita di Mario Francese viene spenta sotto casa, dove gli assassini lo attendono. A casa, in attesa come ogni sera per concludere insieme la giornata con la cena comune, i figli e la moglie. Evidentemente scossi da una fine così drammatica per il loro amato padre, ciascuno dei fratelli Francese reagisce a quel terribile dolore, con modalità diverse e come è giusto che sia: chi gettandosi a capofitto nel proprio lavoro, chi dedicandosi agli affetti più cari. In Giuseppe, il più piccolo di famiglia, di fronte a quella violenta ingiustizia che arriva a turbare la pace familiare, nasce fin da subito il desiderio di capire e da quel momento si avvia un percorso di conoscenza e di studio. Dalle carte e dalla documentazione raccolta in anni di onorato impegno professionale dal padre, per finire ai suoi articoli e appunti: tutto viene divorato con avidità di Giuseppe Francese. È un modo per conoscere il genitore troppo presto strappatogli ingiustamente, ma anche un tentativo di capire chi e perché ha voluto la sua morte. Per questo motivo il più piccolo dei fratelli Francese passerà gli anni migliori della sua vita in una apparente contraddizione, passando, rapidamente e a fasi alterne, dalla spensieratezza e allegria che tutti gli riconoscono ad una profonda concentrazione sull’obiettivo che si è posto. Per lui ciò che conta sopra ogni altra cosa è rendere giustizia al padre ucciso barbaramente, secondo quanto recita appunto il quarto comandamento: «Onora il padre e la madre». E quale miglior modo di onorare il padre che contribuire alla riapertura dell’inchiesta sulla sua morte, offrendo agli inquirenti le chiavi di lettura utili a comprendere le ragioni dell’uccisione di una voce scomoda per i capi di Cosa Nostra. Nel momento in cui arriva la condanna a distanza di oltre vent’anni per Bagarella, l’esecutore materiale e per i mandanti dell’omicidio del padre, i boss della cupola, per Giuseppe la vita appare di colpa vuota e inutile e inizia a covare, dentro, sorda e rabbiosa, la voglia di chiudere la partita con un’esistenza fin troppo avara. Delicate e misurate sono le pagine in cui l’autrice racconta il gesto estremo di Giuseppe: quel togliersi la vita così, in silenzio, sono l’ultimo disperato grido d’aiuto che il giovane lancia al mondo, ma è ormai troppo tardi. Un libro da leggere per fare onore non solo al padre, ma anche al figlio che l’ha onorato fino in fondo: Mario e Giuseppe Francese ora sono insieme, nel ricordo di quanti li hanno amati e di chi, a posteriori, ne ha conosciuto la struggente storia.

Francesca Barra IL QUARTO COMANDAMENTO La vera storia di Mario Francese che sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese giustizia Rizzoli, Milano 2011 pp. 182 € 17,90


dai territori << a cura di Norma Ferrara

Lombardia Si è concluso a Lecco il primo campo di Libera su un bene confiscato in Lombardia. Volontari, giovani e tanti cittadini hanno riflettuto sulla presenza delle mafie al Nord, lavorato sul terreno prima appartenuto ai boss, e animato il territorio con incontri, dibatti, musica e divertimento. Durante le giornate anche un piccolo incidente: un danneggiamento della Tenda della Memoria costruita dai ragazzi. Segnale che anche qui al nord le mafie sono infastidite dall’azione dell’antimafia sociale. Sul portale di Libera Informazione il diario delle giornate scritto a più mani dai protagonisti del campo di lavoro e studio.

Campania Un anno fa veniva ucciso Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica, nella notte tra il 5 e il 6 settembre. Un libro racconta la sua storia, le sue scelte di vita e l’amore per la sua terra e per uno sviluppo nel segno della legalità e del rispetto dell’ambiente. A scrivere “Il sindaco pescatore” edito da Mondadori, il fratello Dario Vassallo e il suocero Nello Governato.

Sicilia Via libera all’ammissione di Gaspare Spatuzza al programma di protezione per i collaboratori di giustizia. L’ex capomafia di Brancaccio, uno dei killer più spietati nella storia di Cosa Nostra, è ufficialmente sotto la tutela dello Stato italiano. Nel giugno del 2010 la speciale commissione ministeriale che si occupa di vagliare le richieste di ammissione al programma di protezione aveva bocciato la richiesta dei magistrati di tre procure (Palermo, Caltanissetta, Firenze). Adesso, invece, il dietro front ha garantito la protezione per il collaboratore che ha contribuito a riaprire le inchieste sulle stragi, ancora al vaglio della magistratura siciliana.

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Fra gli strumenti che colpiscono la libertà di stampa, insieme con le intimidazioni ai cronisti, c’è l’uso strumentale della legge sulla diffamazione, con esose richieste di risarcimento danni in sede civile, senza alcun rischio per il querelante. Un’arma in grado di annientare iniziative editoriali, scoraggiare e intimidire singoli giornalisti, impedire di far luce su oscure vicende di illegalità e di potere.

Per usufruire di consulenza e di assistenza legale giornalisti e giornaliste possono:

Per non lasciare soli i cronisti minacciati

che siano in grado di dimostrare la loro buona fede e la loro correttezza, Federazione Nazionale della Stampa, Associazione Stampa Romana, Ordine Nazionale e regionale dei giornalisti, Unione Cronisti Italiani, Libera, Fondazione Libera Informazione, Articolo 21, Osservatorio Ossigeno, Open Society Foundations hanno deciso di costituire uno sportello che si avvale della consulenza di studi legali da tempo impegnati in questa battaglia per la libertà di informazione.

Inviare una e-mail all’indirizzo:

sportelloantiquerele@libera.it inserendo in oggetto la specificazione “sportello antiquerele" 18 verità e giustizia - 9 settembre 2011

Telefonare al numero :

06/6871593


>> rubriche

IPSE DIXIT a cura di Lorenzo Frigerio

Puglisi: “le parole devono essere confermate dai fatti” È importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi. Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti. Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un’illusione che non possiamo permetterci. È soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto... Il discepolo di Cristo è un testimone. La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio. Il passo è breve, anzi è proprio il martirio che dà valore alla testimonianza. Ricordate San Paolo: “Desidero ardentemente persino morire per essere con Cristo”. Ecco, questo desiderio diventa desiderio di comunione che trascende persino la vita”.

Don Pino Puglisi Sacerdote ucciso dalla mafia - Palermo 1937/1993 verità e giustizia - 9 settembre 2011

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Verità e giustizia newsletter a cura della Fondazione Libera Informazione Osservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie

Direttore responsabile: Santo Della Volpe

Sede legale via IV Novembre, 98 - 00187 Roma tel. 06.67.66.48.97 www.liberainformazione.org

Redazione: Peppe Ruggiero, Antonio Turri, Gaetano Liardo, Norma Ferrara

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Coordinatore: Lorenzo Frigerio

Hanno collaborato a questo numero: Rosario Cauchi, Valentina Dirindin, Floriana Lenti, Roberta Marilli, Ennio Remondino Grafica: Giacomo Governatori


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