n.80
16 novembre 2011
veritĂ egiustizia
La newsletter di liberainformazione
Mafie da contaminazione
>>editoriale
Da Fondi a Roma di Santo Della Volpe
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l fratello di Totò Riina, Gaetano ed il figlio di Sandokan, Nicola Schiavone, arrestati con altri complici per il controllo del trasporto di frutta e verdura, per e dal Mof di Fondi, il più grosso mercato ortofrutticolo d’Europa. Cassette di frutta sotto le quali si nascondevano anche mitra, bombe ed esplosivo in viaggio nei camion frigorifero. Mafia e camorra alleate ai più alti livelli dunque per il controllo di una “stazione” di smistamento di importanza capitale per il Lazio, il Nord Italia e l’Europa: ecco perché Fondi doveva restare in orbita politica perlomeno compiacente, comunque silenziosa e tranquilla perché si trafficasse con comodo; perché il controllo del territorio serve per fare affari e la politica deve essere amica,per mafiosi e camorristi. Un’altra delle motivazioni per le quali il Consiglio Comunale di Fondi non è stato sciolto dal governo Berlusconi nonostante (caso unico in Italia, ma poi imitato in altre occasioni…) ben due richieste da parte del prefetto di Latina: troppi interessi in gioco
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in quel territorio perché prevalesse la legalità... Lo ha svelato ora una inchiesta della magistratura, dopo numerosi articoli giornalistici (anche di Libera Informazione), dopo le indagini di Polizia e Carabinieri e dopo le due relazioni dell’allora prefetto Frattasi: nel Mof di Fondi l’alleanza mafia-camorra era ferrea e serviva per coprire non solo i traffici locali,ma la penetrazione malavitosa nel basso Lazio, usata a fini politico-affaristici per aprirsi la strada verso la capitale. Per questo l’indagine della magistratura su Fondi è l’angolatura per capire le “Mafie nel Lazio”, cui dedichiamo buona parte di questa newsletter. Perché in questo finale di partita italiano, che è anche l’inizio di una operazione verità necessaria ora in Italia se vogliamo che prevalga la legalità, partire dal Lazio, da Roma, significa ripercorrere la strada della penetrazione mafiosa nei gangli vitali del nostro paese, per svelarne gli intrecci e dare linfa alla battaglia per una giusta economia ed una normale convivenza civile. Da Fondi a Roma, dunque, ma facen-
do anche un ampio giro per le capitali del riciclaggio e della politica collusa. E per capire quanto sia fastidiosa per le mafie e camorre varie, la presenza, in provincia di Latina, di un “Villaggio per la legalità” su un terreno confiscato ad un boss mafioso. Dà fastidio: perché fa intravedere la possibilità di riscatto, cercata dai giovani e dagli onesti, dalle donne e dagli uomini che vogliono bloccare il cammino delle mafie. Per questo l’hanno preso di mira con atti di vandalismo, ripetutamente: e per questo noi torniamo a parlarne ed a chiedere alle istituzioni di fare tutto quel che è necessario per arrestare i colpevoli di quelle devastazioni. Ed ai politici di abbandonare ogni compiacenza verso questi malviventi, a Fondi, nel mercato ortofrutticolo, così come nelle amministrazioni pubbliche. Ora si chiede a tutti loro un passo avanti: per non restare indietro nella via del riscatto di questo paese verso un’aria più pulita e respirabile. Nel Lazio, come a Roma e nei luoghi del potere; speriamo, finalmente, responsabile.
Premio Tv per il giornalismo investigativo Il Premio "Roberto Morrione" e’ rivolto ai giovani giornalisti, free lance, studenti, volontari dell'informazione ed ha l'obiettivo di promuovere, sostenere e incentivare concretamente la realizzazione di inchieste televisive di giornalismo investigativo nel nome di Roberto Morrione che, nella sua lunga carriera di giornalista, ha sostenuto con forza l'importanza dell'inchiesta per restituire
un contesto alle notizie e far comprendere i fatti. tre grandi giornalisti d’inchiesta: Ennio Remondino, Sigfrido Ranucci, Maurizio Torrealta. L’inchiesta premiata sarà trasmessa da Rainews. La premiazione si svolgerà durante le giornate del Premio Ilaria Alpi.
www.premiorobertomorrione.it IN COLLABORAZIONE CON: LIBERAINFORMAZIONE.ORG, ARTICOLO21, FNSI, USIGRAI, MISTERIDITALIA.IT, TECHE RAI, SCUOLA GIORNALISMO L.BASSO MEDIA PARTNER: INTERNAZIONALE, IL CALENDARIO DEL POPOLO
COMMUNICATIONS
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>> speciale Lazio
Mafie da contaminazione di redazione*
La Quinta mafia nasce e si sviluppa in quell’area a sud di Roma, il "basso Lazio" e da quel laboratorio criminale si estende nelle altre regioni del centro e del nord Italia. Leonardo Sciascia una volta disse, secco e pungente come lui sapeva essere, che «La linea della palma mafiosa va a nord». Oggi quella linea corre più spedita e i clan si trasformano nella composizione rendendosi meno penetrabili e meno perseguibili, se non si sapranno riconoscere nei nuovi assetti e nei nuovi modus operandi. Questa è la Quinta mafia o mafia da contaminazione. Pubblichiamo una ricostruzione storica e sociale del fenomeno nella regione 4 verità e giustizia - 16 novembre 2011
speciale Lazio <<
Tutti presenti nella Capitale Dagli anni '70 i clan si sono infiltrati nelle più importanti attività economiche a Roma, come a Latina, a Sabaudia, a Formia e a Terracina. E oggi ad operare sono anche nostri corregionali, residenti da anni nel Lazio
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uoi notare i mafiosi di “casa nostra” indaffarati e sorridenti in via Veneto a Roma, nella piazza del comune di Latina, nelle zone antistanti i porti di Anzio e Nettuno, nelle vie del centro di Fondi, nelle piazze di Sabaudia, di San Felice Circeo, di Terracina, di Formia, di Ostia, di Civitavecchia o di Cassino, intenti a decidere le strategie economiche e politiche finalizzate, sempre e comunque, al denaro e al potere. I capi di questa Quinta mafia sono nostri corregionali, nati a Roma o nei centri del Lazio o da moltissimi anni qui residenti, hanno appreso e messo in pratica, negli anni, le strategie e i metodi dei vecchi boss, giunti sulle terre degli antichi Latini sin dagli anni 70, chi al soggiorno obbligato, chi per
fungere da ambasciatore delle cosche, come Frank Coppola e Pippo Calò, solo per citare i due più famosi. La Quinta mafia è un mix esplosivo composto da colletti bianchi, faccendieri della politica, delinquenti comuni in carriera ed elementi di spicco delle mafie “tradizionali” che, da anni, sono presenti e operanti a Roma e nel Lazio. I boss di casa nostra sono specialisti nel reinvestire a Roma, e da qui nel resto d’Italia, i capitali sporchi delle famiglie della camorra, della mafia e della ’ndrangheta e quelli di provenienza autoctona. Per avere un’idea di cosa sia successo basta percorrere le strade litoranee che, subito dopo il fiume Garigliano, da Marina di Minturno, passando per Sperlonga, Fondi, il lido di Lavinio, Torvaianica, Ostia, giungono a Civitavecchia o che
dal confine con la Campania risalgono nel Cassinate e in gran parte della provincia di Frosinone. Per comprendere come sia possibile realizzare grattacieli e centri commerciali che rimangono vuoti, è sufficiente fare un giro all’interno delle città che costeggiano la strada Pontina, da Latina ad Aprilia a Pomezia sino al quartiere Spinaceto, alle porte di Roma. O assistere increduli ad episodi strabilianti come quello di un pensionato a basso reddito di Casal di Principe ed una anziana signora di Aprilia (Lt) che acquistano, con alcuni milioni di euro, le quote societarie di un grattacielo in pieno centro a Latina. C’era da aspettarselo. Le mafie come il cancro tendono ad invadere tessuti sani, sviluppando metastasi. Roma e il Lazio, in particolare il sud della regione, non dovevano avere come fronte contro la penetrazione dei “clan” il solo confine rappresentato dal fiume Garigliano: parte consistente di questi territori restano presidiati da poche decine di carabinieri e poliziotti e sono amministrati da “pezzi” della politica che negano tuttora l’emergenza mafie. In queste aree, esponenti della politica e dell’imprenditoria locale sono collusi con le cosche o ne sono parte costituente e hanno fatto della corruzione e del voto di scambio una sorta di modus operandi perpetuo e impunito. I casi eclatanti che hanno riguardato le note vicende di Nettuno e Fondi sono solo la punta dell’iceberg. L’ascesa dei boss senza lupara Le mafie autoctone laziali e quelle d’importazione, forti della capacità corruttrice dovuta alle ingenti quantità di ricchezze accumulate mediante il traffico degli stupefacenti, la tratta degli esseri umani, lo sviluppo della pratica dell’usura, della gestione del gioco d’azzardo e del riciclaggio del denaro sporco, hanno ben compreso come qualunque strategia di consolidamento criminale non poteva non passare per il centro politico ed economico del Paese: Roma. I boss senza coppola e lupara hanno sviluppato le loro innumerevoli attività criminali e di riciclaggio del denaro sporco nel nord d’Italia e in importanti Paesi europei ed extraeuropei, favorendo anche in altre realtà la nascita e lo sviluppo di mafie autoctone, capaci di collaborare con le mafie “storiche” e con le mafie straniere, in particolare con quella cinese e quella emergente russa. verità e giustizia - 16 novembre 2011
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>> speciale Lazio
Storia di una contaminazione in corso Dall'infiltrazione al radicamento, le mafie mirano a prendere il controllo dell'economia, della società civile, attraverso uso della violenza e gestione silenziosa dei grandi affari nella capitale e nel sud pontino
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'arrivo e il radicamento delle mafie nella regione ha attraversato diverse fasi. Tutte hanno preparato il terreno per una contaminazione del territorio che oggi fa registrare una escalation di violenze, traffici illeciti e investimenti di capitali criminali nel circuito dell'economia legale. Ripercorriamole.
listena a Latina, la ‘ndrina degli Alvaro ad Aprilia, i corleonesi e la mafia italoamericana a Pomezia (Rm) con Frank Coppola detto “Tre dita”, le ‘ndrine dei Gallace - Novella a Nettuno, Anzio e su parte del litorale romano. Negli anni ‘70, metà degli anni ‘80, arriva e opera a Roma Pippo Calò che entra in contatto con i boss della Banda della Magliana.
Fase dell’infiltrazione - anni Settanta. Dai primi anni ‘80 si stabiliscono in quest’area molti dei capi della camorra casertana e napoletana, di ‘ndrangheta e cosa nostra. Tutti di elevato spessore criminale come il clan dei casalesi e i La Torre a Formia, i Moccia e i Magliulo a Gaeta, i Tripodo a Fondi, i Cava a Sabaudia, i Santapaola e le ‘ndrine di Po-
Fase del radicamento mafioso- anni Novanta. A decorrere dagli novanta le mafie d’importazione si radicano, avendo tessuto e consolidato sul territorio, anche a causa della negazione e sottovalutazione del fenomeno da parte della politica locale, rapporti con la criminalità organizzata autoctona e con settori dell’economia locale. Ad esem-
La Quinta mafia o da contaminazione La Quinta mafia è un nuovo e complesso tipo di aggregazione criminale, sviluppatosi, con probabilità, dapprima nel basso Lazio e successivamente operante a Roma e da qui nel resto del Paese. La Quinta mafia è il risultato della contaminazione delle mafie di importazione (cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta) sui 6 verità e giustizia - 16 novembre 2011
gruppi criminali autoctoni, sulle criminalità organizzate straniere e su quei pezzi dell’economia e della politica locale (colletti bianchi), contigui o parte integrante dell’organizzazione. Sin dai primi anni ‘70 il Lazio, sia per la continuità con le regioni del sud del Paese, sia per il consistente arrivo ed insediamento stabile dei boss di mafia,
pio i clan della ‘ndrangheta sono presenti nella città di Aprilia sin dalla fine degli anni ottanta. Quei clan, da allora, controllano pezzi importanti dell’economia agricola e del ciclo del cemento a sud di Roma e sono entrati in contatto con settori importanti dell’alta finanza e con pezzi della politica romana, (c.d. colletti bianchi). A Fondi il clan Tripodo e quelli della camorra casalese sono stabilmente presenti nelle attività economiche del locale mercato ortofrutticolo, uno dei più importanti d’Italia. Sono rimasti più o meno indisturbati sino all’arrivo a Latina del Prefetto Bruno Frattasi. Fase della contaminazione - Quinta mafia. Dall’inizio degli anni duemila, dopo l’infiltrazione e la fase del radicamento, si è passati alla fase della contaminazione di persone e settori dell’economia e della politica locale e della criminalità autoctona. I processi che si sono tenuti e che si stanno tenendo nei tribunali del Lazio vedono come imputati del delitto di associazione mafiosa (416 bis) o reati collegati, moltissimi cittadini laziali con ruoli di organizzatori o comunque di primo piano. I magistrati della Dda di Roma nell’annuale relazione dell’Ufficio segnalano come in tutto il basso Lazio ed in consistenti territori della Capitale sia in aumento la pervasività delle mafie nel controllo dei mercati criminali del traffico delle sostanze stupefacenti, dell’usura e del riciclaggio del danaro sporco nei redditizi settori dell’edilizia e del commercio. Ad oggi, non pochi politici ed imprenditori la‘ndrangheta e camorra, sottoposti al divieto di soggiorno, ha sperimentato tutte le fasi di infiltrazione e trasformazione dei clan sui territori a non tradizionale presenza mafiosa come la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Campania. Il basso Lazio, che dal confine della provincia di Caserta si estende lungo tutto il litorale pontino e che comprende centri come Formia, Gaeta, Fondi, Sabaudia, Latina e Aprilia, ha un naturale e solido sbocco con il sud della provincia di Roma, lungo l’asse Nettuno, Anzio, Ardea, Pomezia e con l’area di Cassino che rientra nella provincia di Frosinone.
speciale Lazio << I magistrati della Dda di Roma segnalano aumento traffico delle sostanze stupefacenti, usura e riciclaggio
ziali sono indagati o imputai di associazione mafiosa in indagini o processi così come sta avvenendo sempre più spesso nelle regioni a nord del Lazio. Le mafie dopo la fase del radicamento riescono con facilità a contaminare settori della delinquenza locale e di quelle straniere che, una volta conosciuto e sperimentato il metodo mafioso di intervento sui “mercati criminali” e sull’economia tendono ad emulare le forme di criminalità organizzata in proprio o in collaborazione con i”cattivi maestri” venuti dal sud. Le mafie nei nuovi territori, dapprima investono, poi tendono a contaminare. Creano metastasi. Si diffondono, corrompe lentamente. In silenzio. Questa è la Quinta mafia. Questo è il nuovo fronte della lotta alle mafie. Il pericolo è rappresentato da un sistema di criminalità economica che contamina anche i territori dal punto di vista sociale e culturale. Le conseguenze di questo processo di trasformazione fanno si che a Fondi i cittadini abbiano più paura dei mafiosi autoctoni che dei Tripodo. Ancor di più dei politici e degli “imprenditori” imputati di 416 bis nati a Fondi o a Roma. A Nettuno molti cittadini sono più omertosi per paura dei mafiosi rinviati a giudizio nati nel Lazio che dei Gallace - Novella provenienti dalla Calabria. A Roma i cittadini di Tor Bella Monaca hanno più paura dei clan di origine nomade che dei loro soci di Casal di Principe. A Parma i parmensi sono più preoccupati dell’imprenditore locale imparentato con un capo della camorra campana che dei boss napoletani. verità e giustizia - 16 novembre 2011
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a gennaio 2011 nella Capitale si sono consumati 27 omicidi. Tra questi, per modus operandi e riscontri investigativi, alcuni sono riconducibili alla criminalità organizzata. Molti di questi hanno destato viva preoccupazione tra i cittadini, come quello del giovane gioielliere Flavio Simmi, avvenuto con le tipiche modalità dell’esecuzione mafiosa, nel pieno centro della Capitale, nel quartiere Prati, il giorno 5 luglio 2011. Secondo il Procuratore Capo di Roma Giovanni Ferrara: «Nella società romana c’è una violenza eccessiva e incontrollata, anche quella spicciola». Per il Procuratore Aggiunto Giancarlo Capaldo della Dda di Roma: «più che essere gli omicidi a destare allarme, ildato che dovrebbe preoccupare di più sono le gambizzazioni... la criminalità organizzata mira alla finanza e ha lasciato il controllo a gruppi autoctoni di livelli medio bassi». Nella strage di Cecchina, località alle porte di Roma, avvenuta il 29 maggio 2011, il duplice omicidio, vide coinvolti tra i presunti killer, oltre a tre personaggi legati al clan mafioso catanese dei Santapaola, una vigilessa di Albano Laziale. Nell’ordinaza di arresto, richiesta dal magistrato Capaldo della Dda di Roma, si legge, tra l’altro: «la sparatoria si inserisce in un contesto criminale di elevata pericolosità, una vera azione mafiosa all’interno di contrasti tra gruppi criminali dediti al traffico internazionale di stupefacenti radicati a Catania e nell’area sud del Lazio». Ma si dovrebbe riflettere, come sostenuto dal Procuratore, sugli episodi di gambizzazione che vanno letti nel contesto ambientale. E collegati con altri episodi. Altre inchieste. Il 29 settembre 2010 viene gambizzato nel quartiere Paroli, l’avvocato penalista Piergiorgio Manca, Il noto professionista risulta tra gli altri difensore di un personaggio rimasto coinvolto nell’inchiesta sul maxiriciclaggio da oltre due milioni di euro che ha coinvolto i vertici di Fastweb e Telecom Sparkle e che ha come personaggio centrale nell’inchiesta Gennaro Mokbel. E devono far riflettere e porre interrogativi le
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Quinta mafia tra omicidi e gambizzazione Le armi rompono la pax mafiosa e portano la città a cambiare volto. Dal gennaio ad oggi 27 morti e molti riconducibili alla criminalità organizzata. Principale causa dei delitti il controllo del mercato della droga
decine di aggressioni legate a regolamenti di conti per il controllo dei traffici criminali che avvengono nella zona del litorale romano. Questa zona della Capitale da anni è segnalata nelle relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia e vede agire personaggi della criminalità autoctona e di cosa nostra. Nella relazione del secondo trime-
stre del 2010 della Dia si segnala l’operatività di gruppi misti criminali riconducibili alle mafie tradizionali come quella del clan Triassi, diramazione del clan siciliano dei Cuntrera Caruana. A più riprese la Dda di Roma ha coordinato inchieste nei confronti di sodalizi criminali dediti al narcotraffico guidati dal noto pregiudicato di Ostia, Carmine
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Fasciani, esponente di spicco della malavita organizzata locale. Dal 2007 al 2011 nel Municipio di Ostia si sono verificati decine di attentati ai danni di stabilimenti balneari ed esercizi commerciali: nella notte del primo gennaio del 2007 bruciava il ristorante annesso allo stabilimento balneare Med, il 18 luglio del 2007 veniva incendiato lo stabilimento balneare Happy surf, il 18 marzo del 2009 venivano bruciati i locali dello stabilimento Buca Beach, il 22 novembre 2009 il bar dello stabilimento balneare Punto Ovest, il 19 luglio del 2010 venivano nuovamente distrutte dalle fiamme dolose le attrezzature dello stesso stabilimento balneare, il 14 maggio 2010 veniva data alle fiamme parte dal Caffè Salerno, il 3 gennaio del 2011 bruciavano le strutture dello stabilimento balneare Anima e Core, l’11 aprile del 2011, veniva distrutto da un incendio doloso il chiosco Blanco, la notte tra il 27 e il 8 luglio del 2011 venivano incendiati la discoteca Kristal e il ristorante Villa Irma, all’alba del 29 luglio 2011 esplodeva una bomba che danneggiava il
Capaldo della Dda di Roma: «gambizzazioni segnale di una mafia che mira alla finanza e ha lasciato il territorio a piccoli gruppi» locale Pronto Pizza. Questi fatti seppur a titolo esemplificativo, rappresentano le modalità di condizionamento dell’economia del litorale di Ostia e più in generale di quella dell’intero litorale romano messe in atto seguendo lo stile mafioso. Nel solo territorio di Ostia si contano come attivi ben cinque clan criminali alcuni di origine autoctona, altri di importazione che dimostrano al momento buoni livelli di collaborazione specie nel riciclaggio del denaro accumulato con le attività delinquenziali: Fasciani, Senese,
Contrera-Caruano, Trassi ed ex della Banda della Magliana. Già nella relazione della Dna del 2007, si leggeva tra l’altro: «il litorale romano conferma la sua attrazione anche per altri gruppi criminali di origine siciliana interessati all’affidamento e alla gestione di lotti di spiaggia libera del litorale di Ostia . Agli incendi verificatisi negli anni scorsi a danno di stabilimenti balneari sono seguite indagini su intimidazioni e pressioni subite da rappresentati di cooperative sociali e da amministratori pubblici locali nell’ambito dei bandi indetti per l’assegnazione delle spiagge».
*Estratto del documento realizzato dai giornalisti del coordinamento di Libera Lazio, presentato al convegno del 26 ottobre all’Università La Sapienza di Roma verità e giustizia - 16 novembre 2011
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Mafie radicate nel Lazio di Norma Ferrara
Procuratore Luigi De Ficchy: «i boss nella regione hanno messo le mani su economia e dialogato anche con la politica»
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mmagini Fondi negli anni '70, c'erano i Tripodo. A Nettuno negli anni' 60 c'erano già i Gallace. Quella delle mafie nel Lazio è una presenza antica e non sempre stata attenzionata con sufficiente rigore. Quello che è certo, a tanti anni di distanza da quelle presenze, è che le mafie hanno messo le mani sull'economia, hanno fatto affari e nel tempo, inevitabilmente, si sono incontrati con la politica». Nella giornata in cui la squadra mobile della Questura di Caserta e la Dia di Roma hanno eseguito nove ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di esponenti di spicco del clan dei casalesi, dei Mallardo di Napoli e dei corleonesi che operavano nel Mercato ortofrutticolo di Fondi (Lt), abbiamo intervistato il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Tivoli, Luigi De Ficchy, profondo conoscitore del fenomeno mafioso nella regione, delle origini e delle caratteristiche di questa mafia da contaminazione.
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Qual è la situazione delle mafie nel Lazio, cosa è cambiato dagli anni ’80 ad oggi? La situazione attuale è quella di un radicamento delle mafie nel Lazio, ci sono gruppi presenti da tantissimi anni, ormai anche su Roma e paradossalmente anche nel nord della regione. Dal 1980 ad oggi tutto è cambiato: dalla Magliana che aveva un tipo di organizzazione egemonica molto forte e collegamenti con le mafie del sud agli anni ’90 è cambiato lo scenario internazionale criminale. Disgregata la banda della Magliana in gruppi separati, si sono andati ad inserire nel tessuto criminale, da un lato le mafie invisibili che vengono ad investire nella regione e dall’altro quelle internazionali che gestiscono il business del traffico di droga e esseri umani. Oggi è difficile riuscire a risalire alla rete internazionale che coordina questi affari criminali ma anche rintracciare i movimenti di capitali della mafie provenienti dal sud che qui sono infiltrate nell’economica legale.
Una operazione antimafia ha colpito ieri casalesi e corleonesi che controllavano il MOF di Fondi: perché diverse organizzazioni criminali gestiscono lo stesso business? E’ nota da tempo la capacità delle mafie di ottimizzare il guadagno, attraverso uno scambio di affari. Per fare questo, i vari segmenti criminali si mettono d’accordo, magari operando su diversi mercati. In particolare nella distribuzione dei prodotti ortofrutticoli gestiscono il trasporto. Da anni hanno investito denaro sporco in aziende di trasporti, con queste possono controllare tutta la filiera. Dopo gli anni ’80 il mafioso si è fatto imprenditore, con i capitali di cui dispone è in grado di investire nella rete di trasporti su gomma. Un sistema a catena che permette alle mafie di essere presenti da nord a sud e nel caso in cui non lo sono direttamente, come dimostrato, esercitare la loro tipica attività estorsiva sulle imprese che se ne occupano.
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Nelle cassette della frutta nascondevano kalashnikov, un traffico d’armi che passa anche per la capitale, dove da gennaio si registra una escalation di omicidi … Faccio una premessa: io non credo che ci sia stata una escalation di violenza nella capitale. Gli omicidi fatti registrare da gennaio non hanno niente di diverso dalle cifre che ogni anno si riscontrano, purtroppo. La differenza sostanziale che ha fatto parlare di escalation di violenza è che questi omicidi sono avvenuti in pieno centro a Roma. Sono stati maggiormente visibili e questo ha colpito l’opinione pubblica. In realtà siamo di fronte ad un dato fisiologico per questo territorio. Cosa significa “dato fisiologico” per questi omicidi? I contrasti che portano da anni a questi delitti sono direttamente collegati alla gestione del traffico di droga nella Capitale. Le organizzazioni criminali che trafficano stupefacenti sono collegate
Dopo gli anni ’80 il mafioso si è fatto imprenditore, con i capitali di cui dispone è in grado di investire in tutta la rete di trasporti su gomma. Un sistema a catena che è diventato business ad anello fra loro: c’è chi gestisce l’arrivo, chi lo spaccio, chi altre fasi di transazione. Le une dipendono dalle altre e da questo derivano tensioni e contrasti interni. E’ sull’enorme traffico e consumo di sostanze stupefacenti nella capitale che si dovrebbe tornare a ragionare e intervenire. Dagli anni ’70 c’è un consumo che è sempre
in crescita e poi è sullo stesso territorio che vengono riciclati i soldi sporchi provenienti da questo business. Le mafie nel sud pontino e a Roma investono, trafficano ma impongono già un clima di omertà e silenzi. A Borgo Sabotino (LT) ci sono stati ripetuti danneggiamenti al “Villaggio della Legalità”. A chi da fastidio l’azione della rete di Libera su quel territorio? Quell’area subisce, come avevo già indicato in una mia relazione, una pressione pesantissima da parte di organizzazioni criminali; all’epoca ne avevamo individuati 5 - 6 in particolare. E’ chiaro che le mafie mirano al controllo della società e delle dinamiche culturali che le governano. Libera è il loro nemico principale perchè crea cultura su quei territori, fattore essenziale per una efficace azione antimafia. Dopo i ripetuti danneggiamenti sul bene confiscato è opportuno che le istituzioni si pongano a difesa di queste attività. verità e giustizia - 16 novembre 2011 11
>> speciale Lazio
Noi ci mettiamo la faccia ed il cuore di Maria Sole Galeazzi
Ennesimo danneggiamento del bene confiscato a Borgo Sabotino. Messo fuori uso l'impianto idrico al "Villaggio della legalità" ma la società civile e i giovani alla violenza mafiosa rispondono praticando legalità, formazione e informazione E’ una lunga strada di breccia, realizzata proprio accanto l’ormai noto Canale Mussolini quella che porta al Villaggio della Legalità Serafino Famà di Borgo Sabotino. Non si tratta di un percorso panoramico né di un tracciato per ripercorrere la storia della Bonifica bensì di una strada abusiva che porta diritta ad una tensostruttura che per anni, nessuno ha visto. Si fa per dire. Ma andiamo con ordine. Lo scorso 12 Aprile il Comune di Latina ospita una cerimonia “diversa”. Perché due beni confiscati per abusivismo edilizio ovvero il villaggio ed un complesso sportivo in via Helsinki a Latina vengono assegnati a Libera. A firmare insieme al commissario prefettizio Guido Nardone ed ai tec12 verità e giustizia - 16 novembre 2011
nici del Comune di Latina c’è Don Luigi Ciotti. Da quel giorno passano circa tre mesi prima che i ragazzi di Libera del coordinamento di Latina insieme al referente regionale Antonio Turri riescano ad entrare nel villaggio turistico. Il “campetto” di via Helsinki resta ancora una situazione “congelata”. Un abuso nell’abuso quello del campo sportivo realizzato su terreno demaniale e “spesato” per quanto riguarda luce ed acqua dal Comune. Nella calda ed umida estate delle ex paludi pontine però il villaggio a Borgo Sabotino viene avviato ed intitolato a Serafino Famà. E’ il 18 luglio, l’attenzione mediatica è altissima ci sono le autorità, le associazioni ma soprattutto c’è la gente. A parlare, con
forza, c’è Don Luigi Ciotti davanti ad una provincia spaesata che ancora non si rende ben conto, fatta eccezione che per le buone intenzioni, di cosa voglia dire metterci la faccia su un bene sottratto all’illegalità. Ma lo capiscono bene gli scout che prima da Roma e poi da Verona partecipano al progetto EstateLiberi. I sabotaggi sono continui: dalla soda caustica nell’acqua al danneggiamento degli impianti elettrici e poi quelle presenze, quei presunti soci della ex gestione che restano all’interno del villaggio anzi ci vivono. Formalmente uno di loro, chi cioè aveva investito soldi in una struttura turistica come poche sul litorale di Latina con opere di urbanizzazione su ben quattro ettari di terreno, viveva in
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Il documentario della Quinta mafia racconta di rifiuti tossici interrati a Borgo Montello, di casalesi e dell'omicidio di Don Cesare Boschin una baracca dentro il villaggio. Gliscout comunque continuano nel loro lavoro e smontano le casette di chi abusivamente alloggiava nel campo. Coraggiosi. Poi le associazioni fanno quadrato, il Villaggio della Legalità ospita prima Festambiente poi un convegnoregionale dell’Aifo. Le attività procedono frenetiche e viene il momento di proiettare “La Quinta mafia”. Storie di fusti tossici interrati nella vicina discarica di Borgo Montello, storie di Casalesi e di pentiti ma soprattutto la storia di Don Cesare Boschin il vecchio parroco di Borgo Montello incaprettato ed ucciso perché sapeva troppo. Di questa morte a Latina ancora non si può parlare. E’ bastato preannunciare la proiezione del documentario per se-
gnare la devastazione del villaggio nella notte tra il 21ed il 22 ottobre. Tutto distrutto, escrementi sparsi ovunque e due coltelli lasciati come monito. Sul posto oltre ai ragazzi di Libera ci sono il cuore e le braccia dei rom di Al – Karama. Il villaggio viene sistemato, la Quinta mafia viene proiettata. La solidarietà che segue il raid è tanta, dalla fiaccolata della Cgil alla seduta straordinaria della Commissione regionale per la sicurezza tenutasi proprio al villaggio. Ma qualcuno minimizza: sono vandali. Il Comune di Latina intanto si impegna a riparare ma arriva un altro sabotaggio. Vengono sottratte due pompe idrauliche proprio la notte prima che venisse nuovamente pro-
iettato il documentario. L’iniziativa si svolge lo stesso ed ilgiorno dopo arrivano 500 scout ed una cisterna di acqua dalla protezione civile. Quello di Latina è un fronte aperto alle porte di Roma, non va dimenticato. La dormiente palude, quella morale, esiste ancora e per anni ha nascosto il malsano radicamento delle mafie e lo svilupparsi di un’ ancora più letale mafia autoctona. Una malattia che contamina una terra che ha già le sue “leggende metropolitane” come quella di un caterpillar rubato da un’autostrada del nord e rinvenuto a Borgo Sabotino in un campo, proprio accanto al Villaggio della Legalità. Ma rubato da chi? E per fare cosa? Forse più di qualcuno un’idea se l’è fatta. verità e giustizia - 16 novembre 2011 13
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Fra gli strumenti che colpiscono la libertà di stampa, insieme con le intimidazioni ai cronisti, c’è l’uso strumentale della legge sulla diffamazione, con esose richieste di risarcimento danni in sede civile, senza alcun rischio per il querelante. Un’arma in grado di annientare iniziative editoriali, scoraggiare e intimidire singoli giornalisti, impedire di far luce su oscure vicende di illegalità e di potere.
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inserendo in oggetto la specificazione “sportello antiquerele" verità e giustizia - 16 novembre 2011 15
>> i media ne parlano
Le mani sulla discarica
di Norma Ferrara
ro state destinate alla discarica e di quelle, invece, dove sarebbero sorti gli uffici. In una intercettazione la ditta che avrebbe vinto l’appalto, la Ibi idroimpianti sottolineava che Chiaiano sarebbe stata gestita da loro». Dietro il business di questi allargamenti, attraverso buchi, continuano ad esserci i Casalesi e i Mallardo. E questo, nonostante le rassicurazioni della politica. Durante l’inchiesta di Trocchia e Mottola sono tante le domande che rimangono senza risposta e molte riguardano le dinamiche della gara di appalto: nessuna testimonianza ha chiarito quei passaggi delicati che hanno consentito alla camorra di entrare in questo business, proprio sotto il naso della protezione civile, dell’esercito e delle istituzioni che erano lì per garantire il rispetto della legge. E infine una testimonianza, caduta nel vuoto. I due autori dell’inchiesta mettono mano a documenti, atti di processi e anche all’audizione in Commissione ecomafie del comandante dei carabinieri che ha condotto queste indagini. «Mentre racconta dell’inchiesta – prosegue Trocchia – il comandansottosegretario all’interno Alfredo te dice chiaramente che c’è stato un Mantovano disse nei giorni difficili vuoto nelle indagini e che - ad un delle proteste dei cittadini contro l’a- certo punto - non si è riusciti a fare pertura della discarica: «La camorra chiarezza. E poi aggiunge: l’inchiesta in questo momento aspetta, se va a è stata tolta, dopo ho avuto l’impresfinire male per lo Stato, sarà pronta sione che gli appalti siano stati divisi con i propri camion a portare i rifiuti a tavolino. Una dichiarazione come anche tossici». Era il giugno 2008 e questa – precisa Trocchia – avrebbe Mantovano chiedeva ai cittadini di dovuto richiedere una contro-domanda (chi ha tolcollaborare, rassicuto l’inchiesta, chi randoli sull’operato non ha permesso dello Stato, senza sa- Il giornalista di accertare i fatpere che le ditte, riteti?) e subito un nute vicine ai clan, si Trocchia: «C'è approfondimento. stavano già organiz- stato un vuoto nelle E invece tutto è rizando per la gestioindagini. Ancora masto avvolto dal ne della discarica e silenzio». In nome ben prima dell’asse- oggi non sappiamo di una emergenza gnazione dell’appal- la verità» rifiuti, nonostante to si dicevano certe le garanzie deldell’aggiudicazione. Questi elementi, inquietanti, emer- la presenza dello Stato, la camorra gono dalle intercettazioni telefo- ha messo le mani sulla discarica di niche contenute nell’inchiesta dei Chiaiano. «Per risolvere l’emergenza magistrati, partita dall’ indagine del rifiuti si è chiuso un occhio ma - conNoe di Napoli. «Già certi di ottenere clude Trocchia – vista lo scarso mal’appalto per la discarica di Chiaiano teriale utilizzato per la discarica, chi – continua Trocchia – i clan parla- pagherà i danni di questo ennesimo vano di spartizioni e di subappalti e danno alla salute dei cittadini e la delle particelle dell’area che sarebbe- violazione della legge?».
A Chiaiano i clan hanno gestito affari mentre lo Stato presidiava l'area. Intercettazioni telefoniche raccontano la spartizione degli appalti. Rainews24 torna in Campania per capire qual è la situazione dopo la fase “dell'emergenza rifiuti”
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a trasmissione d’approfondimento di Rainews24, “L’inchiesta”, a cura di Maurizio Torrealta torna a parlare di criminalità organizzata con un servizio realizzato dai giornalisti, Nello Trocchia e Giorgio Mottola. E lo fa a partire dalla questione, ancora tutta aperta e oggetto di indagine, dello smaltimento dei rifiuti. «Siamo tornati in Campania – dichiara il giornalista Nello Trocchia – perché ci siamo posti una domanda: che fine ha fatto il progetto di smaltimento di rifiuti, dopo il periodo di massima emergenza? Abbiamo scelto il caso della discarica di Chiaiano come occasione per provare a dare una prima risposta». E lo scenario che viene fuori dall’inchiesta “L’inspiegabile preveggenza dei Casalesi per gli appalti” è dei più inquietanti. I fatti di cui si sono occupati i due giornalisti risalgono al 2009 e arrivano sino ad oggi: proprio di questi giorni la notizia che la provincia di Napoli ha deciso di chiudere questa discarica. L’inchiesta parte dalla frase che in diretta tv, nella trasmissione di Santoro “Annozero” il
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internazionale <<
Le Nazioni Unite mettono la società civile alla porta
di Gaetano Liardo
Onu hanno adottato un documento che regola il meccanismo di esame e verifica. Il testo prevede che il monitoraggio sia: «Trasparente, efficiente, inclusivo e imparziale». Inoltre che: «lo Stato membro sotto esame deve sforzarsi a preparare le sue risposte alla lista di autovalutazione attraverso ampie consultazioni a livello nazionale con tutte le parti interessate, inclusi il settore privato, gruppi e soggetti al di fuori del settore pubblico». Una autovalutazione fatta soltanto dal governo sotto esame è, sicuramente, inattendibile. Basti citare l'esempio dell'Italia alla conferenza di Marrakesh, presente con una delegazione guidata dal (ex?) ministro della Giustizia Nitto Palma. Palma, infatti, ha elencato i successi dell'esecutivo nel contrastare la corruzione in Italia. Una valutazione del tutto discutibile, considerata l'impennata di arresti per corruzione degli ultimi due anni. Comportamenti, questi, che indeboliscono la portata, di certo storica, della Convenzione contro la corruzione. A valutare l'adesione, o meno, agli adempimenti previsti nel trattato non può essere il solo governo sotto esame. Serve assolutamente la presenza di altri zioni di 60 diversi paesi non usa mezzi attori come la società civile, la cui esclutermini: «I governi hanno raggiunto sione, denuncia Transparency internaun misero compromesso che restringe tional: «segna una battuta d'arresto per drammaticamente l'accesso delle orga- la lotta globale contro la corruzione che nizzazioni della società civile. Piuttosto potrà avere un impatto, alla fine, anche che poter contare sul riconoscimento di sui cittadini di tutto il mondo». Ultima un pieno status come osservatori, esse nota emersa a Marrakesh, la richiesta avranno accesso unicamente ai cosid- dei Paesi della Primavera araba di poter detti briefings sui lavori condotti dal incamerare i beni illecitamente sottratti gruppo di revisione». dai vecchi regimi corUn passo indietro rotti. che non coglie i cam- La conferenza Si tratta di patrimoni biamenti in corso a avrebbe dovuto enormi, da quelli di livello globale, dove Gheddafi a quelli di la mobilitazione del- segnare un Mubarak fino a quelli la società civile ha momento di del rais tunisino Ben portato dei risultati Ali. Beni sotto forma chiarezza ma non è importanti nei condi azioni, titoli di stafronti di regimi auto- stato consentito to, lingotti d'oro, oltre cratici e corrotti. «La che proprietà mobili conferenza – sottolinea Monica Massari e immobili di lusso, che si trovano per lo - avrebbe dovuto segnare un momento più nei paesi occidentali. Transparency di chiarezza perchè prevede un mecca- International calcola che nel 2011 Sviznismo – l'Implementation review group zera, Stati Uniti, Canada e Gran Breta– di verifica e monitoraggio dell'imple- gna hanno “congelato” patrimoni agli ex mentazione della Convenzione da parte rais arabi per il valore di 50 miliardi di degli Stati membri – un monitoraggio dollari. Un calcolo sicuramente ridutche è opportuno se è presente la società tivo. Questi beni torneranno nella dicivile, ma ciò è stato impedito». Nel 2009 sponibilità dei paesi depredati dai loro gli Stati firmatari della Convenzione vecchi dittatori?
Alla conferenza contro la corruzione di Marrakesh persa una buona occasione. L'assenza dell'associazionismo nella verifica dell'adempimento delle norme del trattato internazionale segna una battuta d'arresto di un processo globale
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l vento del cambiamento spira ovunque ma non alle Nazioni Unite. Il clima all'Onu, nonostante le proteste in Nordafrica, Europa, Stati Uniti, America Latina resta asettico, fermo, asciutto. Così, ad esempio, la Conferenza delle Nazioni Unite contro la corruzione svoltasi a Marrakesh, ha deciso di fare a meno della spinta propulsiva della società civile. Le delegazioni dei 154 paesi che hanno firmato la Convenzione Onu contro la corruzione, hanno deciso di marginalizzare le società dei loro paesi. Associazioni e gruppi economici e sociali non avranno alcun ruolo decisivo nel monitorare gli adempimenti dei governi previsti dalla Convenzione. «La società civile ha uno status di invitato senza potere consultivo», commenta Monica Massari, docente universitaria, collaboratrice di Libera International, che ha partecipato ai lavori di Marrakesh. «Questo – aggiunge - nonostante proprio nel testo della convenzione sia prevista esplicitamente la presenza della società come attore non secondario». Una decisione che ha fatto scattare la protesta delle associazioni. La Uncac Coalition, che raggruppa 310 associa-
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>> dai territori a cura di Norma Ferrara
Lazio Ennesimo attacco a Borgo Sabotino in provincia di Latina ad un bene confiscato alla mafia. Per la seconda volta in poche settimane sono stati arrecati danni alla struttura sorta su quel terreno: il “Villaggio della legalità”. Questa volta è stato messo fuori uso l’impianto idraulico del villaggio a poche ore da una iniziativa che prevedeva la partecipazione di più di 300 giovani scout e la proiezione di un documentario sulla “Quinta mafia”.
Sicilia Prosegue a Trapani il processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, sociologo - giornalista ucciso il 26 settembre del 1988. Al centro della diciannovesima udienza ancora la perizia balistica che ha permesso, dopo tanti anni, di riaprire le indagini e di arrivare ad un procedimento giudiziario a carico del presunto killer, Vito Mazzara, e dell’allora capomandamento, come mandante, Vincenzo Virga. Il processo continua il 23 novembre con una nuova udienza. Sul portale di Libera Informazione è possibile seguire la cronaca in diretta a cura del giornalista, Rino Giacalone. 18 verità e giustizia - 16 novembre 2011
Calabria Gli azzurri a Rizziconi su invito di Don Ciotti e di Libera. La Nazionale si è allenata domenica scorsa un campo sportivo confiscato alla ‘ndrangheta. Tanti i giovani arrivati a vedere i campioni di Prandelli giocare su quel campo un tempo segno del potere delle ‘ndrine e della violenza mafiosa. Oggi una squadra di calcio si allena regolarmente su quel bene confiscato ma il percorso di riutilizzo sociale non è stato facile. Da domenica scorsa però un nuovo calcio alle mafie è stato segnato dalla società civile.
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In giustizia di Lorenzo Frigerio Nella sua ultima fatica letteraria, Giancarlo De Cataldo mette la sua straordinaria capacità di scrittura al servizio di oltre venticinque anni passati in magistratura. “In giustizia” non è certo un romanzo, eppure qui pubblicati dal giudice scrittore, noto al grande pubblico per il suo “Romanzo criminale” che racconta, tra realtà e fantasia, le vicende della Banda della Magliana. De Cataldo, in questo caso, sceglie di fotografare il pianeta giustizia, con una serie di C
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l’apprendistato di un giovane uditore prima, il servizio quotidiano di un giudice poi, ci riportano all’essenza stessa del concetto di giustizia. Un punto di vista personale, ovviamente, dietro il quale l’autore non si nizio, serve a restituire con freschezza il
si trova a decidere i destini di un’umanità sistema carcerario e della pena in quanto strumento di reinserimento sociale. Nell’economia del racconto, rapidi accenni sono dedicati a vicende di carattere nazionale che interrogano il rapporto tra magistratura e cittadinanza, come il referendum sulla responsabilità civile dei giudici, o quello tra magistratura e poteri occulti, come lo scandalo della P2. Il successivo approdo alle funzioni di Tribunale per l’autore coincide con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, salutato all’epoca come la riforma in grado di far funzionare la giustizia, ma che in renici del sistema, dovuti a carenze di mezzi e di personale, oltre che a incomprensibili
Giancarlo De Cataldo IN GIUSTIZIA Rizzoli, Milano 2011 pp. 227 € 15,00
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ad applicare le leggi e i codici alle vite delle persone, non senza qualche problema di coscienza, dovuto alla naturale complessità del genere umano. Scrive De Cataldo: «è stata l’esperienza a convincermi che l’unico modo accettabile per parlare di giustizia è farlo in termini di “aspirazione”. Un’aspirazione nel cui nome, nel corso dei secoli, donne e uomini colpevoli di sognare un mondo migliore hanno conosciuto l’ostracismo, la repressione, la tortura, il martirio». È da tutte le pagine del libro trasuda questa incessante ricerca della giustizia, questa volontà persistente di coltivare un’aspirazione in grado di mouomini e delle comunità nelle quali vivono. L’autore ci accompagna per mano alla scodio nel 1981 come uditore, catapultato nella dura realtà dall’impatto con il Tribunale civile e penale di Roma: un universo caotico e indecifrabile a prima vista, che i libri utilizzati nel corso degli studi non possono to il primo incarico, quello di magistrato di sorveglianza che mette De Cataldo di
ogni processo, anche di quello più banale. Si arriva così al periodo di Tangentopoli so che interessa ancora oggi il nostro Paese. Il 1995 è un altro anno cruciale nel racconto, perché coincide con l’avvio del processo alla Banda della Magliana e questo è uno spartiacque professionale e umano per De Cataldo che continua, comunque a misurarsi con la folla di disperati che ogni giorno incontra. C’è spazio anche per il caso Marta Russo, con tutti gli interrogativi posti anche dal ruolo dei media dentro e fuori le aule di sto processo” ci introduce ai giorni nostri, dove lo scontro tra magistratura e politica viene ricondotto dall’autore ai termini di un’aggressione della politica alla magistratura. Uno scontro che è tuttora in atto, forse il problema principale, accanto alla crisi economica, di questi ultimi anni. Lungo tutto il suo racconto, De Cataldo oscilla tra pessimismo e ottimismo, facenmento, perché ci ricorda che la giustizia è «un’aspirazione per la quale vale ancora, e varrà sempre, la pena di spendersi».
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IPSE DIXIT a cura di Lorenzo Frigerio
Tribunale Palermo: “Berlusconi ha scelto il silenzio”
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olo che Dell’Utri non è mai stato l’estorto. Non vi è dubbio, infatti, che le somme incassate dalla mafia provenissero dalla Fininvest e non dal patrimonio personale dell’imputato. Egli “rappresentava” presso i mafiosi gli interessi del gruppo, per conto di Silvio Berlusconi. Era un manager dotato di altissima autonomia e di capacità decisionali, non un qualunque sottoposto al quale non restava altro che eseguire le decisioni del proprietario dell’azienda, in ipotesi impostegli. È significativo che egli, anziché astenersi dal trattare con la mafia (come la sua autonomia decisionale dal proprietario ed il suo livello culturale avrebbero potuto consentirgli, sempre nell’indimostrata ipotesi che fosse stato lo stesso Berlusconi a chiederglielo), ha scelto, nella piena consapevolezza di tutte le possibili conseguenze, di mediare tra gli interessi di “cosa nostra” e gli interessi imprenditoriali di Berlusconi (un industriale, come si è visto, disposto a pagare pur di stare tranquillo). Dunque, Marcello Dell’Utri ha non solo oggettivamente consentito a “cosa nostra” di percepire un vantaggio, ma questo risultato si è potuto raggiungere
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grazie e solo grazie a lui. Nel corso dell’udienza del 26 novembre 2002, tenutasi nella sede istituzionale di Palazzo Chigi in Roma, l’on.le Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri in carica, sentito nella qualità di indagato in procedimento collegato per il reato di riciclaggio (lo stesso in ordine al quale era stato indagato Marcello Dell’Utri), si è avvalso della facoltà di non rendere interrogatorio. L’on.le Berlusconi ha esercitato legittimamente un diritto riconosciuto dal codice di rito ma, ad avviso del Tribunale, si è lasciato sfuggire l’imperdibile
occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica in esame, incidente sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone e con ben altra autorevolezza e capacità di convincimento, avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio. Tribunale di Palermo, II Sezione Penale Sentenza 11 dicembre 2004 vs Marcello Dell’Utri
Verità e giustizia newsletter a cura della Fondazione Libera Informazione Osservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie
Direttore responsabile: Santo Della Volpe
Sede legale via IV Novembre, 98 - 00187 Roma tel. 06.67.66.48.97 www.liberainformazione.org
Redazione: Peppe Ruggiero, Antonio Turri, Gaetano Liardo, Norma Ferrara
Coordinatore: Lorenzo Frigerio
Hanno collaborato a questo numero: Maria Sole Galeazzi e la rete dei giornalisti di Libera Lazio, Ufficio stampa di Libera Grafica: Giacomo Governatori
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