Verità e giustizia n.82

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n.82

9 gennaio 2012

veritĂ egiustizia

La newsletter di liberainformazione

Una nuova stagione


>>editoriale

Alle radici dell' impegno (comune) contro le mafie di Don Tonino Palmese (referente di Libera in Campania)

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anno arrestato un camorrista o un mafioso? Forse entrambi. Michele Zagaria è soprattutto un imprenditore che attraverso la collusione con i poteri forti (politica ed impresa), l’arruolamento di criminali e la paura della gente, ha controllato finanza e territorio. Alla luce di questa estrema sintesi della vicenda criminale del capo dei casalesi, mi preme riflettere su alcune realtà (o dimensioni) che ritengo determinanti per la rinascita, anzi la resurrezione delle nostre terre diventate sepolcri a cielo aperto, dove la vita della gente e la natura assistono inermi e indifferenti alla propria morte. Spesso, ricordo un’espressione cara alla cultura ebraica presente nel libro dei Chassidim: “Il vero esilio per gli ebrei si ebbe quando essi cominciarono a sopportarlo”. La sopportazione, scaduta in indifferenza, produce persino nostalgia delle gesta malsane e opprimenti del faraone. Non a caso un’ostentata ribellione verso le forze dell’ordine da parte di alcuni cittadini di Casapesenna (e non solo) la si può ricondurre alla manifesta garanzia di appartenenza e allo stesso tempo alla paura di perdere i cosiddetti equilibri creati dalla presenza del capo della mafia-camorra del territorio. Pertanto, l’indifferenza e la nostalgia verso il “faraone” devono necessariamente mettere in discussione e suscitare una continua vigilanza e conversione da parte della politica, della cultura e perché no, della stes-

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La politica, quando imbarca il voto dei criminali, si rende complice del malcostume e consente la nascita di quel sentimento dell’antipolitica che raramente costruisce percorsi alternativi al malaffare sa Chiesa. Quando si pensa al ruolo della politica, nei territori dove c’è lo strapotere delle mafie, è necessario che alla politica si chieda come presupposto etico la capacità di escludere dalle proprie liste e tessere, persone che addirittura possano ricoprire ruoli di governo e di amministrazione, in quanto sospettati e peggio ancora giudicati dalla magistratura come persone colluse con la criminalità organizzata. La politica, quando imbarca il voto dei criminali, si rende complice del malcostume e consente la nascita di quel sentimento dell’antipolitica che raramente costruisce percorsi alternativi al malaffare, anzi, in genere scade nella frustrazione, nel qualunquismo e nella rasse-

gnazione di vivere o sopravvivere da sudditi in cerca del consenso. Ecco, il consenso estorto con la violenza o con la seduzione del favoritismo, diventa l’elemento comune tra politica e criminalità. Strappare il consenso per gestire la vita e la dignità delle persone. Nella memoria dei nostri territori, la politica ha utilizzato il favore in alternativa al diritto e ha deprivato il dovere e l’impegno della sua forza utile per lo sviluppo civile e democratico del Paese. Una seconda riflessione, va fatta rispetto al ruolo della cultura. Ogni volta che mi confronto, soprattutto con i giovani, mi accorgo di quanto il messaggio mafioso passi velocemente nella mente e nella coscienza della gente. Le mafie, forse non hanno direttamente la proprietà di giornali o televisioni, ma la loro (sub) cultura è presente (quasi) dappertutto. Mi riferisco a quei modelli che sono comodi all’agire e all’economia delle mafie. Potrei fare un lungo elenco, anche se alcuni aspetti vanno ricordati. Penso all’apparire, al vincere e arricchirsi sempre più in modo individuale. Penso alla furbizia di chi chiede il favore scavalcando gli altri (deboli come lui). Penso alla doppia morale, penso a forme di comunicazione che scelgono la semplificazione in alternativa all’approfondimento e alla dialettica, confondendo così le idee. Penso alla logica “capitalistica” delle mafie e della cultura mafiosa, nel voler dividere in parti uguali tra diseguali. Diceva don Lorenzo Mi-


lani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”. Nei territori che permettono la latitanza dei mafiosi (e non solo) si dovrebbe procedere con una comune strategia: soldati e maestri. Quando ci si limita solo alla presenza delle forze dell’ordine la battaglia è quasi persa. È necessario educare, educare ed educare. La forza e la bellezza del sapere con gli altri e per gli altri sviluppa coscienza e impegno. Una terza ed ultima considerazione è riconducibile al dopo. Cosa fare alla luce di questo arresto? A partire da questa importante notizia cosa cambia? Cosa si dovrà fare? Alcuni giorni fa assieme al coordinamento campano dei familiari delle vittime ed espressioni delle istituzioni abbiamo scoperto nei pressi della grande piazza del Plebiscito, la stele della memoria delle vittime della criminalità. In quell’occasione il procuratore aggiunto antimafia, Federico Cafiero De Raho, nel commentare l’arresto da lui realizzato assieme alle forze dell’ordine di Zagaria, ci diceva che fuori quella porta blindata si è sentito forte perché con lui non c’erano solo le forze dell’ordine, ma tutta quella società che ogni giorno, in maniera diretta o non, è impegnata a dare alla comunità civile il proprio contributo in termini di impegno, di onestà e di partecipazione. Sapeva, infatti, di essere giunto lì grazie alla fatica di tutti coloro che stanno dalla

Recuperiamo attraverso la memoria delle origini di ciascuna realtà i motivi dell’impegno. Urge una rinnovata stagione dove il protagonismo di ciascuno sia l'espressione di tutti parte della giustizia e del bene comune e non solo la guerra tra “guardie e ladri”. Allora, la riflessione ci deve portare proprio a questa immagine. Per giungere alla sconfitta delle mafie, fuori quelle porte che ospitano i malavitosi ci possiamo e ci dobbiamo essere tutti. Ciascuno, con il suo peculiare impegno e ruolo, ma solo tutti uniti. Forse (e senza forse), la fatica più grande che si sperimenta in questo periodo (dopo quella dello scontro con le mafie) è quella di coordinare (rispettando l’unicità di ogni organizzazione) tutte le realtà che sentono il bisogno e il dovere di diffondere con la propria vita un impegno sociale e culturale che smantella ogni tentativo mafioso di convincere la

gente che è meglio soccombere che restare liberi. Se la politica è ricorsa ai tecnici per fare ciò che avrebbe dovuto fare, cioè governare, non credo che l’associazionismo debba ricorrere alla politica, nel senso di commissariamento per poter governare i processi di impegno a favore della giustizia. Lo dico, sapendo che è assurdo, perciò urge una rinnovata stagione dove il protagonismo di ciascuno, sia l’espressione di tutti. Recuperiamo dunque, attraverso la memoria delle origini di ciascuna realtà i motivi dell’impegno, quella genuinità che ha caratterizzato gli inizi di tutti noi. Sembra vero che è più difficile condividere la gioia anziché il dolore. La condivisione della gioia altrui e quella propria con gli altri chiede una grande libertà interiore e soprattutto la certezza di non avere alcun interesse economico e di potere. Essere alternativi alle comunità mafiose, vuol dire mettersi insieme non per omologare o peggio ancora prevaricare, ma semplicemente per accompagnare le persone ad essere libere, perciò se stesse. In ambito educativo, afferma il filoso dell’educazione Olivier Reboul che il fine dell’educazione è il seguente: tutto ciò che libera. Tutto ciò che unisce. Le mafie invece, costruiscono rete giusto per il contrario: tutto ciò che determina sudditanza e che separa. Sono queste le coordinate per camminare insieme ed eventualmente fare un passo indietro quando ciò non si realizza. verità e giustizia - 10 gennaio 2012

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>>intervista

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l punto non è Cosentino e la sua legittima scelta di difendersi, fa bene a farlo. La questione è generale, strutturale, direi. E’ normale che un parlamento ritenga compatibile la carica di parlamentare con le accuse di connivenza con i clan, con le mafie?Perché i nostri rappresentanti in parlamento non discutono i provvedimenti da prendere, nel merito?». Così Raffaele Cantone, magistrato, già pm nel maxi processo al clan dei Casalesi e oggi in forza alla Corte di Cassazione, sottolinea nell’intervista rilasciata a Libera Informazione, alcuni punti di criticità generali e trasversali che caratterizzano uno dei nodi irrisolti fra politica e magistratura. Con il magistrato abbiamo parlato del post – Zagaria in Campania, dei nuovi possibili scenari di assetto del clan dei Casalesi, del fondamentale ruolo svolto dai cittadini nella lotta alla Camorra. Poche ore dopo l’arresto di Michele Zagaria lei ha detto “il clan dei casalesi così come lo conosciamo cessa di esistere oggi”. Può spiegarci meglio il significato di questa affermazione e quali possibili scenari futuri oggi intravede per questo clan? Confermo questa chiave di lettura, con alcune precisazioni. Il clan dei Casalesi affondava le radici nel gruppo di Bardellino, sebbene i vari Schiavone e Bidognetti e in seguito Iovine e Zagaria fossero successivi, si collocavano in continuità con quel passato criminale. In quella storia di camorra avevano il riferimento specifico. Con l’arresto di Zagaria, in questo senso dunque, viene a mancare quel riferimento carismatico e criminale che aveva caratterizzato i componenti del clan sino al suo arresto. Per quanto riguarda il futuro, intravedo uno scenario piuttosto confuso. Ci sono chiaramente grossi interessi di natura imprenditoriale che devono essere ricollocati ma sul versante dell’ala militare non intravedo, al momento, camorristi di quella caratura, piuttosto piccoli gruppi dediti in particolare al traffico di droga, core business delle cosche. Si plaude all’arresto di Zagaria ma poi quando la stessa magistratura si occupa di indagare le connivenze o collusioni fra alcuni politici e alcuni boss viene accusata di un uso stru-

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In prima linea la società civile di Norma Ferrara

Dal post Zagaria alla richiesta di arresto per il parlamentare del Pdl, Nicola Cosentino, dall'espansione dei clan nel centro - nord al loro ruolo di "service" nella grande distribuzione e nei servizi giocato dalle cosche. Il magistrato, Raffaele Cantone: "i cittadini sappiano tenere alta l'attenzione, con il proprio impegno, anche dopo Gomorra"


mentale dei suoi poteri d’indagine. Parlo ad esempio, del caso del parlamentare del Pdl, Nicola Cosentino, accusato di essere “il referente politico” dei casalesi e sul quale fra oggi e domani dovrà pronunciarsi il parlamento... Ho rilevato più volte questa sorta di schizofrenia che caratterizza la classe politica, trasversalmente, e che porta ad esaltare la magistratura se indaga sui boss ma metterla in dubbio se fa la stessa cosa su alcuni esponenti della classe politica. Ma devo aggiungere che questa non è una novità dell’attuale classe dirigente e una insana abitudine che affonda le radici nella cosiddetta prima Repubblica e che rappresenta uno dei nodi irrisolti fra politica e magistratura. Che messaggio manda alla società civile un parlamentare che rimane al suo posto nonostante sulla sua persona gravino accuse così pesanti? Vorrei affrontare questa domanda, a prescindere dal singolo caso. Premetto, infatti, che l’onorevole Cosentino fa bene a difendersi, la sua è una scelta legittima. Senza entrare nello specifico caso il discorso, a mio avviso, è di natura generale, strutturale, direi. E riguarda tutto l’ambito della materia legata alle valutazioni sulla correttezza dell’operato dei politici. E’ giusto che non ci sia nessun altro organismo di controllo, non solo in merito a questo tipo di irregolarità ma anche su molte altre, e che gli unici a poter scegliere, e lo fanno giustamente, della correttezza del loro operato siano i parlamentari stessi? Questo è uno dei temi del futuro, cui bisognerebbe guardare con attenzione, nel rispetto della piena autonomia di valutazione dei politici ma anche della necessità di una garanzia per i cittadini. Per quel che riguarda le autorizzazioni a procedere, ad esempio, poche volte ho visto il parlamento discutere nel merito, caso per caso, il provvedimento e la sua natura. La sua compatibilità. Ci sono a volte comportamenti di un politico che non sono penalmente rilevanti ma possono diventarlo a livello politico. Il parlamento, dunque, dovrebbe discutere nel merito se, ad esempio, le accuse di connivenza con le mafie (parlo in generale e non per il caso Cosentino) siano o meno compatibili con il ruolo di parlamentare. Altrimenti c’è il rischio che la

politica sia autoreferenziale.

c’è un prima e un dopo “Gomorra”. Per anni, storicamente, il problema della Nel suo libro “I Gattopardi”, fra l’alcamorra è stato tenuto sotto traccia, tro ritrovato anche nel covo di Zaspesso proprio dalla politica che, a volgaria, lei racconta di una mafia semte in persino in buona fede, non l’ha pre meno coppola e lupara e sempre fatto emergere, né ha lanciato l’allarme più “service”. Quali al momento i sulla sua pericolosità. Questo libro, insettori in cui la camorra opera come tenso come un racconto che è riuscito “service”? Continua ad essere quello a parlare a molti, è stato in grado di del “mattone” il settore in cui la cafarlo. Di accendere i riflettori su quemorra è maggiormente presente, stosto argomento troppo a lungo sottoricamente: dall’edilizia all’immobiliare. traccia. Adesso però i cittadini devono Ma c’è una grande novità che deve far essere in grado di far si che, quando si alzare il livello di allerta, ed è quello spegneranno inevitabilmente i riflettodei servizi (dalla vigilanza, alle pulizie ri sul tema, il loro impegno quotidiano, e comunque collegati ad appalti publa loro costanza e i loro comportamenblici) e della distribuzione. Le ultime ti siano in grado di tenerlo illuminato. indagini hanno dimostrato, in manieE non farlo cadere nel silenzio. Non è ra netta, che i clan controllano dalla importante avere Gomorra sul comoproduzione alla vendita tutta la filiera dino e esaurire così, in un gesto simbodel mercato. Questo lico, il proprio pezzo meccanismo altera didi impegno sociale Ci sono a volte su questo tema. E’ rettamente la libertà d’impresa, comprime comportamenti di importante pratiil mercato e elimina la care un’antimafia un politico che non sociale ogni giorno concorrenza, con danni immediati sull’ecosono penalmente ed evitare il rischio nomia e sui consumabanalizzare e rilevanti ma possono di tori. semplificare la lotdiventarlo a livello ta alle mafie. UsciQuest’anno si è parda un’antimafia politico. Le accuse re lato a lungo delautoreferenziale e di connivenza fare quello che quela presenza della ‘ndrangheta al nord. libro è riuscito a con le mafie sto Come si muove la cafare: coinvolgere. Ci sono compatibili servono meno tifosi morra in queste regioni? Pregio e difetto con il ruolo di della legalità ma più di questa organizzacittadini impegnati parlamentare? per questo, concrezione criminale è il suo essere orizzontale, tamente. molto poco strutturata, poco visibile agli occhi esterni ma per questo molA tal proposito pochi giorni fa il mato insidiosa. E’ in grado di inserirsi, al gistrato Cafiero De Raho ha detto centro nord, in svariati settori e quasi di “essersi sentito forte davanti alla sempre dove c’è camorra diventa diporta del covo di Zagaria perchè stinguere come si sia inserita e cos’è sentiva il sostegno della società cicamorra da cosa non lo è. Ha una alta vile”. Quanto è centrale il loro ruocapacità di mimetizzarsi nel tessulo adesso? E’ tutto. Credo che il ruolo to socio -economico che è parimenti della società civile in questa battaglia, la sua forza e pericolosità ma questo oltre il lavoro delle forze dell’ordine, modo di procedere la rende meno rinsia davvero tutto. Per dirla citando Antracciabile delle altre mafie. E per anni tonino Caponnetto: “in alcune aree lo se n’è parlato molto meno. Stato dovrebbe mandare un esercito, si, ma di insegnanti”. E’ ancora l’aspetto A tal proposito è possibile riassumeeducativo e culturale ad essere centrare il cambiamento di atteggiamento le per mettere fine a queste presenze dell’opinione pubblica verso questo criminali. Senza questo le forze dell’ortema sostenendo che c’è “un prima dine possono fare arresti ma questo e un dopo Gomorra” (il libro di Roporta solo al ricambio e non alla fine berto Saviano, ndr) ? Si, a mio avviso del “sistema”. verità e giustizia - 10 gennaio 2012

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>>appello

La Chiesa parli chiaro contro le mafie di Don Tonino Palmese

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pesso, i mafiosi ostentano e convivono con simboli religiosi e usano linguaggi propri della fede. Di fronte ad espressioni cultuali e culturali è necessario chiederci come è stato possibile nel tempo, che persone dedite alla morte e alla violenza, abbiano potuto conciliare il senso di Dio con il crimine. Quando ci si trova davanti a questa schizofrenia della fede e dell’agire, la Chiesa non solo non può tacere, ma deve rivisitare il suo impegno di evangelizzazione e di testimonianza della carità. È necessario che si consideri tale fenomeno prendendo in esame due facce della stessa medaglia: la fede (l’immagine di Dio) e la Chiesa (nel senso del suo ruolo in terra di mafia). L’immagine distorta giunta ai mafiosi di Dio consiste nel considerare l’onnipotenza di Dio come una super forza fine a se stessa, con l’esercizio di una signoria da parte dell’onnipotente sulla pelle e la libertà della creatura. L’Onnipotenza del Dio di Gesù si visibilizza invece, attraverso sembianze di “debolezza, vulnerabilità ed empatia” (J.B. Metz). Il volto di Dio è compassionevole ed esige giustizia da tutti e per tutti. Per quanto riguarda il

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ruolo della Chiesa, in territori martirizzati dalla criminalità, sono da ricordare le parole che i vescovi italiani hanno consegnato alla comunità attraverso il documento dedicato al Mezzogiorno (2010): “Torniamo, perciò, a condannare con forza una delle sue (il Mezzogiorno) piaghe più profonde e durature – un vero e proprio <cancro>” e riflettendo sul rapporto che intercorre tra mafiosi e religiosità, i vescovi con forza dicono “in questa prospettiva, non possono essere semplicisticamente interpretate come espressione di una religiosità distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione: le mafie sono strutture di peccato”. Affermazioni come queste devono perciò trovare una comunità ecclesiale che faccia dell’annuncio del vangelo un vero e proprio momento di promemoria dell’Amore di Dio e allo stesso tempo di denuncia di tutto ciò che ci vede anche minimamente vicini alle mafie. Dobbiamo ricordare a noi cristiani e ai mafiosi che lo stesso perdono di Dio passa attraverso la riparazione del danno commesso. Zaccheo, uomo corrotto, dopo l’incontro con Gesù, sul piano legale e della giustizia restituisce quattro volte tanto ciò

che ha rubato e sul piano ascetico, dona la metà dei suoi averi ai poveri. In queste ore ogni forma di silenzio, potrebbe risultare paura o peggio ancora collusione. Perciò, anche la Chiesa deve parlare e dire con chiarezza (parresia) la sua denuncia verso il crimine e i criminali, prima che qualcuno si possa convincere che oltre a non poter fare nulla per il riscatto della propria terra, potrebbe addirittura conciliare la fede con la “simpatia” verso le mafie. In queste ore la Chiesa di Napoli, attraverso la voce del suo Vescovo ha ricordato che la camorra è un cancro che umilia e produce morte. Nelle prossime ore la stessa Chiesa che parla, aprirà le porte (e le terre) a giovani che nell’artigianato potranno riscattare la loro esistenza attraverso la nobiltà del lavoro. Insomma parlare chiaro e agire per la dignità della vita umana, questa è la lotta dei cristiani. Spero pertanto che a Casal di Principe, Casapesenna e in tutta la zona si possano sostituire i nomi dei mafiosi che hanno affermato il terrore e la morte, con i nomi di tutti quelli che stanno riconvertendo il segno del potere delle mafie nel potere dei segni della solidarietà e della giustizia. Un nome per tutti: Don Peppe Diana.


Fra gli strumenti che colpiscono la libertà di stampa, insieme con le intimidazioni ai cronisti, c’è l’uso strumentale della legge sulla diffamazione, con esose richieste di risarcimento danni in sede civile, senza alcun rischio per il querelante. Un’arma in grado di annientare iniziative editoriali, scoraggiare e intimidire singoli giornalisti, impedire di far luce su oscure vicende di illegalità e di potere.

Per usufruire di consulenza e di assistenza legale giornalisti e giornaliste possono: Inviare una e-mail all’indirizzo:

sportelloantiquerele. roma@libera.it

Per non lasciare soli i cronisti minacciati

che siano in grado di dimostrare la loro buona fede e la loro correttezza, Federazione Nazionale della Stampa, Associazione Stampa Romana, Ordine Nazionale e regionale dei giornalisti, Unione Cronisti Italiani, Libera, Fondazione Libera Informazione, Articolo 21, Osservatorio Ossigeno, Open Society Foundations hanno deciso di costituire uno sportello che si avvale della consulenza di studi legali da tempo impegnati in questa battaglia per la libertà di informazione.

Telefonare al numero :

06/67664896-97

inserendo in oggetto la specificazione “sportello antiquerele" verità e giustizia - 10 gennaio 2012

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>>Italia Come sarà il 2012 sul fronte della lotta a criminalità e illegalità? La domanda è d'obbligo, considerando i costi sociali ed economici che derivano da mafie, corruzione, riciclaggio e evasione fiscale. Macigni che frenano lo sviluppo della Penisola e impoveriscono la società. Proviamo a fare una piccola lista di alcune delle tante sfide che attendono il movimento antimafia in questo nuovo anno, e le proposte da avanzare a Governo e Parlamento. Corruzione E' la tassa occulta che ogni cittadino italiano è costretto a pagare. Una massa di denaro sperperato e perso. Lo scorso dicembre Libera e Avviso Pubblico hanno consegnato al Presidente della Repubblica un milione di firme raccolte per chiedere che l'Italia si impegni realmente nel contrastare la corruzione, ratificando, innanzitutto, la Convenzione di Strasburgo del 1999. Sul piano politico qualcosa sembra muoversi. Il ddl anticorruzione varato dal governo Berlusconi nel marzo del 2010 è stato approvato dal Senato nel giugno del 2011. A parte l'iter molto lungo, il testo risulta obsoleto e non del tutto ottimale per contrastare il fenomeno. Così l'esecutivo Monti ha deciso di premere l'acceleratore. Nel giro di poche settimane il ministro Severino, intervistata dal Corsera, ha parlato di: «Misure coordinate per segnare la fine di un sistema che scoraggia gli investitori premiando i corrotti e chi non paga e penalizzando le persone per bene». Il Professore, dal canto suo ha parlato di una: «Scossa e una accelerazione potente alla lotta contro la corruzione che frena gli investimenti». Infine, il 28 dicembre scorso, il ministro della Pubblica Amministrazione Patroni Griffi ha istituito una Commissione di studio sulla trasparenza e la prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione. Composta da componenti altamente qualificati, la Commissione avrà il compito di studiare e approfondire la materia, e quindi formulare proposte normative. Il tutto in tempi molto stretti, come precisato nello stesso decreto ministeriale. Tra le tematiche da analizzare sicuramente l'auto-corruzione, la corruzione tra privati, e la necessità di attuare la norma inserita nella finanziaria del 2006 che prevede la confisca e l'utilizzo sociale dei beni confiscati ai corrotti. 8 verità e giustizia - 10 gennaio 2012

Antimafia: le sfide del 2012 di Gaetano Liardo

Dalla corruzione alla confisca dei beni, dall'usura al rafforzamento dei fondi per magistrati e forze dell'ordine. Sono questi alcuni dei tanti problemi che Governo e Parlamento saranno chiamati ad affrontare in questo nuovo anno, sotto l'occhio vigile della società civile Beni Confiscati Sono il simbolo della vittoria dello Stato contro le mafie. Spesso, tuttavia, l'incapacità, colpevole o incolpevole di alcune amministrazioni locali, li ha trasformati nel monumento all'inefficacia delle istituzioni nel contrastare i boss. La legge 109/96, approvata dal Parlamento dopo la raccolta di un milione di firme organizzata da Libera e Avviso Pubblico, sul riutilizzo sociale dei beni sottratti ai mafiosi ha subito duri colpi negativi. Nonostante i tanti successi, le piccole grandi vittorie del mondo dell'associazionismo e delle cooperative, è una legge che ha dato molto fastidio. Ciclicamente si è tentata di indebolirla. Il precedente esecutivo di centro-destra ha cercato anche

di vendere i beni confiscati. Il codice antimafia, approvato lo scorso settembre, ha nuovamente mostrato i limiti del governo Berlusconi sul fronte del sequestro-confisca dei patrimoni sottratti ai boss, oltre che la mancata volontà di semplificare, migliorandola, la regolamentazione relativa al riutilizzo sociale dei beni confiscati. A ciò si deve aggiungere la necessità di un intervento relativo alle ipoteche che gravano sui beni, e che spesso ne impediscono il recupero e l'affidamento. Sfide che rimangono aperte nel 2012, anno del trentesimo anniversario dell'omicidio di Pio La Torre, il padre della legislazione sulla confisca dei beni ai mafiosi. La speranza è che si possano migliorare le norme approvate con il Codice, rendendo più


efficace la doppia azione positiva delle istituzioni: confisca e riutilizzo sociale del maltolto. Usura Con la crisi economica in corso l'usura è uno degli strumenti più potenti delle mafie per allungare le mani sull'economia legale. La denuncia viene da Sos Impresa che invita istituzioni e forze dell'ordine a non sottovalutare il fenomeno, oggi più che mai appannaggio delle grandi organizzazioni criminali. L'usura, così come il riciclaggio di denaro sporco, rappresentano due delle sfide più importanti per il contrasto ai mafiosi. Tuttavia, dal punto di vista legislativo si registrano grandi problemi. La legge 108/96, importante strumento antiusura, è obsoleta. Non è stata mai aggiornata dopo l'approvazione e manifesta numerosi limiti. Lungaggini burocratiche, tempi estenuanti per l'accesso al fondo antiusura, spesso non dotato di adeguati strumenti finanziari. Inoltre, sempre più spesso gli usurai restano a piede libero per la scadenza dei tempi della custodia cautelare, rappresen-

tando una minaccia per chi denuncia. Problemi, questi, che hanno provocato un drastico calo delle denunce. Serve, con urgenza, un intervento legislativo, attento e puntuale per non disperdere quindici anni di attività di contrasto all'usura. Ecomafie Il danno c'è, ma il reato no. Succede così che uno dei business più appetitosi per i boss è anche una delle pratiche illegali più sicure. Lo smaltimento illegali di rifiuti tossici e pericolosi, le illegalità ambientali, quelle nel ciclo del cemento sono perseguibili esclusivamente con multe e contravvenzioni. In Italia, infatti, i reati contro l'ambiente sono di natura contravvenzionale, non penale. Una lunga battaglia che da anni vede in prima fila Legambiente, l'associazione che monitora le ecomafie nel nostro Paese. Le ripetute richieste di interventi legislativi per rendere penalmente rilevanti i delitti contro l'ambiente non hanno prodotto risultati. Un vuoto che necessita di essere riempito, in tempi stretti. Strettissimi.

Intercettazioni e informazione Quella sulle intercettazioni è stata una lunghissima battaglia combattuta da giornalisti, magistrati e forze dell'ordine contro una fetta trasversale della classe politica. Ad oggi, sembra essere tutto bloccato. Anche se occorre mantenere alta la guardia. E' sempre forte la tentazione, ogni qualvolta la stampa parla dei grandi scandali della politica, di cercare di mettere il bavaglio all'informazione. Se le intercettazioni sono, momentaneamente, salve è sempre alto il rischio che corrono i cronisti che cercano di far bene il proprio lavoro. Dal monitoraggio di Ossigeno per l'Informazione è sempre più folta la lista di giornalisti che subiscono minacce più o meno velate dai boss, infastiditi per la troppa attenzione ricevuta. Altro macigno che hanno di fronte gli operatori dell'informazione è rappresentato dalle querele temerarie. La richiesta, cioè, di risarcimento danni milionaria che politici e imprenditori avanzano nei confronti di chi scrive troppo. Una notizia rassicurante viene dallo Sportello antiquerele di Libera Informazione, Fnsi, Stampa Romana e Articolo 21 che garantisce gratuito patrocinio legale a tutti quei cronisti che non hanno la possibilità economica di affrontare i costi di un processo. Obiettivo del percorso è di proporre modifiche legislative sul risarcimento in sede civile sulla legge sulla stampa, ferma al lontano 1948. Procure vuote, tagli e ritagli Il 2011 è stato l'anno dei tagli “lineari” di Tremonti. Per far cassa si è scelto di risparmiare in tutto. Poco importa se, d'incanto, le forze dell'ordine si sono trovate a non avere i fondi per pagare la benzina, rinnovare il parco auto e pagare gli straordinari agli agenti impegnati in servizio. La stessa Dia, l'intelligence antimafia italiana, ha rischiato di essere cancellata. Troppo costosa. Il sistema giudiziario ha rischiato più volte di collassare. Niente soldi, poche assunzioni, procure con un solo Procuratore e senza personale a disposizione. Una situazione insostenibile per un paese democratico che deve sostenere la sicurezza dei cittadini, amministrare la giustizia e affermare la sovranità dello Stato laddove è questa è messa in discussione dallo strapotere delle mafie. verità e giustizia - 10 gennaio 2012

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>> focus

Quando a vincere sono solo le mafie di Norma Ferrara

Dipendenza, disagio sociale, indebitamento, usura e riciclaggio, il dossier di Libera "Azzardopoli" lancia l'allarme su gioco d'azzardo e il giro d'affari delle mafie in quella che è la terza impresa del paese con 86 miliardi di euro l'anno

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ale Bingo, scommesse clandestine, videopoker, slot machine. Il mondo del gioco d’azzardo è interesse della criminalità organizzata. Piu’ di un interesse. Un vero e proprio affare. Spesso gestito in regime di monopolio. Con un giro d’affari sottostimato di dieci miliardi di euro all’anno. E che non conosce confini. Da Chivasso a Caltanisetta, attraversando la via Emilia e la Capitale, sono 41 i clan nel Belpaese che gestiscono la “grande roulette”». Così la rete di associazioni di Libera racconta in un passaggio del dossier “Azzardopoli” la costante e penetrante presenza delle mafie e del malaffare in quella che le cifre testimoniano essere la “terza impresa” del paese con un giro di affari di 86mld di euro: il gioco d’azzardo. Il una ampia ricerca curata dal giornalista Daniele Poto l’analisi della situazione nel Paese che – dichiara alla conferenza stampa alla Fnsi, Poto – è il primo Paese in Europa per numero di giocatori e il terzo nel mondo. L’analisi di Libera affronta il tema a partire da tutti gli aspetti che lo caratterizzano: la dipendenza dal gioco e del gioco d’azzardo in particolare, il controllo da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso di questo settore ma anche il disagio sociale e l’impoverimento

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delle famiglie che spesso finisco per diventare vittime di questo business sempre più gestito dai clan. Secondo il rapporto gli italiani spendono circa 1260 euro procapite per tentare la fortuna, per raddoppiare i soldi e si stimano 800mila persone dipendenti da gioco d’azzardo e quasi due milioni di giocatori a rischio. Un dossier – quello di Libera – che si avvale dei dati istituzionali, quelli delle forze dell’ordine ma anche di molte ricerche già effettuate in questi anni da associazioni, gruppi di cittadini, psicologi e operatori del sociale. «Da più di 15 anni – dichiara il presidente di Libera e Gruppo Abele, Luigi Ciotti – abbiamo denunciato il rischio, oggi certezza, che il gioco d’azzardo, così come è stato per le sostanze stupefacenti, diventasse una dipendenza, un disagio sociale e un luogo di malaffare criminale. Oggi ci troviamo in ritardo, a dover prendere atto che nulla è stato fatto e invece c’è urgenza di fare e fare bene al più presto sotto l’aspetto legislativo ma anche delle politiche sociali». Il presidente di Libera sottolinea i tanti aspetti sociali in cui incide, profondamente, l’abuso del gioco d’azzardo così come oggi si è diffuso nella società, trasformandosi in un business appetibile da numerosi clan e sottolinea: «quella del gioco d’azzardo è una forma

di corruzione della speranza, nei dati che emergono dal rapporto che Libera presenta oggi, emerge soprattutto un problema di natura etica, culturale, morale e politica. E’ stato dimostrato in questi anni – continua Ciotti – che il danno sociale e individuale che questi giochi d’azzardo arrecano alla società sono di gran lunga maggiori dei guadagni che lo Stato riesce a trarre da essi». Dipendenza e indebitamento sono i due problemi sociali che maggiormente sono collegati all’abuso nell’uso di videopoker, slotmachine, gratta e vinci, sale bingo. E a questo “costo sociale” elevato e ancora oggi sottovalutato si passa all’inquinamento ormai conclamato di questo business da parte delle mafie, presenti in tutta la “filiera” che gestisce buona parte del gioco d’azzardo. A parlarne durante la conferenza stampa di presentazione di “Azzardopoli” è il magistrato della Direzione nazionale antimafia, Diana De Martino. «Sono circa 41 i clan coinvolti in operazioni direttamente o indirettamente collegati a questo business in diverse città italiane a dimostrazione che il gioco d’azzardo è oggi la nuova frontiera per le mafie, il nuovo business che unisce bassi rischi e massimo rendimento». Sono dieci le direzioni distrettuali antimafia che nell’ultimo anno hanno effettuato indagini:


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Bologna, Caltanissetta, Catania, Firenze, Lecce, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria e Roma. Nel 2010 sono state 6.295 le violazioni riscontrate dalla Guardia di finanza: oltre 8mila le persone denunciate, 3.746 i videogiochi irregolari sequestrati (alla media di 312 al mese) e 1.918 i punti di raccolta di scommesse non autorizzate o clandestine scoperti, il 165% in piu’ rispetto all’anno precedente. «Sono tante, svariate e di vera fantasia criminale i modi e le tipologie con le quali le mafie si infiltrano in queste imprese che si occupano della “macchina del gioco”. Dalle infiltrazioni delle società di gestione di punti scommesse, alle Sale Bingo, che si prestano in modo “legale” per diventare invee “lavanderie” per riciclaggio di soldi sporchi, all’imposizione di noleggio di apparecchi di videogiochi, alla gestione di bische clandestine, sino al toto nero e clandestino». E poi ancora «..il grande mondo del calcio scommesse, un mercato che da solo vale oltre 2,5 miliardi di euro. La grande giostra intorno alle scommesse delle corse clandestine dei cavalli e del mondo dell’ippica. Sale giochi utilizzate per adescare le persone in difficoltà, bisognose di soldi, che diventano vittime dell’usura. Il racket delle slotmachine. E non ultimo quello dell’acquisto

Luigi Ciotti:«quella del gioco d’azzardo è una forma di corruzione della speranza, un problema di natura etica, culturale, morale e politica» da parte dei clan dei biglietti vincenti di Lotto, Superenalotto, Gratta e vinci. I clan sono pronto infatti a comprare da normali giocatori i biglietti vincenti, pagando un sovrapprezzo che va dal cinque al dieci per cento: una una maniera “pulita” per riciclare il denaro sporco. Esibendo alle forze di polizia i tagliandi vincenti di giochi e lotterie possono infatti giustificare l´acquisto di beni e attività commerciali. Eludendo così

i sequestri». Tante le operazioni attraverso le quali Libera racconta questo business che assume tratti criminali e coinvolge clan del calibro dei Casalesi, dei Bidognetti, dei Mallardo, dei Santapaola e dei Condello, dei Mancuso, dei Lo Piccolo. Dati illustrati, con precisione dal giornalista Daniele Poto che con Libera ha curato il rapporto includendo anche il lavoro di ricerca fatto dall’associazione Giovanni XXIII del novembre del 2011 - si legge nel rapporto - «ha realizzato una ricerca sulle abitudini al gioco d’azzardo stimando circa un 1 milione e 720 mila giocatori a rischio e ben 708.225 giocatori adulti patologici, ai quali occorre sommare l’11% dei giocatori patologici minorenni e quelli a rischio. Il che significa che vi sono circa 800 mila dipendenti da gioco d’azzardo all’interno di un’area di quasi due milioni digiocatori a rischio. I giocatori patologici dichiarano di giocare oltre tre volte alla settimana, per più di tre ore alla settimana e di spendere ogni mese dai 600 euro in su, con i due terzi di costoro che addirittura spendono oltre 1.200 euro al mese». Tutti dati che hanno un impatto sulla vita di tutti i giorni, sulle persone. Come sottolinea lo psicologo, Mauro Croce, oggi il gioco d’azzardo è diventato un fenomeno di massa che niente ha a che vedere con quel rito “culturale e di tradizione” che era un tempo. E ancora oggi non viene riconosciuta come una patologia da curare ed è ancora largamente negato il diritto a curarsi gratuitamente come per altre dipendenze. Numeri, storie e cifre di un fenomeno complesso, quelle contenute nel dossier di Libera che affrontano il problema e denunciano i casi più eclatanti in cui le mafie hanno preso la gestione delle slot machine, di biglietti gratta e vinci del “mercato nero” e di altre attività che si rivelano, alla luce di queste cifre, un affare sicuro e redditizio. «Questa è la situazione oggi – conclude Luigi Ciotti – ma questa analisi deve servire soprattutto per agire, per mettere sul tavolo proposte, che abbiamo elaborato con le tante realtà che lavorano su questo tema da anni – e che adesso vanno applicate al più presto». Una proposta articolata in dieci punti, fra gli altri la necessità di una legge quadro che si occupi di inasprire le pene (al momento irrisorie) e prevenire il diffondersi di questa dipendenza dal gioco, una maggiore attenzione a politiche che siano in grado di intervenire prevenendo il fenomeno e i suoi effetti sociali e una più efficace comunicazione e informazione fondamentale per comprendere il fenomeno. verità e giustizia - 10 gennaio 2012

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>> focus

Di mafie e d'azzardo di Norma Ferrara

41 i clan coinvolti nelle inchieste gestite dalle dieci procure antimafia e che hanno interessato 22 città italiane. E molto spesso i proprietari della “filiera” del gioco d'azzardo sono diventati i migliori banchieri dei clan: a loro ci si affidava per prestiti e far ripulire soldi sporchi

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uella del gioco d'azzardo quando non è una storia di mafia è la storia di una osmosi criminale fra i soldi sporchi delle mafie e i tanti affari che circolano intorno ai videopoker, alle slot machine, ai gratta e vinci, alle lotterie e al calcio scommesse. Circa 41 i clan coinvolti nelle inchieste condotte in dieci procure antimafia in ben 22 città. «Un business – come racconta il magistrato Diana De Martino, in forza alla Direzione nazionale antimafia – che è andato crescendo con l'evoluzione del settore, una scalata databile al 2003 e che sino ad oggi non conosce crisi». «I clan si infiltrano nei modi piu' diversi - ricorda il magistrato - ma il settore su cui si stanno concentrando e' quello delle mac-

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chinette installate nei bar e nelle sale giochi di tutta Italia: l'obiettivo e' quello di scollegarle, anche solo temporaneamente, dalla rete telematica dei concessionari in modo da non versare il 12% dei profitti dovuto allo Stato. Numerose inchieste, anche recenti, confermano questo scenario e il fenomeno non puo' essere sottovalutato anche perche' i rischi sono relativamente contenuti e le sanzioni modeste, specie se rapportate ai guadagni, enormi. E destinati quasi per intero alla copertura delle spese per i familiari dei detenuti». La De Martino racconta di numerose operazioni nelle quali i clan giocano di volta in volta ruoli diversi. A volte – prosegue- è stato riscontrato un meccanismo di ingresso progressivo in questo mercato: si comincia dal racket nei confronti di bar

e locali che hanno queste slot machine all'interno dei locali, poi si passa spesso ad imporre al proprietario di acquistarle da alcune ditte in particolare, sino a diventare essi stessi i proprietari delle stesse macchinette che a quel punto vengono contraffatte per guadagnare fuori da ogni controllo statale». La legge prevede, infatti, un controllo sulle singole slot machine ma spesso le stesse vengono alterate e contraffatte proprio per aggirare i controlli statali. Tante le operazioni antimafia che hanno documentato la presenza dei clan dentro questi affari, dal nord al sud del Paese. Da Palermo – dichiara la De Martino – dove abbiamo rintracciato un giro di affari di 8 milioni di euro in mano ad un imprenditore, passando per una delle più importanti operazioni


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Da Palermo a Napoli, da Milano a Torino i clan hanno investito capitali illeciti in sale da bingo, videopoker e slot machine antimafia in questo settore, la “Hermes” in Campania che ha intercettato un monopolista del settore che era riuscito a fare così tanti affari da diventare, a sua volta, una sorta di sportello bancario per i clan che a lui si rivolgevano per avere prestiti. Ma non solo Sicilia e Campania, alcune delle ultime operazioni antimafia rintracciano queste infiltrazioni anche nel nord Italia. Non è ormai una notizia che i clan siano ben radicati e facciano affari anche nel centro nord con la stessa disinvoltura che per anni li ha guidati nel resto del Paese. Le operazioni contro il clan Lampara a Milano ha portato alla luce l'attività criminale di questa 'ndrina calabrese che reinvestiva buona parte degli introiti delle mafie nel settore del gioco d'azzardo e così anche per l'operazione Minotauro a Torino. Una mappa criminale che Libera ha riassunto in una efficace cartina dell'Italia (vedi foto) che lascia pochi spazi incontaminati. Anche perché – come per molti altri business – i canali già utilizzati per altri business illeciti sono gli stessi attraverso i quali far circolare tutti i nuovi business come accade per il gioco d'azzardo, nuova frontiera economico – criminale delle mafie. verità e giustizia - 10 gennaio 2012

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>> focus

Benvenuti ad “Azzardopoli” di Norma Ferrara

Dopo un libro sulle mafie nel calcio il giornalista Daniele Poto ha curato il dossier "Azzardopoli" sulle infiltrazioni criminali nel business del gioco d'azzardo. Poto: «servono risposte dalla politica e l'impegno della società responsabile»

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uesto dossier intitolato “Azzardopoli” racconta attraverso i numeri e le storie le conseguenze di una assoluta immobilità da parte della politica nei confronti dei rischi connessi al gioco d’azzardo. Una immobilità che da un lato ha inciso nella mancanza di una legge

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quadro che si occupi di mettere ordine questo settore, e dall’altro di provvedimenti che mirino alla prevenzione, all’informazione e ad una corretta comunicazione del fenomeno e dei rischi connessi». Così il giornalista Daniele Poto, curatore del rapporto presentato oggi da Libera, commenta i contenuti del dossier sui rischi del gioco d’azzardo e le infiltrazioni cri-

minali in questo settore. «Nell’analisi elaborata a partire da dati istituzionali, quelli delle forze dell’ordine, della Commissione parlamentare antimafia, delle procure antimafia e delle tante associazioni coinvolte da anni su questi temi, abbiamo individuato ben 41 clan che operano nelle regioni dove maggiore è la preoccupazione in questi ultimi anni per la penetrazione criminale del tessuto socio – economico: la Lombardia, la Campania e il Lazio. Un business – quello del gioco d’azzardo, continua Poto – che va di pari passo con l’espansione criminale dei clan, questo vale soprattutto per la Lombardia dove operano diversi clan appartenenti ad altrettante organizzazioni mafiose, e il Lazio, che è stata al centro di una escalation criminale collegata alla Quinta mafia o mafia da contaminazione, attiva anche in questo business». La Commissione parlamentare antimafia nell’estate scorsa ha accolto una relazione della Guardia di Finanza che documentava proprio l’avvenuta contaminazione dell’economia legata a questo settore, con i capitali illeciti dei mafiosi. Nel documento la Commissione sottolineava che anche l’Europa da anni ci chiede di dare attuazione al D.Lgs del 21 novembre del 2007 sul riciclaggio ampiamente sottovalutato dal nostro Paese. Eppure come sottolinea quella relazione delle Commissione antimafia e conferma il dossier di Libera, questa ulteriore fessura del gioco d’azzardo consente il riciclaggio di somme di denaro ingenti ed è difficile risalire all’origine del capitale illegale ma soprattutto riuscire a punire il reato, nei fatti depenalizzato. «Il 2003 – conclude Poto – è l’anno in cui in Italia si procede ad una sorta di liberalizzazione nel settore del gioco d’azzardo. Quell’atto in parlamento fu approvato con un sostegno trasversale, segnale che purtroppo bisogna difendersi da una certa politica che per pressione di lobby o per distrazione non fa gli interessi di tutti e affiancare a questa una risposta seria e equilibrata della società civile che chieda conto di queste azioni e faccia da “pungolo” nei confronti del parlamento e dei politici, come proviamo a fare con la rete di associazioni che insieme a Libera ha prodotto questo lavoro di approfondimento sul gioco d’azzardo».


focus << La scheda Le proposte di Libera contenute nel dossier “Azzardopoli” su rischi e malaffare del gioco d'azzardo in Italia. La rete di associazioni aderenti propone di: 1. definire e approvare una legge quadro sul gioco d’azzardo, affinché lo Stato recuperi il governo e la programmazione politica sulle attività di gioco d’azzardo, ridefinendo le procedure autorizzatorie, di fatto azzerate con la deregulation introdotta attraverso la legge finanziaria approvata il 23 dicembre 2000, e riconducendo in un ambito di gestione e controllo il ruolo e le competenze dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli; 2. imitare i messaggi pubblicitari e di marketing sul gioco d’azzardo e garantire forme di reale e corretta informazione per il pubblico, anche attraverso l’adozione e il rispetto di codici specifici di autoregolamentazione; 3. destinare il 5% degli introiti da gioco, come avviene in Svizzera, e il 5% dei premi non riscossi ad attività di ricerca/prevenzione/cura sul tema del gioco d’azzardo; 4. promuovere iniziative di sensibilizzazione ai rischi collegati al gioco d’azzardo attraverso campagne di informazione alla cittadinanza 5. promuovere iniziative di formazione per gli esercenti mirate alla prevenzione degli eccessi nel gioco d’azzardo; 6. recepire l’indicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che vede nel gioco d’azzardo compulsivo una forma morbosa chiaramente identificata e che, in assenza di misure idonee d’informazione e prevenzione, può rappresentare, a causa della sua diffusione, un’autentica malattia sociale; 7. consentire ai giocatori d’azzardo patologici e ai loro familiari (oggi abbandonati a se stessi), il diritto alla cura, parificando ciò che già vige nel campo delle dipendenze anche a questo tipo di patologia:

diritto alla cura, diritto al mantenimento del posto di lavoro, diritto di usufruire dei benefici di legge, diritto a una parificazione tributaria e fiscale 8. emanare un atto di indirizzo che sostenga le iniziative a livello regionale per la messa in atto di misure di prevenzione, cura e riabilitazione della patologia collegata al gioco; 9. avviare studi e ricerche di carattere epidemiologico per monitorare la diffusione delle forme di gioco problematico e patologico in Italia (condotte da enti “senza conflitti di interessi” ad esempio Regioni o Università); 10. realizzare iniziative sperimentali di prevenzione del gioco d’azzardo tra i giovani e di trattamento e cura per chi risulta già dipendente dal gioco. Per quanto riguarda, invece, la prevenzione e il contrasto dei fenomeni d’illegalità nel mercato dei giochi, potrebbero confluire nella citata legge quadro le norme contenute in due disegni di legge: a) il disegno di legge 2484 del 6 dicembre 2010, primo firmatario il senatore Luigi Li Gotti, relativo alla modifica dell’art. 88 del Testo unico delle leggi di Pubblica sicurezza, che subordina la concessione di licenze a società estere che organizzano e gestiscono scommesse in Italia ai controlli sulle persone degli amministratori , dei bilanci e delle rendicontazioni contabili, per scoraggiare e prevenire fenomeni di riciclaggio; b) il disegno di legge 2714 del 4 maggio 2011, primo firmatario il senatore Raffaele Lauro, che prevede “Misure urgenti sul gioco d’azzardo per la tutela dei minori, sul divieto di pubblicità ingannevole, sul riciclaggio e la traspa-

renza dei flussi finanziari in materia di scommesse” e, in particolare: l’inasprimento delle sanzioni amministrative pecuniarie ( fino a 20mila euro e chiusura fino a 30 giorni dell’esercizio) per chi viola il divieto di gioco di minori; l’inasprimento delle sanzioni in funzione antiriciclaggio previste dal decreto 231 per chi gestisce attività di gioco senza autorizzazioni; la previsione di conti correnti dedicati per concorsi pronostici e scommesse; il registro scommesse e requisiti più stringenti per chi gestisce locali e attività di gioco pubblico. Libera, infine, sollecita l’elaborazione di norme tese a rafforzare e rendere più efficaci, anche attraverso la previsione del delitto di gioco d’azzardo: c) le sanzioni previste dall’art. 718 del Codice penale sullo stesso gioco d’azzardo (che prevede l’arresto fino al massino di 1 anno e un’ammenda non superiore ai 206 euro) e dall’art. 723 del Codice penale sul gioco non d’azzardo senza autorizzazioni (che prevede un’ammenda da euro 5 a euro 103); d) il quadro sanzionatorio, attualmente solo di carattere amministrativo pecuniario, verso chi produce, importa, distribuisce e installa apparecchi illegali. verità e giustizia - 10 gennaio 2012

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>> i media ne parlano

La legge non prevede il passaggio delle 250 emittenti comunitarie dall'analogico al digitale

Telejato a rischio chiusura La società civile si mobilita per salvare la Tv antimafia di Partinico in provincia di Palermo. Maniaci a Rainews: «Chiediamo pluralismo e libertà di informazione. Non ci ha fermato la mafia e non lo farà nemmeno questa legge»

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inacciati dalla mafia ma anche dall’arrivo del digitale terrestre. Accade in Sicilia dove da mesi la tv comunitaria Telejato, diretta dal giornalista Pino Maniaci, deve fare i conti con la legge sul digitale terrestre che non prevede il passaggio delle 250 emittenti “comunitarie” dall’analogico al nuovo sistema di diffusione del segnale radiotelevisivo. Se nessuna modifica verrà apportata all’applicazione della legge, in sostanza, allo switch off in Sicilia, la tv che da anni denuncia malaffare e criminalità organizzata a Partinico potrebbe dover chiudere i battenti. Una mobilitazione della società civile, in particolare sostenuta dall’associazione antimafia Rita Atria che ha

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dato vita ad un comitato chiamato “Siamo tutti Telejato”, corre sul web. Dopo la conferenza stampa a Roma con la quale si chiedeva (e si è ottenuto) la possibilità che esista una vera asta delle frequenze radiotelevisive, un appello è stato lanciato per salvare queste tv. Rainews, il canale alla news della Rai, nel giorno in cui in tutta Italia ricordava l’assassinio del giornalista siciliano, Pippo Fava, ha intervistato proprio Pino Maniaci, in collegamento dalla sede Rai di Palermo e con lui parlato di questo “rischio chiusura” e della difficoltà di fare informazione oggi contro le mafie, nella trasmissione “Il punto” curata da Giorgio Santelli e Iman Sabbah. « Per Telejato non c’è spazio – dice

Maniaci – secondo la legge sul digitale terrestre le Onlus non potranno più trasmettere. Ma molte associazioni, riunite in un Comitato, hanno lanciato una petizione mandata alle più alte cariche dello Stato nella quale si chiede il pluralismo e la libertà di informazione». La censura che non è (ancora) passata con la cosiddetta “legge bavaglio” rischia di arrivare attraverso una legge. Una tv fatta in tre stanze, quella di Telejato, di cui – come racconta Maniaci - “la più grande è il bagno” , da anni irride i boss, li sbeffeggia e informa i cittadini su quello che accade, senza fare sconti a nessuno. Il tg di Telejato è il più lungo del mondo, come raccontano numerosi reportage di colleghi della stampa estera: si sa quando comincia ma non si sa quando finisce. Un lavoro documentato e serio che corre sul filo dell’ironia e del disprezzo per i mafiosi e i collusi. Un modo di fare informazione che ha da subito infastidito i boss. Numerose le minacce di morte, gli attentati, le intimidazioni fisiche ricevute in questi anni da Pino Maniaci e dalla sua famiglia, che rappresenta il suo “team” di lavoro, insieme a tanti giovani volontari che a turno lavorano in redazione. «Ci ribelleremo al digitale terrestre se non prevederà anche il nostro passaggio – conclude Maniaci. Ancora non sappiamo come, ma state certi che lo faremo». Per firmare la petizione contro la chiusura di Telejato e delle altre tv comunitarie: www.ritaatria.it


dai territori <<

a cura di Norma Ferrara

Lazio Non si fermano le intimidazioni ai danni della rete di associazioni aderenti a Libera nel Lazio. Dopo i numerosi raid vandalici contro il “Villaggio della Legalità” di Borgo Sabotino. Lo scorso 2 gennaio i volontari dell’associazione Libera hanno trovato danneggiamenti nella sede di Sabaudia. Qualcuno è entrato nella sede e ha devastato gli arredi rovesciando i mobili e rompendo tutto ciò che si poteva danneggiare.

Sicilia Vincenzo Virga, capo mafia di Trapani risulta nullatenente e ha chiesto alla Corte di Assise di usufruire del gratuito patrocinio, la difesa nel processo in corso per il delitto del giornalista, Mauro Rostagno, ucciso il 26 settembre del 1988. Virga, oggi si dichiara povero, a causa dei sequestri e delle confische effettuate sul suo patrimonio, nel processo è accusato di essere il mandante dell’omicidio Rostagno.

Calabria Ricordare sì, reagire anche. È questo il senso del secondo anniversario della rivolta di Rosarno, avvenuta il 7 gennaio del 2010. Perché, dopo due anni, la situazione non è migliorata: in assenza di politiche agricole, le condizioni dei braccianti non accennano a migliorare.

verità e giustizia - 10 gennaio 2012

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>> internazionale

S.O.S dal Guatemala

di Gaetano Liardo

Il movimento dei ragazzi di strada (Mojoca) scrive al neo presidente Otto Pérez Molina chiedendo attenzione sulla situazione della fascia più debole della società. Quelli che rischiano di essere le vittime del pugno duro del governo

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olti di noi sono stati uccisi, torturati, stuprati. Non abbiamo casa, accesso all’educazione, alla salute o a un lavoro decente. Alcuni di noi non sono legalmente cittadini, perchè non abbiamo certificati di nascita. Spesso non sappiamo dove siamo nati, o chi sono i nostri genitori. E’ quindi estremamente difficile per noi ottenere un’identità legale. Siamo poveri ed esclusi guatemaltechi che desiderano un paese più giusto e fraterno dove tutti i cittadini sono uniti da legami di amicizia e di solidarietà». Firmato: i ragazzi di

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strada del Guatemala. Destinatario il presidente della Repubblica Otto Pérez Molina. Questo è un passaggio di una lettera aperta che l’associazione Mojoca (Movimiento Jovenes de la Calle) ha inviato al nuovo presidente del Guatemala in vista dell’insediamento ufficiale del prossimo 14 gennaio. Una lettera molto dura che descrive la condizione in cui sono costretti a vivere centinaia di ragazzi e ragazze di strada del paese centroamericano. Una seconda lettera è stata inviata alle associazioni latinoamericane ed europee, attive nell’appoggiare il lavoro di recupero dei ragazzi di strada guatemaltechi.

Una richiesta di aiuto affinchè non si abbassi la guardia con l’insediamento della nuova presidenza. In Italia a ricevere e divulgare l’appello del Mojoca è stata l’associazione Funima international onlus. «Cari amici – si legge nella lettera – vi scriviamo perchè siamo preoccupati su ciò che può accadere in Guatemala sotto la presidenza del generale Otto Pérez Molina, il cui governo sarà inaugurato il prossimo 14 gennaio. Non sappiamo cosa il suo sta progettando, speriamo solo che non usi la la violenza per sopprimere i bambini di strada, i movimenti popolari e le organizzazione per la difesa dei diritti umani». Un appello allarmante, una richiesta di aiuto che proviene da uno dei paesi più fragili del continente americano. Il Guatemala non ha mai conosciuto una vera democrazia. Dal 1954, anno del golpe finanziato dagli


internazionale <<

Molti di noi sono stati uccisi, torturati, stuprati. Non abbiamo casa, accesso all'educazione e un lavoro decente. Alcuni di noi non sono legalmente cittadini Usa per rovesciare il governo di Jacobo Arbenz, le forze armate hanno guidato per più di 40 anni il paese. Fino alla catastrofica guerra civile che sconvolse il paese e registrò violenze brutali e inaudite. Gli accordi di pace hanno aperto la strada ad un percorso democratico, difficile e instabile. Il Guatemala, infatti, non ha conosciuto una reale pacificazione interna. Al suo interno sono presenti enormi diseguaglianze sociali ed economiche. Il paese nell’ultimo decennio ha conosciuto, salvo rare eccezioni, un tasso di crescita consistente. Tuttavia, una larga fetta della popolazione vive al di sotto della

soglia di povertà. Inoltre, nell’ultimo decennio il Guatemala è diventata una preziosa pedina nel grande gioco del traffico di cocaina dalla Colombia agli Stati Uniti. Diventando, di fatto, il “retrobottega” dei cartelli messicani. Tra questi i Los Zetas, ex forze speciali dell’esercito Messicano addestrati nel contrastare i narcotrafficanti, entrati in “grande stile” nel traffico di cocaina. I Los Zetas, come segnalato in un recente rapporto dall’International crisis group, hanno esteso le proprie azioni anche in Guatemala, coinvolgendo alcuni reparti dei corpi speciali guatemaltechi, i Kaibiles. La presenza dei narcos messicani e

la ricchezza generata dalla cocaina hanno ulteriormente destabilizzato il Guatemala. La repubblica centroamericana vanta un negativissimo primato condiviso con i confinanti Honduras e El Salvador: il tasso di violenza. Si calcola che la regione sia quella più violenta al mondo, al di fuori dai teatri di guerra. In Guatemala, infatti, negli ultimi cinque anni si contano 6.000 omicidi l’anno. Secondo l’Icg, nel 2010 sono stati calcolati 42 omicidi ogni 100.000 abitanti. Un tasso di gran lunga superiore a quello della Colombia (38 omicidi ogni 100.000 abitanti) e del Messico (16 ogni 100.000 abitanti). A farne le spese, purtroppo, sono le fasce deboli della popolazione. Indifese e abbandonate a se stesse. Lo slogan che ha consentito al generale Molina di vincere le elezioni è stato “mano dura”. Reazione forte contro delinquenza e criminalità. Il problema, sottolineano dal Mojoca, è contro chi sarà effettivamente usata la “mano dura”. «Condividiamo – si legge nella lettera inviata alle associazioni europee – la necessità di ocmbattere i gruppi criminali, sicari, narcotrafficanti, le multinazionali e i latifondisti; coloro i quali sfruttano e violano i diritti fondamentali del popolo guatemalteco». Tuttavia, aggiungono: «Siamo preoccupati perchè, se i bambini di strada non sono violenti, spesso sono costretti a commettere piccoli furti per sopravvivere; come risultato, sono spesso associati alla delinquenza. Si tratta solo di gruppi di bambini poveri ed esclusi che aspirano a vivere una vita degna e onesta». Il lavoro di recupero fatto dal Mojoca e da altre associazioni umanitarie consente ai bambini e ai ragazzi di strada di avere gli strumenti per uscire dalla condizione di povertà. Quella sulla quale puntano le gang criminali o i narcos per avere manovalanza a basso costo. «La nostra preoccupazione e allarme ci fa preparare per il peggio», scrive il Mojoca. Troppo spesso le politiche per la sicurezza colpiscono l’obiettivo sbagliato. Ma anche il più semplice. verità e giustizia - 10 gennaio 2012

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>> libri

Il profeta antimafia. Del “noi” di Nando dalla Chiesa*

20 verità e giustizia - 10 gennaio 2012

per la legalità, purché intrecciata con la giustizia sociale. Per la legalità reclamata dai lenzuoli bianchi di Palermo o dai giovani di Locri, non quella che arriva come un tallone d’acciaio a schiacciare la dignità dei migranti. Perché quasi ogni parola nella vita priva di bussola etica può significare una cosa e il suo contrario. Solo di alcune parole si fida, don Ciotti. Responsabilità, giustizia sociale e soprattutto “noi”. Il noi che accomuna, che costringe a dar conto, a pensare per gli altri. Il noi non come corporazione, come partito, come gruppo chiuso. Perché quello è solo un “io” che si maschera allargandosi. Il noi sono le diversità che si uniscono. Diversi come essere umani, uguali come cittadini, scandisce il moderno profeta. Sono molte le massime involontarie che si incidono nella mente di chi legge. Anche chi ha sentito spesso parlare don Ciotti – ed è il caso di chi scrive – rimane sorpreso dal nitore e dalla densità dei concetti che arrivano d’improvviso come fermi immagine a fissare la passione. Non il discorso fluviale e ispirato che cattura le platee. Ma un ragionare serrato che spazia nella storia del pensiero, da Platone a Sant’Agostino, e soprattutto dell’azione, da Carlo Rosselli a Martin Luther King, da don Tonino Bello ad Antonino Caponnetto. Che con rispetto ma senza alcuna sudditanza culturale entra in dialettica con le culture e con i poteri del paese. Che affonda nelle pieghe della sua crisi. Per ricordare che è crisi soprattutto morale. Dalla quale si può uscire se non si scambierà più la speranza con l’illusione elargita dall’alto con un sorriso. Perché la speranza è fatica, progetto, costruzione. E le radici della crisi sono lunghe, ricorda l’autore, che non per nulla ripesca una manifestazione contro la mafia a Locri del 1970 e una denuncia della democrazia dell’applauso, firmata Norberto Bobbio, 1984. Tanti anni prima di Berlusconi. Il passato pesa. E sperare, come hanno fatto i giovani delle cooperative sui beni confiscati, significa mettersi in gioco, impegnarsi. Tutti. “Noi”.

LA SPERANZA NON È IN VENDITA Luigi Ciotti Giunti, Gruppo Abele 2011, 128 p. 10 euro *La recensione è tratta da “Il fatto quotidiano” di sabato 7 gennaio 2012

LIBRI

Dicono sia un moderno profeta. Certo solo lui poteva piantare nel mezzo di un libro sulla speranza una frase come questa: “A volte mi chiedo – e credo che dobbiamo farlo con rigore – se tra i ‘nemici’ della ‘lotta’ alle mafie non ci siano anche le associazioni antimafia, quando evitano le fatiche del lavorare insieme e sacrificano il ‘noi’ a interessi individuali o di gruppo”. Solo lui poteva sferzare associazioni, gruppi e cooperative, chiedendo loro di non “adagiarsi nell’autoreferenzialità, che è fatta anche di egoismi, di piccoli e grandi opportunismi, di comode convenienze”. Non altri, certo. Parole non consentite ai professionisti della collusione o del quieto vivere. Ma che diventano spinta inesausta in bocca a chi da più di quarant’anni si batte contro ogni tipo di mafia, da quella che disfaceva di eroina i ragazzi che il gruppo Abele si prodigava a salvare a quella che ha ammazzato centinaia e centinaia di persone note e anonime e a cui lui, con Libera, ha voluto dedicare un giorno all’anno per ridare nome e memoria e dignità a ciascuno. La speranza non è in vendita si chiama questo libro scritto da don Luigi Ciotti per la casa editrice Giunti. Un libro che è un fremito continuo, attraversato da una passione che predica pace e non la trova. Passione per gli ultimi, prima di tutto. Con i quali bisogna mischiarsi, ai quali si deve rispetto sempre, anche quando occorre imporre il primato delle leggi. Gli ultimi con i quali l’uomo di chiesa deve sapersi schierare, altro che gli stereotipi sui preti di trincea o di strada, chi annuncia il vangelo non può che stare sulla strada. Gli ultimi che vanno difesi anche dalla legalità quando questa diventa strumento per emarginare o umiliare, tradendo lo spirito della Costituzione. Passione per la Costituzione, inconsueta in un prete. Figlia della Resistenza, opera letteraria, legge suprema, vero testo dell’antimafia. Che “non intimorisce, né blandisce” ma “fa appello alla nostra coscienza”. E passione


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IPSE DIXIT a cura di Norma Ferrara

Beppe Alfano, un giornalista scomodo «Ieri il paese era avvolto da una cappa di piombo non solo per la calura, ma soprattutto per la grave tensione che l’episodio ha suscitato. La salma del giovane Lorenzo dunque è stata accolta solo dai parenti più stretti mentre tutti gli abitanti del comune tirrenico erano intanati in casa». E’ il 28 luglio del 1991 e a Terme Vigliatore (Me) il figlio del boss Pino Chiofalo, Lorenzo, viene trovato morto insieme ad un altro ragazzo, Maurizio Cambria, sulla spiaggia di Acquitta, mentre tutto intorno erano in corso i festeggiamenti per la festa della Santa Patrona del paese. A scrivere è Beppe Alfano, un insegnate con la passione per la politica e il giornalismo, che quel giorno si trovava nei dintorni con la famiglia. Ebbe inizio così, dopo l’attività in radio e tv locali, l’esperienza giornalistica di Alfano come corrispondente per un giornale regionale. Quelle sull’omicidio di Lorenzo Chiofalo, furono solo le prime righe di molti articoli che, in pochi anni, raccontarono al resto della Sicilia quello che stava accadendo nel comprensorio che circondava la città di Barcellona Pozzo di Gotto (Me): centro di potere nevralgico per mafie, massonerie deviate, illegalità di vario tipo che operavano in un regime di paura e silenzio. Beppe Alfano veniva ucciso diciannove anni fa, l’8 gennaio 1993, secondo quanto emerso dal processo, da Antonino Merlino su ordine del boss della “famiglia” di Barcellona, Giuseppe Gullotti. Beppe Alfano, docente e giornalista, corrispondente de “La Sicilia” da Barcellona Pozzo di Gotto (Me), ucciso nella sua città l’8 gennaio del 1993

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Verità e giustizia newsletter a cura della Fondazione Libera Informazione Osservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie

Direttore responsabile: Santo Della Volpe

Hanno collaborato a questo numero: Ufficio Stampa di Libera, Don Tonino Palmese

Coordinatore: Lorenzo Frigerio

Grafica: Giacomo Governatori

Sede legale via IV Novembre, 98 - 00187 Roma tel. 06.67.66.48.97 www.liberainformazione.org

Redazione: Peppe Ruggiero, Antonio Turri, Gaetano Liardo, Norma Ferrara

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