Verità e giustizia n.84

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n.84

9 febbraio 2012

veritĂ egiustizia

La newsletter di liberainformazione

HOLDING CRIMINALE


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Grido d’allarme di Santo Della Volpe

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a “pervicace ostinazione della organizzazione criminale impone che non vi sia alcun calo di tensione nella lotta al fenomeno mafioso e che l’azione di contrasto sia massimamente tempestiva e serrata”: è una constatazione,ma è anche un appello, un grido d’allarme quello che, riferendosi a Cosa Nostra (ma non solo), la Direzione Nazionale Antimafia lancia a tutti. Alla magistratura e Forze di Polizia, ma soprattutto alla società civile nel suo complesso ed al mondo politico. La relazione del 2011 propone infatti molti spunti di riflessione. Una Cosa Nostra che , dotata di una “costituzione formale” e di una “costituzione materiale”, ha dimostrato ampie capacità di rinnovamento; e che riprende in mano, dopo il silenzio del 2010, lo strumento dell’omicidio per la risoluzione di problemi interni all’organizzazione (5 assassinii nella sola provincia di Palermo). Una mafia nei cui confronti la Dna chiede “un flusso costante di nuovi, più raffinati e sempre più efficaci strumenti normativi e di risorse anche economiche per tenere testa all’organizzazione criminale”. E capace, si nota nella relazione, di muoversi agevolmente anche fuori la Sicilia, soprattutto in Lazio, in Liguria ed in Lombardia dove si sviluppa la sua “tendenza al processo di infiltrazione nel tessuto socio-economico della regione attraverso la gestione e lo sfruttamento di attività economiche apparentemente lecite ma utilizzate quale schermo per la commissione di reati finanziari e fiscali”. E’ in queste parole l’argomento che sottoponiamo all’attenzione dei lettori questa settimana: quella capacità criminale che partendo dal controllo, sul territorio, delle lucrose attività criminali(nuove e vecchie come il racket, la droga e gli appalti), sposta poi ingenti risorse economiche nelle piaz2 verità e giustizia - 9 febbraio 2012

ze finanziarie, nei luoghi degli affari e dell’economia in crisi,intervenendo per riciclare, comprare, inquinare le attività economiche. Lo fa cosa nostra, ma lo fanno anche la camorra e la ‘ndrangheta,estendendosi così a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale, con quella “linea della palma” della metafora di Sciascia, che sale verso Nord. Cammina su e giù per la penisola questa mafia della zona grigia, agevolmente, portata da personaggi apparentemente insospettabili, oppure più che sospettabili ,ma riciclati, anche politicamente. Nota la relazione della Dna che, nella camorra, ad esempio, si nota “la presenza di settori del mondo imprenditoriale,i quali,in un rapporto di reciproco vantaggio, sono portati a condividere gli obiettivi dei programmi criminosi dei clan camorristici, mettendo a disposizione il proprio know-how, di cui è componente essenziale la rete relazionale con professionisti (commercialis ti,notai,avvocati,funzionari di istituti di credito,intermediari finanziari ecc.) o esponenti politici, nazionali e locali.” E’ lì che si annida la capacità delle mafie di inquinare il mondo pulito

dei lavori, dei mestieri, della politica, dell’imprenditoria e del commercio: sono quei mondi dei professionisti che devono dire i “no” che contano nei momenti decisivi, sapendo con chi hanno a che fare, conoscendo non solo le conseguenze dei propri comportamenti, ma l’importanza del ruolo “nazionale” del loro lavoro pulito. E’ la rinnovata coscienza nazionale , etica oltre che economica, che chiede l’Italia che rivolge il suo sguardo verso l’Europa. Per sottrarre alle mafie quei 250 miliardi di Euro annui dell’economia criminale in Italia; e per contrastare l’emergenza mafiosa di questi anni, la ‘ndrangheta calabrese. La relazione della Dna è, su questa mafia, precisa e tagliente” la ‘ndrangheta, malgrado l’incisiva e straordinaria attività di contrasto dispiegata nel periodo in esame, si manifesta e si espande sempre più sul piano nazionale ed internazionale, puntando a riaffermare la propria supremazia con immutata arroganza, soprattutto sul piano delle disponibilità finanziarie, che sono ormai illimitate, e raffinando ulteriormente il proprio agire criminale. Può affermarsi, senza tema di smentita, che la ‘ndrangheta ha caratteristiche


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di organizzazione mafiosa presente su tutto il territorio nazionale, globalizzata ed estremamente potente sul piano economico e militare tanto da potere essere definita presenza istituzionale strutturale nella società calabrese, interlocutore indefettibile di ogni potere politico ed amministrativo, partner necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto l’aggiudicazione di lavori pubblici sul territorio regionale.” Come se non bastasse, la relazione Dna del 2011 entra nel problema con precisione e denuncia: “E’ bene, quindi, rilevare ed evidenziare che gli allarmanti (rectius: inquietanti) rapporti intrattenuti con rappresentanti delle istituzioni, con politici di alto rango, con imprenditori di rilevanza nazionale (disvelati da numerose indagini dispiegate in varie regioni nel corso del periodo in esame) non sono soltanto frutto esclusivo del clima di intimidazione e della forza intrinseca del consorzio associativo, bensì il risultato di una progettualità strategica di espansione e di occupazione economicoterritoriale, che, oramai, si svolge su un

piano assolutamente paritario; rapporti con istituzioni ed imprese volto ad intercettare flussi di denaro pubblico, opportunità di profitti e, contestualmente, ad innestare nel libero mercato fattori esterni devianti (di nitida derivazione criminale e di inquinamento economico), ma tendenti verso una nuova fase di legittimazione imprenditoriale e sociale idonea a conferire un adeguato grado di ‘mimetismo imprenditoriale’ e ciò allo scopo evidente di eludere le indagini patrimoniali ed assicurare, nel tempo, stabilità economica alle attività imprenditoriali. Detto fenomeno è ancor più evidente nel Nord-Italia ove la ‘ndrangheta opera in sinergia con imprese autoctone o, in talune occasioni, dietro lo schermo di esse”. Ma nella stessa relazione, proprio a partire da questa mafia così pericolosa, la Dna segnala come l’aggressione ai patrimoni mafiosi, la mobilitazione della società civile e l’intensa attività di Polizia Giudiziaria, abbiano aperte delle brecce significative, nella ‘ndrangheta ma non solo. Qui, nella mafia calabrese, sono arrivati i collaboratori di

giustizia a rompere il monolite criminale calabrese: 7 a Reggio Calabria, 12 a Catanzaro, 1 a Milano. E non è poco. Ma la penetrazione calabro-mafiosa è potente in Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna, mentre all’estero (in Europa e nel mondo,dal Canada all’Australia), la relazione segnala inquietanti presenze, ma anche un contrasto più efficace. La relazione della Direzione Nazionale Antimafia segnala, infine, che c’è risveglio della società civile e una rinnovata attenzione del mondo dell’informazione verso il racconto di questo panorama economico criminale e della battaglia antimafia nel Paese. E’ necessario ascoltare quel grido e quell’allarme della DNA: non abbassare la guardia, aggredire la corruzione ed i patrimoni mafiosi, colpire le connessioni con il mondo dell’imprenditoria, della politica, delle professioni: la zona grigia. Senza disarmare la magistratura con inusitate incursioni come quella sulla responsabilità civile dei magistrati, un’arma alla tempia di chi indaga, un pessimo segnale per chi vuole affermare la legalità, un intollerabile favore politico alla criminalità organizzata. verità e giustizia - 9 febbraio 2012

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a 'ndrangheta calabrese è la mafia più insidiosa e potente presente in Italia. Una verità assodata nonostante le numerose operazioni condotte da magistratura e forze dell'ordine a Reggio Calabria, Catanzaro, Roma, Torino, Milano, Bologna, Brescia. E' un quadro allarmante e da non sottovalutare quello che emerge dalle relazioni della Dia e della Dna. Il motivo di tanta forza è da ricercare in risorse economiche illimitate, nella capacità di “dialogo” con il potere imprenditoriale e politico, e nel suo radicamento capillare. In Calabria, nel nord Italia e all'estero. Sono 136 i gruppi 'ndranghetistici censiti dalla Dia, e contano 1527 affiliati. Al centro di questo universo criminale c'è la “Provincia”, Reggio Calabria. Non più, come si è ritenuto nel passato, un pulviscolo di gruppi autonomi, ma una struttura sempre più verticistica e centralizzata. «La “provincia” di Reggio Calabria – scrivono gli esperti dell'intelligence antimafia – costituisce il fulcro dell'organizzazione, dove ciclicamente anche gli affiliati dall'estero giungono per prendere ordini e direttive, allo scopo di pianificare strategie di lungo e medio periodo, e dove si decide l'istituzione di nuovi “locali” di 'ndrangheta e l'attribuzione di cariche e ruoli decisionali tra i membri dell'organizzazione». Secondo la Dna: «le indagini hanno fatto emergere elementi di indubbia novità: l’esistenza della ‘ndrangheta come organizzazione di tipo mafioso unitaria, insediata sul territorio della provincia di Reggio Calabria». E' la “Provincia” o “Crimine” che decide le strategie, appiana i contrasti e mette pace tra le diverse locali in tutto il mondo 'ndranghetista, da Fondi a Milano, da Genova a Toronto e a Stirling in Australia. Alla “Mamma” devono fare riferimento tutti, nessuno escluso, come ha imparato a proprie spese il “secessionista” Nunzio Novella che voleva rendere indipendente la “Lombardia” dalla “Calabria”, ma è stato ucciso in un agguato nel 2008. La “Provincia” è suddivisa in tre mandamenti: il Tirrenico, lo Jonico e il mandamento Centro o Reggio Città. Mandamento Tirrenico La Piana di Gioia Tauro continua ad essere la roccaforte degli Alvaro-Piromalli, dei Pesce-Bellocco di Rosarno e San Ferdinando, dei Crea di Rizziconi e degli Al-

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Il potere e gli affari della 'ndrangheta di Gaetano Liardo

L'allarme lanciato da Dia e Dna: nonostante gli arresti la mafia calabrese consolida le sue posizioni in tutto il mondo, grazie all'illimitata disponibilità di denaro, al radicamento al nord e alla presenza capillare a livello internazionale varo di Sinopoli, Sant'Eufemia e Cosoleto. Gruppi potenti che, nonostante gli arresti e defezioni importanti mantengono la propria supremazia. E' il caso dei Pesce dove la collaborazione intrapresa da Giuseppina Pesce, figlia del boss Salvatore, ha permesso alla Procura di intraprendere l'inchiesta All Inside 2. La collaborazione, interrotta dal passo indietro di Giuseppina Pesce, ha consentito di ricostruire: «l'intero organigramma della potente famiglia mafiosa, descrivendo – sottolinea la Dia - il ruolo di ciascun componente (..) ed indicando dettagliatamente le attività economiche riconducibili alla cosca». Mandamento Centro o Reggio Città E' partita da qui la guerra di 'ndrangheta

che ha insanguinato la Calabria tra gli anni '80 e i primi anni '90, e qui si registrano le più interessanti evoluzioni strutturali. Scrive la Dia che: «il graduale processo di aggregazione di alcune famiglie mafiose di grande “prestigio”, quali le cosche De Stefano, Condello e Libri, sta contribuendo al consolidamento della loro legittimazione territoriale». Un processo che: «si estende oltre i pregressi “confini” dei comprensori e lascia alle altre articolazioni criminali una residuale autonomia operativa». Un'evoluzione che vede protagonisti i rivali del passato. A Reggio città la 'ndrangheta si è dotata di una struttura di vertice composta da un “triumvirato” De Stefano-Condello-Libri. Secondo la Dia il vertice è composto da: «un esponente dei De Stefano, ritenuto


focus<< che si insinuano nella vita polito-economica della regione, che fanno eleggere i propri candidati nei Consigli comunali e provinciali e che, laddove trovano resistenze, non lesinano minacce e attentati. Un caso a parte è quello del vibonese dove sono i Mancuso di Limbadi ad avere un ruolo dominante. Secondo la Dia: «Si deve osservare che gli assetti complessivi delle cosche della provincia di Vibo (..) sono fortemente condizionati dall'influenza della cosca Mancuso di Limbadi». Un sodalizio definito: «una delle più qualificate espressioni della 'ndrangheta vibonese nel complessivo scenario criminale di matrice calabrese». Tutti gli altri gruppi criminali della provincia di Vibo Valentia: «possono considerarsi strutture subordinate o comunque influenzate dal cartello limbadese». Fuori dalla Calabria è sempre Calabria

vertice operativo nella gestione delle varie illiceità investito – con l'accordo di tutti i capi dei “locali” - del grado di “crimine”». «Pasquale Condello, forte del ruolo apicale a lui comunemente riconosciuto (..) con il compito di condividere la direzione delle condotte criminose e coordinare l'azione di comando svolta dal De Stefano, con il quale divide i relativi profitti illeciti». Infine: «un esponente dei Libri, con il ruolo, altrettanto direttivo, di custode e garante delle regole». Anche a Reggio Calabria, nonostante gli arresti, la presenza dei primi importanti collaboratori di giustizia, la confisca di beni per centinaia di milioni di euro e le prime condanne, la 'ndrangheta continua a mantenere il potere. Forte della sua capacità di adattarsi agli eventi. Mandamento Jonico E' quello al cui interno ricade San Luca, la cittadina del Santuario della Madonna di Polsi dove la 'ndrangheta si riunisce per ridisegnare il suo organigramma. E' il mandamento dei Nirta-Strangio e dei Pelle Vottari di San Luca, dei Barbaro di Platì, dei Morabito di Africo, dei Commis-

Sono 136 i gruppi ‘ndranghetistici censiti dalla Dia, e contano 1527 affiliati. Al centro di questo universo criminale c’è la “Provincia”, Reggio Calabria so di Siderno, degli Aquino-Coluccio e dei Mazzaferro di Marina di Gioiosa Jonica, soltanto per citare le 'ndrine più blasonate dell'universo della 'ndrangheta. Attive nei paesini dello Jonio e ramificate in tutto il mondo. Potenti nonostante gli arresti e i pesanti sequestri. A Giuseppe Commisso, il “Mastro” boss di Siderno, ad esempio, hanno sequestrato in una sola operazione beni per 200 milioni di euro e disarticolato il gruppo operativo. Analoghi sviluppi, con qualche eccezione, nel resto della Calabria. 'Ndrine potenti

La 'ndrangheta è forte anche fuori dal suo territorio tradizionale. Basta vedere le sempre più numerose operazioni che coinvolgono il centro-nord Italia. Scrive la Dna che: «le indagini dispiegate negli ultimi anni denunciano una “presenza massiccia” nel territorio che non trova riscontro nelle altre organizzazioni mafiose». Molto più di Cosa nostra o della camorra, i boss calabresi hanno “seguito” i flussi migratori per ricreare le condizioni ottimali per fare i propri loschi affari. «L’organizzazione – aggiunge la Dna - si avvale di migliaia di affiliati che costituiscono presenze militari diffuse e capillari ed, al contempo, strumento di acquisizione di consenso, radicamento e controllo sociale». Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Lazio. Ovunque la 'ndrangheta è presente, radicata. La Lombardia è stata colonizzata. Milano è in tutto e per tutto «la capitale economica del crimine organizzato». In Emilia Romagna si fanno affari e si monopolizzano segmenti importanti del tessuto economico-imprenditoriale. Lo stesso discorso è valido per la Liguria, fondamentale nello scacchiere criminale per il porto di Genova, uno tra i più importanti punti di approdo della droga. In tutte queste realtà i boss dialogano con imprenditori e politici, preparano strategie, limano possibili scontri. Autonomi ma mai indipendenti, le 'ndrine al fanno sempre riferimento alla “Provincia”. verità e giustizia - 9 febbraio 2012

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Cosa nostra torna a sparare a Palermo di Norma Ferrara

Cinque gli omicidi nell'ultimo anno nel capoluogo siciliano. La “reggenza” di alcuni mandamenti è torna in mano a vecchi boss, usciti dal carcere per fine pena, e una “costituzione materiale” consente di tramandare norme e abitudini criminali ai giovani. Questa è Cosa nostra vista dalle procure dell’antimafia, nell’anno 2010/2011. In attesa di mettere fine alla latitanza del boss trapanese, Matteo Messina Denaro

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ebbene sia stata messa in ginocchio da arresti di latitanti e confische, Cosa nostra mostra una vivacità criminale che segnala come sia stata superata la cosiddetta fase di “transizione”, dovuta all’arresto dell’ultimo capo corleonese, Bernardo Provenzano e ai suoi successori, come i Lo Piccolo. E’ la relazione della Direzione Nazionale Antimafia a restituire i contorni di azione in cui opera in questo ultimo anno la mafia siciliana. Nei mesi scorsi il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, durante la maxi operazione che ha portato in arresto molti boss dei quartieri palermitani, aveva lanciato l’allarme: “Cosa no-

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stra tenta di ricostituire la Cupola” e anche la relazione della Dna conferma in parte questi tentativi di riorganizzazione, consegnando sempre alle famiglie della città di Palermo il ruolo decisionale e operativo di Cosa nostra. Dall’indagine “Grande Mandamento” al Processo “AddioPizzo” « Cosa nostra – si legge nella relazione - ha tentato di rinnovarsi attraverso una conferma delle sue strutture di governo a cominciare da quelle operanti sul territorio di Palermo ed in particolare con riferimento alla commissione provinciale di Cosa nostra di Palermo. A conferma che anche nei momenti di crisi, Cosa nostra non rinuncia alla elaborazione di modelli organizzativi uni-

tari ed a progetti volti ad assicurarne la sopravvivenza nelle condizioni di maggiore efficienza possibile. Facendo in particolare ricorso al suo patrimonio “costituzionale” e, dunque, alle regole circa la sua struttura tradizionale di governo che – anche a prescindere dalla presenza sul territorio di capi liberi muniti di particolare carisma – le consente di affrontare e, purtroppo spesso, di superare momenti di crisi quale quello che indubbiamente sta ora attraversando». «Cosa Nostra – spiegano i magistrati della Dna - appare dotata di una sorta di “costituzione formale” e di una sua “costituzione materiale”. In alcuni momenti storici ha contato di più la sua costituzione materiale,


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nel senso che il governo dell’organizzazione è stato retto secondo le scelte dei capi ed a prescindere dal rispetto delle regole. Nel momento in cui l’azione investigativa dello Stato ha portato alla cattura di tali capi, se la cosiddetta costituzione materiale dell’organizzazione è andata in crisi, la costituzione formale di Cosa Nostra, ha ripreso importanza e tutt’ora consente alla struttura di sopravvivere anche in assenza di importanti capi riconosciuti in stato di libertà». I magistrati, inoltre, segnalano fra tutti il dato più inquietante: il ritorno alle armi da parte di Cosa nostra per dirimere le questioni interne. Nell’ultimo anno a Palermo sono stati cinque i delitti commessi con questa finalità: gli omicidi sono quelli di agli omicidi di Davide Romano, Claudio De Simone, Giuseppe Calascibetta, Giuseppe Cusumano e la c.d. lupara bianca in danno di Gaspare Di Maggio, uomo d’onore di S. Giuseppe Jato. Arresti importanti come quello di Domenico Raccuglia, reggente del mandamento di San Giuseppe Jato –Altofonte di Giovanni Nicchi, reggente del mandamento di Pagliarelli o di Giuseppe Falsone, capo mandamento di Agrigento, hanno cambiato anche la geografia criminale e la disposizione territoriale dei boss. Questo vale soprattutto per le città occidentali della Sicilia, Palermo, Agrigento e Trapani. Cosa nostra in quest’ultima pro-

sapersi rinnovare, di sapere sostituire i vertici, e facendo leva su un consenso ancora non del tutto perso, nella società, e sul momento di crisi economica delle aziende, continuare a fare il proprio gioco criminale. Di fronte a processi importanti, come quello di Addio Pizzo e arresti di grandi latitanti, Cosa nostra però ha anche mostrato le proprie fragilità. E’ proprio nell’azione antiracket, in particolare, che i magistrati della Dna individuano l’elemento centrale che potrebbe ribaltare i rapporti di forza sul territorio fra la società civile e i mafiosi. «Dal 1993 la strategia estorsiva dell’organizzazione mafiosa - scrivono - ha sostituito, alle consistenti richieste di pizzo per pochi grandi imprenditori, la riscossione c.d. a tappeto per singole zone vincia continua a godere di una rap- della città, che vede coinvolte tutte porto diretto con i vertici di Cosa le attività economiche, anche le minostra, assicurata anche dalla pre- nori, sia pure per contributi minimi senza dell’ultimo dei grandi latitanti in termini economici. Questa scelta della mafia, Matteo Messina Denaro. dell’organizzazione mafiosa è dipesa Molto frammentata, invece, risulta sostanzialmente da due fattori: in la situazione nel versante centrale e primo luogo, in tal modo, il controlorientale dell’Isola. A Catania nume- lo del territorio e la presenza sullo rosi boss si contenstesso dell’organizdono e spartiscono zazione criminale centimetri di città e Cosa Nostra – diviene manifesta di affari. Nel nissea tutti, senza la no, ancora compre- spiegano i magistrati necessità di dover senti le famiglie coldella Dna - appare ricorre a dimolegate a Cosa nostra eclatanti dotata di una sorta strazioni e quelle della “Stidquali gli omicidi, di “costituzione che inevitabilmenda”. Sebbene fiaccata dagli arresti e portano ad una formale” e di una te da provvedimenti maggiore attenziosua “costituzione ne da parte dello di confisca e sequestri, inoltre, Cosa materiale”. In alcuni Stato; in secondo nostra si espande luogo un meccanimomenti storici smo pulviscolare di anche al Nord. In Liguria, in particoha contato di più pressione estorsilare, “decine” di clan va riduce il rischio quest'ultima che si profila quaninquinano il tessuto socio economico do si effettuano da anni: si tratta di famiglie perlo- richieste per centinaia di milioni a più legate al boss, Piddu Madonia. pochi grossi imprenditori». Una tasDa Gela a Busto Arsizio, inoltre, si sa occulta imposta a tappeto e con muovono altri boss che in Lom- il minimo danno. Una battaglia che bardia hanno messo radici da anni. sempre più, dunque, dev’essere porCosì nel centro – Italia, dove fanno tata avanti dalle vittime delle estoraffari, e contaminano vari settori sioni e sulla quale vigilano, da alcuni dell’economia legale. I magistrati, anni, leggi ad hoc, codici etici interni dunque, chiedono di non abbassare alle categorie e una forte campagna la guardia poiché l’organizzazione di sensibilizzazione da parte delle criminale ha più volte mostrato di associazioni antimafia /antiracket. verità e giustizia - 9 febbraio 2012

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ormai manifesta una camorra che non solo mortifica le iniziative economiche che lecitamente si cerca di intraprendere in determinati territori a rischio di infiltrazione mafiosa, ma che con il suo agire determina effetti perniciosi per la salute della collettività.” Questa la sintesi della relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia che fotografa la situazione campana. Il consueto rapporto della Procura nazionale, quest’anno, traccia una descrizione assai composita di quello che la camorra rappresenta sul territorio campano, oltre le influenze che questa ha sia internamente che esternamente. Ma un dato è finalmente lampante. Quello del business dei rifiuti. Un affare, quello dello smaltimento illecito, che la Procura Nazionale Antimafia non esita a definire come la principale fonte illecita di risorse economiche per la camorra che risulta essere l’unica vera organizzazione criminale operante in tale settore. Non solo; secondo la Dna la camorra è l’unica organizzazione criminale che tende al controllo del territorio non solo per gestire il circuito di smaltimento ma per renderlo “ricettacolo dei rifiuti” La lucrosa attività della spazzatura, si sottolinea nella relazione, è ancora in massima parte, sotto il predominio organizzativo - criminale del clan dei Casalesi operanti principalmente sul territorio della provincia di Caserta. Uno scenario criminale che mostra non solo l’incapacità delle amministrazioni locali e centrali di affrontare la cosiddetta emergenza rifiuti in Campania, ma anche una rete affaristica che coinvolge pezzi delle istituzioni e della politica oltre che pezzi dell’imprenditoria. Settori deviati che la Dna, chiarisce, sono da sempre attratti dalla convenienza derivante dall’abbracciare i propositi criminali delle organizzazioni camorristiche su questo specifico profilo economico-criminale. Ecco perché la Dna punta il dito

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Camorra e politica di Aldo Cimmino

Dal business dei rifiuti alle amministrazioni locali. L'analisi della procura nazionale antimafia racconta gli affari criminali dei clan in Campania prima e dopo l'arresto di Michele Zagaria, l'ultimo dei latitanti Casalesi catturato nel 2011 contro una legislazione che in tale settore stenta ancora a configurarsi come efficiente dal punto di vista di un reale contrasto alle ecomafie. La Procura Nazionale, infatti, evidenzia come la mancanza nel codice penale, di specifici reati ambientali di criminalità organizzata, determini inutili e defatiganti torsioni di norme esistenti pur di assicurare alla giustizia autori di enormi disastri ambientali. Il riferimento è alla norma prevista dall’art. 434 del codice penale che ha rappresentato, si legge nella relazione annuale, la maggiore causa di fallimento del procedimento denominato “Cassiopea” e condotto dall’autorità giudiziaria

di Santa Maria Capua Vetere, nel casertano. Delle due l’una. O la criminalità organizzata di tipo ambientale è un invenzione della magistratura nonostante la radicale trasformazione del territorio e gli allarmanti dati dell’inquinamento campano, oppure bisogna puntare sulla legislazione antimafia, da questo punto di vista, ancora assai carente. A sostenere, però, la seconda ipotesi ci sarebbero alcuni dati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale, The Lancet Oncology. Le ecomafie rappresentano la maggiore causa di aumenti di malattie tumorali specialmente in territori relativi alla provincia


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nord di Napoli e nel basso casertano. Dati scientifici, infatti, hanno dimostrato come l’esposizione della popolazione ai rifiuti abbia determinato tale aumento. Uno studio epidemiologico, si legge ancora nella relazione della DNA, pubblicato nel 2010 dal Dipartimento Ambiente e connessa Prevenzione Primaria dell’Istituto Superiore di Sanità, ha di recente evidenziato che dal 2008 si registra un accumulo di diossina ed una presenza di determinati inquinanti nel sangue e nel latte materno in gruppi di popolazione a differente rischio d’esposizione in Regione Campania. Dunque la Procura Nazionale Antimafia lancia l’allarme ecomafie. Un mo-

nito lanciato, a dire la verità, già dal ’91, dai magistrati napoletani, con una serie di operazioni volte a sventare il lucroso, e meno rischioso, cosi lo definivano gli stessi boss, traffico illecito di rifiuti tossici e speciali provenienti dalle imprese del nord Italia. Le operazioni “Adelphi”, “Eco”, “Cassiopea”, “Terra Mia” infatti, avevano tracciato negli anni un immagine plastica di quello che era l’ecomafia in Campania. E quanto agli interrogativi circa gli intrecci politica – imprenditoria e camorra, risponde una “vecchia” ordinanza di custodia cautelare richiesta dal Gip Piccirillo, nel “lontano” novembre 2009, ai danni di Nicola Cosentino, ex sottose-

gretario all’Economia durante il governo Berlusconi e coordinatore regionale del Pdl in Campania. In tale ordinanza si sottolinea proprio un ruolo fondamentale di Cosentino nell’ambito delle indagini sulla questione rifiuti; responsabilità che si sarebbe concretizzata si legge in tale ordinanza - “creando e co-gestendo monopoli d’impresa in attività controllate dalle famiglie mafiose, quali l’ECO4 s.p.a., e nella quale il Cosentino esercitava – in posizione sovraordinata a Giuseppe Valente, Michele Orsi e Sergio Orsi – il reale potere direttivo e di gestione, così consentendo lo stabile reimpiego dei proventi illeciti, sfruttando dette attività di impresa per scopi elettorali, anche mediante l’assunzione di personale e per diverse utilità”. Ed è proprio il suo ruolo politico ed imprenditoriale a determinare la nascita della società ECO4 s.p.a. e la possibilità di ottenere, per questo soggetto imprenditoriale, la certificazione antimafia, facendo pressione sull’autorità prefettizia per il rilascio di questa. Paradossale credere di poter ottenere una certificazione del genere per un’impresa che, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Gaetano Vassallo, rappresentava diretta espressione della criminalità organizzata e che si inseriva in una strategia criminale di continua aggravamento della cosiddetta emergenza rifiuti. Dapprima, si legge ancora nella ordinanza del Gip Piccirillo, con l’individuazione di terreni per la realizzazione di una nuova discarica e successivamente con il progetto impreditorial – criminale della costruzione di un termovalorizzatore. Ed è grazie alla collaborazione con la giustizia che sono potuti emergere vent’anni di consolidata egemonia criminale nel settore dello smaltimento dei rifiuti. Apporto, quello dei collaboratori di giustizia, che la relazione della Dna di quest’anno non esita a definire quanto sia stata fondamentale per la scoperta di grandi siti trasformati in immense discariche nelle quali giacciono anche rifiuti tossici e pericolosi. verità e giustizia - 9 febbraio 2012

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La Sacra Corona Unita in evoluzione di Norma Ferrara

Da Bari a Foggia, infiltrazioni economiche, traffico di droga e contraffazione. I clan pugliesi sono sempre più simili a quelli della Camorra. Ma è la Sacra Corona Unita a cambiare la propria organizzazione. I magistrati della procura antimafia spiegano perché

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ccoci nel tacco dell’Italia, dove da anni si è allentata l’attenzione rispetto al fenomeno criminale mafioso da parte del mondo dei mass-media. Eppure i magistrati, in particolare quelli delle procure salentine, continuano a lanciare l’allarme: la Scu è in evoluzione. La relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia lo conferma. Decapitati da indagini giudiziarie, i clan pugliesi, sempre più frammenti con una struttura simile a quella camorristica, vedono al proprio interno lotte per la successione e tensioni che spesso si risolvono con l’uso delle armi. Ma è in particolare la reazione della Sacra Corona Unita all’aggressione da

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parte dello Stato, sotto varie forme, a mettere in allerta gli inquirenti. Si legge nella relazione che per resistere a questa pressione degli investigatori dentro l’organizzazione e al fenomeno del pentitismo è stata introdotta «la regola “dell’affiliazione solo tra paesani”, adottata dopo le collaborazioni degli anni duemila: per creare dei compartimenti sufficientemente “stagni” l’affiliazione riguardava appartenenti allo stesso gruppo territoriale e anche nella “capriata” dovevano essere indicati esponenti, pur di rilievo, ma “locali”, e comunque non dovevano essere indicati i nomi dei responsabili del gruppo. Analogamente, attesa l’importanza - per le finalità dei sodalizi mafiosi - delle attività di

reinvestimento dei capitali illeciti, affidate necessariamente a persone formalmente esterne all’associazione, si è deciso di “evitare i rituali di affiliazione di persone che hanno disponibilità economiche per evitare che questo “aspetto formale” possa danneggiarli e per tenere riservata la loro partecipazione al clan». Il rituale di affiliazione, così come i “movimenti” correlati al passaggio di grado, sono divenuti spiegano i magistrati della Dna meno importanti, ai fini dell’inserimento in un clan. Una sorta di frammentazione nata per proteggere la struttura criminale nel suo complesso. Ma oltre all’evoluzione della Scu, la mafia pugliese si estende per le province di Bari e Foggia e da sempre radicata non solo nel traffico di stupefacenti e nel contrabbando ma anche in altri settori dell’economia pugliese. Nell’analisi relativa al distretto delle Corti di Appello di Bari, il magistrato Giovanni Russo, scrive: «La capacità - mostrata ai tempi in cui il contrabbando costituiva un settore appetibile dell’economia illegale - di organizzare efficienti squadre operative, abili nel muoversi sul territorio, in grado di assicurare attività di trasporto, occultamento, stoccaggio, e di diventare (anche grazie all’apporto di “specialisti” provenienti da ambienti della camorra napoletana) interlocutori alla pari di potenti associazioni per delinquere internazionali, è stata applicata ai più lucrosi settori dell’economia legale e illegale. Le forme di estorsione sono diventate più sottili, mirando a conseguire non già il mero pagamento di somme di danaro, ma anche ad ottenere cointeressenze societarie, assunzioni di personale, facilitazioni nelle forniture». «Le ricchezze provento di reato sono state reinvestite in immobili, aziende, in ogni settore che apparisse foriero di ulteriori utilità (persino in scuderie di cavalli) e consentisse la mimetizzazione dell’origine “sporca” del danaro – prosegue Russo». Ed è proprio un tessuto vivace economicamente, scrivono i magistrati della Dna, a stimolare «da parte dei clan mafiosi, l’esercizio dell’attività di prestiti illegali a tassi usurari».


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Lazio, escalation criminale di Norma Ferrara

I magistrati della Direzione Nazionale Antimafia: «non si può parlare di ritorno della Banda della Magliana». Antonio Turri, referente di Libera nel Lazio: «mafie nella regione sono ormai diventate una holding economico/criminale»

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econdo la Direzione Antimafia nel Lazio le organizzazioni criminali mafiose si infiltrano progressivamente nel tessuto imprenditoriale ed economico ma non mirano a realizzare un capillare controllo del territorio né sono interessate a scontrarsi militarmente per l’occupazione di zone di influenza a scapito di organizzazioni rivali. Sono 38 gli omicidi nella regione, di cui 12 riconducibili a metodi di stampo mafioso. Lo conferma la relazione della Dna: «Naturalmente non può tacersi dei numerosi fatti di sangue che si sono verificati negli ultimi mesi a Roma e nell’hinterland

(quasi trenta omicidi dall’inizio del 2011, numero al quale devono aggiungersi i numerosi episodi di gambizzazione o i tentativi di omicidio che pure si sono verificati)». Si tratta di omicidi che la curatrice della relazione del distretto di Roma, il magistrato Diana De Martino, ritiene non tutti collegati fra loro e “non si può parlare di ritorno della Banda della Magliana”. «Non c'è un ritorno della Banda della Magliana – dichiara Antonio Turri, referente di Libera – non siamo di fronte a quel gruppo criminale come lo abbiamo conosciuto. Siamo di fronte, invece, ad una

vera e propria holding economico – criminale. Diversi i clan che hanno contaminato il territorio e oggi, a gestire gli affari sul litorale laziale come nella capitale, non sono più uomini che arrivano dal “Sud” ma imprenditori, commercialisti, politici che sono nati e cresciuti in questa regione. Sono nostri concittadini». I numeri, presenti nei rapporti della Direzione nazionale antimafia, nell'annuale rapporto stilato da Confesercenti, quelli pubblicati dalle forze dell'ordine e dalle sezioni antidroga, raccontano di una avanzata criminale che non ha sosta. E che fa pensare che ci sia in atto uno scontro per il traffico di stupefacenti, fra quartieri ad alta densità abitativa. «A Torpignattara, per intenderci, si traffica più droga che a Scampia – sottolinea Turri». Inoltre le ultime operazioni antimafia dimostrano quanto le mafie siano presenti nel circuito dell'economia locale e - «questo crea anche un certo consenso nella società, perché crea posti di lavoro, alimentando se non un appoggio, almeno una silenziosa convivenza con imprese mafiose». Anche la Dna sottolinea l'intensificarsi di fenomeni criminali e di omicidi, nell'ultimo anno. «.. Molte aggressioni – per le modalità esecutive, o per le caratteristiche soggettive delle vittime, o per l’esito delle attività di indagine – risultano maturate a seguito di contrasti insorti in un contesto criminale, ed in particolar modo nel traffico degli stupefacenti» ma nonostante il livello di allerta percepito dalla società civile scrive «al momento non sono emersi elementi per ritenere che tali delitti, o alcuni di essi, rappresentino segnali di un tentativo di monopolizzare il mercato dello spaccio, o azioni di ritorsione ad analoghe azioni delittuose». Quella delle mafie nel Lazio, dunque, è ancora una storia tutta da scrivere, sia sotto il profilo investigativo che quello giornalistico. verità e giustizia - 9 febbraio 2012

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nche il Piemonte non è immune dal fenomeno mafioso. Lo conferma la dettagliata relazione della Procura Nazionale Antimafia che per il 2011 parla di il radicamento della ‘ndrangheta calabrese nella regione. L'operazione Maglio/ Albachiara, relativa al basso Piemonte e alle connessioni con la Liguria, e Minotauro, che ha coinvolto principalmente la provincia di Torino, consentono una mappatura delle strutture, e dei relativi affiliati, della criminalità mafiosa. Tali operazioni vanno lette in continuità con il lavoro condotto dalla Dda di Reggio Calabria, Catanzaro e Milano (non a caso il 2010 fu l'anno decisivo per dimostrare il radicamento della mafia in Lombardia con l'operazione Crimine-Infinito), e fanno emergere alcuni elementi. Prima di tutto, le “tre facce” della 'ndrangheta, che resta “oggi la “mafia” piu presente nel territorio piemontese”: la 'ndrangheta militare, volta all’acquisizione di poteri di controllo sociale sul territorio, la 'ndrangheta politica, dedita a coltivare rapporti con uomini politici, a favorire ed agevolare in modo interessato determinate “cariche politiche”, e la 'ndrangheta imprenditrice, impegnata ad instaurare rapporti economici con le realtà imprenditoriali del territorio al fine di “fagocitarle” e/o “inglobarle”, in continuità con la tendenza delle cosche calabresi ad ottenere un certo grado di “legittimazione imprenditoriale e sociale” per meglio mimetizzarsi nel mondo dell'imprenditoria “allo scopo evidente di eludere le indagini patrimoniali ed assicurare, nel tempo, stabilità economica alle attività imprenditoriali”. Questa molteplice attenzione si deve alla capacità della “nuova generazione” di criminali calabresi di muoversi ad una “velocità diversa rispetto alla tradizione dei giuramenti, dei riti e delle formule di affiliazione”. In Piemonte, come in tutto il nord Italia, si è passati dall'infiltrazione alla “stabilizzazione” dei nuclei criminali, che sul piano organizzativo operano con le modalità della “casa-madre”, mentre sul piano logistico gestiscono, pur avvalendosi di prestanome, i settori di punta dell'economia locale (settore immobiliare, appalti e lavori pubblici, sanità, turismo) e le relative opportunità di lavoro ed azione. Il radicamento avviene prima di tutto e principalmente nei piccoli cen12 verità e giustizia - 9 febbraio 2012

Piemonte, le tre facce delle 'ndrine di Federica di Lascio

Dall'infiltrazione alla stabilizzazione sul territorio. E poi l'arrivo di boss della "nuova generazione". Nella regione le 'ndrine provano a creare gruppi collegati ai boss calabresi che gestiscano affari e flussi di denaro pubblico

tri, come Leinì, Volpiano, Rivarolo, Moncalieri, Chivasso, Cuorgnè, San Giusto Canavese, Santena (nella provincia di Torino) e Bosco Marengo (nella provincia di Alessandria). Appare inquietante la conferma dei legami intessuti con i rappresentanti delle istituzioni, con politici di alto rango, con imprenditori di rilevanza nazionale, come “risultato di una progettualità strategica di espansione e di occupazione economico-territoriale, che, oramai, si svolge su un piano assolutamente paritario”. Tali rapporti sono volti “ad intercettare flussi di denaro pubblico, opportunità di profitti e, contestualmente, ad innestare nel libero mercato fattori esterni devianti” di derivazione criminale. Sul fronte politico, le intercettazioni hanno confermato che in genere è la

politica a compiere il primo passo, creando un contatto con le cosche mafiose per ottenere consensi e vantaggi, e non viceversa. La Relazione della Dna ci conferma infine la struttura verticistica della 'ndrangheta, definendo Piemonte, Lombardia e Liguria alcuni dei “bacini esterni” alla sede centrale, che resta la provincia di Reggio Calabria, con cui si mantengono i contatti e si è subordinati a livello decisionale. Emblematico è l'episodio di un affiliato intenzionato ad aprire un nuovo “locale” ad Alba, che si è dovuto recare in Calabria per ottenere l’autorizzazione direttamente da Domenico Oppedisano, che da un'altra indagine (condotta dalla magistratura reggina) risultava essere a capo dell’intera organizzazione.


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ddaura, Capaci, via D’Amelio. La relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia racconta anche un anno di indagini su “stragi e trattativa” vista dalla coordinamento centrale dell’attività inquirente di Roma. L’analisi, a cura del magistrato Gianfranco Donadio, muove dall’indagine ripartita proprio da Caltanissetta dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino e del collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza e si sposta agli ultimi risultati delle indagini legate anche alle stragi precedenti a via D’Amelio: Addaura e Capaci, la strage di Firenze e gli attentati a Milano e Roma. «La Direzione distrettuale antimafia di Firenze – fanno sapere i magistrati - muovendo sempre dal significativo contributo del collaboratore Spatuzza, ha proceduto, con una intensa e approfondita attività istruttoria, alla ricerca di ulteriori responsabili materiali e dei mandanti delle stragi del 93/94. All’esito delle nuove indagini fiorentine è stata esercitata l’azione penale nei confronti di Francesco Tagliavia, con l’imputazione di concorso in strage (posizione recentemente definita in dibattimento con la condanna alla pena dell’ergastolo dell’imputato). Questa Dna, anche nel periodo in esame, ha proseguito la sua azione di coordinamento, esercitando nelle forme di legge le proprie funzioni di impulso su plurimi temi di indagine tuttora coperti dal segreto investigativo». E in un passaggio, all’interno dell’analisi su Cosa nostra oggi, si accenna al ruolo del “dichiarante” Massimo Ciancimino. «Le vicende relative alle dichiarazioni del Ciancimino – che mai ha assunto lo status di collaboratore di giustizia – hanno costituito attento esame da parte delle Direzioni distrettuali antimafia di Palermo e di Caltanissetta – scrivono i magistrati. Innanzitutto è bene evidenziare

“Stragi e trattative” di Norma Ferrara

Ancora in corso le indagini sul biennio stragista di Cosa nostra. Anche la Direzione Nazionale Antimafia fa il punto sullo stato delle inchieste a Caltanissetta, Palermo e Firenze. E sulla figura del "dichiarante", Massimo Ciancimino

come le sue dichiarazioni intervengono in particolare, ma non solo, sul tema della c.d. “trattativa”, rispetto alla quale, già prima di tali dichiarazioni, esisteva un articolato compendio di acquisizioni investigative e processuali (nell’ambito di indagini e processi svoltisi presso le Procure e le Corti di Assise di Caltanissetta, Firenze e Palermo)». «Indubbiamente l’indagine sulla “trattativa” ha tratto ulteriore impulso a seguito delle numerose dichiarazioni rese, a decorrere dal febbraio del 2008, dal Ciancimino - continuano; questi a decorrere da quella data si è sottoposto a numerosi interrogatori sia presso la Dda

di Caltanissetta che presso l’omologo Ufficio palermitano, ma il suo apporto collaborativo appare essersi caratterizzato per una progressione dichiarativa in gran parte talvolta priva di logica e di coerenza su fatti e soggetti, su cui sono state svolte complesse ed articolate indagini a riscontro con enorme ed inutile dispendio di risorse umane e materiali». «Tali indagini - concludono - peraltro sono culminate in provvedimenti cautelari a carico dello stesso Ciancimino e comunque hanno dimostrato che il Ciancimino ha reso dichiarazioni molto spesso insuscettibili di riscontro ovvero riscontrate negativamente». verità e giustizia - 9 febbraio 2012

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>>focus

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a relazione della Direzione Nazionale Antimafia 2011 si occupa anche di loro: i clan non autoctoni ma provenienti da altri Paesi e che operano sul nostro territorio. Le mafie “straniere” hanno alcune caratteristiche, che sono state messe in evidenza dai magistrati che hanno curato la relazione: spesso non operano in regime di interdipendenza con le mafie italiane e sono presenti quasi sempre, eccezion fatta per la Campania, in aree dove più bassa è la presenza criminale di matrice italiana. I settori cui sono dediti sono il narcotraffico e la tratta e lo sfruttamento degli esseri umani, in primis. Ma anche il riciclaggio di denaro sporco e l’ingresso nella filiera delle attività connesse alla ristorazione. Quest’ultimo dato, vale in particolare, per le mafie di origine Cinese. A questa “setta” criminale, quale quella orientale, poco nota e poco permeabile alle attività investigative, la relazione dedica un’ampia parte dell’analisi sulle mafie straniere in Italia. Soprattutto le mafie cinesi e quelle nigeriane, infatti, gestiscono in assoluto riserbo grosse fette di mercato criminale e illegale. E di loro e del loro ruolo nella mappa mafiosa in Italia poco ancora si conosce.« I gruppi criminali di origine cinese – scrivono i magistrati - rappresentano un tipico esempio di criminalità transnazionale in quanto dalla madrepatria alimentano i circuiti mondiali di merci contraffatte e/o di contrabbando e favoriscono l’immigrazione clandestina per poi gestire nei Paesi di destinazione lo sfruttamento degli immigrati, principalmente come forza lavoro e la commercializzazione dei prodotti illecitamente importati e/o contraffatti». Per ciò che riguarda un altro grosso affare delle mafie straniere, la tratta e la prostituzione degli esseri umani, la lente d’ingrandimento della Dna si concentra soprattutto sulle mafie nigeriane. «La tratta di esseri umani – si legge nella relazione - le indagini di diverse DDA hanno consentito di documentarne l’intera filiera, a partire dalla fase dell’ingaggio nei paesi di origine ove le vittime, come emerso, contraevano un debito di circa 60 mila euro e venivano successivamente trasferite in Ghana, Sierra Leone e Togo per essere poi introdotte in Europa passando sotto la gestione delle cosiddette madames. Proprio queste ultime avevano all’interno dell’organizzazione il compito di

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Mafie export/import di Norma Ferrara

Organizzazioni criminali nate all'estero e cresciute in Italia. Boss che parlano cinese, russo, magrebino, nigeriano e albanese, dediti al narcotraffico, alla tratta degli esseri umani e al riciclaggio di denaro. Le normative internazionali non sono sufficienti a contrastarli sorvegliare le ragazze e di avviarle all’esercizio della prostituzione, ricorrendo a metodi di coercizione psicologica e morale quali la sottrazione dei documenti d’identificazione personale in precedenza utilizzati, la segregazione in alloggi gestiti dai sodalizi nonché il ricorso a riti magico-esoterici di natura vodoo. Questo clima di completa e totale soggiogazione prevedeva anche il pagamento, da parte delle vittime, del joint, ovvero dell’area ove esercitare la prostituzione. Nonostante sia suddiviso in cellule operanti in diverse aree geografiche, ciascun gruppo monitorato è risultato caratterizzato dalla comune provenienza etnico-tribale con un’elevata compattezza interna che ne consente un’efficace operatività connotata da un altissimo livello organizzativo e di pericolosità». In maniera silenziosa, invece, si presenta la mafia di nazionalità russa. Un basso profilo scelto per non destare allarme e ottenere, soprattutto nei business tradizionali, un alto profitto. La relazione, infine, si sposta all’analisi delle mafie di origine Magrebina, i cui reati sono spesso difficili da contestare fuori dal nostro territorio. In generale, infatti, il contrasto alle mafie

di origine straniera passa attraverso i poteri internazionali degli inquirenti, i trattati firmati dai singoli Stati. « In questo contesto la Convenzione ONU di Palermo – si legge nella relazione- ha stabilito punti fondamentali per affrontare questa sfida globale, prevedendo norme specifiche nel campo del diritto penale, del diritto processuale, della necessità della collaborazione internazionale, della formazione, delle buone prassi da seguire. Eppure – continuano i magistrati - ancora di recente il Segretario Generale dell’ONU ha ammesso che questa Convenzione non è abbastanza applicata: in ultima analisi è mancata e manca, in molti Stati, la volontà politica di applicarla. Si può notare l’assenza di una strategia unitaria e la mancanza di coordinamento delle legislazioni penali, permane il divario tra l’internazionalizzazione delle indagini di polizia e il carattere tuttora strettamente nazionale delle attività giurisdizionali. Sembra dichiarano infine - che ancora oggi molti Stati facciano fatica a considerare i principi di Palermo come validi per ogni sistema, ritenendoli invece come imposti loro da un pensiero e concezione giuridica dominanti».


Fra gli strumenti che colpiscono la libertà di stampa, insieme con le intimidazioni ai cronisti, c’è l’uso strumentale della legge sulla diffamazione, con esose richieste di risarcimento danni in sede civile, senza alcun rischio per il querelante. Un’arma in grado di annientare iniziative editoriali, scoraggiare e intimidire singoli giornalisti, impedire di far luce su oscure vicende di illegalità e di potere.

Per usufruire di consulenza e di assistenza legale giornalisti e giornaliste possono: Inviare una e-mail all’indirizzo:

sportelloantiquerele. roma@libera.it

Per non lasciare soli i cronisti minacciati

che siano in grado di dimostrare la loro buona fede e la loro correttezza, Federazione Nazionale della Stampa, Associazione Stampa Romana, Ordine Nazionale e regionale dei giornalisti, Unione Cronisti Italiani, Libera, Fondazione Libera Informazione, Articolo 21, Osservatorio Ossigeno, Open Society Foundations hanno deciso di costituire uno sportello che si avvale della consulenza di studi legali da tempo impegnati in questa battaglia per la libertà di informazione.

Telefonare al numero :

06/67664896-97

inserendo in oggetto la specificazione “sportello antiquerele" verità e giustizia - 9 febbraio 2012

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>>Internazionale

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osa c’entra l’Iran con il narcotraffico? Oppure i paesi dell’America latina con la minaccia iraniana agli Usa? Che rapporto potrebbe mai esserci tra il cartello dei Los Zetas messicani, Hezbollah, il partito di Dio al governo in Libano, e le Guardie della rivoluzione di Teheran? Poste così possono sembrare domande insensate da scenari fantascientifici degni delle peggiori spy story di un tempo. Tuttavia, Oltreoceano, sembrano prendere molto seriamente il problema. Quale? L’Iran, in vista di una sempre più possibile attacco Usa, ha consolidato forti posizione nell’emisfero occidentale. L’obiettivo? Dotarsi della possibilità di condurre azioni in territorio americano, sia terroristiche che militari. I partenr? Molti governi della regione, ad iniziare dal Venezuela di Hugo Chavez, ma non solo. Anche gruppi paramilitari, come la Farc colombiane, o i narcos messicani. Di questo si è lungamente discusso nella seduta del Foreign Affaris Committee del Congresso Usa, lo scorso 2 febbraio. Ordine del giorno: l’analisi sul “tour dei tiranni” di Ahmadinejad in Amerci Latina. Il complotto per uccidere l’ambasciatore saudita a Washington L’Iran ha consolidato le proprie posizioni in numerosi paesi sud-americani, concretizzando pericolose alleanze per finalizzare attentati negli Usa. Lo scorso ottobre, ad esempio, fece scalpore la notizia dello sventato complotto per uccidere l’ambasciatore saudita negli Usa. Un’operazione di intelligence mal progettata. Emissari di Al Quds, il reparto scelto delle guardie rivoluzionarie iraniane, contattarono sicari dei Los Zetas messicani per realizzare l’attentato. I sicari, tuttavia, erano agenti sotto copertura della Dea, l’antinarcotici statunitense, che sventarono il piano. Una notizia surreale, confermata alcuni giorni fa dal capo del National Intelligence, James Clapper. Il Presidente della Foreign Affairs Committee, Ileana Ross-Lethinen ha rincarato la dose: «In ottobre – si legge nella nota conclusiva

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L'Iran insidia gli Usa in Sud America e fa affari con i narcos di Gaetano Liardo

L'allarme del Committee on Foreign Affaris del Congresso statunitense. Al Quds ed Hezbollah sono presenti in numerosi paesi latino-americani, progettano attentati contro Washington e si finanziano trafficando droga della seduta – abbiamo saputo del tentato complotto per assassinare l’ambasciatore saudita nel territorio Usa da parte di Al Quds, tramite individui che pensavano fossero affiliati del cartello della dorga dei Los Zetas». «Due mesi dopo – aggiunge – il network in lingua spagnola Univision ha trasmesso un documentario relativo allo schema di un cyber-attacco del 2007 da parte dell’ambasciatore iraniano in Messico, da diplomatici nella ambasciate di Venezuela e Cuba, e studenti messicani sotto copertura rappresentati come estremisti». L’obiettivo dell’attacco era di: «infiltrare il sistema dei computer del governo Usa nella Casa Bianca, Fbi, Cia e in due siti

nucleari». I proventi del narcotraffico per finanziare Hezbollah Non solo operazioni di intelligence, ma anche la partecipazione al ricco affare del traffico internazionale di narcotici. Gli iraniani hanno consolidato rapporti di affari con i narcos, gestiscono grosse spedizioni di cocaina verso l’Europa e il Medio Oriente via Africa Occidentale. I ricchi introiti servono per finanziare Hezbollah, partito libanese, strettamente legato a Teheran, e considerato dagli Usa un gruppo terroristico a tutti gli effetti. In mezzo, con un ruolo di primo piano, la Lebanese


Canabian Bank. Michael A. Braun, ex capo delle operazioni della Dea in Sud America e oggi partner di un centro studi di intelligence internazionali dal nome “Spectre”, nell’audizione al Foreign Affairs Committee ha parlato a lungo dei rapporti “perversi” tra iraniani, terroristi e narcos. Relazioni che offrono la possibilità ad Al Quds e Hezbollah di «apprendere dai più sofisticati gruppi del crimine organizzato nel mondo: i cartelli di narcotrafficanti messicani e colombiani». Imparare cosa? «Trasporto, riciclaggio di denaro sporco, traffico di armi, corruzione, tratta di esseri umani», i “trucchi del mestiere” in parole povere. Un apprendistato utile a trovare fondi per finanziare Hezbollah, strumento utile per gli equilibri mediorientali di Teheran. La Lebanese Canadian Bank, lavatrice dei narcos Con la droga si fanno tanti soldi, ma bisogna poi saperli ripulire. Quale miglior modo per farlo se non affidarsi ai banchieri? Facendo le cose in grande si può pensare, addirittura, ad avere un’intera banca a disposizione. Le indagini del Dipartimento del Tesoro Usa, partendo dall’Operazione Titano della Dea che nel 2008 ha scoperto un giro globale di traffico di cocaina dal Sud America al Medio Oriente passando per l’Africa Occidentale, hanno messo nei guai la Lebanese Canadian Bank (Lcb). Il 2 ottobre del 2011 il Tesoro Usa ha inserito la banca levantina nella lista dei “facilitatori” del riciclaggio di denaro sporco, vietando a cittadini e istituzioni finanziarie del paese di intrattenere rapporti. Dalle indagini svolte, la Lbc grazie alla complicità di parte dei suoi dirigenti, ripuliva i proventi del narcotraffico che servivano in parte per finanziare Hezbollah, in parte per infiltrare il tessuto economico statunitense. Figura chiave nelle operazioni di traffico e riciclaggio il trafficante libanese Ayman Joumaa. Nel rapporto del Financial Crimes Enfor-

cement Network al Dipartimento del Tesoro si legge che: «Ayman Joumaa ha coordinato il trasporto, la distribuzione e la vendita di centinaia di tonnellate di carichi di cocaina dal Sud America, riciclato i profitti – all’incirca 200 milioni di dollari al mese – della vendita di cocaina in Europa e Medio Oriente». Operazioni svolte prevalentemente tramite la banca libanese. Secondo il governo Usa: «Hezbollah ha ricevuto supporto finanziario dalle attività criminali del gruppo di Joumaa. I manager della Lcb – si legge nella nota del Dipartimento di Stato del 2 ottobre scorso – sono anche legati ad funzionari di Hezbollah fuori dal Libano». In Iran in modo partico-

lare, e in Gambia, tramite la Prime Bank, controllata al 51% dalla Lcb e per il restante, per il Tesoro Usa, da uomini vicini a Hezbollah.Uno scacchiere in fibrillazione che evidenzia, tuttavia, l’importanza del traffico di narcotici come importante mezzo di finanziamento per Hezbollah da un lato, e l’Iran dall’altro. Un percorso reso possibile grazie all’accordo con i cartelli di narcotrafficanti, indispensabili per il funzionamento della macchina. I narcos non guardano in faccia nessuno. Hanno interesse soltanto a fare affari. L’importante è dimostrarsi affidabili e puntuali nei pagamenti, come i servizi iraniani o la ‘ndrangheta calabrese. verità e giustizia - 9 febbraio 2012

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>>Antimafia online

NARCOCORRIDO, le gesta dei narcotrafficanti diventano musica popolare di Cosimo Marasciulo

Il rapporto tra mass-media e diffusione della cultura mafiosa, grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie, è in costante evoluzione. Dal Messico la musica dei narcotrafficanti diffusa dalle radio e condivisa nella rete continua a mietere vittime

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l Narcocorrido è uno stile musicale messicano nato dall’evoluzione del corrido e del norteño. La traduzione letteraria di questo genere musicale è Drug Ballad (ovvero Ballata della droga). Benchè le prime ballate corrido si facciano risalire al 1910 e abbiano come tema le rivoluzioni messicane dal 1930 le basi ritmiche basate sulla fisarmonica stile polka iniziarono ad accompagnare i racconti sui trafficanti e i cartelli di droga. I testi narrano fatti realmente accaduti (con date e luoghi) e descrivono diverse attività criminali: omicidio, tortura, racket, estorsioni, traffico di droga, immigrazione clandestina. Così come per alcuni cantanti neomelodici e per alcuni gruppi rap

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americani (come ho scritto in un precedente post) i testi delle canzoni non vengono utilizzati per denunciare la situazione d’illegalità ma per esaltarne i valori, la cultura e trasformare i boss in eroi. Come per le canzoni rap il contesto è quello metropolitano: la vita dei poveri, dei bisognosi e di coloro che cercano di affermarsi con qualsiasi mezzo. A differenza delle canzoni hip hop che ci raccontano delle bande criminali è importante notare che il narcocorrido viene ascoltato da persone di tutte le età, non necessariamente collegate a cartelli della droga o bande criminali. Dai fatti alle parole, o viceversa Tra il 2006 e il 2008, durante un

guerra tra bande messicane per la droga, più di una decina di cantanti collegati al narcocorrido furono uccisi. In molti casi l’omicidio seguì torture e mutilazioni. Tra i musicisti più popolari ricordiamo Valentin Elizalde, Sergio Gómez, il cantante del gruppo K-Paz de la Sierra, Sergio Vega, conosciuto come El Shaka ucciso poche ore dopo aver dato la smentita sulla notizia del suo omicidio. Un cantante dei Los Implacables del Norte, quattro membri della Tecno Banda fugaz, quattro membri di Los Padrinos de la Sierra, Zayda Peña, il cantante dei Zayda Y Los Culpables, quattro membri dei Los Herederos de Sinaloa. Tre membri della band Norteña sono rimasti feriti con un attentato dinamitardo a Tijuana. Come spesso accade anche nel nostro paese quando avvengono omicidi di mafia, sono state fatte diverse ipotesi sugli omicidi comprentendo motivi di gelosia e di adulterio. La vicinanza ai cartelli e la tipologia degli omicidi però lascia pochi dubbi. Le canzoni come prodotto multimediale


Se la diffusione musicale agli inizi poteva contare unicamente sulla distribuzione radiofonica, sulle musicassette e i cd, oggi può contare sulla vastità e la ramificazione della rete. Il genere narcorrido in principio poteva essere ascoltato da entrambi i lati del confine USA-Messico, oggi la sua diffusione non ha limiti, potendo contare su Youtube, sui social network, sui siti che permettono i download e anche su Amazon. Questa rete capillare e la lingua spagnola hanno consentito, in tempi recenti, la diffusione anche in paesi come Guatemala, Honduras, Colombia, Perù e Bolivia. La mafia messicana Omicidio mafioso in Messico La mafia messicana, conosciuta anche in spagnolo come “La Emme“, nacque nei tardi anni Cinquanta del XX secolo e fu fondata dai membri di una banda di Chicano detenuti presso l’istituto Deuel Vocational, nello stato di Tracy in California. Dalla fondazione si è rafforzata e diffusa fino a diventare una delle più potenti organizzazioni criminali che agiscono negli Sta-

ti Uniti rappresentando una seria minaccia agli stati sudoccidentali degli Usa. L’organizzazione non ha un unico capo e alcune stime parlano di 150 boss, oltre mille affiliati e la disponibilità di più di trentamila persone come manovalanza in tutti gli Stati Uniti, la violenza delle loro azioni: molti dei suoi membri hanno infatti esperienza nella guerriglia, e sono molto più preparati alla guerra urbana delle bande rivali. La Drug Enforcement Administration (DEA) statunitense ritiene i Los Zetas come il gruppo criminale paramilitare più violento operante in Messico. Recentemente l’organizzazione ha iniziato l’attività dei sequestri di persona, specialmente turisti americani, per la richiesta di ingenti riscatti; espandendo, inoltre, le proprie operazioni in Europa attraverso il supporto della ‘ndrangheta. Los Zetas La potenza della mafia messicana è evidenziata anche dalla crescente violenza contro i giornalisti e gli operatori della comunicazione che operano in Messico. Sono sessantacinque gli inviati uccisi negli

ultimi 10 anni, undici quelli fatti sparire (desaparecidos) e sono stati sedici gli attentati contro sedi di giornali. Sono a rischio anche gli utenti del web che come media attivisti denunciano i narcotrafficanti. L’organizzazione criminale non vuole che si parli dei propri affari sui vari social network e nei blog. Per questo motivo, recentemente è stato ucciso Nuevo Laredo, al suo collo è stato appeso un cartello con la scritta: “Ciao, sono Rascatripas e questo mi è accaduto perché non avevo capito che non avrei dovuto pubblicare cose sui social network“. Per non piegarsi e cercare di portare avanti il proprio lavoro, non credendo più alle promesse delle istituzioni, alcuni giornalisti hanno creato la rete “Periodistas a piè”. E’ importante notare come la rete venga quindi utilizzata per esaltare e diffondere il potere e la fama dei gruppi narcos messicani e che gli stessi cerchino di mettere a tacere la diffusione di qualsiasi critica o denuncia. L'articolo è stato pubblicato da “La Comunicazione in tempo di crisi” verità e giustizia - 9 febbraio 2012

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>> libri

Le mafie al nord della Linea Gotica di Gaetano Liardo

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Calabria per renderlo autonomo. Una minaccia che i boss hanno spento col sangue nel 2008. Per anni a fare in modo che tutto filasse liscio in Lombardia è stato incaricato il boss Pasquale Barbaro di Platì. Era lui a spartire commesse e subappalti. Dopo di lui è toccato a Salvatore Strangio che ah gestito l’infiltrazione della Perego, colosso delle costruzioni, fondamentale tassello per poter partecipare, da protagonisti, ai lavori dell’Expo 2015. Ci sono altri nomi altisonanti che risuonano nel libro di Tizian. I Barbaro-Papalia che da Buccinasco gestiscono, di fatto, tutti i lavori di movimento terra in Lombardia. I Grande-Aracri e i Nicoscia, che a Reggio Emilia impongono il monopolio del trasporto gomma. Rivali degli Arena-Dragone, e protagonisti di una lunga faida che ha insanguinato Cutro e Isola Capo Rizzuto negli anni ‘90, ma attentissimi ad evitare spargimenti di sangue nel reggiano. In Calabria si spara, al nord si fanno affari. Si stringono alleanze forti. Un esempio classico è quello del direttore sanitario dell’Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, coinvolto nell’operazione Il Crimine del luglio del 2010. Uomo “cerniera” tra le ‘ndrine e l’imprenditoria e la politica lombarda. Una politica attenta a stringere contatti e alleanze con i boss, pronta a farsi infiltrare. Come a Ventimiglia, il comune del ponente ligure sciolto per infiltrazioni mafiose il 3 febbraio 2012. Oppure a Bordighera, sempre il Liguria, sciolto a marzo e Barodnecchia, in Piemonte sciolto nel 1995. Ma di comuni ce ne sarebbero molti altri. Basti pensare a Desio, il comune lombardo dove si attendeva la nomina di una Commissione d’accesso da parte del Ministero dell’Interno. Una nomina mai avvenuta perchè la maggioranza dei consiglieri si è dimessa evitando, così, lo scioglimento. Numerosi i contatti anche in Piemonte, dove la Procura sta setacciando i rapporti tra le ‘ndrine e numerosi politici, anche di livello regionale e nazionale. I voti dei boss fanno comodo anche al nord. Con le ‘ndrine si stringono patti, però, che devono essere rispettati. Accordi che aprono le porte ad una presenza sempre più sfacciata, asfissiante e mortale. I cui responsabili sono molti: i politici, naturalmente, ma anche gli imprenditori felici, è il caso di Reggio Emilia, di avere la “protezione” delle ‘ndrine che consentirebbe loro di fare nuovi affari. Da vittime a collusi il passo è breve. Sono numerosissimi i professionisti al servizio dei boss. Grazie ai loro servigi rendono possibile ripulire denaro sporco, fare acquisizioni societarie anche sofisticate, presentarsi con la faccia pulita di chi rispetta le regole. Il libro di Tizian è denso di fatti, nomi e circostanze. E’ una denuncia documentata al silenzio, all’indifferenza e alla collusione.

Giovanni Tizian GOTICA. ‘NDRANGHETA, MAFIA E CAMORRA OLTREPASSANO LA LINEA Round Robin Editore, Roma 2011 pag.302, 15 euro

LIBRI

Modena, Reggio Emilia, Bologna, Milano, Torino, Genova. Il ricco nord fa i conti con i boss, anche se fatica ad accorgersene. Soldi sporchi, affari illeciti, collusioni pericolose, silenzi preoccupanti. E’ questo il quadro descritto da Giovanni Tizian nel suo “Gotica”. Un libro che colpisce come un pugno nello stomaco. Il giovane cronista originario di Bovalino, Reggio Calabria, elenca con minuzia di particolari la presenza delle mafie nel nord del Paese. Oltre la linea Gotica, quella un tempo difesa dai nazisti per impedire l’avanzata degli alleati verso il cuore industriale d’Italia. Quella linea, oggi immaginaria, che le organizzazioni criminali hanno superato. Da decenni. Tizian conosce bene quello che descrive, è stato testimone della violenza delle ‘ndrine. L’incendio del negozio del nonno, una punizione per non essersi piegato alla richiesta di pagare il pizzo, e l’omicidio del padre, Peppe Tizian, bancario che non ha ceduto ai compromessi con i boss, fino alla fuga. Dalla violenta e povera Calabria, alla ricca Emilia Romagna. Destinazione Modena. Qui, tuttavia, si infrange il sogno di poter vivere lontano dalla ‘ndrangheta, liberi di costruire da soli il proprio avvenire. Tizian decide di fare il cronista. Indaga e scava a fondo sugli interessi oscuri di boss, colletti sporchi, politici collusi. Il suo lavoro non piace alle mafie. Troppe luci accese danno fastidio. Giovanni diventa scomodo. Da dicembre è costretto a vivere sotto scorta. Nel suo libro descrive bene come le mafie, la ‘ndrangheta principalmente, hanno conquistato il nord. Tanti, troppi soldi, pronti da essere ripuliti nell’economia legale dell’Emilia, della Lombardia, della Liguria, del Piemonte. Tutte realtà dove le ‘ndrine calabresi sono presenti dadecenni. ‘Ndrangheta, ma non solo. Ci sono i Casalesi, particolarmente attivi e violenti, e Cosa nostra, con famiglie storicamente radicate. Fanno affari tra loro, nel silenzio più assoluto. Non sparano, ma se lo fanno agiscono con precisione chirurgica. L’obiettivo è di impadronirsi del sistema economico e di quello politico. Con ogni mezzo. Dal controllo del trasporto su gomma, al movimento terra, dai subappalti al sistema sanitario, dall’ortofrutta ai consigli comunali e provinciali. Un meccanismo rodato. Per evitare contrasti, che per altro non mancano, la ‘ndrangheta ha costituito delle Camere di controllo. In Lombardia e Liguria, ad esempio, le numerosi locali di ‘ndrangheta siedono attorno ad un tavolo per dipanare possibili scontri o contrasti. Per fare affari in pace, e mantenere i contatti con la “Mamma”, il Crimine di Polsi, la struttura di vertice della ‘ndrangheta calabrese Quella lombarda è stata la situazione più problematica. Il boss Nunzio Novella ha cercato di staccare la “Lombardia”, ovvero il crimine lombardo, dalla


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IPSE DIXIT a cura di Norma Ferrara

Il tabuto fresco di vernice di Vincenzo Consolo «[...] Al di là del cancello, dentro, il cerchio del muro, nel tabuto fresco di vernice, era Carmelo Battaglia, il sindacalista di Tusa ammazzato su una trazzera, una mattina di marzo, con due colpi a lupara, e messo in ginocchioni, con la faccia per terra. La valle declinava dolce fino alla balza d’Alesa (le sue mura massicce, l’agorà, i cocci d’anfora e le colonne spezzate affioranti tra gli ulivi, la bianca Demetra dal velo incollato sul ventre abbondante). In fondo, Tusa Marina, col suo castello sull’acqua smagliante e triangoli di vele sui merli. Nel ventitré ammazzarono il padre Battaglia, con colpi a lupara, su una trazzera, e gli riempirono la bocca di pietre e di fango. Il vecchio s’era tirato fin sulla nuca e gli orecchi lo scialle scozzese, aveva chiuso gli occhi e reclinato il mento sul petto [...]»

Vincenzo Consolo, Scrittore ( 18 febbraio 1933 – 21 gennaio 2012)

Pubblicato su L’Ora il 16 aprile 1966. E’ un ricordo di Carmelo Battaglia, dirigente contadino ucciso dalla mafia a Tusa all’alba del 24 marzo 1966. verità e giustizia - 9 febbraio 2012

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dai territori << a cura di Norma Ferrara

Campania Ergastolo e sei mesi di isolamento diurno. Questa la condanna stabilita ieri dal Giudice della II Corte di Assise di Appello del Tribunale di Napoli nella sentenza nei confronti di Vincenzo Russo, l’assassino di Gianluca Cimminiello, il giovane tatuatore ucciso per una foto pubblicata su Facebook. In aula, durante la lettura della sentenza da parte del giudice, c’è la famiglia di Gianluca, la Fondazione Pol.is, i referenti regionali di Libera, l’associazione Giugliano contro le mafie e una rappresentanza del coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti di criminalità.

Sicilia Una commissione prefettizia ha inviato al Viminale la richiesta di scioglimento del comune di Salemi per pericolo di infiltrazioni mafiose. L’amministrazione comunale guidata da Vittorio Sgarbi è stata oggetto di una indagine per appurare il rischio di inquinamento dell’attività pubblica. Al centro dell’inchiesta la figura del politico Giammarinaro, già oggetto di provvedimenti giudiziari in questo anno. Sgarbi respinge le accuse, prima sceglie di dimettersi. Poi cambia idea e rimane in carica.

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Calabria Arrestati oggi i genitori della giovane testimone di giustizia suicidatasi il 20 agosto scorso, Maria Concetta Cacciola. Secondo la procura di Palmi, Maria Concetta Cacciola si sarebbe suicidata a seguito delle pressioni esercitate dalla famiglia affinchè uscisse dal programma di protezione e ritrattasse quanto già dichiarato agli inquirenti.


Verità e giustizia newsletter a cura della Fondazione Libera Informazione Osservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie

Direttore responsabile: Santo Della Volpe

Sede legale via IV Novembre, 98 - 00187 Roma tel. 06.67.66.48.97 www.liberainformazione.org

Redazione: Peppe Ruggiero, Antonio Turri, Gaetano Liardo, Norma Ferrara

Coordinatore: Lorenzo Frigerio

Hanno collaborato a questo numero: Ufficio Stampa di Libera, Cosimo Marasciulo, Federica di Lascio, Aldo Cimmino, Grafica: Giacomo Governatori

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