n.91
06 giugno 2012
veritĂ egiustizia
La newsletter di liberainformazione
FUORI GIOCO
>>editoriale
Se non è etico non è sport Q
uello che sta succedendo nel calcio italiano non è un fenomeno improvviso dovuto al malaffare di pochi soggetti o, come in molti vogliono far credere, legato semplicemente al grande volume d’affari che genera questo gioco. È un fenomeno molto particolare di cui sono invece colpevoli in molti, dove, per analogia con il fenomeno mafioso, c’è un’area che delinque deliberatamente, un’area grigia che sa, ma che fa finta di non vedere, un’altra parte che “subisce” questa situazione ed indirettamente ne trae vantaggio, e poi ci sono anche quelli che se ne tengono lontani, ma che, diciamo la verità, non fa nulla per contrastare il fenomeno. Siamo, se possibile, molto indietro rispetto ai tumulti della società civile nei confronti del contrasto alle mafie. Sono passato vent’anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio, e la cultura dell’antimafia ha fatto passi da giganti. Nel calcio, non è bastato il calcio scommesse degli anni ottanta, non è bastato Calciopoli del 2006, siamo giunti ai nostri giorni e nessun piccolo segnale, nessuno spiraglio di luce s’intravede in questo mondo omertoso che sembra non avere anticorpi per contrastare il baratro etico in cui è sprofondato. Se ormai l’unico valore che conta è quello del denaro e tutto si giustifica in nome di questo feticcio, se nulla, dei valori di lealtà, sacrificio, rispetto delle regole, dell’avversario, di se stessi, rimane all’interno di questo gioco che appassiona milioni di Italiani, allora anche questa passione è destinata ad estinguersi in poco tempo.
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di Roberto De Benedittis I segnali sono chiari ed evidenti. Lo spopolamento di stadi, che si dice sia dovuto alla loro scarsa comodità, scusa ridicola che nasconde solo una volontà di fare business con la costruzione di nuovi stadi, come se gli stadi strapieni di trent’anni fa fossero più comodi... Se fosse così gli stessi fenomeni dovremmo averli nella NBA o nel Baseball americano, ben più ricchi del nostro calcio. Questa ennesima caduta è dovuta in gran parte alla mancanza di questi valori, al passare sopra ad episodi gravissimi come quello relativo al fenomeno del doping, denunciato da un allenatore tornato in voga nell’ultima stagione ma abbandonato da tutti con a ieri, rispetto alla dimensione etica che fa comportare i giocatori in campo con entrate al limite del codice penale, pronti subito dopo ad alzare le mani al cielo a dimostrazione della propria innocenza, o a cadere in area appena sfiorati dall’alito caldo del proprio avversario ingannando l’arbitro ed i suoi assistenti.Non parliamo poi dei dirigenti, sempre pronti a piangere sulle perdite economiche delle loro società ma prontissimi a fare follie per il fuoriclasse di turno. Poi ci sono i calciatori Top, gli idoli, coloro che, oltre ad essere calciatori di livello internazionale sono anche dei personaggi. Su di loro si concentrano gli interessi di centinai di migliaia di giovani che vedono in loro degli idoli, degli esempi da seguire. Ed allora ci chiediamo a quale etica rispondono questi simboli, quando prestano la propria immagine a piattaforme di gioco d’azzardo, quando rilasciano dichiarazioni palesemente
contrarie al principio di lealtà sportiva, quando dilapidano guadagni superiori alla somma di stipendi di una vita di normali cittadini, non si sa bene se su scommesse lecite o illecite. Non sarà illegale ma permetteteci di dire che certamente è immorale. Ed è immorale che nessuno prenda provvedimenti, che nessuno abbia frenato a tempo debito questa escalation di comportamenti che cozzano con i principi stessi di questo gioco. Per ultimi lasciamo gli spettatori. Non li vogliamo chiamare tifosi, già questa è una stortura. Quello che trasforma in battaglia ogni partita con sprechi di risorse pubbliche Incredibili. Gruppi di teppisti pronti a tutto che mettono paura alla maggior parte di appassionati che hanno solo voglia di vedere uno spettacolo sportivo e passare due ore divertendosi. Chi ha tollerato finora tutto questo? Perché negli altri paesi tutto ciò non accade? Perché nel nostro stesso paese in altri analoghi giochi non accade? Ci siamo già dimenticati i numerosi morti che abbiamo lasciato sugli spalti e nei dintorni degli stadi negli ultimi 30 anni? Dobbiamo ricostruire un senso etico attorno a questo gioco altrimenti anche questo piccolo brandello di società, uno dei pochi che ancora riesce ad appassionare gli italiani, verrà ingoiato nell’oblio delle delusioni. Forse avrete notato che non ho scritto neanche una volta la parola “sport”. Non l’ho citata perché lo sport è sinonimo di etica. Se lo sport non è etico, non è sport. * Responsabile nazionale Libera Sport
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Palla avvelenata di Daniele Poto
Le mafie giocano la loro partita. Il confine tra i gruppi criminali e le organizzazioni calcistiche si fa sempre più sottile. Lo sport perde credibilità e più di 41 clan mettono le mani su questo business che produce circa il 10% del fatturato mafioso annuo
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’industria mafiosa, forse più dell’economia globalizzata (o forse perché ne fa parte) fiuta con grande progettualità vantaggiose imprenditorialità malavitose e ha individuato nel calcio, per troppo tempo (ancora oggi) “terra di nessuno” un approdo sicuro per i propri traffici. Meno di due anni fa nel libro “Le mafie nel pallone” stimavamo che il 10% del fatturato mafioso annuo (stimato tra i 140 e i 150 miliardi) venisse alimentato proprio nel comparto calcistico. Oggi probabilmente quella stima deve essere valutata per difetto. E se 41 clan mafiosi agivano scopertamente nel football italiano (stime ufficiali dalle constatazioni fatte, pagina per pagine, in base ai rapporti antimafia) oggi quell’anagrafe, a ventaglio, e a macchia di leopardo nella geografia del paese, si è spaventosamente ampliata. Il calcio è pretesto destabilizzato di traffici malavitosi, né più ne meno dell’immagine che poteva suscitare la Jugoslavia, prima della divisione, negli anni dei conflitti. La mafia si infiltra nel calcio perché i regolamenti federali (perlomeno in Italia) sono prescrittivi e formali, ma non essenziali. Le norme, apparentemente severe e legalitarie, sull’iscrizione ai campionati, prevedono una gabbia di minuziosi adempi-
menti che devono assicurare benessere di sistema ma non una minuziosa ispezione sulle componenti azionarie dei club dove è possibile che irreggimentati prestanome prestino il fianco alla copertura di dubbie finanziarie, a volte anche estere, che si fondano su capitali della ‘ndrangheta o di cosa nostra. La labilità dei controlli sui passaggi di proprietà dei cartellini dei giocatori ha radici che vengono da lontano. La scorciatoia dei contratti d’immagine è un pericoloso lasciapassare per i contratti in nero. Ci si chiede a quanto realmente corrispondano contratti d’immagine per giocatori militanti in Lega Pro, professionisti alla periferia del calcio, lontani dalla luce dei riflettori o dalla seduzione televisive. E, di più, di come sia facile manipolare le cifre ufficiali nel caso di trasferimento di giocatori stranieri, meglio se africani. Il plusvalore d’acquisto è stato manipolato dalla mafiosità calcistica in ragione di una validazione dei bilanci di fine anno. In realtà il sistema calcistico italiano è “tecnicamente” fallito e se rimane in piedi una parvenza di campionati (la credibilità è un’altra cosa) è solo in ragione della difesa della socialità di sistema, peraltro messa in dubbio persino da un’economista come Monti, con la provo-
cazione iconoclasta di sospendere i campionati. Nell’istituzione calcistica la legge del “dover andare avanti” stoppa qualunque tentativo di applicazione legalitaria. Rimane infatti vasta la terra di nessuno tra le applicazioni della giustizia ordinaria e quella sportiva. Dove la prima è garantista, accurata, minuziosa, costituzionale e lenta mentre la seconda approssimativa, limitata, superficiale e veloce. E in questo spazio-forbice l’impunità si prende i suoi spazi e avanza. Oggi la saldatura tra i grandi gruppi criminali (mafia cinesi, cartelli dell’est, macedoni, ungheresi, più genericamente slavi) e organizzazione calcistica (nelle persone fisiche dei calciatori e dei faccendieri a essi collegati) è pressoché completa, come dimostrano le inchieste in corso. La metastasi è totale, diffusa in tutti i circuiti. La validità dei tornei 2011-2012, pressoché nulla. Il giocattolo si è rotto in mille pezzi e solo l’infinità ingenuità degli italiani che tifano, sognano, sperano, può rianimare virtualmente un’icona dissolta perché auto-eliminatasi. Così forse il calcio è tornato alle origini: giuoco e non sport. Un giuoco dove si bluffa, si ruba e si malversa. Lo sport, per fortuna, è un’altra cosa. verità e giustizia - 6 giugno 2012
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>> speciale calcio
Il gioco più truccato del mondo
di Daniele Poto
Trentadue anni di inchieste sul calcio scommesse. Su mafie e corruzione nemmeno la Figc è riuscita a fare pulizia. Tutto rimane fermo mentre a muoversi sono le 'ndrine, i clan della Camorra e Cosa nostra
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l cuore centrale storico dell’applicazione mafiosa nel calcio è la costante iterazione di quello che gli anglosassoni definiscono match fixing, ovvero la manipolazione dei risultati delle partite, in soldoni il calcio scommesse. E’ una tara antropologica che il calcio italiano mai è riuscita a debellare dall’in put storico del 1980 quando cadde il velo di Maya su un calcio mitico con la traduzione nelle patrie carceri di giocatori da nazionale come Albertosi, Giordano, Manfredonia, la dissoluzione di un idolo come poteva essere il giovane Paolo Rossi a quell’epoca. Naturalmente nel paese degli smemorati le punizioni non furono esemplari e solo due anni dopo l’attaccante vicentino veniva riabilitato e rilanciato come esempio positivo guidando la nazionale azzurra alla conquista del titolo mondiale. La Figc mai è riuscita a mettere un freno al fenomeno manipolativo e, con diverse ondate, modalità, applicazioni, fatto salvo anche il passaggio dalla stagione del Totonero (e di uno scudetto fatto transitare dalla camorra dal Napoli al Milano, alla fine degli anni ’80) a quello delle scommesse legali extraTotocalcio, ogni due-tre stagioni si sono ripresentati scandali, mediatori, faccendieri, criticità peculiari di sistema. Dunque
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32 anni di inchieste e infrazioni sono scorsi invano. Imperterrito il calcio è andato avanti, decretando promozioni, scudetti, retrocessioni, con un’ipocrisia bizantina, digerendo spesso ex post l’intervento della giustizia ordinaria (come nel caso del Potenza, salvato nel 2006-2007, condannato con due anni di ritardo). I protagonisti negativi potevano essere Marasco o Rossi, Signori o Doni, nell’attualità Mauri e Masiello, ma il meccanismo è consolidato e abbraccia anche l’omertà di chi non opera direttamente ,a si presta, conosce la verità e non la svela. Gli attori più intriganti della farsa delle partita truccata sono giocatori a fine carriera, meglio se idoli della piazza o leader degli spogliatoi (capi-bastone verrebbe da dire nel caso di Sculli), sensibili al fascino del denaro (come se ne mancasse ai calciatori…). Epifenomeni come la disponibilità di un milione e mezzo di euro rilasciato dal n. 1 dei portieri Buffon a un tabaccaio dimostra sia la mole dei guadagni che la volatilità di sistema e ci mostra con un sintetico fermo immagine come questo mondo sia facilmente aggredibile e corrompibile. Oltre a questo fenomeno il più pericoloso intervento mafioso nel calcio si può riconoscere come quello operato da Giorgio Chinaglia nel tentativo di sca-
lare la Lazio di Lotito con una scorta di 27 milioni di euro messi a disposizione dalla camorra casalese e parcheggiati in comode e disponibili banche ungherese. Chinaglia era stato il mallevadore di un ambizioso progetto che però non è andato in porto per lo stretto controllo giudiziario operato sulla sua persona. Rimane il dubbio se l’organizzazione calcistica sarebbe riuscito a stoppare il progetto. Chinaglia da defunto è stato beatificato e nessuno ha ricordato questa sua non trascurabile operazione. Del resto la camorra storicamente ha gestito sic e simpliciter una squadra, l’Albanova, che è stata protagonista in serie C, fino alla dissoluzione. Ma il più integrale sistema di ramificazioni mafiose si è constatato a Potenza, complice e attore il presidente della squadra locale Postiglione. Qui le ramificazioni sono complesse e integrate. Postiglione vende i risultati della propria squadra, difende la permanenza in serie C, ma sfrutta, specula su ogni piega dell’attività agonistica e non. Stringe un patto d’acciaio con la ‘ndrangheta lucana, assume come personale di servizio pregiudicati malavitosi, vessa le squadra avversarie quando vengono a Potenza, con lo scopo di intimidirle, riceve come uditore privilegiato un know how di informazioni privilegiate che gli permettono di conoscere in anticipo l’esito di partite truccate al piano di sopra, cioè in serie A, nell’ombra lunga di Calciopoli. Insomma, di tutto un po’. Postiglione come tanti altri presidenti (tutti?) non aveva passione da spendere, in compenso fantasia nell’applicazione malavitosa. Un pericoloso brevettabile esempio.
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A proposito di ultras
di Oliviero Beha
Il calcio è stato travolto da una sorta di “deregulation” etica. Gli “infiltrati” nelle tifoserie hanno tratto vantaggio dall'illegalità diffusa. Fra calcio scommesse e business il sistema, così com'è, è stato utile a molti. Gli stessi che lo tengono in balia di mafiosi e corrotti
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on si capisce bene che cosa sia il mondo o il sottobosco degli ultras se non si fa attenzione ad alcuni fatti evidenti risultati dalla cronaca ma non collegati al tema. Mi riferisco per esempio agli ultras juventini coinvolti tempo fa nell’assalto a una cascina torinese abitata da rom, in una sorta di rappresaglia per la denuncia, poi risultata per di più falsa, di una ragazza nostrana che sarebbe stata violentata da uno di loro. Oppure alla mega manifestazione degli “indignados”, a Roma, nell’ottobre scorso, degenerata per colpa di alcuni infiltrati di vario tipo, tra cui appunto gruppi poi individuati di ultras o del circondario degli ultras calcistici, mi pare della Roma, ma non è questo il punto. Che siano (non fossero, lo sono ancora…) della Roma, della Lazio, della Juve, o del Bari sotto i riflettori dell’inchiesta della relativa Procura per lo scandalo di “Scommettopoli”, o di qualunque altra squadra, cambia poco, e serve solo a una mappa che le questure italiane credo hanno già disegnato da tempo. Da sempre, periodicamente denunciate da dirigenti di club di volta in volta ostaggi, ricattati o complici (penso a
un Fraizzoli di trent’anni fa per l’Inter, ad esempio) ci sono state manovre dei tifosi più spinti ai confini o anche dentro il territorio societario della squadra per cui tifavano. Ci sono state intere gestioni, distribuzioni e vendite di merchandising monopolizzate da organigrammi di tifosi che avevano trovato il modo di unire l’utile al dilettevole, la passione al business. Che cosa fa la differenza oggi, dunque? Che il calcio nel suo complesso è stato travolto da una sorta di “deregulation” etica e di completa inosservanza delle norme, e come si vede di qualunque livello di legalità. “Si evade e si elude”, come se non si volesse pagar dazio a nulla. La lettura dei giornali e non da oggi è sufficiente a capirlo anche se solitamente “ritardata”, cioè condizionata delle notizie uscite dai magistrati e non frutto di inchieste professionali (ho documentato spesso tutto ciò in libri e articoli, e ricordo che il famoso o famigerato scandalo del Camerun, del 1982, Mondiali di Spagna vinti dall’Italia, era legato a filo doppio e triplo alle scommesse amministrate dalla camorra di Michele Zaza, allora clandestine). Il punto è che essendo estremi per
definizione fin dal loro appellativo, gli ultras hanno pensato bene di cavalcare la tigre delinquenziale, e quindi hanno abbandonato la passione per investirla non su calciatori e squadre “indegni” come li chiamano, ma su risultati combinati che li facessero arricchire. All’insegna del “che siamo più fessi, noi ultras?”. Naturalmente il tutto all’ombra più o meno lunga delle associazioni criminali che infestano questo Paese ma sono attive ovunque. Quindi quello che sta succedendo con i tifosi diventati imprenditori della slealtà sportiva e dell’illegalità diffusa è perfettamente logico, come conseguenza del degrado dell’intiero sistema. Oltre che dolersene, in una sorta di pianto sul latte versato che scorreva un po’ dappertutto, ci sarebbe da chiedersi dove fossero i controllori del fenomeno, ossia la politica sportiva/calcistica specifica, e più in generale la politica tutta. La risposta è che questo andazzo è convenuto a tutti, ossia ai vertici di ogni categoria tifosi compresi, fino a prova del contrario: adesso è arrivata la prova di un calcio al contrario, da disinfestare. Ma chi lo farà in un sistemaPaese già ammalatissimo nel resto? verità e giustizia - 6 giugno 2012
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Una riforma radicale del calcio di Carmine Fotia*
Poche semplici mosse potrebbero far ripartire questo sport con il piede giusto. E lasciare all'angolo i tentativi di soppressione che penalizzerebbero solo i cittadini che lo amano e non i corrotti e i mafiosi che lo inquinano
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l calcio si conferma specchio fedele del Paese, ne introietta valori e disvalori, vizi e virtù. Il calcio è malato così come lo è la nostra nazione, la corruzione e il malaffare dilagano, intrecciandosi con la malapolitica e la criminalità organizzata, contagiando ogni ganglo della nostra vita civile. Ma non tutti sono uguali né nella società, né nella politica, né nel mondo del calcio. Ci sono i complici del malaffare e quelli che lo combattono. Per anni tutti coloro che in politica denunciavano il degrado del paese, erano attaccati come giustizialisti, forcaioli, moralisti. È accaduto ai magistrati antimafia, accusati di voler distruggere l’economia siciliana, agli autori della Piovra accusati di infangare il nome dell’Italia nel mondo, ai magistrati di mani pulite indicati come i distruttori del sistema politico. È accaduto anche nel calcio dove chi - allenatori, dirigenti, giornalisti come Zdenek Zeman, Franco Baldini, Oliviero Beha, un
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quotidiano come Il Romanista denunciava il marciume del sistema veniva ostracizzato, costretto all’esilio o emarginato, ridotto a un ruolo minoritario, mentre il coro cantava le lodi di Luciano Moggi. Quanto emerge è una vera e propria offesa a quei milioni di onesti cittadini che fanno un grande sacrificio per acquistare un biglietto per lo stadio o una partita in tv, cercandovi un po’ di lenimento alle fatiche di una vita quotidiana sempre più difficile. Così come in politica la corruzione toglie l’anima alla politica perché ne divora il senso di servizio al bene comune, il calcio scommesse uccide l’essenza del gioco del pallone, perché insinua il dubbio che ogni partita sia truccata, che a muovere il gioco non siano le qualità dei giocatori e delle squadre, bensì gli interessi illeciti. Per noi, per tutto il popolo degli amanti del calcio pulito, portatori di un messaggio etico, di educazione dei giovani ai valori della legalità, del rispetto, della lealtà, della solidarietà, non è solo tempo di chiarezza, bensì
anche di gioia evangelica: “Oportet ut scandala eveniant, è opportuno che gli scandali avvengano”, dice il Vangelo, ma poi aggiunge: “Guai a quell’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!”. Auspicando la sospensione del calcio per qualche anno, il presidente del Consiglio, Mario Monti, per usare un termine calcistico, ha buttato la palla in corner. Io penso invece che ci potrebbero essere pochi interventi, esemplari e efficaci. - Sospendere le scommesse, sul quale lo Stato biscazziere guadagna un sacco di soldi senza riuscire a controllarne neppure minimamente la correttezza. Forse si perderebbero un po’ di denari, ma se, come vuole il premier, il calcio si fermasse due-tre anni se ne perderebbero molti di più. Fermando le scommesse, per altro, il male sarebbe estirpato alla radice. - Creare una speciale task force della procura nazionale antimafia, dedicata al contrasto delle infiltrazioni mafiose nel calcio. - Applicare nuovi magistrati alla procura di Cremona sicché si possa concludere l’inchiesta in fretta e bene. - Estendere ai condannati per il calcio scommesse la confisca dei beni fino alla concorrenza delle somme guadagnate illecitamente e destinarli a iniziative etiche e sociali: campi e scuole di calcio nei quartieri e nelle zone degradate, corsi di formazione all’etica dello sport nelle scuole, incremento dei fondi dello sport a favore della disabilità. Sono cose concrete, che si potrebbero fare subito, e insieme un segnale simbolico forte a tutto il mondo del calcio. Non sarebbero puniti i cittadini che amano questo sport, ma i corrotti, i mafiosi, i faccendieri che lo uccidono. Il calcio non ha bisogno di fermarsi, bensì di riformarsi radicalmente e in fretta.
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a Nazionale che gioca su campo di calcetto nato su un terreno confiscato alla ‘ndrangheta. Una scuola calcio col logo di Libera sulla maglietta. Un torneo di pallone su un campo confiscato a Casapesenna al boss Luigi Venosa. Centoventisette campetti finanziati dal Pon sicurezza per dire "io gioco leGale". Stadi di calcio che portano il nome di vittime innocenti delle mafie. É anche questo l’altro calcio, il vero calcio. Sport e legalità, sport come scuola di vita, sport come esperienza di comunità, regole e collaborazione. Lo avevano capito bene don Pino Puglisi e don Peppe Diana che nel quartiere palermitanto di Brancaccio e a Casal di Principe puntarono subito sul pallone, gioco e vita comunitaria. Campetti rimediati accanto alla chiesa e tanti giovani. E questo le mafie lo temono moltissimo. Lo dimostra la storia del campetto di Rizziconi, paese della Piana di Gioia Tauro, dove il 13 novembre 2011 ha giocato la Nazionale di calcio, su invito di don Luigi Ciotti. Cancello divelto, spogliatoi devastati, porte e finestre strappate via, recinzione abbattuta, reti aggrovigliate: così lo trovammo una mattina di febbraio 2007. Voleva e poteva essere un simbolo di riscatto, rivolto soprattutto ai giovani. Ma non ci aveva mai giocato nessuno, diventando un “monumento” alla sconfitta delle istituzioni e alla vittoria delle cosche. Il 31 luglio del 2000 il comune viene sciolto per infiltrazione mafiosa. I tre commissari prefettizi Francesca Crea, Maria Laura Tortorella e Salvatore Fortuna, decidono di far costruire un campo di calcetto su un terreno di appena 5mila metri quadrati sequestrato nel lontano 1994 al potente boss della ‘ndrangheta Teodoro Crea, confiscato definitivamente nel 2000 e assegnato al comune l’11 gennaio 2002, proprio grazie all’impegno dei tre funzionari. I lavori iniziano il 14 ottobre 2002. Il 16 maggio 2003 avviene l’inaugurazione, con autorità nazionali e regionali, e tanti
Un calcio alle mafie di Toni Mira
Mentre i clan si fanno strada nello sport più amato dagli italiani, i percorsi che mettono insieme legalità, etica e voglia di riscatto si moltiplicano. Associazioni, istituzioni e società calcistiche e tanti giovani hanno scelto da che parte stare
bambini. Ma su quel campetto non giocherà mai nessuno. Il 26 maggio si torna alle elezioni ma le due giunte successive, una di centrodestra e una di centrosinistra, si disinteressano del campetto che nel frattempo è stato completamente vandalizzato. Nessuno ci deve giocare. A febbraio 2007 la giunta cade per dimissioni della maggioranza dei consiglieri. Tornano i commissari di 5 anni prima. E il campetto risorge. Il 21 maggio viene inaugurato una seconda volta con una grande festa, una partitella tra due squadre capitanate da don Ciotti e l’allora presidente dell’Antimafia, Francesco Forgione,
e poi consegnato a una scuola calcio. A giugno 2011 la proposta/invito di don Ciotti, subito accettata da Abete e Prandelli. «Perchè il calcio è un forte strumento educativo spiega don Pino Demasi, referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro e vicario generale della Diocesi di Oppido-Palmi - e va strappato via alla ‘ndrangheta che ne fa solo strumento di consenso e di arricchimento. La 'ndrangheta va messa "fuori gioco"». E così succede in una tiepida domenica di novembre. La Nazionale di Buffon e Balotelli, ma anche il ricordo di Dodò, il piccolo ucciso mentre giocava a pallone verità e giustizia - 6 giugno 2012
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>> speciale calcio
a Crotone, e di Ciccio, 18 anni tifosissimo della Juve, ammazzato per vendicarsi del padre. “Diamo un calcio alle mafie e mettiamole fuori gioco”, è il forte invito di don Ciotti. Una storia che non si ferma al forte evento. Sul quel campetto continuano a giocare non solo i bambini della scuola calcio ma anche la squadra di calcetto di Rizziconi. Non era mai successo. E entro il 31 dicembre dovranno essere finiti i lavori per il completamento della struttura, che non si era mai riusciti a fare perché nessuna impresa si era presentata. Ci spostiamo dal Tirreno allo Jonio sempre per “dare un calcio 8 verità e giustizia - 6 giugno 2012
al pallone e alla ‘ndrangheta”. Con questo spirito nasce due anni fa la “Scuola Etica e Libera di Educazione allo Sport”, nuova e bella realtà frutto della collaborazione tra l’A ssociazione Don Milani di Gioiosa Ionica e il coordinamento di Libera Locride e che coinvolge più di un centinaio di giovanissimi che scendono in campo con magliette che portano proprio il logo di Libera. La prima Scuola Calcio Etica d’Italia (affiliata al CSI (Centro Sportivo Italiano), dove lo sport diventa “luogo” di socializzazione in cui maturare comportamenti consapevoli nel rispetto delle regole, “in una prospettiva di pratica
della legalità con l’obiettivo nobile di spargere, tra i giovani, quei semi che cominceranno a germogliare nei prossimi anni”. Proprio come don Pino e don Peppe. Impegno e memoria come a Bavalino, nella Locride, e Pagani, in provincia di Salerno. Qui gli stadi di calcio portano il nome di due vittime dei clan. Lollò Cartisano, faceva il fotografo ma da giovane era stato un ottimo calciatore, lo chiamavano “freccia del Sud”, arrivando fino alla serie C nel La Spezia, una vera passione che poi trasmise anche ai ragazzi del suo paese. Il 22 luglio venne sequestrato dalla ‘ndrangheta. Ma non tornò più a casa e il suo corpo venne fatto ritrovare solo dieci anni dopo. L’avvocato Marcello Torre, era sindaco di Pagani. E appassionatissimo di calcio, fino a ricoprire l’incarico di presidente della Paganese e di membro della commissione per la giustizia sportiva della Federcalcio. L’11 dicembre 1980 i killer di Raffaele Cutolo lo uccisero perché si era opposto alle mire del clan sul post terremoto. Una memoria che fatica a farsi strada. Così solo il 10 agosto 2011 si è finalmente intitolato lo stadio di Bovalino a Cartisano. Quello di Pagani, invece, ha avuto già nel 1981 il nome di Torre, ma su iniziativa della Federcalcio. Nel luglio 2011 sono finiti in carcere il sindaco del paese salernitano, Alberico Gambino, e i vertici della Paganese calcio, con l’accusa di collusione coi clan ma anche di pressioni su un imprenditore per sponsorizzare la squadra. Ai tempi del sindaco Torre sfiorò la promozione in B, lo scorso anno è stata retrocessa in Seconda divisione. Ma la memoria tiene duro. Così il 26 maggio, per ricordare la strage di Capaci, proprio nello stadio Marcello Torre sono scese in campo una squadra di Libera Campania e dei familiari delle vittime di mafia, e una di magistrati e forze dell'ordine. Titolo dell’iniziativa “Mettiamo fuori gioco la camorra”. Proprio come a Rizziconi.
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Corruzione, la Fifa cerca un rimedio in Luis Moreno-Ocampo di Gaetano Liardo
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li scandali scuotono il mondo del calcio, non solo in Italia. La Fifa, la federazione mondiale del football, ne è un esempio. Lo scorso anno, limitandoci soltanto agli ultimi casi, due funzionari di alto livello della federazione sono stati travolti dallo scandalo tangenti. Il primo è Mohammed Bin Hammar, presidente dell’Asian Football Association, nonché componente dell’esecutivo Fifa. Lo scorso anno è stato bandito a vita dalla federazione perchè ritenuto colpevole di aver intascato tangenti per la scelta del paese ospitante dei mondiali di calcio del 2022. Centomila dollari incassati, con altri funzionari Fifa, per favorire la scelta del Qatar. Ospitare un mondiale non è soltanto un momento di prestigio per il paese ospitante, è
anche un’occasione per fare business. Le vicende che hanno segnato i mondiali di Italia ‘90 ne sono un esempio. Ragion per cui, sono numerosi i paesi candidati ad ospitare la manifestazione calcistica. Bin Hammar, inoltre, è stato riconosciuto colpevole di aver pagato una tangente di trentamila euro a funzionari della Caribbean Football Union per sfidare, alla corsa per la guida della Federazione, l’eterno presidente Joseph Blatter. Nello scandalo è stato travolto, e costretto a dimettersi, il vice di Blatter, Jack Warner. Scandali su scandali, tangenti su tangenti, che stanno demolendo dall’interno il mondo del calcio. Per questo motivo Blatter, lungi dal volersi dimettere dalla presidenza della Fifa, ha deciso di istituire un’unità di investigazione, costituita da personalità
indipendenti, in grado di far luce sulla corruzione dilagante nel mondo della Fifa. Un tentativo, questo, di riportare a dritta i timoni dell’imbarcazione. Per guidare l’unità è stata stilata una lista di nomi “pesanti” sulla quale la Federazione dovrà scegliere nell’incontro messo in calendario alla fine di giugno. Tra i papabili spicca il nome di Luis Moreno-Ocampo, attuale procuratore della Corte Penale Internazionale. Il mandato di Ocampo, di nazionalità argentina, scade proprio a giugno. L’operazione, naturalmente, sarebbe un colpo di immagine. L’augurio è che, al di là delle apparenze, l’unità possa svolgere fino in fondo il mandato di far luce sugli scandali che stanno avvelenando la Fifa. verità e giustizia - 6 giugno 2012
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antimafia online <<
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o Stato siete soprattutto voi, per questo sono contento di essere qui. La mafia quando vuole colpire lo Stato, colpisce le scuole. Ricordo un liceo di Locri, un posto abbandonato da dio, poverissimo. Ricordo quei professori così fieri dei loro ragazzi che mi mostravano la ricerca sulla Magna Graecia, e la loro espressione contenta di . Quella è l’Italia. Voi, dovete avere fiducia in voi stessi, perché qualcosa da dire ce l’avrete sempre». Guardando l’aula gremita, Riccardo Orioles, si rivolge così agli studenti presenti a Livorno per la consegna del premio “Alfredo Nesi 2012” dedicato alla memoria del sacerdote toscano morto nel 2003 e impegnato nella formazione e nella cura dei giovani. Il premio lo scorso anno, è stato assegnato a Suor Carolina Iavazzo, tenace educatrice a fianco di don Pino Puglisi nella Palermo delle stragi. Quest'anno invece al giornalista Riccardo Orioles perché – come spiegano i membri della giuria - «... E' riuscito a coniugare coraggiosamente le sue indiscusse doti di professionista dell’informazione con un ostinato impegno antimafia che mai ha conosciuto interruzioni, tentennamenti o compromessi, sperimentando, per questo, pesanti minacce fino all’isolamento dai media ufficiali. [... ] Dalla metà degli anni 80 ha infatti associato al suo lavoro di giornalista una costante opera di formazione di nuove generazioni di giovani cronisti ai valori di un’informazione responsabile, consapevole cioè del suo peso determinante per l’emancipazione della violenza mafiosa, o viceversa, se corrotta, per la conservazione dello stesso sistema criminale di cui finisce per essere parte ». Roberto Rossi, redattore di Azione Non Violenta e collaboratore di Ossigeno per l’informazione (Osservatorio sui cornisti minacciati), sottolineava ieri, come questo premio – consegnato appunto in una scuola, luogo che dopo i fatti di Brindisi, acquista un significato più profondo - venga consegnato ad Orioles direttamente dalle mani della società civile. «Ogni cittadino deve essere informato, è un diritto sancito dalla nostra Costituzione. Con
A Riccardo Orioles il “Premio Nesi 2012” di Michela Mancini
questo premio, riconosciamo il valore che l’informazione ha per la nostra democrazia. Don Diana affermava: “Per amore del mio popolo non tacerò”. È stato ucciso per questo, e tanti come lui. Riccardo, in quanto giornalista, usa la parola, non tace e lo fa in terra di mafia, dove è il silenzio a comandare. Attraverso il governo violento del territorio, le mafie decidono delle possibilità democratiche del territorio stesso. La criminalità organizzata limita la libertà dei cittadini e quindi la possibilità di essere degli essere umani, resi tali dalla possibilità di agire liberamente. Riccardo mi ha insegnato questi valori, io posso considerarmi un suo allievo: un giornalista in Sicilia o è antimafia o non lo è». Ad accompagnare il giornalista siciliano anche un altro dei suoi giovani allievi, Salvatore Ognibene, redattore non solo dei Siciliani Giovani, ma soprattutto responsabile di Dieci e Venticinque, testata on line, nata proprio sotto la spinta di Riccardo Orioles. Nel corso della premiazione al liceo Enriques di Livorno, l’immagine di una nazione interamente assediata dalle mafie,
comincia a delinearsi. Gli studenti di Livorno – ammettono - della criminalità organizzata, ne sanno poco. Quello che hanno imparato lo devono a dei corsi tenuti dai volontari di Libera. Eppure continuano a sentire il fenomeno mafioso come una cosa lontana, estranea allo loro quotidianità. «Ne vorremmo sapere di più, anche per riconoscere il pericolo nel nostro territorio», afferma una ragazza di non più di diciassette anni. La fame di informazione fa ben sperare. La sorpresa arriva al termine della cerimonia. Scopriamo, con gioia e stupore, che il 23 maggio, per ricordare la strage di Capaci, ma soprattutto per dimostrare solidarietà ai ragazzi di Brindisi, gli studenti di Livorno hanno, da soli, organizzato una fiaccolata. Sono stati loro, dal basso, senza che nessun professore glielo suggerisse. Uno degli studenti ha telefonato a Libera Livorno per dare inizio ad una mobilitazione. «Se fosse successo ad uno di noi?» Si domandava e da quella domanda è nato il corteo delle 7 scuole, che sostituiva il normale precorso delle 7 chiese. verità e giustizia - 6 giugno 2012
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>> dai territori a cura di Norma Ferrara
Lazio Latina, pallottole al giudice Giuseppe Miliano e minacce agli investigatori che si occupano dell’omicidio del parroco Cesare Boschin e degli affari delle mafie sul ciclo dei rifiuti e del cemento nel Lazio
Sicilia Fa tappa nella regione la carovana antimafia internazionale promossa da Arci, Libera e Avviso Pubblico con la collaborazione di Cgil, Cisl, Uil, Banca Etica, Ligue de L’Enseignement e Ucca
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Calabria Il coordinatore di Libera a Reggio Calabria che è stato raggiunto da una lettera anonima nella quale è stato minacciato di morte. L’intimidazione è stata inviata nella sede dell’associazione in Calabria nel fine settimana ed è stata ritrovata stamani da Domenico Nasone che ha provveduto a sporgere regolare denuncia.
recensioni <<
Roma 1992, l'Italia delle stragi e degli scandali di Gaetano Liardo Marcello Ravveduto (a cura di)
confronti di una classe politica ormai in via di disfacimento. Gli storici partiti che reggevano le sorti del Paese dal 1948 erano travolti dagli scandali che, a partire dall’arresto del socialista Mario Chiesa, davano il via alle inchieste di Tangentopoli. Nel giro di pochi mesi centinaia di politici di Dc, Psi, Pli, Pri, Psdi, saranno raggiunti da avvisi di garanzia, spiccati dal pool della Procura di Milano, che ne decapiteranno la dirigenza. Tangentopoli, per un verso, e le bombe di Cosa nostra, da un altro verso, faranno saltare il banco. Usciranno di scena pezzi significativi della leadership politica italiana, e si affacceranno nuovi attori destinati a diventare protagonisti. Bossi e Berlusconi, in primis, il cui avvento al potere nel 1994 segnerà la nascita della Seconda Repubblica. Un’atmosfera densa di eventi, molti dei quali coperti da segreti spesso invalicabili, ha segnato la nuova fase politica italiana, fortemente compromessa con il passato delle tangenti e delle collusioni con Cosa nostra. Un’atmosfera che, per certi versi, fortunatamente non tutti, è simile a quella che si respira nel 2012 e che gli autori di “Novantadue” ben descrivono. Quello che stiamo vivendo è il revival della corruzione endemica, dove però i politici non giocano la parte del leone. La regia è passata nelle mani di faccendieri, funzionari pubblici disonesti e imprenditori senza scrupoli. Cosa nostra è silente, ma non per questo è stata sconfitta. Con ‘ndrangheta e camorra ha posto solide radici nel nord del Paese, facendosi impresa. Intanto all’orizzonte si affacciano nuovi attori e nuove forme politiche, approfittando del declino di Berlusconi e Bossi. Ne riparleremo nel 2032.
NOVANTADUE. L’ANNO CHE CAMBIÒ L’ITALIA Castelvecchi editore, Roma 2012 Pag. 180 euro 14,90
LIBRI
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ono passati vent’anni dal 1992, eppure le vicende che proprio allora si sono sviluppate, gli intrecci, gli scandali, le stragi di mafia, sono quanto mai attuali oggi. Le indagini su via D’Amelio sono state riaperte, dopo che la Procura di Caltanissetta ha scoperto un’opera di depistaggio che ha condizionato il processo. Si indaga sulla trattativa Stato – mafia, sviluppatasi a suon di bombe. Si indaga, nuovamente, sulla corruzione dilagante che travolge il nostro Paese, e molti dei protagonisti della stagione di Tangentopoli si ritrovano sul banco degli imputati. Il sistema politico è nuovamente in crisi, si parla della fine della Seconda Repubblica, con il declino dei due attori principali che traghettarono l’Italia fuori dalla Prima Repubblica: Silvio Berlusconi e la Lega Nord di Umberto Bossi. Dopo vent’anni i nodi da sciogliere sono ancora tanti. E’ utile, quindi, in un simile scenario, il lavoro di ricostruzione svolto da Marcello Ravveduto in “Novantadue. L’anno che cambiò l’Italia”, un’opera realizzata con numerosi autori che hanno scandagliato l’annus horribilis dell’Italia sotto numerosi aspetti. Tracciando i parallelismi con il 2012. Dalla Cosa nostra stragista delle stragi di Capaci e via D’Amelio, passando per l’omicidio del proconsole andreottiano in Sicilia Salvo Lima, alla ‘ndrangheta che, dopo gli anni della guerra intestina, poneva le basi per il dominio dei traffici internazionali di cocaina. Fino ad arrivare alla camorra dei Nuvoletta e degli Zaza che, come i cugini calabresi, decise di non appoggiare il piano stragista dei corleonesi di Totò Riina. Gli attentati che stravolsero Palermo, e il Paese intero, sortirono un effetto destabilizzante nei
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IPSEDIXIT Mauro Rostagno [...] Un giornalismo che va alla ricerca dello straordinario frugando nella ordinarietà nel mondo comune, vicino, quotidiano. Un giornalismo che rifugge dalle generalizzazioni ed affronta il particolare, lo specifico, il caso unico; un giornalismo che propone la quotidianità dell’irripetibile. Si rischia oggi di sapere tutto su Beirut e nulla sulla persona che abita a fianco di casa nostra. La Koinè elettronica del villaggio globale, i telegiornali pieni di anonimi accadimenti, di discorsi politici ripetitivi, di convegni e celebrazioni paludate, tutte uguali le une alle altre, sempre
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le solite cose le stesse facce di potenti, politici e portaborse ci ha fatto diventare ciechi e sordi. La televisione satellitare, supernazionale, omologa i cittadini, li banalizza, li mortifica e uccide la loro diversità; il pluralismo delle radici lo spessore delle culture delle tradizioni e dei tipi umani. E’ stato un modo di far televisione locale ma non localistica. Un modo di non rinunciare al territorio, al locus, alla sicilianità del qui ed ora, alla persona della porta a fianco. (Mauro Rostagno - Radio Tele Cine - Editoriale 1988 - Trapani)
Mauro Rostagno (Torino, 6 marzo 1942 – Lenzi di Valderice - Trapani, 26 settembre 1988) sociologo e giornalista ucciso dalla mafia. Per suo assassinio è in corso a Trapani il processo contro gli imputati i boss Vincenzo Virga e Vito Mazzara. Per seguire il processo in diretta dal tribunale è possibile collegarsi a Radio Radicale (www.radioradicale.it) alla pagina del social network Facebook a questo indirizzo (https://www.facebook.com/ groups/169068116473254/) e al portale Libera Informazione (www.liberainformazione.org)
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Verità e giustizia newsletter a cura della Fondazione Libera Informazione Osservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie
Direttore responsabile: Santo Della Volpe
Sede legale via IV Novembre, 98 - 00187 Roma tel. 06.67.66.48.97 www.liberainformazione.org
Redazione: Peppe Ruggiero, Antonio Turri, Gaetano Liardo, Norma Ferrara
Coordinatore: Lorenzo Frigerio
Hanno collaborato a questo numero: Oliviero Beha, Roberto De Benedittis, Carmine Fotia, Michela Mancini, Toni Mira, Daniele Poto Grafica: Giacomo Governatori
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