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Villa “La Màgia”
Splendida cornice dell’edizione 2010 del convegno internazionale Vestire il Paesaggio è stata Villa La Magia a Quarrata. Villa La Magia è posta su un’altura delle pendici settentrionali del Montalbano, in una incantevole posizione dominante la vallata dell’Ombrone Pistoiese. Il complesso architettonico della villa è sorto intorno ad un primo nucleo trecentesco costituito da un fortilizio a casatorre, di proprietà della famiglia pistoiese dei Panciatichi, che si contendeva con la nobile famiglia dei Cancellieri il predominio del territorio pistoiese, e quindi necessitavano di strutture difensive sparse sul territorio. Nel corso del Quattrocento, tra il 1427 ed il 1465, la torre, in posizione ideale per il controllo della viabilità tra Pistoia e Firenze, è stata inglobata in un edificio più complesso, a forma compatta, con i vari ambienti articolati intorno ad un cortile interno. La funzione residenziale diventa preponderante rispetto a quella difensiva. Nel Cinquecento la famiglia dei Panciatichi viene definitivamente sconfitta dal casato dei Cancellieri, ed i beni della famiglia venduti. Nel 1583 la Villa La Magia viene acquistata dal granduca Francesco I dei Medici, entrando a far parte del sistema delle ville medicee utilizzate come riserva di caccia e pesca. Francesco I ha promosso la ristrutturazione dell’intero complesso ed il suo ampliamento con numerosi interventi effettuati dall’architetto Bernardo Buontalenti, architetto ufficiale del granduca. Alla fine del Cinquecento la villa con i suoi spazi esterni è raffigurata in una lunetta di Giusto Utens, artista fiammingo che ha riprodotto le ville medicee nella celebre serie di lunette dipinte per la Villa di Artimino.
La villa La Magia appare circondata da un vasto piazzale sui quattro lati, e con i terreni circostanti costituiti da campi coltivati.
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Nel 1626 circa è stata istituita ufficialmente da Ferdinando II la riserva venatoria del Barco Reale Mediceo, un esteso terreno delimitato da un muro, che si estende da Artimino fino a Quarrata e Montelupo. Nel 1645 la villa diventa di proprietà della famiglia Attavanti, che la trasforma da residenza di caccia in una vera e propria villa signorile, decorandola con affreschi e stucchi in elegante stile barocco, e realizzando un giardino all'italiana con siepi geometriche e
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parterres. Il giardino, posto ad una quota inferiore rispetto alla villa, è caratterizzato da una fontana centrale circolare e da quattro aiuole che ripartiscono geometricamente il terreno, nelle quali vi sono delle pietre murate dove vengono posti gli agrumi nel periodo estivo. Interventi significativi si sono succeduti durante la proprietà degli Attavanti, in particolare tra il 1708 ed il 1716, quando è stata costruita una cappella, ed è stato ristrutturato il cortile con
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l’esecuzione della fontana centrale. Nel 1715 sono stati realizzati degli affreschi da Giovan Domenico Ferretti che raffigurano Bacco e Arianna e Diana e Atteone. La famiglia ha dato un nuovo ordinamento a tutto l'edificio, senza mutare la linea architettonica esterna, che ancora oggi si presenta con la sua mole massiccia. Tra il 1723 ed 1724 sono state rialzate le facciate del cortile ed aperti due nuovi accessi alla villa, è stato creato lo stanzone per gli agrumi e per i vasi, con le stanze per la servitù e la rimessa degli animali. Successivamente, nel 1752, la villa è passata alla famiglia dei Ricasoli, che ha continuato i lavori di manutenzione e l’ampliamento della limonaia, fino a quando nel 1766, trovandosi in grave difficoltà economica, la proprietà è stata venduta alla famiglia Amati. Giulio Giuseppe Amati ha completato in particolare la sistemazione del giardino romantico di tipo “inglese” adiacente al corpo di fabbrica occidentale della villa, utilizzando lecci, allori e cipressi. Alla fine degli anni novanta del Settecento viene edificata la cappella neogotica, che va a sostituire l’oratorio fatto
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costruire dagli Attavanti. Caratteristico del giardino romantico è il laghetto artificiale, con un leccio che posa le radici sulla cisterna. Nel giardino all’italiana nell’ultimo periodo del Settecento viene costruita la limonaia di ponente, andando a creare il giardino nell’aspetto attuale.
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Le proprietà di villa La Magia sono rimaste nelle mani della famiglia Amati Cellesi fino al 1999, quando l’ultima ereditaria, la contessa Marcella nata Pagnani, ha ceduto l’intero possesso al Comune di Quarrata il quale, oltre a provvedere ad interventi di restauro, ha dedicato uno spazio espositivo per l’arte contemporanea con la realizzazione di un parco museo permanente. La villa si presenta oggi perfettamente conservata nelle sue linee tardo rinascimentali, caratterizzate dalla massiccia mole quadrata dalla quale avanzano le due torri angolari. Le facciate ritmate da una serie di finestre contornate in pietra, ricordano la linearità di altre opere buontalentiane. L’accesso al parco, ricco di querce, cedri dell’Himalaya, lecci, platani, ginko biloba, noci neri, avviene attraverso un imponente cancello con esedra in muratura ornata da colonne con fastigio.
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Il verde nella magìa della villa Il progetto di allestimento della villa medicea de “La Magia” a Quarrata, sede di VP 2010, ha interessato l’intero parco e le sue adiacenze, coinvolgendo i partecipanti al convegno in un percorso pedonale creato appositamente per far
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apprezzare gli incantevoli scenari del luogo. E’ stato quindi scelto di non rendere accessibile agli automezzi le adiacenze della villa, con un avvicinamento “lento” alla sede del convegno, privilegiando non un percorso diretto, ma una percorrenza lunga, in modo da far apprezzare dai diversi punti di vista il mutevole paesaggio circostante,
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i volumi che compongono Villa La Magia e l’allestimento ideato appositamente per il convegno. Il progetto di allestimento è stato ideato dallo Staff di Vestire il Paesaggio, e l’allestimento a verde è stato curato dal Distretto Rurale Vivaistico, che ha provveduto a fornire ed a disporre le piante. Sono state individuate due aree per la sosta dei mezzi di trasporto: la via Vecchia Fiorentina, che è stata chiusa al traffico, e l’area già destinata a parcheggio posta a SudOvest della stessa via e adiacente al parco della villa. Da quest’ultima area a parcheggio è stato possibile seguire un caratteristico percorso all’interno dell’area boscata, dotato di opportuna segnaletica, che ha costeggiato anche un piccolo specchio d’acqua.
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Il percorso pedonale principale inizia dal cancello della villa, percorrendo il lungo viale sterrato, per proseguire in adiacenza al corpo di fabbrica allungato della “tinaia”. Questo tratto di percorso è stato segnalato dalla sagoma di “Vivaio”, mascotte di Vestire il Paesaggio, che con i messaggi scritti nei fumetti ha accompagnato il visitatore fino all’entrata del convegno. Per schermare le arcate aperte della Tinaia, che hanno ospitato la Sezione editoria, e l’area allestita di fronte alle Scuderie, è stata sistemata una “barriera” di piante di palma che ha seguito la curvatura della strada, obbligando i partecipanti al convegno a costeggiare la via sterrata che conduce al parco. Il percorso, punteggiato a sinistra da un filare di alberi di leccio, è stato arricchito con vasi di piante di bosso di altezza ridotta, intervallandoli con piante della stessa essenza ma a forma conoidale più alte. Al termine del filare, il percorso, caratterizzato come detto dalle piante di bosso, è stato fatto svoltare a sinistra, affacciandosi al centro di una vasta area verde pianeggiante, alla quale si accede passando sotto un’arcata verde di gelsomino, fiorita e profumata. Un dirigibile bianco, con la scritta Vestire il Paesaggio, posizionato in questa area, ha segnalato l’evento.
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Le piante di bosso hanno individuato un corridoio centrale, segnalando il cammino all’interno dell’area, dal quale si sono potute ammirare le suggestive piante formate, e le piante a forma. Così i partecipanti al convegno si sono trovati in un luogo irreale e fantastico, con grandi elefanti e cavalli di Ars Topiaria. L’esposizione delle macchine agricole della ditta
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Pazzaglia hanno costituito lo sfondo visuale del percorso di avvicinamento alla villa, insieme ai volumi delle scuderie con alle spalle il corpo di fabbrica della Limonaia. Una volta usciti da questa area attraversando nuovamente un arco di gelsomino, si è arrivati davanti al grande portone rosso delle Scuderie.
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Nel piazzale antistante le Scuderie è stato allestito il logo di Vestire il Paesaggio, con le lettere VP costituite da sassi bianchi inserite all’interno di un ottagono verde, di prato, a formare un’aiuola erbosa. Nel piano terra delle Scuderie è stata collocata l’accoglienza ai partecipanti al convegno, coadiuvata dagli studenti dell’Istituto Alberghiero Anzilotti di Pescia, con la registrazione dei dati e la consegna del materiale informativo relativo all’evento.
Pianta delle Scuderie – Villa La Magia
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In una saletta adiacente è stata adibita la sala stampa, dove è stato possibile seguire comodamente gli interventi del convegno in un grande schermo, e dove i giornalisti hanno potuto usufruire di una connessione internet. L’ultimo giorno della manifestazione è stata organizzata una conferenza stampa con i giornalisti sia italiani che stranieri presenti. Anche questi ambienti sono stati decorati con piante, di oleandri fioriti.
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Il percorso prosegue all’interno dell’edificio delle Scuderie, dove sono state sistemate due opere della collezione de “I Mirabili”, entrambe dell’artista Carla Tolomeo: la sedia “green parrots”, e un manichino “en fleur”, ricoperto di bellissimi tessuti da haute couture, di sete, velluti e broccati.
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Il percorso prosegue entrando finalmente nel cancello del giardino della villa, attraversando il giardino posto di fronte alla facciata principale. In questo spazio sono state collocate altre opere della collezione de “I Mirabili”, quali la fontana “Le Colonne” in ceramica di Alessandro Mendini ed il “Poliedro di Leonardo”.
Uscendo nuovamente all’aperto, ci siamo trovati davanti ad una piscina con giochi d’acqua, fornita dalla ditta Culligan, circondata da piante fiorite di oleandri e gelsomini.
All’ombra dei secolari alberi di magnolie, è stato sistemato il tavolo per l’annullo postale, creato appositamente per l’evento del convegno.
All’uscita, un diffusore aromatico della ditta Aphea ha diffuso profumi fioriti nell’aria.
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Scendendo la monumentale scalinata curvilinea verso il giardino geometrico con ai lati le due limonaie, è possibile ammirare la splendida vista del giardino terrazzato, con lo zampillo d’acqua della fontana centrale e lo sfondo del paesaggio collinare. Qui il primo giorno del convegno il Centro Culturale il Funaro di Pistoia ha coinvolto i visitatori nella suggestiva atmosfera delle installazioni “Memorie fuori porta”. I luoghi del giardino sono stati abitati da personaggi appartenenti al passato, e il percorso di avvicinamento è stato punteggiato da manichini “verdi”, abbigliati con capi e oggetti d’epoca. Un’altra particolare installazione ha movimentato i momenti di pausa del convegno. Si tratta dell’evento “Quando…la foresta si fa suono” realizzato dalla ditta Ufip di Pistoia, che produce piatti musicali e strumenti musicali a percussione. Vari strumenti percussionistici sono stati sistemati nell’area a sud della villa, integrati con elementi naturali degli alberi e delle piante, come pezzetti di legno e foglie, a disposizione dei visitatori che hanno potuto sperimentare le diverse sonorità. Nel prato si è stagliata un’opera scultorea di Claudio Frosini, raffigurante un aquilone, che ha arricchito il giardino.
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Dal giardino all’italiana si è raggiunta infine la sala del convegno, posta nella Limonaia, di fronte alla quale sono state collocate due sedute di ferro “foglia” di Fabrizio Corneli della serie de “I Mirabili”.
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La sala del convegno, di forma rettangolare molto allungata, è stata organizzata con la zona più vicina al palco con sedie disposte lasciando libero un corridoio centrale. Sono stati ottenuti circa 310 posti a sedere. Il palco rialzato è stato posto nel lato sud-ovest, con la presenza di un grande videowall centrale, che è stato utilizzato per illustrare le presentazioni portate dai relatori, o per rimandare i primi piani dei relatori stessi. Ai lati del grande video, sono stati sistemati due pannelli laterali, raffiguranti uno la villa di Quarrata che ha ospitato il convegno ed un’immagine del territorio rurale pistoiese, e l’altro la città capoluogo di Pistoia con il suo tessuto urbano. Le imponenti sedute lignee di Mario Ceroli della serie de “I Mirabili” hanno caratterizzato l’allestimento, insieme a piante colorate e fiorite di varie specie. Sono stati sistemati degli schermi al plasma nella lunghezza della sala, per permettere un’idonea fruizione del convegno a tutti i partecipanti. E’ stato fornito un servizio di traduzione simultanea in lingua inglese per i numerosi stranieri partecipanti al convegno.
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Il percorso di allestimento di Villa La Magia per Vestire il Paesaggio prosegue nel porticato della “Tinaia”, dove è stata sistemata la Sezione editoria e gli sponsor del convegno. Anche qui l’allestimento a verde ha previsto la copertura delle pareti con alte piante di bamboo.
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Gli spazi interni della Tinaia, anch’essi abbelliti con piante decorative, hanno ospitato la Sessione Poster del convegno, oltre all’esposizione di alcuni pannelli contenenti un resoconto fotografico della precedente edizione di Vestire il Paesaggio del 2007, di pannelli relativi alle varie Floralies che si sono svolte.
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Durante i giorni delle sessioni del convegno 2010, il 1° ed il 3 luglio, il coffee break è stato servito nella corte quadrata interna della villa, alla quale si accede attraversando il corpo di fabbrica principale, arredato con mobili e suppellettili d’epoca. Il tragitto è stato accompagnato da un sottofondo di musica classica, suonata dal vivo da due giovani pianisti. Nella corte si trova l’opera d’arte moderna di Maurizio Nannucci “Anthology two”, parte integrante delle opere d’arte moderna disseminate nel parco e nella villa de La Magia.
Il Buffet all’aperto è stato allestito nel lato nord-ovest esterno alla villa, adiacente alla Tinaia. L’allestimento a verde ha previsto per le pareti della villa la sistemazione di alte piante di bamboo, a coprire la facciata non conservata ottimamente. Ombrelloni bianchi con tavoli tondi e sedie in vimini hanno caratterizzato l’area a buffet.
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Memorie fuori porta: Centro culturale il Funaro In una caldissima giornata di luglio, con i colori forti di una giornata di estate in pieno sole, all’apertura del convegno di Vestire il Paesaggio, una installazione animata di attori e figuranti si è delineata lungo tutto il percorso che conduce al meraviglioso giardino all’italiana di Villa “La Magia”, per arrivare alla limonaia di ponente, sede del convegno.
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In questa breve sospensione del tempo, in prossimità della fontana, una famiglia appartenente al passato, colta durante una “petit déjeuner sur l’erbe” e dedito a intrattenimenti allietati da musica.
La rappresentazione ha condotto gli intervenuti al convegno in un breve viaggio nella memoria. La memoria di un paesaggio che ha trasformato gli incantevoli scorci offerti dallo splendido giardino, in una scenografia dedicata: un percorso con un salotto ricreato in esterno, alberi carichi di piccoli oggetti e citazioni letterarie sui temi del paesaggio, della natura, dei giardini.
Ai margini del percorso, dei manichini antropomorfi creati grazie alle magie dell’arte topiaria e “vestiti” con suggestivi abiti del passato.
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In questo breve spazio, si è concentrato un leggero, leopardiano e singolare corto circuito fra passato, presente e futuro, accompagnato da poesie recitate da un attore,
e dalle note di un pianoforte provenienti dall’interno della villa.
Questo insieme di “vedute” e “suggerimenti” si è consumato nel breve spazio dedicato all’accoglienza, ma si è anche trasformato in un viatico in grado di accompagnare i lavori ricordandoci che la memoria, parte fondamentale del nostro essere anche futuro, è il collante del nostro legame con la natura, e la poesia la chiave giusta per leggere, interpretare e trasformare il paesaggio.
Il primo di luglio gli ospiti di Vestire il Paesaggio sono stati accolti dall’inconsueta e magica atmosfera delle “Memorie fuori porta” proposta dagli attori del Funaro, nella bellezza della Villa Medicea e del giardino della Magia.
Chi giungeva al convegno, è stato accompagnato alla Limonaia, attraverso un percorso abitato da creature fantastiche.
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Questo ha permesso a tutti di immergersi come protagonisti, attori fra gli attori, nella natura circostante; La “Natura”, intesa come parte integrante dell’essere umano, è stata intessuta nel loro stesso corpo, come bisogno inscindibile e necessità primaria. Gli invitati hanno potuto passeggiare nel parco e scoprire figure fantastiche, abitanti di un luogo “magico”, manichini di piante vestiti con un semplice accenno di abiti del passato, personaggi ottocenteschi, “creature verdi” che hanno reso vivo il giardino. Più in la hanno incontrato bambini intenti nei loro giochi, dolcissime giovani donne durante una merenda sul prato, un uomo che passeggiava leggendo un libro. Tutto ciò ha rappresentato l’occasione di vivere un’ atmosfera fuori dal tempo e dallo spazio attuale regalando agli ospiti un’ esperienza del giardino della villa da ricordare.
I numerosi giornalisti italiani e stranieri, affascinati, hanno scattato moltissime fotografie, tanto che le immagini colte in questi momenti di “Magìa” sono state pubblicate in ognuno dei molti articoli scritti sull’Evento.
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La cultura del paesaggio per il benessere dell'uomo Per comprendere pienamente l’edizione 2010 del convegno non è possibile prescindere dall’ immergersi nello splendido contesto dove si è svolto: la Villa Medicea della “Magia” a Quarrata con il grande parco che la circonda, dai giardini settecenteschi ma anche romantici. La principale tematica affrontata in questa seconda edizione di Vestire il Paesaggio è stata dunque quella dell’uso del verde per migliorare la qualità della vita, affrontata in tutti i suoi più diversi e molteplici aspetti.
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Il Presidente dell’AIAPP Paolo Villa, in controtendenza, ha elencato tutti gli approcci errati che una recente e improvvisata cultura del verde genera soprattutto nel paesaggio urbano ed ha fatto un elenco di come agire. In modo didascalico, mettendo da parte il linguaggio paludato, ha costruito una gradevole litania del fare: “Fare fronte, fare sito, fare a piccoli passi, fare meno e subito, fare immagine, fare spazio, fare bene, fare equilibrio, fare strano, fare insieme e continuare a fare”. La forma di questo intervento, assimilabile ad un prontuari di saggezza operativa, ha estremamente interessato e coinvolto anche il pubblico meno addetto ai lavori. Fra gli approcci al verde criticati da Paolo Villa non sono mancati i giardini verticali, spesso citati in questo convegno, un pò come moda del momento e un pò come ricerca dell’originalità a tutti costi.nna Lambertini, fra gli esperti più autorevoli in questo settore nel nostro paese è riuscita senza pregiudizi e grazie alle sua conoscenze approfondite sull’argomento a collocare questa esperienza, che va diffondendosi, nel suo esatto ruolo nel panorama della paesaggistica internazionale.
Questa edizione del convegno si è svolta su tre giorni e le diverse tematiche sono state affrontate in altrettante sessioni:
Il sistema del verde per la città Il verde per qualità della vita La qualità delle opere a verde Dopo i saluti delle autorità, la relazione principale è stata affidata allo spagnolo Ferdinando Caruncho, “Tra l’idea ed il paesaggio”, che nella sua doppia veste di filosofo e paesaggista, ha parlato dei segni di speranza che un ritorno alla natura può accendere, un ritorno ai valori autentici della vita, ai valori morali della vita, un’alternativa di “meraviglia e di splendore” ai messaggi negativi che provengono dalla crisi economica internazionale. Certamente la poesia delle parole di Caruncho ha subito messo in evidenza la centralità del verde a tutte le scale, dal giardino al paesaggio. Come non è oro tutto quello che luccica, così non bisogna avere visioni fideistiche sul verde a qualunque costo. “L’indissolubilità tra le esigenze del cuore e le la costruzione del paesaggio ci rende responsabili per le prossime generazioni. Attraverso lo studio dell’ambiente cerco di trovare il suo significato e, in un rigore che per me è anche profondo rispetto dei diversi elementi, creare un progetto che valorizzi i luoghi e sia una testimonianza di questo legame”. Fernando Caruncho
Ma non solo giardini, non solo verde urbano a questo convegno. Il paesaggio ha aleggiato sempre, in tutte le relazioni. Una particolare attenzione merito l’intervento di Massimo Morisi, garante per la comunicazione della Regione Toscana che ha rinnovato l’attenzione sul 10° anniversario della firma della Convenzione Europea del Paesaggio avvenuta il 20 Ottobre 2000 a Palazzo Vecchio a Firenze, annoverando Vestire il Paesaggio come anteprima degli eventi celebrativi previsti in Toscana. La Presidente dell’INU Toscana, Silvia Viviani, ha parlato dei paesaggi di domani ponendosi la domanda: “Speranza o rischio? Questi i due diversi atteggiamenti influenzano il nostro presente. I paesaggi di domani sono i paesaggi che avremo saputo conservare, quelli che saremo stati in grado di rigenerare e quelli che avremo avuto il coraggio e la maestria di creare”. Silvia Viviani
Il carattere internazionale del Convegno quest’anno è stato sottolineato non solo dalla relazione di apertura di Caruncho, ma dalla presenza di numerosi ospiti stranieri provenienti da ben otto paesi. Da segnalare la presenza di due brillanti relatrici danesi, Hanne Bat Finke e Kristine Jensen, vincitrice della Biennale del Paesaggio di Barcellona, che hanno offerto una visione originale e fuori dagli schemi usuali nella progettazione degli spazi aperti. Il collega spagnolo José Ballester-Olmo Y Anguis ha dato al suo
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intervento un taglio storico, mente la collega Joulia Georgi ha mostrato i tentativi messi in atto ad Atene per interconnettere le aree verdi in una metropoli dove un’espansione urbana irrazionale ha fagocitato ogni vuoto urbano.
In questa sessione è apparso evidente nell’alternarsi degli interventi, l’approccio teorico, spesso considerato avulso dalla realtà, di alcuni accademici e la concretezza delle esperienze decennali di un Giovanni Barbariol e di un Paolo Odone che hanno catturato l’attenzione dei partecipanti esponendo con estrema semplicità ed efficacia quello che bisogna fare per avere un verde pubblico di qualità.
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crescere in cultura, norme tecniche di qualità a garanzia di risultati più consoni alla qualità paesaggistica nazionale. La seconda parte della giornata si è invece incentrata su quello che poi è stato un po’ il filo conduttore di tutto il convegno: la qualità delle opere a verde ed il verde per migliorare la qualità della vita. Una panoramica di molte esperienze di giardini realizzati in funzione di necessità specifiche e con attenta valutazione delle forme e delle piante che sono da supporto alla cura ed alla emotività psico-fisica. Dalle patologie più croniche come l’Alzheimer, ai giardini per ciechi e più in generale dei cinque sensi, che si vanno diffondendo nelle zone di cura sanitaria per lo stimolo delle sensibilità soffocate e da risvegliare. E’ stata poi realizzata un’ampia presentazione della “Terapia assistita con le piante”, vale a dire la “Horticultural Therapy”, che promuove l’orto-giardinaggio come attività di sostegno alle cure mediche tradizionali per la prevenzione ed il recupero di varie forme di patologie psico-fisiche e che provoca effetti benefici sui pazienti affetti da disturbi fisici e psichici grazie al contatto con la natura.
LE TEMATICHE DEL CONVEGNO - Il sistema del verde per la città; - Le politiche per il paesaggio; - Gestione del verde, salute e giardini terapeutici; - Problematiche delle professioni del verde; - Manifesto per il verde
Purtroppo queste straordinarie personalità vanno lasciando il proprio ruolo senza essere sostituite e dall’altra parte, in moltissime situazioni, il mondo universitario, viene rinchiuso e costretto in un asfittica ricerca teorica priva di confronto con la realtà di tutti i giorni. La terza ed ultima giornata della manifestazione, nella sua prima parte, è stata dedicata al confronto fra produttori, progettisti e costruttori del verde, con un dibattito animato sapientemente dall’esperto giornalista RAI Luigi Carcone.
Gli incontri tra produttori, progettisti ed amministrazioni, sono stati degli utili momenti di riflessione ed approfondimento tecnico e gestionale della componente vivaistica delle opere a verde, consentendo al settore di
Non possiamo qui dimenticare il contributo dell’Associazione Italiana Direttori e Tecnici Pubblici Giardini, coloro che ancora con tenacia tentano di salvaguardare un settore che in molte città vogliono smantellare o hanno già smantellato. A questi tenaci curatori del verde urbano è stata affidata la gestione di una sessione, presieduta dal presidente dell’Associazione Stefano Cerea.
Da segnalare in questa sessione il brillante intervento di Giovanni Nardelli della città di Brindisi, fra i più motivati tecnici della nuova generazione: non a caso è stato insignito in questa occasione del Premio “Angelo Tosi”. Sempre per parlare di premi, un doveroso cenno va fatto al Premio “Pietro Porcinai”, prestigiosa istituzione voluta dal Direttore di Acer Giovanni Sala, arrivato alla sesta edizione, un premio che quest’anno cade nel centenario della nascita del grande paesaggista fiorentino.
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Un primo significativo risultato del convegno 2010, volto ad un impegno reale della progettazione del verde per la qualità della vita, è stata la firma del “Manifesto europeo del verde”. Un messaggio rivolto direttamente all’Unione Europea partito da Pistoia! Vestire il Paesaggio è stata l’occasione per elaborare e proporre l’approvazione da parte dei presenti di questo manifesto, con indicati i valori di rispetto ambientale e di sviluppo del territorio che saranno il legame di tutta la rete di operatori, studiosi e addetti del settore. Le realtà che vi hanno aderito, si sono impegnate a creare un Osservatorio del Verde Urbano e del Paesaggio, mettendo in rete le numerose esperienze già presenti nei vari paesi dell'Unione Europea. Fondamentale sarà inoltre il sostegno di tutte le azioni che in ambito regionale, nazionale ed europeo, perseguano l'obiettivo di aumentare e migliorare la funzionalità e la fruizione del verde a disposizione degli abitanti nell’Unione Europea.
I NUMERI DI VESTIRE IL PAESAGGIO 2010: Oltre 500 partecipanti, oltre 60 giornalisti italiani e stranieri, 90 relatori da 8 paesi europei, 12 mostre allestite, 16 vivai visitati dagli ospiti, presenti tutte le maggiori associazioni di settore nazionale ed internazionale; oltre 10.000 accessi dal 15 aprile al 3 luglio 2010 al sito internet http://vestireilpaesaggio.provincia.pistoia.it
L’edizione 2010 con la sua articolazione, ha permesso un ampio scambio di esperienze e conoscenze, tra tutti coloro che ne sono stati coinvolti, in maniera particolare per gli esperti ed operatori del settore. Pur essendo soltanto alla seconda edizione, la manifestazione si è rivelato un importante punto di riferimento per un'ampia gamma di addetti al settore: ricercatori scientifici, tecnici e progettisti, produttori e giornalisti, i quali, hanno avuto la possibilità di aggiornarsi, di ampliare la gamma delle proprie relazioni professionali e di “registrare” il quadro della situazione piante-ambiente nazionale ed internazionale, insomma a svolgere un’attività che altrimenti richiederebbe moltissimo tempo. Proporre quindi idee innovative per la progettazione del paesaggio, utilizzando pienamente le opportunità offerte dall’ampia gamma di piante coltivate nel distretto pistoiese ed inoltre fare emergere nuovi indirizzi di ricerca per la produzione di alberi ed arbusti, sempre più rispondenti alle nuove tendenze della paesaggistica ed alle diverse istanze della attuale realtà internazionale. Il messaggio di VP 2010 è stato dunque, come ben sottolineato anche dalla Dr.ssa Elena Accati, Professoressa di floricoltura e docente di Parchi e Giardini nel suo intervento, quello di far capire l’importanza che ormai le piante ed il verde rivestono nella vita dell’uomo.
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Le piante sono il vestito naturale del paesaggio, insieme alle altre componenti naturalistiche, che tuttavia, più di altre può essere dimenticato o abbandonato alla sua ordinaria fragilità. Diventa dunque fondamentale il ruolo dei professionisti del paesaggio che devono dare vita a realizzazioni piacevoli e durevoli nel tempo, esigenza inderogabile in ogni progettazione del verde, che richiede di disporre del ricco bagaglio culturale che le scienze agronomiche e paesaggistiche sanno fornire. Elena Accati
Vestire il Paesaggio risulta oggi come un intervento specialistico interdisciplinare che i vivaisti ed i paesaggisti sono chiamati a promuovere e ad interpretare con un nuovo linguaggio promozionale, prevalentemente botanico e vivaistico, che nella maggior parte delle proposte viene trascurato a favore di materiali e strumenti più tecnologici, ma che non rispecchiano la natura e le componenti ambientali del paesaggio, nè tanto meno del suo vestito. Gli ospiti di Vestire il Paesaggio nell’ambito del programma della manifestazione, hanno visitato dal centro storico di Pistoia al parco Collodi, dalla Fattoria di Celle alla Villa Stonorov della Fondazione Vivarelli, da Villa La Magia di Quarrata, alle Terme di Montecatini.
Queste esperienze sono state un occasione di promozione, un biglietto da visita di tutto il territorio che, partendo dai vivai, tanti e diversi “giardini a cielo aperto”, ha promosso la Provincia a tutto tondo!
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Relazioni ed interventi
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Federica Fratoni Presidente della Provincia di Pistoia
Sabrina Sergio Gori Sindaco del Comune di Quarrata
Il mio è un brevissimo saluto ed un grande benvenuto nella splendida cornice di Villa la Magia. Devo ringraziare la Provincia di Pistoia che ha scelto questa magnifica villa per il convegno. Per noi motivo di grande orgoglio ed è un'occasione per poter sperimentare sul campo, il valore di un bene tanto prezioso per tutta la collettività. Devo ringraziare tutti coloro che nel mio Comune hanno lavorato per rendere possibile questa manifestazione, collaborando con gli straordinari operatori della Provincia di Pistoia, così come ringrazio la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia per aver creduto in tutto questo. Si parla di salute e di economia e dal momento che stiamo vivendo un periodo difficile e critico nel quale, ognuno di noi al proprio livello, privato o pubblico, istituzioni, professionisti, la società, ha l’impegno e il dovere di lavorare insieme, per uscirne fuori e cambiare. Questa crisi può essere un momento terribile ma anche un momento di ripartenza. E allora io per finire, per salutarvi vi leggo una poesia di Emily Dickinson che mi pare adatta alla circostanza:
C’è una forza nel provare che puoi resistere a ciò che ti distrugge, a che servono i nodi di una fune come la tua se non per sopportare, una nave sarebbe di raso se non dovesse lottare, per camminare sui mari ci vogliono piedi di cedro. ... Io credo che la nostra Provincia li abbia”
Siamo giunti alla seconda edizione di Vestire il Paesaggio, per me una eredità importante, raccolta dalla precedente amministrazione e portata avanti con orgoglio e decisione, pfino ad arrivare a questo nuovo appuntamento, ancor più ricco di contenuti e di iniziative. E’ un appuntamento che la Provincia di Pistoia, con la preziosa collaborazione della Fondazione Cassa di Risparmio, della Regione Toscana, dei comuni di Pistoia, Pescia e Quarrata, porta avanti con grande impegno e dedizione, perché crediamo racchiuda in sé parte dell’identità stessa del territorio pistoiese. Il verde dei suoi vivai e le produzioni tipiche, proiettati però verso scenari internazionali e verso un futuro da creare, fatto di nuove architetture e sinergie. Perché “Vestire il Paesaggio”? Sempre più spesso oggi sentiamo parlare di paesaggio come patrimonio culturale, come specchio di una realtà sociale, come quadro composito di esperienze storiche e vicende umane vissute da un territorio. Credo, infatti, che una riflessione sul paesaggio non possa prescindere dal considerare l’intenso legame che esiste tra uomo e territorio. Il paesaggio attuale è percorso dalla suggestione delle grandi metropoli contemporanee, che disegnano gli spazi guardando al futuro e che inevitabilmente trasformano il territorio, attraverso l’innovazione tecnologica e l’ammodernamento produttivo. Ma accanto a questa realtà, che è ineluttabile in un mondo civilizzato, ne esiste un'altra, una sorta di substrato che caratterizza fortemente il territorio e che lascia tracce indelebili della sua presenza. Penso a quel paesaggio fatto di sentieri, di percorsi, di borghi, di microcosmi quasi isolati, che conservano l’identità di un luogo, la sua più vera essenza e soprattutto ne identificano le differenze. Ecco, credo che nell’ottica di un linguaggio globale, percorrendo la strada dello sviluppo e della modernizzazione, non si debba mai perdere il valore del paesaggio come immagine semantica di un territorio, come paesaggio stesso delle differenze. Uomo e storia segnano inevitabilmente un territorio, ne mettono in luce le potenzialità e le originalità: saper leggere tutto questo significa riuscire a far coincidere l’esigenza di innovazione con quella di conservazione delle peculiarità, del patrimonio culturale e civile che ogni luogo racchiude, evitando al tempo stesso il pericolo di speculazioni o di degrado ambientale.
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In questo senso, il “Paesaggio di Pistoia “ fatto di verde e di una tradizione fortemente legata alla produzione florovivaistica, grazie alla collocazione geografica, alle caratteristiche del terreno, al clima rende Pistoia capitale europea del verde.. Questo territorio rappresenta una realtà unica nel mondo per dimensioni e concentrazione territoriale, possiede un centro di produzione di piante ornamentali da esterno capace di coprire le richieste di un'area geografica, che va dal mediterraneo al centro nord dell’Europa. Il verde attraversa Pistoia, la sua realtà storica e il suo paesaggio ed oggi torna prepotentemente attuale, come elemento imprescindibile di una architettura più legata alla dimensione umana. Ne sono testimonianza i temi stessi legati all’Expo: l’edizione di quest’anno a Shangai, che vede anche una partecipazione pistoiese, e la prossima, fra cinque anni, a Milano, che mi auguro ci vedrà grandi protagonisti. Un altro esempio, quello della città di New York, che ha pensato di recuperare i vecchi percorsi della metropolitana, ormai in disuso, con aree a verde, alla ricerca di una realtà e di una dimensione, alla quale l’uomo moderno non può rinunciare. E’ in questo contesto che si inserisce la grande esperienza di Vestire il Paesaggio, una manifestazione nata per fare di Pistoia non solo un punto di riferimento produttivo, ma anche un centro culturale e scientifico, da dove far partire una più ampia riflessione sulle caratteristiche dei paesaggi del terzo millennio e sul materiale prodotto, nell’ottica di un miglioramento dei nostri ambienti e dei nostri territori. Un meeting internazionale, tre giornate di confronto con coinvolgimento di produttori del verde e paesaggisti. Non solo, Vestire il Paesaggio si articola in tante altre iniziative parallele, che hanno coinvolto e coinvolgono tutto il territorio, dal progetto per la scuola Mi vesto di Verde, alle mostre allestite a Pistoia, alla consegna di due importanti premi come il Premio Pietro Porcinai a Pescia e il Premio Angelo Tosi.
Verde e qualità della vita è il tema di questa seconda edizione di Vestire il Paesaggio, che vuole aprire una riflessione importante sull’effetto terapeutico delle piante, riconosciuto a livello scientifico, e sul conseguente bisogno di costruire spazi urbani sempre più ispirati a criteri di qualità e di sostenibilità ambientale. Una riflessione che si fa ancor più attuale a partire proprio dal contesto locale.
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A Pistoia e, in generale, in Toscana, infatti, è prevista la realizzazione di nuove strutture ospedaliere, con una particolare attenzione rivolta alle caratteristiche paesaggistiche, al verde e all’utilizzo di piante non allergeniche con qualità specifiche legate all’ambiente e alle loro funzioni. Non solo, è anche un tema che guarda al futuro e che proietta il distretto pistoiese nel contesto dell’ Expo 2015, un evento internazionale, che vede il nostro paese protagonista, e dove intendiamo fare di Pistoia un terminale di riferimento per la produzione florovivaistica di eccellenza.
Concludo con i dovuti ringraziamenti a tutti coloro che hanno permesso con la loro preziosa collaborazione la realizzazione di questa seconda grande esperienza. Ringrazio la Fondazione Cassa di Risparmio, la Regione Toscana, la Camera di Commercio di Pistoia e i Comuni di Pistoia, di Quarrata e di Pescia per il loro importante contributo. Un ringraziamento speciale ai vivaisti del Distretto Rurale Vivaistico Ornamentale, per gli allestimenti e il verde, e con loro anche a Mirabili Arte d’Abitare e a Ufip, per l’importante apporto creativo e artistico dato alla manifestazione. Un ringraziamento generale, infine, perché sarebbe impossibile citarli tutti, agli enti e alle aziende che hanno collaborato all’evento. Un ringraziamento anche alla stampa, nazionale ed estera, che numerosa ha raccolto il nostro invito ad essere presente: a loro va il mio personale benvenuto. Infine permettetemi un ringraziamento al personale della Provincia magistralmente coordinato e diretto dal dottor Ferretti che ha reso possibile tutto questo con grande passione e con grande dedizione, a loro va veramente tutta la mia riconoscenza e il mio affetto e ancora un benvenuto a Pistoia, un ottimo soggiorno e un buon lavoro per questa seconda edizione di “Vestire il Paesaggio”.
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Ivano Paci Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio Pistoia e Pescia
Unisco il mio caloroso benvenuto a quello del sindaco di Quarrata e a quello del Presidente dell’Amministrazione Provinciale, e a tutti gli intervenuti a Villa La Magia, la Magia o la Magìa, credo che entrambi gli accenti si vadano a confondere nella realtà così bella, così stupenda, così straordinaria che abbiamo visto stamani mattina, mi veniva un pensiero: questa è una Villa medicea, i Medici sapevano, tramite i loro architetti e tramite i loro giardinieri,pensare e produrre “Paesaggio” molti secoli prima di oggi, con una peculiarità però; che loro pensavano e costruivano il paesaggio per pochi, una visione elitaria per i potenti ed i ricchi di allora. Noi oggi abbiamo e dobbiamo avere una prospettiva diversa più complicata e difficile. Oltre al benvenuto mi unisco anche al ringraziamento della Presidente della Provincia, per tutti coloro che hanno contribuito a rendere possibile l’incontro di stamani e condivido il particolare apprezzamento per l’opera per l’impegno e per il lavoro svolto dal Servizio Pianificazione dell’Amministrazione Provinciale guidato dal Dottor Ferretti con i suoi collaboratori. Io non parlerò della Fondazione, del resto il fatto che noi siamo qui come copromotori, come coorganizzatori di questo evento dimostra che diamo grande importanza a ciò che questi eventi tendono a realizzare,così come il riconoscimento esplicito, che mi ha fatto piacere, del sindaco di Quarrata su che la Fondazione ha finanziato in questo magnifico ambito architettonico e naturale, anche questo spiega le finalità della nostra azione, che peraltro, abbracciano anche, come tutti sanno, altri settori: dall’educazione, la formazione, la sanità, il volontariato, l’ambiente ed altro. Ma tornando al discorso di oggi, vorrei notare che si realizza l’auspicio che avevamo formulato, col dottor Ferretti, con il Presidente Venturi, nel 2007 cioè quando decidemmo di fare questa iniziativa e pensavamo anche ad una sua continuità nel tempo, e siamo quindi alla seconda edizione, siamo a trovarci di nuovo confortati dal successo della prima ,perché nel 2007 potevamo dire, alla fine di altri tre giorni di grande lavoro, che gli scopi che si volevano realizzare erano stati raggiunti, e quindi nonostante le difficoltà che tutti noi conosciamo legate all’avarizia dei tempi, siamo a questa seconda edizione, un evento che si ripete per dare continuità ad un discorso avviato, voluto e organizzato appunto dall’Amministrazione Provinciale e dalla Fondazione. Un evento che si ripete ma non uguale, si ripete rinnovandosi, contiene molte novità di iniziative e di contenuti, basta scorrere il programma, sono diversi i luoghi, le visite, le mostre e le altre attività connesse.
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Il tema di questa edizione prevede un argomento generale: “Come si pensa e come si produce il paesaggio” e uno complementare ,a carattere direi finalistico, “Il verde per migliorare la qualità della vita”. C’è un legame strettissimo tra il pensare di produrre paesaggio e realizzare le condizioni per una migliore qualità della vita. L’enunciazione dei temi chiarisce l’approccio culturale al problema, il paesaggio di cui si parla è quello che cade sotto la nostra responsabilità, un paesaggio non solo ricevuto per effetto delle vicende naturali ma che è possibile pensare e produrre. Il paesaggio di cui parliamo è allora quello che concorre a formare l’ambiente del nostro vivere, del nostro abitare del nostro lavorare, è il paesaggio umanizzato che reca l’impronta della nostra cultura, dei nostri valori, dei nostri bisogni e anche dei nostri limiti. È il paesaggio che riceve dall’uomo e dalle sue attività e dalle sue scelte, un’impronta che caratterizza la qualità e diciamo rivela la cultura che anima una collettività, su questo paesaggio antropizzato l’uomo e soprattutto le istituzioni possono incidere,attraverso scelte ed azioni che hanno il paesaggio medesimo come oggetto di decisioni consapevoli. Pistoia ed il suo territorio costituiscono credo una sede privilegiata per parlare di questi problemi, qui a Pistoia sappiamo bene come produrre le piante, come venderle, in Italia ed all’Estero, come comporle a costituire ambienti gradevoli e di grande efficacia, il richiamo alla presenza dei nostri vivaisti alla Esposizione di Shangai è del tutto pertinente.
Per restare nella metafora del tema generale, sappiamo come produrre la stoffa con la quale realizzare la veste che trasforma un paesaggio “ subito”, direi ereditato, ricevuto, frutto spesso di scelte casuali di altra natura, in un paesaggio “voluto”, appunto,pensato, ispirato da una cultura che vede al centro l’uomo e il suo benessere globale come persona e come comunità organizzata sul territorio. Questo paesaggio deve essere pensato, progettato, realizzato, tutte funzioni connesse alla produzione ma che hanno un legame più complesso con saperi specifici, con competenze altre e divers con una visione culturale più ampia e integrata in feconda interdipendenza con la competenza di chi produce, ricerca nuove varietà sperimenta nuove tecniche si espande in nuovi mercati Il pensiero progettuale può orientare la produzione ma quest’ultima può a sua volta influire sulle soluzioni che vengono prospettate, per Vestire il Paesaggio pensarlo e produrlo, occorrono competenze e funzioni diverse fra loro ma fortemente integrate e interconnesse.
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Ritengo di poter dire che è per questo che ci troviamo insieme in questi tre giorni di approfondimento concettuale e di contatto con situazioni reali, per confrontare conoscenze, competenze, esperienze e proposte. In questo modo possiamo immaginare che si realizzi una feconda sinergia tra le competenze scientifiche e realizzative e progettuali e chi invece ha accentrato la sua attività realizzando obiettivi di grande valore ed efficacia e si dedica alla produzione, in questo modo sarà possibile produrre paesaggio nel senso che abbiamo considerato. Ispirato da questo quadro di riflessioni credo il convegno vuole essere anche un segno di fiducia in un momento in cui sembrano prevalere tendenze contrarie e dare fiducia nel nostro futuro, fiducia nel nostro lavoro, e per quanto concerne il convegno, fiducia nel vostro lavoro voi che avete competenza esperienza e potete quindi segnare nuovi avanzamenti nelle riflessioni e nelle realizzazioni in questo campo. Ci attendono, vi attendono giorni di lavoro intenso con un programma ricco anche di occasioni per conoscere alcune significative realtà del nostro territorio. Il numero e la ricchezza dei contributi che saranno offerti alla comune riflessione, la qualità e il prestigio dei relatori, la rilevanza degli operatori presenti, ci danno la certezza dei risultati all’altezza delle aspettative di tutti. Renzo Berti Sindaco del Comune di Pistoia
È gia stata sottolineata la coincidenza di questo appuntamento con una fase particolarmente problematica della vita economica sociale e civile di tutto il paese, potrebbe quasi apparire una contraddizione trovarci oggi a riflettere sulle cose belle, sulle cose che possono dare un contributo alla qualità della vita, quando il rischio che aleggia è quello di un ripiegamento, del timore del tentativo di trovare un riparo, un guscio nel quale rannicchiarsi per riuscire a resistere, ma viceversa sono proprio questi i momenti nei quali occorre fare uno sforzo ulteriore in aggiunta a quello della difesa e cioè guardare avanti, rilanciare, provare ad investire con coraggio, con determinazione. Parliamo del resto di un mondo che per il nostro territorio ha un’importanza non solo sottolineata dalle cifre che avete veduto nel video introduttivo, sono numeri impressionanti ai quali però bisogna aggiungere il dato qualitativo; un dato che si presta ad una fruizione larga, nel quale possiamo intuire e apprezzare l’importanza che al tempo stesso ci fa comprendere anche la necessità di uno sforzo supplementare che va nella direzione che mi suggeriva il moderatore di questo incontro. Viviamo una fase in cui c’è
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il rischio di un restringimento del repertorio dei diritti e delle opportunità e quindi perché non reagire sottolineando viceversa l’importanza che questa qualità della vita, unita alla lunghezza della vita che è un dato di performance molto positivo per il nostro territorio, possa essere frutto anche di questo sforzo. Il verde è qualcosa che è sempre più nelle corde della sensibilità sociale, il verde si presta ad un evidenza concreta di quel binomio talvolta risorto in forma ossimorica dello sviluppo sostenibile. Qui siamo viceversa a constatare come lo sviluppo può essere davvero sostenibile proprio quando apprezziamo la capacità produttiva delle nostre aziende vivaistiche. Un dato che ci fa riflettere anche sulla storia e sul significato di emancipazione economica e sociale che sta dietro questo percorso ormai antico, dato che ha di fronte a sé una prospettiva fondamentale. Non sarebbe certo sufficiente accontentarci della qualità esistente, dei dati produttivi, essere consapevoli che in questa fase il nostro territorio ha trovato nell’esperienza vivaistica un’importante stampella su cui appoggiarsi. Occorre guardare avanti, occorre uno sforzo di lungimiranza per comprendere come ci sia bisogno di innovazione, di investimento, di un lavoro nella ricerca, che possa trovare un contributo dalle stesse esperienze universitarie locali più forte di quello che abbiamo alle spalle. Un dato che possa quindi essere lo spunto per un’azione ancora più coesa all’interno di questo mondo produttivo considerato che la gamma delle esperienze aziendali non è solo nutrita ma anche molto diversificata nelle sue caratteristiche nel dialogo tra queste e le istituzioni, l’esperienza del Distretto, che è un’esperienza ancora recente, un'esperienza della quale abbiamo avuto evidenze positive ha consentito di intessere un confronto, non formale, ma un confronto produttivo di risultati, quindi un buon viatico per andare oltre. Io penso che anche attraverso questo convegno, questa nostra iniziativa, tramite l’incrocio delle tante energie, questo sentiero che oggi vediamo particolarmente stretto, possa trovare il modo di allargarsi e magari anche ridurre un po’ il suo profilo così in salita che oggi vediamo molto impegnativo. Certamente ci possono essere occasioni in cui dare evidenza fisica in questa crescita, in questo sviluppo, come l’importanza di una crescita armoniosa della città in cui anche il verde possa essere un elemento guida. Il comune di Pistoia è un comune molto esteso, un comune grande, un comune che ha 237 Kmq di territorio. Una parte importante di questo, diciamo pure la parte prevalente, è a verde perché è data dalla cornice montana della bella fascia collinare, e quindi lì già esistono evidenze diverse da quelle che si trovano oggi al centro della nostra attenzione ma altrettanto apprezzabili. C’è poi la pianura con la sua realtà splendida dei vivai, questa grande risorsa, questa grande potenzialità e c’è il circuito cittadino, il centro storico, la città storica, nella quale con fatica ma con volontà e con una progressione che si può apprezzare, il verde torna sempre più a farsi presente può trovare un modo di incrociare in termini positivi la disponibilità delle aziende io credo che oggi quando possiamo contare su momenti di abbellimento anche di piccole porzioni di verde anche non importa pensare soltanto ai grandi parchi e giardini ma anche delle zone così minute che possono essere occasione di piacere perché frequentarle anche solo vederle da questo tipo di emozione
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questo tipo di risultato e al tempo stesso diventi una vetrina della nostra capacità produttiva l’evidenza palese di questa grande capacità questo possa essere davvero un connubio positivo e questo lo dico anche perché vorrei ringraziare coloro, le aziende il distretto le associazioni del mondo vivaistico che in questi anni si sono resi disponibili a metter sul campo questo tipo di opere hanno contribuito alla crescita delle qualità complessiva della città io concludo dicendo una cosa che è particolarmente rivolta proprio al mondo del vivaismo e alle aziende perché in questi anni di esperienza da sindaco reso consapevole che c’è ancora molta strada da fare ho cercato qualcosa dirla in questo breve saluto c’è una strada che è fatta della concretezza, delle cose che si mettono in campo, ma c’è una strada che è fatta di cultura e se volete di psicologia che è data dalla capacità reciproca parlo della città del mondo dell’agricoltura del mondo del vivaismo di superare antiche diffidenze remore e pregiudizi c’è bisogno di fare uno sforzo. Io credo che oggi ci siano le coordinate positive, la volontà da parte delle istituzioni e non solo perché questo sforzo possa produrre dei risultati concreti, credo che questa nostra riflessione queste tre importanti giornate in questa suggestiva cornice possano essere un viatico ulteriore, un elemento positivo per arricchire questa prospettiva. Gianni Salvadori Assessore all'Agricoltura della Regione Toscana
Vorrei ringraziare tutti per questa occasione, data anche alla Regione Toscana, per avere la possibilità di esprimermi su un argomento come quello oggetto di questa bella manifestazione di cui e’ importante sottolineare la peculiarità e le prospettive. Vorrei far sì ,che la Regione fosse a fianco di questa esperienza oggi e nel futuro, perché noi abbiamo bisogno di parlare al mondo. La Toscana è una Regione che non solo ha intenzione ma vuole, con tanta caparbietà e decisione parlare al mondo, non fermarsi a farlo con i Toscani ma sulle cose sulle quali siamo in condizione di parlare al mondo,lo vogliamo fare in maniera incisiva. Per il “Verde” possiamo farlo con autorevolezza, siamo infatti la regione più boscata d’Italia e siamo ugualmente la regione connotata dalle colline, dai cipressi e dagli olivi,come quella delle tante valli, della valle riconosciuta patrimonio dell’UNESCO, siamo la Regione che esprime con la presenza del vivaismo, come sottolineano i dati appena espressi dal Sindaco, la più grande e bella concentrazione di vivaismo di tutta l’ Italia.
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Noi dobbiamo partire da qui per parlare al mondo di verde, per parlare al mondo di Paesaggio, per parlare al mondo di riduzione della CO2, noi abbiamo quindi questo grande progetto che vogliamo fare con le istituzioni locali e con tutti gli operatori del Vivaismo Pistoiese, perché le loro, sono delle grandi esperienze da sostenere perché parlano gia’ a tutto il mondo ed è giustissimo che la Regione e le istituzioni sostengano questo grande percorso che porta non solo il vivaismo ma tutta la Toscana nel mondo. La prima riflessione, noi dobbiamo chiedere esplicitamente all’Europa di non dimenticare, anzi di mettere come primo elemento di riflessione nella riforma della PAC, che ormai si è avviata e che arriverà a conclusione nel giro di un anno, il tema dell’”Agricoltura come Bene Pubblico” e di conseguenza in quanto condizione che caratterizza l’agricoltura come Bene Pubblico se non il Paesaggio, e di conseguenza la tutela del verde. Su questa vicenda dobbiamo farci una grande battaglia, perché probabilmente su questo rischiamo di trovarci isolati, ma è fondamentale pensare al futuro dell’agricoltura come bene pubblico perché non vi sarà condizione per mantenere in piedi la nostra agricoltura, se non questa . Dobbiamo impegnarci tutti, perché questo tema rappresenti l’obiettivo su cui convincere i 27 paesi dell’Unione Europea ad accettare una conferma della PAC che consideri, per le misure e le attribuzioni , la dimensione di questa condizione nella nostro paese. Io lancio un appello al Governo di questo paese, noi vorremmo dialogare con questo governo anche su questi argomenti, perché è assolutamente impensabile un confronto tra la regione Toscana e la Francia e l’Inghilterra, noi vogliamo parlare come Sistema Paese In questo momento di confronto europeo denuncio con tanta forza l’assenza catastrofica del governo Berlusconi su questi temi, Sarkozy ha parlato, hanno parlato in tanti mentre noi non abbiamo un’espressione sulla riforma della PAC a livello di governo del nostro paese, Il governo attuale propone di azzerare l’articolo 117 della nostra Costituzione e recuperare il Piano di Sviluppo Rurale a livello nazionale, quando a governare c’è la Lega che ritiene il federalismo una delle battaglie da fare! E’ vero proprio l’opposto: noi in Toscana da sempre federalisti continuiamo a dire che il piano dello Sviluppo Rurale deve essere regionale, perché in questo modo teniamo conto delle attenzioni al territorio in maniera vera.
Il governo deve guidare un paese, un governo deve essere interlocutore dell’Europa su queste cose, coordinare le Regioni dandoci obiettivi comuni, altrimenti sarà una battaglia difficilissima se non abbiamo questo aspetto, guardate noi non possiamo tutelare il Paesaggio con il prezzo da dare ai beni dell’agricoltura, perché non e questo
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il modo possibile per esempio pensate agli olivi ma quanto dovremmo far pagare un litro d’olio per tutelare il tanto decantatao Paesaggio Toscano? Finisco su questo dicendo che cosa? Noi dobbiamo far leva sul vivaismo per modellare il Paesaggio non solo in Italia ma in Europa e nel Mondo. Il vivaismo è al centro della nostra attenzione della Regione per alcuni aspetti estremamente rilevanti : Tutta la problematica fitosanitaria, il rapporto tra vivaismo e ambiente, tutte questioni su cui dobbiamo discutere, e siamo spronti anche a metter mano al vivaismo e credito. Su un aspetto credo sarebbe utile ragionare,e vorrei lo dicessero i sindaci prima di me perche’ e importante pensare a come le città toscane possano fare tesoro di questa grande presenza di vivaismo in Toscana, modellando le proprie città, ripensando ai polmoni verdi, ed a tutto quello che ci consente di guardare anche ad un futuro cittadino in questa dimensione in ambiente che risponda alle attese con essenze toscane. La seconda cosa è la promozione, questa è un’iniziativa che si colloca a meta’ tra la riflessione e la promozione del verde e del paesaggio e del vivaismo ; io sono convinto di questa cosa ed il confronto è ormai aperto con le Istituzioni, con Toscana Promozione, con UnionCamere, in Toscana dobbiamo trovare una unità di governo della nostra promozione ,i fondi pochi e saranno sempre piu’ esigui , purtroppo drammaticamente, e non e’ che la situazione migliori nel futuro con i tagli che stanno,l’ obbligo quindi e’ di cercare di governare in maniera unitaria il nostro intervento di promozione e possa arrivarci quindi anche individuando nel vivaismo uno dei punti di attacco per conquistarci ulteriori mercati. La promozione ora e’ promozione a tutto tondo , dobbiamo fare Sistema e cioè pensare di vendere insieme ad una pianta, una bottiglia di vino, un chilo di formaggio… Noi dobbiamo entrare in questa lunghezza d’onda, e quindi il vivaismo è già proiettato nel mondo soprattutto con alcuni imprenditori, potrebbe essere tranquillamente un traino per altre realtà che hanno maggiori difficoltà in questo senso ad esempio la vendita dell’olio insieme al vivaismo. “Integrarsi” per trascinare la Toscana in una proiezione mondiale , si aprirebbero in questo caso alcune prospettive e richieste per le quali dovremo essere pronti in maniera unitaria a rispondere. Questa manifestazione con questi tre giorni di confronto e di promozione, si inserisce in questa lunghezza d’onda e si inserisce, da quello così mi è stato riferito, per l’esperienza maturata dall’edizione precedente, in modo positivo. Noi vogliamo, di nuovo, lo sottolineo, metterci a fianco per garantirne il futuro con fiducia operosa Come Giunta Regionale non abbiamo l’idea di una Toscana museo a cielo aperto, abbiamo l’idea di una Toscana che coglie in pieno tutte le occasioni di sviluppo che gli si mettono davanti mantenendo un equilibrio vero e quindi mantenendo in piedi quelle bellezze, quelle caratteristiche eccezionali che la proiettano nel mondo. Non vogliamo appunto farne museo a cielo aperto ma farsi che questa sia una condizione che permette di vendere al meglio tutti i nostri prodotti, che ci permetta di essere competitivi nei confronti di quei paesi che lavorano solo sul prezzo un valore aggiunto di estrema qualità. La nostra qualità è dentro il nostro territorio e nel paesaggio, in questo senso ci muoveremo con fiducia operosa ripeto, è vero c’è una grande difficoltà nel settore
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agricolo ed anche in quello vivaistico, si misurano le difficoltà, ma io sto trovando imprenditori, imprese che non hanno gettato la spugna , che anzi hanno rimboccato le maniche e continuano con tanta convinzione ad andare avanti, questo è un segnale che le Istituzioni e la Regione deve cogliere con grande responsabilità ed impegno, appunto un messaggio di impegno per assisterli e per supportarli in questa decisiva battaglia per le prospettive dei nostri cittadini. Quindi auguro a questa manifestazione veramente un buon esito, e ci rivedremo presto per misurarci ulteriormente su queste cose. Renato Ferretti Responsabile del Progetto "Vestire il Paesaggio" Dirigente della Provincia di Pistoia
La Toscana è una regione che rappresenta il 6% del florovivaismo dell’Unione Europea attuale, per cui credo che sia la regione florovivaistica più rappresentativa a livello europeo, sicuramente per la gamma e per l’assortimento, che va dai fiori recisi alle piante ornamentali. Nel campo delle piante ornamentali rappresentiamo circa il 40% della produzione nazionale. Il vivaismo pistoiese ha una lunga storia, così come ce l’hanno realtà vivaistiche di altri paesi europei, che in questi anni hanno condiviso questo percorso con il distretto pistoiese. A Pistoia il vivaismo è nato negli orti cittadini intorno al 1850, all’interno della città, non all’esterno. Negli stessi anni il vivaismo è nato anche a Valencia, a Wetteren in Belgio, a Boskoop in Olanda, Oldemburg in Germania. Quindi c’è una genesi quasi comune di queste realtà vivaistiche. Come ha detto il presidente Paci, ovviamente le piante all’inizio erano prodotte per pochi, per i giardini delle ville, mentre oggi dobbiamo coltivare le piante per tutti. Questa comune origine credo che ci abbia portato al risultato della prima edizione di Vestire il Paesaggio, alla possibilità di essere presenti in altre realtà come a Girona, Valencia, Colonia, Gent in Belgio, Nantes e frequentemente in Olanda. Il vivaismo pistoiese ha avuto una crescita continua negli anni, dal 1900 ad oggi. Oggi abbiamo 5000 ettari di superficie coltivata ed è sicuramente la realtà più grande, ma soprattutto è rilevante perché è concentrata in un quadrato di 8 chilometri quadrati. Se osserviamo la rappresentazione cartografica del territorio pistoiese, nella quale è indicato in giallo le colture in pieno campo, in verde le colture in contenitore, in azzurro le serre ed in rosa le aree urbane, si può vedere che non ci sono spazi liberi, o è presente la città, o ci sono le colture vivaistiche nelle varie forme.
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Nessun altra realtà europea presenta queste caratteristiche. Ad Angers ci sono oltre 3000 ettari di superficie, ma dal primo all’ultimo ettaro bisogna fare oltre 70 chilometri di strada. A Pistoia si produce un assortimento ampio di piante. Storicamente una delle fortune del territorio pistoiese è stata quella di essere la stazione produttiva più a Nord, dove si potevano produrre e coltivare specie di tipo mediterraneo e contemporaneamente le specie più tipiche del nord Italia e del centro e nord Europa. Quando i trasporti erano più difficili e più costosi di oggi, era sicuramente un grandissimo vantaggio competitivo. Oggi questo vantaggio competitivo è sicuramente diminuito, però rimane la grande possibilità di un vasto assortimento produttivo che copre tutta la filiera, dalle giovani piante alle coltivazioni in piena terra in vaso, fino alle attività di finitura. La produzione quindi va dalle piante in zolla alle piante in vaso, dagli alberi arbusti sempreverdi alle conifere tradizionali e da forma, agli alberi a foglia caduca agli arbusti a foglia caduca, ai glicini e rampicanti, alle rose, a produzioni più particolari, talvolta con grandi collezioni che si ritrovano solo in questo territorio, alla grande specificità dell’arte topiaria, di cui entrando qui a Villa La Magia avete potuto apprezzare alcuni esempi veramente di altissimo livello. Il vivaismo ha un uno stretto collegamento con il paesaggio proprio perché può contribuire a costruire diverse tipologie di paesaggi con un ampio assortimento produttivo di varietà, di forme, di colori, e per le funzioni ornamentali delle diverse componenti vegetali. Spesso siamo abituati a considerare e sopravvalutare il ruolo del fiore, ma a volte il valore ornamentale è dato dalle caratteristiche del legno, dalle forme e dai colori delle foglie, e dai frutti. La rosa è senz’altro ammiratissima per il fiore, ma vi invito a riflettere sulla rosa d’inverno, quando gli rimangono solo i frutti addosso, ha un suo particolare fascino ed un suo valore ornamentale. L’altro aspetto che mi preme sottolineare è che per fare del paesaggio di qualità occorre disporre di produzioni e processi produttivi di qualità, degli standard qualitativi, di produrre in un territorio e in un ambiente che sono di qualità, e questo è quello che il vivaismo pistoiese vuole presentare al mondo.
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La qualità totale delle piante pistoiesi deve poter mettere in condizione di creare dei progetti di paesaggio che corrispondano alle esigenze estetiche ed alle funzioni che devono svolgere i diversi tipi di paesaggio. Le piante costituiscono sempre la materia prima per la costruzione del paesaggio, ma non sono l’unico elemento. Il paesaggio, che ritengo debba essere visto come insieme fruibile del territorio, come sua precipua risorsa, nello spirito della convenzione europea, si costruisce per svolgere delle funzioni, perché nella nostra bella Toscana non esiste ormai più un centimetro di paesaggio che possa definirsi naturale.
Spesso diciamo bel paesaggio, a volte usando l’appellativo naturale, riferendosi ad un paesaggio che è stato costruito dall’uomo, e sicuramente ben costruito dall’opera dell’uomo non pensando di fare una cosa bella, ma pensando di fare una cosa utile, perché era necessario svolgere delle funzioni. Senza immaginarsi di ritornare a costruire i terrazzamenti in collina e i ciglionamenti, che sono il risultato del lavoro di tantissimi anni dei mezzadri in tutta la Toscana, noi oggi pensiamo ad un paesaggio che sia costruito e si conservi nella bellezza, nella funzionalità e anche nella piena fruizione in relazione alle modificazioni sociali ed economiche. Un altro aspetto da sottolineare è che con l’attività vivaistica abbiamo la fortuna di poter realizzare un paesaggio nel momento in cui si fa impresa, perché credo che, domani ci sarà la possibilità di vederlo direttamente durante le visite ai vivai, nel momento in cui si attraversa un’area vivaistica, si attraversa un’area paesaggisticamente di valore. Sopratutto fare impresa per fare paesaggio vuol dire riuscire a soddisfare una domanda diversificata particolare, ma soprattutto nuova, di prodotti che devono essere idonei per l’impiego nei diversi ambienti e nelle diverse funzioni, valorizzando al massimo la biodiversità - il 2010 è l’anno della biodiversità – argomento di cui credo se ne parli poco. Ritengo invece che soprattutto per l’attività vivaistica l’attenzione alla biodiversità sia fondamentale per poter rispondere ai bisogni del futuro. Non per guardare al passato, perché come diceva anche l’assessore Salvadori il vivaismo contribuisce direttamente e indirettamente a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sul territorio, contribuendo a stoccare l’anidride carbonica e, con le piante prodotte nel vivaismo, a minimizzare gli impatti negativi delle nuove urbanizzazioni. Fare verde ornamentale e ambientale aiuta quindi a contrastare gli effetti del cambiamento climatico, e
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l’utilizzazione delle piante ornamentali rende sicuramente più sostenibili i nuovi insediamenti urbani e produttivi migliorando la qualità paesaggistica del territorio. Se non pensiamo all’operazione immobiliare fine a se stessa, e successivamente a cosa si farà intorno, ma pensiamo prima a costruire il paesaggio intorno agli immobili, non scoprendo nulla di nuovo perché in tante parti del mondo già si opera così, in questo modo si fa una cosa che è sicuramente utile, che ben si inserisce nel paesaggio, e che non peserà con il contesto.
Uno degli obiettivi che abbiamo cercato di aggiungere a questa edizione di “Vestire il Paesaggio” è arrivare a condividere alcune scelte, l’abbiamo chiamato manifesto per il verde, ma avremmo potuto chiamarlo in altri cento modi. La volontà è quella di mettere insieme alcuni punti da poter condividere e da poter portare avanti insieme, che ci guidino nella qualità delle produzioni e della progettazione delle opere a verde, nella qualità della gestione del verde, perché è necessario in Italia, e più in generale nell’Unione Europea, un aumento e un miglioramento funzionale del verde a disposizione di ogni abitante, e questo credo che sia un obiettivo che sicuramente può aiutare quest’attività economica, e che può aiutare tutti a vivere meglio. Quindi il tema di questa edizione, “come si pensa e si produce il paesaggio - il verde per migliorare la qualità della vita”, significa proprio questo, in questo contesto di questa splendida villa nella quale ci sono alcune opere particolari nel giardino all’italiana, le opere de “I Mirabili Arte di Abitare”, proprio a testimoniare che le piante sono l’elemento fondamentale, ma insieme ad altre componenti. Nel giardino romantico della villa che ci ospita c’è un evento, “la Foresta si fa suono”, che si fa per la prima volta, grazie ad un’impresa del nostro territorio.
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In quest’edizione di Vestire il Paesaggio le dodici mostre che sono nella città di Pistoia costituiscono un ulteriore approfondimento delle tematiche del convegno. Infine come ha detto la Presidente Federica Fratoni, ci sarà la possibilità di vedere altre realtà nel territorio della nostra Provincia, dalle Terme di Montecatini al Parco di Pinocchio, che sono altre eccellenze del territorio. Finendo il mio intervento, devo necessariamente ringraziare con il cuore il presidente della Provincia Federica Fratoni, il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia Ivano Paci perché ci hanno dato la possibilità di fare un’esperienza di lavoro veramente eccezionale, e tutti gli enti e associazioni che hanno collaborato. Abbiamo lavorato in maniera concentrata da gennaio a oggi, ne parlavo col dottor Alberto Manzo del Ministero proprio ieri sera, la prima riunione l’abbiamo fatta il 19 Gennaio, e dal 19 di Gennaio ad ora è passato tanto tempo, ma in realtà ne è passato poco, e solo lavorando tutti insieme e lavorando con uno spirito comune è stato possibile fare quello che spero sarà di vostro gradimento.
Un ringraziamento particolare lo devo agli amici che conosco, ai relatori che hanno accettato il nostro invito, a tutti coloro che non conosco direttamente e che sono comunque venuti, ai colleghi giornalisti italiani stranieri, abbiamo giornalisti della stampa specializzata da nove paesi europei, credo che sia un bel risultato, e sono contento che abbiano raccolto il nostro invito.
Ma un ringraziamento particolare, scusate la commozione, lo devo ai miei collaboratori perché so che ieri sera fino alle 10 erano qui, e stamattina alle 6 c’erano di nuovo, e con la rigidità del sistema pubblico non è facile. Grazie siete stati meravigliosi!
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Fernando Caruncho Landscape Designer
Voglio ringraziare per prima la città di Pistoia, di Quarrata, il Presidente, il Sindaco e tutta l’organizzazione che ha avuto la gentilezza di chiamarmi. E’ un onore essere con voi. Degli ultimi 10 anni potrei dire che i miei progetti sono in rapporto con la campagna e il paesaggio, a una certa scala agricola. Questo progetto è un vigneto fatto in Puglia di 120 ettari; questo ultimo progetto è un giardino di 6 ettari fatto in Catalogna, nel nord della Catalogna, un giardino di grano, olivi, e cipressi, in rapporto con il paesaggio agricolo dell’area circostante. La mia ossessione da tanto tempo, probabilmente perché sono stato educato in campagna, è di collocare il giardino e l’agricoltura in dialogo con la natura. Credo che questa sia una eredità del mondo classico, e che sia una eredità anche dell’umanesimo. Siamo qui in questa Villa della Magia, e si riconosce tutte le tracce della memoria di questo collegamento tra la natura e l’uomo, attraverso il giardino. Il giardino in realtà è tante cose, ma si può dire del giardino che è il caleidoscopio dove il rapporto fra uomo e natura si fa più evidente. Quest’altro progetto, è un altro giardino. Se il primo giardino è fatto con grano della mia terra, è sempre con questa idea di collegare l’agricoltura d’intorno con il paesaggio, per mettere in valore tutti questi due elementi del paesaggio che nel mediterraneo sono fondamentali per trovare un cammino per collegarsi con la natura. Questa è la mia ossessione, come di tante altre persone che mi sono legate: giardinieri, artisti, musici, anche soprattutto agricoltori, perché secondo il mio punto di vista, e credo che lo pensiamo tutti, i grandi paesaggisti dei nostri tempi e indietro, sono veramente gli agricoltori. Sono loro che hanno fatto benissimo questo collegamento fra natura e uomo e mi ricordo ora per esempio la vita degli artisti di Vasari, quando parla di Giotto, ma soprattutto mi ha colpito molto la storia di suo padre che era un grandissimo agricoltore, che in realtà era un “Land art”; i cittadini dell’area andavano a vedere come il padre di Giotto lavorava la terra, nel senso che faceva della terra, del suo lavoro una opera di una grandissima dignità, e da qui io credo che si possa portare tante cose buone, tante cose per dare senso alla nostra vita attraverso il paesaggio. Per questo noi abbiamo bisogno della memoria, senza la memoria non hai modo di pensare, perché non abbiamo veramente la materia a cui pensare.
Il paesaggio… se noi pensiamo che sarà di quest’area meravigliosa senza le colline, veramente la percezione di solitudine sarà incredibile; l’uomo si sentirà vuoto veramente dal punto di vista materiale, ma anche dal punto di vista spirituale. Quando si parla del paesaggio è importante sapere che le idee non sono idee che abbiamo dentro di noi, questo Platone già lo diceva benissimo; le idee sempre sono autentiche per farle trasmettere alle generazioni future, alle generazioni di oggi, dei nostri figli, perché veramente hanno una guida al futuro e una possibilità di rinascere alla meraviglia e allo splendore; e quello della meraviglia e dello splendore è molto importante, perché credo che siamo un po’ tutti impauriti da tutti questi messaggi permanenti negativi sopra la realtà. La realtà è fatta per trasformarla; allora l’ importante è avere il coraggio di trasformare questa realtà, quella è la nostra sfida, è stata sempre la sfida dell’uomo, ma abbiamo bisogno di una immagine, abbiamo bisogno di immagini che servano da guida per sapere dove è l’inizio di questo sogno, e l’obiettivo di una realtà. Il giardino è quello che dà sempre questa opportunità di fare, ricominciare il tempo dal luogo. In questa Villa della Magia vedo come si collega tutta la storia dal Medioevo all’Arte contemporanea di oggi, e si vede il filo conduttore di come si trasforma, come fa la metamorfosi a una ricerca spirituale collegata alla materia della natura. Sono degli esempi. Veramente a me ha dato un risveglio questa visita a questa Villa, e vedo che non è solamente una metafora, ma può essere come una realtà. Alberto Manzo Dirigente del Ministero Politiche Agricole e Forestali
Ringrazio di avere invitato il sottoscritto, ma soprattutto l’istituzione che rappresento, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a questo importante evento a cui tenevo moltissimo, ne parlavo ieri sera con l’amico dottor Ferretti, con il quale, anche se è da poco che ci conosciamo, si è subito instaurato un bellissimo feeling, ed anche col dottor Vannucci, che veramente mi ha introdotto in maniera molto gentile e amichevole. Devo portare innanzitutto i saluti del nuovo capo del dipartimento, dottor Rasi Caldogno, che si è appena insediato con nomina del Consiglio dei Ministri lo scorso mese. Mi ero preparato una presentazione del Piano Nazionale Florovivaistico predisposto insieme ad alcuni dei collaboratori che mi hanno accompagnato, e che mi hanno veramente aiutato nella sua stesura, ma preferisco improvvisare per dire quello che sento adesso.
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Il Piano ha avuto una evoluzione abbastanza rapida. È la prima volta che un Piano Nazionale è stato approvato dalla conferenza Stato Regioni, il 29 aprile scorso. Occorre dire che se non ci fossero state le elezioni regionali, probabilmente lo avremmo avuto anche prima, nel mese di febbraio. Sono venti anni che sono nell’amministrazione pubblica, e da solo un anno mi occupo del settore florovivaistico. Mi sono occupato sempre più di settori agroalimentari, e devo dire che mi sono appassionato moltissimo a questo settore. Ho trovato delle persone assolutamente preparate e delle realtà splendide, ovviamente non solo qui in Toscana, che è l’elite, ma anche a livello nazionale. Questo è un settore che ha un livello di produzione lorda vendibile pari a quello del vino, quindi è un settore importante. Abbiamo sentito parlare prima di made in Italy agroalimentare. Siamo partiti dalla fiera di Essen con una piccola brochure, ma importante, perché ho chiesto ai miei superiori di parlare di made in Italy anche a livello di florovivaismo, oltre che del settore agroalimentare, grazie al supporto dei colleghi esperti del settore. Io non mi ritengo tale, sono agronomo, ed evidentemente devo conoscere ancora molto del settore, però quello che ho potuto conoscere e capire è una realtà importante fatta sia di persone che di operatori che si rimboccano le maniche e lavorano moltissimo. Purtroppo una cosa mi ha stupito, ed è che il settore florovivaistico non ha norme nazionali, né norme comunitarie, e questo è un aspetto che mi ha lasciato molto perplesso, perché sono abituato a lavorare con dei regolamenti comunitari e con delle norme nazionali. Uno degli aspetti del Piano Nazionale è quello di dare ampia visibilità al settore, anche a livello comunitario. Adesso notificheremo a Bruxelles e quindi alla commissione europea, il Piano Nazionale, che dal punto di vista comunitario non gode di una specifica Organizzazione Comune di Mercato (OCM), ma soprattutto non ha un comitato permanente, cioè un comitato istituzionale dei 27 stati membri che decide le norme di qualità e gli aspetti riguardanti l’import - export.
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Da questo poi discende il fatto che non ci sono norme nazionali specifiche, in effetti il Piano Nazionale è stata la prima norma veramente approvata, ed è diventata una norma condivisa con le Regioni. La prossima settimana, il 6 Luglio, ci sarà il tavolo florovivaistico, citato in precedenza da Vannino Vannucci. Il tavolo florovivaistico deve ratificare delle azioni, il Ministero ha investito non molto su questo, due milioni di euro, per dare un segnale importante al settore e speriamo di poter approvare dei progetti che siano condivisi nel territorio per quei settori che riguardano sia le piante superiori, ciò che c’è quindi in questo distretto, soprattutto i fiori recisi. Ho sentito prima l’assessore all’Agricoltura che parlava di molte cose importanti, ed in effetti speriamo che ci sia veramente un importante riscontro a livello regionale, perché quelle azioni non sono solamente azioni nazionali, ma sono il sentire di un settore florovivaistico che vuole agire per il meglio e operare per il meglio, esportare e vendere il prodotto. Ho sentito parlare di qualità, ma vorrei parlare del miglioramento della logistica, e potrei parlare anche di altri aspetti che sono fondamentali in questo settore. Come amministrazione il mio compito è coordinare e portare le difficoltà esistenti a livello comunitario. Stiamo infatti predisponendo una lettera a livello ufficiale, non solo alla Commissione Europea, ma anche al presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, perché ovviamente il settore vivaistico ha dei problemi, però il settore florovivaistico può e deve avere un suo spazio ancora maggiore nella realtà agricola nazionale. Non dilungandomi oltre, vi dirò che il Piano Nazionale è disponibile sul sito del Ministero, speriamo di tradurlo anche in inglese al più presto. Ho inteso non presentarlo direttamente, ma ho cercato di fare una sintesi di quello che si sta facendo in questo settore e soprattutto di quello che c’è ancora da fare, e riprendendo le parole da un amico che sta qui, seguendo la politica dei piccoli passi, con un pezzo alla volta si può costruire sicuramente una buona realtà ed io mi auguro di poter contribuire a questa realizzazione.
I PAESAGGI DI DOMANI Silvia Viviani Presidente Sezione Toscana Istituto Nazionale di Urbanistica
I paesaggi di domani: speranza o rischio. I due diversi atteggiamenti influenzano il nostro presente. I paesaggi di domani sono i paesaggi che avremo saputo conservare, quelli che saremo stati in grado di rigenerare e quelli che avremo avuto il coraggio e la maestria di creare.
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Potranno avverarsi se sapremo mantenere il paesaggio quale componente della pianificazione, non materia di piano settoriale. Oltre agli aspetti ricognitivi di valori preesistenti in funzione della conservazione, la pianificazione del paesaggio promuove elaborazioni a supporto delle scelte operate da altri piani e progetti. In tal modo, dalla tecnica precettiva del vincolo, si passa alla progettazione consapevole e programmatica della trasformazione territoriale. Intendiamo il paesaggio quale categoria complessa, non sommatoria dei beni, ma patrimonio culturale, secondo l’accezione che ne ha dato la Convenzione europea del paesaggio, al decimo anno di vita dal suo recepimento italiano, formalizzato a Firenze. Dunque, il paesaggio risultato di processi storici fra strutture sociali e risorse del territorio; bene diffuso della collettività; costituito non solo da eccellenze ma da relazioni ordinarie, che esprimono il continuo rapporto uomo – natura; vivo, esito e causa di relazioni tra gli eventi antropici e naturali, diversi nello spazio e nel tempo, tra fattori visibili ed invisibili, ecologiconaturali, antropici e culturali, percettivi e visivi; rappresentazione della capacità culturale espressa dal territorio, in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, riferimento della loro identità; infine, secondo scenari spesso contrapposti, luogo della crescita economica e sociale. Progettare i paesaggi di domani richiede un approccio ecosistemico, uno sguardo a tutto tondo; rende tutti responsabili, nessuno escluso, né le popolazioni locali né l’uno o l’altro degli enti che governano il territorio, dall’obbligo di generale cooperazione per definire gli interventi. Tale approccio comporta che degli obiettivi stabiliti nella Convenzione europea ci si faccia carico coerentemente nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e infrastrutturali, in quelle culturali, ambientali, agricole, sociali, economiche. Occorre che la società contemporanea, custode dei propri paesaggi, affini strumenti e metodi, per guidare attivamente e responsabilmente le trasformazioni in direzione degli obiettivi proposti. Si deve passare dalle affermazioni sul miglior inserimento paesaggistico alla capacità di intervenire. L’azione va intesa in modo da non alterare il paesaggio, ma non come situazione da “nascondere” entro il paesaggio. Essa, piuttosto, deve essere opportunità per valorizzare, riqualificare o creare nuovi paesaggi di qualità. Ciò obbliga, in via sostanziale e non formale, a farsi carico del coinvolgimento delle popolazioni locali, con le loro aspirazioni e attese, anche quando confuse in una frammentata e generica richiesta di qualità della vita. Il paesaggio come risorsa, anche per la crescita del benessere sociale delle comunità locali, da preservare per le generazioni future, può essere una decisione “presuntuosa (riteniamo buona la nostra vita, ed esportabile) ma ragionevole: essa può indirizzare senza ambiguità i nostri comportamenti verso i beni territoriali, improntati al rispetto e alla comprensione dei valori che gli abbiamo dati.” Ciò rafforza la necessità di un’idea condivisa e di un’altrettanto condivisa responsabilità; e la indispensabilità del progetto di paesaggio, nel quale la struttura del paesaggio storicamente consolidata costituisce il punto di appoggio per i processi di trasformazione territoriale futuri.
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La riqualificazione urbana e la modernizzazione infrastrutturale del territorio sono progetti dei “paesaggi di domani”, nei quali, ad esempio, la dotazione verde non è corredo ma linfa, componente della capacità urbanistica volta al futuro. In entrambi i casi, ciò significa investire sul territorio, non mitigare gli impatti, né ritrarsi di fronte alla sfida. Così torna centrale il tema della forma della città e del territorio, e riacquista autorevolezza il loro disegno pubblico. E’ in questa chiave la filiera della pianificazione avente valore paesaggistico è continua: “la visione ambientale paesaggistica può, nel piano locale, attribuire nuovo senso e nuove relazioni ai progetti pubblici e privati relativi agli spazi aperti, ai sistemi di mobilità e alle reti ciclabili, alla localizzazione e organizzazione degli insediamenti, alla riqualificazione degli spazi urbani, periurbani e rurali, agli stessi spazi naturali, mettendo in luce la funzione che possono svolgere per il miglioramento della biodiversità e del clima e per l’assorbimento del rumore e le funzioni culturale, estetica, percettiva, ricreativa ed educativa.” Progettare i paesaggi di domani diventa componente di politiche strutturali anche con funzione anticiclica nella contemporaneità segnata dalla crisi.
IL PAESAGGIO COME PROGETTO SOCIALE IL CASO DELLA TOSCANA Massimo Morisi Università di Firenze
La partecipazione a questa manifestazione mi ha molto stupito, perché ho capito l'evento di oggi in realtà è il primo passo della celebrazione del decennale della Convenzione Europea per il Paesaggio, cioè quel percorso per cui Ministero dei Beni Culturali, Regione Toscana, Comune di Firenze, qui ha una tappa certa ed il livello di discussione e di riflessione dei temi che sono stati posti ne fa una tappa che io auspicherei continuasse nel tempo per una serie di ragioni che dirò cercando di essere molto schematico. Come sanno alcuni amici presenti non sono un urbanista, mi sono dovuto accostare per necessità a queste tematiche, perché spesso gli urbanisti hanno difficoltà di “articolazione letteraria”, ed in quel momento sono stato chiamato perché c’erano alcune urgenze cui far fronte. Non mi sono mai spacciato per tale, però per me questa è stata un’occasione opportuna perché ho capito alcune cose. Primo elemento: non è vero che il verde fa bene alla qualità della vita. E’ assolutamente vero il contrario: se non c’è una buona qualità della vita non ci sono strategie o standard, o
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politiche pubbliche territoriali che possano svilupparsi lungo questa strada. La qualità della progettazione, la qualità della politica, della coesione sociale e civile, la qualità della responsabilità nei confronti della comunità e del prossimo, tutte queste qualità possono alimentare una qualità paesaggistica di cui il verde è uno dei colori, ma non è il colore fondativo, non è neanche il colore riassuntivo, e quindi non può riassumere in sè tutta la complessità del paesaggio. Il paesaggio, così come il verde e le politiche paesaggistiche, non è un settore, ed è bene che nell’immaginario collettivo si capisca che non è associabile solo al mondo rurale, ma è parte costitutiva della buona progettazione di città, per definizione nella modernità sempre multipolari e interattive ed interagenti con la ruralità, che li separa e li distingue. Ebbene il paesaggio, per me che insegno scienza dell’amministrazione e quindi sono un politologo, è uno spazio politico organizzato soprattutto in situazioni, come quella Toscana e quella italiana, e in maniera particolarmente evidente in Toscana. Per questo è bene che si celebri qui, perché la Toscana da questo punto di vista è una specie di epitome di tutte le complessità che stanno dietro la nozione di paesaggio. In questo spazio politico organizzato proprio perché tale, si generano quotidianamente un’enorme quantità di conflitti, un enorme quantità di interazioni, di difficile accordo, di difficile conciliazione, un’enorme quantità di visioni contrastanti di interesse, di profitti e di rendite che talvolta riescono a collidere e talvolta riescono a colludere, ma mai sono date in partenza come elementi pacifici. Questo è un punto molto rilevante perché senza una grande cultura politica non c’è verde come slogan, come metafora e neppure come settore dove venga fatta innovazione del verde, come in questo che è l’unico vero distretto marshalliano che esista in Italia. Anche qui l’innovazione è costretta ad orientarsi, e per sua fortuna non soltanto verso mercati esterni, ma anche verso saperi esterni. Vorrei sapere quanti architetti del paesaggio prodotti dall’Università italiana trovano adeguata e soddisfacente collocazioni per gli imprenditori nel sistema vivaistico pistoiese.
Ideogramma della articolazione costitutiva del paesaggio secondo la concezione espressa dalla Convenzione Europea
Secondo elemento: il paesaggio è uno spazio politico organizzato e come tale intrinsecamente dinamico. Non è pensabile immaginare di costruire, realizzare, progettare, concepire paesaggi urbani o periurbani che siano vocati alla permanenza, per me che sono uno scienziato sociale è una banalità, ma ho l’impressione che per certa cultura urbanistica o progettuale o paesaggistica non sia così. C’è
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una specie di delirio di onnipotenza per cui o sancisco che non dovrà mai modificarsi un bene paesaggistico, o un contesto paesaggistico lo voglio modificare perché duri nei secoli. Sappiamo tutti che l’età media del paesaggio toscano per quanto riguarda l’olivicoltura non supera gli anni novanta del cinquecento e si consolida dopo la devastazione antiboschiva dei Lorena. Stiamo parlando di tempi storici brevissimi, gran parte del paesaggio toscano che vediamo attorno alle nostre città e attraverso le nostre città è comunque frutto degli ultimi sessant’anni. Allora questo flusso che è il volto ineliminabile di qualunque spazio politico organizzato va governato sempre attraverso una progettualità che sappia conciliare quell’elemento nostalgico che comunque ci rende legati a quel territorio, a quell’elemento di sfida e di accettazione del rischio, dell’innovazione di senso umile, umanamente umile della precarietà, che ci fa non consumare stoltamente le risorse che quel territorio paesaggisticamente offre, ma nello stesso tempo non esaurisce neanche l’ambizione dell’architetto onnipresente onnicomprensivo, il demiurgo che dice: io si che ho fatto bella la Toscana. Terzo elemento molto importante: si tratta di un argomento che è stato evocato di sfuggita stamattina, ma su cui vorrei soffermarmi, perché per ancora non molto tempo mi devo occupare di conflitti e processi partecipativi in questa regione, con specifico riferimento al governo del territorio. In Toscana noi abbiamo due leggi molto importanti, che sono la legge n° 1 del 2005 da un lato, e la legge n° 69 del 2007 dall’altro. Fino a tre mesi fa eravamo l’unica Regione Europea che si fosse dotata di una legge specifica per i processi partecipativi legati al governo del territorio, sia sul piano infrastrutturale, sia sul piano pianificatorio più generale. L’applicazione di queste due leggi, facendo leva su una cittadinanza molto attiva e sanamente conflittuale rispetto alle tematiche paesaggistiche, da questo punto di vista ha fatto di questo territorio, non solo il più pianificato, ma probabilmente il più partecipato in termini quanto meno di domanda di controllo sociale diffuso su ciò che si svolge all’interno delle stanze e delle competenze progettuali. Sottolineo questo punto perché richiama in causa due argomenti di grande rilevanza. Il primo è il ruolo dei tecnici e degli esperti, ho sentito parlare dei rapporti fra architettura del paesaggio, architetti e urbanisti. Indubbiamente il linguaggio degli esperti almeno in questa regione sta subendo una modificazione, ancora in nuce, ma non c’è urbanista e progettista che non si debba preoccupare del fatto che dovrà spiegare le ragioni di una sua scelta tecnica, non soltanto al sindaco, ma anche ad un gruppo più o meno esteso, a volte agguerrito, di cittadini molto informati e con molto tempo a disposizione, perché spesso sono anziani che sanno stare sulla rete e che ricavano dalla rete, nel senso web della parola, un’enorme quantità di informazioni che nessuna amministrazione locale potrà mai avere se non da un punto di vista qualitativo, certamente da un punto di vista quantitativo. Quindi dovrà rendere la sua attività di analisi, la sua proposta progetto e i termini delle sue valutazioni non soltanto accessibili e comunicabili, ma addirittura argomentabili nei confronti di un interlocutore che fino a tempi recenti era soltanto portatore di interessi particolari e che certamente non è scomparso, ma che oggi assume a legittimazione dei suoi stessi interessi particolari degli argomenti di natura diversa di natura tendenzialmente più generale.
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Il secondo argomento per cui mi interessa questo passaggio importante per il paesaggio da un punto di vista di politica istituzionale, è anche il volto della politica istituzionale. Non è soltanto il suo contenuto, dentro ad un circuito di relazioni fra amministrazioni pubbliche e imprenditori privati, ma nella prospettiva del settore della imprenditoria vivaistica. Mi interessa molto la prospettiva del distretto unico, uno degli ultimi distretti marshalliani esistenti in Italia e in Europa, forse è un bene che sia uno degli ultimi, forse un male, però sottolineo questi aspetti. Non c’è tempo per spiegare in che senso uso l’aggettivo marshalliano, ne do soltanto un elemento banalissimo, il fatto che l’imprenditore vivaista del pistoiese se può continua a far rete con la rete delle imprese esistenti, delocalizzerà, comprerà altri terreni, si orienterà, ma indubbiamente c’è un nocciolo di relazioni interimprenditoriali che altrove si è disperso. Sottolineo questo aspetto perché nel vivaismo trovo un bisogno e un potenziale di modernità rispetto alla nozione di paesaggio come spazio politico organizzato, per il fatto che ci sia da parte di questo tipo di imprenditoria la capacità e la volontà di intercettare una domanda di progettazione urbana che fino ad oggi non ha avuto una sponda imprenditoriale adeguata. Il settore edile è il settore più importante nel sistema economico italiano dopo il turismo. Non possiamo dire che la cultura imprenditoriale del settore edile sia una sponda della modernizzazione di questo paese. Il settore vivaistico rispetto alla modernizzazione urbana, alla progettazione urbana e periurbana, al paesaggio che sa mettere insieme ruralità e città, può essere una sponda che non sostituisce quella imprenditoriale edile, ma una sponda di qualità propositiva, di innovatività che da un lato può precorrere, dall’altro lato può seguire il formarsi di domande e magari sa anche prevenire certi rischi di banalizzazioni o di mode troppo facili e caduche. Questi palazzi coperti di moquette, perché ai miei occhi sembrano questo, fanno abbastanza effetto, a qualcuno piaceranno molto, sono certamente sintomo dell’inseguimento di qualcosa che si sa che non dura e va certamente cavalcato in fretta. Un altro elemento che riguarda fortemente i vivaisti è legato al fatto che questo tipo di imprenditoria ha certamente bisogno non di essere più conosciuta rispetto a mercati in cui sa essere sufficientemente forte e competitiva. Il fatto di rendersi percepibili come un grosso fattore di innovazione sociale, sarebbe anche questa un’ambizione demiurgica, ma un luogo in cui ci si misura con quei cittadini più o meno esperti che chiedono genericamente più qualità e un po’ banalmente l’associano a qualche idea di verde, un luogo e un soggetto nella sua collettività che sa guardare con una cultura innovativa in un modo diverso le sue responsabilità d’imprenditoria, che sa testimoniare che non occorre cambiare l’articolo 41 della costituzione perché c’è già qualcuno che nella rilevanza sociale di quel mestiere sa cogliere le sue responsabilità collettive. Credo che qui ci siano le condizioni per fare un salto di questo tipo e siccome quando parleremo di Convenzione Europea del Paesaggio l’unico elemento che manca è la responsabilità dell’imprenditore che direttamente o indirettamente fa paesaggio, e il vivaista produce paesaggio mediante paesaggio, ebbene io credo che declinare in questa chiave di nuova cultura imprenditoriale la nozione di percezione e come la si alimenta, fra struttura e risorse, fra cultura e innovazione, possa essere una missione, che, se io fossi un imprenditore, giudicherei fortemente appassionante.
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VESTIR EL PAISAJE HISTÓRICO José F. Ballester-Olmos y Anguís Prof. Universidad Politécnica de Valencia
La regeneración del paisaje natural y la restauración de parques y jardines históricos no son tareas fáciles y entrañan la necesidad de unas reflexiones previas al trabajo proyectual, unas consideraciones que en ocasiones son de compleja digestión. La conservación y la restauración del paisaje histórico y cultural abarcan un conjunto de acciones de tutela a las que se suele denominar con el término genérico de “intervenciones” y cuya importancia social va en aumento, ya que involucran y sensibilizan cada vez más a la sociedad, creando polémica o reconocimiento acerca del trabajo realizado. La toma de conciencia por parte de la sociedad y del cuerpo técnico acerca de la realidad del “verde histórico” como expresión de un momento de la historia de un pueblo, ha dado lugar a que, en nuestros días, una de las cuestiones que anteceden al comienzo de un proyecto de recuperación de un paisaje natural o cultural sea la decisión acerca del periodo geológico o momento temporal al que debe revertirse el aspecto del paisaje o, en un caso de regeneración de jardinería histórica, sea la época o momento estilístico al que hay que llevar la fisonomía del jardín. En el caso del paisaje, una opción es llevarlo de nuevo a la Prehistoria; otras se basan en retrotraerlo a la romanización, o a la modernidad: y en el caso de los jardines antañones se duda si vestirlos de Medioevo, Renacimiento, Barroco, Neoclasicismo, Romanticismo, Modernismo o actualizarlos. En los conjuntos históricos ajardinados, una inadecuada acentuación de sus líneas puede borrar definitivamente la tenue y lábil memoria de que son portadores, y no es infrecuente la puesta en práctica del criterio de que lo más práctico para un jardín antiguo es modernizarlo y adecuarlo a los tiempos y exigencias sociales de nuestros días. En este sentido, estimar que un jardín del pasado deba ser refundido para su incorporación a propuestas contemporáneas, conduce a destruir obras de arte y documentación histórica, eliminando esos conjuntos ajardinados que son parte del fenómeno visual en el que se materializa la memoria de la Humanidad y se expresa la imagen estética de la Historia. Un jardín antiguo no es un jardín anticuado; la historia es una materia excelsa en la que cada momento tiene una importancia absoluta por sí misma, ya que no hay épocas ni estilos que deban ser considerados con privilegio. La repristinación o vuelta al aspecto original es otra opción, pero hay que saber que en el jardín, en mucha mayor medida que en la arquitectura, la forma prístina es una
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ficción teórica, ya que mientras en los edificios suele existir un primer día, un momento inaugural al que poder remitir el valor del origen, en los jardines el proceso de plantación no acaba en una forma definitiva, sino que es un paso más en la transición hacia su madurez alcanzada tras un proceso ininterrumpido de cuidados que son al mismo tiempo mantenimiento y restauración. Se puede afirmar que no suele existir en el jardín el equivalente a lo que en arquitectura podría definirse como forma prístina, ya que la imagen viva, móvil y en gran medida imprevisible que caracteriza al jardín tras el paso del tiempo, no siempre fue la prevista cuando se trazaron los dibujos creadores del conjunto. Quizá sean excepción de lo dicho aquellos jardines en los que el equipamiento vegetal está muy controlado y presta al trazado y a la composición una colaboración formal y volumétrica, casi arquitectónica, nítida y estática. Es primordial e inexcusable ser fieles al origen del jardín, en orden a la acentuación de su personalidad y conseguir que sea más clara la lectura del conjunto, lo cual no debe ser confundido con la idea de la repristinación sensu stricto, ya que tal operación está impedida por la propia esencia del jardín histórico, mutable y en perpetua transformación. En efecto, la repristinación es sencillamente imposible en un jardín histórico sin hacer una intervención traumática que sería contraproducente en la mayoría de los casos. A propósito de esta idea debe quedar claro que una cuidadosa restauración debe tratar en cada caso de elegir la solución más discreta y menos traumática. Otra posibilidad es la que nos lleva a conservar todos los elementos existentes que han llegado hasta hoy y configuran el aspecto actual del jardín. Se trata de reconstruir la imagen que se conserva en la memoria colectiva; es decir, un sistema sedimentario donde conviven las diferentes adiciones que han traído consigo las presiones ambientales y humanas que han modelado el paisaje y configurado y perfilado su apariencia hasta nuestros días. Consecuentes con la idea de que el jardín histórico responde intensamente a un poder de evolución más fuertemente perceptible aún que en otro tipo de obra de arte, son muchos los especialistas que se adscriben a esta corriente y basan su práctica restauradora de este tipo de jardines en su propia naturaleza histórica; por ello abogan por el mantenimiento de lo que ha impreso la evolución de la historia en estos viejos conjuntos jardinero-arquitectónicos. Y es que para estos estudiosos el jardín histórico es un testimonio cultural complejo, compuesto y determinado por intereses estéticos, científicos y tecnológicos que en el curso de la vida de ese jardín han contribuido a su creación y a sus posteriores modificaciones. Añón resume de manera clara esta concepción del hecho restaurador de los jardines históricos: “El jardín constituye un documento único, limitado, perecedero, irrepetible, con un proceso propio de desarrollo, una historia particular (nacimiento, evolución, mutaciones, degradación, etc.) que reflejan la sociedad y la cultura que lo han creado y lo han vivido”. En efecto, un jardín histórico –declarado oficialmente o noes, como toda obra humana, testimonio vivo de las tradiciones seculares y en la mayoría de los casos es el resultado de acumulaciones, de cambios, de pérdidas y de añadidos a lo largo del tiempo, hasta haber llegado incluso a un cambio de uso. De modo que el jardín, además de ser testimonio de un tiempo, lo es también del paso del mismo, quedando referidas en él las gentes y sus épocas. Esta condición “viva” y la inexistencia de estaticidad serán unos de los componentes más sutiles pero más determinantes a
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tener en cuenta en el establecimiento de un plan de restauración. El restaurador debe ser respetuoso con el tiempo que ha dado la patente de nobleza a un jardín histórico y el que le ha otorgado su pátina y la condición que lo caracteriza, modificando sus arquitecturas, su conjunto vegetado y su ámbito. También es de suma importancia considerar el valor de los aportes que el jardín ha ido integrando en los distintos periodos de su historia y que han pasado a formar parte de su propia esencia, e incluso, como aconseja la Carta de Florencia (1981) “tener el valor de considerar el de nuestra propia época para considerarnos nosotros también integrados en su propia vida”. De todo lo anterior se colige que el tiempo es el gran hacedor y depauperador de los jardines, y puede no actuar por igual en todas las zonas ni en todos sus elementos vivos. Por último, debe evitarse en este tipo de conjuntos jardinero-arquitectónicos todo elemento disonante estética o históricamente; acerca de lo cual señala la citada Carta suscrita en 1981 “debe primar siempre lo estético sobre lo histórico, clave de la armonía que debe encontrarse en un jardín”. Otro documento que promulga con más contundencia esta filosofía de trabajo es la Carta Italiana dei Giardini Storici (1981) que suscribieron los expertos que no admitían ni la utilidad ni la existencia de la forma prístina y consideraban que “l’intervento di restauro dovrà rispettare il complessivo proceso storico del giardino” y eliminaba la opción de privilegiar una fase concreta de su historia, por lo que, en contra de la tendencia que defendía que la fase inicial o prístina del jardín es la matriz generadora y la única realmente válida en términos restauratorios, afirma taxativamente que este primer tiempo de vida del jardín no es más que una más de las fases de la historia del mismo. La restauración del jardín debe tener como objetivo permitirnos la lectura de su unidad, por lo que sólo se debe considerar como problemáticas aquellas intervenciones que, realizadas en el pasado, hayan perjudicado la lectura del conjunto. Las actuaciones restauradoras en jardinería histórica deben tener muy en cuenta los materiales vegetales que se fueron incorporando al equipamiento jardinero en cada caso, y si pensamos con rigor, hay que tener en cuenta que en los jardines de antaño se utilizaban especies puras, con aspecto de la planta, forma de la flor, desarrollo, vigor, y manera y época de floración que en algunos casos distan mucho de los que caracterizan a esas especies en la actualidad, tras sucesivas mejoras genéticas, hibridaciones, mutaciones y otros procesos a que se han visto sometidas por horticultores y genetistas durante los últimos siglos para mejorar sus valores estéticos y agronómicos. Originariamente, las plantas de los jardines eran especies silvestres que en un principio se usaban por su valor simbológico o funcional (alimentario, medicinal, tintóreo, etc.) Con posterioridad y a lo largo de los siglos, algunas de estas especies siguieron cultivándose para su uso como plantas de adorno por sus cualidades ornamentales. Los materiales vegetales que se utilizaron originariamente en muchos jardines históricos son prácticamente imposibles de encontrar en los actuales viveros comerciales; no obstante bebería tenderse al uso de especies y variedades lo más cercanas posible a aquellas que constituyeron la genuina decoración vegetal del jardín, aunque verdaderamente existen muy pocos viveros especializados en la producción de material vegetal para jardines históricos y tradicionales. Por ejemplo, en el Reino Unido, donde existe una institución como el National Trust for Places of Historic
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Interest or Natural Beauty, con más de 3,5 millones de miembros y con un patrimonio de más de 200 jardines y mansiones ajardinadas que requieren mantenimiento constante y frecuentes replantaciones, sólo se puede contar con apenas media docena de este tipo de viveros especializados, algunos de los cuales –muy primorosos y detallistas en la producción y en la información al clienteincluyen en su catálogo inclusive las fechas de introducción en jardinería de las diferentes especies. Otras cuatro o cinco empresas inglesas tienen algunas variedades antiguas en su programación anual de cultivos a partir de semilla, y los restauradores británicos también pueden obtener este tipo de plantas en la Hardy Plant Society y The National Council for the Conservation of Plants and Gardens. En un jardín nacido antaño la vegetación es junto a la pauta de trazado, la ordenación de los espacios, el mensaje, el argumento, las arquitecturas y el agua, un elemento esencial y básico en la consecución del objetivo de su creador, deseoso de transmitir una idea o un sentimiento, o de proyectar una sensación. En unos casos las plantas y los árboles son protagonistas; en otros vicarios y coadyuvantes en el programa, acentuando una perspectiva, enfatizando un elemento construido, matizando un contraste, o sugiriendo una relación. Pero al mismo tiempo, los árboles, arbustos, trepadoras, y plantas de macizos y rocallas son elementos perecederos y transformables que el tiempo va modificando hasta un punto sin retorno. Las preferencias y gustos por determinadas características de las plantas ornamentales han variado notablemente a través de los siglos, y así, lo que hoy es un carácter que aporta a determinadas especies y variedades ornamentales una patente de calidad y primor, antaño hacía desechable a las plantas que poseían esa cualidad. Un ejemplo claro de lo dicho es el enanismo, valor muy apreciado en la actualidad para determinados grupos de plantas de jardín. Efectivamente, hasta ya muy avanzado el siglo XIX las formas de baja talla de determinadas especies no se tenían en cuenta. Asimismo, eran importantes las formas de las hojas, lo que se pone de manifiesto en su relación simbológica con personajes mitológicos o religiosos, con sentimientos y con situaciones. Por su parte, los colores de flor han tenido una importancia primordial en la elección de las especies ornamentales en los jardines de siglos pasados: por ejemplo, en el siglo XVI los tonos preponderantes en las plantas de flor en los jardines eran principalmente dos primarios (rojo y amarillo) y blanco, incorporándose en el XVII el naranja y el índigo. El aroma ha sido una característica muy popular y deseable en las flores y los follajes de las plantas de jardín, aunque desde la última parte del siglo XIX otras características relativas a determinados aspectos y conveniencias comerciales de la flor de algunas especies (rosa y clavel, entre otros) han erosionado la importancia del perfume. A la hora de elegir con rigor las especies vegetales ornamentales para un jardín histórico caracterizado en un momento estilístico concreto, unas fuentes documentales de gran utilidad son las siguientes obras: “De re rustica” de Marco Porcio Catón, en los siglos II y III a.C., “De re rustica” de Marco Terencio Varrón, (S. I a.C.), “Naturalis Historia” de Gaio Segundo Plinio, “el Viejo” (siglo I d.C.), “De Agricultura” de Lucino Junio Columella, “De re rustica” de Palladio Rutilio Tauro Emiliano en el siglo IV, “Opus ruralium…commodorum” de Piero de Crescenzi, manuscrito de principios del siglo XIV. Asimismo se dispone de los herbarios medievales y los llamados “modernos” aparecidos
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a partir de la última parte del siglo XV: “Herbarium del V secolo di Apuleio Platonico”, publicado en Roma en 1481, y “De virtutibus herbarium” atriguido a Arnaldo de Vilanova y publicado en Venecia en 1499, “Commentarii in sex libros Pedacii Dioscorides” de Pierandrea Mattioli (Venecia, 1554), “Herbario Nuovo” de Castore Durante (Roma,1585), “Phytognomica” de Gianbattista della Porta (Nápoles, 1588), “De Medicina Aegyptorum” de Prospero Alpini (Venecia, 1591), “Phytobasanos sive plantarum historia” de Fabio Colonna (Nápoles, 1592), “Exactissima descriptorio rariorum quarundam plantarum, que continentur Romae in Horto Farnesiano” de Tobia Aldini (Roma, 1625), “De Florum Cultura Libri IV” de Giovan Battista Ferrari (Roma, 1633), “Dendrologiae naturalis sciliet arborum historiae libri duo” de Ulisse Aldrovandi (Boloña, 1668), “Historia Botanica” de Giacomo Zanoni (Boloña, 1675), “Museo di piante rare della Sicilia, Malta…” Silvio Baccone (Venezia, 1697), y otros. Como hemos dicho, una tendencia en vigor para la restauración de jardines históricos es la que recomienda elegir como momento histórico de referencia a aquel tiempo en que el complejo ajardinado alcanzó su máximo esplendor y armonía. Por otra parte, en los últimos años es frecuente entre los servicios oficiales que se encargan de la conservación del patrimonio monumental, la opinión que defiende la intervención simultánea en edificio y jardín en evitación de descontextualizaciones. En efecto, un jardín histórico es una creación espacial en la que se produce una unidad inseparable entre los elementos arquitectónicos y los elementos vegetales, dando lugar a un verdadero documento histórico con valores estéticos y espirituales, por lo que entre otras instituciones, Icomos lo considera un monumento per se. Los especialistas ponen especial ponen especial énfasis en la necesidad de la restauración concomitante de, por ejemplo, un palacio real francés y su jardín barroco, o la casa decimonónica de un acaudalado comerciante londinense y su “back garden” formalista, o un monasterio con su huerto murado conteniendo plantaciones de hortalizas y plantas medicinales y aromáticas. En esta línea de pensamiento es de rigor el criterio de que la casa y el jardín se crean en el mismo momento histórico y en el seno de una determinada corriente estilística; de lo cual se desprende necesariamente que el jardín debe proporcionar a los usuarios la misma intimidad, seguridad y libertad que se sienten en la casa. Casa y jardín constituyen expresiones paralelas y se suplementan recíprocamente; sin embargo, al mismo tiempo cada uno configura una entidad por separado. El camino correcto del proceso restaurador de la jardinería histórica debería plantearse teniendo en mente: El espíritu de su creador en cada caso. El adecuado diálogo estilístico con el edificio. El marco histórico, cultural y estilístico que se dio en los momento de mayor importancia del conjunto ajardinado. La evolución estilística y de equipamiento. Debe evitarse el establecimiento de plantaciones y la elección de especies con otro criterio que no sea el que toma en consideración en el planteamiento básico los tres aspectos siguientes: El elenco de especies vegetales ornamentales que estaban en uso jardinero en el momento en que el jardín fue proyectado y en los años de óptima madurez de ese conjunto ajardinado.
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Las tendencias y modas que influían en las composiciones de formas, volúmenes y cromatismos. Los aspectos simbológicos presentes en los jardines del momento. La aplicación de estas recomendaciones contribuye de manera decisiva a que la intervención restauradora en un jardín histórico lleve a que éste pueda ser percibido por el visitante con un sentido más riguroso del realismo y de la puridad estilística en el momento histórico de la creación o del máximo esplendor del jardín y de su interpretación a través del tiempo.
THE GREENWAYS IN ATHENS
Julia Georgi Professor Democritus University of Thrace Hellenic Open University The major green areas in Athens
Greenways are corridors of undeveloped land in a city setting. They include vegetation belts, creeks, rivers, floodplains and other natural features along public infrastructures. Public infrastructures consist of utility networks, roadways, rail corridors and other constructs that facilitate public usage of green space (Flink and Searns, 1993; Little, 1990, Georgi and Sarikou, 2006). Greenways are increasingly recognized as an integral part of these infrastructures. Greenways augment infrastructures as well as they enhance citizen’s mobility by enabling more pedestrian and bicycle safe areas. They provide linkages between neighbourhoods and existing parks adding venues for community networking and recreational opportunities. Greenways enhance scenic views, increase awareness of historical areas, and protect ecologically sensitive areas within the city setting where they exist (Little, 1990). These networks also facilitate urban infrastructure redevelopment, such as abandoned railways and roads (Marcus and Francis, 1998). The root of the greenway goes back to Frederick L. Olmsted’s “park way” in America and Ebenezer Howard’s “garden city” terms in Europe. (Fábos and Ahern, 1996). Ecological benefits of greenways range from protecting biological diversity of species to abiotic benefits. By fostering connectivity, genetic stagnation is alleviated through reduction of island population and the resulting inbreeding (Little, 1990; Noss, 1987, Georgi and Dimitriou, 2010). Greenways benefit other ecological processes by helping sustain water quality, abate pollution, deter soil erosion and facilitate the exchange of energy and nutrients within the system (Jongman, 2003; Noss, 1987, Georgi and Zafiriadis, 2006).
Establishment of greenways at the local level is considered to be one of the most important steps toward creating a foundation of larger ecological networks and is the focus of this research (Jongman, 2003). The emphasis of the study is to analyze current practices of local jurisdictions in the planning and acquisition of greenways so as for this purpose, the City of Athens, Greece, was chosen as the study site. Athens has been an attractive city for ages. Its natural and historical features give opportunity for people to live the city and city history. And now in modern world Athens is a high populated city where lots tourist attractions at the same time because of its historical and cultural structure. So, greenways can be an alternative pedestrian transportation paths and public spaces where people use for recreation. An addition to these, greenways serve as a educational paths which gives historical and cultural information for city inhabitants walking in the street. Athens is a desirable study site for three reasons.
The Greenlink Project in Zografou, Athens
It has quite large green areas such green hills (e.g. Acropolis, Lycabetus, Arditos), medium size parks as (e.g. National Gardens, Zappeion, Pedion Areos) large open areas (Elliniki old airport), large parks (e.g. Environmental Awareness Park of Antonis Tritsis, Goudi Park), and has begun acquiring land for greenways through the well-known project of Unification Archaeological Areas.
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Integration of greenways into the Unification Archaeological Areas has enhance the ecological integrity of greenways within the city’s development planning. Therefore currently the city is acquiring land for greenways in an ad hoc way. This study assessed urban development patterns relating to future growth and their impacts on proposed greenways. The study helps to improve planning and implementation of greenways in city settings in general and for Athens. The main environmental problem from the sites that were chosen is the lack of green or open spaces in the city and the difficult access to the suburban green spaces. Furthermore according to the Greenlink project have been proposed to the Municipality of Zografou the Greenways Network Linking System where have been proposed the linkage of the major campuses of Athens University and the National Technical University (collectively called “University Town”), the Ilissos park which is located on the south border of the municipality, the Goudi Park which is located at the North east of the Municipality and North of the National Technical University and Hymettus Mountain which stands in the southern part of the Municipality. Lastly in order to link Goudi Park with Ilissos park a new pedestrian ‘ramble’ rout have been proposed at a main road named Ulof Palme. The aim of this design is to use the area by pedestrians, bicyclist and motorists and the one use to compete without compete the other.
The transformation of Ulof Palme road to Rambla.
With the current study it is proposed a new greenway at the western park of Athens in order to link the Environmental Awareness Park witch is s Egaleo mount in order to insert the biodiversity from Egalaio mount and the park to the western degraded part of Athens. The physical environment of environmental Awareness Park Antonis Tritsis offers excellent opportunities for outdoor recreation. It is situated on the west part of City of Athens. It also supports attractive forest vegetation, which includes many large live pine trees, cypresses, eucalyptus and olive trees and the vegetation more dominated by drought resistant plants. Although the summers are hot and dry, even during that season there are many days or at least parts of days, in which outdoor activities can take place comfortably. During the long falls and springs the weather usually is ideal to be outdoors, and even in the winter on most days the weather is conducive for hiking, biking, and other outdoor activities. With a legislative appropriation for the initial purchase of the abandoned railway, it is planned to be created the first stretch of bike-drazines of 4 klm which will expect to attract many bike enthusiasts, who enjoy the challenge of its rough
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base while enjoying the scenery of the forested area through which it passes.
The 2 proposal of linking parts of the City of Athens with Urban and Periurban Parks
A Lake network Greenway system is located in the pa, also mentioned in the introduction, is adjacent with 5 lakes with totally 105 different aquatic species of birds. Nonetheless, the survey of the visitors of the park, will more accurately ascertain the degree of enthusiasm for future development of its trails and greenways. Although the City of Athens has lost all of the areas designated for greenways in the core portion of the city lying between the west to the east and to the south to fragmentation and development, it can still preserve a large portion of the overall greenways plan by acquiring land ahead of development pressure. This could be accomplished by the methods outlined by Rob Jongman to restore connectivity of greenways (2003). With this recommendation, the city would also need to place priority on obtaining greenways in a more systematic manner to account for potential development pressure. Adhering to such a plan would cease the fragmented nature of their acquisitions thus far and ensure a more connected and healthy greenway system. Further research is still needed to explore how to implement a greenways program on a more regional and state-wide basis to ensure the preservation of the landscape as a whole. This is particularly difficult since there are few large scale areas set aside within Athens to study and implement such a program.
Environmental Awareness Park of Antonis Tritsis and the several uses
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"SPAZI ESSENZIALI" Hanne Bat Finke Landscape Architects
Human beings have two types of attention(reactions) on our surroundings: Spontaneous attention - fitting to the nature, where we rehabilitate(not energy-spending) and one purposeful concentration when we protect ourselves through an alarm system (energy-spending). 70% of the world citizens/population live in big cities by 2010. In the sense of mental health it´s maybe not comforting our well –being, as the cities grow bigger and bigger. The physical surroundings like the densely built up cities don´t support our spontaneous attention – the attention animated by the reptile brain parts, where we react on nature as a calming and relaxing matter - just like animals. In other words we spend too much energy existing in the “unnatural”, artificial, noisy and “threatening “ environments, which brings a certain stress into the daily life. The big cities are as a result creating the need of open spaces and setting the agenda for the development of the parks and recreational landscapes. Healthy citizens, green and sustainability are keywords of today and of tomorrow – and will influence the way we style our surroundings! Every design must consider about sustainability and show a new moral according to the new paradigm of designing our world – in order to supply the everyday life with space for movement mentally and physically.
National Hospital, Copenhagen – reaction on grey concrete! The need and demand for green spots, parks and open spaces, where nature dominates, are increasing and plays a very paradox role in the modern town planning: On one hand we must gather in order to save energy on transport and housings – but on the other hand we maybe create a too dense living which as a result will increase mentally and
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physical diseases because of stress. As a consequence a decreasing life quality. Outside the city life the recreative landscapes, where it´s still possible to find quiet areas, authentic living in the rural districts and informal places are demanded. Tourism in general makes a big impact on the way we style these landscapes – not always in a harmony with the historical or local identity.
Do people know what they want? Styling our common landscapes carries a responsibility for the good life and must contain both aesthetics and meaning, informal places for rehabilitation as well as room for the meeting between people, action, movement, inspiration and art. It is therefore very important to analyse the context thoroughly in order to obtain a translation of a site, which can be understood by the users. Understood in a way that it gives meaning and comfort when you spend time in it or are passing through. And we as designers have to be aware of which kind of spirit we put into a site. Design can been seen as a interpretation of a local history or as a reaction, abstraction, provocation …….. all different but equal important components of the understanding of life.
The challenge is, every time, to balance form, scale and materials in a certain context. And to fight for the resources for maintenance – especially when it comes to plants! No gardener – no garden!
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valle del fiume Bouferkrane e successivamente lungo la fascia a sud per creare una nuova cintura verde, le regole da noi utilizzate codificano le linee e gli elementi strutturanti del territorio già esistenti, per dare loro un nuovo significato. Le strade, i piccoli orti, il frutteto a nord, la piccola linea di acqua che percorre la valle, la grande cava a sud, sono stati gli elementi fondamentali per strutturare la strategia di riqualificazione del complesso sistema della valle. Non si è fatto un intervento puntuale con elementi episodici ma, utilizzando elementi nuovi connessi inscindibilmente con gli elementi esistenti, si è tentato di creare una logica del paesaggio coerente e fluida.
IL VERDE PERIURBANO IN MAROCCO: DALLA RIQUALIFICAZIONE PAESAGGISTICA DELLA VALLE DEL FIUME BUFERKRANE ALLA CINTURA VERDE DI MEKNES Iman Meriem Benkirane Ecole National Architecture, Rabat (Marocco) Valerio Morabito - Giampiero Donin Università Mediterranea, Reggio Calabria Lorenzo Mini, Antonio Gabellini, Francesca Menchi Dream Italia S.C. - Pistoia
Utilizzare il concetto di paesaggio codificandone regole di comportamento, è la fase del lavoro da svolgere prima di potere proporre un progetto di architettura del paesaggio come forma espressiva della trasformazione di un territorio. Darsi delle regole di progetto e quindi creare una idea di paesaggio, conferma l’esigenza di separare il concetto che vuole il paesaggio come una generica espressione culturale legata alle persone che vivono un luogo, per applicarlo fattivamente così come in qualunque altra arte che decida di modificare qualcosa: una tela, un colore, una materia, uno spazio, un suono, dei costrutti grammaticali e altro ancora. Nell’esigenza di dovere intervenire in un luogo come la città di Meknes in Marocco, in modo specifico prima lungo la
La cintura verde si estende su uno dei luoghi più fertili della città. Seguendo la stessa logica, si è deciso perciò di incrementare e trasformare la qualità agraria cingendola di “spazi lineari” formati da sistemi di alberature: le nuove cinture verdi. Questa continuità spaziale ha permesso di lavorare sulle forze sia economiche che spaziali del luogo, garantendo un nuovo sviluppo senza stravolgerne le consuetudini culturali e fisiche. In sintesi, il primo progetto di paesaggio rivolto alla valle del fiume Bouferkrane e il secondo che si identifica nella proposta di nuova cintura verde per la città di Meknes, creano una continuità sia spaziale che culturale, tendendo a riattivare micro forze economiche che operano attivamente nel campo dell’agricoltura a piccola scala, mantenendo così i punti di forza e i caratteri morfologici essenziali del territorio. Mantenere i caratteri fondamentali dell’area non è una indulgenza “romantica” o “accademica”, ma la consapevolezza di poterli utilizzare per innescare forti cambiamenti con innovative strategie di trasformazione, tra le quali quelle di investire economicamente sulle piccole realtà imprenditoriali presenti. La valle è stata quindi la prima "cintura" naturale con due importanti funzioni: la prima come area di transizione tra urbanizzato ed "area verde", l’altra quale barriera contro l’uniformità della città. Ai giorni nostri la sua presenza in un'area urbana costituisce una rarità. Ciò è potuto avvenire grazie alla protezione di cui è stata oggetto da parte dei piani di sviluppo. Un punto di forza del primo progetto è stata la riqualificazione della cava presente lungo l’Oeud Boufekrane.
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La proposta di una sua trasformazione in un parco acquatico viene colta anche dal progetto paesaggistico della cintura verde, in quanto metà della cava ricade nel secondo progetto e costituisce l'opportunità di un rinnovamento urbano lungo le sue rive. I due progetti sono quindi accomunati da un uguale sentire di conservazione ambientale, mantenimento della redditività, sostegno sociale, educativo e l’implementazione delle attività del tempo libero. CARATTERISTICHE ABIOTICHE E BIOTICHE DELLA AREA DI STUDIO Le temperature sono elevate durante tutto l’anno mai inferiori ai 10°C e la media annua è di 17,3°C. Luglio e Agosto sono i mesi più caldi, Gennaio e Febbraio quelli più freddi. Le precipitazioni annuali sono basse ma non scarse (580 mm circa), praticamente assenti durante il periodo estivo e concentrate da novembre ad aprile con un picco in dicembre. L’eliofania è costituita da una media annua di 2.958 ore di sole all’anno. L’umidità atmosfera è elevata con valori annui di umidità relativa pari al 67%. Si tratta di un’area collinare con versanti molto dolci idonei ad una agricoltura intensiva. Fanno eccezione i fiumi prevalentemente incassati in gole profonde e ripide; spesso, in passato, siti di cava, oggi allagati nella stagione piovosa. I suoli sono prevalentemente profondi. Nella porzione Nord-Est sono tendenzialmente argilloso-limosi con buon contenuto di calcare, mentre in quella Sud-Ovest sono sabbiosi e privi di calcare. L'area è caratterizzata da zone agricole intensive (70% circa della superficie) prevalentemente irrigue e di piccole dimensioni spesso separate da elementi lineari, quali strade secondarie, siepi a fico d’India, euforbia e agave americana (Agave americana L.), muretti a secco e filari di alberi spesso cipresso comune e eucalipti. Gli elementi lineari sono una peculiarità del mosaico paesaggistico esistente in quest’area. Ai seminativi si alternano spesso piccoli appezzamenti di oliveto, vigneto e frutteti a mandorlo o pesco. Le piante di olivo, caratteristiche ed importanti commercialmente per la regione di Meknes, possono costituire anche corti filari, a chiusura dei campi, o alberi isolati. Gli orti familiari sono molto importanti e sono ubicati in prossimità dei fiumi e delle abitazioni. Il pascolo è poco diffuso. Armenti poco numerosi sono relegati nelle aree marginali. Il bosco è limitato a piccoli appezzamenti nella parte Sud Est dell'area, in prossimità del fiume.
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LA PROPOSTA PROGETTUALE La sistemazione della nuova vegetazione, discende dalla volontà di ricostituire habitat naturali di grande rilevanza ecologica (Maire 1926) in forte contrazione o molto alterati come i boschi ripari (Rejdali & Heywood 1991) o le siepi camporili, seguendo e soddisfacendo contemporaneamente la riqualificazione paesaggista del territorio. Grande importanza è stata data all’impiego di specie vegetali autoctone (Bertrand 1991). Nel complesso si è mirato a raggiungere i seguenti obiettivi: Costituzione di ripisilve lungo i tre affluenti dell’Oued Boufekrane. Costituzione di alberate lineari. Costituzione di siepi camporili. Costituzione di boschi di sclerofille e caducifoglie e di pinete. Costituzione di filari di eucalipto e di estensioni importanti di colture agrarie arboree come oliveti o frutteti: pomai, mandorleti. I filari di eucalipto sono concepiti a perimetro delle seconde. Piante isolate su vertici di visuale.
Le specie sono state scelte per valorizzare il progetto di riqualificazione paesaggistica di questa porzione del territorio di Meknes ottimizzandone l’aspetto ecologico ed economico. Scegliendo piante adeguate alle singole situazioni: suoli diversi per riserva idrica, tessitura e reazione chimica, e ricorrendo spesso ad essenze autoctone (presenti in Marocco) o da tempo acclimatate si sono contenuti i costi di approvvigionamento, di impianto e di manutenzione, garantendone, nel contempo, l’attecchimento. Nel rispetto delle caratteristiche agronomiche, ecologiche e paesaggistiche si è operato come sintetizzato nei punti che seguono. Fatta eccezione per la ricostituzione di boschi ripari, sono state scelte piante resistenti allo stress idrico estivo, alla forte ventosità.
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Sono state preferite piante arboree capaci di produrre frutti utili all’alimentazione umana o materiali commerciabili. Nella realizzazione delle fasce e dei filari, di grande valenza paesaggistica ed ecologica, sono state preferite generalmente piante a rapido accrescimento. Sono state proposte specie capaci di abbattere il carico d’inquinanti presenti nell’aria, resistenti ai parassiti comuni e/o prive, al momento, di gravi e letali malattie specifiche. In particolari ambiti sono state utilizzate piante di grande valenza estetica per realizzare punti di attrazione visiva o qualificare centri di aggregazione sociale. E’ stato cercato un adeguato impatto cromatico utilizzando piante sia sempreverdi, che a foglia caduca, anche con bella fioritura. Sulla scorta di quanto evidenziato nei punti precedenti sono state individuate specie diverse per grandezza, ecologia, durata, velocità di crescita. La scelta di piante che a maturità siano di diversa taglia è importante per aumentare il valore paesaggistico del territorio ed è imprescindibile per avere una maggiore strutturazione verticale della vegetazione e quindi aumentarne la valenza ecologica.
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sono da impiegare nei pochi suoli superficiali con elevato contenuto di calcare. Le alberature lineari sono da realizzare in presenza di suoli profondi con funzione frangivento. Le siepi di fico d’India e euforbia sono da utilizzare per regolare il pascolo e suddividere proprietà diverse. Le specie longeve, spesso a lento accrescimento, (carrubo, sughera, leccio, cipresso, olivo, bagolaro) garantiranno, in futuro, la presenza di piante vetuste. L’abbinamento di queste specie con quelle a rapido accrescimento (salicacee, eucalipto, platano, pini e noce) garantisce una rapida realizzazione del progetto e, nel contempo, una forte diversificazione vegetale destinata ad aumentare la biodiversità di Meknes, accogliendo, nel tempo, altre specie animali e vegetali. Ricostituzione delle selve riparie Pioppo bianco (Populus alba L.), pioppo nero (Populus nigra L.), salice bianco (Salix alba L.), ontano nero (Alnus glutinosa Gaert.), frassino meridionale (Fraxinus oycarpa Bieb.), oleandro (Nerium oleander L.), sambuco nero (Sambucus nigra L.), biancospino (Crataegus monogyna Jacq.), salice rosso (Salix purpurea L.). Alberatura lineari Noce (Juglans regia L.), cipresso (Cupressus sempervirens L.), bagolaro (Celtis australis L.), carrubo (Ceratonia siliqua L.), platano (Platanus orientalis L.). Siepi camporili Fico d’India (Opuntia ficus-indica (L.) Miller), euforbia (Euphorbia officinarum L. ssp. echinus (H. & C.) Vindt), biancospino, quercia spinosa (Quercus coccifera L.), fillirea (Phillyrea latifoglia L., P. angustifolia L.), lentisco (Pistacia lentiscus L.), alaterno (Rhamnus alaternus L.). Boschi Pino domestico (Pinus pinea L.), Pino delle Canarie (Pinus canariensis Sweet), carrubo, olivo (Olea europea L.), eucalipto (Eucalyptus sp.pl.), leccio (Quercus rotundifolia Lam.) e sughera (Q. suber L.). Alberate composte Esternamente eucalipto o carrubo e internamente olivo, mandorlo (Prunus dulcis (Miller) D. A. Webb), pero (Pyrus communis L.), melo (Malus domestica Borkh.) allevati alti ad albero. Piante isolate Carrubo, tamarindo (Tamarindus indica L.), canforo (Cinnamonum camphora (L.) Steb.), leccio e sughera.
Entrando nel particolare circa l’utilizzo di alcune specie si può evidenziare come le salicacee siano state proposte solo in prossimità dei fiumi, la sughera solo sulle sabbie decalcificate; il leccio, la quercia coccifera e le sclerofille
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L’ORTO SCOLASTICO: UN GIARDINO DEL NOSTRO TEMPO Pia Pera
Il giardino maggiormente in grado di rispondere ai bisogni del nostro tempo potrebbe essere proprio l’orto-giardino della scuola. Quel luogo dove far maturare le persone che si prenderanno un giorno cura del giardino planetario, per citare l’efficace formula di Gilles Clément. Nell’orto-giardino di scuola possiamo sanare una ferita, riconnettere l’uomo alla natura nel senso primario del termine, di corpo a corpo in cui l’uomo coltiva le piante e il paesaggio da cui trae nutrimento, in tutti i sensi, fisico ed emotivo. Gardens are for people, recitava mezzo secolo fa il titolo del paesaggista californiano Thomas Dolliver Church. Potremmo, oggi, ribaltare: le persone sono ciò di cui il giardino, divenuto planetario, non può fare a meno. People are for gardens. Torniamo allora a riflettere un momento sul termine degli antichi greci per designare la natura: physis, significava processo di crescita e venuta al mondo, non qualcosa di reificato o divinizzato, ma un movimento che coinvolge anche gli umani, qualcosa su cui riflettere adesso che pare più che mai necessario tornare alla radice del nostro antico cercare, tra le piante, la vita. Vita, quindi energia per alimentarla, cibo ottenuto instaurando una relazione attenta, partecipe e vitale col mondo. Ciò, tuttavia, sarà possibile a patto di risvegliare il gusto di prendersi cura della terra e di ciò che vi cresce, di riattivare facoltà cognitive andate perdute dopo una troppo lunga stagione di vera e propria guerra all’orto, alle campagne, ai contadini. Credo sia questa consapevolezza a ispirare il rinnovato interesse per gli orti, anche nelle situazioni più impensate: sui tetti, sui balconi di grattacieli, in verticale. Oppure in nuove declinazioni: orto scolastico e sociale ma anche terapeutico o carcerario.
All’orto non si torna soltanto per procurarsi cibo, ma per ristabilire, in ambienti dominati quasi esclusivamente dall’inorganico, una qualche nozione di cosa sia la materia viva, oltre che per recuperare un sapere centrale alla civiltà scaturita, nel bene e nel male, dal neolitico. In tutto il mondo stanno nascendo gruppi di persone decise a prendersi cura in prima persona del luogo in cui vivono. Questo è sintomatico del fermento, all’interno delle città, tra persone che, intorno al gesto di coltivare ortaggi o altro, vedono entrare in gioco una posta di portata più vasta., che riguarda il significato stesso di cittadinanza. Gli interventi minimi, spontanei e personali nelle aiuole abbandonate, negli incolti, esprimono forme elementari di partecipazione, una riappropriazione possibile, anche soltanto simbolica, dello spazio pubblico. Al di là delle mode, potremo salutare un risultato duraturo il giorno in cui anche nei paesi vedremo cittadini pronti ad assumere il governo del territorio, con semplici indispensabili gesti necessari a preservare il lavoro svolto dalle generazioni quando ancora esisteva una cultura degli usi comuni. Pulire fossi e margini stradali per evitare di inondazioni, riparare muretti a secco al primo sasso caduto per prevenire frane. Non sono forse, questi muretti a secco, mirabili giardini verticali, serbatoi di biodiversità? Il giardino del nostro tempo esula dai confini consueti: "Planetario" esige che se ne prenda cura ciascun terrestre. Per questo è fondamentale l’attività di quei maestri illuminati che decidono di iniziare i bambini, oltre che alle materie tradizionali, all’abc della natura: realizzando un orto a scuola. Dove, se non a scuola, possiamo coltivare le persone di cui i giardini, pubblici e privati, hanno bisogno? L’investimento culturale in orti scolastici è uno dei più lungimiranti del nostro tempo.
ANALISI DELLO STATO POST-INCENDIO DELLE PINETE DI ALEPPO DEL GARGANO C. Capponi – O. la Marca – L. Nardella Università di Firenze
Vestire il Paesaggio è sicuramente un tema impegnativo che contempla il ruolo dell’uomo e delle sue attività sull’ambiente che lo circonda. Il paesaggio rappresenta anche il risultato di attività, talvolta millenarie dell’uomo, che riflettono la cultura e i saperi locali, ma anche l’espressione della natura che ha saputo utilizzare le risorse disponibili e che si è adattata alle condizioni ambientali locali. Crediamo che non sia possibile stabilire regole di carattere generale nell’ambito degli interventi di restauro
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paesaggistico-ambientale dopo un incendio. Riteniamo invece che i vari tipi di intervento richiedano un approccio culturale rispettoso degli aspetti sopra richiamati: escludano la tendenza a repentini e continui cambiamenti, per i riflessi negativi che si potrebbero avere anche a distanza di molto tempo; utilizzino i saperi locali e le esperienze che la scienza e la tecnica hanno messo a punto. Immaginiamo ad esempio il negativo impatto paesaggistico ed ambientale di un intervento teso a sostituire una specie autoctona, oppure naturalizzata, magari perché incendiabile in un dato ambiente con un’altra più funzionale per determinati aspetti (rapidità di crescita, effetti cromatici, rischio incendio o altro). Nel caso delle pinete detto fenomeno di "successione" è contemplato in natura, è graduale, ed esprime il grado di “evoluzione” raggiunto da queste formazioni. Nelle pinete evolute, è noto, si stabilisce un nuovo equilibrio che vede la presenza del pino d’Aleppo come componente della compagine vegetazionale assieme a quelle latifoglie che, invece, quando la successione è ai primi stadi, sono presenti in modo più o meno sporadico. Nel caso che stiamo esaminando una pineta naturale a prevalenza di Aleppo è stata percorsa da un incendio di vaste dimensioni nella giornata del 24 luglio 2007 caratterizzata da condizioni meteorologiche molto favorevoli al propagarsi del fuoco e, conseguentemente, da condizioni sfavorevoli per l’opera di estinzione: la temperatura registrata alle ore 10 sfiorava i 40°C ed il vento spirava a 19 metri al secondo. L’area comprende un’ampia zona tra Vieste e Peschici (FG). La zona, caratterizzata da formazioni a copertura discontinua di pino d’Aleppo, con abbondante sottobosco costituito da specie tipiche della macchia mediterranea, ora si presenta quasi completamente bruciata salvo pochissimi lembi di vegetazione scampata alle fiamme. Nell’ottobre dello stesso anno, una violenta alluvione si è abbattuta sulle stesse zone percorse dall’incendio, portando con se molto suolo, mineralizzato dall’incendio. Dopo il passaggio del fuoco ed il dilavamento ad opera delle precipitazioni, il territorio mostra emblematicamente le caratteristiche pedo-geologiche del promontorio del Gargano, con diffusissima presenza di rocce affioranti a banchi. Attualmente la macchia che ha ributtato dopo il passaggio del fuoco ha un andamento molto variabile, tanto è vero che esiste un mosaico paesaggistico con zone caratterizzate da rocce affioranti, completamente prive di qualsiasi tipo di vegetazione sia arbustiva che erbacea, zone con piante morte in piedi in fase di collasso più o meno pronunciato, zone sgombrate dalle piante bruciate in cui si sta insediando la vegetazione naturale con tipologie molto varie. In estrema sintesi le tipologie di macchia osservate nell’ambito del presente lavoro sono le seguenti: “a rosmarino”, con rosmarino pressoché in purezza, associato a pochi individui di lentisco, asparago, gallium, su suoli molto superficiali, rocciosi, spesso a ridosso delle scarpate a bordo strada, in aree senza pascolo; “a pipthaterum miliaceum”, con abbondante presenza di questa graminacea a cui si associano individui sparsi di fillirea, cisti, lentisco e stracciabrache, su suoli con rocce affioranti, in aree senza pascolo; “a cistus monspeliensis”, con cisto pressoché in purezza cui si associano individui sparsi di citisus
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villosus, ombrellifere e graminacee, su suoli interessati da pascolo bovino; “a pulvini” in ambienti esposti direttamente all’aerosol marino, con prevalenza di ginestra spinosa, fillirea e lentisco, il cui sviluppo e forma sono condizionati dal vento; “a macchia evoluta” in aree protette dal pascolo, con abbondanza di rinnovazione di pino, e ricacci di elementi della macchia quali lentisco, fillirea, olivastro. Per la composizione del piano erbaceo si rimanda alla tabella 2; “a euphorbia”, con individui di euforbia dendroides in aree pascolate.
Macchia a rosmarino nei pressi di una scarpata (in prossimità di Baia di Mannaccora)
Macchia a Piptatherum miliaceum
Macchia a Cistus monspeliensis sulle collinette di Vieste
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Macchia “a Pulvini” in corrispondenza della Torre Saracena, lungo la strada provinciale tra Peschici e Vieste
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che l’incendio si ripeta nel breve periodo, a stabilire le caratteristiche del fronte di fiamma e gli aspetti pirologici. Le analisi condotte, oltre a considerazioni in ordine alla fruibilità ed all’impatto paesaggistico, hanno consentito di prevedere e mettere a confronto alcuni fattori predisponenti l’incendio e l’intensità del fronte di fiamma in aree comparative in cui il soprassuolo bruciato è stato sgombrato immediatamente dopo il passaggio del fuoco ed in aree in cui, per ragioni diverse, ciò non è avvenuto. La presenza nelle zone percorse dal fuoco di un intenso pascolo, alternata ad aree in cui il pascolo è stato precluso, ha dato la possibilità di verificare l’impatto della presenza degli animali in produzione zootecnica sulla rinnovazione del bosco e le relazioni nei riguardi degli aspetti pirologici ad esso conseguenti.
Area non asportata dopo l’incendio del 2007, si notano già molte piante atterrate.
Macchia evoluta in zona Campi (Vieste)
Macchia a Euphorbia nei pressi delle aree campioni del presente studio
I rilievi fotografici sono stati eseguiti in una zona ritenuta rappresentativa di condizioni di fertilità media, mentre le migliori condizioni di fertilità si hanno in corrispondenza di impluvi in cui si apprezza una notevole evoluzione verso l’oleo-ceratonion. Le ricerche condotte mirano a caratterizzare la situazione post incendio, a verificare le opportunità di procedere con opere di ricostituzione boschiva e di difesa del suolo immediatamente dopo l’evento calamitoso, a proporre le opzioni colturali possibili per ridurre la vulnerabilità del futuro soprassuolo nei riguardi del fuoco, a studiare l’andamento della rinnovazione naturale, a verificare i rischi
I risultati delle ricerche condotte sulle pinete percorse dal fuoco nel 2007 sul Gargano hanno consentito di verificare ex post alcuni errori nelle opzioni colturali che, da un punto di vista tecnico, sono stati commessi e che, in qualche modo, costituiscono pregiudizio per il futuro principalmente nei riguardi dei seguenti aspetti: rinnovazione naturale; turistico-ricreativi e fruizionali almeno per un lungo periodo; idrogeologici; del rischio di incendio nel breve periodo. degli attacchi parassitari da parte del Tomicus piniperda conseguenti al notevole accumulo di piante predate dal parassita di debolezza sopra riportato. Per quanto riguarda la rinnovazione naturale post incendio si è detto che la rinnovazione di pino d’Aleppo due anni dopo il passaggio del fuoco è alquanto scarsa sia nelle zone pascolate che in quelle non pascolate, rispettivamente pari a 0,5 e 1,5 m-2. Si tratta di valori estremamente bassi soprattutto se si tiene conto che il soprassuolo colpito dal fuoco aveva un’abbondante presenza di piante di pino adulte. Nonostante l’apparente elevato valore per ettaro, la quantità dei semenzali è bassa in quanto si è in presenza di soprassuoli privi di cure colturali in cui la selezione naturale è molto spinta. Quanto sopra conferma la carenza di rinnovazione di queste pinete, dovuta con ogni probabilità alla mancata esecuzione di opere di regimazione idraulica e all’alluvione che ha colpito il territorio di Peschici dopo tre mesi dall’incendio, che ha provocato una notevole erosione del suolo e, sicuramente, anche della carica di seme in esso contenuta.
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All’epoca sono stati registrati danni alla viabilità e allagamenti con trasporto solido nelle strutture alberghiere presenti sulla costa. Sappiamo che nelle pinete che, come nel nostro caso avevano abbondante presenza di piante mature, la rinnovazione da seme è pronta e abbondante. Un’indagine condotta da Mastelloni (1980) proprio a Peschici (località Coppa della Nuvola) in una pineta dopo 5 anni dal passaggio del fuoco, ha messo in evidenza la presenza media di 29 semenzali a m2 ed un’altezza media di 59,61 cm. L’Autore riferisce che il soprassuolo era stato prontamente tagliato e sgombrato dopo il passaggio del fuoco. Noi stessi in Comune di Peschici, in zona recintata (quindi preclusa al pascolo), prontamente sgombrata dalle piante danneggiate dal fuoco, in favorevoli condizioni morfologiche, abbiamo rilevato a due anni dall’incendio circa 70 semenzali per mq aventi un’altezza compresa tra 15 e 100 cm.
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Le pinete garganiche percorse dal fuoco negli ampi tratti in cui non è stato eseguito lo sgombro delle piante morte, sono del tutto non fruibili per fini turismo-ricreativi e non lo saranno ancora per molti anni dato i lenti processi di decomposizione del legname resinoso in ambienti caratterizzati da un clima caldo e asciutto come quelli che qui interessano. Dal punto di vista paesaggistico le aree percorse dal fuoco e abbandonate all’evoluzione naturale costituiscono dapprima uno scenario tetro, successivamente ai crolli delle piante danno un’idea di disinteresse per i luoghi da parte dei proprietari e della pubblica amministrazione. La difesa idrogeologica affidata al bosco viene improvvisamente minata dall’incendio una prima volta perché vengono direttamente colpiti gli elementi, le piante ai quali è affidata la difesa del suolo, una seconda volta perché il fuoco incide negativamente sulla struttura del suolo rendendo il substrato maggiormente erodibile dalle acque di scorrimento superficiale.
Pinete percorse dall’incendio 2007, non diradate (ottobre 2008)
Dopo l’alluvione dell’ottobre 2007
Risulta di tutta evidenza come il pascolo e l’aumentato rischio di erosione in seguito al passaggio di un violento incendio rappresentino altrettanti fattori limitanti nei riguardi della rinnovazione naturale
Pinete percorse dall’incendio 2007, non diradate (febbraio 2010)
Rinnovazione di pino in area recintata e preclusa al pascolo caprino (Peschici)
Non a caso qualche addetto ai lavori (Padovano, 2008) e non pochi studiosi, incluso gli scriventi, consigliano tra gli interventi prioritari opere di ingegneria naturalistica, anche realizzate con modeste risorse – vedi l’impiego dello stesso legname proveniente dal taglio della vegetazione bruciata, opportunamente disposto lungo le curve di livello, se del caso ancorato al terreno, vedi l’impiego di parte della ramaglia disposta in andane – allo scopo di sopperire
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temporaneamente al ruolo di difesa che era del bosco prima del passaggio del fuoco. In ambiente mediterraneo, superato l’inverno che segue la stagione dell’incendio, i rischi di violenta erosione risultano notevolmente diminuiti per la presenza della vegetazione erbacea, della rinnovazione della componente arborea e per i riscoppi della vegetazione della macchia che, in verità, iniziano già in autunno. Nel caso dell’incendio che ha colpito una vasta area del Gargano tutte le opere di sistemazione prescritte e presentate dai proprietari per le approvazioni di legge alla Pubblica Amministrazione sono state de facto impedite per ragioni, riteniamo, ideologiche "la natura lasciata alla libera evoluzione", per cui il territorio, come già dianzi detto, è risultato fortemente vulnerabile in occasione delle abbondanti precipitazioni che alla fine di ottobre si sono abbattute sul territorio che già aveva subìto danni notevolissimi ad pera del fuoco. Dalle ricerche condotte inoltre, è emersa una notevole e generalizzata vulnerabilità nei riguardi del rischio di incendio nel breve periodo. Ciò è dovuto allo sviluppo della flora erbacea che utilizza evidentemente l’allocazione nei primi strati del suolo di sostanze minerali rese disponibili dalla mineralizzazione conseguente all’incendio. Per quanto riguarda la presenza di pascolo è da osservare che agli aspetti negativi sopra evidenziati si associa un aspetto positivo che consiste nella notevole riduzione, anche se selettiva della biomassa bruciabile e, quindi, un minor rischio di incendio. Si tratta di un aspetto delicato, da considerare molto approfonditamente, tanto più che la normativa recente e remota ha sempre espresso una posizione a questo riguardo nettamente sanzionatoria. Bisogna considerare che in presenza di pinete di Aleppo, soprattutto nei primi stadi successionali, la rinnovazione è poco o affatto appetita dalla maggior parte degli animali in produzione zootecnica, mentre l’asportazione di biomasse erbacee da parte del bestiame è consistente, nel caso studiato ammonta a circa 4t di biomassa per ettaro, e riduce sensibilmente il rischio che il fuoco si sviluppi e raggiunga intensità difficili da controllare e foriere di ulteriori danni in soprassuoli giovani e, per questo con scarsa o nessuna carica di seme per la rinnovazione. Sappiamo anche che per aree estese colpite dal fuoco l’asportazione della biomassa erbacea rappresenta un impegno altrimenti economicamente non sostenibile. Certo è che, tra i fattori modificabili dall’uomo che influenzano la gravità di un incendio, quelli preponderanti nel nostro caso sono la presenza o meno del pascolo nell’area e la presenza o meno del pino bruciato. E’ il caso di sottolineare che i valori di umidità riportati nel presente lavoro, che influiscono sulla quantità di calore prodotta durante la combustione sono stati misurati a marzo, periodo in cui i tessuti vegetali sono ricchissimi d’acqua e per l’entrata in vegetazione delle piante e per le condizioni climatiche favorevoli. Com’è ovvio invece il periodo a massimo rischio di incendio corrisponde con i mesi estivi in cui l’attività fisiologica delle piante è oltremodo ridotta per le estreme condizioni climatiche, temperature molto elevate ed assenza di precipitazioni. Nel caso di un nuovo incendio che si sviluppasse in condizioni simili a quelle che sono state proprie dell’incendio del luglio 2007 in aree non sgombrate dagli alberi precedentemente bruciati e non interessate da
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pascolo. gli addetti allo spegnimento dovrebbero fronteggiare un fuoco alimentato da una grande quantità di materiale sia rapidamente combustibile erbaceo che ad altissimo potere calorico, masse legnose allo stato quasi anidro. D’altra parte è noto che le condizioni più favorevoli agli incendi si verificano in boschi molto giovani con abbondante presenza di biomasse erbacee e in boschi di una certa età caratterizzati da abbondante presenza e notevole sviluppo dello strato arbustivo. Laddove il sottobosco arbustivo è meno abbondante, oppure a sviluppo limitato, l’assenza, almeno teorica, di condizioni di insorgenza di fuochi di chioma rende meno grave l’effetto dell’incendio. Regolari interventi colturali, sfolli e diradamenti, nei soprassuoli coetanei derivanti da incendio, sembrerebbero avere influenza nel definire una struttura spaziale di combustibile meno critica, a condizione di controllare lo strato arbustivo e con esso i pericolosi accumuli di necromassa costituita da materiali legnosi o suffruticosi di piccole dimensioni. Si ritiene rilevante osservare che la suddetta esigenza colturale e di difesa dagli incendi boschivi contrasta con le prescrizioni che sono state impartite dalla Regione Puglia per le aree della rete Natura 2000 che hanno voluto preservare il sottobosco arbustivo, con evidente astrazione da problemi reali connessi alla gestione di questi boschi e con disorientamento degli addetti ai lavori che hanno tradizionalmente praticato la ripulitura del sottobosco in occasione dei tagli colturali. Ancor prima dell’istituzione della rete Natura 2000 le attività di prevenzione degli incendi boschivi hanno previsto la ripulitura del sottobosco lungo le strade e nelle zone a più elevato rischio di incendi Le indicazioni fornite dal presente lavoro mostrano che le intensità lineari che potenzialmente andrebbero a svilupparsi in presenza del materiale legnoso non asportato, darebbero rapidamente origine a incendi incontrollabili. La difficoltà di estinzione inoltre, pur nel fortunato caso in cui le squadre addette all’estinzione si trovassero ad agire in maniera assolutamente tempestiva, nelle prime fasi di avanzamento del fuoco, sarebbe sfavorita dall’accavallarsi dei rami e dei tronchi delle piante a terra che renderebbero impossibile avanzare con le attrezzature atte allo spegnimento del fuoco. L’opzione colturale del non intervento ha determinato la situazione sopradescritta. Nel caso si procedesse ora allo sgombro delle piante morte a causa del fuoco, sarebbe da considerare: il danno alla scarsa rinnovazione in via di affermazione;
il danno economico dovuto ai maggiori costi conseguenti alle difficoltà di accedere al letto di caduta delle piante ed all’esbosco del materiale;
il danno economico dovuto al parziale deterioramento del materiale legnoso;
il danno biologico conseguente agli attacchi di tomicus.
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EVOCUCION EN LA JARDINERIA MEDITERRANEA (ESPAÑA)
o o
Emilio Villanueva
Bien somos conocedores todos aquellos que estamos ligados al mundo de la jardineria y al paisajismo, que existen varios factores externos que marcan el estilo de nuestro diseño para cada proyecto de jardinería, éstos son algunos tales como: El estilo arquitectónico proyectado o existente, es decir siempre estamos condicionados por lo que otros profesionales previamente han diseñado, destinados a seguir las directrices del proyecto de construcción, utilizando nuestro trabajo en ocasiones para tapar o encubrir aquellos defectos constructivos de la vivienda. De forma que podemos afirmar que:
Luces y sombras (arq) Cromatismo, vacíos y llenos de reflejos, aromas, ...
Jardín = felicidad, goce y disfrute No podemos acometer la parcela a diseñar sin conocer los criterios que generan los elementos (vegetación y suelo) a componer. Captura del “Genius loci” Vegetación se adapta a las normas de composición arquitectónicas: función y forma (con sus peculiaridades especificas) ANALISIS DE LOS ELEMENTOS DE UN JARDIN: materia vegetal, iluminación, rocallas, sistemas de riego, tratamiento de taludes, suelo ... EL PROCESO CREATIVO: mentalizar al autor del proyecto que la creatividad debe ir unida en el diseño y en la redacción del mismo. El gusto y necesidades del cliente.
Cuando en los años 40 comienza nuestra empresa Jardineria Villanueva con el diseño y ejecución de jardines, las viviendas particulares en proporción a la zona de jardín ocupaba un 20% de la superficie total de la parcela. (Proyecto
de Dn. Carlos Madrid, fotos jardín Aceituno, Perfecto, Huerto Sta. Maria)
Arquitectura = Jardinería ≡ Composición Jardín = proceso evolutivo (cambia a lo largo de las staciones, otra expresión a la arquitectura) En el diseño influyen:
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Hoy en día ocurre lo contrario la vivienda ocupa el 80% y el jardín el resto. (fotos Dn. Angel, Pepe peixero, Nieves Escarti)
De ahí que hasta los años 1990 y 2000 el estilo de jardineria en el mediterráneo era paisajista donde la vegetación gozaba de espacio suficiente para desarrollarse de una manera libre sin necesidad de podas agresivas y forzadas para poderla mantener en espacios más reducidos de lo que sus necesidades requieren. Se trataba de una estilo de Jardinería paisajista donde el protagonista principal del jardín era la vegetación, donde se incorporaban otros elementos necesarios como las rocallas o el agua para darle mas ensalce o importancia a la vegetación. Cualquier elemento constructivo iba acompañado de un elemento vegetal, pérgolas de trepadoras, vallas con arbustos que con el tiempo embebían la valla o la verja y donde la vegetación volvía a ser el actor principal.
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Con el paso de los años la vegetación va perdiendo su valor protagonista adueñándose de él otros elementos: jardineras de materiales inertes (fotos jardín Manuel Ponce, casa decor), bolo de canto (fotos, serpis, calpe) rodado que va sustituyendo las grandes praderas o los macizos de vivaces, aquellas plantas que daban vida en cada época del año al jardín.
Hoy en día se recurre a la utilización de vegetación forzada con recortes topiarios, limitadas a un espacio reducido y esclavizada a una forma simétrica para conseguir de ella las necesidades que en la mayoría de ocasiones va buscando el cliente, la intimidad con el resto de viviendas colindantes, (fotos valla Alberto García, Antonio Navarro, Pepe Peixero)
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ejemplares formados para reducir o paralizar el crecimiento (fotos olivos formados, conde, Burdeos, dn. Angel Ficus formados, Bougambilea formada), jardineria a la que te vas acoplando de la mejor manera posible para dejar fluir tu creatividad, que al parecer antaño era más sencillo.
Siempre he pensado que es más difícil el diseño y la ejecución de un jardín de 200 m2 que uno de 2.000m² Nuestros proyectos hoy en día están limitados por el escaso entendimiento de nuestros clientes sobre la vegetación y la jardineria; y a su vez la exigencia por su parte de un bajo coste de mantenimiento, que con el tiempo aceptarán que los materiales inertes se degradan y perderán ese encanto que en su día tenían; y por el contrario la vegetación con un buen mantenimiento es para toda la vida. Estamos encaminándonos a perder la relación anteriormente comentada: Jardín = proceso evolutivo (cambia a lo largo de las estaciones y nos aporta otra expresión a la arquitectura). El césped natural sustituido por un tejido de plástico que intenta imitar la antigua pradera de césped de color verde que va cambiando la tonalidad dependiendo de la estación del año, que da vida al jardín, proporciona frescor a la vivienda y nos hace sentirnos mas libres (fotos praderas y artificial).
La sustitución de las rocallas de piedra natural imitando la naturaleza (fotos rocallas), por perfileria de materiales inertes (fotos acero corten, aluminio), que le dan un toque moderno, minimalista e innovador a la jardineria, pero no deja de ser un material inerte que resta espacio o un ser vivo. El seto de vegetación sustituido por material inerte (valla de Amparo Andreu, y Alberto García).
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Reducimos sin darnos cuenta la sensación de libertad, naturaleza y oxigenación que producían esos espacios verdes amplios en las viviendas o zonas residenciales. Nos equivocamos, saliendo de las ciudades a una zona residencial y luego limitamos nuestro espacio con seres inertes que nos proporcionan al final la misma sensación que dentro de la urbe.
Por el contrario en la ciudad la administraciones publicas apuestan por otro tipo de jardineria, en la cual nuestra empresa cree desde hace varios años, dándonos cuenta y analizando la problemática existente con el cambio climático, la producción de oxigeno en las zonas urbanas, la captación del máximo de CO2, la reutilización de aguas residuales (fecales y grises), retención de aguas de lluvia, y todo esto unido al cambio por la estética de la ciudad, hablando concretamente de Valencia, masificada por la gran construcción en estos últimos años, restándole terreno a las zonas de huerta que nuestros antepasados cultivaban y beneficiaban a nuestro entorno. Por lo tanto las administraciones apuestan por la Jardineria Vertical y Cubiertas vegetales. Nuestra empresa es pionera en el Levante en este estilo de jardineria. Aunque parece contradictorio con lo anteriormente expuesto, el ciudadano se sensibiliza y apuesta por las zonas verdes en la ciudad siempre y cuando el mantenimiento no sea un coste directo para el. Por lo tanto y como conclusión la jardineria en el Mediterráneo ha ido sufriendo cambios en el transcurso de los años, pero al final el ciudadano se da cuenta que son muy necesarias las zonas verdes en nuestro entorno.
“Todo lo que se construye pretendiendo sea bello, práctico y duradero, exige una perfecta conjugación entre la armonía y la técnica, pero mucho más cuando como en un jardín los principales elementos que intervienen, son los seres vivos, arboles, plantas... Considera Vd. después de pensar en lo anteriormente expuesto, que dichos conocimientos los posee cualquiera elegido al azar?” “El precio se olvida cuando la calidad perdura”
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MODULI COMPOSITIVI APPLICATI A SPECIE ARBOREE ED ARBUSTIVE ORNAMENTALI PER LA VALUTAZIONE DELLE LORO CAPACITÀ DI MITIGARE DEI FLUSSI INQUINANTI IN AREE URBANE E PERIURBANE AD ALTA DENSITÀ DI TRAFFICO Maurizio Antonetti - Gianluca Burchi CRA-VIV Unità di Ricerca per il Vivaismo e la gestione del Verde Ambientale ed Ornamentale, Pescia (PT) Stefano Mengoli Paesaggista - Management per il verde urbano
L'ecosistema urbano é un organismo fortemente squilibrato in termini sia di consumo di energia e materie prime, sia di produzione di rifiuti ed emissioni inquinanti. Le cause principali dell’inquinamento atmosferico in ambito urbano
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sono le emissioni da combustione: traffico, impianti termici e le emissioni di natura industriale. Tra le particelle inquinanti più pericolose (PM, Particulate Matter, o Particolato), si segnalano le Polveri Totali Sospese (PTS, cioè l’insieme delle particelle sospese in atmosfera con DAE 1-100 μm), i PM10 (particelle con diametro aerodinamico < 10 μm in grado di penetrare nelle prime vie respiratorie, la cosiddetta “frazione toracica”) ed i PM 2.5 (particelle con diametro aerodinamico < 2.5 μm, che penetrano più in profondità e si depositano nelle vie aeree non ciliate, la cosiddetta “frazione fine”). L’inserimento nei tessuti urbani di elementi di attenuazione delle pressioni ambientali, come arbusti ed alberi utilizzati anche a scopo ornamentale, è una delle possibilità per ridurre i danni dell’inquinamento atmosferico. Il ruolo principale del verde urbano si svolge attraverso le seguenti azioni: Assorbimento di inquinanti gassosi (CO2, NOx, CO, SO2, O3): i composti possono essere assorbiti a livello superficiale, immagazzinati nei tessuti cellulari ed inattivati oppure metabolizzati ed utilizzati dalla pianta. Azione filtrante nei confronti del particolato mediante sedimentazione delle particelle più grossolane, impatto sotto l’influenza di correnti d’aria o deposizione al suolo attraverso le precipitazioni. Sequestro di metalli pesanti presenti nell’atmosfera in ambiente urbano: il flusso intercettato dalla barriera vegetale può essere risospeso nell’atmosfera dal vento o dilavato dalle piogge verso il terreno. La deposizione è quantitativamente il fenomeno più importante per la frazione solida del particolato. Per dare un dato, McPherson nel 1991 aveva stimato che la componente arborea del verde urbano di Chicago aveva rimosso circa 234 t di PM10 in un anno. E' possibile incrementare l'efficienza di rimozione del particolato agendo sulla composizione del verde urbano ed utilizzando in successione, a seconda dei casi, piante arboree, arbusti o coperture erbose. Un interessante progetto di ricerca in questo settore, dal titolo “Valutazione quantitativa delle capacità di specie arbustive e arboree ai fini della Mitigazione dell’Inquinamento Atmosferico in ambiente urbano e periurbano”, è stato avviato in Italia lo scorso anno su finanziamento del Mi.P.A.A.F.. Il Progetto M.I.A., presentato dall’Azienda Florconsorzi di Piancastagnaio (SI) e coordinato dal Prof. Zerbi dell’Università di Udine, ha i seguenti obiettivi generali: 1. Definizione delle capacità di alcune specie, tra quelle prodotte dall’impresa, di intercettare i principali inquinanti atmosferici 2. Analisi della capacità delle stesse specie di assorbire, traslocare, compartimentare e metabolizzare gli inquinanti 3. Ricerche sugli effetti delle deposizioni umide e secche nel suolo in ambito urbano e loro effetti sulla vegetazione 4. Capacità delle specie suddette di sequestrare la CO2 atmosferica con riduzione dell'effettoserra 5. Messa in opera di formazioni vegetali del tipo “barriera vegetale” e “cortina vegetale” in presenza di sorgenti di inquinamento da traffico veicolare
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Stesura di schede che associno alle caratteristiche botaniche-morfologiche di ogni specie le sue caratteristiche ecologiche ai fini della mitigazione dell’inquinamento 7. Linee guida per la progettazione di formazioni vegetali, in particolare per le sorgenti di inquinamento di tipo lineare. Le 8 specie ornamentali da esterno oggetto di studio nel Progetto M.I.A. sono: 1) Arbutus unedo; 2) Elaeagnus x ebbingei; 3) Ligustrum ovalifolium ‘Aureum’; 4) Viburnum lucidum; 5) Viburnum tinus; 6) Laurus nobilis; 7) Photinia x fraseri ‘Red Robin’; 8) Ilex sp. Le Unità Operative coinvolte nel Progetto, invece, sono: il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università di Udine; il CRA-VIV Unità di Ricerca per il Vivaismo e la gestione del Verde Ambientale ed Ornamentale di Pescia (PT); il Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Bologna; il Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura dell’Università di Firenze. L’Unità Operativa CRA-VIV Pescia svolge attività di ricerca relativamente agli obiettivi 5 e 7, in particolare: 1. Progettazione e realizzazione di prototipi di moduli compositivi per specie arbustive ornamentali (barriera e cortina) 2. Valutazione sperimentale dell’efficienza dei moduli compositivi realizzati in ambienti urbani a forte densità di traffico nell’intercettare ed abbattere i flussi dinamici inquinanti 3. Valutazione sperimentale dell’attività fotosintetica con metodi analitici e biometrici Sono già state realizzate delle barriere o biomuri, collocati in parallelo e ortogonali al flusso dinamico (transetto orizzontale) della fonte inquinante (traffico veicolare pesante).
Negli anni successivi saranno realizzate anche delle cortine paesaggistiche, legate allo studio di combinazioni con schema “a labirinto” (con linee d’impianto legate al ritmo di accrescimento) o con schema “a griglia” (con linee d’impianto ortogonali e parallele al flusso dell’aria). Ogni cortina è stata studiata secondo un disegno compositivo mirato a creare un’ “isola naturalistica”, in grado di supportare il recupero paesaggistico di aree degradate tramite reti ecologiche del territorio e forme vegetazionali simili a quelle riscontrabili in natura. Le valutazioni analitiche effettuate sui moduli a barriera a monte e a valle del flusso inquinante (transetto orizzontale”) ed a diversi livelli dal suolo (transetto “verticale”) riguardano:
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flusso dinamico aereo lungo il transetto orizzontale (sviluppo in spessore della barriera: 5m) mediante utilizzo di anemometro 2. Efficienza di intercettazione al suolo di metalli pesanti mediante analisi sul dilavato della barriera 3. grado di adsorbimento dei metalli pesanti sui tessuti fogliari (bioaccumulo) 4. Sviluppo delle piante inserite nei moduli a barriera e valutazione indiretta del grado di abbattimento della CO2 atmosferica 5. Grado di abbattimento della CO2 atmosferica mediante: a) Valutazioni di tipo biometrico: altezza della pianta; diametro del fusto principale; Leaf Area Index (LAI); area fogliare con % di aree necrotiche (mediante areametro) su foglie completamente espanse ed esposte ortogonalmente al flusso inquinante. b) Valutazioni di tipo analitico: misuratore a infrarossi di scambi gassosi (CIRAS-2); fotosintesi netta; traspirazione; concentrazione interna di CO2; conduttanza stomatica. Le valutazioni effettuate sui moduli a cortina saranno le stesse descritte per le barriere ma, in questo caso, le performances delle singole specie non saranno valutate singolarmente, in quanto collocate in posizioni differenti, rispetto al flusso, ma in toto, al fine di valutare l’efficienza d’insieme della cortina, concepita come “isola naturalistica”.
Le prove sono in corso nell’azienda sperimentale del CRAVIV Pescia, lungo la Strada Provinciale di accesso al centro del paese, al Mercato dei Fiori ed alla zona delle cartiere, quindi in un punto a forte densità di traffico veicolare sia leggero che pesante. Siamo anche impegnati nella costituzione dell’Osservatorio Nazionale del Verde Urbano e Storico (O.N.V.U.S.), pensato come piattaforma per la comunicazione e le informazioni sui vari temi intercettati dalla tematica. L’Osservatorio è un network di centri di ricerca, di pubbliche amministrazioni sensibili e attente, di imprese impegnate nella ricerca e nella comunicazione di settore, ed è il vero motore dell’idea osservatorio. La formula legale è una ‘onlus’ perché questo è uno strumento agevole per far si che, a vario titolo, persone esperte - cultori della materia, ricercatori, professionisti, politici, professionisti - trovino un luogo principalmente virtuale dove potersi confrontare o trovare informazioni, contenuti ed imput adeguati sullo stato dell’arte in tema di verde urbano e storico, e che lo stesso sia il possibile luogo per favorire la nascita e lo sviluppo di iniziative di ricerca, di comunicazione e di informazione, su scala ovviamente nazionale, utilizzando la navigazione in internet come ideale spin-off.
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IL VERDE PER LA QUALITÀ DELLA VITA IL VERDE E SALUTE Cristina Borghi Medico - Libero professionista
Una lunga carriera dedicata allo sviluppo clinico dei farmaci, in Italia e all’estero, mi ha fatto riflettere nel corso degli ultimi anni sull’evoluzione della terapia medica e della pratica della medicina. L’etica professionale, in qualità di medico, mi ha portato a pormi domande sempre più profonde sul significato della malattia e, soprattutto, sulle attuali potenzialità terapeutiche. Ecco come sono arrivata al grande tema della relazione tra la natura e la salute: relazione che di fatto ha radici antiche con Ippocrate, padre e fondatore della medicina occidentale. I miei pensieri partono dall’osservazione che la pratica terapeutica attuale ha aumentato l’attesa di vita, ma non la qualità della vita; infatti oggi il problema dominante della medicina è la cronicità. I successi ottenuti nella terapia di episodi acuti di malattia o nella terapia chirurgica o d’urgenza hanno convinto la classe medica, ma soprattutto il malato, che il progresso in campo medico sia o sarà in grado di produrre farmaci capaci di risolvere qualsiasi problema clinico. Ma nessuno spiega che una terapia cronica non è mai scevra da effetti collaterali avversi e che quindi, come afferma Giorgio Cosmacini illustre storico della medicina vivente, nella realtà sanitaria odierna disabilità e aumento della sopravvivenza sono propiziati dalla medicina contemporanea. Questo non significa che non si debbano utilizzare i farmaci in terapia cronica, ma che l’uso debba essere fatto in maniera attenta e oculata, vale a dire solo quando strettamente necessari e, soprattutto, non per soddisfare le esigenze dell’industria della salute. La scienza oggi ha fatto progressi strabilianti sul piano tecnico, perdendo tuttavia di vista alcuni aspetti importanti nella relazione tra medico e malato e nell’approccio terapeutico. Ecco perché molti affermano che i tempi siano maturi per operare un cambiamento di paradigma nella scienza medica, perché quello attuale ha dei limiti: scarsa attenzione alla prevenzione della malattia con mezzi naturali dieta, esercizio fisico, contenimento dello stress, utilizzo di un elevato tecnicismo che porta naturalmente ad una “parcellizzazione” dell’intervento sul malato, scarsa o nulla attenzione all’effetto placebo, che in alcuni casi provoca un miglioramento clinico paragonabile o molto vicino a quello di alcuni farmaci o persino superiore, ed un rapporto “distratto” con il malato.
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La salute, bene sommo cui tutti aspiriamo, come afferma la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, è “uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, e non semplicemente l’assenza della malattia o dell’infermità”. Quindi la salute del corpo non può essere scissa da quella della mente. Il verde, il giardino e la natura nel suo complesso aiutano a mantenere in salute la mente e, di conseguenza, sono un valido alleato di chi è ammalato. Tanto è vero che un antico proverbio cinese suggerisce il contatto costante e continuo con il verde per raggiungere la felicità: “Se vuoi essere felice per un’ora, inebriati: se vuoi essere felice per tre giorni, prendi una donna; se vuoi essere felice per tre mesi, macella un maiale e mangialo in tre mesi; ma se vuoi essere felice per una vita, fatti giardiniere”. Infatti, due aspetti complementari dell’interazione con l’ambiente naturale contribuiscono a migliorare la qualità della vita: il giardino da osservare: healing garden e la terapia orticolturale, includendo anche tutte le operazioni di giardinaggio.
Il giardino non cura nell’accezione medica del termine in quanto la cura è un intervento di natura fisica e implica l’utilizzo di fattori tecnico-strumentali esterni, ma può “guarire”, perché la guarigione è il processo con cui si ristabilisce l’equilibrio generale della persona ammalata. Il razionale dell’interazione con l’ambiente per migliorare la qualità della vita muove da motivazioni storiche, intuitive e da prove scientifiche. Gli aspetti storici rimandano al giardino dei semplici, dove i monaci coltivavano le erbe medicinali per assistere gli infermi, al giardino delle scienze delle Scuole di Medicina nel periodo umanistico, dove i docenti insegnavano agli allievi a riconoscere le piante officinali e ne illustravano le proprietà terapeutiche, per arrivare all’epoca moderna, dove la farmacognosia è stata fonte ispiratrice per la ricerca e lo sviluppo di gran parte dei farmaci di sintesi oggi utilizzati in clinica. Inoltre, oggi, fonti autorevoli suggeriscono con insistenza la presenza del giardino nei luoghi di cura perché è stato dimostrato che rappresenta un complemento indispensabile alla cura medica convenzionale. Il razionale intuitivo risiede nella magica bellezza che incanta e quieta, nella molteplicità dei colori che stimolano l’ottimismo e i pensieri positivi, nelle proprietà curative dei fattori fisici presenti in natura: acqua, sole, vento, luce, ... Le prove scientifiche confermano che l’attività fisica nel verde previene le malattie della civiltà, malattie croniche e degenerative, diabete, ad esempio e che i giardini nei luoghi di cura contribuiscono alla guarigione del paziente, perché il verde diminuisce lo stress, aiuta il malato ad acquisire il controllo sul proprio stato di salute e lo distrae dal pensiero
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costante negativo dell’infermità contingente o cronica che lo assilla. Bisogna dunque sfatare, soprattutto per quanto concerne le malattie croniche, il concetto radicato che l’assunzione di un farmaco equivalga alla terapia e che quindi basti assumere quello giusto per ripristinare la salute o mantenerla. La terapia medica, come di fatto dimostra l’elevata entità dell’effetto placebo, è un insieme complesso ed intricato di fattori che, tutti insieme, concorrono a costituire il cosiddetto contesto di cura.
Quindi il giardino “guarisce” perché l’ambiente è parte integrante del contesto di cura, il giardino è in grado di ridurre e contenere lo stress e di migliorare la qualità della vita, e l’interazione con gli elementi del giardino procrastina la disabilità e previene le malattie croniche. Le operazioni di giardinaggio hanno infatti ripercussioni positive sullo stato di salute: migliorano l’attenzione, sono un’eccellente ginnastica cognitiva e obbligano al movimento, secondo i nostri ritmi e le nostre capacità, all’aria aperta. Ho letto, studiato e approfondito l’argomento negli ultimi dieci anni ed ho trovato una spiegazione scientifica convincente a quanto sopra esposto ed affermato da sociologi ambientali, architetti del paesaggio e psicologi. Il sintomo cardine di qualsiasi condizione di malattia è rappresentato dallo stress, che non colpisce solo il malato
ma anche il medico e il personale sanitario che reagisce, per difendersi, con l’accanimento terapeutico o la medicina difensiva. Infatti il medico, se stressato, reagisce mettendo in atto comportamenti terapeutici non volti al benessere del malato, ma al fine di proteggersi da eventuali denunce da parte del paziente o della sua famiglia. La medicina difensiva inoltre ha costi umani ed economici non indifferenti, come ho scritto nel mio ultimo libro:
Un’indagine condotta nel 2009 dall’Ordine dei Medici della Provincia di Roma, su un campione di 800 medici tramite apposito questionario, ha riportato che l’87% dei camici bianchi teme denunce da parte dei pazienti; le categorie più stressate sono gli anestesisti, i chirurghi, gli ortopedici e i ginecologi che in oltre il 95% dei casi vivono con lo spettro di una denuncia alla porta. Oggi quindi i medici hanno paura di fare il medico e questo è estremamente pericoloso per il malato perché non dobbiamo dimenticarci l’affermazione categorica e precisa che fece un famoso pancreatologo, studioso ed esperto di placebo: “Le médecin est plus efficace que le médicament!" Il medico è più efficace del farmaco! E un medico stressato che ha paura non può, per definizione, essere un buon medico. La pratica della medicina difensiva, importata dagli Stati Uniti d’America, che è diventata di fatto la regola e non l’eccezione, comporta anche un aumento non sostenibile dei costi per la salute. Il Sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio ha affermato che “in Italia spendiamo quindici miliardi di euro l’anno in medicina difensiva, prestazioni inappropriate e cioè eseguite con l’obiettivo di proteggersi da eventuali azioni legali”. Ma perché lo stress ci fa ammalare? Il termine stress, ripreso dal lessico ingegneristico, lo sforzo o la tensione cui sono sottoposti i materiali da costruzione, significa sforzo, tensione. Si tratta di una modalità di adattamento dell’organismo al cambiamento del suo equilibrio interno in seguito ad un evento che mette alla prova i nostri limiti di reazione normale, e provoca quindi tensione. Si sviluppa in più fasi: allarme, resistenza ed esaurimento. La prima fase, quella di allarme, è positiva perché ci avverte dello sforzo cui siamo sottoposti e ci aiuta a superarlo senza danni. In questa fase si liberano gli ormoni e mediatori chimici di primo intervento: adrenalina e noradrenalina che, attraverso la liberazione del glucosio, indispensabile per il funzionamento cerebrale, sono in grado di darci la carica necessaria, la lucidità e l’energia per reagire prontamente alla situazione. Per capirci meglio, è quella carica che assiste gli studenti ad un esame e gli adulti nel risolvere brillantemente anche i problemi di lavoro più complessi. Se lo stress persiste, si passa da una situazione acuta alle fasi successive dove lo stress diventa cronico. L’organismo mette allora in circolo il cortisolo, prodotto dalla corticale del surrene, che, come conseguenza ultima, indebolisce le difese immunitarie. Infatti, se lo stress è continuo, sia il cortisolo sia la noradrenalina hanno un effetto negativo sulla funzionalità delle cellule immunocompetenti (quelle che, semplificando, ci difendono dalle infezioni, dall’infiammazione e dai tumori); inoltre lo
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stress agisce direttamente sui leucociti in quanto il cervello monitorizza direttamente l’attività del sistema immunitario. A tutto questo si aggiungono una serie di sintomi a carattere emotivo, paura, ansia, che non ci permettono più di tenere sotto controllo la situazione che stiamo vivendo, togliendo presenza e lucidità alle nostre scelte e ai nostri pensieri. Inoltre la situazione nel suo complesso, favorita dall’aumento di cortisolo in circolo, spesso sfocia in una depressione anche grave, che gli psichiatri descrivono come “ritiro dalla vita”. Stare nel verde ha valore di pratica meditativa e c’è ormai un riscontro scientifico che la pratica meditativa migliora il nostro stato di salute. Vari studi, condotti sui monaci Zen, con la registrazione all’elettrocardiogramma (ECG) e all’elettro-encefalogramma (EEG) dei cambiamenti fisici durante la meditazione, hanno dimostrato che l’ampiezza e la regolarità delle onde α (onde normali che si verificano a riposo, a occhi chiusi, in assenza di stimoli) aumentano e che il consumo di ossigeno, la frequenza cardiaca e respiratoria diminuiscono significativamente. Roger Ulrich, che si è occupato intensamente dei giardini nei luoghi di cura negli Stati Uniti, dove la cultura del verde si è radicata come complemento della terapia medica, così ne riassume i benefici: diminuzione dello stress del malato, del medico, del personale sanitario e dei famigliari acquisizione del “senso di controllo”, perché riducendo lo stress si riacquista lucidità e presenza anche durante una malattia grave accessibilità a distrazioni positive, che offrono una pausa dal problema che ci assilla, mettono a riposo la mente con l’attivazione dell’attenzione involontaria che, senza sforzo, riesce a dare ristoro alla nostra mente travagliata dalla malattia Frequentare, osservare, meditare in giardino aiutano il malato ad accettare con maggior serenità la sua condizione e, di conseguenza, migliorano la sua qualità della vita. Ma il giardino è utile a tutti, perché numerose sono le attività che ivi si possono svolgere e che migliorano la qualità della vita di ognuno di noi: passeggiare, leggere un libro, meditare e pregare, socializzare, fare ortoterapia o del semplice giardinaggio. Tutte attività che, riducendo lo stress e educandoci a stili di vita sani, ci aiutano a prevenire le malattie cosiddette da civiltà. L’aumento della sedentarietà sta infatti diventando uno dei principali fattori di rischio di mortalità globale e cardiovascolare. L’invito è quindi quello di inserire sempre tra le priorità non negoziabili un giardino, perché i giardini del benessere, per tutti, e i giardini terapeutici, per il malato e per chi è a disagio, migliorano la qualità della nostra vita.
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PIANTE E BENESSERE UMANO
Cristina Nali Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose ‘Giovanni Scaramuzzi’ - Università di Pisa
Le aree urbane sono da tempo divenute l’habitat primario per l’Uomo; nonostante che esse occupino soltanto il 2% della superficie terrestre, oltre la metà della popolazione mondiale vive in città, e le tendenze recenti indicano un continuo aumento. In alcune realtà geografiche (come molti Paesi europei), il dato supera valori del 90-95%. Oltre i 3/4 delle risorse naturali vengono consumate in città. Questo implica fortissime concentrazioni dei consumi di materia e di energia, a cui corrispondono elevate pressioni di ordine ambientale, legate alla diffusione di scorie di varia natura (rumore; inquinamento solido, gassoso e liquido; irreversibile limitatezza di spazi), tali da compromettere la qualità della vita dei cittadini. La presenza di piante costituisce una delle forme più efficaci di contrasto a queste situazioni e rappresenta uno dei pilastri fondamentali della “sostenibilità”, vale a dire della capacità di garantire alle comunità un livello costante di benefici economici, sociali, ambientali ed ecologici, oggi e per le generazioni future. Non a caso, una delle strategie attuate da alcune amministrazioni si basa proprio sulla piantumazione di ingenti quantitativi di alberi; il programma del Comune di Milano, anche in relazione all’ormai imminente Expo 2015, prevede la messa a dimora di mezzo milione di esemplari in cinque anni. Uno degli elementi centrali della spettacolare riqualificazione urbanistica di Barcellona è stato rappresentato dalla creazione di decine di parchi urbani. Ormai si è ben lontani dal considerare il verde come semplice fatto decorativo, dal momento che esso riveste funzioni diverse, rispondendo ad una gamma sempre più complessa di bisogni, adattandosi agli eventi e offrendo una serie di opportunità di miglioramento ambientale e di vita sociale. E’ noto, infatti, come le aree verdi – in città, ma non solo – presentino valenze insostituibili, quali quelle costituite dagli aspetti estetici, culturali, igienico-sanitari, climatici, ricreativi e sociali. Infatti, esse: favoriscono l’aggregazione, l’integrazione sociale e la distensione psicologica ad ogni età; aiutano ad abbattere le barriere emotive; la sola permanenza in uno spazio verde agisce da “tranquillante naturale”, e riduce lo stress psichico e l’aggressività; il recupero di pazienti ospedalizzati è più veloce se essi godono della vista di un giardino; i detenuti che possono osservare dalla loro finestra aree verdi presentano un minor tasso di ricorso a visite mediche, rispetto a quelli che percepiscono solo spazi edificati; esistono anche prime evidenze che la presenza di piante
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negli ambienti di lavoro contribuisce ad aumentare la produttività del personale; mitigano gli estremi termici ed il regime dei venti e, in generale, contribuiscono a migliorare il microclima (un albero traspira qualche centinaio di litri di acqua al giorno); indubbi sono i risvolti connessi con il risparmio energetico; contrastano la diffusione di contaminanti chimici gassosi e particellati; abbattono parzialmente l’inquinamento acustico; riducono l’impatto visivo di manufatti (infrastrutture, cave, discariche); offrono riparo e cibo ad una vasta serie di animali, aumentando i livelli di biodiversità. In altri termini “ci aiutano a sopportare i disagi tipici della città”. È il momento di parlare di “multifunzionalità” del verde, vale a dire coniugare l’attività principale (diletto ed estetica) con quella di produzione di nuovi “beni” (o, meglio, servizi), che derivano – da una parte – dai mutati bisogni dei cittadini, dovuti all’aumento del reddito che ha portato alla saturazione di quelli materiali e all’emergenza di nuovi bisogni “immateriali” e – dall’altra – dalle esigenze della collettività. Il riferimento è a problemi sempre esistiti, ma che sono divenuti “economici” solo di recente, in quanto certi beni erano un tempo considerati eccedenti e molti bisogni non erano percepiti come tali. La pianta purifica l’aria! Le piante assorbono e adsorbono molte sostanze aerodisperse, sottraendo così dall’atmosfera, immagazzinando, metabolizzando (in altre parole, neutralizzando) gli inquinanti. Forse sfuggono le dimensioni reali del fenomeno; di particolare rilievo, poi, è la rimozione delle particelle più fini (PM10), in quanto facilmente inalabili. A Chicago si stima che la copertura arborea riesca ad intercettare oltre 230 t di polveri sottili all’anno. Non si può non ricordare anche il contributo dei vegetali come “trappole” per la CO2, alla luce delle crescenti preoccupazioni legate all'aumento di concentrazione di questo gas ed alle conseguenze ambientali ad esso associate (“effetto serra”, “global warming”). Ad un albero adulto viene attribuita la potenzialità di assorbire ogni anno un centinaio di chilogrammi di CO2, rilasciando una quantità di ossigeno equivalente a quella necessaria alla vita di una decina di persone. La pianta è una spia (dell’inquinamento)! L’impiego di bioindicatori della presenza di contaminanti atmosferici è noto da tempo. Approcci ben collaudati sono quello basato sulla distribuzione delle popolazioni licheniche, dalla cui mappatura si ottengono valide informazioni sul rischio chimico, e quello costituito dal tabacco Bel-W3 (ozonosupersensibile); il potenziale didattico di queste iniziative è notevole. La pianta abbatte il rumore! Tra le diverse forme di inquinamento presenti nel mondo moderno, il rumore è forse uno dei più subdoli. Da tempo viene proposto l’impiego della vegetazione come elemento naturale per l’attenuazione dei rumori in campo aperto, in grado di interrompere il collegamento diretto fra la fonte di emissione del suono ed il luogo di ricezione dello stesso. Le barriere vegetali sono strutture che in ambiente urbano e stradale possono svolgere anche funzione di protezione nei confronti del rumore ed assumono importanza strategica all’interno di una logica di corretta gestione del territorio. Qualche considerazione di ordine economico, per concludere: il verde rappresenta un eccellente fattore di attrazione e di
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sviluppo turistico, tale da consentire programmi di destagionalizzazione dei flussi e di intercettazione di clienti di pregio. Il valore degli immobili (misurato anche in termini di “willingness-to-pay”) risente in maniera significativa della presenza di spazi verdi di qualità. Già in epoca romana il verde è stato impiegato per realizzare spazi di prestigio nelle residenze private. A ciò potremmo aggiungere una quantificazione dei benefici legati in senso generale alle piante, così che la American Forestry Association ha stimato in 57.000 $ il valore globale di un albero urbano dell’età di 50 anni. Ma possiamo andare anche oltre e considerare il verde un elemento di identità e di riconoscimento da parte del cittadino della relazione fiduciaria con il luogo nel quale vive. Il verde, infine, costituisce un evidente “biglietto da visita” di un territorio; si pensi al ruolo delle ormai diffusissime rotatorie stradali, le quali, oltre a costituire un utile strumento di miglioramento della sicurezza del traffico, possono rappresentare l’opportunità per qualificare un contesto territoriale. In definitiva, nessuno può dissentire dall’affermazione che sono da attribuire al verde urbano ruoli e dignità facilmente identificabili ed essenziali per l’incremento della qualità della vita del cittadino. Ovviamente, per consentire alle piante di svolgere tutte le funzioni in oggetto, occorre garantire loro la possibilità di vivere in un ambiente adeguato. La vita degli alberi in città è, invece, minacciata quotidianamente da una serie di fattori ostili, che vanno dalla presenza di sostanze nocive in aria, suolo e acqua, per passare a condizioni asfittiche nel substrato, a esempi di maldestra gestione delle operazioni colturali, a cominciare dalle potature. E’ inutile ricordare che per progettare e gestire un verde “di qualità” occorrono non solo adeguate risorse economiche, ma anche - e, forse, soprattutto - competenze tecniche.
IL GIARDINO PER MALATI DI ALZHEIMER: LA SCELTA DELLE PIANTE Gianna Masetti
Prima di entrare nel vivo della trattazione dell’argomento, permettetemi una piccola digressione: io sono una vivaista e non capita molto spesso a dei tecnici come me di potersi confrontare con dei progettisti del verde, come è appena accaduto questa mattina. E’ stato sicuramente un momento prezioso per noi addetti al settore, così come preziosa e di ampio respiro è l’intera manifestazione: mettere insieme a parlare di paesaggio coloro che producono le piante (elemento cardine del paesaggio) e coloro che il paesaggio lo
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progettano può sicuramente permettere a Pistoia una crescita. Non più solo ottimi produttori, come molti ce ne sono qui a Pistoia, ma attenti e sensibili recettori dei mutamenti del paesaggio e delle mode guidate da voi progettisti. Adesso è forse il momento per Pistoia di fare un passo in avanti e questo lo possiamo fare solo stando in stretto contatto con i creatori del paesaggio. Considerate anche solo questo aspetto: il ciclo di produzione di una pianta può andare da un minimo di 1 anno fino a 4, 5, 6 e oltre per arrivare ad essere un prodotto finito o ancor più un esemplare. Con questa premessa si può comprendere quanto può essere utile per un produttore capire, conoscere e costruire insieme a voi progettisti le piante, le varietà, le forme di allevamento per voi più interessanti! Le piante di Pistoia hanno raggiunto i luoghi più diversi: dal Portogallo alla Russia, dall’Irlanda agli Emirati Arabi, dal Marocco al Turkmenistan. Tutta questa capacità produttiva ed imprenditoriale che ci ha portati così lontano non deve però esimerci dal misurarsi con progetti di tutt’altro respiro. Consapevoli della delicatezza del nostro ruolo, quello di produttori del verde e quindi di benessere, dobbiamo saper raccogliere altre sfide portando il nostro contributo e la nostra competenza a servizio di altri mondi, e quindi anche, perché no?, di quello della sanità come questa sera mi viene chiesto di fare. La vegetazione in qualsiasi giardino è il tessuto connettivo che sostanzia e, al tempo stesso fa da contorno a tutte le attività che vi si svolgono: la sua definizione e scelta non può essere casuale o illogica. A maggior ragione, in un giardino con scopi terapeutici, la vegetazione deve essere selezionata in base alle esigenze dei fruitori, perché essi ne possano trarre il maggior beneficio ed il minimo stress. Entrando nello specifico, durante le mie ricerche ho appreso che un giardino per pazienti affetti da Alzheimer deve rispettare alcune regole, quali ad esempio: avere un percorso guidato semplice possibilmente circolare che favorisca il loro vagabondare ma senza disorientarli; non deve presentare ostacoli che intralcino il cammino creando pericoli o zone troppo buie che potrebbero costituire una potenziale fonte di ansia e di stress per il paziente; deve saper stimolare i sensi o la parte residuale di essi; deve trasmettere ai pazienti un senso di libertà pur essendo al tempo stesso un’area chiusa e protetta dove gli operatori possono agevolmente operare un controllo e infine devono essere scelte specie non tossiche in nessuna loro parte (fiori foglie, frutti, rami) e che non possano causare ferite ai pazienti con spine o rami e foglie appuntite. Proprio partendo da questi requisiti ho cercato di individuare quelle specie meglio in grado di soddisfarli e interpretarli. In un progetto gli alberi ad alto fusto rappresentano i volumi principali e possono servire da punti di riferimento strategici per il malato. Devono perciò attrarlo ma non creare una zona di ombra troppo intensa che lo potrebbe disturbare. Perciò piante come il Quercus suber (la Sughera) che con la sua corteccia frastagliata può stimolare anche il tatto, l’Olea europea (l’Olivo) che appartiene alla nostra tradizione contadina e può stimolare i ricordi del passato, il Trachicarpus fortunei (la Palma) o il Gingko biloba potrebbero essere adatte a svolgere tale funzione: piante ad alto fusto la cui ombra è leggera e non imponente. Altro argomento importante è la scelta di siepi che delimitino l’area all’interno della quale i pazienti potranno muoversi. Non potendo usare tasso, lauro e bosso perché le loro foglie risultano tossiche se ingerite anche in piccole
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quantità, ho pensato che valide alternative potrebbero essere: Bambusa (Bambù) che col fruscio delle foglie può stimolare anche l’udito; il Laurus nobilis (Alloro) pianta profumata tipica delle nostre aree rurali; Cupressus sempervirens (Cipresso) anche allevato in siepe ha sempre il suo fascino toscano; infine l’utilizzo di piante rampicanti ,ovviamente supportate da appositi sostegni, come Trachelospermum jasminoides (Falso Gelsomino) che stimola l’olfatto con i suoi piccoli fiori profumatissimi; Ampelopsis tricuspidata che d’autunno colora le foglie di un rosso brillante o la Bignonia; da evitare il Glicine per la tossicità della corteccia e dei semi.
A questo punto credo sia opportuno inserire stimoli visivi decisi, ovvero arbusti con fioriture colorate che appaiono in diversi periodi dell’anno alternandosi e che possono servire al malato anche come punto di riferimento. Alla fioritura primaverile-estiva di Abelia grandiflora, Azalea, Ceanothus, Hibiscus syriacus, Lavanda e Syringa, che fanno bella mostra di se con colori intensi e decisi, si possono alternare fioriture autunno-invernali di Viburnum, Camellia e Forsythia con le loro pigmentazioni altrettanto forti e preziose. Da evitare (Nerium oleander) Oleandri e (Rhododendron ferrugineum) Rododendri che pur essendo stimolanti dal punto di vista visivo per la forma ed il cromatismo dei loro fiori risultano però tossiche se ingerite in qualsiasi loro parte. Il giardino, l’orto, lo spazio verde sono luoghi familiari alla memoria che appartengono al vissuto di tutti anche se in diversa misura a seconda delle proprie origini e della propria storia di vita. Anche questi malati potrebbero trovare stimoli al recupero di situazioni già vissute tramite l’utilizzo di piante familiari. Penso allora all’effetto che la presenza di alcune piante di vite, magari inserite tra olivi, potrebbe evocare a pazienti toscani o umbri, oppure all’utlizzo di un’area dove graminacee come grano, avena o orzo vengano seminate in alternanza a mais e girasole. Inoltre l’introduzione di piante da frutto può essere uno stimolo al ricordo proprio perché presenze fondamentali di quelle aree rurali che buona parte occupano nel vissuto della maggior parte di noi. E così piante di Ficus carica (fichi), Diospyros kaki (loti), Arbutus unedo (corbezzoli) e varietà selvatiche di Prunus domestica (susino) possono essere tranquillamente utilizzati stimolando il senso del gusto dei pazienti ma anche il ricordo dei gesti di una volta: il raccogliere direttamente dall’albero il frutto per poi mangiarlo. Ho individuato proprio queste specie di frutti tralasciandone molte altre, non a caso: infatti esse per la loro
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rusticità e la loro capacità di ambientamento richiedono meno cure e meno attenzioni in termini di operazioni colturali e trattamenti, in questa situazione le ritengo perciò più adatte poiché i malati possono assaggiare i frutti senza rischiare intossicazioni. Anche le piante aromatiche devono avere un ruolo di primo piano, sia perché stimolano l’olfatto con l’intensità dei loro profumi sia perché inducono al ricordo del tempi in cui ogni casa colonica era adornata da queste piantine, indispensabili e insostituibili per la conduzione della cucina. Rosmarinus officinalis (Rosmarino), Salvia spp., Origanum vulgare (Origano) e Mentha piperita (Menta) piante di alto valore estetico, possono così essere parte di questo progetto.
Ma ci sono anche piante che possono stimolare il tatto attraverso la tessitura delle loro superfici fogliari o del tronco: Juniperus spp., la Tradescantia, la Magnolia galissoniensis, piuttosto che l’Abies concolor… e questo permetterebbe al malato di entrare ancora meglio in contatto ancora più intimo con il giardino risvegliando piacevoli memorie e sensazioni. Infine, laddove lo stato dei pazienti lo permetta, potrebbe essere interessante e stimolante per loro prendersi cura di un piccolo orto sistemato su bancali facilmente accessibili dove piantine di Pomodori, Peperoni e Zucchine possono essere disposti in file e piantati come in veri orti.
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Questa è una breve rassegna di alcuni dei tipi di piante che a mio avviso potrebbero essere utilizzate in un progetto così complesso. E’ ovvio che le specie che potremmo impiegare sono molte di più ed è altrettanto ovvio che la scelta è determinata anche dal luogo in cui il giardino dovrà sorgere. E’ da qui infatti che si parte, per giungere ad una scelta progettuale corretta: valutare le condizioni climatiche del luogo e quelle del suolo, proprio per evitare interventi successivi di manutenzione straordinaria quali trattamenti o concimazioni pesanti che potrebbero interferire negativamente con la vita dei pazienti all’interno del giardino. Prima di mettere mano ad un giardino guardiamoci intorno e cerchiamo di capire l’ambiente che ci circonda, la sua storia, le sue esigenze e la sua conformazione: rispettare queste premesse nel progetto non potrà che darci esiti positivi. Concludo dicendo che a me pare evidente come la promozione della salute in un giardino per malati di Alzheimer non possa che passare attraverso un approccio multidisciplinare della gestione del verde: medici, psicologi, progettisti, vivaisti…. Tutti impegnati a curare vari aspetti di un unico progetto. E forse è proprio adesso il momento di impegnarsi a formare quelle competenze necessarie a rispondere a queste richieste: le nostre associazioni potrebbero sicuramente svolgere un ruolo nella formazione di tali figure e nella diffusione di informazioni e materiale specifico per affrontare queste tematiche. A noi vivaisti spetta il compito di non tirarsi indietro di fronte a queste nuove sfide. L’interesse verso questo argomento da parte dei vivaisti inizia a muovere i suoi primi passi come dimostra lo studio finanziato da ANVE per l’allestimento di 2 terrazze terapeutiche presso l’Ospedale di Carrara per il reparto di Oncologia: l’auspicio è che questo sia solo l’inizio di una proficua collaborazione.
GESTIONE DEL VERDE E INSETTI DI IMPORTANZA SANITARIA Anna Maria Fausto Dipartimento di Scienze Ambientali Università della Tuscia - Viterbo
La gestione del verde pubblico è ormai una questione complessa che tiene conto di molteplici fattori, alcuni tradizionalmente legati alle funzioni del verde, altri alle molteplici esigenze sorte negli ultimi decenni nelle nostre città. E’ ormai pienamente accertato il ruolo attivo del verde nei nostri centri urbani, in cui si fronteggiano i problemi
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dell’inquinamento (e dei suoi effetti) e dei recenti cambiamenti climatici. In questo contesto si sta verificando l’aumento della densità di specie animali opportunistiche, fra cui insetti ematofagi, che, pungendo sia l’uomo che gli animali domestici, rappresentano possibili vettori di malattie (Conferenza Nazionale Cambiamenti Climatici, 2007). In particolare, nel nostro Paese, le specie di zanzare (Culicidi) d’interesse medico, ovvero potenziali o provati vettori di agenti patogeni per l’uomo, sono relativamente poche (una decina su 64 censite), e solo 3 rappresentano un rischio reale come vettori: Aedes albopictus, meglio conosciuta come zanzara tigre, potenziale vettore di arbovirus agenti di malattie umane, introdotta con carichi commerciali ed ora parte integrante dell’entomofauna nazionale; Anopheles labranchiae, potenziale vettore del plasmodio, agente eziologico della malaria; Culex pipiens, insetto molesto ma anche pericoloso vettore, implicato nella trasmissione di West Nile Virus, con casi anche a carico dell’uomo. In Italia inoltre, questa specie di zanzara si è rivelate efficace vettore di filarie (Dirofilaria immitis e D. repens), agenti eziologici della dirofilariosi nei cani. Non si esclude che tale zoonosi possa evolversi in una antropozoonosi. Un’altra antropozoonosi in aumento sul nostro territorio è la leishmaniosi, una malattia il cui agente eziologico (Leishmania spp.) può essere trasmesso dai flebotomi (Diptera: Psychodidae). In Italia la leishmaniosi interessa principalmente i cani, che svolgono anche il ruolo di “serbatoi” della Leishmania, ma gli stessi flebotomi possono trasmetterla anche all’uomo. La malattia umana è presente in due forme epidemiologiche e cliniche diverse, ossia la leishmaniosi viscerale zoonotica e la leishmaniosi sporadica cutanea. I flebotomi possono essere anche potenziali vettori di arbovirosi che attaccano il sistema nervoso umano provocando forme di meningite, segnalate ogni anno anche in Italia. Le specie di flebotomo più diffuse nel nostro Paese, pericolose ed efficienti vettori di tali malattie, sono Phlebotomus perniciosus, P. perfiliewi, e P. papatasi, specie quest’ultima spiccatamente antropofila ma più rara. RAPPORTO PIANTE ED INSETTI VETTORI Molte sono le conoscenze acquisite sui rapporti tra piante e insetti che hanno un forte impatto economico, per esempio le “pesti agrarie” o gli impollinatori, mentre le relazioni tra piante ed insetti di importanza sanitaria sono poco conosciute e studiate. E’ noto che le piante producono naturalmente sostanze di difesa o di attrazione verso le specie animali ed in particolare verso gli insetti con cui sono in stretta relazione. Molte di queste sostanze naturali sono oggi estratte dalle piante ed impiegate in vari campi. In particolare, alcune sono utilizzate come insetticidi a basso impatto ambientale, altre come repellenti verso alcune specie di insetti dannosi per l’uomo, fra cui gli insetti ematofagi (Kyu-Sik et al., 2006; Gillij et al., 2008; Maciel et al., 2010). Le sostanze che hanno un’azione repellente normalmente consistono in oli essenziali - contenenti terpeni, sesquiterpeni, ecc., - abbastanza volatili e quindi in grado di agire anche ad una certa distanza. Il loro effetto è dovuto ad una serie complessa di fattori fra cui la dose di impiego in
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relazione alle condizioni ambientali, la densità e la composizione in specie delle popolazioni di insetti presenti nell’area e, non ultima, la variabilità soggettiva. Non bisogna poi trascurare possibili effetti tossici o allergizzanti su soggetti sensibili, elementi che devono essere attentamente indagati e valutati. Negli ultimi anni una particolare attenzione da parte dei ricercatori e dei mercati è stata rivolta all’individuazione di piante con caratteristiche utili per la costruzione di “barriere anti-insetti” in ambiente peridomestico. E’ il caso della citronella, pianta tropicale da cui viene estratto il noto olio essenziale, e che viene utilizzata come pianta ornamentale nelle zone calde dell’America e come pianta insetto-repellente, sistemata in vasi vicino alle porte ed alle finestre delle abitazioni. Sono in atto studi per verificare la sua reale efficacia, quali siano le variabili ambientali cui è soggetta e quale sia l’incidenza delle forme di reazione allergica che può provocare. Recenti studi confrontano e valutano il grado di protezione individuale contro le punture di insetti vettori, zanzare e flebotomi, fornite da geraniolo e citronella, sia in forma volatile che in microemulsione (Muller et al. 2008 a, b; Sakulku et al., 2009). La catambra è una pianta anti-zanzara, brevettata da un vivaista italiano, e che negli ultimi anni è stata utilizzata per la realizzazione di aree di verde pubblico vicino a scuole o in corrispondenza di giardini comunali. La catambra è una varietà selezionata a partire da Catalpa bungei, appartiene alla famiglia delle Bigogniacee, originaria dell’Asia e del Nord America, e produce catalpolo in quantità 4 volte superiore alla pianta originaria. Il catalpolo viene indicato da alcuni studi come deterrente, forse disgustoso, verso gli insetti erbivori che si cibano delle piante (es. Spodoptera exigua, specie di lepidottero) (Biere et al., 2004). E’ noto invece che alcune piante attraggono più di altre le zanzare: l’odore dei fiori di certe specie, per esempio quelle del genere Silene, attira significativamente le zanzare del genere Culex (Jhumur et al., 2006, 2008). Su questo interessante argomento le informazioni sono molte, anche se poche quelle provenienti da studi condotti su specie presenti nel nostro paese (Impoinvil et al., 2004; Manda et al., 2007 a, b; Schlein & Müller, 2008; Müller, et al., 2010). Gli zuccheri delle piante rappresentano l’alimento base per la nutrizione di numerose specie di insetti glicifagi, tra cui gli insetti ematofagi: soltanto le femmine fanno il pasto di sangue, necessario per lo sviluppo delle uova. Perciò, in momenti diversi da quello della riproduzione, sia le femmine che i maschi di queste specie si cibano di liquidi zuccherini prodotti da afidi parassiti e dalla linfa di alcune piante, il cui rapporto con gli insetti è più o meno specie-specifico. In particolare, le fonti zuccherine utilizzate da questi insetti come alimento possono essere distinte in i) nettare floreale; ii) nettare extrafloreale - frutti danneggiati; tessuti vegetali danneggiati o intatti; melata di afidi. E’ ormai chiaro che gli insetti ematofagi hanno un “ordine di preferenza” verso le piante che hanno a disposizione in un determinato territorio e che la presenza e la distribuzione di questi insetti è strettamente legata a quella delle piante su cui si possono cibare. A tal proposito, un interessante studio condotto in Israele su alcune piante ornamentali, possibile alimento di flebotomi, riporta la relazione tra questi insetti e Bougainville glabra, una specie alloctona (Schlein et al., 2001). Questa pianta non è tra le prime in ordine di preferenza da parte delle specie di flebotomi presenti nell’area, ma in mancanza di altre piante i flebotomi
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se ne cibano. Tuttavia i suoi liquidi zuccherini sono leggermente tossici per l’insetto e nel tempo possono influire negativamente sulla fitness dei flebotomi. Questa ricerca ha aperto la strada al potenziale utilizzo di certe piante ornamentali peridomestiche per contenere le popolazioni di vettori in una determinata area. Questo tipo di approccio potrebbe essere utilizzato in Italia per specie di zanzare alloctone, come la zanzara tigre, specie asiatica che si sta adattando alle piante presenti nei nostri centri urbani. Tuttavia conosciamo poco di quale sia l’ordine di preferenza verso le nostre piante, né se qualcuna di esse può avere una bassa tossicità e quindi essere presa in considerazione nel controllo di questi insetti. Attualmente il gruppo di ricerca cui afferisco, presso il Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università della Tuscia, si sta occupando dei rapporti tra specie di Leptoconops (Diptera, Ceratopogonidae) e piante autoctone. Questi minuscoli insetti ematofagi sono abbondantemente presenti nella provincia di Grosseto, dove causano notevoli problemi igienico-sanitari e socio-economici, in quanto i loro sciami possono attaccare l’uomo durante la prima metà della stagione estivo-turistica, provocando consistenti reazioni allergiche. Nell’ambito di questo progetto abbiamo testato l’eventuale efficacia, come repellenti, di alcuni estratti vegetali, ottenuti da specie di piante autoctone diffuse sul territorio, sugli sciami di L. irritans. I risultati ottenuti, in via di pubblicazione, offrono indicazioni importanti sull’eventuale impiego di specie comuni di piante come “barriere anti-insetti”. Da quanto esposto risulta chiaro che, nel momento in cui si pianifica l’organizzazione del verde pubblico in una determinata area, diventa indispensabile conoscere: quali specie di insetti ematofagi sono presenti nel territorio, e in che densità; quali, tra le piante presenti o utilizzabili nell’allestimento di aree verdi urbane, possono essere appetibili (rank di preferenza) e quindi attrarre tali insetti; quali piante utilizzabili in un determinata area possono realmente emettere, in certe condizioni ambientali, sostanze volatili repellenti e/o abbattenti nei confronti di insetti vettori. In primo luogo, è quindi indispensabile ampliare le nostre conoscenze in questo ambito.Un fattore importante rimane la cura del verde: come già detto, la presenza di afidi parassiti genera la melata, che è un potente attrattivo per gli insetti ematofagi. D’altro canto è noto che una vegetazione fitta e incolta può costituire un ottimo “resting-site” per gli insetti in genere, e per le zanzare in particolare, che vi trovano rifugio protette dal sole, dal vento e dalle intemperie. Queste informazioni, insieme a quelle fornite attraverso approcci metodologici diversi, possono realmente contribuire ad ottimizzare la pianificazione e la gestione del verde urbano, migliorando la qualità della vita nei nostri centri abitati, con benefici anche sull’impegno economico delle amministrazioni e dei singoli cittadini.
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SALUTE E ATTIVITÀ NEL FLOROVIVAISMO Aldo Fedi Centro di Riferimento Regionale Prevenzione Salute e Sicurezza nel Florovivaismo Azienda USL n. 3 Pistoia
Nella sessione denominata “il verde per la qualità della vita”, sono stati inseriti diversi interessanti contributi su ciò che il paesaggio e il verde possono offrire per migliorare la qualità della vita e, in particolare, sono state prese in considerazione alcune soluzioni progettuali di giardini che, in base a evidenze scientifiche, porterebbero al miglioramento di condizioni patologiche anche gravi. A tal fine risulta necessario estendere il ragionamento anche alle problematiche che sussistono nel rapporto tra salute e attività florovivaistica. Nel progettare un giardino terapeutico vengono considerati i benefici effetti delle piante sulla salute, ne consegue che risulta altrettanto necessario avere attenzione alla salute di coloro che lavorano alla realizzazione e alla manutenzione del medesimo giardino. In questo lavoro verranno descritti, a grandi linee, i rischi in cui possono incorrere coloro che svolgono operazioni sia durante la progettazione che durante la manutenzione del giardino. Questa fase comprende diverse operazioni come l’idonea preparazione del terreno; aratura, fresatura nonché la messa a dimora delle piante, inoltre la realizzazione d’impianti a servizio come irrigazione e impianto elettrico; e di opere di supporto come vialetti, piazzole, panchine, parapetti recinzioni). Per ciascuna operazione devono essere presi in considerazione i rischi potenzialmente presenti. Nelle operazioni di piantagione e messa a dimora di piante vi rientrano rischi derivanti dall’impiego di macchine agricole infortuni causati dal ribaltamento o investimento, da movimentazione manuale di carichi e da posture incongrue e rischi da esposizione ad agenti fisici quali rumore, vibrazioni mano-braccio e tutto il corpo, chimici quali fumi di combustione dei motori diesel, polveri e biologici come virus batteri, funghi. In caso di realizzazione d’impianti a servizio del giardino oltre ai rischi descritti sopra rientrano anche quelli legati all’utilizzo di cementi, vernici, oli minerali, metalli ecc. . Il giardino richiede periodici interventi di manutenzione in relazione alle condizioni meteorologiche e alle diverse fasi di crescita delle piante presenti. E’ importante ricordare che vi è l’obbligo di effettuare una corretta valutazione dei rischi al fine di adottare le idonee misure di prevenzione e protezione per eliminarli o perlomeno contenerli. Per una corretta valutazione, occorre fare una disamina di tutte le situazioni lavorative a rischio. Fra i rischi specifici il più rilevante è quello chimico, derivante sia dall’uso diretto dei prodotti fitosanitari che dall’esposizione indiretta da
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parte di tutti coloro che si trovano in prossimità delle aree sottoposte ai trattamenti. Si possono presentare anche dei rischi fisici determinati dall’uso di attrezzature (es. tagliaerba ecc.) e dall’esposizione a raggi UV provenienti dalle radiazioni solari. Inoltre non devono essere sottovaluti i rischi da movimenti ripetitivi (ad es. potatura), da movimentazione manuale e meccanica di carichi e quelli da posture incongrue. I risultati di una campagna di sorveglianza sanitaria effettuata dall’USL3 (2006-2008), nell’ambito del ”Piano Mirato Regionale Prevenzione Igiene e Sicurezza nel Comparto Floro-vivaistico”, hanno evidenziato che patologie osteo-articolari e muscolo-scheletriche risultano prevalenti in questa categoria di lavoratori. Le conoscenze sul rischio chimico nel comparto florovivaistico scaturiscono da anni di ricerca e di monitoraggi effettuati. In questo caso vengono prese in esame solo le colture in pieno campo che presentano aspetti più simili, a quelli di un giardino rispetto alla serra o vasetteria. Al 2008 i dati medi sugli impieghi di prodotti fitosanitari nelle colture vivaistiche in pieno campo sono 39,4 Kg/ha: diserbanti (74,8%), fungicidi (13,4%), insetticidi/acaricidi (10,3%), altri (1,5%) 10,3%
1,5%
13,4%
(figura 2) e l’importanza di utilizzare correttamente idonei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) per abbassare notevolmente i livelli di esposizione.
Figura 2- Risultati dei monitoraggi ambientali e biologici dei fitofarmaci su lavoratori in Aziende florovivaistiche AOEL: dose accettabile per l’operatore
Merita un approfondimento il dato sugli aborti spontanei nelle lavoratrici di questo comparto con mansioni particolarmente a rischio come il rientro in coltura e attività svolte in serra. L’indagine sullo stato di salute dei florovivaisti condotta dal Centro Regionale di Riferimento ha evidenziato che i DPI sono poco utilizzati o impiegati non correttamente, nonché l’esistenza di patologie correlabili con il lavoro come allergie, intossicazioni, dermatiti, asma, iper o ipotiroidismo, disturbi muscolo-scheletrici, ernie, malattie degenerative del sistema nervoso - Figura 3
74,8% Diserbanti Fungicidi Insettic/acaric Altri
Figura 1 - Impiego di prodotti fitosanitari per classe funzionale (anno 2008)
Figura 3 – Patologie diagnosticate a florovivaisti nell’arco della vita lavorativa
Tra i diserbanti, i principi attivi più impiegati risultano: Glifosate 39,6%, Pendimetalin 31,4%, Oxadiazon 22,7%, Oxifluorfen 2.7%, altri 3,6%.
I risultati finora ottenuti da uno studio epidemiologico avviato nel 2006 sulla mortalità dei florovivaisti della provincia di Pistoia, intrapreso dal Centro di Riferimento Regionale con la Fondazione Onlus: “Attilia Pofferi” e l’ISPO (Istituto Scientifico per la Prevenzione Oncologica) di Firenze, hanno mostrato un significativo difetto della mortalità per tutte le cause e per cause specifiche, ad eccezione di alcune malattie (es. tumori del pancreas) che risultano in eccesso ma statisticamente non significative. Sono in corso, approfondimenti per caratterizzare meglio l’esposizione dei soggetti della coorte sul tipo e sul periodo in cui è stata svolta l’attività agricola. L’eliminazione o la riduzione drastica dei trattamenti fitosanitari sono le misure più efficaci per prevenire tale rischio, ciò potrà avvenire favorendo la produzione di varietà meno soggette a fitopatologie o trovando idonee soluzioni di lotta biologica o di lotta integrata, tramite sistemi di monitoraggio che evidenzino il raggiungimento di soglie di azione dell’agente biologico. Nel caso in cui si dovesse intervenire comunque con fitofarmaci occorrerà scegliere prodotti meno tossici, e rispettare tutte le misure di prevenzione: seguire le dosi indicate in etichetta, effettuare i trattamenti in condizioni meteorologiche non avverse come l'assenza di vento e
Anno di monitoraggio (*) 2005-2007 2008-2009
Media (kg/ha/anno) 39,4 44,7
Tabella 1 - Fitofarmaci impiegati dalle Aziende Floro-vivaistiche monitorate negli anni 2007 e 2009 (*) Nell’ambito dei due monitoraggi effettuati (1°:2005-2007, 2°: 20082009), sono stati presi in considerazione i registri dei trattamenti relativi alle singole annualità (ad es. il registro del 2008 o del 2009).
I dati relativi alla tipologia dei prodotti fitosanitari impiegati sono pressoché confermati per il 2009 anche se si assiste ad un aumento dei quantitativi medi (tabella 1) su cui sono in corso approfondimenti per comprendere se l’aumento sia riferito non solo a sostanze inerti, ma anche a specifici componenti - principi attivi, solventi - che, in base a quanto riportato sulle schede di sicurezza, presentano rischi non trascurabili per l’uomo e per l’ambiente. I risultati dei monitoraggi ambientali e biologici su addetti ai trattamenti hanno dimostrato l’esistenza di un rischio chimico né basso per la sicurezza né irrilevante per la salute
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pioggia; impedire l’accesso a persone e animali tramite idonea segnalazione. Per le operazioni di rientro è fondamentale che l’accesso al giardino, nel caso in cui i tempi non siano specificati in etichetta, avvengano non prima di 48 ore dall’applicazione del prodotto.Infine è opportuno limitare le operazioni di diserbo chimico di vialetti e aiuole privilegiando quello meccanico o manuale. La realizzazione e la manutenzione di un giardino terapeutico, presenta la necessità di precisi interventi operativi che comportano una serie di rischi ben individuabili e riferibili non soltanto agli operatori incaricati alla realizzazione e alla manutenzione, ma anche ai fruitori. E’ opportuno valutare i rischi a priori e che siano adottate le necessarie misure di prevenzione e protezione per evitarli o ridurli al minor livello possibile allo scopo di realizzare un giardino terapeutico ad ampio raggio.
LA PROMOZIONE DELLA SALUTE NELLA PROGETTAZIONE DELLE AREE VERDI Marzia Onorari Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale Toscana Franco Vannucci Azienda USL3 Pistoia
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 1948 ha definito la salute come: “ stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non meramente l’assenza di malattia o di infermità.” Successivamente questa definizione ha subito varie modifiche, fino a quando, nel 1986 la salute è intesa non come stato, ma come processo: ”La promozione della salute è il processo che consente alla gente di esercitare un maggiore controllo della propria salute e di migliorarla per conseguire uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. L’individuo o il gruppo deve poter individuare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni e modificare l’ambiente o adattarvisi. La salute è pertanto vista come risorsa della vita quotidiana, non come obiettivo di vita, la promozione della salute non è responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma supera anche la mera proposta di modelli di vita più sani per aspirare al benessere”. Quindi l’Ambiente e le aree verdi urbane sono un determinante fondamentale per il benessere psicofisico e per la salute delle persone e delle popolazioni. Le persone avvertono e manifestano la necessità di spazi verdi godibili e adeguati alle proprie esigenze; questo dipende dalle molteplici funzioni che il verde urbano assolve. La funzione estetica è naturalmente sempre
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importante perché le strutture arboree, arbustive e tappezzanti formano, insieme alle piazze ed alle strade, gli spazi aperti delle città, contribuendo al quadro paesaggistico urbano. Al verde urbano sono però richieste anche altre funzioni, con effetti a livello biologico e psicologico, tutti riconducibili al miglioramento della qualità di vita dell’uomo. Le piante inserite nel contesto urbano hanno la capacità di depurare l’aria, fissare gas e particolato aerodisperso, diminuire l’inquinamento acustico e di svolgere un’azione termoregolatrice del microclima cittadino. Negli ultimi anni ha acquisito sempre maggiore importanza il ruolo sociale del verde pubblico: la fruizione di spazi verdi ha una provata azione distensiva sull’ uomo stressato dai ritmi di vita; il verde diviene luogo di ritrovo per bambini e anziani, il luogo per svolgere attività sportiva, ricreativa e culturale. Un valore aggiunto alla progettazione del verde pubblico è l’assenza di nocività. Quindi si dovranno evitare specie con spine sui rami o sulle foglie, specie urticanti o con parti velenose come tasso, oleandro, maggiociondolo, specie arboree con polline ad elevato contenuto allergenico come cipresso, betulla, nocciolo, carpino, ontano, nonché erbe appartenenti a graminacee, parietaria e composite, anch’esse particolarmente allergizzanti. Le pollinosi sono caratterizzate da diverse manifestazioni cliniche: nasali quali prurito, starnuti, ostruzione, rinorrea, oculari quali prurito, lacrimazione, iperemia congiuntivale, fotofobia e bronchiali cometosse, respiro sibilante, dispnea, senso di costrizione toracica che si presentano con cadenza stagionale in soggetti diventati specificamente sensibili ai pollini di determinate famiglie di erbe e di alberi. Le allergie respiratorie sono il risultato di una interazione tra fattori genetici ed ambientali. Tra le cause ambientali l’inquinamento atmosferico svolge sicuramente un ruolo importante in quanto alcuni componenti possono: interagire con i granuli pollinici, aumentando il rilascio di allergeni; svolgere un effetto infiammatorio nelle vie aeree soprattutto ozono, particolato atmosferico e anidride solforosa, facilitando la penetrazione degli allergeni pollinici e lo scatenamento dell’infiammazione allergica; avere un effetto immunologico adiuvante sulla sintesi degli anticorpi specifici nei soggetti predisposti atopici, in particolare le polveri incombuste dei motori diesel. Studi epidemiologici sembrano dimostrare che esiste una correlazione positiva tra inquinamento da traffico veicolare ed aumentata prevalenza di rinite e di asma allergico. Le pollinosi, in base al periodo di comparsa dei sintomi, si distinguono in: precoci, pre-primaverili: da allergia a piante arboree quali cupressacee, betulacee, corylacee primaverili-estive: da allergia a piante erbacee graminacee e urticacee e arboree - olivo estivo-autunnali : da allergia a piante erbacee composite, ambrosia In Italia la prevalenza delle pollinosi è stimata tra il 10 ed il 20% della popolazione. Negli ultimi anni si è assistito al progressivo aumento della frequenza dei casi di pollinosi soprattutto nei confronti di alberi a fioritura precoce o pre-primaverile (cupressaceae, betulaceae, corylaceae) e alla comparsa in alcune regioni
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italiane di nuove specie (ambrosia) con altissima potenzialità di scatenare crisi asmatiche. La prevalenza della sensibilizzazione ai pollini in Italia varia in relazione alle aree climatico-vegetazionali come esemplificato in tabella: polline
graminaceae urticaceae (parietaria) compositae (artemisia) ambrosia chenopodiaceae plantaginaceae (plantago) betulla ontano carpino nocciolo cupressaceae olea fagaceae
nord % prevalenza
centro % prevalenza
75 30
60 40
sud, isole e Liguria % prevalenza 40 60
25
15
10
30 1 4
7 2 4
2 14 9
33 36 34 34 9 5 7
13 8 26 16 28 10 15
5 7 4 4 20 25 10
Tabella delle prevalenze di pollinosi in Italia (da Ariano e Bonifazi, 2006 modificata)
Il monitoraggio aerobiologico rileva le particelle di origine biologica presenti in atmosfera come polline, spore fungine e alghe. Il polline, “polvere fine”, termine introdotto dal medico e naturalista svedese Limneo, contiene i gameti maschili delle piante a seme (spermatofite), a cui è affidato il compito di fecondare i gameti femminili contenuti negli ovuli delle piante superiori della stessa specie. Gli allergeni (sostanze proteiche e glicoproteiche) sono contenuti nei granuli di amido del citoplasma e nelle pareti che avvolgono il granulo pollinico (intina ed esina). Il trasferimento del polline, con i gameti maschili, allo stigma del fiore e, poi, alla cellula uovo prende il nome di impollinazione che può essere di vari tipi di cui i più importanti sono: Anemofila: le piante producono grandi quantità di polline (anche milioni per antera) che vengono trasportati dal vento anche a distanze considerevoli. Proprio per la natura e la modalità di diffusione, solo una piccolissima quantità di questi pollini andrà a fecondare il seme femminile della stessa specie mentre la maggior parte andrà disperso, andando a depositarsi su varie superfici (comprese le mucose oculari e delle vie aeree dei soggetti allergici) Entomofila: le piante producono piccole quantità di pollini che vengono trasportati dagli insetti su un altro fiore della stessa specie. Queste piante sono caratterizzate da fiori in genere profumati, con colori vivaci delle corolle o con strutture appariscenti per forma e per colore. Nell’atmosfera sono prevalenti i pollini di piante con impollinazione anemofila. La pollinazione ossia la liberazione dei pollini in atmosfera in un determinato territorio, dipende dalle condizioni climatiche del periodo che precede la fioritura, mentre le condizioni meteorologiche (vento, turbolenza dell’aria, pioggia, umidità, irraggiamento) influiscono sulla
fluttuazione della concentrazione atmosferica del polline una volta che la pollinazione è iniziata. Il monitoraggio aerobiologico effettuato dall’Articolazione Funzionale Regionale di Aerobiologia (AFR Aerobiologia) del Dipartimento Provinciale ARPAT di Pistoia rileva in prevalenza pollini di piante anemofile e consente, se effettuato in maniera continua in tutto l’arco dell’anno, di evidenziare le variazioni stagionali del contenuto atmosferico dei pollini e di elaborare calendari per la zona oggetto del campionamento. Dai calendari emerge la presenza di pollini di piante arboree quali cipresso, nocciolo, betulla, già nei primi mesi dell’anno. In particolare negli ultimi anni il polline di cipresso è aumentato come concentrazione anche per un maggiore uso di questa pianta a scopo ornamentale. I pollini di oleaceae e di specie erbacee quali graminacae, urticaceae, plantaginaceae e chenoamarantaceae vengono rilevati dal monitoraggio in periodo primaverile. Nel periodo estivo si rilevano i pollini di fagaceae (castagno) e quelli di erbe infestanti come le urticaceae e le compositae (ambrosia ed artemisia). Tramite il monitoraggio aerobiologico si evidenzia inoltre la presenza di pollini di piante che non fanno parte della nostra flora autoctona e che vengono introdotte volontariamente, casualmente o trasportati a distanza da correnti aeree (ambrosia, casuarina, cryptomeria japonica ecc.). L’AFR di Aerobiologia del Dipartimento Provinciale di Pistoia ogni settimana elabora e pubblica un bollettino dei pollini e delle spore fungine aerodiffuse con i dati provenienti da tutte le stazioni di monitoraggio ARPAT sul territorio regionale. Le stazioni di campionamento ARPAT sono inserite nella Rete Europea di Monitoraggio Aerobiologico (European Aeroallergen Network EAN-EPI) e partecipano alla Rete Nazionale POLLnet) di Monitoraggio di pollini e spore fungine di interesse allergenico, agronomico ed ambientale promossa dal sistema delle Agenzie (ISPRA-ARPA-APPA) ed alla rete dell’ Associazione Italiana di Aerobiologia (AIA).
Il Bollettino viene pubblicato sul sito web dell’Agenzia www.arpat.toscana.it e i dati delle stazioni di campionamento di Firenze, Pistoia, Montecatini e Lido di Camaiore vengono inoltre diffusi, con il commento dello specialista Allergologo della rispettiva Azienda Sanitaria, alle farmacie e sul sito delle ASL. I calendari ed il bollettino di monitoraggio aerobiologico settimanale forniscono informazioni utili ai medici per la diagnosi e la terapia delle pollinosi ed ai soggetti allergici per una migliore gestione della loro patologia. E’importante incrementare l’estensione delle aree a verde pubblico sia creandone delle nuove, sia valorizzando quelle
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esistenti e recuperando quelle degradate; allo stesso tempo però è fondamentale una scelta oculata delle specie da introdurre ed una loro corretta gestione . Particolare attenzione deve essere quindi rivolta ad un corretto impianto e manutenzione delle aree verdi per evitare la presenza e diffusione di specie allergeniche che rappresentano un elevato rischio per l'aumento delle pollinosi in ambiente urbano. Allergenicità MEDIA
Alberi: ALTA BASSA Alnus *** Betula *** Carpinus betulus ** Corylus avellana ** Cupressus ** Olea europea ** Platanus * Populus ** Salix * Tilia * Ulmus * Erbe: Urticacee *** Ambrosia *** Artemisia ** Graminacee *** Potenziale allergenico delle piante (da Feliziani, 1986 modificata)
Olea Europea
Parietaria
Betula
Abete, Acacia, Aceri, Alloro, Corbezzolo, Bosso, Palme Agrumi, Ginkgo biloba, Ibisco, Lagerstroemia, Magnolia,
Ginkgo biloba Mimosa (acacia) Piante a basso o nullo contenuto allergenico (da A. Passaleva e G. Frenguelli 2003 modificato)
Magnolia
Lagerstroemia
Un Vademecum: “Guida al verde pubblico sicuro senza rischio di allergie”, che comprende 81 fra alberi e piante ornamentali è stato predisposto dai professori A. Passaleva e G. Frenguelli e pubblicato sulla rivista della Società Italiana Allergologia e Immunologia Clinica. Recentemente ARPAT per affrontare le tematiche rivolte ad una corretta gestione del verde in relazione alla promozione della salute, ha prodotto un CD-Rom: “Verde, Ambiente e Salute: approccio multidisciplinare alla gestione del verde per la promozione della salute”, con l’obiettivo di: far conoscere i principali pericoli e rischi sanitari inerenti le specie verdi (autoctone, naturalizzate, esotiche) utilizzabili per l’arredo urbano; fornire, a medici di medicina generale e specialisti, informazioni sulla allergenicità delle principali essenze arboree presenti nei loro territori e sui calendari pollinici, utili alla gestione del soggetto affetto da patologie allergiche; far conoscere, a progettisti e gestori del verde pubblico, le principali caratteristiche igienico sanitarie e ambientali, di cui tenere conto per garantire aree verdi libere da effetti negativi prevenibili. L’ obiettivo di vivere meglio all’aria aperta con spazi verdi a basso contenuto allergenico si può ottenere con: introduzione mirata in parchi, giardini e viali di specie nostrane e/o esotiche che non producono pollini allergenici; introduzione di piante anche di tipo femminile e di varietà maschio-sterili e non, come succede oggi, di piante esclusivamente di tipo maschile produttrici di polline; una corretta gestione della manutenzione della vegetazione (potatura e/o sfalcio). La concentrazione dei pollini di piante erbacee potrebbe essere ridotta da una corretta manutenzione del verde pubblico (sfalcio ed eradicazione), che rende le aree più sane dal punto di vista allergenico, più gradevoli alla visita, riduce la presenza di insetti dannosi alla salute umana (zanzare, zecche ecc.), impedisce l’accumularsi e facilita la rimozione dei rifiuti e esercita un’azione di difesa e di conservazione dei beni architettonici..
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mappatura delle piante presenti nei giardini pubblici E’ auspicabile che all’ ingresso dei giardini sia esposta una mappa delle piante presenti e che in prossimità di ciascuna specie vegetale ci sia una scheda informativa, riportante le caratteristiche e l’eventuale nocività. Questo permetterà ai fruitori degli spazi verdi di imparare a riconoscere la flora presente e agli allergici di non sostare in prossimità di piante che presentano rischi per la loro salute; descrizione dell’allergenicità delle piante nei cataloghi I vivaisti potrebbero divulgare attraverso gli strumenti disponibili maggiori informazioni sulle piante allergeniche, a partire dai cataloghi dove accanto alla descrizione botanica e alle tecniche di coltivazione adottate, si potrebbero aggiungere informazioni sul contenuto di allergeni nelle piante. un’attenta politica di progettazione e di manutenzione La gestione del verde urbano deve essere oggetto di un’attenta politica di progettazione e di manutenzione che può essere ottenuta tramite la collaborazione fra professionalità diverse (agronomi, architetti, biologi, ingegneri, medici, naturalisti, ecc.) Progettare e gestire il verde coinvolge una serie di competenze e di “saperi” che richiedono una formazione dedicata. E’ auspicabile che nei corsi per gli addetti alla progettazione e gestione del verde possa esser inserita anche attività formative per un “verde senza rischio di allergia”.
GIARDINI SENZA POLLINE Francesco Zangari Agronomo dell'Ordine di Firenze
La vegetazione apporta all’ambiente urbano innegabili benefici ma può anche essere causa di allergie. La qualità dell’aria risulta infatti deteriorata quando in essa sono presenti granuli pollinici soprattutto di alcune specie. Inoltre quelli di piccole dimensioni entrano a far parte delle micropolveri e sono da considerare veri e propri inquinanti. E’ importante quindi ridurre il livello di polline nell’atmosfera in quanto elevate concentrazioni rendono più fastidiosi i sintomi negli allergici e possono indurre sensibilizzazione in persone sane. I pollini anemofili trasportati cioè dal vento ed emessi in grandi quantità, creano maggiori problemi rispetto ai pollini entomofili la cui diffusione è affidata agli insetti ed è perciò più localizzata. Purtroppo in Italia la vegetazione è in prevalenza anemofila. Nei boschi si arriva addirittura al 90% e anche in città gli alberi più diffusi come platano, leccio, pino, cipresso, farnia, bagolaro, sono specie ad impollinazione anemofila.
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Di ciò occorre tenerne conto nel processo di rinverdimento delle città. Quale albero porre dunque a dimora? La conoscenza delle specie allergeniche dovrebbe costituire uno degli elementi di valutazione nella scelta delle specie da porre a dimora. Il clima più caldo e umido e l’abbondanza di anidride carbonica nell’atmosfera favoriscono la crescita delle piante e prolungano la durata della fioritura. Nelle campagne, l’assenza di bestiame al pascolo, l’adozione di metodi di riscaldamento e cottura dei cibi che non fanno più ricorso a legname e fascine, il sostanziale abbandono del territorio ha come risultato una maggiore emissione di pollini.
Nelle città, ciò dipende essenzialmente dall’aumento delle aree verdi e dalla realizzazione di nuovi impianti arborei. A ciò si aggiunge l’inquinamento che sembra attivare il polline già nell’aria prima che arrivi sulle mucose spesso irritate dalle polveri cittadine diverse da quelle argillose quasi curative delle strade bianche sterrate. Applicando alcune semplici regole è possibile realizzare giardini anche a ZERO EMISSIONI di polline. Diversificare la scelta evitando di mettere nello stesso giardino più alberi della stessa specie. Sei sole specie costituiscono oltre il 50% degli alberi di proprietà del comune di Firenze.
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Siccome piante della stessa specie fioriscono contemporaneamente, più facilmente si raggiungono nell’atmosfera livelli dannosi di polline. Realizzando viali misti invece che di una unica specie è possibile dimezzare la concentrazione di un determinato polline. Un esempio è il filare alternato platano liriodendron ideato per contrastare la diffusione del cancro colorato del platano. Preferire alberi e arbusti ad impollinazione entomofila invece che anemofila Il polline anemofilo è diffuso nell’aria mediante il vento. E’ emesso in grandi quantità e contiene spesso proteine
La legge 113/90 prevede di porre a dimora un albero per ogni nuovo bambino nato nel comune. Le aree destinate a questo scopo sono per le amministrazioni comunali uno strumento per sperimentare sul territorio l’adattabilità e il portamento soprattutto di quelle specie poco note.
allergeniche. Il polline entomofilo è diffuso dagli insetti. Viene prodotto in minori quantità ed essendo più grossolano, precipita subito al suolo. Generalmente e’ scarsamente allergenico. Scegliere accuratamente la varietà oltre che la specie Non tutte le piante di una medesima specie producono la stessa quantità di polline. Occorre evitare le varietà dette impollinatrici in quanto producono quantità maggiori di polline. Inoltre di alcune specie sono già in commercio varietà maschio sterili. Utilizzare le piante femminili delle specie dioiche e poligamodioiche. Le specie dioiche hanno fiori unisessuali maschili e femminili posti su piante diverse. Solo le piante maschili producono polline. Utilizzando quindi quelle femminili, l’emissione di polline sarà nulla. Finora si tendeva invece a utilizzare quelle maschili perché prive di semi. Piante femminili si trovano anche nelle specie poligamodioiche ginodioiche caratterizzate appunto da fiori ermafroditi e femminili posti su piante diverse. Chi è allergico alle punture di insetti dovrebbe porre a dimora nel suo giardino esclusivamente piante dioiche femminili impollinate dal vento. In futuro, oltre a produrre specie dioiche i vivaisti dovranno essere in grado di certificare il sesso di ogni singola pianta.
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“HEALING GARDENS”
GIARDINI TERAPEUTICI: COME CONSERVARE IL BENESSERE DELL’UOMO FUNZIONI TERAPEUTICHE E NUOVE STRATEGIE
Maria Irena Mantello Beltrami
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L’esigenza di creare giardini di questo tipo è riaffiorata alla fine del XX secolo perché nonostante notevoli risultati ottenuti nei campi della chirurgia, della chemioterapia e della tecnologia laser la componente psicologica connessa alla malattia non può essere trascurata. In questo senso il giardino terapeutico offre una concreta risposta su questo versante, soprattutto per quanto concerne i bambini, che trovano nella dimensione paesaggistica sia la componente ludica che quella creativo-immaginativa. Un giardino diventa curativo quando c’è forte presenza di elementi naturali in spazi interni o esterni, obbligo etico per chi li progetta di subordinare o allineare i propri gusti personali all’obiettivo di creare un ambiente mirato alle esigenze dei fruitori: pazienti, visitatori e personale. I PROCESSI DI GUARIGIONE Per pazienti chirurgici cronici o terminali, sono rilevanti la qualità di vita, la depressione, il grado di autosufficienza. La presenza o meno di un giardino può influire rispetto ai risultati medici ed il rapporto costi-benefici.
LA NATURA E’ RIGENERATRICE La convinzione intuitiva che la vista della vegetazione, acqua ed altri elementi naturali possa migliorare lo stress è antica quanto le più antiche civiltà; e questo convincimento si ritrova in molti studi teorici attuali, anche assai diversi tra loro, che concordemente riconoscono come la vista della natura tenda a diminuire lo stress. Alcuni studi suggeriscono che i luoghi naturali tendono ad essere particolarmente efficaci sul benessere quando presentano determinate caratteristiche: piante verdi, acqua in movimento, qualche spazio aperto, animali in libertà (per esempio uccelli), sensazione di sicurezza o basso rischio. Un altro studio mostra come la semplice vista della natura può avere un importante influenza rigeneratrice sui pazienti di varie età e in contesti sanitari diversi, come ambulatori, ospedali, strutture per lunghe degenze: la preferenza più condivisa è la possibilità di accesso alla natura, attraverso giardini, terrazze, finestre con vista o immagini naturali. La natura è cura passiva, riflessa, interattiva Con i giardini terapeutici (healing gardens) adeguatamente progettati, possiamo contribuire a migliorare il benessere psico-fisico degli ospiti (pazienti, visitatori, staff medico). I giardini posti nelle strutture sanitarie riducono lo stress e migliorano i risultati delle cure mediche, oltre che favorire il supporto sociale dato ai malati dai loro familiari, dagli altri pazienti e dal personale addetto alle cure I giardini di fatto favoriscono gli incontri e producono benefici di salute favorendo i contatti sociali: permettono contatti sociali tra persone all’interno della stessa clinica/ospedale permettono lo scambio e la condivisione delle esperienze permettono un’attività fisica che ha effetti terapeutici riducono lo stress ed anche la percezione del dolore distraggono i pazienti depressi costituiscono un sollievo per i malati di Alzheimer costituiscono un sollievo per il disagio mentale costituiscono una risorsa aggiuntiva anche per i reparti pediatrici Il giardino terapeutico rappresenta la risposta al bisogno della persona di stare a contatto con la natura e i processi naturali di crescita e di rinnovamento.
PERCHE’ I GIARDINI DOVREBBERO MIGLIORARE I PERCORSI DI GUARIGIONE? Un giardino può avere il fine di ottenere benefici come: senso di controllo, possibilità di privacy, movimento ed esercizio fisico, contatto con la natura e distrazioni nella natura è che il giardino e il paesaggio possa comunicare un senso di sicurezza, calo di ansia per pazienti in attesa di interventi chirurgici o cure dolorose, la ricerca di contemplazione di piante, immagini su pareti verticali natural wall. VALORI DEL GIARDINO Valore terapeutico Valore energetico Valore strategico
I BENEFICI DELL’ORTOTERAPIA HORTICULTURAL THERAPY Nata negli U.S.A. nel secondo dopoguerra, l’ortoterapia ha trovato ampie applicazioni nei paesi anglosassoni. In Italia incomincia ad essere sempre più diffusa nei giardini destinati ai malati di Alzheimer o di degenerazione mentale,nelle aree esterne delle scuole,nelle case per anziani. Motivi terapeutici:
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la pianta non giudica l’attenzione viene spostata dai propri problemi alla cura di un altro essere vivente si acquista la consapevolezza delle proprie abilità ,del saper fare, si vede il seme che germoglia e se ne osserva la sua crescita si ha la possibilità di creare qualcosa di bello anche quando se ne era perso l’interesse viene ripristinato il senso di controllo,di autostima e di autonomia
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Rapporto di tipo attivo: coinvolge il singolo individuo in operazioni di giardinaggio che promuovono il suo benessere Campi di applicazione: disagio sociale, neuropsichiatria, per il diversamente abile, l’anziano, il bambino Benefici: intellettuali, sociali, emotivi e fisici
Progetto: << SEMI IN LIBERTA’ >> Produzione prodotti biologici nel carcere di Alessandria Obiettivi terapeutici: Favorire il reinserimento nella società Contribuire a rieducare i detenuti Coltivazione della terra REALIZZAZIONE ALESSANDRIA
HOSPICE
"IL
GELSO"
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REALIZZAZIONE GIARDINO "HOSPICE ZACCHEO" CASALE MONFERRATO (AL)
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REALIZZAZIONE AREA ESTERNA R.S.A. SACCARDO MILANO
DALL’IDEA PROGETTUALE ALLE PROBLEMATICHE DI CANTIERE: QUAL È IL RUOLO DEL PROFESSIONISTA PER LA REALIZZAZIONE DI OPERE A VERDE FUNZIONALI, SOSTENIBILI E … POETICHE? Anna Letizia Monti Vicepresidente AIAPP PhD - Agronomo libero professionista
Il professionista che si occupa di tematiche paesaggistiche spazia dalla grande scala fino alla piccola scala. L’approccio per certi aspetti è uguale, sia che si tratti di progettare e realizzare una spazio verde di pochi metri quadrati, sia che si tratti di pianificare, progettare, realizzare decine o centinaia di ettari di territorio. Il percorso progettuale è lungo, spesso complesso, frutto di studio, di analisi, di ricerca.
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E’ opportuno tenere sempre a mente tutto ciò, soprattutto oggi che molte persone pensano al progettista come all’artista, tutto genio e sregolatezza, che progetta solo sulla base dell’estro e del guizzo artistico: tutto questo comporta che spesso i progetti risultano come segni molto evidenti e sconvolgenti nel paesaggio, che non si integrano con esso, che non dialogano con il circostante. In realtà sono progetti ben fatti quelli che si inseriscono nel paesaggio, che danno risposte concrete a bisogni e necessità, che permettono di vivere bene in un determinato luogo, in un determinato sito. Anche in ambito paesaggistico quindi il progetto deve dare soluzioni a problemi, mettendo in campo anche la variabile biologica: il progetto paesaggistico si fa infatti con elementi vivi e non solo con manufatti industriali. Tre sono gli elementi che considero prioritari in ambito progettuale: funzionalità, che nasce dall’analisi dei luoghi e delle molteplici variabili e si traduce anche tecnica progettuale; sostenibilità: biologica ed economica; creatività: che non è sinonimo di estro, ma significa invece esplicitare con intuizione e sensibilità il percorso progettuale più idoneo a risolvere le necessità di progetto. PROGETTI FUNZIONALI La funzionalità di un giardino è determinata da una molteplicità di fattori, tutti importanti.
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PROGETTI SOSTENIBILI Per quanto riguarda la sostenibilità di un progetto, questo ha molte e diverse sfaccettature, che pur senza dilungarmi vorrei evidenziarvi.
In primo luogo il risparmio idrico e risparmio energetico: sono certamente sono certamente due elementi con i quali – soprattutto in questi ultimi dieci anni – abbiamo dovuto cominciare a fare i conti anche in Italia. Il risparmio idrico andrebbe fatto tenendo in considerazione che buona parte dell’Italia non ha la piovosità dell’Irlanda e di conseguenza i prati nostrani non possono essere prati all’inglese. Relativamente al risparmio energetico vorrei evidenziare che è necessario fare progetti in cui non è necessario ipotizzare un uso indiscriminato di ammendanti e correttivi, nonché di dosi massicce di fertilizzanti per permettere la sopravvivenza e il rigoglio vegetativo di specie vegetali che necessitano di condizioni podologiche molto diverse da quelle riscontrabili nel sito oggetto di intervento. Il contenimento dei costi di manutenzione invece è una tematica con cui i progettisti si relazionano. Un ultimo elemento che considero fondamentale per la sostenibilità dei progetti è relativa alle possibilità di accesso a finanziamenti specifici, che coprano parte delle spese di impianto e gestione. PROGETTI POETICI Dopo questa lunga disamina sulla funzionalità e sostenibilità dei parchi, che sono argomenti squisitamente tecnici, vorrei tornare all’essenza del progetto.
Un giardino deve essere funzionale in rapporto agli spazi circostanti, deve essere funzionale rispetto alle necessità della committenza; deve essere funzionale per la sua corretta gestione e manutenzione. Perchè un giardino sia funzionale occorre riuscire a concretizzare le idee progettuali avendo una perfetta conoscenza di tutte problematiche del sito e di tutte le componenti tecniche che costituiscono il giardino. Il progettista deve avere una perfetta conoscenza delle problematiche che è necessario risolvere e deve trovare i giusti interlocutori con cui trovare le soluzioni più opportune. Perchè un progetto a verde sia funzionale è necessario coinvolgere tutti gli attori che partecipano alla realizzazione del progetto e trovare insieme le soluzioni più adeguate ed efficaci. Il progettista deve essere il coordinatore, ma non può sostituirsi ai tecnici e progettisti delle aziende produttrici, ai tecnici delle imprese realizzatrici. Un progetto complesso deve nascere dal lavoro di equipe di tutte le componenti progettuali.
Perché il progetto si deve basare sull’analisi e sulle conoscenze tecniche, ma perché un progetto si possa
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definire tale occorre tramutare in progetto anche le idee, le sensazioni, le intuizioni, le suggestioni, il genius loci. Ogni progetto paesaggistico nasce – o meglio dovrebbe nascere – dall’incontro tra il progettista e un sito. Ogni incontro corrisponde ad un’emozione, senza la quale è vano sperare di concepire un buon progetto.
L’ALBERO, FUNZIONE E SCALA NEL PAESAGGIO. Luis Vallejo L’albero é lo strumento fondamentale per creare giardini, sia per la sua relazione con il paesaggio del giardino a cui appartiene, sia per la sua dimensione e simbologia. Scelgo come esempio 3 Giardini da me disegnati. Relazione con il paesaggio circostante: Dal punto di vista botanico, l’albero é l’elemento che permette di unire il giardino al luogo di appartenenza facendo sí che il limite dello spazio verde si confonda con l’area circostante, annettendo al patrimonio del giardino ció che I Giapponesi chiamano “il paesaggio prestato” (shakeiintroduzione del paesaggio di fondo nella composizione del giardino). Dal punto di vista formale e funzionale l’albero, nella sua interpretazione piú poetica, riproduce nel giardino l’ereditá del tessuto agricolo o il paesaggio di pietra castigliano, o un bosco di frassini. La dimensione dell’albero é fondamentale sia per vincolarlo all’ambiente circostante, tanto paesaggistico che antropico, sia per mantenere all’interno del giardino la proporzione vuoto/pieno e la relazione con la funzione del giardino stesso quali il Giardino privato, Giardino di rappresentanza istituzionale, Fascia Verde di strade ed autostrade. La relazione di scala é fondamentale nel tempo: da qui l’importanza della rappresentazione grafica nei progetti paesaggistici, in cui é necesario rappresentare la forma dell’albero, la dimensione della chioma, il portamento la “Trasparenza” o la “Opacitá”, etc. La Simbologia. Il Giardino rappresenta in generale la tensione dell’uomo verso il trascendente, in alcuni casi verso il Paradiso ed in altri casi verso una visione panteistica relazionata all’Arte o alla stessa “Madre Natura”. Tre Giardini: alcuni dei concetti esposti possiamo spiegarli attraverso un breve percorso per tre Giardini realizzati. GIARDINO IN MARRAKECH In questo Giardino é presente lo spirito Andaluso Hispano Arabo, nel quale si manifesta la tensione verso il Paradiso Coranico di Maometto ottenuta attraverso la vita domestica, intima, nella quale la scala umana organizza tutti gli spazi. Il giardino si distribuisce in una successione di spazi chiusi e raccolti, comunicanti di tanto in tanto con cancelli, il cui disegno si ripete in altri elementi quali vasi, lampade, grate. Le Palme costituiscono l’ elemento di connessione con l’ambiente e si dispongono liberamente, senza la geometria formale dei parterre. I “Bustans”: spazi ad un livello piú basso del pavimento di percorrenza ed anticamente utilizzati come sistema irriguo ripropongono la tradizione agricola delle piantumazioni ad agrumi, con un utilizzo piú poetico del frutto che si puó toccare ed odorare mentre si passeggia.
La scala dimensionale degli alberi al momento dell’impianto si relaziona con le piante arbustive e con gli spazi vuoti dei patii e genera una armonia riferita direttamente alla scala umana. La rappresentazione del Paradiso Coranico non é relativa solo alla geometria degli spazi ma anche alla scelta delle essenze arboree in prevalenza alberi da frutto come simbolo dell’Abbondanza. GIARDINO A EL ESCORIAL Situato in un antico bosco di Frassini di una fattoria, divisa da muri bassi in pietra per rinchiudere gli animali, il Giardino diventa uno spazio di transizione tra la casa ed il resto della proprietá: il Frassino diventa l’elemento di unione con il paesaggio. Gli antichi muretti passano a racchiudere stanze all’aria aperta che ospitano una collezione di sculture completata attraverso pietre-acqua o pietre-seduta. L’Albero diventa fondo dello spazio espositivo o cornice delle sculture. Gli spazi del giardino si organizzano in modo differente a seconda della vicinanza alla casa: la Corte principale, il Giardino dei Melograni, il Giardino Segreto, il Giardino del Lago ed al suo interno si espongono le sculture di Sergi Aguilar, Anthony Caro, Juan Asensio, Yolanda Paulsen, Cristina Iglesias, Richard Serra, Pablo Palazuelo, Bernard Venet, Curro Ulzurrún ed alcuni miei “Pezzi di Pietra”. VALLADOLID Gli edifici dell’Ospedale Rio Hortega dell’architetto Luis Fernandez Inglada appaiono come un sistema montuoso, di roccia , tettonico, svettante sulle pianure di Valladolid. Faraglioni, muri tettonici di mattoni e vetro, volumi che si organizzano e generano spazi interni: valli, fiumi e dirupi racchiusi. La connessione con l’ambiente circostante é tratta da un poema di Antonio Machado sui Paesaggi Castigliani:
Quien ha visto Sin temblar Un hayedo en un pinar. Antonio Machado Chi ha visto Senza tremare un Faggeto In una Pineta. Antonio Machado Questo edificio evoca il Paesaggio Castigliano nel quale é inserito: dalle pianure di Pinus pinaster e Pinus pinea intorno alla cittá, fino all’altipiano di Sabine nere e bianche; dalle
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pendici dei monti e delle valli, dove i lecci e le querce precedono i pini silvestri ed I faggi, fino ai fiumi, dove bianchi pioppeti fiancheggiano le rive. La Scala dell’abero si relaziona alla cornice architettonica in cui é inserito. Per il progetto paesaggistico é importante l’architettura, la sua posizione nel paesaggio oltre ad i riferimenti poetici e plastici scelti per la sua rappresentazione. I Patii organici, biomorfici rappresentano I dirupi, I fiumi ed I monti del sistema iberico. Faggi tra pini silvestri, tassi isolati, querce e lecci su montagnole, betulle nei corsi d’acqua. La finitura superficiale del suolo enfatizza l’appartenenza ai vari ambienti paesaggistici. Sono patii vitali, dinamici che nel tempo offrono diverse volumetrie, cromatismi ed aromi. I patii che per esigenze funzionali devono essere risolti come “Nature Morte”, inorganici e petrei sono allo stesso modo un’astrazione del paesaggio a cui si ispirano: l’Opera di P. Klee, P. Mondrian, I. Noguchi ne é la fonte referenziale. Geometrie minerali a volte con forme organiche : alberi secchi di Sabina bianca (Juniperus thurifera) e tronchi di legno coronati da cerchi di tubi di rame. Altre volte con forme inorganiche, geometriche, ortogonali con un contenuto scultorico diferente: blocchi di ardesia, prismi di acciaio corten, ghiaia granitica e ciottoli di fiume. La Simbologia di questo spazio é associate direttamente alla sua funzione : un ospedale, un luogo dove ci sentiamo particolarmente vulnerabili e ci conforta l’idea di appartenere ad un Ente Superiore quale la Natura.
CAMBIAMENTI CLIMATICI E VIVAISMO ORNAMENTALE: NUOVE METODOLOGIE DI VALUTAZIONE DEGLI ADATTAMENTI Marchi E. - Bruschi P. - Grossoni P. Dipartimento di Biotecnologie Agrarie, Università di Firenze Sebastiani F. - Vendramin G.G. Istituto di Genetica Vegetale, CNR, Sesto Fiorentino (FI)
La qualità del prodotto vivaistico è il risultato di un processo di interazione fra molteplici fattori, dove ognuno di questi, dalla produzione nelle sue varie fasi, alla lavorazione ed al trasporto fino alla distribuzione per la commercializzazione ha un ruolo di massima importanza nella definizione della qualità complessiva. E’ evidente che il punto di partenza non può che essere il materiale vivaistico che è la base fondamentale per
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un’agricoltura moderna e per un uso corretto del verde ornamentale e la scelta del materiale di propagazione è una parte sostanziale di garanzia per raggiungere risultati positivi da parte dell’azienda agricola. La certificazione genetica può contribuire, in maniera significativa, a verificare la qualità e l’origine del materiale di propagazione. In particolare, risulta di notevole importanza l’aspetto relativo alla “tracciabilità” e certificazione genetica del prodotto, mediante marcatori molecolari. Infatti essa consente di individuare il background genetico delle specie utilizzate e fornisce informazioni al manager del verde su quanto e come una partita di piante è potenzialmente ben adattata o adattabile ad un determinato ambiente fisico e questo è ancor più importante in un’ottica di condizioni ambientali che si modificano rapidamente, come di fatto avviene oggi. Un maggior adattamento alle condizioni locali si traduce non solo in una migliore riuscita dell’impianto (maggiore probabilità di sopravvivenza e migliore capacità di accrescimento) ma anche in un minore dipendenza dai flussi ausiliari di energia (acqua, pesticidi, erbicidi, fertilizzanti) che hanno un impatto importante sia sull’ambiente che sui bilanci economici delle aziende vivaistiche. Come messo in evidenza da Ferretti (2008) la produzione vivaistica dovrebbe essere in grado di soddisfare le nuove esigenze di consumatori che chiedono “piante sicuramente di valore ornamentale ma anche ecologicamente compatibili con i nuovi scenari come il ridotto consumo di acqua, la rusticità e l’adattabilità all’ambiente in cui saranno poste a dimora “. Altra considerazione da fare è che, in nome della naturalizzazione evocata da molte norme vigenti, si assiste al paradosso che vengono create cenosi naturali mediante l’impiego di specie autoctone ma utilizzando individui aventi per lo più un’origine sconosciuta, spesso nemmeno italiana, con totale disinteresse per l’inquinamento genetico causato da flussi genici quali polline e semi che potrebbero instaurarsi con le popolazioni locali. La possibilità di creare sciami ibridi fra provenienze locali ed alloctone è un problema reale anche se mancano ancora indicazioni sufficienti per comprendere quali cambiamenti essi potranno portare all’interno di una comunità vegetale anche alla luce dei probabili cambiamenti climatici a breve termine. Partendo dalla comprensione del ruolo dei geni responsabili dei meccanismi di adattamento ed individuando la distribuzione della variabilità a livello di questi geni nei popolamenti esistenti è possibile identificare aree da cui prelevare materiale genetico da utilizzare nella produzione vivaistica. Il sequenziamento di un numero consistente di geni candidati permette di identificare polimorfismi per caratteri di interesse ecologico e economico, di accrescere le conoscenze relative alla loro diversità genetica e di stimare eventuali associazioni tra polimorfismi e caratteri di interesse e quindi di sviluppare metodi innovativi per la conservazione, il miglioramento e l'utilizzazione delle risorse genetiche di valore adattativi. Sono state selezionate 14 fra le specie di conifere più rappresentative, per alcune di queste (Pinus halepensis, Pinus pinaster, Abies alba, Pinus mugo, Pinus cembra, Larix decidua) è prevista un’analisi di un numero maggiore di geni, per un totale di 12 provenienze per ciascuna specie e per complessivi 238 individui.
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SNP identificato per la provenienza greca
In totale è stato selezionato un set di 280 geni candidati sulla base dei seguenti criteri: loro funzione (principalmente resistenza a stress biotici e abiotici, e fenologia), loro struttura (preferenza per i full length genes), loro posizione sulla mappa genetica di Pinus taeda, specie in cui i geni sono stati identificati, livello di polimorfismo atteso, trasferibilità. I geni candidati sono stati sequenziati, per un totale di circa 300.000 bp, e le sequenze sono poi state analizzate utilizzando il software Sequal) e validate mediante analisi manuale dei cromatogrammi. Le sequenze selezionate sulla base della loro qualità sono state quindi allineate ed i polimorfismi SNPs (mutazioni puntiformi) identificati (González-Martínez et al., 2006). Questa ricerca ha permesso di identificare un elevato numero di polimorfismi, in media una mutazione puntiforme ogni 100-200 bp, che costituiscono una preziosa fonte di informazione per studi di genetica di popolazione, di evoluzione molecolare, e di tracciabilità delle risorse genetiche. Il risultato di questo sequenziamento è stato analizzato, in particolare, per il Pinus halepensis, rappresentato da 26 popolazioni per 48 campioni distribuiti uniformemente su tutto l’areale.
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I risultati più significativi possono essere così riassunti: 1) una bassa diversità nucleotidica a livello di specie 2) la diversità nucleotidica è concentrata in particolare nelle popolazioni della parte orientale dell’areale naturale di distribuzione della specie (penisola Balcanica), ritenuta un’area rifugio del Pinus halepensis; 3) esiste una chiara strutturazione geografica, con la presenza di tre gruppi principali (est, centro e ovest); 4) i test di neutralità hanno messo in evidenza segnali di selezione a livello di alcuni geni candidati supposti essere coinvolti nel meccanismo di tolleranza alla siccità I risultati conseguiti hanno permesso di ottenere informazioni sul possibile ruolo della demografia ed in particolare delle migrazione nel postglaciale. Inoltre hanno messo in evidenza geni che manifestano segnali di selezione, che saranno oggetto di ulteriori indagini. La chiara strutturazione geografica della diversità nucleotidica potrà tra l’altro essere utilizzata per certificare l’origine e la composizione dei lotti di seme da impiegare in campo vivaistico. Ciò potrà ridurre al minimo il rischio che questi abbiano una base genetica ridotta, il che può diminuire l’adattamento delle piantine prodotte allorché messe in campo. Nel complesso queste informazioni potranno essere utilizzate per la realizzazione di programmi di conservazione della diversità a potenziale valenza adattativa. Analisi dello stesso tipo sono attualmente in corso su altre specie di conifere di interesse anche ornamentale.
FUNZIONI DELLA VEGETAZIONE NEGLI SPAZI VERDI Davide Giorgi Dottore Frestale - Libero professionista
Considerando gli spazi all’aperto annessi ad edifici residenziali di nuova costruzione, risulta spesso evidente come il giardino e le specie vegetali siano gli ultimi elementi che vengono presi in considerazione durante il processo di progettazione di un sito. L’approccio più corretto dovrebbe prevedere un’azione in parallelo: il sito oggetto dell’intervento andrebbe considerato come un luogo di sintesi tra il costruito e la vegetazione. Il processo di progettazione di una nuova area residenziale, con sempre maggior frequenza, finisce per coincidere, in tutto e per tutto, con il processo di progettazione degli edifici e delle strutture architettoniche ad essi collegate. Solo una volta realizzati edifici, vialetti e pavimentazioni, si pensa ad abbellire gli spazi all’aperto con il tappeto erboso e le specie vegetali, “riempiendo” gli spazi rimasti. In questa
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volontà di abbellire e riempire gli spazi che sono avanzati ci sono tutti i limiti di questo modo di procedere, tanto sbagliato quanto diffuso. La vera innovazione dovrebbe risiedere in un cambiamento di prospettiva nei confronti del materiale vegetale, che non andrebbe considerato solo per il suo ruolo ornamentale. Fintanto che le piante saranno considerate e scelte esclusivamente in base agli aspetti ornamentali, è chiaro che il verde sarà da considerarsi solo un’aggiunta, un abbellimento, un ornamento di un sito. Per questo il progetto del giardino continuerà ad essere l’ultima fase del processo di progettazione di un intero sito. Per provare a cambiare questo modo di procedere, dando ad edifici e piante lo stesso grado di importanza, occorre capire ed apprezzare tutte le funzioni che il verde può esplicare. Solo così alle piante verrà riconosciuto un ruolo fondamentale nel progetto e si penserà al verde non solo come a un qualcosa di bello, ma come a un qualcosa di funzionale e, in quanto tale, indispensabile. In questo contributo si presentano le funzioni più importanti del materiale vegetale, tra cui si ricordano: funzioni ecologico-ambientali e di controllo climatico; funzioni strutturali-architettoniche; funzioni culturali-sociali; funzioni estetiche-ornamentali. Dal punto di vista ecologico-ambientale le piante, oltre a liberare ossigeno e consumare anidride carbonica attraverso il processo fotosintetico, hanno la capacità di fissare polveri e gas tossici, contribuendo a ridurre l’inquinamento atmosferico. Risultano fondamentali anche per la formazione di barriere antirumore ed intervengono nel bilancio idrico di una data zona, svolgendo sia un’azione regimante sia un’azione antierosiva. La vegetazione, inoltre, svolge un’azione importante nell’influenzare il microclima di una certa area, ciò è attribuibile principalmente all’intercettazione della radiazione solare come la formazione di zone d’ombra e quindi protezione dalla radiazione solare diretta. Unitamente a questo, la presenza della vegetazione contribuisce ad attenuare la temperatura dell’aria. In assenza di specie vegetali il riscaldamento del terreno e delle superfici pavimentate sarebbe più consistente e l’aria intorno subirebbe un riscaldamento più intenso. Infine le piante sono utili per la formazione di barriere frangivento. In questo ambito le funzioni che le piante svolgono sono le seguenti: contribuiscono alla creazione e alla separazione di spazi; servono come complemento, per rinforzare ed enfatizzare le strutture architettoniche degli edifici presenti; possono essere usate per enfatizzare certe zone del sito svolgendo la funzione di punti focali. Dal punto di vista culturale, le piante presenti all’interno di orti botanici o parchi costituiscono un’importante fonte scientifica e didattica, sia per quanto concerne l’educazione ambientale degli adulti che quella dei bambini.
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Spazio orizzontale creato grazie alla alternanza tra due gruppi di piante
Inoltre negli ultimi anni il ruolo sociale del verde ha assunto sempre maggiore importanza; bisogna infatti tener conto che l’ambiente fisico in cui un individuo vive e lavora ha profonde influenze sul suo comportamento sociale e sul suo benessere psichico. A questo riguardo è possibile affermare che, per gli esseri umani, vivere a diretto contatto con la natura e le specie vegetali è un bisogno intimo e fondamentale. Esistono numerosi studi sperimentali che consentono di dimostrare i benefici effetti per la salute psico-fisica dell’uomo derivanti da tale contatto.
Orto didattico all’interno del Parc de Bercy (Parigi)
Si parla di funzione estetica-ornamentale del verde, quando questo apporta un contributo estetico all’ambiente in cui si trova. Questa funzione è garantita dal complesso di caratteri ornamentali rappresentati da un insieme di qualità, sia di natura morfologica, fenologica, che genetica che caratterizzano le singole specie vegetali.
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Un esemplare di Acer rubrum ‘October Glory’ in veste autunnale
L´ IMPORTANZA DELLA SELEZIONE DELLE PIANTE NEL PROGETTO DEL VERDE CRITERI TECNICI, ECOLOGICI E PAESAGGISTICI
Paola Sangalli Paesaggista SCIA SL Presidente Asociación Española de Igeniería del Paisaje Membro del Consiglio della AEP
Il paesaggista si occupa dell´analisi, della pianificazione e della gestione degli spazi aperti a diversa scala: giardino domestico, parchi e spazi urbani e pianificazione territoriale. La formazione di un paesaggista o architetto del paesaggio, comprende materie umanistiche, tecniche e abilità artistiche e creative. La funzione di un paesaggista è in sintesi quella di cogliere l'identità del luogo Genius loci e progettare interventi che rispondano alle esigenze umane e al contesto ambientale, con un uso ottimale delle risorse al proporre soluzioni progettuali e di gestione compatibili e sostenibili. Le piante, per tanto, devono essere per la nostra professione uno degli strumenti fondamentali del progetto e si devono sviluppare criteri chiari di selezione e utilizzazione così come una profonda conoscenza del mondo vegetale, dei suoi condizionanti e di tutte le loro possibilità di sviluppo. Questi criteri di selezione, li ho suddivisi in: Criteri compositivi Criteri ecologici Criteri tecnici
Criteri economici
CRITERI COMPOSITIVI Come in altri ambiti creativi, esiste un ispirazione o leit motiv che aiuta al momento di scegliere le specie: il viaggio ,il gioco, la vegetazione locale, fioriture in contrasto o in armonia … Le qualità compositive della vegetazione fanno riferimento al volume ed alla forma, alla distribuzione spaziale ed alle caratteristiche estetiche (fiori , foglie, frutti, profumo, tatto della corteccia o rumore del fogliame) Volume e forma: le piante ,dal punto di vista compositivo, si utilizzano per configurare lo spazio, stabilendo strutture che aiutano a definire il luogo: si creano recinti particolari a modo di muri, pareti e tetti virtuali con le chiome, tronchi e rami. Grazie alla combinazione adeguata di questi elementi e la loro distribuzione con altri componenti (sentieri, fabbricati, mobiliario…) si stabiliscono anche ritmi visuali nel paesaggio urbano. L´utilizzazione in combinazione con la topografia, un altro elemento chiave nel lavoro del paesaggista, utile a complementare, enfatizzare o mitigare. Molti giardini che vediamo oggi giorno sono stati disegnati solo in planimetria, senza tener conto della adeguata relazione formale che si stabilisce tra le forme, la topografia e i volumi delle chiome. Nei miei progetti sono sempre presenti i tre strati della vegetazione naturale: arboreo, arbustivo ed erbaceo, imitando le associazioni vegetali naturali, dove ognuno di questi aspetti ha il proprio spazio dipendendo dalla competizione per la luce, l´umidità e nutrienti. Un altro aspetto compositivo é il fattore tempo. In molte occasioni bisognerà dare priorità al pronto effetto, in alre sará di vitale importanza conoscere lo sviluppo della vegetazione dopo 10-15 anni. In questo senso , le decisioni ad adottare in relazione alle distanze di piantagione o alle dimensioni della pianta da Vivaio sarà fondamentale. Una volta determinato lo spazio con la topografia, il volume e la forma é il momento di stabilire altri criteri compositivi come la consistenza , colore e profumo delle piante.
Planimetria piantagione Albergo l´Ea Bianca-Cala dei Ginepri- Sardegna Studio di architettura Mattioli Associaci Studio Paesaggio Scia SL e Humus Sapiens Sl
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CRITERI ECOLOGICI Tra i criteri ecologici troviamo le caratteristiche climatiche, in modo speciale le esigenze idriche e la temperatura, la natura del terreno e il ph, l´insolazione del luogo, la facilità o meno al trapianto. Nel caso particolare dei progetti di ripristino ambientale, il criterio ecologico in funzione dell´origine o pertinenza a una determinata serie di vegetazione di una regione, sarà fondamentale per la corretta selezione. Per ultimo, un criterio ecologico é quello che prevede un incremento della biodiversità, come parametro che garantisca in un certo senso gli obbiettivi ecologici dei nostri interventi. Biodiversità vegetale che favorisce anche la biodiversità animale. CRITERI TECNICI In questo punto ci sono diversi aspetti come analizzarei condizionanti del luogo dell´intervento, tanto a livello urbano con alberatura presidente come a livello locale larghezza delle strade, limitazioni di visibilità, coesistenza con altre installazioni. La selezione delle specie devono adattarsi alle funzioni tecniche specifiche della vegetazione, come barriere antirumore, zone d'ombra in determinati spazi, stabilizzazione di versanti o scarpate o di argini fluviali come nel caso dell´Ingeniería Naturalisitca CRITERI PRODUTTIVI ED ECONOMICI E' importante per un progettista visitare i vivai, conoscere cosa si produce e come si produce, trasmettere le proprie richieste al produttore e capire il tipo di sviluppo e le necessità fitotecniche. Questi criteri si devono descrivere adeguatamente tanto nel preventivo come nel capitolato delle piantagioni. Per ultimo bisogna anche progettare essendo consapevoli della futura manutenzione delle piante selezionate. Non esiste nessuna pianta che non abbia bisogno di un certo grado di manutenzione, che varia in intensità e frequenza in funzione delle specie così come nel disegno spaziale del luogo. Nella mia presentazione voglio mostrare con esempi dei miei progetti, i criteri nella selezione del materiale vegetale così come rivendicare l´importanza dell´impiego delle piante nei progetti del paesaggio, per tutti i benefici che l´impiego della vegetazione comporta specialmente in ambienti urbani. Come il titolo del famoso libro di N. Ferguson : “Right plant in the right place :la pianta giusta al posto giusto.”
Imagine giardino Albergo l´Ea Bianca-Cala dei Ginepri Sardegna Studio di architettura Mattioli Associaci Studio Paesaggio Scia SL e Humus Sapiens Sl
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THE ACTION PROGRAMMES OF EROV FOR THE HORTICULTURAL SECTOR IN EAST-FLANDERS Daniel De Steur Managing director EROV
In Belgium, ornamental horticulture is mainly situated in Flanders with almost 90% of the area. The production value of the Flemish ornamental horticulture is estimated at 507 million € by 1.786 companies on 5.653 ha. 848 companies grow nursery stock on 4.154 ha with an estimated production value of 241 million € (1). East Flanders, one of the five Flemish provinces, is by far the most important province for ornamental horticulture. The production value of the ornamental culture is estimated at 257 million Euro; that's almost half of the production value of Flanders (51%, 2008). 43% of the production area or 2.414 ha is located in East-Flanders as are 49% of the companies (883). East Flanders and more particular the Ghent region, has a heart function for the ornamental horticulture sector with the Florall fair (2 times a year), the research centers for ornamental horticulture PCS (‘Proefcentrum voor Sierteelt’, applied research) and ILVO (‘Instituut voor Landbouw- en Visserijonderzoek’, fundamental research) and the world event the Floralies of Ghent (every 5 years). The Economic Council for East-Flanders (EROV) is a nonprofit organisation, founded by the Provincial Government of East-Flanders. The mission of EROV is to improve the social economic structure and to support a sustainable economic development of the province of East-Flanders. EROV supports the management of SME's in the profit, social profit and retail sector, promotes the regional products and supports the image of important sectors such as food & beverage, ornamental horticulture plants, textile and construction. EROV also enhances entrepreneurship, the cooperation between education and professionals and supports centre management in cities and municipalities. Especially concerning the ornamental culture, EROV supports the management, deploys initiatives to stimulate entrepreneurship, promotes the ornamental horticulture sector and its products and realises positive image building campaigns. EROV organises two major events every year: ‘Op de Siertoer 4 Kids’ and ‘Op de Siertoer’. ‘Op de Siertoer 4 Kids’ is an educative project for 11-12 year old pupils that takes place in ornamental horticulture companies. Every year since 1995 on the third Sunday of September, the Economic Council for East-Flanders (EROV),
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organises ‘Op de Siertoer’. On that Sunday, in the whole region of Flanders, managers open the doors of their ornamental horticultural companies for the general public and organise guided tours for the visitors. Aim is to strengthen the image of the sector and promote the ornamental horticultural products in a general way. EROV works since 2007 in cooperation with the VLAM, Flanders' Agricultural Marketing Board, to organise this mass event. An average of 20.000 consumers visits about 50 companies. Starting with the fourteenth edition (2008) EROV decided to put a special focus on corporate social responsibility. In that year water, especially water recirculation was chosen as sub them. The past edition, on 20 September 2009, had as sub theme energy. Within CSR, concerning energy, two points are important: rational energy use and the use of renewable energy. During the tours in the nurseries and glasshouses, the managers gave special attention to the measures they take to reduce the consumption of energy and to use renewable energy sources. RATIONAL ENERGY USE Rational energy includes all efforts made to enhance the efficiency of energy use. Meanwhile, a lot of these techniques are commonly used as for example the use of better isolating covering materials and energy screens. The Research Centre for Ornamental Horticulture Plants (PCS) at Destelbergen, that also participates in ‘Op de Siertoer’, conducts research on the use of light emitting diodes (LED's) instead of other more energy consuming methods of lighting by sodium lamps in the culture of roses. PCS also investigates the technique of temperature integration to save energy. Another technique to use energy as rational as possible is via the technique of cogeneration (combined heat and power, CHP). This is a potentially cost effective way of servicing the simultaneous heating and electrical demands of processes. Renewable energy sources are biomass, sun, wind, water and geothermic heat. The last one is not used in Flanders. Different examples of the use of biomass in ornamental horticulture companies were presented on ‘Op de Siertoer’. A producer of forest and hedging shrubs sells the base material for short rotation wood plantations. When the poplars are pruned in the fall, the cuttings of the branches are collected, prepared, sorted and sold. Since 2008 a grower of Chrysanthemum, lavender and perennials planted his own production fields (2 ha) of short rotation wood (willow). This year the willow will be harvested a first time, dried in a storage room and burned in a wood gasification boiler. From then his greenhouses will be heated for two thirds by his short rotation wood. Some companies demonstrated their wood fired boilers using dried chips of spruce, willow or poplar for heating their greenhouses. Visitors of ‘Op de Siertoer’ could see panels of photovoltaic cells mounted upon a tube in two different ornamental horticultural companies. These photovoltaic units rotate during the day to maximise the return.
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ZARAGOZA 2008: EL PROYECTO DE UNA NUEVA CIUDAD Carlos Avila
La ciudad de Zaragoza se encuentra enclavada en la intersección de 3 ríos: el Ebro, como gran cauce fluvial que genera un potente valle de carácter agrícola en dirección noroeste-sureste; el Gállego, y el Huerva. A esta estructura fluvial hay que sumar un cuarto cauce que es el Canal Imperial de Aragón, una infraestructura hidráulica del siglo XVIII. Sin embargo, el carácter más peculiar del paisaje periurbano de Zaragoza es que estos espacios verdes de carácter natural y agrícola, se encuentran insertos en un ambiente estepario. Esta especie de paisaje-oasis en el que se emplaza Zaragoza, nos habla de la importancia del agua para los ciudadanos tanto de la capital, como del resto de la región. LA ESTRUCTURA URBANA DE ZARAGOZA La existencia del río Ebro, como un cauce de importante caudal y potentes avenidas, ha configura un histórico desarrollo asimétrico de la ciudad que se implantó en sus orígenes en la margen derecha del río, más protegido frente a las riadas. El Plan Urbanístico actualmente en vigor, aprobado en el año 2002, intenta reforzar ese equilibrio aunque persiste una cierta desigualdad debido a la existencia de los terrenos militares en el cuadrante noroeste de la ciudad que impiden dicho reequilibrio, centrándose los nuevos desarrollos en la zona suroeste de núcleo urbano. Como complemento al proceso de debate del Plan General surge el Plan Estratégico donde se contempla como objetivo estratégico hacer del río Ebro la “Calle Mayor” de la ciudad, planteando la creación de dos grandes espacios verdes a la entrada del cauce fluvial en la ciudad y a la salida de la misma. Para formalizar este Plan se convoca en 1999 un concurso de ideas para abordar la problemática de las Riberas del Ebro. Fruto de estas reflexiones se contempla ya la creación de un evento tipo Expo localizado en el espacio de entrada del río en la ciudad, que se acompañaría de un gran espacio verde de una 120 Has. LA EXPO 2008 Y LOS NUEVOS ESPACIOS VERDES: EL PARQUE DEL AGUA La concesión por parte del BIE de la Exposición Internacional del año 2008 a la ciudad de Zaragoza, sirve de punto de partida al desarrollo de un Plan de Acompañamiento donde se da prioridad absoluta al Plan de Riberas como medio para recuperar los espacios ligados al
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río creando un gran corredor verde de unos 8km de largo en ambas orillas. Dentro de este esquema se contempla la creación de un gran parque, ligado el recinto expositivo, en el Meandro de Ranillas (en la zona oeste de la ciudad), donde el agua sea elemento estructurante y dote de personalidad este nuevo espacio verde de la ciudad.Para ello se convoca un concurso internacional de ideas cuyo primer premio recae en un equipo formado por los arquitectos españoles Iñaki Alday y Margarita Jover y la paisajista francesa Christine Dalnoky, que plantean un diseño muy adaptado a la estructura del meandro en el que se emplaza el parque. Este parque, como su propio nombre indica, se encuentra estructurado en torno al agua atendiendo a dos criterios: La gestión de los espacios naturales ligados al cauce del río El diseño del interior del parque basado en la red hidráulica de acequias existente en el meandro. El tratamiento de las zonas cercanas al río ha consistido en el refuerzo de la vegetación ribereña, devolviendo espacio al río para anegar superficies y permitir la aparición de una vegetación protectora y de nuevos ambientes que han aumentado la biodiversidad del meandro. En lo referente al tratamiento de la zona interior del parque, éste se ordena en torno a la compleja estructura hidráulica basada en la red de acequias existentes en este espacio agrícola. La idea básica consiste en tomar el agua de tres tipos de fuentes: del río Ebro, de la Acequia de Ranillas (que proviene de otro de los ríos de Zaragoza: el Gállego) para mejorar su calidad, utilizarla con criterios estéticos y lúdicos, devolviéndola posteriormente del nuevo al río a través de un sistema de infiltración que ha enriquecido el sistema biológico del soto de ribera. Acompañando a esta red hidráulica, se diseñan un conjunto de jardines con variadas y particulares características, además de un sistema de equipamientos que genera una diversidad de usos lo que permite dar vida a este gran espacio verde.
LA EXPO 2008 Y LOS NUEVOS ESPACIOS VERDES: EL PLAN DE RIBERAS DEL EBRO Tal y como se ha mencionado anteriormente, este Plan nace como consecuencia del Plan Estratégico aprobado en 1998, siendo presentado en el año 2005. Su objetivo principal es reforzar el papel urbano del río Ebro generando un eje estructurante de la ciudad. Los objetivos que se persiguen con dicho Plan son: La reestructuración del sistema movilidad urbana en el eje fluvial
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El refuerzo de las conexiones entre orillas La creación y regeneración de las zonas verdes de ribera El diseño de un Plan de Usos El establecimiento de un programa de Intervenciones Artísticas
UNA NUEVA ESTRUCTURA VERDE La celebración de la Exposición Internacional del año 2008 en nuestra ciudad ha supuesto, además de la incorporación de todo un sistema de espacios verdes ribereños, una importante reflexión acerca de cómo abordar una estrategia futura de espacios libres urbanos. La idea de Anillo Verde se ha empezado a trabajar, potenciando el desarrollo de proyectos en espacios estratégicos con vistas a generar una gran banda perimetral que establezca una nueva relación entre el casco urbano y el paisaje periurbano.
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Mauro Mari Assessore all'Agricoltura della Provincia di Pistoia
Non credo di avere da concludere niente, perché quanto fatto in questi giorni è semplicemente una tappa di un lavoro e pertanto non ci può essere una conclusione definitiva. Posso però dire che il livello delle relazioni dei partecipanti è stato molto articolato e importante e sarà di ispirazione al futuro lavoro che l’Amministrazione Provinciale di Pistoia, che assieme agli imprenditori e alle Associazioni di categoria, dovrà svolgere durante gli anni che ci separano dal prossimo appuntamento di “Vestire il Paesaggio”. Credo di poter dire che l’obiettivo è risultato essere chiaro ed ha aperto le argomentazioni su un campo molto importante legato all’imprenditoria del verde pistoiese, quello del rapporto fra la salute e l’uomo. In merito a tutto ciò abbiamo potuto comprendere quanto ci sia ancora da fare per poter portare, ancora con più incisività e correttezza, la produzione e la qualità vivaistica pistoiese assieme a tutte le sue eccellenze, alla consapevolezza del più ampio spazio conoscitivo possibile iniziando proprio da quello strettamente locale. L’Avvocato Ballotti ha ulteriormente stigmatizzato questo aspetto ricordando quante poche persone conoscono Pistoia, molti intervenuti hanno fatto presente che innumerevoli operatori del settore intesi come architetti, geometri e ingegneri, non conoscono sufficientemente la produzione vivaistica Pistoiese e le sue grandi possibilità di inserimento all’interno di una qualsivoglia progettazione aperta alla corretta realizzazione di un “villaggio umano”. Personalmente sono d’accordo con l’intervento effettuato dal Dott. Marco Cei alla biblioteca San Giorgio durante il quale è stato sostenuto che non è la pianta verde che fa la qualità della vita, è l’idea che abbiamo noi di vita che ci fa recuperare un rapporto con il verde. Facendo seguito ad un ulteriore intervento storico dell’Avvocato Ballotti che si è concentrato sul periodo etrusco, civiltà fortemente radicata sul nostro tessuto regionale, si capisce come, seppure osteggiati dai romani, anche in antichità nei nostri luoghi si sia cercato di far radicare una concezione del verde molto particolare e vicina alla vita di tutti gli abitanti. Gli Etruschi, infatti, tenevano in alta considerazione l’aspetto legato al verde ed ogni due tre anni solevano ritrovarsi all’interno di un bosco - la Selva di Lamone, appena fuori dai confini toscani, per celebrare un evento civico-religioso di grande importanza e discutere delle problematiche societarie della loro civiltà tenendo sempre presente che per loro quasi tutte le attività operanti
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all’interno della loro comprensorio sociale erano in diretto contatto con il mistero del “verde”. Nel bosco ritrovavano la propria anima, interpellavano se stessi, assumevano decisioni importanti, ci vivevano tutte le loro realtà, riuscivano ad ascoltare e farsi ascoltare compiutamente. Queste realtà storiche, nei nostri luoghi, sono sempre esistite; la storia ha fatto il suo corso ma la Toscana, anche sotto domini diversi, come i Lorena, è sempre stata sensibile al richiamo del verde non solamente finalizzato a se stesso ma fortemente inserito nel tessuto sociale. Il verde è quindi divenuto, soprattutto da noi, un modo per poter produrre, per realizzare , per commerciare, per fare economia ma non solo, infatti non ci siamo accontentati di tutto ciò ma abbiamo voluto produrre verde per riuscire a cercare di leggere meglio di che cosa ha bisogno l’uomo di oggi, per ripensare il proprio modo di vivere e con il verde dare un supplemento di anima al “villaggio dell’uomo”. Per non concludere vorrei che il mio intervento fosse un ringraziamento a chi insieme alla Provincia di Pistoia ha cofinanziato e coorganizzato l’evento : la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, la Regione Toscana, gli imprenditori dei vivai che si sono impegnati strenuamente contribuendo all’allestimento e collaborando alla programmazione della manifestazione sotto ogni punto di vista. Un particolare grazie agli sponsor e alle ditte che hanno esposto i loro prodotti. Il sindaco di Quarrata paragonava la nostra esperienza ad una nave e rifacendosi a famose citazioni, diceva che per stare sull’acqua le navi hanno bisogno di solidi piedi di cedro. La nostra Città ha dimostrato di averli e con questi presupposti andremo alla realizzazione della prossima edizione di “Vestire il Paesaggio” e fiduciosi nel nostro lavoro cercheremo di poter dare, se possibile, ancora di più impegnandosi a lavorare strenuamente al fianco di tutte le realtà presenti sul nostro territorio.
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