€20.00 Italy and EU / CFA 10’000 Senegal - Issue #13 - March 2012 - txt: Epoché - ph. FOS photographers - no celebrities inside
Où sont mes launeddas? Rendez-vous en musique
Laamb must go on
Hic sunt leones
The Glam side of the Art
Creativity in the Savanna
Alhamdoulilah! Il piacere di inventare storie Quando il racconto si fa design DAKAR - THE ORIGINAL SENEGAL CULTURE AND LIFESTYLE
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joyeux anniversaire! Le magazine cool passe l’examen, certificat d’honneur donc pour ce numéro exceptionnel. Merci aux amis lecteurs pour leur fort soutien. On répond avec DAKAR cohérence. Papa Sénégal j’aime votre fille, je suis une bonne personne avec une bonne énergie et des bonnes valeurs. C’est ça. Puisque l’esprit de DAKAR vous prend et ne vous quitte plus. DAKAR in/out. Vivre DAKAR pour y revenir. Diasporama d’idées, gens et images que quelqu’un appelle art, d’autres appellent liberté. Ecoles et galléries, les cafés, les nouvelles expressions, le rues à escrocs, le show off, ah oui! On a pris des photos de poster pour s’apercevoir que c’étaient des scènes de vie réelles. Comme des mendiants de soutenabilité, on a fait, nerfs à la main, le zigzag des marchés à épices et à poissons pour y retrouver les couleurs de la vie et des gens qui existent. L’art à chaque coin, qui résiste, qui donne. DAKAR à s’assoir et observer, ou bien jouer: ici si t’es pas un visionnaire, t’es un vrai aveugle. L’esprit de DAKAR.
DAKAR
fra un anno ha compiuto il primo anno di vita. Ed esordisce con il suo primo numero 13. Già grande. Ma DAKAR è così: sfuggente e presente. E intanto gira il mondo per raccontare uno stile del Senegal, quello negli occhi di chi lo guarda. A volte quegli occhi spuntano dal buio di una via senza lampioni, a volte dal palco di un club, a volte spaccano la luce da una spiaggia su a Nord. Sono gli occhi di una città spalmata al sole che parla di sé e di cui noi vi raccontiamo. Gli occhi di tutti noi che ci hanno passato almeno una notte. Questo è lo stile di DAKAR. Una rivista che parla di luoghi, forme, modi, moda e tiene in primo piano sempre una visione eccentrica della realtà. L’unica possibile in un mondo confuso: se non sei visionario, sei cieco. Questo è lo spirito di DAKAR. Questo è lo spirito dell’arte messa dentro tutte le cose. Questo è lo spirito dei nostri lettori. Voi.
We
tried to make our September Issue, but we failed. This magazine is good all year round. It’s about DAKAR, or, better, DAKAR is all over it. When you travel you should trust your soul, more than any map or any guide. Whether you’re running in an old Peugeot or playing music in the African sunset. Whether you’re chasing a voodoo sorcerer or drinking a cafe touba. Whether you’re trying to speak wolof with an Italian accent or learning about Baye Fall. The spirit of DAKAR will get you before you get it. If you are not a visionary you are blind. Art is everywhere.
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➽ a sabbia, l l e n e d u n i ta a man t o l , orno. o i c g fi o f z a z r e t , m a c a i r Mus on è anco n E . p o h p i h riti voodoo, DAKAR - THE ORIGINAL SENEGAL CULTURE AND LIFESTYLE DAKAR.indd 7
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Dakar non ci sono semafori, o meglio c’erano, ma oggi non ci sono più. Ad alcuni incroci giacciono divelti sul terreno quasi fossero stati giustiziati per aver imposto delle regole che qui non servono. Nella capitale del Senegal il traffico si regolamenta da solo in base a leggi della casualità e in base alla destrezza e alla convinzione dei guidatori. Le macchine che intasano le strade sono lo specchio del paese: sgangherati taxi, vetuste Peugeot, rugginose Citroën e fiammanti Suv alcuni dei quali farebbero invidia a qualche ricco borghese europeo. I contrasti sono all’ordine del giorno in Africa. Certe cose non cambiano mai, pensa lo straniero con quella supponenza di chi un tempo queste terre le considerava colonie. Ma in Senegal chi ci va con animo aperto ha solo da imparare. Prima lezione: la musica. L’Africa occidentale è uno straordinario archivio sonoro, scrigno di una tradizione musicale multiforme e affascinante che ha saputo contaminarsi e rendersi sempre più attuale. A scuola dai musicisti senegalesi si sono trovati anche alcuni artisti sardi arrivati qui per un progetto di cooperazione culturale finanziato dalla Regione Sardegna. Che cosa ci fa un musicista sardo nel cuore dell’Africa? Sembra l’inizio di una storiella e invece è l’inizio di un’avventura che si chiama “Chadal”. La missione è quella di rintracciare musicisti e artisti e lavorare per un disco e per uno spettacolo musicale a Dakar e poi per un tour in Italia. La delegazione è capitanata dal chitarrista Alberto Balia e dall’associazione artistica Cherimus. Cercate un musicista in Senegal e troverete mille storie. La parola d’ordine è “Youssou N’Dour”, quando si parla di musica si inizia a parlare sempre di lui, è l’immagine del Senegal nel mondo e il cittadino di Dakar di cui tutti sono più orgogliosi. Ha diffuso la musica oggi più amata, lo mbalax, un genere che parte dalla tradizione, ma si contamina con pop,
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soul e ritmi latini, una musica che si balla, ma che serve anche a raccontare storie e a diffondere messaggi politico-sociali. Youssou N’Dour è oggi un uomo d’affari, possiede una radio e una televisione ed è sempre più attivo in politica, per tutti è uno che ce l’ha fatta e non si è dimenticato degli altri. E’ nato in un quartiere popolare, ha avuto successo all’estero, ma è tornato comunque a casa, a Dakar. L’onnipresente mbalax riempie le frequenze di tutte le radio, ma le tradizioni più antiche sopravvivono. Tra le case basse in mattoni del quartiere di Yoff, nel nord di Dakar, è meglio avventurarsi solo se accompagnati, non tanto per ragioni di sicurezza personale, quanto perché nei vicoli sabbiosi è facile perdersi; è qui che vive una interprete degli ancestrali riti di guarigione attraverso la musica. La si incontra nel suo piccolo salotto, ha l’aspetto orgoglioso e fiero di una custode di un segreto inizia-
L’atmosfera è ipnotica e sembra di andare indietro nel tempo, ma poi entra un uomo in giacca e caravatta e cellulare in mano, che si presenta come
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COVER STORY tico, ci spiega come questi riti siano il seme della cultura africana e furono esportati attraverso gli schiavi in tutto il mondo, nei Caraibi divennero il voodoo, in Europa si ritrovano nelle musiche e nei balli esorcistici. L’atmosfera è ipnotica e sembra di andare indietro nel tempo, ma poi entra un uomo in giacca e cravatta e cellulare in mano che si presenta come il suo manager e la magia svanisce. Riti animistici e imprenditorialità, un connubio che coinvolge anche lo sport nazionale senegalese, la Laamb. E’ una lotta combattuta in un quadrato di terra e possiede un complesso rituale mistico a cui tutti i lottatori si sottopongono. Oggi il quadrato di terra è al centro di stadi affollatissimi in cui atleti mastodontici e dai nomi spesso curiosi (Tyson, Bombardier, Gris Bordeaux) si affrontano in un misto di sumo e lotta greco romana. Il campionissimo si chiama Yekini, per il suo ultimo
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incontro ha ricevuto un compenso di 150.000 euro, cifra siderale a queste latitudini. Me è un idolo per i ragazzi senegalesi di oggi che sognano di diventare eroi della Laamb o star della musica, magari hip-hop, genere che anche qui ha conquistato i giovani. Se la culla del voodoo è a Yoff, la culla del rap è il piccolo studio musicale della Positive black soul la casa discografica di Didier Awadi, treccine rasta e spirito combattente, è stato il pioniere di un’ondata di interpreti che oggi ha tra le star il gruppo Daara J. Per alcuni il rap è proprio nato qui, e, in effetti, nella storia senegalese i cantastorie girovaghi, i griot, spesso si esprimevano in una parlata ritmica chiamata tassou che veniva usata anche dalle donne in cerimonie tribali. Le donne sono il cuore della cultura senegalese, sempre consce del loro fascino e della loro femminilità, colorano la città con abiti tradizionali, ma anche con vestiti all’ultima
moda che indossano su figure snelle e imponenti come se fossero modelle in sfilata. A Dakar c’è anche un servizio taxi esclusivamente gestito da donne, si fanno chiamare Taxi Sister, sono poche ma agguerrite e il loro servizio è più puntuale e affidabile di quello dei concorrenti maschili. Una cosa è certa, qualsiasi taxi prenderete a Dakar vi accompagnerà della musica. E allora che cosa ci fa un musicista sardo nel cuore dell’Africa? Chi ama la musica forse deve proprio venire qui a scoprire delle radici che non pensava neppure di avere. Intanto per le strade caotiche nel corso del solito estenuante ingorgo, uno strillone vende ai passeggeri delle auto in coda una copia del quotidiano locale L’Observateur che a titoli cubitali annuncia la notizia del giorno “Sordido affare: scandalo sessuale all’ambasciata italiana”. Certe cose non cambiano mai. E questa volta non si tratta dell’Africa.•
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here are no traffic lights in Dakar. Or rather, there were traffic lights but today you can hardly find one. At some crossroads you can see them knocked down on the ground, executed, guilty for having set useless rules. In the capitol city of Senegal traffic has its own set of rules: casualness, skills at the wheel and drivers resilience. Cars that jam the streets are the picture of the whole country, beaten up cabs, ancient Peugeots, rusty Citroëns and shining Suvs that even a rich European businessman could envy. Africa is a land of striking contrasts. «Some things will never change» thinks the foreign man with the arrogance of someone who used to consider this territories as colonies. But for those who arrive in Senegal without prejudices there are only new lessons to learn, new experiences to make. First lesson: music. West Africa is a magnificent musical archive, the heart of a rich and fascinating tradition that was able to merge musical styles and become fresh and exciting. It’s the first day of school for a group of musicians from Sardinia that came here to experience this unique musical environment. What? What is a musician from Sardinia doing in the heart of Africa? It looks like the beginning of a funny joke, but it’s the beginning of an adventure.
West Africa is
a magnificent musical archive, but what is a musician from Sardinia doing
here?
A musical journey nicknamed “Chadal”. The mission: finding musicians and artists, recording a CD, organizing a concert in Dakar and then an Italian tour. And so you find in the Savanna a delegation led by traditional musician Alberto Balia, a folklore guitarist that plays Argia and thinks that Sardinia is the center of the world. But if you search for a musician in Senegal you find a thousand stories. It all begins with a name: “Youssou N’Dour”, you talk about music and anyone brings up the name of the super-star, Senegal’s international poster boy. They all seem proud of him, and rightly so. He’s the godfather of mbalax, a musical genre that mixes tradition with pop, soul, and Latin rhythms, a music you can dance to but that also tells stories and conveys social political messages. Youssou N’Dour is a businessman, a media mogul, a political activist. He’s the one who did it: he made it big abroad and brought part of his success home, in Dakar. The mbalax fills the air and you hear it everywhere you go. But older traditions are not forgotten. If you want to go in the area of Yoff, a group of small old brick houses in the north of Dakar, you’d better to go with someone who knows the place. Your safety is not at risk, but you could easily get lost in the sandy roads. Here lives an old woman that keeps the secret of the ancestral
rites of healing through music. She greets her guests in a small living room and she’s proud of her appearance as well as of the traditions that she preserves. She tells you how these rites are the seed of African culture and how they travelled around world with slaves. In the Caribbean they became the voodoo, in Europe they can be found in healing music and exorcistic dance rituals. In the small room where incense is burning the atmosphere is hypnotic and for a moment you feel like you’re travelling in time. But then comes in a man with a suit and a tie and a mobile phone. It’s her manager. And the magic suddenly melts away. Animistic rites meet entrepreneurship, just like in the national sport of Senegal, the Laamb. It’s a kind of wrestling in which the turf is a sandy square. It has more rites and traditions than rules. Every wrestler has its own personal ritual and superstition. Today you can find the sandy wrestling rings inside overcrowded stadiums in which herculean athletes with awkward names (Tyson, Bombardier, Gris Bordeaux) fight in what looks like sumo meets boxe meets graeco-roman kind of wrestling. The super-champ is nicknamed Yekini, after a famous Nigerian soccer player; for one of his lasts fights he was paid 150.000 euros, an out-of-the-world amount of money for West Africa. But he is a genuine idol for all the kids that DAKAR - THE ORIGINAL SENEGAL CULTURE AND LIFESTYLE
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dream to be Laamb heroes or musicians one day, maybe hip-hop stars since rap is the only musical style that rivals mbalax in popularity among young people. And the cradle of Senegalese hip-hop is Positive black soul, the recording label founded by Didier Awadi, a man with a rasta look and a fierce spirit. He was a pioneer in the local rap movement, the leader of a wave of artists whose most renowned act today is the trio Daara J. Some say that rap was born here. In Senegalese tradition the griots, traveling storytellers, used to perform in a rhythmical chant called tassou, also used by women in tribal ceremonies. Women are the heart of this society, their behavior expresses grace and their attitude exhibits respect and dignity. Their colorful traditional dresses revive the city, and when they follow western fashion they do it
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with unique style and the street becomes their catwalk. In Dakar there’s also a taxi service managed uniquely by women: it’s called Taxi Sister. They’re just a few but they do find their way in the jammed streets and they are far more reliable than their male counterparts. One thing is certain: in every taxi you take, music coming from the radio or the car stereo will be your companion. So what’s a musician from Sardinia doing in the heart of Africa? Anyone who loves music should come here and discover heritage and roots he did’nt even know he had. In the chaotic traffic of Dakar, a paperboy sells the local daily L’Observateur to the passengers in the stuck cars. On the front page a stark headline screams: «Sordid affair!! Sex scandal in the Italian embassy!!». Some things will never change. But this time it’s not about Africa. •
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Cercate un musicista e troverete mille storie.
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In viaggio con le Sister Se vi capiterà mai di trovarvi smarriti per le strade di Dakar, chiamate sorella Boury, decana di un servizio Taxi tutto al femminile. Non ve ne pentirete.
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I taxisti uomini non ci hanno accolto bene, ci hanno visto subito come delle concorrenti. Siamo molto ricercate dai turisti, dal personale delle ambasciate e abbiamo una clientela fedele che preferisce rivolgersi a noi. Il mio turno inizia alle 6 di mattina, faccio una pausa alle 14 per il pranzo. Poi riprendo alle 15 fino alle 19. È difficile conciliare quello che facciamo con una famiglia. Io non sono sposata e col passare del tempo alcune nostre colleghe hanno dovuto rinunciare al servizio.
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THE N A I L A IT JOB Chadal Tour 2011 r e b m e t p e S t Augus
Tre macchine per 11 persone, piĂš tre autisti. Questo lo staff per la tournĂŠe nel continente. Chadal arriva a Milano dopo i successi di Sardegna. DAKAR.indd 16
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oppio concerto previsto per questa fine di agosto lombarda. Visita allo stadio di San Siro, pranzo in trattoria tipica, albergo di semilusso, prenotato a prezzi stracciati per l’entratura di Fiammetta col cuoco. Fiammetta, la tour manager del continente, ha preparato un programmino coi fiocchi. E stasera anteprima del concertone di domani – che si terrà al Carroponte di Sesto San Giovanni – organizzata alla Cascina Torchiera, un centro sociale di Milano. All’aeroporto la delegazione di benvenuto è pronta. Volo diretto da Cagliari. Ma dalla scaletta scende solo soletto il leader (sardo) del gruppo. Problemi di imbarco giù in Sardegna, gli strumenti, i biglietti, i passaporti, insomma non si capisce. Fatto sta che a Milano arriva solo Alberto Balia, il chitarrista. Intanto, sull’isola ci si ingegna finché saltano fuori dei passaggi-ponte su un traghetto che arriverà a Genova solo il giorno dopo. Per stasera, cambio di programma: previsto concerto in solitaria, evidentemente. Un successo in ogni caso: atmosfera intima al Torchiera e pubblico felice. E poi jam session con la comunità senegalese di Milano. Sfangata con stile.
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Bah Moody Bank «Scusate, c’è uno del vostro gruppo là fuori, davanti alla banca, con la guardia giurata. È in stato di fermo direi». Il custode dell’hotel non pare essere ubriaco. Sarà vero. Stasera si suona. A Milano. Concertone. Il mirabolante e miracoloso viaggio dall’isola al continente è in qualche modo giunto al termine. O così sembrava. C’era solo da prendere il pulmino e andare al sound check prima dell’esibizione. Insomma tutti si catapultano fuori e in effetti Bah Moody è lì, col passaporto in mano e un po’ frastornato, che discute con le guardie giurate della Deutsche Bank. Fa caldo e Bah Moody dice che si vergogna, che si scusa, che una cosa così non gli era mai accaduta. Lo dice nel suo francese misto a “peul”, la sua lingua di origine. Intanto si aspetta l’arrivo della polizia perché qui è scattato l’allarme della banca e insomma bisogna capire. Capire cosa? Beh, capire come abbia fatto questo signore di mezza età, ma con data di nascita 1971 sul passaporto, con chitarra in spalla e cappello in testa ad essersi introdotto nella banca alla domenica pomeriggio. Sì perché è da dentro la banca che il buon Bah Moody si è messo a bussare sui vetri e a chiamare i passanti, finché la guardia giurata, che sta fuori dalla banca come da regolamento, non è sbiancata nel vederlo gironzolare fra gli sportelli deserti e le poltroncine di attesa vuote. In sintesi, una porta anti incendio dell’hotel, confinante con la banca, era stata lasciata aperta, e il nostro l’ha imboccata senza colpo ferire, essendosi smarrito
sulle scale dell’albergo. La porta gli si è chiusa alle spalle et voilà. Ecco un chitarrista senegalese, di lingua peul, discendente di una famiglia di nomadi mauritani, aggirarsi da solo nella sede della Deutsche Bank di Milano, una domenica pomeriggio di fine agosto. Correva l’anno 2011. La ricostruzione fatta alle forze dell’ordine giunte nel frattempo, quattro volanti per un totale di otto agenti, sembrava una scena della commedia dell’arte. Su e giù per le scale, apri la porta, chiudi la porta, prendi l’ascensore, lascia l’ascensore, gira di qua, no, di là, su, forse giù, ecco son passato di qui. I filmati della videosorveglianza dimostreranno l’imperizia degli addetti alla sicurezza e anche la totale buona fede di Bah Moody. Averceli, ne faremmo il videoclip per la canzone che ci sta scrivendo su. DAKAR - THE ORIGINAL SENEGAL CULTURE AND LIFESTYLE
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Domenica 28 agosto a Milano si respira aria di speranza. Stavolta arrivano. Tutto ‘sto casino per poi non prendere il volo... Alle 11 di mattina il traghetto attracca al porto di Genova. Scendono tutti, ma proprio tutti, compreso il personale di servizio. Poi finalmente anche i musici. Approdo meneghino alle 14, accoglienza festosa, sospiri e poche chiacchiere perché il tempo stringe: il sound check è previsto fra meno di tre ore. Un panino in mano, una doccia, qualche minuto – non di più – per un microsonno in camera. Abiti nuovi e partire. Appuntamento alle 16 nella hall dell’albergo. È qui che inizia la più incredibile delle avventure del mitico Bah Moody (di cui diamo conto nel box alla pagina precedente). Alla fine si parte. Il concerto al Carroponte è un successone di pubblico, sudore, calore e amore. La musica va. Chadal vive! Il giorno seguente piomba il relax sulle spalle di tutti e la gita milanese prende la forma di un viaggiovacanza. E perché no? Foto davanti al Duomo, metropolitana (questa
sconosciuta), shopping musicale, solite risate senegalesi. Poi di nuovo in viaggio, per gli ultimi concerti sardi. Il ritorno sull’isola è un ritorno in famiglia. La stirpe dei Sabiu accoglie nella grande dépendance tutto il gruppo, il colonnello e Marinella
Emiliana Sabiu con una lau-
rea in giurisprudenza non si trovava bene. Dopo il diploma a Brera ha trovato la sua via. Inquieta e serena insieme, stralunata e intuitiva, è l’anima di Cherimus. Il suo parere pesa per tutti, tranne che per lei. Chadal è frutto della sua mente indecifrabile di sarda-milanese. Odia farsi fotografare.
Emiliana Sabiu une maitrise
en droit mais elle ne se sentait pas complète. Après obtention du diplôme de Brera, elle a finalement trouvé sa voie. Inquiète et sereine, dans les nuages et intuitive, elle est l’âme de Cherimus. Son avis est important aux yeux de tous, sauf aux siens. Chadal est le fruit de son esprit indéchiffrable de sarde-milanaise. Elle déteste être prise en photo.
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sono i migliori ospiti del Sulcis. Colazioni luculliane, abbracci, chiacchierate in lingue improbabili, cene fra amici, pomeriggi di musica e relax. I concerti sono stati quasi tutti belli, di certo nessuno si è risparmiato. Nemmeno i carabinieri di Perdaxius, quando hanno riaccompagnato a casa uno stupito Bah Moody (ma va?) reo di essersi addentrato da solo in centro al paese per comprare delle sigarette. La pattuglia della Benemerita, avvistato il losco figuro, lo ha tradotto al suo domicilio temporaneo. Aprendo la porta, i due militari si ritrovano un accampamento di senegalesi – comprensivo di strumenti di varia foggia – dentro una casa semivuota. Documenti, prego. Occhi incuriositi dei paesani. Preoccupazione dei parenti più anziani. Tutto sotto controllo: sono ospiti del colonnello. Bacio bandiera e saluto comandante. I due girano i tacchi e tornano alla loro ronda. Perfino il reimbarco dell’ultimo giorno, con la tristezza che si deve ai saluti per gli amici che se ne vanno, è in realtà una corsa al cardiopalma per regalare a Ryan Air un seisettecento euro di sovrapprezzo per gli strumenti, da imbarcare in una stiva separata, bla bla, mille scuse e la supertassa. Amen. Si parte col fiatone e col magone. Chadal vive e corre, come sempre.•
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Week-end in Jo L
a strada da Dakar a Joal-Fadiouth è lunga 115 Km, sulla costa, verso sud. Deserto, buoi al pascolo, enormi baobab, villaggi piatti e secchi dove venditori di acqua e di noccioline fanno la posta ai pulmini e alle auto. Anche la polizia fa la posta ai mezzi su cui spicca una faccia bianca. Fermano, controllano e chiedono una tassa – chiamiamola così – per il passaggio. Stretta di mano “far-
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cita” e via: bastano poche banconote. Di colpo un branco di scimmie attraversa la strada. Sono quelle importate nei resort e nei villaggi turistici per tedeschi, stesi lungo le spiagge. Butti l’occhio dentro e vedi una vegetazione irreale, verdissima e folta. Fuori, come sempre, il deserto. Buon divertimento, nel Senegal da pacchetto turistico. Raggiunta Joal, città natale di Senghor, il primo presidente del Se-
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ask you for a tip if you want to go On the road to Joal-Fadiouth they may of any kind. You will find dust and ahead. You may find street vendors rt for German tourists where they can baobabs. You’ll meet a luxury reso When you arrive you will see two experience their own idea of Africa. in the same cemetery. villages divided by faith and united
Joal-Fadiouth negal, si attraversa a piedi un ponte di legno e si approda sull’isoletta di Fadiouth. Città cristiana, nella quale i cinque musulmani presenti hanno però una loro piccola moschea. Amici. Gli uomini giocano a dama sotto una tettoia di eternit, le stradine sono ricoperte di conchiglie, come tutta l’isola, come molte case, risultato di secoli e secoli di accumulazioni. Un altro ponte accompagna su un colle di
fronte, anch’esso ricoperto di gusci, dove l’unico cimitero cristiano e musulmano al mondo si mostra nella sua bellezza. Per chi ha buoni occhi, sullo sfondo, ai margini della savana, un branco di iene corre in ordine sparso. Saette lontane, inseguite da cacciatori con i bastoni in mano o forse da ragazzi che si divertono a spaventarle. Non si capisce da qui, fra la tomba di Souleymane e quella di Maria. • DAKAR - THE ORIGINAL SENEGAL CULTURE AND LIFESTYLE
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rano spariti per tutto il giorno, Marco e Matteo. Io ero in studio coi musicisti, Vincenzo aveva un carnet di appuntamenti per far foto a mezza Dakar e andava in giro con Balla, la cui articolazione termina con una telecamera. Mai visto, ma mai, senza quella in mano. Dev’esserci nato lui. A un certo punto io esco dallo studio, buio (lo studio), caldo (fuori), e ci si rivede tutti a Kër Thiossane. Marco e Matteo stravolti. Emiliana con espressione fissa serafica. Tutti con la certezza di avere in mano il pezzo grosso. E ce l’avevano: uno striscione di sette metri per uno e mezzo, acrilico su tela, completamente dipinto dai bambini dell’Espace Enfants de la Maison de la Culture Douta Seck. Un capolavoro. Subito appeso sui muri di Kër Thiossane ad asciugare, appena messo lì sembrava che fosse sempre stato lì. Marco Colombaioni, Matteo Rubbi e Abdoulaye Cysso, un artista di Dakar che ha lavorato con loro nel progetto, avevano fatto davvero qualcosa di bello. Da allora quello striscione gira con la musica. Prima a Douta Seck, al concerto di esordio di Chadal, e poi in Sardegna in tutte le tappe, e a Milano, al grande concerto del Carroponte. L’hanno rivisto vagare per diverse case, in alcuni bauli di auto, l’hanno visto a Carbonia, a Perdaxius, a Torino, a Berlino... E quel disegno così ingenuo, così africano, così raffinato, così essenziale, così forte, così semplice, così immediato, quel disegno non poteva restare “solo” lì. Per questo l’hanno visto anche sulle copertine dei 33 giri, a Venezia, nei bookshop dei musei, ai concerti e in chissà quanti giradischi. Se lo incontrate per strada, saprete da dove è venuto.
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Altro giorno, altra scena, stessi bambini, o forse no. Sta di fatto che di ritorno dallo studio, siamo agli ultimi giorni, il cortile di Kër Thiossane pullula di piccoletti che scorrazzano a piedi nudi fra chiodi, pezzi di pelle animale sanguinolenti, mosche e insetti vari, lattine, fili di ferro et similia. A capo dei gruppi – indistinguibili – di lavoro ci sono Amadou e François. Il laboratorio prevede la costruzione di strumenti tipici senegalesi, da donare ai bambini sardi, i quali hanno costruito strumenti sardi per i senegalesi. Uno scambio. Anzi, in verità un delirio, una bolgia incasinatissima, ma a guardar bene si capisce che le bambine (sotto la guida di François) costruiscono degli strumenti che si chiamano “satonge”, anche se qui ognuno li chiama in un modo differente (come molte cose in Senegal); di fatto sono lattine in cui si pratica un buco e ci si infila un bastone di legno flessibile, al quale è fissata una corda (questi sono fili di ferro) annodata all’altro capo allo stesso barattolo. Diciamo una chitarra monocorde. Infatti qualcuno lo chiama “xalam”, che poi è la chitarrina tradizionale senegalese. Insomma le femmine stanno su quei lavori lì. I maschi invece, ah i maschi. Amadou, seduto su uno sgabello millimetrico, lui che sarà uno e novanta, a mani nude con un chiodo fra le dita, pratica decine di fori nei vasetti di latta. Poi prende le pelli (che qualche giorno prima aveva acquistato al mercato ancora grondanti di sangue, per metterle ad asciugare sotto sale) e le annoda col filo di ferro ai barattoli e poi tira il filo, per accordare i tamburi, meglio, i “tam-tam” artigianali. Si improvvisano concerti in duo e trio, si corre in giro e sopra chiodi e fili di ferro e mosche e così si tira sera, con i tam-tam ad asciugare al tardo sole.• DAKAR - THE ORIGINAL SENEGAL CULTURE AND LIFESTYLE DAKAR.indd 27
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Bégué in Kër-Thiossane D
akar è un mondo a corrente alternata. Sia per i black-out continui, sia per la diversità di situazioni che s’incontrano. Vicino agli uffici dell’Onu, di gran lusso naturalmente, c’è l’atelier di un artista italiano, Mauro Petroni, un ceramista raffinatissimo che si è trasferito qui da oltre 25 anni, lasciando la sua Lucca. Ora è uno degli artisti più in vista della città. Su verso nord, invece, s’incontrano gli artisti locali, che dipingono con la sabbia e le polveri dai colori caldi di questa terra. Quadretti che sanno di Africa, per turisti e romantici. Il loro laboratorio è una ex discoteca col tetto sfondato e il bancone del bar arrugginito, con risvolti azzurri e fucsia. Infine, ancora salendo, nel quartiere Liberté II, c’è Kër Thiossane, un’associazione che fa arte digitale. Un paradiso. Si varca la porta di un cortile su cui campeggia un grande murale (davanti al quale i fotografi si fermano a bere il caffè) e ci si trova circondati da computer Apple, strumenti musicali, attrezzature per montaggio audio e video di ogni tipo. A capo del gruppo c’è una donna, Marion Louisgrand (vedi box), francese, sposata con François Silla, musicista di Dakar. Insieme con lei,
la spagnola Susana Moliner Delgado, tuttofare ufficio stampa poliglotta e infaticabile. Poi Samba Tounkara, detto “Bathie”, il rasta che con le cose digitali fa miracoli, e poi Mame, governante silenziosa, e Ida, la regina indiscussa della cucina. Sulla porta, c’è il gigante buono (almeno con noi): Amadou Ba, giovane campione di laamb, che si mantiene facendo la security alla casa, in attesa dei successi sul campo di lotta. Quello che passa alla velocità della luce e risolve ogni problema si chiama Daouda Kote: la sua risata non si ferma davanti a nulla. Quello che filma tutto, ventiquattrore su ventiquattro, è Balla.•
Marion Louisgrand Sylla,
francese di nascita, senegalese di adozione e per amore. Magra, dolce e svelta di testa. Il sorriso arriva fulmineo. Comanda tutta la ciurma di Kër Thiossane con la leggerezza del vero capo. A notte fonda la vedi a far quadrare bilanci, di giorno a risolvere problemi di logistica e inventare format per artisti digitali. Chadal è anche suo.
Marion Louisgrand Sylla,
née française, mais sénégalaise d’adoption et par amour. Mince, douce et rapide d’esprit. Sourire foudroyant. Elle commande toute la troupe de Kër Thiossane avec la légèreté du vrai chef. En pleine nuit, on peut la voir faire cadrer des bilans et dans la journée résoudre des problèmes de logistique et inventer des nouveaux formats pour des artistes du numérique. Chadal est un des ses projets.
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Kër Thiossane axe ses activités autour des recherches sur l’art et les nouvelles technologies, et sur ce qu’elles impliquent dans nos sociétés, au cours de résidences, de formations, de rencontres et de workshop.
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Buswrite «
Scusi, è lei quello che dipinge i “car rapide” di Dakar? Insomma gli autobus?». «Sì, perché?». «Avremmo una richiesta». Fu così che, con settemila franchi o giù di lì, comprensivi del costo della tavola di compensato, abbiamo ottenuto il più autentico dei loghi per Chadal. Gli autobus cittadini sono la prima cosa che balza all’occhio di chi arriva a Da-
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kar. Pieni all’inverosimile, praticamente non si fermano mai del tutto. Per chi sta sopra, il segnale da dare per scendere è una manata sulla lamiera: l’autista rallenta e il passeggero salta giù al volo. Donne e bambini inclusi. È forse il mezzo più inquinante dell’universo, ma anche il più bello, il più triste, il più allegro, il più economico, il più confuso. Ognuno di essi, davanti o dietro, riporta la scrit-
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and your average bus. They are noisy They call “Car rapide”, they are not n Whe on. p don’t get on in them, you jum crowded. But they are colorful. You with r doo you know by hitting loudly his your stop arrives the driver will let Alhamdoulilah, “Praise to God”. his hand. It’s time to hop off and say
ters à la carte ta “Alhamdoulilah”, come dire: grazie a Dio ce l’abbiamo fatta, insomma è un Alleluja in versione afro. Il trasporto pubblico in Senegal ha la faccia di questi furgoni scalcagnati, con le tipiche scritte sulle fiancate e con le facce dei lavoratori stanchi che spuntano dai finestrini. Oppure ha l’aspetto dei “dem-dik”, i pulmini a più lunga percorrenza, che giungono fino alle periferie estreme della metropo-
li. O ancora ha il colore dei taxi, giallo ovviamente, tutte Peugeot rilevate di terza mano chissà dove, ma che paiono indistruttibili. O ancora ha l’aspetto di una nave, che ti permette di raggiungere il Sud del Paese, perché ferrovie qui non ne esistono. Qualcuno ha la moto, solite marche indistinguibili che imitano modelli famosi. Ultima chance: un carro e un cavallo, se proprio a piedi non vuoi andare. • DAKAR - THE ORIGINAL SENEGAL CULTURE AND LIFESTYLE
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Rendez-vous en
e u q i s u m orno. i g l a e r o 0 giorni, 1 7 , i s e l a g e n e 4 sardi, 5 s Chadal. e c s e o i g g a n mix Con un buo
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9 musicians, 4 from Sardinia, 5 from Senegal, 7 days, 10 hours a day. Mix it and you have
Chadal
«A
scoltando questo brano vedo un uomo malinconico che sta per prendere una decisione difficile. Ecco, qui lo capisce, lui sa che dovrà abbandonare la sua famiglia. Si dispera ma... ecco, in questo punto prende coraggio e parte, lo senti?». Le parole di Alassane, bassista dell'Orchestra nazionale del Senegal lasciano stupito perfino l'autore del brano, il chitarrista sardo Alberto Balia. Entrambi stanno riascoltando la loro registrazione di “Velieri”. È una
«W
hen I listen to this song, I can picture a melancholy man who is about to make a difficult decision. Here he understands that he will have to leave his family. He despairs but... look, at this point he takes heart and leaves, can you hear that?» The words of Alassane, bass player in the Senegalese National Orchestra, amaze the Sardinian guitarist Alberto Balia, the song’s author. Both are listening again to the
e e la musica è inscindibile. In Senegal, il rapporto fra le leggend s’imparano le storie dei griot. Non s’impara uno strumento se non
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canzone del disco che stanno per finire insieme con altri sette musicisti, tutti sardi e senegalesi. “Chadal” si chiama il loro nuovo gruppo, come un uccellino migratore che vola proprio dalla Sardegna al Senegal ogni stagione. Un nome nato all'interno di un grande progetto di cooperazione internazionale, ideato da un'associazione del Sulcis Iglesiente di nome Cherimus (“desideriamo”, significa in sardo) e fatto in collaborazione con un'altra associazione omologa di Dakar, Kër Thiossane. Con l'aiuto di un ban-
recording of Velieri, a song from the record they are about to finish together with other seven musicians, all from Senegal and Sardinia. Their new band is called Chadal, like the little migratory bird that flies from Sardinia to Senegal every season. The band was formed in the context of an international cooperation [cooperative?] project developed by Cherimus – a cultural association operating in the Sulcis Iglesiente, whose name in the Sardinian dialect means ‘we wish’ – in collaboration with the Ker
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do regionale e alcuni comuni sardi stanno costruendo un piccolo miracolo di integrazione artistica: un disco, un documentario, un libretto fotografico e poi tanti laboratori di pittura con i bambini dei due Paesi e i concerti e le conferenze sulle rispettive tradizioni musicali. Un cammino insieme, che ha portato tutti dentro quello studio di registrazione, dove ci si conosce e ci si capisce. E si scopre che in Senegal, il legame fra le narrazioni leggendarie e la musica è inscindibile. Non si impara a suonare uno strumento se non si conoscono anche le storie che con quello strumento vengono narrate dai griot, i poeti cantori della tradizione orale. Non si suona nemmeno una nota se essa non racconta una storia. Per Alassane, quella è la storia di un uomo che prende una decisione difficile. È quello il suo spartito interiore. Una lezione che lascia da parte la tecnica e fa prevalere il cuore. •
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Thiossane association from Dakar.Thanks to the funding given by the region and a number of Sardinian municipalities, the two associations are developing an outstanding project of artistic cooperation, which has already produced, among other things, a record, a documentary, a photographic booklet, several painting workshops involving kids from the two countries and a number of concerts and conferences on their respective musical traditions. And it is easy to see that in Senegal the relationship between legendary narrative and music is indissoluble. One cannot learn to play an instrument without knowing the stories that the griots (singer-poets) have sung for centuries with that instrument. One cannot play a single note without it telling a story. To Alassane, that is the story of a man making a tough decision. Its message ignores technicalities. It goes straight to the heart. •
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PASTA C’ANCIOVA E ‘A MUDDICA ATTURRATA. VARIAZIONE SENEGALESE APPREZZATA A CAPOTAVOLA.
IL CRISTO DI JOAL PARLA SÉRÈRE.
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Chaussures, coiffeur, vêtements sur mesure. Tout pour le jour de fête à Dakar, Sicap Liberté II.
CHOCOPAIN PER I CAMPIONI DELLA LAAMB. PER TUTTO IL RESTO C’È FITNESS CENTER PLANET GYM.
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CAN I BRING FUFI WITH ME?
Quando un uomo bianco, nato a Brescia, incontra un lottatore di Laamb nato a Dakar, l’uomo bianco mangia la polvere.
DA SETTIMANA PROSSIMA AL VIA LE SFILATE DI YOFF.
ALICE IN WONDERLAND.
PIT STOP!
A Dakar il tempo cambia due volte all’anno: a luglio comincia a piovere fino a settembre; a ottobre mette il sole fino a giugno. Probabilmente le previsioni meteo non hanno molto seguito da queste parti: «Da domani sole per nove mesi. Arrivederci a luglio».
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fuffart in venice REVIEW
L’etno-art dei Kerimus Album: FUFFART IN VENICE voto/rating: ★ ★ ★ ★ Sono stati la band di supporto nel tour italiano e sardo di Chadal. Il loro nome? I Kerimus. Il loro disco di esordio s’intitola “Fuffart in Venice” e racconta di storie losche fra i galleristi della città veneta. Dal Senegal alla Biennale, il loro percorso artistico li ha lanciati nel gotha della musica etno-art, un genere di cui sono i fondatori e gli epigoni insieme.
♪♫♪♫♪ They have beeen the opening act in the Italian and Sardinian tour of the band Chadal. Their name is The Kerimus. Their debut album is “Fuffart in Venice” and tells sinister stories of clashes between art dealers in the city on the lagoon. From Senegal to the venetian Biennale, their artistic career has made them part of the elite of etno-art music, a genre they invented and that they also try to imitate.
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Katarine
Colimbère
Story
«Noi cantiamo le stelle da secoli, noi peul, noi nomadi. Le stelle sono il nostro riparo, sono la terra, sono il cielo. Noi conosciamo il movimento delle stelle da molto tempo, Katarine mi ha fatto capire che le stelle muoiono come le persone». Bah Moody 21.02.12 02:18
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Giovani artisti escono dal buio
Join the Sunset Fitness Movida
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i sono momenti in cui ti chiedi: come sono finito ad un cocktail nella casa della moglie del sindaco di Dakar? Inaugura domani la nuova mostra presso Les Résidences Vives Voix. Alla stessa ora è in programma un black out. Nel frattempo, chiacchiere nel dehor con il belmondo cittadino, scambi di idee sull’arte e sull’aranciata amara. Candele qua e là, sembrano volute. Fuori, sabbia e auto di lusso sgangherate, nel quartiere Point E.
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Black music, Elvis rules?
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outa Seck. Al centro culturale di Dakar, nella sala 1 del museo, ci sono 20 cilindri che proiettano altrettante storie di musicisti. Il museo è dedicato alla Black Music: Fela Kouti, Miles Davis, Youssou N’Dour, Billie Holiday, Bob Marley... L’unico bianco presente si chiama Elvis Presley. Museo magnifico, ma ad un certo punto dobbiamo uscire tutti – a metà pomeriggio – perché tolgono la corrente. Motivo? Fuori devono fare il sound check per un concerto serale e il contatore non regge le due cose insieme. Spegni il museo per accendere la musica. Non lo sapevamo ancora, ma in quel momento stava per nascere Chadal.
e sette di sera è l’ora del corpo: lungo le spiagge sulla CornicheOuest, la promenade che porta verso il centro città, centinaia di persone fanno ginnastica. Di fronte a loro un insegnante improvvisato, che prende qualche mancia e aiuta a sincronizzare gli esercizi. Poco più in alto, sopra una scogliera a strapiombo sulle onde, una palestra a cielo aperto: bilancieri assemblati con tubi di ferro e ruote di automobili per fare i pesi, pietre ormai consunte su cui poggiarsi per i piegamenti e le flessioni, panche di legno e materiali di recupero per gli addominali. E naturalmente corpi enormi e perfetti di ragazzi con lo sguardo torvo, ma pronti a sciogliersi in una battuta ironica quando vedono le braccia gracili di un “toubab”, di un bianco.
DRINKS
La bière la plus rapide au mond
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a parola più diffusa fra i bianchi a Dakar è: “Gazelle”, la birra nazionale senegalese. Bottiglia verde da 66, etichetta azzurra, tappo a corona. La compri in certe microbotteghe di quelle che devi svegliare a calci il proprietario. E sempre contratti i vuoti, i tappi, i pieni, la caparra. Ci vediamo domani e rifacciamo bene i conti.
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HIC SUNT LEONES Q
uartiere Pikine Ouest, fine maggio, ore 18 circa. Serata di combattimenti qui a Dakar. Lungo Cheikh Ahmadou Bamba la gente cammina veloce verso lo stadio. Duemila franchi il biglietto d’ingresso. Dentro ci saranno cinquemila persone, cui se ne aggiungono un altro migliaio sparse sui tetti vicini, ai cancelli esterni, lungo i muri a guardare dalle crepe. Sono tutti senegalesi, tranne un bergamasco e un siciliano, che stanno a portata di vista e di braccio di Amadou, il loro grande accompagnatore. I combattimenti si susseguono e durano un minuto o due. Ma il vero show è tutt’intorno al ring, chiamiamolo così. Tam-tam, canti, danze rituali più o meno eccentriche. I campioni che non combattono oggi sfilano sul parterre, di fronte al pubblico, prima di andare ad accomodarsi in tribuna. Ciascuno ha un piccolo codazzo di assistenti, cioè tipo una gang di cinque o sei ragazzini. Sotto gli spalti tutti improvvisano una danza, qualche passo al suono dei tam-tam, giusto per raccogliere un applauso. Lo speaker al microfono detta i tempi di tutto e di tutti. Fra i cantanti, certe donne conducono dei cori per lo stadio intero, approfittando del microfono. Piccole risse in continuazione si accendono qua e là. C’è casino e le cose vanno avanti. Cazzo, che adrenalina!
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Amadou, the companion
Laggiù nel campo di gara, un quadratone di terra delimitato da una fila di sacchi di sabbia, gli atleti se le danno mica male. Qualcuno corre non si sa dove, sotto le tribune; uno porta delle galline dietro certi camper parcheggiati lì, un altro lo si vede trascinare le scarpe del campione per qualche metro fino fuori del campo di gara. È l’ennesimo “gris-gris”, cioè un portafortuna, un piccolo rito propiziatorio. Come quello di rovesciarsi addosso, appena prima del combattimento, una tanica di liquido: per qualcuno è Coca Cola, per altri un olio, per altri un intruglio lurido che qualche marabut gli ha preparato per l’occasione. Di solito non funzionano, ma non è mai colpa di nessuno: si sa che alla sorte non si comanda. Di fatto quasi tutti maneggiano oggetti strani, collane sacchettini, tubetti, statuine e insomma tutti i gris-gris che si possano immaginare. Ma dove siamo? Che sta succedendo qui? Questa lotta e le sue implicazioni spirituali ce le avevano spiegate qualche mese fa gli allenatori dei ragazzi nel campo-scuola dell’HML4, un quartiere alle porte della zona industriale, dove si allenano una ventina di giovani. Atleti impressionanti, sperano di diventare ricchi e famosi con lo sport più seguito in Senegal: la Laamb, appunto. Con questa lotta greco-romana mischiata alla boxe, a mani nude, violentissima, i campioni guadagnano milioni di franchi e sono delle semidivinità. Mbaye, Abdoulaye, Maruis, Amadou e tutti gli altri ragazzi, al campo HML4, vivono fra case basse e misere, si allenano duro sulla sabbia, che a luglio diventerà fango. E ora, c’è da scommetterlo, sono qui allo stadio, da qualche parte,
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Nei due viaggi in Senegal, due sono state le cose più emozionanti. L’ascolto di una preghiera notturna, nel cortile di una casa, buio pesto, quando una dozzina di persone (tutti uomini) camminavano in fila indiana in cerchio. In mezzo a loro, un secchio con acqua e un mestolo per schiarire la gola. Camminavano a ritmo, piccoli passi consecutivi, appiccicati l’uno all’altro tenendosi una mano sull’orecchio, per sentire la propria voce nel coro. Si chiama Saam Fall ed è una preghiera musulmana, recita un singolo verso del Corano. La preghiera dura circa un’ora ed è sempre identica, un mantra, come un rosario infinito e circolare. La seconda è stata la Laamb, una volta “giocata” con i ragazzi del campo-scuola (con cui abbiamo lottato, per così dire) e questo pomeriggio allo stadio, finito con la folla che invadeva il campo e travolgeva tutti, noi inclusi, entusiasta. In entrambi i casi, ci ha accompagnati Amadou, giovane campione di Laamb, con cui si dicono pochissime parole in lingue inventate. Un grande.
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probabilmente sui tetti laggiù, fuori dalle mura, perché il biglietto chi glielo paga? E sono qui ad ammirare i loro idoli, i quali si cospargono di chissaché, bagnano la terra, maneggiano ossa, denti e scatolette portafortuna. La Laamb è muscoli e mistica, è rispetto per l’avversario e per sé stessi. È una vera cultura oltre che un business. La preparazione è durissima, ma alla fine del tunnel c’è il successo, l’idolatria, il denaro a fiumi. Va bene la spiritualità, ma i campioni che passano qui sotto per fare il loro show danno l’idea di essere ben piantati coi piedi per terra e le scarpe di lusso e col culo su un’auto da parecchie centinaia di migliaia di franchi. Intanto il cielo si fa buio, e si accendono le luci. Con qualche banconota ben piazzata e la mediazione di Amadou, il bergamasco e il siciliano abbandonano gli spalti e si ritrovano a bordo ring, prima alle spalle della stampa, poi addirittura davanti, a pochi centimetri dai lottatori. Dio come se le danno. Uno finisce steso in semi-coma. Hai voglia di risvegliarlo con il potere del gris-gris: quei signori vestiti di bianco che lo rianimano sembrano più della scuola classica di medicina. Ma non si ferma nulla: Laamb must go on, e i combattimenti proseguono. Verso gli ultimi incontri si aprono i cancelli dello stadio e tutti i ragazzini possono entrare di corsa. È un’invasione. Una folla adorante, uomini immensi e bambini entusiasti. Sangue e terra. Amadou ripesca dalla folla il fotografo siciliano e il cronista orobico, prima che vengano risucchiati in qualche sortilegio voodoo. Decisamente impressionante. •
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uartier Pikine ouest, fin mai, 18 heures. Soirée de combats ici à Dakar. Le long de Cheick Ahmadou Bamba les gens marchent vite en direction du stade. Deux mille francs le billet. A l’intérieur il y aura cinq mille personnes, auxquelles on en ajoutera encore un millier épars sur les toits voisins, les portails extérieurs, le long des murs à regarder entre les fissures. Ils sont tous sénégalais, sauf un mec de Bergame et un sicilien qui sont à portée de vue et de bras d’Amadou, leur grand frère. Les combats se suivent et durent une minute ou deux. Mais le véritable show est tout autour du ring, appelons-le ainsi. Tam-tam, chants, danses rituelles plus ou moins excentriques. Les champions qui ne se battent pas aujourd’hui, défilent sur le parterre, face au public, avant d’aller s’assoir dans les tribunes. Chacun a un petit groupe d’assistants, une sorte de bande de cinq ou six jeunes garçons. Sous les gradins tout le monde improvise une danse, quelque pas au son des tam-tam, juste pour avoir un applaudissement. Le speaker au micro dicte le temps de tout et de tous. Parmi les chanteurs, des femmes mènent des cœurs pour tout le stade, en profitant du micro. Des petites bagarres sans interruption se déclenchent ici et là. Il y a du bordel et les choses se poursuivent. Merde, quelle adrénaline! Là-bas, sur le terrain de la compétition un grand carré de terre délimité par des sacs de sable, les athlètes se bastonnent pas mal. Il y en a qui courent on ne sait pas où sous les gradins; quelqu’un apporte des poules derrière des caravanes garée pas loin, on voit un autre trainer les chaus-
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sures du champion en dehors du terrain de compétition. C’est l’énième gris-gris, c’est-à-dire un porte bonheur, un petit rite propitiatoire. Comme celui de renverser sur soi, juste avant le combat, un bidon de liquide: pour certains c’est du coca-cola, pour d’autres de l’huile, pour d’autres encore un mélange dégoutant qu’un marabout a concocté pour l’occasion. Normalement ils ne marchent pas, mais ce n’est jamais la faute à personne: on ne commande pas le destin, tout le monde sait ça. Mais le fait est que tout le monde ici se sert de trucs bizarres, colliers, petits sacs, statues, enfin tous les gris-gris que l’on peut s’imaginer. Mais où est-on? Que-ce qu’il se passe ici? Cette lutte et ses implications spirituelles nous les avait expliqués il y a quelques mois les entraineurs des garçons dans le champ-école du HML4, un quartier aux portes da la zone industrielle, où s’entrainent un vingtaine de jeunes. Des athlètes impressionnants, ils espèrent devenir riches et connus avec le sport le plus suivi au Sénégal: la Laamb. Avec cette lutte gréco-romaine mélangée à la boxe, à mains nues, extrêmement violente, les champions gagnent des millions de francs et sont des demi-dieux. Mbaye, Abdoulaye, Maruis, Amadou et tous les autres au champ HML4, vivent dans des maisons petites et misérables, s’entrainent dur sur le sable que le mois de juillet transformera en boue. Et maintenant, il y a à parier làdessus, il sont ici, au stade, quelque part, probablement sur les toits là-bas, car le billet qui peut le payer? Et ils sont ici, pour admirer leurs idoles, qui se couvrent d’on ne sait pas quoi, qui mouillent la terre, qui manient osse-
est respect pour l’adversaire et La Laamb est muscles et mystique, culture, doublée d’un business. pour soi même. C’est une véritable DAKAR.indd 47
ments, dents et petites boites porte-bonheur. La Laamb est muscles et mystique, est respect pour l’adversaire et pour soi même. C’est une véritable culture, doublée d’un business. La préparation est très dure, mais au bout du tunnel il y a le succès, l’idolâtrie, l’argent comme s’il en pleuvait. D’accord la spiritualité, mais les champions qui passent ici pour faire leur show, donnent l’impressions d’avoir les pieds bien planté par terre et les chaussures de luxe et leur cul dans une voiture qui coute plusieurs centaines de milliers de francs. Entretemps le ciel s’obscurcit et les lumières s’allument. Avec quelques billets bien donnés et la médiation d’Amadou, le gars de Bergame et le sicilien quittent les gradins et se retrouvent au bord du ring, d’abord dos à la presse, puis devant, à quelques centimètres des lutteurs. Putain ce qu’ils se tuent. Il y en a un qui tombe en un état semi-comateux. Mon œil, le pouvoir du gris-gris pour le réveiller: ces messieurs-là habillés en blanc qui essaient de le réanimer semblent plutôt de l’école de médecine classique. Mais rien ne s’arrête. Laamb must go on, et les combat s’enchainent. Vers la fin des rencontres les portes du stade s’ouvrent et le jeunes gens peuvent entrer au pas de course. C’est une invasion. Une foule en adoration, hommes immenses et enfants enthousiastes. Sang et terre. Amadou récupère parmi la foule le photographe sicilien et le chroniqueur de Bergame, avant qu’ils ne soient engloutis par quelque sortilège Vaudou. Carrément impressionnant. •
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TRIBUNA D’ONORE Da che mondo è mondo i bambini inseguono una palla. Altri guardano quelli che inseguono una palla. Altri ancora fotografano quelli che guardano quelli che inseguono una palla.
“
Have you ever known a kid who doesn’t love to run after a ball? Those who don’t watch others kids doing it? When you’re too old to run, too white to keep the pace, you take the camera and shoot. And you still can’t keep the pace. Sport is sacred: children play football, boys lift weights on the seaside, the strongest ones train to became Laamb wrestlers.
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DAKAR
THE ORIGINAL SENEGAL CULTURE AND LIFESTYLE Concept, format, pagination, sweat, graphic design, copyright and voluntary slips by
All texts of DAKAR [except as indicated below] are by Guido Bosticco and Guido Mariani (Epoché) All photos of DAKAR [except as indicated below] are by Vincenzo Cammarata|FOS Image at page 3 and the photo in the box at page 45 are by Marco Colombaioni. Photos at pages 38-39 are by Guido Mariani, Guido Bosticco, Baliche Thiam. Section “Travels”: for the texts of “The Italian Job”, thanks to Fiammetta Caime for her kind contribution. For the french text at page 3, thanks to Patrick Marega-Castellan and his endless creativity. Translations by: Anne Claire Albecker, Laura Belotti, Guido Mariani, Camilla Orlando, Andrea Rossi, Armelle Sabba, Emiliana Sabiu, Deborah Sussman Susser. DAKAR is a totally fake monthly review. DAKAR has a circulation of 200 copies. Limited Edition (only for rich or lucky people). Epoché is an Italian press agency, actually. Vincenzo Cammarata is a serious and Sicilian photographer. Info – Back numbers – Congratulations Dedications – Grumbling – Credits – Address: Epoché – Agenzia giornalistica culturale via Frank, 11 – 27100 Pavia (Italy) tel. +39 0382538727 – email: epoche@fastwebnet.it Vincenzo Cammarata, photojournalism + photocommunication FOS photographers - vincenzo.cammarata@gmail.com www.fosphotographers.com – www.vincecammarata.com Dakar is part of the Chadal project, in collaboration with:
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Every journey begins * in Africa.
*Africa begins in Senegal. DAKAR.indd 52
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