Spiritualità e carsisma carmelitano

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SPIRITUALITA’ E CARISMA CARMELITANO PRIMA PARTE Abbiamo ripercorso, nelle catechesi precedenti, il cammino compiuto dagli eremiti carmelitani dal loro primo ritrovarsi sul monte Carmelo intorno all’anno mille; li abbiamo seguiti via via, attraverso tante vicende, fino al loro costituirsi come ordine religioso; al riconoscimento ufficiale di tale ordine da parte del pontefice Innocenzo quarto nel 1247 e,soprattutto, al riconoscimento della Regola monastica alla quale essi uniformano la loro vita, la Formula vitae, scritta appositamente per loro dal Patriarca Alberto di Gerusalemme. Proviamo adesso ad entrare nel vivo delle sue norme, al di là degli avvenimenti che l’hanno determinata, delle modifiche e degli aggiustamenti che ha subito nel corso dei secoli, cercando di evidenziare quali sono i punti essenziali, gli elementi caratterizzanti che la rendono unica tra tutte le altre regole monastiche. Nel prologo della Regola, sant’Alberto scrive: “Vi consegniamo, secondo il vostro proposito, una formula di vita che dobbiate tenere in futuro”. Da “Vivere il Carmelo, regola del Terz’ordine Carmelitano”, leggiamo a pag. 71, il n. 3 Secondo il vostro proposito: qual è questo proprosito, quello dei primi fratelli eremiti del monte Carmelo, ma anche oggi quello di tutti i carmelitani, di quelli che si riconoscono in questo ordine monastico, compresi noi, terzo ordine in ordine di tempo, dopo il primo, quello dei frati e il secondo, quello delle monache. Il proposito di vita è sempre lo stesso, ieri come oggi, vivere alla sequela di Cristo, servendoci dei mezzi e dei metodi più idonei per raggiungere l’ideale di vita che ci siamo prefissi, e cioè la vetta del monte che è Cristo, la perfezione finale. E la formula vitae scritta da sant’Alberto offre ai fratelli carmelitani la buona possibilità di perseguire tale ideale perchè parte proprio da quel propositum vitae, da quel modo di vivere che essi già sperimentavano, la preghiera, la solitudine, il silenzio, che gli stessi eremiti presentarono a sant’Alberto e che egli adattò alle loro esigenze cercando di concretizzarlo in alcune regole, in alcuni comportamenti ai quali attenersi nel loro vivere in comunità; questo concede loro di raggiungere più facilmente il risultato finale. Lo stesso vale per noi; il nostro propositum vitae, una volta che abbiamo aderito all’ordine carmelitano, è lo stesso dei primi eremiti; la regola è stata scritta anche per noi, da adattare naturalmente alle nostre esigenze di laici. Leggiamo pag.18 n.4 e pag. 22 n.12. Noi siamo in un certo senso avvantaggiati rispetto ai primi fratelli carmelitani: abbiamo infatti davanti a noi gli esempi luminosi dei nostri Padri di cui seguiamo le orme, gli esempi dei santi del nostro ordine, i quali ci indicano il percorso da seguire per realizzare il nostro ideale di vita: ecco perchè leggiamo e meditiamo le vite dei santi carmelitani, ecco perchè stiamo cercando di approfondire il testo della nostra regola. Al di là delle norme di ordine pratico che si trovano nella Regola, dove dormire, dove mangiare, come comportarsi col Priore e con i fratelli, quando digiunare,ecc.ecc.c’è un paragrafo interessante che compendia i consigli del patriarca Alberto ai fratelli eremiti, consigli che possiamo pure fare nostri. Leggiamo il n. 19 di pag. 75. La nostra condizione di laici, pur tenendo sempre presente questi consigli, ci porta a vivere nel mondo con una speciale vocazione, quella di trasformarlo. Sembra un’impresa impossibile. Ma leggiamo quanto ci invitano a fare i nostri superiori. Andiamo al n. 28 di pag. 30 Detto questo, vorrei soffermarmi su due termini, due concetti, che sentiamo spesso usare quando si parla dei carmelitani, due concetti che caratterizzano e racchiudono in sè tutti i valori propri del nostro ordine. Mi riferisco ai termini: spiritualità carmelitana e carisma carmelitano, il tema centrale di oggi. Quando parliamo di spiritualità, intendiamo far riferimento a tutto ciò che concerne la vita dello spirito. II suo 1


significato più semplice è il concetto che, oltre alla materia tangibile, esista un livello spirituale di esistenza dal quale la materia stessa trae vita, intelligenza, o almeno lo scopo dell’esistenza. Spesso i termini spiritualità e religione vengono trattati come sinonimi, come se indicassero lo stesso concetto, cosa che è alquanto imprecisa, dato che alcuni non credenti rivendicano una propria dimensione spirituale,e in questo caso la spiritualità è vista come un modo di essere che evidenzia scarso attaccamento alla materialità. Per i cristiani, la spiritualità è un percorso, un cammino spirituale, lungo il quale si avanza per conseguire un obiettivo determinato, la ricerca dell’ Assoluto, di Dio; in particolare, per noi carmelitani questo cammino di perfezione, come lo chiama santa Teresa d’Avila, ci porta alla sequela di Cristo Gesù. Esso rappresenta tutto il nostro ideale di vita, e il nostro animo, ricercando l’essere autentico che è dentro di noi, si affida in tutto e per tutto a Dio, si apre per riceverne le grazie e cioè i carismi, o se volete, i doni che lo Spirito santo ha disposto per ogni uomo, per ogni gruppo, per ogni ordine religioso, per cui la spiritualità diventa un aspetto intrinseco e inscindibile della nostra esperienza religiosa. Quando parliamo di carisma, facciamo riferimento ai doni dello Spirito Santo, consistenti in alcune capacità particolari date a un cristiano per il bene della comunità. La vera spiritualità è il frutto che lo Spirito santo produce nella vita di una persona con i suoi doni, sempre che essa li sappia utilizzare, e cioè l’amore, la gioia, la pace, la pazienza, la bontà, la benevolenza, la fedeltà, la mansuetudine e il dominio di sè. Come dice san Paolo nella prima lettera ai Corinzi, i doni che possediamo sono tutti opera dello Spirito santo(cap. 12), e così lo stesso nella lettera ai Romani (cap. 12 n.6). E’ evidente che il fatto stesso di avere ricevuto dallo Spirito santo dei carismi particolari ci rende responsabili verso di essi, per noi stessi e per gli altri. Tali doni infatti hanno valore se li viviamo in modo adeguato e, soprattutto, se li mettiamo al servizio degli altri. Dice Pietro al cap. 4: “ciascuno metta al servizio degli altri il dono che ha ricevuto come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio”. E’ un po’ lo stesso concetto che ricaviamo dalla lettura della parabola evangelica dei talenti; parliamo del servo che non ha fatto fruttare il talento, ma per paura, per ignavia, per incapacità lo ha nascosto per bene. Nessuno ne ha avuto giovamento, tanto meno il Signore che glielo aveva consegnato. Lo stesso accade con i doni dello Spirito: bisogna utilizzarli nel modo corretto per il bene della comunità. Come tutto ciò che è dono di Dio, non sono proprietà nostra, ma di tutti gli uomini. Nel prologo della Regola si legge: Vivere in ossequio di Gesù Cristo e servirlo fedelmente con cuore puro e retta coscienza. Questa frase è la matrice di tutte le componenti del nostro carisma e la base su cui sant’Alberto ha costruito il nostro progetto di vita. Sono tre gli elementi fondamentali del carisma carmelitano: 1) La ricerca del volto di Dio, attraverso la preghiera intima nella dimensione contemplativa; la preghiera è il modo con cui noi ci avviciniamo a Dio e mentre cresciamo nell’amicizia con Cristo, la nostra pregiera diventa più semplice; ci sentiamo trasformati, usciamo dal nostro egoismo e diveniamo pronti a camminare verso l’amore puro per Dio e il prossimo. 2) La fraternità, il vivere in comunità, in pieno accordo con i fratelli e nel rispetto dei ruoli di ognuno. Questo tipo di comunità è in se stesso una testimonianza che l’amore di Dio può abbattere le barriere costruite dall’uomo e permettere a persone diverse per culture e provenienza di vivere insieme nella pace e nell’armonia. 3) Il servizio in mezzo al popolo attraverso la testimonianza e l’apostolato.Un’altra caratteristica tipica del nostro ordine è che siamo chiamati tutti, frati, monache e laici a servire il popolo di Dio secondo le necessità della gente in mezzo alla quale viviamo ed operiamo. Tutti questi elementi, strettamente collegati tra di loro, rappresentano i valori essenziali della spiritualità carmelitana che si realizza attraverso i carismi di ognuno. Spiritualità e carisma non sono dunque concetti astratti che si muovono separatamente, ma sono l’uno parte intergante dell’altro, non c’è spiritualità carmelitana senza carisma, non c’è carisma carmelitano senza spiritualità. Quando si parla dell’una, automaticamente si parla dell’altro. 2


Fondamento di tutta la spiritualità carmelitana è, come abbiamo già visto nella catechesi di Marisa, Gesù Cristo, posto come inizio e fine di tutta la realtà e la vita dei carmelitani; vivere in ossequio di Gesù Cristo, recita la Regola al n.2; ciò significa porre la propria vita al servizio delle istanze più vere e profonde non solo della Parola, ma anche della Chiesa e del mondo. Nel cuore della vita spirituale risplende la figura di Cristo che l’anima cerca servendosi delle virtù teologali (fede, speranza, carità) e ascetiche (umiltà, carità, distacco), attraverso la preghiera, l’orazione intima che ti mette in stretto contatto con Dio. L’atteggiamento principale deve essere dunque quello dell’ascolto e dell’accoglienza della Parola, della ricerca di Dio nella vita quotidiana, scoprendone e accettandone la presenza in tutto ciò che ci capita e in tutti coloro che incontriamo; il dialogo e la familiarità continua con Dio, ci porta a vivere come se fossimo sempre alla sua presenza, a fare tutto nel suo nome, alla sua contemplazione. Abbiamo visto come, accanto alla preghiera e alla contemplazione, la sequela di Cristo si realizza per i carmelitani nel servizio agli altri e alla Chiesa, nella testimonianza continua della Parola. Questo dualismo tra contemplazione e azione potrebbe apparire in contrasto l’una con l’altra; invece no, anzi, alle origini del movimento eremitico, ci offre un modello di armonia e di interazione bene equilibrato. Per cercare di essere più chiari: i primi fratelli eremiti del monte Carmelo dedicavano molta parte della loro giornata alla preghiera, all’orazione interiore, quella che nasce nel profondo del cuore e che ha come condizione necessaria la cosidetta esperienza del deserto, cioè il creare intorno e dentro di sè il silenzio, sia materiale che mentale, un isolare la propria mente e la propria anima da ogni altro pensiero che non sia quello della ricerca e della sequela di Cristo. Nello stesso tempo però, considerato il momento storico nel quale sono vissuti, le guerre con i Turchi che avevavo invaso la Terra santa, le crociate stesse, furono spinti a dedicarsi anche all’apostolato, a portare la Parola in mezzo al popolo pagano. Nel corso dei secoli, questo dualismo si è sviluppato nei suoi contenuti in una maggiore e progressiva comprensione dei doni dello Spirito, mettendo a frutto l’esperienza maturata durante il lungo cammino storico vissuto dal Carmelo. Oggi il Carmelitano sa che deve guardare al mondo con gli occhi di Dio, portare la sua presenza amorosa nella fraternità, nel servizio verso tutti, nella perfetta carità verso i fratelli, per realizzare così l’ideale di vita che si prefigge. Ma torniamo alla preghiera che è il cuore del carisma carmelitano. Ce lo sta insegnando la lettura le Cammino di perfezione di santa Teresa. La preghiera, oltre e prima che essere un prezioso esercizio per condurre l’anima a Dio, è soprattutto un atteggiamento dello spirito che rientra nella cosidetta espressione del “vacare Deo”, dedicarsi cioè tutto a Dio con carattere di continuità. Ciò porta ad una dipendenza totale da Dio, cercato sempre e in ogni occasione nella propria vita, godendo della sua presenza e lasciandosi condurre da Lui nella reltà della vita quotidiana. Questo atteggiamento contemplativo fa sì che l’uomo veda la realtà con gli occhi di Dio, amandola concretamente. Vorrei tornare per un momento sull’espressione “Vacare Deo”, che avete già sentito usare da Marisa. Il termine VACARE, latino, di per sè significa essere vacante, mancare di qual cosa, da cui viene poi la parola vacanza: essere privo di impegni di lavoro; ma significa anche esere vuoto. Secondo la nostra fede, essere vuoto non ha un valore negativo perchè viene inteso come “avere il tempo e l’anima liberi per dedicarsi totalmente a Dio e alle cose di Dio”. IL VACARE DEO, cioè avere tempo libero per Dio ricorre spesso negli scritti di spiritualità e la Chiesa stessa ci invita di solito ad approfittare dei periodi di vacanza (quando di norma non si lavora e si è o si dovrebbe essere vuoti, liberi da preoccupazioni ed ansie), per dedicarsi alla preghiera, alla contemplazione, per arricchire la nostra vita della presenza di Dio. Quindi essere vuoto non deve essere interpretato come un’espressione priva di significato. C’è anche, per questa espressione, un accostamento con la vergine Maria che, al momento dell’annunciazione, era “vuota”, dicono i teologi, non colma di se stessa, ma vuota, disponibile, in attesa dell’azione di Dio. Quando disse il suo FIAT, fu 3


riempita dello Spirito Santo e concepì nel suo grembo il Figlio di Dio. Così anche per noi. Se siamo vuoti, certo nel senso cristiano del termine, ci rivolgiamo a Dio per essere ricolmi da Lui di grazie, di benedizioni, di tutta la sua pienezza. Per i fratelli eremiti del monte Carmelo, non era certo difficile creare dentro di sè il vuoto necessario per ricevere la grazia di Dio. La loro vita, in quei luoghi bellissimi ma solitari, non turbati da esseri umani, le ore scandite dall’orazione continua e il pensiero rivolto a Dio, a Maria, ai santi profeti, a coloro che avevano sempre dinanzi a sè come esempio luminoso da seguire, non poteva che facilitare questo esercizio, che oggi per noi appare particolarmente difficile, travolti come siamo da mille stimoli non sempre positivi. Come infatti ognuno di noi può sperimentare sulla propria pelle, i periodi di vacanza sono quelli in cui andiamo in vacanza anche da Dio, dalle funzioni liturgiche, addirittura, come faceva notare p. Carmelo durante un’omelia, dall’andare a messa. E questo vuoto totale che si crea nella nostra mente, è estremamente pericoloso perchè rischiamo di diventare preda di facili illusioni e promesse. Oggi si è perso il senso vero della vita, quell’ideale o quel fine che rende l’esistenza degna di essere vissuta. Non siamo più mossi nel nostro vivere quotidiano da quelle intenzioni profonde che dovrebbero spingerci ad agire, ad aprirci agli altri. La vita ha perso (parlo naturalmente in generale) il contatto con l’umanità stessa dell’uomo, nella quale soltanto, l’uomo può identificarsi e salvarsi. Non siamo più in grado di dare un significato, un senso profondo a ciò che facciamo. Per cui spesso ci ritroviamo stanchi e avviliti, senza ragione per vivere e sperare, perchè la nostra vita è diventata piatta e scorre lenta, senza slanci, senza volontà, come se si fosse morti dentro. Ricordo lo scorso anno il nostro Vescovo, nelle catechesi quaresimali, parlando dell’accidia, ha messo in evidenza proprio questo atteggiamento mentale, tipico dell’uomo di oggi. Come si supera questa mancanza di senso? Per recuperare questo “senso della vita” che a volte ci sentiamo sfuggire dalle mani, la strada per il cristiano è una sola: la fede e, in particolare, per noi carmelitani, la sequela di Cristo, l’esempio di Maria, gli insegnamenti di Elia, attraverso la contemplazione e la preghiera, attraverso la testimonianza e l’apostolato. Ci viene in aiuto in questa, che sicuramente è un’impresa di non poco conto, la regola carmelitana attraverso la riforma introdotta da Teresa d’Avila e Giovani della Croce che hanno mirabilmente sintetizzato tra loro i due elementi caratterizanti dell’Ordine: la contemplazione appunto propria dei primi frati eremiti, e l’apostolato, come si è sviluppato nel corso dei secoli. Ecco allora cosa ci insegnano i due maggiori santi carmelitani. Sono sei punti importanti per noi e per la nostra spiritualità: 1)Ricerca intensa di Dio e nello stesso tempo grande attenzione per i bisogni dell’uomo; 2)Sequela di Cristo che porta alla comunione con Dio e con la Chiesa; 3) Orazione continua nella quale l’anima si riposa e si sforza di purificarsi; 4) Serenità dell’animo nell’incontro con Dio e nello stesso tempo attenzione alla salvezza del mondo; 5) Gioia per la cose spirituali e contemporaneamente senso del concreto; 6) Solitudine, silenzio, ritiro spirituale delle anime e insieme slancio missionario e dottrina universale. Come vedete, se da un lato i nostri santi ci invitano ad un colloquio intimo e continuo con Dio, dall’altro non escludono l’attenzione rivolta all’uomo, alla Chiesa, al mondo intero, concretizzandola nella testimonianza della parola e nell’apostolato o, con un termine più moderno, nel= l’evangelizzazione e la missionarietà. Non per nulla la prima Congregazione di Propaganda della fede fu opera dei carmelitani teresiani nel 1600, supportati dal grande missionario spagnolo P. Tommaso di Gesù; e furono italiani i primi missionari carmelitani che si recarono in Persia per svolgere lì il loro apostolato.

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SPIRITUALITA’ E CARISMA CARMELITANO SECONDA PARTE I carmelitani, sin dalle origini, hanno avuto come modello del loro ideale contemplativo le due figure bibliche di Elia e di Maria. Nelle pagine dell’antico testamento hanno scoperto Elia, il profeta, l’uomo di Dio da imitare e seguire, colui che, condotto dalla Parola di Dio, inizia il suo cammino di sofferenza e purificazione che lo porterà nel cuore del mistero divino, e hanno ereditato da lui il desiderio di interiorizzare la Parola nel cuore, per testimoniarne la presenza nel mondo. Hanno anche visto in Elia colui che aveva quasi preannunciato la venuta di Maria, quando, seduto sul monte Carmelo, aspettava da Dio la risposta alle sue preghiere; ed essa arrivò sotto la forma di quella famosa nuvoletta bianca simile a mano d’uomo che portò la pioggia purificatrice agli Israeliti e nella quale, adesso, i fratelli eremiti vedono raffigurata la Vergine Maria che porta con sè la salvezza di tutti i mali del mondo, Cristo Gesù. Abbiamo tanto parlato di Elia lo scorso anno, anche alla luce della sua presenza sul monte Carmelo. Anche noi lo abbiamo seguito, leggendo i libri dei Re, nelle sue vicende e peregrinazioni, nelle sue battaglie, fino al momento in cui Dio gli si manifesta sul monte Oreb, attraverso il mormorio di un vento leggero. Nelle pagine del Nuovo testamento, i fratelli eremiti ritrovano il bellissimo modello di vita consacrata della vergine Maria, un modello imitabile, anche se ineguagliabile, e sperimentano la dolcezza e la familiarità di vita con la Vergine, impegnandosi a vivere con la stessa profondità di unione a Cristo che ha caratterizzato la sua vita. In Maria essi vedono non solo la loro protettrice e patrona, ma anche la madre e la sorella. Alle origini dunque, della nostra spiritualità, ci sono tre parole chiavi: Il luogo del Carmelo, il titolo mariano dell’Ordine, la dedicazione dell’Ordine del Carmelo al servizio di Maria. Il monte Carmelo è parte integrante della spiritualità dei primi eremiti, così come lo è l’antica devozione dei Carmelitani alla vergine Maria, venerata all’inizio con vari appellativi, la Madonna della tenerezza o la Vergine seduta in trono con suo Figlio, riconosciuta come Patrona dell’Ordine, alla quale essi si consacravano integralmente. Negli anni successivi si fece strada l’espressione più dolce e affettuosa di Madre dell’Ordine, Mater mitis, recita il Flos Carmeli, e più tardi ancora, intorno al XIV secolo, anche quello di Sorella dei carmelitani. Forse ricordate che, parlando dell’arrivo dei primi eremiti sul monte Carmelo, abbiamo riportato lo scritto di un anonimo pellegrino dell’inizio del XIII secolo. Questi ci dà la prima testimonianza storica della marianità dell’ordine, quando parla di una “molto bella e piccola chiesa dedicata a nostra Signora, costruita dai fratelli eremiti nella località iuxta fontem Eliae prophetae”. Ed è proprio sulla presenza di Maria vergine nella vita del Carmelo che voglio soffermarmi un po’ di più, perchè i Carmelitani hanno avuto, ed hanno per Lei, una venerazione particolare. Secondo un’espressione che risale al Medioevo, Il Carmelo è “tutto di Maria”, espressione bellissima e assai suggestiva, che raccoglie in sè tutto quello che diremo da ora in poi. Nella prefazione all’opera “La vita interiore” del padre carmelitano, il venerabile Michele di sant’Agostino, il vescovo padre Lucio Renna scrive: “La Madonna richiama alla mia mente il “mysterium lunae”, ricordato dal servo di Dio Giovanni Paolo II nel “Novo millennio ineunte”. Cristo, sole che non tramonta, trasmette la sua luce e il suo calore a Maria, luna che si staglia nel cielo tra tante stelle e trasmette a sua volta il suo chiarore riflesso. E’ il caso di dire: per Mariam ad Iesum, attraverso Maria arriviamo a Cristo, la nostra meta finale. La vergine Maria è uno dei grandi doni, continua padre Lucio, che abbiamo ricevuto da Dio e che condividiamo con la Chiesa. Nel suo lavoro, o forse è meglio dire, nella sua ricerca di Dio, il venerabile Michele di sant’Agostino dedica 5


diversi capitoli alla descrizione di una Vita marieforme, cioè di come deve essere la vita vissuta all’ombra di Maria e con lei nel cuore. Il suo amore per Lei è così grande, immenso, quasi totale che egli teme che possa distrarlo dall’unica meta che l’anima deve perseguire, l’amore di Dio e una vita conforme alla sua volontà. Egli è convinto che Dio non concede agli uomini nessuna grazia che non passi attraverso Maria, la quale è quindi sostegno degli uomini e della Chiesa in questo cammino verso Dio. E sa anche che soltanto attraverso Maria, attraverso il suo intervento e i suoi doni, le sue grazie, possiamo raggiungere ogni grazia e realizzare una vita ricca di virtù cristiane. Amiamo dunque Maria con tutto il cuore perchè solo Lei ci porta al suo figlio Gesù. Appartenere a Maria, vivere in dipendenza di Maria, promuovere il culto a Maria, in un clima di semplicità, povertà e lavoro, come la vita di Maria a Nazareth: Ella diventa così il contro dell’esperienza spirituale di noi carmelitani che guardiamo a Lei come ispiratrice, guida e signora della nostra vita. La contemplazione della vita della Vergine ci porta diritti diritti alla sua imitazione, alla sua sequela, attraverso la vita evangelica. La motivazione più importante della nostra vita: riuscire ad imitare le sue virtù principali, l’umiltà, la castità, la purità di cuore, la mansuetudine, l’ascolto attento della parola, il silenzio della bocca, la meditazione nel cuore, la pietà per gli altri, il servizio a Dio e ai fratelli; non si finirebbe mai di elencare le meravigliose virtù di Maria alle quali noi guardiamo con speranza di poterle in qualche modo imitare. Segno di questa speciale consacrazione dell’Ordine a Maria è lo Scapolare che ogni religioso indossa come parte del suo abito. Vi ricordo l’episodio relativo alla visione che il Padre generale dell’Ordine, san Simone Stock ebbe nel 1251, quando gli apparve la Vergine Maria e gli consegnò l’abito dell’Ordine, assicurando la salvezza eterna per tutti coloro che l’avrebbero portato con devozione. E a proposito del rapporto particolare dei Carmelitani con la Vergine, in un documento, attribuito a papa Giovanni XXII, la cosiddetta Bolla sabatina, che risale al 1322, si riferisce di una visione della Vergine che, apparsa al pontefice, gli prometteva una protezione personale in cambio dell’aiuto che il papa avrebbe prestato all’Ordine Carmelitano: e inoltre un privilegio per i devoti del Carmine, per tutti coloro che portano devotamente il santo scapolare: la Vergine sarebbe scesa a liberarli dalle pene del purgatorio, il sabato successivo alla loro morte. Così anche molti laici indossano lo Scapolare, quello in forma ridotta, come espressione d’appartenenza all’ordine e di condivisione della sua devozione mariana. Indossando lo Scapolare essi sperano di raggiungere la santità dentro la strada tracciata dal Carmelo, nutriti della sua spiritualità e sostenuti dalla sua preghiera. Ormai lo Scapolare della Vergine del Carmelo è un segno approvato dalla Chiesa come manifestazione dell’amore di Maria per noi e come espressione di fiducia filiale da parte nostra per Lei, di cui vogliamo imitare la vita. Tutto questo amore e venerazione per la vergine Maria si concentra per i carmelitani naturalmente, oltre che nella sua imitazione e nella preghiera costante a lei rivolta, anche nelle celebrazioni liturgiche, nella devozione personale e comunitaria, nella speciale dedizione al servizio e al culto della vergine. Della vita di Maria, i Carmelitani, contemplando il mistero della Vergine, hanno messo in rilievo la sua Verginità; la cappa bianca dell’Ordine simbolicamente rappresenta ed esprime la verginità purissima di Maria. Sono stati strenui difensori del privilegio dell’Immacolata concezione di Maria durante le controversie nel medioevo sia a livello teologico che di pratica devozionale, introducendone la festa nel calendario dell’Ordine.Molte chiese sono state dedicate alla divina maternità di Maria, all’Annunciazione da parte dell’angelo e così via. Nell’epoca medievale la scelta del nome di una chiesa indicava un orientamento spirituale e metteva qualla comunità al servizio del patrono di quell’edificio. Così Maria diventava ufficialmente e liturgicamente la Patrona dei fratelli del monte Carmelo. Una lunga lista di prescrizioni liturgiche per il servizio a nostra Signora dava ai Fratelli del Carmelo la possibilità di rivolgere frequentemente il pensiero e il cuore verso la Vergine: i digiuni nelle vigilie delle festività di Maria, la santa Comunione in quelle stesse festività, la recita della preghiera delle ore, la salve regina che concludeva ogni loro impegno comunitario, la commemorazione settimanale di Maria nel giorno del mercoledì; la 6


festa patronale dell’Ordine è sempre stata una festa della vergine Maria; all’inizio quella dell’Annunciazione, in seguito quella dell’Assunzione. Sappiamo che, nel periodo in cui la curia pontificia era ad Avignone, tutto il clero si recava nella chiesa dei Carmelitani nel giorno della festa dell’Immacolata Concezione per venerare la Patrona dell’Ordine. La commemorazione solenne di nostra Signora del monte Carmelo, inizialmente il 17 del mese di luglio, risale alla fine del 1200 e si aggiunse alle altre commemorazioni; verso la fine del 1500 la festa fu anticipata al 16 luglio e gradatamente, pur non perdendo la fisionomia primitiva di celebrazione di Maria Patrona, assunse il carattere di festa dell’abito, dello scapolare, soprattutto dopo la bolla sabatina di cui vi ho già parlato. Oggi la celebrazione della festa della Madonna del Carmine, che nel calendario è segnalata come memoria facoltativa, è la festa dell’Ordine e di quanti si sentono uniti al Carmelo nel riconoscere Maria quale fonte di ogni bene in Cristo e quale modello evangelico nel vivere l’ideale della preghiera contemplativa. Per riprendere e concludere il nostro discorso iniziale, al di là dei riti liturgici, che sono anche essi importanti, ricordiamoci che esiste una più importante spiritualità mariana, la quale si concentra nella imitazione della vita e delle virtù della Vergine Maria, oltre che il senso di intimità con la Vergine, la speciale filiazione del Carmelo, il senso di fraternità con Lei. SantaTeresa d’Avila ci aiuta a tracciare una serie di orientamenti e suggerimenti per infondere nella nostra vita una spirito veramente mariano. E’ quindi importante, per chi volesse approfondire la nostra spiritualità, accostarsi alle sue opere. In Maria sono uniti tutti i Carmelitani sparsi per il mondo, in un impegno di servizio a Cristo e alla Chiesa, a imitazione della Vergine, Serva del Signore che, silenziosamente, segue i passi di suo Figlio e coopera con Lui alla salvezza di tutti gli uomini, per mezzo della preghiera e di una vita consacrata al mistero della salvezza. Non sono concetti difficili. C’è la materia, tutto ciò che tocchiamo, di cui abbiamo una percezione materiale, a cominciare dal nostro stesso corpo, per finire a tutto ciò che ci circonda, che conosciamo perchè ne facciamo esperienza pratica, tangibile, materiale. E poi c’è lo spirito, l’animo, il pensiero che si eleva al di sopra della materia e guarda verso l’alto, verso quei valori che non si vedono e non si possono toccare con mano ma che sono più reali della materia stessa. Intendo le virtù, la giustizia, la carità, la libertà, la responsabilità delle azioni umane, le quali differenziano l’uomo dagli animali che sono privi di animo. Scegliere di preferire questi valori a quelli che, forse, sembrano soddisfare di più, il cibo, il denaro, la ricchezza, la forza fisica e quindi la violenza, la prevaricazione sull’altro, significa vivere secondo lo spirito. Questo non vuol dire per altro negare l’importanza delle cose materiali che pure servono alla nostra vita, significa dare ad esse la giusta dimensione, non farsi dominare, non lasciarsi travolgere da esse. In sostanza guardare lontano, in alto, al di là di questo mondo e giungere a vedere Colui che ha creato questa umanità e che ci ha lasciati liberi di scegliere come vivere, pur non abbandonandoci mai, qualunque sia la strada che decidiamo di seguire.

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