P. TELESFORO MARIA CIOLI O. CARM.
VIVERE N"ELL'OSSEQUIO DI CRISTO COMMENTO ALLA REGOLA CARMELITANA
ROMA- VIALE MONTE OPPIO, 28
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PREMESSA NIHIL OBSTAT Fr. Bartholomaeus M. Xiberta, O. Carm. Fr. Ludovicus M. Saggi, O. Carm. Censores librorum Romae, 15 martii 1956. IMPRIMI POTEST Pr. Kilianus Lynch, O. Carm. Prior Generalis Romae, 15 martii 1956. NH-HL OBST AT Hilarius M. Morris, O.S.M. Romae, 18 aprilis 1956 IMPRIMATUR Aloysius Traglia, Ep. Caesar, Vicesgerens Romae, 20 aprilis 1956
----------tfotograph .. Roma - Via Siponto, 7-9
Il 16 luglio 1947, celebrandosi il settimo centenario della approvazione, da parte di Innocenzo IV, del testo della Regola quale era stato modificato, con sua autorità, d.., due prelati dell'Ordine di S. Domenico, il Rev.mo P. KiIi ano M. Lynch, priore generale dell'Ordine, richiamava religiosi e monache all'amore, allo studio e, sopratutto, alla esatta osservanza della medesima. «Come per il passato, così sempre la Regola di S. Alberto - scriveva deve essere considerata la norma secondo la quale dobbiamo reggerei e dirigerci, insieme a tutto ciò che ci appartiene ». E, dopo aver denunciato i pericoli inerenti a certe concezioni filosofiche, proseguiva: «Dove la Regola è osservata ivi è la vita, quella vita soprannaturale della quale sono vivificati coloro che fanno sempre la volontà di Dio, ma dove manca questa osservanza, le anime van· no soggette a un'accidia mortale ». Nè ometteva di rilevare che la Regola di S. Alberto contiene un vero tesoro di dottrina soprannaturale, nascosto, però, e reperibile soltanto da chi la coltiva con fede e, colla stessa fede, ne adempie i precetti. La commemorazione centenaria, ammoniva alla fine, deve servire a richiamarci a nuovi propositi e a nuovi sforzi per la osservanza della Regola, essendo essa la via che conduce alla sommità del Carmelo.l ) l) K. LYNCH, O. CARM .• De S:G.ncltle Reglllae Ordinù in AllaI. Ord. Carm., 13 (l9~6-48), 1]5-119.
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o!Fetl,trntùl;.
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.Che la ricorrenza sette volte centenaria della Regola, umtamente a quella dello Scapolare, seguita a breve distanza, sia valsa a richiamare più vivamente l'attenzione dell'Ordine sul complesso di tradizioni e di glorie che costituiscono per noi un patrimonio sacro e prezioso, è provato da molti fatti, non ultimo dall'interesse che si sta dimostrando su scala sempre più vasta, per le ricerche storiche, con particolare riguardo alla dottrina spirituale e mariologica, concretatasi, nel 1951, colla fondazione dell'Institutum Carmelitanum che ne assicura la continuazione e lo sviluppo. Ma nulla varrebbe riesumare documenti d'archivio, ravvivare periodi di storia, esaltare i valori di una dottrina, glorificare l'eroismo dei Santi e indagare sulle loro ascen~ioni mistiche, se tutto ciò non servisse a farci vivere più mtensamente lo spirito dell'Ordine secondo l'insegnamento consacrato nella Regola e nelle tradizioni. Le finalità della vita religiosa, non bisogna mai dimenticarlo, sono eminentemente pratiche e alla pratica della virtù e alla vera imitazione di Cristo deve essere ordinata la ricerca e lo studio: un abito bello e pulito starà a suo agio quando coprirà un corpo sano e robusto. Davanti a Dio non è la scienza che conta, ma l'amore; non una intelligenza adorna di molte cognizioni, ma una volontà fattiva e operosa: «Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi avrà eseguita la volontà del mio Padre celeste ».2) Pienamente persuasi della opportunità e della necessità della ricerca storica, dell'esame comparativo, della indagine storica condotta secondo i rigidi sistemi della scienza, il nostro rilievo mira unicamente a mettere in 2) Mat., 7. 21.
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guardia dal pericolo che, troppo presi dall'amore dello studio~ taluni si sentano meno tra~ti dal miraggio della perfezlOne e dal culto della vocaZlOne e siano portati a considerare i fatti della., storia quasi ob<Jgetti da museo, meritevoli della cura pm attenta e della conservazione più sicura, anzichè documenti sempre vivi e vitali, ca·· paci di fornire un nutrimento sano e sostanzioso alle amme. Anche un altro pericolo può insidiare la formazione s~ecifìca carme.1itana: ~ quest? su s~ala più ampia; quello dI cercare al d1 fuon 1 meZZ1 adatti, come se l'Ordine ne mancasse di corrispondenti ai tempi o non ne possedesse abbastanza. Quante pubblicazioni dai titoli allettanti e c~n ricca veste tipo~rafica appaiono ogni giorno!... A giu(hcar~ ~lla super~cle dov~emmo dire che in pochi altri tem~l 1 problemI d~lla .vIta ~piri.tuale abbiano tanto ap~aSSlOnato come Og~1 e 11 desldeno di spaziare nel regno del soprannaturale SIa stato così. vivo. Che si tratti di un vero lievito destinato a fermentare una O"rande massa o r f 1:>' (1 un eno~eno transitorio incapace di penetrare profond.ament~ e nnnova.re le ~oscienze, giudicheranno i posten; a nOI preme qm assenre, a ragion veduta e con intimo convincimento, che per conoscere e camminare nella via e nella pratica della santità, alla cui base sta l'unione con Dio,. i ~a~melitani non. hanno bisogno di volgersi altrove~ «POlche Il nostro Ordme - scriveva il P. generale Ilaria M. Doswald - possiede un tesoro tanto grande di vita interiore, non vi è ragione di allontanarsi da esso e cercare fuori quello che abbiamo ».~) Per cui il carmelitano potrà, a buon diritto, ritenersi 3) H. DOSWAI.O, O. CARM., [Com,ocatio cap. getl. a. 1937], io AnaIOrd. Carm., 9 (1937), 7.
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onorato del suo titolo e partarlo con decoro quando con lo studio e la meditazione della dottrina spirituale del~ l'Ordine, si impegnerà al conseguiment? non di ~na for~ mazione qualsiasi bensì di u.na forma~l~ne che :Isponda alla natura di esso e ne espnma lo spmto. Che Il nostro Ordine possieda preziosi tesori spiri~ua1i ~ universalmente riconosciuto ma cosa varrebbe senttrlo npetere da dom;;:stici e da es~ranei e far poco o nulla per arrivare a quella .convinzione che scaturisce dalla esperienza? Ora, è bene ripeterlo, la fonte prima:i~, dal}a quale sgorga l'acqua limpida della. ~ostra ~ra~~z.lone ~ la. Regola che, pur nella sua br~vI~a, traccIa. Ilttnera:IO SICurO per la più perfetta forma dI vIta. «~,ssal sost~nzlosa, mol~ to essenziale e concisa, contenente plU cose dI quante non siano espresse colle parole », secondo l'autorevolissimo gi~ dizio del nostro ven. Giovanni di S. Sansone. 4) E nondl~ meno, proprio la brevità che ne costituisce, ~er. moltI aspetti, un pregio non comune, potrebbe trarre m mganno quanti hanno tendenza a. c~rcare, col lu~~ della lanterna, in trattati diffusi e prolISSI, le norme dI vIta. Costor~ in modo particolarissimo sono esortati a non conten~arSl della lettura, ma a dedicare alla Regola molto studIO c molta riflessione: il tesoro nascosto deve essere cercato e scavato... l Qualcuno potrebbe anche essere tratto in inganno ne valutare l'importanza dell.a ~,egola d~l ~atto che ad essa viene aggiunto, dai tempI p~u re~otl, Il. testo delle C0stituzioni. Ma non si deve dlmentlCare che Regola e Costituzioni praticamente, costituiscono un tutt'uno, e se è vero ch~ «in nessun'altra parte fu sviluppato ed esprcs4) JEAN DE S. SAMSOS, O. CARM., Les oeuvres spirituelles et mystj· ques ... par le R. P. Donatien de S. Nicolas, Rennes, 16'8·59, 1.
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so, con maggior chiarezza, l'insegnamento ascetico del Carmelo come nelle Costituzioni» 5) è anche verissimo che a dar materia alle Costituzioni, a conferir loro effica':.:ia, perfezione e valore è prima di tutto e sopratutto la Regola, della quale, per importanza e autorità, costitui. scono il primo commento. «Le Costituzioni - scrive il P. Daniele della Vergine Maria - debbono considerarsi un'appendice e una spiegazione della Regola, e il loro fine è sopratutto di provvedere alla uniformità della vita e della disciplina regolare in tutto l'Ordine»,6) e il ven. Giovanni di S. Sansone scrive a sua volta: «La Regola mira unicamente allo spirito, le Costituzioni, che le spiegano,. mirano anche all'ordine esterno ».7) Peraltro le stesse Costituzioni ci impongono il dovere positivo di studiare attentamente la Regola e di vivere come essa stabilisce. <) Allo scopo di portare un modesto contributo alla migliore intelligenza di quanto in essa si contiene, alla osservanza più fedele di quanto prescrive, e, conseguentemente, alla vera formazione carmelitana, in ordine sopratutto ai bisogni concreti dei più giovani che guardano con passione alle alte vette del Carmelo, pubblichiamo questo commento. Esso non ha pretese di insegnare cose nuove nè proporre dottrine sottili, ma solo analizzare i singoli argomenti, le cui conclusioni e conseguenze potrebbero spesso sfuggire sia a una comune lettura; sia 5) Vita Carmelitana, Romae, 1933, 18, parlando delle Costituzioni della ·Riforma Turonense, adottate poi da tutto l'Ordine. 6) DANIEL A VIRGINE MARIA, O. CARM., Speculllln. Carmelitantlm, I. Antwerpiae, 1680, num. 2783. 7) JUN DE S. SAMSON, Oeuvres, 747 .. 8) Constitutiones Ord. FF. B.mae V,. Mariac de Monte Carmelo, jussu, Rèv.mi P. Eliae Magennis, Romae, 1930, art. 115. Quando in seguito si citeranno i soli articoli. ci si riferisce a quest'ultima edizione.
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anche a una semplice considerazione, perchè nella Regola tutto ha il suo valore specifico e il suo peso. Le note storiche della introduzione e quelle che, in alcuni punti, accompagnano il commento, sono sembrate utili alla valutazione esatta di fatti e circostanze e anche a far apprezzare meglio dettagli e sfumature, oltrechè ::I far distinguere, ove occorra, la lettera dallo spirito della legge. Teniamo a rilevare che l'iniziativa di questo commento ha preso le mosse dalla lettura di quello manoscritto del compianto P. Giovanni Brenninger, tanto benemerito dell'Ordine, e maestro sicuro di vita spirituale, del quale in più punti ricalca fedelmente le tracce. Era anzi nostra intenzione, in un primo tempo, procedere semplicemente alla pubblicazione integrale del medesimo, al più con qualche lieve correzione linguistica; senonchè in seguito ci sembrò opportuno cambiar parere, in quanto ritenemmo meno conveniente divulgare uno scritto di carattere familiare, talvolta anche confidenziale, quale è quello del P. Brenninger. Infatti il suo commento non era destinato alle stampe, ma conteneva le istruzioni ai religiosi del Collegio Internazionale S. Alberto, nel periodo che va dal 2 gennaio al 30 giugno 1933, in occasione del capitolo ' conventuale. Il metodo seguito, conforme alla tradizione, ci ha portati talvolta a ripeterei e ci ha obbligato a una esposizione non troppo sistematica, però ha il vantaggio di essere più analitico, più chiaro e più efficace per il fine da raggiungere. Peraltro è da notare che il commento non vuoi essere propriamente un trattato di dottrina spirituale, ma un richiamo, attraverso la Regola, alla pratica della vita carmelitana, che costituisce lo scopo della nostra pro,fessione.
LA REGOLA E IL SUO AMBIENTE I L'IDEALE DEL CARMELO E LA REGOLA DI S. ALBERTO Al pari di qualsiasi altra istituzione umana, ma in: forma ben più determinante, gli istituti religiosi traggono efficienza e fisionomia dalle proprie regole, le quali pur avendo un'unica fonte ispiratrice (l'Evangelo) e un identico fine da raggiungere (la gloria di Dio e la san·· tificazione delle anime), presentano nondimeno caratteri· s~iche e ideali propri, che le distinguono e le differen·· ZIano. Il motivo di tante regole e di tanti istituti è da ricercare nella vastità del programma evangelico che conduce ad accentuare ora questo ora quell'elemento, secondo le necessità e la fisionomia propria dei tempi, e nella com· plessità della natura umana che, secondo i temperamenti e le tendenze personali, porta a sviluppare di più una facoltà o un'altra, a manifestarsi più in questo o in quel senso. Tutto, però, senza detrimento della unità, dote· fondamentale, necessaria e inconfondibile della vera Chiesa: «Vi sono differenze di carismi, ma lo spirito è uno solo; e differenze di ministeri, ma il Signor~ è ii medesimo; e differenze di operazioni, ma è lo stesso Dio che opera ogni cosa in tutti. A ciascuno è stata concessa la·. manifestazione dello spirito per quel che è utile ... » 1) 1) 1 Cor., 12, 4·7.
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INTRODUZIONE
La Regola carmelitana, come l'origine dell'Ordine, ha note del tutto particolari che è· necessario tener presenti per la sua esatta interpretazione. Il fatto stesso della indipendenza da altre Regole monastiche, che richiamavano grand~ nomi al tempo in cui veniva scritta, è degno di attenZIOne. Da un punto di vista generale, due circostanze meritano di esser poste in maggior rilievo: l'autore e l'epoca della composizione in rapporto alla vita dell'Ori~ine.
A differenza di quanto avviene comunemente, S. AIbeno, patriarca di Gerusalemme, nè fondò l'Ordine nè vi, appartenne, sebbene in qualità di legato pontificio in lecrittimo superioT erra Santa, possa esserne considerato . b re. Il ricorso a lui da parte degli eremiti del Carmelo di· mo~tra, o~tretutto, fedeltà e attaccamento alla Sede Apostohca. Cl?nOno~tan.te, o che ne conoscesse per pratica la consuetudme d! VIta, o che lo stesso S. Brocardo gli avesse sottoposto, per un'autorevole definizione, i concreti · problemi dell'ora in vista di uno sviluppo che si andava grad~almente 0f:rand~, è d~~cile concepire una Regola che, m forma pm sobna e pm efficace, avesse abbracciato -~l complesso edificio della vita spirituale, secondo la forma di vita in atto, senza precludere la possibilità a lccrittimi adattamenti quando il bisogno lo avesse richiesto. Le suc.. cessive interpretazioni e mitigazioni, infatti, ad opera dei Sommi Pontefici non ne intaccarono la sostanza e non · ne alterarono lo spirito informatore. . Quanto all'epoca della composizione (1207/1214) è da · nlevare che seguendo alla esistenza dell'Ordine, la Re.gola non crea, ma raccoglie un ideale, vissuto lungamente e co!laudato al vaglio della esperienza, e precisando e determmando quanto poteva esservi di incerto nei detta-
L'IDEALE DEL CARMELO
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gli pratici, sancisce per l'avvenire lo stato di fatto esistente. Quell'ideale si era formato sotto l'influsso di molte circostanze, delle quali costituiva il prodotto naturale e spontaneo: il Monte Carmelo coi suoi ricordi storici, le sue bellezze naturali, le sue caratteristiche geografiche; la memoria dei due profeti, Elia ed Eliseo, che avevano le- . gato ad esso, indelebilmente, il ricordo della propria vita e dei p::opri esempi; gli eremiti ivi raccolti in successive età, tutti vissuti nel ricordo e nella imitazione dei detti profeti, uniti sempre da un comune ideale di perfezione che poneva a base la solitudine e la preghiera, sopratutto quelli più vicini al legislatore, provenienti per la maggior parte dagli eserciti che avevano combattuto per il riscatto del S. Sepolcro. Questo ideale, eminentemente contemplativo, reso più preciso e più concreto dalla prassi, il patriarca di Gerusalemme seppe esprimerlo da grande maestro, con estrema t· .. C111arezza e preCISIOne.
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INTRODuzrONE
II RIFERIMENTI STORICI Come abbiamo accennato, la vita eremitica sul Monte Carmelo, non ebbe propriamente inizio nella metà del secolo XII, perchè quel monte, al pari di tante altre località dell'Oriente, già nel passato aveva accolto dei pii solitari, sebbene rimanga ancora impossibile precisare in qual numero e in quale successione di tempi. E giacchè' sul Carmelo viveva il ricordo e il fascino del profeta Elia, era naturale che chiunque lo sceglieva a dimora cercasse di ispirarsi al suo spirito e ai suoi esempi, tanto più che il Profeta era universalmente considerato il padre e jl prototipo del monachesimo. In queste condizioni e circostanze appare naturale che gli eremiti ivi viventi verso la metà del secolo XII, anche nella ipotesi che avessero ripresa una tradizione interrotta, non si fossero considerati iniziatori di una forma di vita, ma continuatori di una tradizione preesistente; ed è legittimo e comprensibile che gli antichi documenti storici dell'Ordine richiamino le figure dei profeti Elia ed Eliseo, ed i loro. successori della vecchia e nuova Legge, e considerino Aimerico, Brocardo, Alberto riorganizzatori di una istituzione, in conformità alle esigenze dei tempi. Se la genesi e lo sviluppo dell'Ordine si guarda da Cluesto punto di vista, riteniamo si possano agevolmente superare le obiezioni mosse dalla critica storica alle tradizioni del Carmelo, e si debba riconoscere valore (almeno in ciò che è fondamentale) ai documenti che furono sempre considerati il punto di partenza della sua storia. Di
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RIFERIMENTI STORICI
questi, tra i tanti, ne citiamo tre, di diversa provenienza e autorità, ma sostanzialmente identici quanto al tema che ci riguarda.
1. Le Costituzioni del capitolo di Londra del 1281 Al quesito: come si deb~a risponde:e. a ~hi domanda da chi e in qual modo abbza avuto ortgzne ti nostro Ordine, è detto: Poichè alcuni dei frati più giovani dell'Ordine non sanno dare una risposta soddisfacente e conform~ a veri~à a chi 10:0. chiede da chi e in qual modo il nostro Ordme abbla avuto or~gme, vogliamo rispondere per essi, dando loro .una .formula scntt~., Affermiamo dunque, rendendo testlmomanza alla venta, che dal tempo dei profeti Elia ed Eliseo, che abitarono devotamente il Monte Carmelo, santi Padri, sia del vecchio che del nuovo Te~ stamento, dimorando nella solitudine dello stesso monte, . da ven amatori delle cose celesti, hanno ivi lodevolmente e mcessantemente vissuto nella contemplazione, vicini a!Ìa fontana di Elia, nella santa penitenza, perseverandovi con santi frut~i .. I loro s~c: cessori, al tempo di Innocenza III, furono radunatl m ~omumta da Alberto, patriarca della Chiesa di Gerusalemme, 11 quale scrisse per essi una regola, che Onorio III, succeduto allo st~SS? Innocenzo, e molti altri suoi successori, confermarono devotisslmamente colla testimonianza delle proprie bolle, approvando dett0 Ordine. Nella professione di questa Regola, noi, loro seguaci, serviamo il Signore fino al giorno d'oggi, in diverse parti del mondo. 1)
Il tema venne ripetuto ed ampliato nelle Costituzioni .che, via via, furono emanate successivamente; a -:omin.ciare .poi da quelle del 1324, crescendo nell'Ordine. la con~ sapevolezza della propria missione mariana, viene anche detto che gli antichi Padri costruirono sul ~onte Carm~lo una chiesa in onore della Madonna, per Cul furono chlal) Constitutiones capituli Londinensis anni 1281; ed. Ludovicus Saggi, Q. Cann., in Anal. Ord. Carm .• 15
(1950), 208.
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INTRODUZIONE
mati, per privilegio apostolico Fratelli della B. Vergine111aria del 111onte Carmelo. 2) 2. Cronaca di Guglielmo di Sanvico
L'autore di questa cronaca nacque a Sandwich (da cui; ebbe nome) città sita nella parte meridionale dell'Inghilterra. Almeno dal 1254 al 1291 visse in Terra Santa, della quale fu nominato definitore nel capitolo generale di Montpellier del 1287. Dal documento piuttosto diffuso che egli ci lascia e del quale non intendiamo avallare le singole affermazioni, desumiamo il brano ove sono narrati i dubbi e le incertezze degli eremiti del Carmelo quando si trattò di emigrare in Europa (1238). Poichè l'autore è quasi contemporaneo all'avvenimento la sua autorità ci sembra fuori discussione. Alcuni professi meno coraggiosi [infirmiores:l di questa religione, turbati e atterriti dalle frequenti incursioni dei pagani,. alle quali andavano soggetti specialmente nei monasteri piL! iso· lati, desideravano abbandonare la Terra Santa, e, qualora fosse stato possibile farlo lecitamente, tornare nelle regioni dalle quali provenivano. Desideravano infatti costruire nei propri paesi munasteri di questa religione, ove potere, con maggior sicurezza,. servire Dio e Maria Vergine, sua madre. A questo scopo si radunò il capitolo nel monastero del Monte Carmelo, e si tenne un'adunanza per decidere sulla liceiù della cosa. E sebbene ci fossero alcuni frati, secondo i quali per nessun. motivo si sarebbe dovuto, in quella occasione, abbandonare la Terra Santa nè costruire altrove dimore di questa religione, tuttavia nell'adunanza fu fatto osservare la liceità del contrario, richiamando il precetto e l'esempio di Cristo e l'esempio del fondatore di questa religione. Il precetto di Cristo che dice: se sarete perseguitati in una città fuggite in un'altra (è meglio infatti 2) Conslitmiollcs FF. Ord. B. Mariae de M01l!e Carmelo (l 32-f), in B. ZC\lMERMANN, O.C.D., l\lo11f11'nel1ta hùtorica carmelitana, Lirinae. 1907, 200_
RIFERIMENTI STORICI
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conservare incorrotta la fede cattolica fuggendo la persecuzione che rinnegar poi la fede cristiana per timore); l'esempio poi di Cri. sto, il quale non essendo stato mandato se non alle pecorelle smarrite della casa di Israele, in occasione della persecuzione di Erode la· . sciò la Terra Santa e fuggì in Egitto, ove rimase fino alla morte del medesimo; e l'esempio, infine, di Elia fondatore di questa religione, il quale in occasione della persecuzione di Achab e Jezabe!e, .. abbandonò la Terra Santa e, fuggendo sino al monte Oreb, vi rimase dimorando in una spelonca. Così il priore del monastero del Monte Carmelo, vagliate le' ragioni e tenuto conto della persecuzione che i pagani muovevano, senza interruzione, in Terra Santa contro questa religione,.. ammonito in sogno da Cristo e dalla sua madre Maria Vergine,. concesse ad alcuni frati di lasciare la Terra Santa e di tornare' nelle rispettive regioni e costruirvi monasteri. 3)
Evidentemente, se l'Ordine era pronto a qualsiasi sa··· crificio pur di non allontanarsi dall'esempio del Profeta che considerava suo fondatore, la tradizione eliana, quella prima metà del secolo XIII, doveva essere fort:;· e profonda. 3. Narrazione di Stefano di Salanhac, O.P.
Nato verso il 1220 a Salanhac, all'età di circa 20 anni entrò nell'Ordine domenicano a Limoges. Fu priore della sua città natale nel 1249 e di Tolosa nel 1259. Nel 1261fu mandato visitatore in Svezia. Morì 1'8 gennaio 1291, E' autore di un opuscolo dal titolo: De quatuor in quib;;:; Deus Praedicatorum Ordinem insig12ivit, nel quale tratta espressamente la storia dell'Ordine domenicano, con cenni anche agli altri Ordini religiosi. Su quello carmelitano. scnve: 3) Spec. Carm., I, num. 417. Lo Zimmerman dubita che il capi~,,i(,. sia stato tenuto nel 1238, ma quello che conta non è la data, sibbene il' fatto: cf. Mon. Ilist, carm., 212-3.
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INTRODUZIONE
Dall'inizio della Chiesa nascente vi furono in Terra Santa, e sopratutto sul Carmelo, numerosi eremiti, come appare dalle cronache e da molte vite di Santi. Aimerico di Malafayda, patriarca di Antiochia di felice memoria, vedendo il loro modo di vivere, li nutriva nel Signore con molto cibo spirituale, e precisò con uno scritto il modo di vivere, [nel senso che] mentre prima abitavano separatamente per tutto il Monte Carmelo, in piccole celle, ii radunò sotto la cura di uno, li legò col vincolo della professione, ed ebbe cura di farli approvare dalla Sede Apostolica. Dopo molti anni, per il fatto che la Regola era dura da osservare, non essendo loro concessa la dimora nelle città e nei villaggi, vennero a Lione, dal papa Innocenzo IV, e ottennero che tutta la questione fosse rimessa ai venerabili signori i Padri F r. U go di S. Teodorico, prete cardinale e F r. Guglielmo, vescoyo di Anterano (sic!), ambedue dell'Ordine dei Predicatori, i quali scrissero per essi una Regola speciale, che da allora tengono e protessano, abolita da questi grandi uomini la prima. La secondd Regola, fu confermata e bollata dal papa Innocenzo IV, l'anno del Signore 1247,0 circa. Il predetto patriarca antiocheno era originario di Salinnac, diocesi di Limoges, ed ebbe nel detto Ordine Carmelitano un ni.pote, uomo santo e famoso. 4)
Nonostante la confusione tra Aimerico ed Alberto per quanto. riguarda la Regola, e il ruolo di legislatori indebitamente attribuito ai due domenicani, mentre furono semplici revisori, a noi importa notare che uno scrittore .estraneo all'Ordine, nella seconda metà del secolo XIII (l'opuscolo viene assegnato all'anno 1278), traendo argomento dalle cronache e dalle vite dei Santi, riconosce ed ammette che il Carmelo fu lungamente abitato da eremiti, dei quali i carmelitani si consideravano legittimi continuatori.
ORGANIZZAZIONE SUL M. CARMELO
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III L'ORGANIZZAZIONE DELLA VITA EREMITICA SUL MONTE CARMELO Tutte le testimonianze in nostro possesso, sia di scrittori appartenenti all'Ordine, sia di estranei, sono concordi nell'assegnare al secolo XII la organizzazione, o la riorganizzazione, della vita eremitica sul Monte Carmelo, e ne attribuiscono il primo merito al patriarca Aimerico. L'abate Giovanni Focas, monaco scismatico greco, nel libro De locis sacris, composto verso il 1185, ne parla in q l1esti termini: Nella parte estrema del monte che guarda il mare, si trova la spelonca del Profeta Elia, nella quale quell'uomo mirabile visse angelicamente finchè venne trasportato in cielo. In tempi antichi, in quel ruogo, vi era una grande dimora come lo dimostrano anche oggi i ruderi, ma sia dal tempo che tutto corrode, sia dalle incursioni dei gentili è andata del tutto in rovina. Nondimeno, qualche anno addietro un monaco, rivestito di dignità sacerdotaie, dai capelli bianchi, proveùiente dalla Calabria, in seguito a una rivelazione del Profeta, arrivò a questo monte e recinse il luogo, cioè i resti dell'antica dinlOra, di un piccolo muro; inoltre innalzò una torre, edificò una piccola chiesa e con circa dieci frati custodisce tutt'ora quel luogo santo. 1)
Da altri autori, compreso il già citato Stefano di Salanhac, sappiamo che questo monaco era nipote di Aimefico e che agì con la protezione e l'aiuto del patriarca.
4) STEPHANUS DE SALANIACO ET BERNARDUS GUIDONIS, De quatuor i" quibus DCilS Praedicatorllm ordinem insignivi!; cd. Thomas Kaeppeli, O.P., ::Romae, 1949, 179-181; edito anche in Ano/. Ord. Carm., 3 (1914-16), 370-1.
1) Anal. Ord. Carm., 3 (1914-16), 268. 2.
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INTRODUZìONE
Dei due personaggi possedian1o scarse notizie. Di Aimerico sappiamo che era originario di Saianhac, motivo non ultimo per cui il domenicano conterraneo lo ricorda nel suo scritto. Nel 1141, a seguito della deposizione di Rodolfo fu eletto patriarca di Antiochia di Siria; avendo però disapprovato il matrimonio di Rinaldo di Castiglione, principe di quella città, colla vedova del predecessore Raimondo, venne da lui posto in prigione, ove rimase .fino alla liberazione, ottenuta nel 1154 per l'intervento di Baldovino, re di Gerusalemme. Durante il periodo trascorso nella città santa (1154-1160), dedicò le sue cure agli eremiti del Carmelo. La sua morte sembra avvenuta poco dopo il 1180. 2) Il patriarca, oltrechè esser mosso dall'affetto verso il nipote, dovette giudicare quanto mai opportuno, se non necessario, il suo autorevole intervento per rendere più solida la convivenza di quella comunità di contemplativi e risolvere le difficoltà forse già in atto, o, quanto meno, prospettate all'orizzonte. L'affluenza infatti di uomini (per lo più crociati) in un medesimo luogo, sia pure condotti dalle stesse intenzioni, non poteva non far sorgere svariati problemi sia di carattere organizzativo che spirituale. Aimerico vi provvide con saggezza, coadiuvando la costruzione del monastero, formando gli eremiti ai sodi principi della vita religiosa;« multum specialiter suo te mpore in Domino enutrivit» 3) e costituendo un priore al quale dovevano obbedienza. Non sappiamo se il medesimo redasse anche un rego2) Mon. lzist. carm., 273-4. Lo Zimmerman neg"l che Aimerico fosse stato legato della Sede Apostolica in Siria o in Terra Santa, come è detto nella Epistola S. Cyrilli, in Anni. Ord. Cartn., 3 (1914-16), 283. ") Epistola S. Cyl-illi, in A,wl. Ord. Carm. 3 (1914-16), 283.
ORGANIZZAZIONE SUL M. CARMELO
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lamento scritto: le circostanze lo fanno supporre in quanto la vita in comune difficilmente può sussistere senza quelle norme essenziali che ne ordinano gli atti, ma, nel caso, dovè trattarsi di semplici statuti, di carattere piuttosto generico, jntesi a salvaguardare l'obbedienza al superiore, la solitudine e la preghiera che costituivano il fine essenziale della istituzione. L'opera preziosa di Aimerico e di suo nipote doveva essere portata a compimento, al principio del secolo successivo da S. Brocardo e dal patriarca di Gerusalemme S. Alberto. S. Alberto
Il santo legislatore del Carmelo, della nobile famiglia degli Avogadro, nacque verso il 1150 a Castel Gualtieri, importante borgo in provincia di Reggio Emilia (diocesi di Parma). Rimasto orfano in tenera età, fu accolto nel monastero di S. Croce, i cui monaci, detti appunto mortariensi, formavano una congregazione autonoma c indipendente. Appena trentenne lo troviamo eletto all'ufficio di priore del monastero, e quattro anni dopo (1184) alla sede vescovile di Bobbio. Quivi rimase appena un anno perchè nel 1185 Urbano III, già vescovo di Vercelli, confermò di buon grado l'acclamazione del popolo che ]0 volle al governo di quella importantissima sede. Lo stesso pontefice, in segno di distinzione e in riconoscimento delle sue rare doti, gli concesse, nel 1187, l'uso della porpora. Nel ventennio di ministero pastorale svolto a Vercelli, Alberto si distinse come riformatore e paciere, tanto che per le insigni benemerenze acquistate nelle numerose missioni svolte felicemente, l'imperatore Enrico VI lo nominò principe dell'impero.
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INTRODUZIO"iE
Nel 1204 il clero del patriarcato di Gerusalemme, al .quale dovevano essere note le esimie qualità del santo vescovo, lo elesse patriarca della Città Santa, la cui sede, per il sopravvento vittorioso dei saraceni, era stata temporaneamente trasferita ad Accon (S. Giovanni d'Acri). Innocenzo III non solo convalidò l'elezione, ma per vincere le riluttanze dell'eletto fece valere tutto il peso della sua autorità e del suo personale prestigio, e in più gli conferì il titolo e le prerogative di legato pontificio. La partenza per la Palestina avvenne verso la fine del 1205 o 1'1l1izio del 1206. Nell'esercizio della sua ardua e delicata missione, Alberto, ricco di virtù e di esperienza, venne a contatto cogli eremiti del Carmelo, e, su richiesta di S. Brocardo, dettò la Regola che ha sempre costituito e costituirà in ogni tempo la magl1a carta della vita dell'Ordine. Morì assassinato dal maestro dell'ospedale dello Spirito Santo, che per indegnità aveva deposto dall'ufficio, durante la processione della Santa Croce, il 14 settembre 1214, sul punto di partire alla volta di Roma per partecipare al Concilio Lateranense IV. 4) S. Brocardo Anche di quest'uomo, che pure occupa nella storia dell'Ordine un posto importantissimo, le notizie certe sono scarse. Gli storici, argomentando dal nome, lo ritengono ,di nazionalità germanica, o quanto meno originario dell'Occidente. Forse anche lui come tanti altri abbracciò la 4) Per notizie più diffuse vedi D. F. PIAxZOLA, S. Alberto Avogadro ,dell'Ordine MOl'tariense, legislatore dei Carmelitani, in lì Monte Carme/o, 23 (1937), 196-198, 225-228; 24 183-191.
(1938), 24-23. 48-51, 89-91,
H7-153,
ORGANIZZAZIOKE SUL M. CARMELO
vita eremitica dopo aver fatto parte delle crociate cristiane. Chiamato al governo dell'Ordine lo resse santamente per oltre trent'anni, sembra dal 1188 al 1222.5 ) S. Brocardo proseguì 1'opera del predecessore portando a felice compimento la costruzione del monastero iniziato da Aimerico, coll'oratorio centrale dedicato alla B. Vergine. Nello scritto che si intitola Citez de l herusalem, composto verso il 1220, si legge: Vicino all'abbazia eli S. Margherita, sul versante dello stessa monte [Carmelo] esiste una località dilettevole ave abitano gli eremiti latini, detti fratelli del Carmelo; ivi è una piccola chiesa dedicata alla Beatissim.a Vergine, e nello stesso territorio abbonda acqua buona che scaturisce dalle rupi. ") L'abbazia dei greci dista cb quella dei latini una lega e mezza. ,)
Nel corso del secolo XIII (qualcuno forse vivente lo stesso S. Brocardo) sorsero vari altri monasteri in Terra Santa e in Siria, e cioè ad Accon (Tolemaide), Tiro, Tripoli di Siria, Bel Sito (<< Belli loci ») alle falde del Libano, Gerusalemme, nel deserto della Quarantena (tra Galgala e Gerico) e a V alino (così detto dal nome del costruttore) a 12 leghe da Gerusalemme verso oriente. S) Dell'alto livello di vita spirituale raggiunto allora sul Carmelo abbiamo le più unanimi testimonianze, per cui il richiamo insistente al tenore di vita degli antichi Padri da parte dei santi e dei riformatori dell'Ordine non pro"
v.
"~l DA'IlEL A MARIA, Spec. Carm., II, 2271. Lo Zimmerm:m. che segue Papebroek, pone come molto probabile il generalato di S. l!rocar(\u dal 1200 al 1231: MOIl. hist. carm., 278. ") Perciò nella Regola si dice «juxta fontem ».
,) MOIl. hist. carm., 281. ') F. RIBOT, o. CARM., Libri decem de illstitmione... et pemiiaribw geJlis religiosort:m carm ditl1/"l1m , in Spec. Caml., I, 408-409.
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INTRODUZ!ONl<:
ced~ da i~e: immaginarie, ma dalla realtà concreta dei fattI. Ne c1tIamo alcune di quel secolo: . G~egorio IX nel 1229 si preoccupa che avendo essi sa. h~o .11 monte per pregare col Signore e avendo lavati i pIed1, non abbiano nuovamente a sporcarli scendendo dalla specola .dell~ .contemplazione.:') Nicolò Gallico (1270 c.) par~a dI relIgIOne santissima; per la eccellenza della devozl~ne pa~agonabi~e al~oro, perchè come l'oro è il più. prezIOSO del metallI, COSI quella carmelitana è tra tutte l~ religione più eletta per lo spirito di più alta ~ontempla~ z~o?e di. cui è infor~ata. "0) Il profumo della sua santità, chfìuso 111 lungo e 111 largo, traeva irresistibilmente alla solitudine dell'eremo. i l) Le Costituzioni del 1281 chia~ano gli eremiti del Carmelo veri amatori della contemplazione delle cose celesti. 12) . A ~iudicare dalla richiesta avanzata al legato pontificIO, dalla organizzazione conferita all'Ordine e dal suo rapido sviluppo, si deve riconoscere a S. Brocardo un esatto c.ancetto della vita religiosa, e di quella eremitica in partIcolare, mente aperta, senso pratico e grande capacità di governo. Secondo l'autore della Lettera di S. Cirillo, nel fare la ri~hiesta della Regola, avrebbe insieme sottoposto al patnarc.a Albe~to, per una autorevole definizione, i vari pro-
blemI che
SI
ponevano allora e sui quali non vi era, tra
l') BuUarium CarmelitanI/m; cd. Eliseus Monsignanus, o. Carm., I, Romae, 1715, 4. "0) La Flèc1le a~dellte Ignea sagitta, in [FRANçOlS DE SAINTE .l'v!AR[E, O.C.D.], Les plus vzeux textes dlt Carme! traduits et commemés Paris [1949J, 166. ' , ") Ivi, 168. 12) COl1stitllliones cap. LOlldinemis, in Alla!. Ord. Carm., 15 (1950ì, 208.
ORGAN1ZZAZIONE SUL M. CARMELO
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gli eremiti, uniformità di vedute. '0) Gli antichi storici dell'Ordine gli attribuiscono anche la stesura di alcuni statuti, che avrebbero preceduta la Regola e avrebbero offerto a S. Alberto adeguata materia. Si tratta però di affermazioni che possiamo accettare come semplici congetture. La tradizione ci ha tramandato il suo testamento spirituale, che, autentico o meno, indica sempre in quale alto concetto di santità e di pietà mariana fosse passato alla storia. «Figliuoli miei (avrebbe detto vicino a morire) Dio ci ha chiamati, con predilezione, nell'Ordine degli eremiti, e per suo singolare privilegio siamo detti Fratelli della B. Vergine Maria. Procurate, dunque che, dopo la mia morte, non abbiate a portare indegnamente questo nome: perciò siate costanti nel bene, disprezzate le ricchezze, fuggite il mondo e regolate la vita tenendo ad esempio quella di Maria e di Elia ».14) CosÌ sono quattro i personaggi che con identità di vedute e di propositi, profondono cuore e intelligenza nella organizzazione di un istituto religioso, che se anche esiguo nel numero e semplice nella struttura, conteneva già tutti gli elementi necessari ad uno sviluppo progressivo e graduale. La Regola di S. Alberto, peraltro, valorizzando le tradizioni spirituali legate indissolubilmente al Monte Carmelo e alla figura del profeta Elia, che più di tutti lo rese famoso, e le esperienze e i suggerimenti di uomini santi, può considerarsi come un ponte ideale tra l'Oriente e l'Occidente per l'assimilazione e la trasmissione nei secoli dello spirito di orazione e di azione che ebbe nel profeta l'esponente più alto e più qualificato di tutti i tempi. 13) Epistola s. Cyrilli, in Anal. Ord. Carm., 3 (1914-16), 284-5. 14) Fita [S. Brocardi] ex ora/ione paraellelica Tlzomae Bradley, in Spec. Carm., II, 2277. Cf. anche Bra'iariu1I1 Carmelital1um, al 2 5ettembre.
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INTRODCZIONE
VICENDE DELLA REGOLA
1. L'opposizione dei prelati
IV VICENDE DELLA REGOLA S. Alberto aveva dettata la Regola per una comu111ta di solitari, la cui insegna era la semplicità e la povertà, in una determinata situazione non solo di ideale, ma anche di ambiente, senza pensare o preoccuparsi di evoluzioni e di emigrazioni. Gli eremiti del Carmelo, pienamente soddisfatti della vita umile e fervente che potevano condurre in quella solitudine, la cui storia non cedeva alla bellezza, non si ponevano altri problemi all'infuori di quello di servire Dio con cuore puro e coscienza buona. Giacomo di Vitry, eletto vescovo di Accon nel 1214, nella sua Historia orientalis scritta nel 1221, ci fa sapere che quegli eremiti, vivendo ad esempio e ad imitazione del santo profeta Elia, conducevano vita solitaria presso la fontana del profeta, non lontano dal monastero eli Santa Margherita Vergine, abitato da monaci greci e «come api del Signore mellificavano dolcezza spirituale in alveari di piccole celle ».1) Senonchè, a breve distanza di tempo, per l'espansione e l'incalzare degli eventi vennero a trovarsi di fronte a cir~ costanze tanto dure quanto impreviste. Di esse le principali furono: l'opposizione di alcuni prelati, la persecuzione dei Turchi, la difficoltà di osservare lo spirito e la lettera della Regola di S. Alberto in seguito alla decisa e avvenuta emigrazione in Enropa. l) Allal. Ord. Carm., 3(1914-16), 269.
L'opposizione dei prelati trasse motivo dal famoso decreto del Concilio Lateranense IV, celebrato nel 1215 da Innocenzo III. Tenendo conto la confusione cui poteva dar origine il sorgere incor:trollato di ~stituti. r~lig~osi, il Concilio proibiva che se ne iondassero d1 nUOVI, mdICando a chiunque avesse voluto consacrarsi a Dio, quelli approvati. 2 ) • • Per sè il decreto non solo non poteva considerarsi con-· trario alla esistenza dei carmelitani, avendo essi ricevuta la Regola dal patriarca di Gerusalemme e, di più, Legato pontificio, almeno 5 anni prima, ciò che im~or.tava almeno implicitamente l'approvazione, ma propno .m forz?, di esso, al pari degli altri Ordin~, quello ~ar~ehtan~ rlceveva irr:plicitamente l'appro:azlOne"pontlfiCla: La nser:: va, infatti, alla Sede ApostolIca deli approvazlOne deg~1 Ordini non esisteva prima del concilio, e il decreto pr01: bitivo ricruardava solo il tempo avvenire, mentre qudh crià esistebnti non venivano molestati. S. Alberto nel dare la Regola aveva con ciò stesso approvato l'Ordine in forza della sua giurisdizione ordinaria. . . Ciononostante, come ci tramanda Slberto dI Beka, alcuni prelati della Terra Santa, prendendo motivo da quel decreto mossero le prime difficoltà, mentre gli eremi.ti portavano ad effetto la prima espansione nella Palestma. A favore di questi insorse, però, il patriarca Rodolfo, successore di Alberto nella sede del patriarcato di Gerusalemme, e tra i partecipanti stessi al concilio, il quale, presa' 2)]. B. MANSI, Sacrarm/l COllciliarum ?lava et. amplis~ill1a coli ce/io,. XXII, Venetiis, 1778, col. 1002: «Quicumque voluent ad re,lglOnem converti, unam de approbatis assumat. ~imilite: qui vol.u~nt rchglO~am domum fundare dc novo, regulam et mstltutlOnem <ICClpiat de rehglOmbu$. approbatis ».
INTRODUZIONE
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visione della Regola impose silenzio. Il medesimo Rodolfo, tuttavia, prevedendo nuove difficoltà, consigliò un ri. corso alla Sede Apostolica' per una approvazione espli..-et'ta. 3) Onorio III, successore di Innocenzo, tenendo anche lui ,_conto che la Regolà era stata scritta prima del decreto conciliare, esaudì le suppliche dei due eremiti arrivati ambasciatori alla sua corte, e in data 30 gennaio 1226, pub.blicò da Rieti la relativa bolla del seguente tenore: Onorio, vescovo, servo dei servi di Dio. Agli amati figli priore ;,e fratelli del Monte Carmelo, salute e benedizione apostolica. In condono dei vostri peccati, imponiamo a voi e ai vostri successori, ,di osservare regolarmente per l'avvenire quanto potrete coll'aiuto ,di Dio, la norma di vita del patriarca di Gerusalemme, di buona .memoria, che dite di aver ricevuta umilmente prima del Concilio 'generale. Dato a Rieti il 30 gennaio 1226, anno decimo del nostro pon,tificato. 4)
.Così l'Ordine acquistava, in forma esplicita, diritto alla .·esistenza e alla diffusione in seno alla Chiesa. La portata dell'avvenimento con le sue ripercussioni ,e conseguenze, atteso senza dubbio con molta ansia, ebbe allora e in seguito la giusta valutazione; sembrò anzi tanto :fuori o al di sopra delle speranze umane, che fu attribuito :all'intervento straordinario della Madre celeste. Per cui .non solo si tramandò nel ricordo, ma, dalla metà del se:colo XIV, cominciò ad essere celebrato con festa liturgica. La commemorazione solenne della B. Vergine del Monte 'Carmelo, divenuta al principio del secolo XVII la festa or Ad maius robur praestandum dictae Regulae »:
S. DE BEKA, O. De considerati! super Carmelitarttm Regula, in Spec. Carm., I, 349. 4) EIIIl. Carm., I, 1. 3)
,CARM.,
VICENDE DELLA REGOLA
massima dell'Ordine, volle essere, all'inizio, un atto di riconoscenza e di ringraziamento alla Vergine SS. per l'approvazione della Regola e per tutti gli altri benefici che ,vennero in seguito e da essa derivarono in qualche modo. ") Certo se consideriamo il clima allora vigente nei :iguardi degli Ordini religiosi, appare assai probabile che Il papa, nel concedere la richiesta approvazione, avesse dovuto superare non lievi difficoltà. ; Dna volta ottenuta l'approvazione pontificia era legittImo pensare che l'Ordine nOn avrebbe più incontrato difficoltà, nè in Oriente nè in Occidente, da parte delle autorità ecclesiastiche; ma le cose andarono diversamente, tanto che fu necessario richiedere ancora, e non una sola volta, l'intervento della S. Sede per far tacere le opposizioni. In ordine cronologico le bolle pontificie a favore delfOrcline si successero in quel secolo XIII come segue: Innocenzo IV, nel 1247, ne pubblicò tre. Nella prima del 26 luglio raccomandava ai vescovi di accogliere favorevolmente nei territori di loro giurisdizione gli eremiti del Monte Carmelo e di conceder loro le facoltà richieste per celebrare i divini uffici e per avere sepolture proprie. ti) Nella seconda del l° ottobre approvò il testo adattato dai due domenicani, il card. D go di S. Caro, del titolo Ji S. Sabina e il vescovo di Antaràda Guglielmo. 7) Nella terza del 4 -ottobre raccomandava ai fedeli di provvederli con carità e liberalità di luoghi adatti al servizio del Signore. 6) Lo stesso pontefice, nel 1252, raccomandava ai vescovi di intervenire debitamente in loro favore perchè C,) Cf. A. FORCADELL, O. CAR~r., Commemora/io solemnis B. M(/ri:l~ :VirgÌllis de M. Carmelo, Romae, 1951, 70-73. ~) Bull. Carm., I, 8. 7) Ivi, I, 8-11. P) Ivi, 1, 522.
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INTRODUZIONE
non fossero molestati nella costruzione di monasteri (<< cellas »), chiese, cimiteri e campanili.9) Anche i pontefici succeduti a Innocenzo IV, e cioè Alessandro IV, Urbano IV, Clemente IV, emanarono bolle a favore degli eremiti del Carmelo, dal che è facilè dedurre il sussistere di intralci e di opposizioni da parte del clero, nonostante l'atteggiamento favorevole della Santa Sede. Una brusca parentesi si ebbe, invece, nel Concilio di Lione del 1274, nel quale si tornò a interdire il sorgere di nuovi Ordini; quelli approvati dopo il Concilio Lateranense vennero assoggettati a speciali limitazioni, e mentre per i francescani e i domenicani non veniva mossa eccezione di sorta, per i carmelitani e gli agostiniani si decretava espressamente che avrebbero potuto continuare ad esistere nella loro condizione finchè non fosse stato· disposto diversamente. 10) Fu il pontefice Bonifacio VIII,. nel 1298, ad abolire la clausola restrittiva fi1Jchè non sarà disposto diversamente, e a mutare la formula in suo statu manere concedimus con l'altra in solido statu volumus· permanere. 11) 2. La persecuzione dei Turchi
Dalla narrazione di Guglielmo di Sanvico riportata. sopra e da altri storici sappiamo in quali difficoltà si venissero a trovare gli eremiti del Carmelo, verso il 1230,. a causa delle alterne vicende delle crociate e delle conse") Bolla Ex parte, <lei 13 gennaio 1252, in AllaI. Ord. Carm., 2 (191113), 128. 10) Constitutio 23: de religiosi; domiblls, 111 episcopo sin! mbiectae,. in MANSI, Sal1·orum COllciliorum, XXIV, Venetiis, 1780, 96-97. 11) Bolla Ten01'em miusdam, <le! 5 maggio 1298, in Bull. Cal'm" l,. 48-49.
VICE:SDE DELLA REGOLA
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guenti incursioni dei Turchi. Essi compresero perfettamente la gravità della situazione ed intuirono che a lungo andare non esisteva per essi altra alternativa: o rimanere attaccati al Carmelo e alle altre località della Terra Santa, ove intanto si erano sparsi, per continuare fedelmente nella osservanza dello spirito e. della lettera della Regola e delle, tradizioni degli antichi Padri, a costo anche di venire sommersi dalla tempesta, o emigrare in Europa, colla prospettiva di doversi adattare a una forma di vita non perfettamente identica a quella delle origini. Il capitolo tenuto sul Carmelo nel 1238, nel quale prevalse la seconda prospettiva, dovette avere fasi altamente drammatiche, e la qualifica di infirmiores che Guglielmo di Sanvico attribuisce ai patrocina tori della emigrazione fa intendere come i più ferventi si fossero dichiarati contrari. Al pericolo di allontanarsi dallo spirito puro dell'Ordine essi preferivano la morte. Tuttavia, ad onta delle difficoltà e delle persecuzioni il Carmelo continuò ad essere abitato fino al 1291, '2) quando si impose la ineluttabile necessità di abbandonare la Terra Santa. 3. Le interpretazioni e le mitigazioni della Regola
Non fa meraviglia che la Regola di S. Alberto, dettata per un piccolo gruppo di eremiti, in una forma concisa, quasi schematica, avesse ben presto dato origine a dubbi di interpretazione, e col cambiarsi delle circostanze ambientali, fossero sorte non lievi difficoltà di poterla osservare nello spirito e nella lettera. Questo spiega i ricorsi alla Sede Apostolica nel 1229 e nel 1247. lZ) G. DE SANVICO, O. C.~RM., Chrollica de l1Wlliplicalione "eligionis CarmclitLll'um ... , in Spec. Carm., I, 448.
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lNTRODiJ;:rO~;E
Il primo dubbio sorse per la interpretazione del punto riguardante la povertà. La Regola stabiliva: «Nessun frate dica di aver alcuna cosa come propria, ma tutto vi sia comune, e di quelle cose che il Signore vi a"rà dato, sia distribuito a ciascuno per mano del priore », ecc. La disposizione interdiceva qualsiasi forma proprietà o soltanto quella privata? E nel primo caso non sarebbe stato opportuno domandare al papa di permettere la proprietà in comune come era di altri Ordini religiosi? La richiesta fu avanzata e Gregorio IX, in data 6 aprile 1229, rispose proibendo severamente di ricevere, in alcun modo, in proprietà, i siti ove sorgevano gli eremi, o possedimenti, o case, o altri redditi: unica eccezione asini maschi, e qualche animale e volatile per nutrimento. B) La risposta, legittimata dal fine specifico dell'Ordine, è abbastanza chiara. Nessuna proprietà, nè privata nè comune. Unica eccezione, resa necessaria dai bisogni della vita, gli asini per il trasporto del vettovagliamento, della legna ecc. e qualche animale, o volatile, per sopperire, coi loro prodotti (uova e latte) alle esigenze alimentari, quando non vi avesse provveduto, a sufficienza, la carità dei fedeli. Fu in considerazione di una povertà così rigorosa e radicale che Innocenzo IV, in data 13 giugno 1245, invitava i fedeli a provvedere gli eremiti del Monte Carmelo del necessario per vivere. 14) Ma, tra tutte, la data più memorabile nella storia della Regola, fu quella del 1~ ottobre 1247. Siberto di Beka ci tramanda una relazione abbastanza 13)
Eull, Carm"
I, 4-5.
H) Ivi, I, 7.
VICEl0DE DELLA REGOLA
'l' ,)-.t,'
dettagliata di quegli avvenimenti, di importanza veramencte storica per l'Ordine: A vendo i professi di questa religione, ricevuta la Regola di, vita da Alberto, patriarca di Gerusalemme, la successiva e lunga esperienza fece loro comprendere che alcuni punti di essa erano' tanto dubbi che bisognavano di dichiarazione e correzione, altri poi tanto onerosi che bisognava mitigarli. Per tali motivi inviarono alla Sede Apostolica due dei loro prudenti religiosi, cioè Reginaldo ' e Pietro, per ottenere la dichiarazione, la correzione e la mitigdzione ... Ora il papa Innocenzo IV, accedendo alle loro devote richieste, ne rimise il compito a Pr. U go, del titolo di S. SabinD" cardinale prete, e a Pr. Guglielmo, vescovo di Anterada, ambedue domenicani e maestri in teologia... i quali, con autorità apostolica, dichiararono, corressero e mitigarono come segue ... "")
Data l'importanza del documento pontificio lo riportiamo nel suo testo originale, e vi aggiungiamo una no-, stra traduzione: Priori et fratribus heremitis de monte Carmeli. Que honorem Conditoris omnium et profectum continent animarum, roboris presidio sunt fulcienda perpetui; set illa precipue super quibus Apostolice Sedis auctoritas salubris providentie studium noscitur habuisse. Cum itaque nos, ad vestre supplicationis instantiam, per dilectum filium nostrum Hugonem· tituli Sancte Sabine presbyterum cardinalem, et venerabilem fratrem nostrum Guiliel· mum Anteradensem episcopum, quedam regulè. vestre dubia dedarati et corrigi, ac etiam que15)
s.
DE BEKA,
Al priore e ai frati eremiti. del Monte Carmelo. Ciò che torna a gloria dr!. Creatore dell'universo e a orofitto delle anime deve essere ~on v,,!idato col sostegno di una forza perenne; quello, sopratutto, su cui è noto che l'autorità delIa Sede Apostolica abbia eserci- . tato cura di salutare provvidenza. A vendo perciò noi, dietro vostra richiesta, fatto dichiarare" correggere e, alcune cose piLI gravi, anche benignamente mitigare dal nostro diletto figlio Ugo,_. del titolo di S. Sabina, prete car- . dinale e dal nostro venerabile'
De consideratis, in Spec. Carm" I, 360.
INTRODUZIONE
Jam ipsius gravia misericorditer fecerimus mitigari, prout in litteris in de confectis plenius continetur, Nos vestris piis desideriis annuentes, declarationem et correctionem ac mitiga· - tionem hui usm.odi auctoritate apostolica connrmamus et pre· sentis scripti patrocinio communimus. Tenorem autem litterarum ipsarum de verbo ad verbum fecimus presentibus anno· tari, qui talis est: F rater Hugo, miseratione di'-;ina tituli Sancte Sabine pr·~ sbyter cardinalis, et frater Guilielmus, eadem miseratione AIlterandensis episcopus, carissimis in Christo filiis viris religiosis ... priori generali et difÌÌnitoIibus capituli generalis fratrum. de Carmelo, salutem in omniuill. salutari. .-\ccedentes ad aoostolicam Sé:dem fratres clerici' Reynaldus et Petrus ordinis vestri, ex parI.:: vestra a domino papa humiliter postularunt, ut quedam, que ;n ",estro privilegio et regula olim vobis a felicis memorie Alberto patriarca Ierosolimitano tradita wntinentur dubia, declarare, corrigere, ac quedam gravia mitigare misericorditer dignaretur. Cum igitur dominus papa eorum devotis supplicatiollibus annuendo nobis commiserit, ut declarationem, correctionem et mitigationem huiusmodi facere-
fratello Guglielmo, vescovo di Anterada, come si contiene pil! ampiamente nelle lettere a ciò redatte, noi, accedendo ai vostri pii desideri, colla nostra autorità apostolica, confermiamo tale dichiarazione, correzione e mitigazione e la convalidiamo colla efficacia del presente scritto. Abbiamo anche provveduto a trascrivere letteralmente in queste [ lettere) il tenore delle stesse lettere, che è come segue: Fr. Ugo, per divina misericordia prete cardinale del titolo di Santa Sabina e Fr. Guglielmo, per la stessa misericordia, vescovo di Anterada, ai carissimi figli in Cristo... priore generale e definitori del capitolo generale dell'Ordine dei frati del Carmelo, salute nel Salvatore di tutti. Essendo giunti alla Sede Apostolica i frati chierici del vostro Ordine Reginaldo e Pietro, essi, a nome vostro, hanno chiesto umilmente, al Signore papa che si fosse degnato dichiarare e corregge alcuni dubbi, contenuti nel vostro privilegio o Reg<Jla, datavi da tempo da Alberto, patriarca di Gerusalemme, di felice memoria, e alcune cose pioli gravi, si fosse anche degnato benignamente mitigare. E poichè il Signore papa, annuendo alle loro devote suppliche commise a noi di fare, in
VICENDE DELLA REGOLA
mus vice ipsius secundum quod bono sta tu i ordinis et fratrum saluti expediens videremus, religioni vestre qua fungimur auctoritate mandamus quatenus regulam a nobis correctam, decla.r:.atam et mitigatam, prout expedire vidimus, devote recipientes eam firmiter observetis, et ad in star eiusdem alias vestras regulas corrigatis, quam vobis per eosdem fratres, sub sigillis nostris mittimus in hac forma: Albertus, etc.
33 sua vece, tale dichiarazione, COfrezione e mitigazione, seconùo ci fosse sembrato vantaggioso allo stato dell'Ordine e alla salvezza dei frati coll'autorità di cui siamo investiti, comandiamo che ricevendo con devozione la Regola da noi corretta, dichiarata e mitigata, secondo abbiamo ritenuto opportuno, la osserviate fedelmente nella seguente forma che vi rimettiamo per gli stessi frati, munita dei nostri sigilli e correggiate, secondo il suo tenore, le altre vostre Regole.
Segue l'intero testo della Regola dichiarata, corretta e mitigata, che riportiamo più sotto. Actum Lugduni, anno Domini M.CC.XLVII, domini pape Innocentii quarti anno V, kalenris Septembris.
Dato a Lione, l'anno del Signore 1247, anno V del Signore papa Innocenzo IV, primo settembre.
Nulli ergo etc. nostre confirmationis etc. Si quis etc.
A nessuno dunque ecc. ecc.
Datum Lugduni kalendis Octobris, anno V. 16)
Dato a Lione, il primo ottobre, anno V.
Non vi è dubbio che i due carmelitani, di cui si parla nella bolla pontificia, avessero indicato, su mandato ricevuto, i punti della Regola sui quali si volevano le spiegazioni, le correzioni o le mitigazioni, e che i medesimi avessero anche esposto su ciascuno di essi il punto di VIH) L'edizione diplomatica della Qual' honorem conditoris è stata curata da M. H. Laurent, O.P., in Eplzemerides Carme/iticae, 2 (1948), 5.16. Dal medesimo registro Vaticano 1'aveva già pubblicata G. \Vessels, O. Carm., in Anaì. Ord. Carm., 2 (1911-13), 556·5Gl. 3.
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INTRODUZI0l"E
sta dell'Ordine, così che non ci fu imposizione da parte della Santa Sede, ma piuttosto un benevolo accoglimento di quelli che erano i punti di vista se non di tutti i re~ ligiosi, almeno della maggioranza. Secondo l'attuale divisione, le varianti, come si può vedere meglio dai due testi comparativi, riguardarono i capitoli come segue: CAP. 1. Vi furono aggiunte le parole cum castitate et abdicatione proprietatis. Siberto di Beka ne spiega il motivo: poichè i tre voti costituiscono la sostanza della professione religiosa fu ritenuto opportuno esprimere insieme alla obbedienza anche la castità e la povertà. L'aggiunta ha carattere di dichiarazione o spiegazione. CAP. 2. Aggiunto integralmente per non vedersi intralciata l'espansione dalle difficoltà di trovare luoghi adatti che avessero richiamata la solitudine del Carmelo e per superare l'opposizione dei vescovi. Infatti, come ci fa sapere lo stesso Siberto di Beka, alcuni prelati rifiutavano ai carmelitani l'ingresso nelle proprie diocesi adducendo a motivo che la Regola di S. Alberto era stata scritta per gli eremiti del Monte Carmelo, ai quali perciò non era consentito dimorare altrove; altri, poi, pur ammettendoli volevano che avessero abitato solo negli eremi, non nelle città e nei villaggi. L'aggiunta di questo capitolo: potrete aver luoghi negli eremi o dovullque vi Sarall1l0 dati, purchè adatti e comodi alla osservallza della vostra Religiolle ecc. può considerarsi una correzione per quanto riguarda la struttura eremitica designata dalla Regola di S. Alberto e una n1i~ tigazione per quanto riguarda il diritto di possedere in comune. Infatti quando si ha il diritto di ricevere in dono
VICENDE DELLA REGOLA
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si ha anche il diritto di possedere, essendo la donazione trasferimento di proprietà. CAP. 4. Fu aggiunta la clausola della refezione in comune, sia perchè più conforme alla struttura cenobitica che andava delineandosi, sia per evitare, dove si fosse mantenuta la forma eremitica, gli inconvenienti derivanti dal dover portare a ciascuno il cibo nella propria cella. Anche quest'aggiunta ha carattere di correzione. CAP .. 8. La variante apportata a questo capitolo (cf. i due testI a pago 46) ebbe lo scopo di togliere il dubbio che oltre alla recita delle Ore canoniche (obbligo inerente allo stato clericale) si fosse tenuti anche alla lettura dei Salmi. Si tratta cii semplice dichiarazione. . CAP. 9. Le varianti apportate a questo capitolo sono di ~iversa natura (et. i due testi a pago 46 s.) 1. Al testo originario furono tolte le parole: Et ex iis quae Domìllus vobis dederit, perchè generavano il dubbio che il priore avesse potuto distribuire solo ciò che il Signore mandava per elemosina, non quello che i religiosi potevano ouadagnare lecitamente col lavoro, o acquistare in altra fo~ma onesta. Si tratta dunque di dichiarazione. 2. La parola uomo fu sostituita colla parola frate per non essere sogoetti aoli estranei: qui abbiamo una correzione. 3. Furo~o int~o dotte nel nuovo testo le parole contenute nella bolla di Gregorio IX: asinos autem sive mulos, ecc. che possono considerarsi una dichiarazione. CAP. 13. Da questo capitolo furono tolte le parole semper e nimiae, e fu aggiunta la clausola: Et quia vos oportet frequenter melldicare itineralltes, ecc. Le esigenze che venivano creandosi colla espansione dell'Ordine, e le
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condizioni proprie dei Mendicanti avevano resa inevitabile una mitigazione al grande rigore primitivo, la quale, via via, doveva ampliarsi notevolmente, come si dirà in appresso. CAP. 16. Il silenzio stretto, che andava dal Vespro a Terza, fu limitato da Compieta a Prima, perchè, spiega Siberto di Beka, dalla levata del sole fino a Terza e dal Vespro fino al tramonto spesso dovevano sbrigarsi delle faccende che non era facile compiere in stretto silenzio, come, ad esempio, l'istruzione dei frati; e se in quelle ore si violava il silenzio sorgeva il dubbio che fosse veramente esistita una causa giusta o una vera necessità. Anche qui si tratta di mitigazione. 17) Come è facile capire da un esame anche sommano, Innocenzo IV, per mezzo dei suoi delegati, introdusse nella Regola adattamenti e cambiamenti di notevole portata. Con essi l'Ordine, sorto eremitico, forse senza pensare e preoccuparsi di un forte sviluppo numerico e senza pretese di larga diffusione in senso geografico, cominciava ad appartenere alla categoria degli Ordini Mendicanti, si vedeva aperto il campo dell'apostolato, come era nei desideri ardenti di S.' Simone Stock, e permesso anche l'accesso alle università, nelle quali francescani e domenicani gareggiavano con nomi famosi. Naturalmente la struttura sostanziale della Regola, in ciò che riguarda la parte spirituale, il fine specifico da raggiungere e i mezzi per arrivarci rimase inalterato. Le dichiarazioni, le correzioni e le mitigazioni ebbero per oggetto solo quei punti che difficilmente si potevano conciliare colle esigenze dei luoghi
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e col nuovo indirizzo apostolico, cui l'Ordine tendeva o p~tevano intralciare lo sviluppo verso il quale era or~ai onentato, o anche generare perplessità e incertezze di interpretazione. Con molta efficacia l'argomento delle mitigazioni di Innocenzo IV, e quelle sull'astinenza e il digiuno venute in seguito, fu chiarito dalle Costituzioni della Riforma Turonense del 1636: Poichè la parte primaria e principale del nostro istituto, quasi essenza della religione carmelitana, sempre inerente ad essa, che conferisce a tutto il corpo lo spirito ereditato dal profeta Elia, il quale, coll'aiuto della grazia divina, non permetterà mai di estinguersi, consiste nello studio della orazione, nella continua conversazione con Dio, e nella unione intima con lui, nonchè nella perenne mortificazione dei sensi, sia interni che esterni, i nostri asceti debbono tener fissa la mente a questa prima che ad ogni altra cosa, anteporla a tutt'o, e quindi abbracciare o rigettare, secondo che essa suggerisce, questi o quegli uffici, questi o quei mezzi. Del qual fine primario, o spirito dell'Ordine, nulla è stato mai cambiato o mitigato. Infatti i pontefici niente hanno mai tolto aìla rigorosa osservanza della obbedienza, alla continua permanenza nelle celle quando manca altra occupazione, alla recita delle Ore canoniche, allo studio assiduo della legge [di Dio] mediante la lettura, l'orazione e la meditazione; nè hanno mitigato l'obbligo della più intima contemplazione, dell'amore alla solitudine, della assiduità al lavoro per evitare le tentazioni proprie dell'ozio, Jel culto particolare del silenzio, della rinuncia di tutte le cose, degli esercizi spirituali di umiltà, mansuetudine, modestia, carità,' penitenza e di tutte quelle opere supererogatorie, tenute sempre in altissimo conto nel nostro Ordine come parti primarie, essenziali e sostanziali. 18)
18) Regula et constltutlOnes fratrum... de M. Carmdo pro conllcntibut reOormationis gallicae in provincia Turonenn, [Parisiis, 1636], 19~20. 11)
Cf. S.
DE BF.KA,
Dc consideratis, in Spcc. Carm., I, 360-69.
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1!
Mitigazione della legge dellJastinenza.e del digiuno
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vitabile necessità di dover mangiar carne fuori conventO. 21 ) In seguito, fossero le esigenze dell'apostolato o le ~iffìc?ltà ~ procurarsi sempre cibi di magro, o le fr:quen~I . epIdemIe, o f~sse la rilassatezza del fervore religioso, la le~ge. della aSh?~nZa perse gradualmente la sua rigida apphca~lOne. COSI m Inghilterra, almeno dal 1396, per conceSSIOne del cardinale protettore Pandolfo si mangiava carne, e nel 1431, il priore generale Roccoli (Roqualio), senza dubbio provvisto di facoltà speciali, in occasione del capitolo della provincia Toscana, concedeva ai conventi di quella provincia l'uso delle carni nei giorni di domenica martedì e giovedì; 22) mentre nel convento di Firenze si mangiava carne almeno dal 1418. 23) Ciò per quanto ci è noto oggi. . Peraltro non sappiamo se i tanti mali che funestarono la Chiesa e la società civile nei secoli XIV e XV avessero generato degli abusi o avessero inclinato a far interpretare con larghezza le parole infermità e debolezza, introducenqo consuetudini non conformi alla Regola. '. In ogni Caso, o per provvedere a reali esigenze, o per legittimare una situazione illegale, o per tranquillizzare le cosçienze, Eugenio IV, il 15 febbraio 1432, 24) dietro richiesta del priore generale dell'Ordine, dei provinciali e dei frati, concedeva l'uso delle carni tre volte la settimana. La. relativa bolla Romani Pontifieis providentia prende in esame due punti della Regola: quello riguardante l'obbligo della astinenza e· del digiuno e quello di rimanere
La legge della astinenza dalle carni era nell'antichit~ piuttosto comune alla istituzione monastica, però S. Alberto aveva voluto accentuarla stabilendo che doveva essere perenne: semper abstineatis e considerava, come uni{;a eccezione, il caso di malattia o di grande debolezza. Poichè colla emigrazione in Occidente e la diffusione dell'Ordine in varie regioni d'Europa nacquero gravi difficoltà alla esatta osservanza di questa legge e dubbi sulla sua interpretazione, tra le richieste presentate a Innocenzo IV vi fu anche quella di abolire integralmente la clausula della astinenza: petebant hane dieta m clausulam de Regula . totaliter deleri. 19 ) Ma i due commissari incaricati della revisione, appartenenti all'Ordine domenicano, nel quale allora si osservava astinenza perpetua, non ritennero opportuno accedere alla domanda; tuttavia, come è stato notato sopra, mitigarono alquanto il rigore primitivo sopprimendo le parole semper e magnae J e provvedendo alle particolari esigenze dei questuanti e di coloro che si fossero trovati a viaggiare in mare, uniformandosi alle leggi del proprio Ordine. 20) . Nel senso così stabilito da Innocenzo IV le disposizioni della Regola vennero osservate per lungo tempo, come possiamo dedurre dalle Costituzioni emanate nei secoli XIII e XIV,. nelle quali non solo si richiama il precetto della Regola, ma si comminano anche gravi pene contro i trasgressori. Tuttavia già quelle del 1294 prevedono l'ine-
Constitutiones cap. Burdigalensis a. 1294; ed. Ludovico Saggi, O. in Anal. Ord. Carm., 18 (1953), 139. L SAGGI, O. CARM., La Congregazione Mantovana dei Carmditam, 1954, lO. 2:1) Ivi, 38. 24) Poichè nella bolla si parla di Giovanni Faci, maestro generale dell'Ordine, che fu assunto all'ufficio solo nel 1434, si legitùma il sospetto di una retrodatazione. .
21) Carm., 22) Roma,
De consideratis, in Spec. Carm., I, 367. . . 20) Cf. M. H. VICAIRE, O.P., Saint Dominique de Calaruega d'après les docctments du XIII siècle, Paris, 1955, 145: «Que tous nos plats soient -sans viande dans nos couvents. Mais il est permis à nos frères de inanger hQrs. du convent des plats cuits avec de la. viande, pour ne pas etre à <:harge. à leurs hotes:t .. 19) S. DE BEKA,
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giorno e notte nelle celle a meditare nella legge di Dio e a vigilare nella preghiera. Per il primo concede che si possa mangiar carne tre giorni la settimana, anche se nei medesimi la Regola obbliga al digiuno, eccettuato l'avvento, la quaresima e gli altri giorni di proibizione generale; per il secondo che in ore convenienti i religiosi possano liberamente e lecitamente rimanere e passeggiare nelle chiese, nei chiostri e nelle loro adiacenze. Ciò fatto, la medesima chiarisce che per i punti in oggetto cessa ogni obbligo contratto colla professione, mentre l'osservanza della Regola così mitigata varrà sempre in remissione dei peccati, 25) senza pregiudizio alcuno per i privilegi acquisiti dall'Ordine, che vengono anzi espressamente confermati. Concede, inoltre, che i superiori, o altro sacerdote dell'Ordine, possano impartire in articulo mortis, previo il pentimento e la confessione, l'assoluzione generale dei peccati a chiunque avrà osservata la Regola mitigata e sarà vissuto nella obbedienza al Romano. Pontefice. 26 ) Evidentemente il papa si preoccupa di togliere qualsiasi dubbio e perplessità, di tranquillizzare le coscienze più delicate e di stabilire uniformità in tutto l'Ordine. Il tenore della bolla e gli speciali favori spirituali che in essa si concedono a chi osserverà la Regola mitigata fa supporre che non tutti i religiosi fossero favorevoli alla dispensa. Il dubbio trova conferma nelle imposizioni fatte dai capitoli generali che seguirono subito dopo. Cosi quello del 1440 prescrive che «tutti i frati della nostra Religione osservino la Regola secondo la mitigazione conCome aveva detto Onorio III: vedi Bull. Carm., I, 1. ";) Bull. Carm., I, 182-3. 25)
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cessa nuovamente dalla Sede Apostolica»; decreto riba-dito in quelli del 1456 e 1469. 27) Dopo Eugenio IV, altri due pontefici si interessarono' del medesimo problema. Infatti, sorto il dubbio se nei giorni nei quali era dispensata l'astinenza fosse rimasto l'obbligo del digiuno, del quale nella bolla di Eugenio IV nori si faceva menzione, Pio II rimise al priore generale, tenuto conto delle persone, dei luoghi e dei tempi, di dispensare negli stessi giorni anche dal digiuno, 28) finchè· Sisto IV dette facoltà al priore generale di determinare il numero dei giorni della astinenza e del digiuno, 29) tenuto ugualmente conto delle persone, dei luoghi e dei tempi. Così il capitolo generale del 1488, valendosi delle' facoltà pontificie, estese l'uso delle carni a quattro volte' la settimana, aggiungendo al martedì, giovedì e domenica. anche il lunedì. 30) Quanto ad accettare la mitigazione sappiamo che la Congregazione Mantovana, approvata nel 1442 dallo ste~so, Eugenio, vi aderì solo verso il 1465,31) mentre la riforma degli Scalzi sorse col dichiarato proposito di non valersene. Che nemmeno questa mitigazione abbia intaccato lo, spirito dell'Ordine è dimostrato, praticamente, dal fatto, che fu proprio il B. Giovanni Soreth (a nessuno secondo, nel promuovere la osservanza regolare, tanto da essere considerato, a buon diritto, un riformatore) a ritenere legittimo l'uso delle carni, e anche dal fatto che la stessa 21) Acta capitulm'um genera/ium Ordinis Fratrum B. V. Mariae de" M. Carmelo; ed. G. Wessels, o. Carro., I, Romae, 1912, 193, 235, 249. 28) Bull. Carm., 1, 260. 29) «Tres dies, plures ve! pauciores »: Bull. Carm., I, 30) Acta cap. gen., I, 295. 31) SAGGI, La Congregazione Mantovana, 240-1.
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Riforma Turonense, alla quale va riconosciuto il merito e il vanto di aver toccato, coi suoi mistici, il culmine della vocazione carmelitana, accettò la mitigazione senza difficoltà, anzi pienamente consapevole e persuasa della sua ragionevolezza. . La ricreazione in comune Lo stesso Eugenio IV, colla citata bolla portò al capitolo sesto della Regola un'aggiunta del seguente tenore: in ore convenienti possono (i religiosi) lecitamente e . liberamente rimanere e camminare nelle loro chiese, nei loro chiostri e adiacenze. La concessione fatta in termini piuttosto ampi, lasciava, ìmplicitamente, ai superiori dell'Ordine determinare le modalità dell'applicazione o mediante una legge generale o mediante gli orari particolari dei conventi. Prevalse così l'interpretazione della ricreazione in comune, . $anzionata, poi, ed imposta dalle Costituzioni sia dei frati che delle monache. 32) Anche gli Scalzi, in prosieguo di tempo, l'accettarono e l'interpretarono in tal senso, forse non avvertendo abbastanza che con essa ammettevano, in . questo punto, la facilitazione concessa da Eugenio IV, che pure S. Teresa dichiarava apertamente di rifiutare. 33) Sebbene, come vuole il Lezana, :14) più che di mitigazione debba parlarsi di dichiarazione estensiva della Regola, il fatto che nella bolla papale l'obbligo di rimanere in cella giorno e notte si accomuni a quello della astinenza e del digiuno, e, insieme, si riconoscano come prescrizioni dure e difficili a osservare, fa supporre che si proRispettivamente Artt. 180, 177. S. TERESA, Fondazioni, cap. 2. 34) J. B.DE LEZANA, O. CARM., Stlmma quaestionum reguZarium, V, Ro)mae, 1647, 621. 32) 33)
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pendesse, in quel tempo, almeno da alcuni, ad una interpretazione rigorosa. Concludendo riteniamo opportuno rilevare che la mitigazione e la dichiarazione di Eugenio IV sono di portata assai modesta, confrontate colle dichiarazioni, correzioni e mitigazioni di Innocenzo IV, per cui sorprende la tendenza ad accentuare quelle e a non far conto di queste) e molto più quando si attribuisce al testo approvato da Innocenzo IV il titolo di Regola primitiva. ai;)
,,,,) Il I fascicolo del 1948 di Epheinerides Carmeliticae fu dedicato ano studio . De Regala primitiva Ol'dinis B. li. Mariae dt' !II. Carmelo. L'errol'" ~i. trova nella stessa S. Teresa, nella quale, peraltro, è ass:li scusabl1e: (f. FOl1aa;:;Ìolii, c. 27, BUtTI. 11.
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lNTRODUZ!ONE
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I DUE TESTI DELLA REGOLA') Perchè il lettore possa cogliere più facilmente le differenze e rendersi conto della portata delle dichiarazioni, correzioni e mitigazioni di Innocenzo IV, trascriviamo i due testi della Regola: quello originario e quello approvato da Innocenza IV. TESTO DELLA REGOLA PRIMITIVA
TESTO COLLE VARL\Nn DI INNOCENZO IV
Albertus, Dei gratia Hierosolymitanae Ecclesiae vocatus patriarca, dilectis in Christo fìliis Brocardo et caeteris eremitis qui sub eius obedientia iuxta Fontem in Monte Carmeli morantur, in Domino salutem et Sancti Spiritus benedictionem.
Albertus, Dei gratia Ierosolimitanae Ecclesie vocatus patriarcha, dilectis in Christo i-ìJiis, Brocardo et ceteris heremitis qui sub eius obedientia iuxta Fontem in monte Carmeli tnoraotur, in Domino salute m et Sancti Spiritus benedictionem.
Multifarie multisque modis Sancti Patres instituerunt, qualiter quisque in suo Ordine fuerit vel quemcumque modum religiosae vitae elegerit, in oh-
Multipharie multisque modis Sancti Patres instituerunt, qualiter quisque in quocumque ordine fuerit, vel quemcunque modum religiose vite elegerit, in
1) Il testo della regola pnnutlva è desunto da Analecta Ord. Carm., 3 (1914-16), 213-218 (tolta la divisione in capitoli), che riproduce quella $tampata da [B. DE GHHANEIS, O. CARM.], Spectllum Ordinis Fra/rum Carmelitarum noviter impressum, [Venetiis, 1507], 29, a sua volta tolta dal Ribot (1370). Raffrontata col testo del Bull. Carm., l, 2-4, si notano alcune varianti. Il testo secondo le correzioni di Innocenzo IV è desunto da Ephemerides Carmeliticae, 2 (1948), 11-16. Quello oggi corrente presenta alcune varianti, dovute a trascrizioni non sempre esattissime.
l DUE TESTI DELLA REGOLA
sequio Jesu Christi vivere debe~t, et eidem fìdeliter de corde puro et bona conscientia deservin,:. Verum, quia requiritis a Nobis, ut iuxta propositum vestrum tradamus vobis vitae formulam, quam tenere in posterum debeatis: Hlud in primis statuimus, ut unum ex vobis habeatis priorem, qui ex unanimi eorum assensu, vel maioris et sanioris parti s, ad hoc offìcium eligatur; cui obedientiam promittat quilibet ~,Iiorum, et promissam stu·deat operis veritate servare.
Preterea iuxta situm loci quem inhabitare proposueritis, singuli vestrum singulas habetnt cellulas separatas, sicut per dispositionem prioris ipsius et de "assensu aliorum fratrum, vel sanioris partis, eaedem cellulae cuique fuerint assignatae.
Nec liceat alicui fratum, mSl .de licentia prioris, qui pro tem-
45 obsequio Ihesu Christi vivere debeat, et eidem fldeliter de corde puro et bona conscientia deservire. Verum, quia requiritis a Nobis, ut iuxta propositum vestrum tradamus vobis vite formulam, quam tenere in posterum debeatis: Illud in primis statuimus, ut unum ex vobis habeatis priorem, qui ex unanimi omnium assensu vel maioris et sanioris partis, ad hoc offìcium eligatur; cui obedientiam promittat quilibet aliorum, et promissam studeat operis veritate serva re, cum castitate et abdicatione proprietatis. Loca autem habere poteritis in heremis, vel ubi vobis donata fuerint, ad vestre religionis observantiam apta et commoda, secundum quod priori et fratribus videbitur expedire. Preterea iuxta situm loci quem inhabitare proposueritis, singuli vestrum singulas habeant cellulas separata s, sicut per dispositionem prioris ipsius, et dc assensu aliorum fratrum, vel sanioris partis, eedem cellule cuique fuerint assignate. Ita tamen ut in communi refectorio ea que vobis eroga t;! fuerint, communiter aliquam lectionem Sacre Scripture audiendo, ubi commode poterit ob· servari, sumatis. Nec liceat alicui fratrum, nisi de licentia prioris, qui pro tem-
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pare fuerit, deputatum sibi mutare locum, ve! cum alio permutare.
pore fuerit, deputatum sibi nmtare locum, vel cum alio permutare.
Cellula prioris sit iuxta introitum loci, ut venientibus ad eundem locum primus occurrat; et de arbitrio ac dispositione ipsius postmodum, quae agenda sunt, cuncta procedant.
Cellula prioris sit iuxta introitul11 loci, ut venientibus ad eundel11 locum primus occurrat; et de arbitrio et de dispositione ipsius postmodum, que agenda sunt, cuncta procedant.
Maneant singuli in cellulis suis ve! iuxta eas, die ac nocte in lege Domini meditantes et in orationibus vigilantes, nisi aliis iustis occasionibus occupentur.
Maneant singuli in cellulis suis, ve! iuxta eas, die ac nocte in lege Domini meditantes et in orationibus vigilantes, nisi aliis iustis occasioni bus occupenturo Hii qui horas canonicas CUI11 clericis dicere norunt, eas dicant secundum constitutionem Sacrorum Patrum et Ecclesie approbatal11 consuetudinem. Qui eas: non noverunt, viginti quinque vicibus Pater lloster dicant in nocturnis vigiliis, exceptis dominicis et sollem pibus diebus, in quorum vigiliis predictum numerum statuil11us duplicari, ut dicatur Pater lloster vicibus, quinquaginta. Septies autel11 eadem dicatur oratio in laudibus matutinis. In aliis quoque horÌs, septies similiter eadem sigillati m dicatur oratio, preter officia ve'spertina, in qui bus ipsam qumdecies dicere debeatis.
Bi qui litteras norunt et legere psalmos, per singulas horas cos dicant, qui ex institutione Sanctorum Patrum et Ecclesiae approbata consuetudine ad horas singulas sunt deputati. Qui vero litteras non norunt, viginti quinque vicibus Pater noster dicant in nocturnis vigiliis, exceptis domini cis et solemnibus diebus, in quorum vigiliis praedictum nume rum statuimus duplicari, ut dicatur Pater noster vicibus quinquaginta. Septies autem eadem dicatur oratio in laudibus matutinis. In aliis quoque horis septies similiter eadem singillatim dicatur oratio, praeter officia vespertina, in quibus ipsam, quindecies dicere debeatis. Nullus fratrum dicat sibi aliquod esse proprium, sed sint
Nullus fratrum aliquid esse sibi proprium dicat, set sint 'i0-
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vobis omnia communia; et ex his, quae vobis Dominus dederit, distribuatur unicuique per manum priori s, id est per hominem ab eo ad idem officium deputatum, prout cuique opus fuerit, inspectis aetatibus et necessitatibus singulorum. Ita tamen ut, sicut praemissum est, in deputatis cellulis singuli maneant, et ex his quae sibi distributa fuerint, singulariter vivant.
bis omnia communia et distribuatur unicuique per manum prioris, id est per fratrem ab eodem ad idem officium deputatum, prout cuique opus erit, inspectis etatibus et necessitatibus singulorum. Asinos autem sive mulos, prout ves tra expostulaverit necessitas, vobis habe-re liceat; et aliquod animalium sive volatilium ad nutrimentum ..
Oratorium, prout commodius fieri poterit, construatur in medio cellula rum, ubi mane per singulos dies ad audienda Missarum solemnia convenire debeati s, ubi hoc commode fieri poterit. Dominicis quoque diebus ve! alii5, ubi opus fuerit, de custodia Ordinis et ammarum salute tractetis; ubi etiam excessus et culpae fratrum, si quae in aliquo deprehensae fuerint, charitate media corrigantur.
Oratorium, prout comodius fieri poterit, construatur in me-· dio cellularum, ubi mane per· singulos dies ad audienda Missa rum sollempia convenire debeatis, ubi hoc comode fieri potest.
Ieiunium singulis diebus, exceptis dominicis, observetis a festo Exaltationis sanctae Crucis usque ad diem Dominicae Resurrectionis, nisi infirmitas ve! debilitas corporis aut alia iusta causa lemnmm solvi suadeat, quia necessitas non habet legemo Ab esu carnium semper abstineatis, nisi infirmitatis aut nimiae debilitatis remedio sint su-
Ieiunium singulis diebus, ex-ceptis dominicis, observetis a· festo Exaltationis sancte Crucis, usque ad diem Dominice Resur-rectionis, nisi infirmitas vel de·· bilitas corporis aut alia iusta causa ieiunium solvi suadeat" quia necessitas non habet legem.
Dominicis quoque diebus ve!. aliis, ubi opus fuerit, de custodia Ordinis et animarum salute· tractetis; ubi etiam excessus et. culpe fratrum, si que in aliql:.'J deprehense fuerint, caritate media corrigantur.
Ab esu carnium abstineatis,. nisi pro infirmitatis ve! debilitatis remedio sumantur. Et quia,
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'Quia vero tentatio est vita ho"minis super terram, et omnes qui pie volunt vivere in Christo opersecutionem patiuntur; adversarius quoque vester diabolus, tamquam leo rugiens circuit quaerens quem devoret, omni sollicitudine studeatis indui ar,matura Dei, ut possitis stare ad'versus insidias inimici. Accingendi sunt lumbi vestri cingulo castitatis; muniendum est pec'tus cogitationibus sanctis, scrip'tum est enim: Cogitatio sancta servabit te. Induenda est lorica 'iustitiae, ut Dominum Deum vestrum ex toto corde, et ex tota anima et ex tota virtute diliga,tis, et proximos vestros tamquam vosmetipsos. Sumendum -est in omnibus scutum fide i, in quo possitis omnia tela nequis~imi ignea extinguere: sine fide enim est impossibile piacere 'Deo: et haec est victoria, fides nostra. Galea quoque salutis capiti imponenda est, ut de solo Salvatore speretis salutem, qui sàlvum facit populum suum a peccatis eorum. Gladius autem spiritus, quod est verbum Dei, abundanter habitet in ore et in ;cardi bus vestris. Et quaecum-
I DUE TESTI DELLA REGOLA
INTRODUZIONI;!.
vos oportet frequentius mendicare itinerantes, ne sitis hospitibus onerosi, extra domus vestras sumere poteritis pulmenta cocta cum carnibus; sed et carnibus supra mare ves ci Ecebit. Quia vero temptatio est vita hominis super terram, et omnes qui pie volunt vivere in Christo persecutionem patiuntur; adversarius quoque vester diabolus, tamquam Ieo rugiens circuit querens quem devoret, omni sollicitudine studeatis indui armatura Dei, ut possitis stare adversus insidias inimici. Accingendi sunt lumbi cingulo castitati5; muniendum est pectus cogitationibus sacris, scriptum est enim: Cogitatio sancta servabit te. Induenda est lorica iustitiae, ut Dominum Deum vestrum ex toto corde, et ex tota anima et ex tota virtute diligatis, et proximum vestrum tamquam vos ipsos. Sumendum est in omnibus scutum fidei, in quo possitis omnia tela nequissimi ignea extinguere: sine fide enim impossibile est pIacere Deo. Galea quoque salutis capiti imponenda est, ut de solo Salvatore speretis salutem, qui salvum facit populum suum a peccatis eorum. Gladius autem spiritus, quod est verbum Dei, habundanter habitet in ore et in cordibus vestris. Et quecumque vobis agenda sunt, in verbo Domini fiant.
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que vobis agenda sunt, in verbo Domini fiant. Faciendum est vobis aliquod operis, ut semper diabolus vos inveniat occupatos, ne ex otiositate ves tra aliquem intrandi aditum ad animas vestras valeat invenire. Habetis in hoc beati Pauli apostoli magisterium pariter et exemplum, in cuius ore Christns loquebatur, qui positus est et datus a Deo praedicator et doctor gentium in fide et veritate: quotidie si secuti fueritis non poteritis aberrare. In labore, inquit, et fatigatione fuimus inter vos nocte ac die operantes, ne quem vestrum gravaremus; non quasi nos non haberemus potestatem, sed ut nosmetipsos formam daremus vobis ad imitandum nos. Nam cum essemus apud vos, hoc denunciabamus vobis: quoniam si quis non vult operari non manducet. Audivimus enim inter vos quosdam ambulantes inquiete, nihil operantes. His autem, qui huiusmodi sunt, denuntiamus et obsecramus in Domino lesu Chri" sto, ut cum silentio operantes suum, panem manducent. Haec via sancta est et bona: ambulate in .ea. Commendat autem Apostolus silentiumcum in eo praecipit operandum, et quaemadmodum Propheta testatur: cultus iustitiae silentium est. Et rursus: In 4.
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Faciendum est vobis aliquid operis, ut semper vos diabolus inveniat occupatos, ne ex ocÌositate ves tra aliquem intrandi aditum ad anirnas vestras valeat invenire. Habetis in hoc beati Pauli apostoli magisterium pariter et exemplurn, in cuius ore Christus loquebatur, qui positus est et datus a Deo praedicator et doctor gentium in fide et veritate: quem si secuti fueritis non poteritis aberrare. In labore, inquit, et fatigatione fuimus inter vos nocte ac die operantes, ne quem vestrum gravaremus, non quasi nos non habeamus potestatem, sed ut nosmetipsos forma m daremus vobis ad imitandum nos. Nam cum essemus apud vos, hoc denunciabimus vobis: quoniam si quis non vult operari non manducet. Audivimus enim inter vos quosdam al11buiantes .inquiete, nihil operantes. Hiis autem, qui eiusmodi sunt, denuntiamus et obsecramus in Domino Ihesu Christo, ut tum silentio operantes suum panem manducent. Hec via sancta est et bona: ambulate in ea. Commendat autem Apostolus silentium cum in eo precipit operandum, et quemadmodum Propheta testatur: Cultus iustitie silentium est. Et rursus: In
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INTRODUZIOl'ilò
1 DUE TESTI DELLA REGOLA
silentio et spe erit fortitudo vestra. Ideoque statuimus ut ab hora vespertina usque ad horam tertiam sequentis diei silentium teneatis; nisi forte necessitas, vel causa rationabilis, aut licentia prioris silentium interrumpant. Alio vero tempore, licet silentii non habeatur observatio tanta, diligentius tamen a multiloquio caveatur. Quoniam sicut scriptum est et non minus experientia docet: In multiloquio non deerit peccatum; et: Qui inconsideratus est ad loquendum, sentiet mala. Item: Qui multis verbis utitur laedit a111mam suam. Et Dominus in evangelio: De omni verbo otioso, quod locuti fuerint homines, reddent rationem de eo in die iudicii. Faciat ergo unusquisque stateram verbis suis et frenos rectos ori suo, ne forte labatur et cadat in lingua sua et insanabilis sit casus eius ad mortem. Custodiens, cum Propheta, Vlas suas ut non delinquat in lingua sua, et silentium in quo est cultus iustitiae, diligenter et caute studeat observare.
silentio et spe erit fortitudo vestra. Ideoque statuimus ut dicto completorio silentium teneatis usque ad primam dictam sequentis diei. Alio vero tempore, licet silentii non habeatur observatio tanta, diligentius tamen a multiloquio caveatur. Quoniam sicut scriptum est, et non minus experientia docet: In multiloquio peccatum non deerit; et: Qui inconsideratus est :ld 10quendum sentiet mala. ltem: Qui multis verbis utitur ledit animam suam. Et Dominus in evangelio: De omni verbo otiaso, quod lo cuti fuerint homine~, reddent rationem de eo in clie iudicii. Faciat ergo unusquisque stateram verbis suis et frenos rectos hori suo, ne forte labatur et cadat in lingua sua et insanabilis sit casus eius ad mortem. Custodiens, cum Propheta, vias suas ut non delinquat in lingua sua, et silentium in quo cultm iustitie est, diligenter et caute studeat observare.
primus esse erit vester servus.
primus esse, erit vester servus.
Vos quoque, caeteri fratres, priorem vestrum humiliter honorate, Christum potius cogitantes, quam ipsum, qui posuit illum super capita vestra; et ecdesiarum praepositis etiam ait: Qui vos audit me audit et qui vos spernit me spernit, ut non veniatis in iudicium de contemptu, sed de vestra obedientia mereamini vitae aeternae mercedem. Haec breviter SCnpSllTIUS vobis conversationis vestrae formulam statuentes, secundum qua m vivere debeatis. Si quis autem supererogaverit, ipse Dominus, cum redierit, reddet ei. Utatur tamen discretione, quae virtutum est moderatrix.
Vos quoque, ceteri fratres, priorem vestrum honorate humi~ liter, Christum potius cogitantes quam ipsum, qui posuit illum super capita vestra; et ecclesiarum prepositis etiam ait: Qui vos audit me audit, qui vos spernit me spernit, ut non veniatis in iudicium de contemptu, sed de obedientia mereamini eterne vite mercedem.
Tu autem, frater Brocarde, et quicĂšmque post te institutus fuerit prior, illud semper habeatis in mente et servetis in opere, quod Dominus ait in evangelio: Quicumque voluerit inter vos maior fieri erit vester minister; et quicumque voluerit inter vos
Tu autem, frater Brocarde, et quicunque post te institutus ruerit prior, illud semper habeatis in mente et servetis in opere, quod Dominus ait in evangdio: Quicunque voluerit inter vos maior fieri, erit minister veste!; et quicunque voluerit inter vas
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Hec breviter scripsimus vobis, conversationis vestre formulam statuentes, secundum quam vivere debeatis. Si quis autem supererogaverit, ipse Dominus, cum redierit, reddet ei. Utatur tamen discretione, que virtutum est moderatrix.
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INTRODijZIO~E
VI LE FONTI DELLA REGOLA La Regola di S. Alberto è opera originale ovvero dipende da altre regole preesistenti e le riassume? Molti studiosi della storia dell'Ordine si sono posto, e a buon diritto, il problema, il quale se anche non incide nella sostanza della cosa, ha la sua importanza e la sua ragione. Le diverse soluzioni risentono le note tesi sulla origine, lo sviluppo e l'antichità dell'Ordine. La sentenza comune nell'Ordine fin quasi ai nostri tempi era che la Regola avesse avuto ·la sua fonte principale, se non unica, nella famosa Regola dei primi monaci/) colla quale presenta notevole affinità di indirizzo e di contenuto. Ma un esame attento del documento, libero da tesi preconcette, obiettivo e sereno, che tenga nel debito conto tutte le circostanze di tempo e di luogo sopratutto, ') Titolo completo: lmtitutio primorum 11l011achorum il1 Lege l'e/cn exortomm et in nova PCl'severantium ad Caprasium monachum in Carmelo. Spec. Carm., I, 20. Precedentemente era sentenza comune che il libro fosse stato scritto da Giovanni XLIV, già monaco del Carmelo e poi vescovo di Gerusalemme nel sec. V: cf. Liber de lnstitutione ... eiusque atlctor 10annes XLIV ... aucto,·itati suae asserti, premesso a· Spec. Carm., I, 391-445. Ii P. Gabriele Wessels, O. Carm., lo ritiene composto verso la metà del secolo XII, al tempo del patriarca Aimerico, se non da lui stesso: Epùtola S. Cyrilli III Generalis et historia antiqua O.N., in AltaI. Ord. Carm., 3 (1914-1(;), 267. Della supposta dipendenza della Regola di S. Alberto dalla Regola dei primi monaci cf. Spec. Carm., I, 336. Per un'analisi più accurata della indipendenza della Regola carmelitana vedi lo studio di AMllROSIUS A S. T LRESIA, O.C.D., Ul1terstlchtmgen iiber Verfasser, AbfasSttllgszeit, Quellel1 r!lld Bes/iiligtl11g del" Karmeliter-Regel, in Ephemerides Carmeliticae, 2 (1948), 17-49.
FONTI DELLA REGOLA
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porta piuttosto a concludere che S. Alberto abbia attinto da un'unica fonte, quella biblica, che doveva essergli familiarissima, come si deduce dalla spigliatezza delle citazioni, e dalla facilità nell'unire e accomodare i vari testi; e per il rimanente si sia valso della sua esperienza di monaco, prima che di vescovo, della esatta conoscenza che ebbe modo di acquistare sulla vita degli eremiti del Carmelo e sulle specifiche finalità che essi si proponevano. Se qualcuno si appellasse alle somiglianze con altre regole monastiche, ad esempio con quella di S. Agostino o di S. Basilio, per dedurne la dipendenza, risponderemmo che certi canoni fondamentali della vita religiosa, appunto perchè fondamentali e inerenti allo stato, non possono non essere comuni a tutti.
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INTRODUZ!ON.E
VII PREGI DELLA REGOLA Presa nel suo insieme, la Regola costituisce un documento spirituale di non comune perfezione; preciso nella forma e completo pur nella sua brevità, organico e omogeneo nello sviluppo, di sapore tipicamente evangelico. La stessa forma letteraria, colla sua andatura solenne, corretta, quasi armoniosa, le conferisce un carattere e una dignità inconfondibile, quale non è facile trovare in altri scritti contemporanei. Per questo complesso di ragioni, dopo tante vicende storiche, nonostante l'Ordine sia andato soggetto alla più grande trasformazione che si possa concepire e attuare in una istituzione religiosa, alla distanza di oltre sette 'secoli, la Regola conserva la freschezza, l'originalità e l'attualità di sempre: quelle doti che sono proprie dei documenti di eccezionale valore. In essa i nostri Santi hanno trovato la ispirazione e l'orientamento sicuro per salire a Dio, e i riformatori l'arma più efficace per combattere le loro sante battaglie. Così Giovanni Soreth, Teresa di Gesù, Filippo Thibault e Giovanni di S. Sansone. Il suo pregio principale, come abbiamo già rilevato, sta nella esatta visione della vita religiosa in genere e di quella propria del Carmelo in particolare, e neUa precisa impostazione dei problemi che ne derivano: l'ossequio a Gesù mediante una dedizione totale e continua. Le determinazioni di carattere esteriore, quali la separazione delle cellette, l'ubicazione della cella del priore, del-
PREGI DELLA REGOLA
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l'Oratorio, il digiuno, l'astinenza, il lavoro, il silenzio, l'accusa e la correzione delle colpe, hanno valore integrativo, gravitano intorno al fine principale che è la vita interiore, la conversazione con Dio, al fine di coadiuvarla, proteggerla, farla sviluppare fino all'esercizio pieno della carità perfetta. L'ideale del Carmelo vi viene fissato con limpida chiarezza, nulla omettendo di quanto è necessario per viverlo integralmente. Il fatto stesso di non scendere a particolari ne è un vanto, perchè in tal modo lascia la possibilità di emanare, secondo i bisogni dei tempi, norme, statuti o costituzioni senza nuocere alla sua sostanza e al suo spirito e senza dover ricorrere all'intervento della Santa Sede. In conformità a questo concetto, a partire dalla seconda metà del secolo XIII, non appena l'Ordine si trovò di fronte alle esigenze che nascono colla espansione, furono, via via, pubblicate le Costituzioni. 1) Quanto alla forma esteriore, la Regola si presenta coi 'caratteri di una lettera quasi amichevole, paterna e affettuosa, nella quale è facile disinguere le tre parti convenzionali: il prologo, il corpo e la conclusione. Nel prologo l'autore imposta il tema, che è il proposito di tracciare, come richiesto, una forma di vita corrispondente alle tradizioni e alle particolari esigenze degli eremiti del Carmelo, perchè, osservandola, possano vivere con sicurezza, nell'ossequio a Gesù Cristo, e servirlo con cuore puro e coscienza buona. Nel corpo è lo svolgimento del tema, in forma limpida, graduale, esauriente nell'insieme e anche nelle parti, nonostante la brevità. Nella conclusione, dopo richiamo all'enunciato del prologo, si accenna un fugace v ~) Le più antiche Costituzioni oggi conosciute sono quelle del capitolo gener;;le di Londra del 1281, edile dal P. L. Saggi, O. Carm., COllJtÌlutìoncs cap. LOlJdillen.'j,- anni 1281, in A Il al. Ord. Cal'm., 15 (1950), 203-245.
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lNTRODUZIONE
alle opere supererogatorie per ricordare che, come non vi sono limiti per l'esercizio della carità, così non vi sono per l'esercizio di quelle opere (mortificazioni, sacrifici, penitenze) che la ravvivano e la incrementano. Il testo originario non conteneva nè divisione in capitoli, nè titoli (non conformi allo stile della lettera). Questi appaiono per la prima volta in quello premesso alle Costituzioni del 1362/) però diversi dagli attuali. La divisione ora in uso e i titoli premessi ai singoli capitoli datano dal 1580 (Costituzioni del priore generale Caffardi). Gli Scalzi hanno conservata la divisione e i titoli che si trovano nel testo premesso alle Costituzioni del priore generale Nicolò Audeth, del 1524.
2) Constitutiones fratrum Ordi/lis B. Marille GenÌlricis de M. Carmelo per loannem Balistarii (]362]; ed. Patrick de S. Joseph et Marie-Joseph du Sacré-Coeur, O.C.D., in Étudcs Carmélitaincs, 5 (1920), pago speciale. Non siamo in grado di giudicare se i titoli riportati dallo Zimmerman ne! test0 premesso alle Costituzioni del 1324 siano originali o aggiunti da lui: d. Man. hist. earm., ]2-17.
COMMENTI ALLA REGOLA
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VIII COMMENTI ALLA REGOLA Per il suo carattere eminentemente spirituale la Regola
è stata sempre considerata il documento base della formazione carmelitana, e la storia ci dice che i commenti succedutisi nei secoli costituiscono, in certo senso, la: misura, della efficienza e della vitalità dell'Ordine. Le più antiche Costituzioni oggi conosciute, quelle del 1281, facevano obbligo ai superiori, sotto pena di colpa grave, di spiegarla in volgare quattro volte l'anno ai frateli laici, ai novizi e ai professi, cioè in quaresima, per la festa di S. Maria Maddalena, dopo l'Esaltazione della Santa Croce e durante l'Avvento. ') Nel capitolo generale di. Parigi del 1456, sotto l'impulso del B. Giovanni Soreth, per facilitarne a tutti la conoscenza si emanò il seguente decreto: La Regola e le Costituzioni siano lette spesso nel capitolo o nel refettorio, anche in lingua volgare, perchè possano esser comprese da tutti. 2) Analoghe prescrizioni,. in termini più o meno uguali, ritornano sempre nelle Costituzioni. Così quelle del generale Canali, edite nel 1626" impongono ai maestri di istruire i novizi sui singoli punti della Regola, e ai priori locali di spiegarla (insieme alle Costituzioni) ai chierici, ai fratelli laici e anche ai novizi, nel capitolo o nel refettorio, almeno due volte la settimana, cioè il mercoledì e il giovedì. 3) 1) Consti/tltiones cap. Lotldincnsis, in Allal. Ord. Carm., 15 (1950), 231.. 2) Acta cap. gcn., I, 235-6.
:'j Constittl/iones 1/"O/rum Ordinis ... de M. Carmeli ... alletoritate Rcv.mi, P. Magistri Gregol1'i Canalis ... il1 '"cem cdi/ae, Romae 1626, 37, 69.
INTRODUZIONE
Le Costituzioni vigenti non sono meno esplicite; infatti prescrivono: che i superiori l'insegnino agli aspiranti; che l'animo dei novizi sia formato sopratutto col suo studio; che i medesimi l'imparino a memoria; che i professi la meditino attentamente per non mancare al voto di obbedienza; che nei giorni di venerdì sia letta pubblicamen· te in refettorio. 'I) L'attenzione e la fedeltà alla Regola spiega l'uniforme tradizione spirituale dell'Ordine che, nonostante le mol. teplici vicissitudini dei tempi, si trasmette limpida ed omogenea nei secoli e che oggi viene indicata coll'appellativo di spiritualità carmelitana; spiega anche la floritura di .. tanti commenti che arricchiscono la nostra letteratura spi· rituale. Limitiamo la nostra rassegna a quelli che hanno avuto maggior risonanza e lasciato una impronta più profonda nella storia, indicando di seguito, in ordine cronologico, · gli autori del Carmelo antico e di quello riformato. Sino al sec. XV gli studi sulla Regola furono numerosi · ma incompleti e frammentari. Ricordiamo: B. Nicolò Gallico, autore della Sagitta Ignea (circa 1270); Siberto di Beka (o Beek, m. 1332), provinciale di Germania, col trat. tato De cOl1sideratis super Carmelitarum Regula (1310); 'Giovanni Baconthorp (m. 1348) col Tractatus super Regulam Carmelitarum, nel quale, per primo, offre una in· terpretazione del tutto mariana, mettendo in risalto l'afflnità tra le varie prescrizioni della Regola e la vita di Maria, quasi questa fosse servita di modello al legislatore; Filippo Ribot (m. 1391), provinciale di Catalogna, che col De institutione et peculiaribus gestis Religiosorum Carmelitarum (1370), si propose di dimostrare la dipendenza ') Artt. 30. 41, 50, 115, 165.
COMMENTI ALLA REGOLA
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deUa Regola di S. Alberto dal libro attribuito a Giovanni XLIV, vescovo di Gerusalemme. ") - B. Giovanni Soreth (m. 1471), Expositio paraenetica in Regulam Carmelitarum, edita una prima volta a Parigi nel 1625, e quindi in Spec. Carm., I, 2614-2782. La figura del B. Soreth è tra le più note della storia deH'Ordine e certo tra le più eminenti. Lo zelo indefesso spiegato in un tempo particolarmente difficile, l'istituzione ufficiale del Secondo Ordine, la purezza e la santità della vita lo accomunano ai prandi uomini che hanno vissuto con l'ansia più viva e il più grande ardore, gli aneliti e lo spirito del profeta Elia . Il commento alla Regola, scritto verso il 1455 quando era già priore generale, rivela chiaramente un cuore tutto proteso alla gloria di Dio e a far rivivere nell'Ordine le antiche tradizioni eli vita contemplativa sull'esempio del Profeta e degli antichi eremiti del Carmelo. Benchè esso sia un centone di testi precedenti, fu considerato quasi ii commento classico della Regola, ragione per cui le sue osservazioni vennero assai spesso richiamate dai commentatori posteriori. Senso pratico, profondità di dottrina, chiara visione dei mali del tempo e dei mezzi per combatterli sono i meriti esimi dell'opera del Soreth. A distanza di secoli molte delle sue osservazioni mantengono inalterata la freschezza e l'attualità. - Contemporaneo al Soreth è Arnoldo Bostio, il cui scritto Speculum historiale sectatorum sanctorum prophe~
,.) ref questi e gli altri autori carmelitani dell'Antica Osscn'anza vedi A. J"lp;RTlKo, o. CARM., Il commento alla Regola nel Carmelo Antico, Hl Ephemcrides Carmeliticae, 2 (1948), 99-122. Per gli autori Carmelitani Scalzi ,.edj 3DChc P. F. VIeTOR DE JESUS MARIA, O.C.D., La exposici611 ca"onicomon;j de la Regia Carmelitana seg<ill los comcnladores DCJcalzos. ivi, 123-201.
INTRO!JUZIONE
tm"U111 Elù~e et
Elisei sembra essere stato composto verso
il 1490" _ Un commento diffuso e completo che però rimase manoscritto e di conseguenza non assurse a notorietà è quello del P. Mattia Fabri, Lucerna Fratrum Carmelitarum (1491). - Girolamo Graziano della Madre di Dio, O. Cann. (m. 1614), su ordine del P. generale Enrico Silvio scrisse Della disciplina regolare, edito a Venezia nel 1600. Lo scopo era di «insegnare a tutti i religiosi come hanno da osservare la sua Regola con perfetione e spirito, e principalmente la Regola della Beatissima Vergine del Carmine ». G) - Tommaso di Gesù, O.C.D. (m. 1626), Expositio in omnes ferme regulas Sanctorum Basilii, A ugustini , Benedicti, Francisci, ac aliorum ordinum, praeciptte in Regu. lam Carmelitarum, Antverpiae, 1617. Il commento di carattere esegetico, morale e canonico, esercitò grande influsso su quelli posteriori. - Francesco di S. Elia, O.C.D. (m. 1640), Comentarios y doctrina sobre la Regla primitiva de la Orden de Nuestra Sefiora del Carmen, Segovia, 1638. Questo commento è degno di rilievo sopratutto per le considerazioni di ca· rattere ascetico. - Giovanni Battista de Lezana, O. Carm. (m. 1659), De Regula Carmelitaru1n, in Summa qttaestiollum regularium, V, Romae, 1647, 502.665. E' un commento pratico, condotto con molta chiarezza, che affronta e risolve vari problemi anche dal lato giuridico. - Ven. Giovanni di S. Sansone, O. Carm. (m. 1636)} ';) Prefazione all'opera.
COM"{ENTI ALLA REGOLA
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Observations sur la Règle des Carmes, in Les oeuvres .,pirituelles et mystiques du divil1 contemplativ fr. !ean de S. Samsoll, Rennes, 1658, 847-892. E' un commento del tutto spirituale, scritto perchè ciascun carmelitano avesse potuto trovar luce, spirito, fiamma e forza per vivere, spoglio di ogni colpa, nella pratica esatta e fedele della Regola. Chiunque abbia una qualche familiarità col grande mistico, che fu il padre spirituale della Riforma Turonense, immagina quale possa essere il tenore di quest'opera. - Mattia di S. Giovanni, O. Carm. (m. 1681), Histoire panegyrique de l'Ordre de nostre Dame du MOllt-Carmel, II, Pari s, 1658, 391-562. L'autore riprende e sviluppa molto diffusamente il concetto mariano della Regola. O. Carm. (m. 1684),.. De - Michele di S. Agostino. u . Rerrula Carmelitaru111, in Institutionum mysticarum libri o . quatuor, Antverpiae, 1671. ') L'autore insiste nel dimostrare la eccellenza della Regola in ordine alla specifica perfezione che i carmelitani sono chiamati a raggiungere. - Valentino di S. Amando, O. Carm. (m. 1687), Heroica Carmeli Regttla, Coloniae, 1682; Si tratta di una opera a carattere polemico contro i denigratori dell'Ordine. Si mette in risalto la perfezione e la completezza della Regola, in quanto esprime la vita dei profeti Elia ed Eliseo ed incita ad imitare le virtù della B. Vergine. - Stefano di S. Francesco Saverio, O. Carm. (m. 1685), Exhortatiolls mOl1astiques ... SUl' la Règle de l'Ol'dre de la B. H. Vierge M. du M. Carme!, Rennes, 1687. Il trattato altamente spirituale insiste, sopratutto, sui vantaggi che ,) Ii terzo libro dell'opera, che contiene anche il breyc commento, fu ristampato ,bi P. Gabriele \Vessels, O. Carm., col titolo In!roduc/io (id ,ùalll i"tcrll~lI1, ROlme, 1926: cf. pp. 173-183.
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INTRODUZ [O NE
arreca alle anime la fedele osservanza della Regola) sicura espressione della volontĂ di Dio. - Molto stimata in Spagna, sino ai nostri giorni, l'opera del P. Giovanni di S. Angelo, O. Carm., Disciplina religiosa en consideraciones espirituales . .. Eposicion fiteral, mistica, moral y historica de la Regia de .. . S. Alberto ... , Madrid, 1717. Di minor rilievo, sopra tutto meno originali, furon.o gli altri commenti pubblicati nei secoli XVIII e XIX. Tra gli studi e i commenti recenti, degni di nota quelli apparsi in occasione del VII centenario della conferma della Regola da parte di Innocenzo IV, a cura della FacoltĂ teologica dei Carmelitani Scalzi, in Ephemerides Carmeliticae, 2 (1948), Da segnalare: P. F. Victor de Jeslis Maria, La exposicion canonico-moral de la Regla Carmelitana segtm los Comentadores Descalzos, ivi, 123-201.
COMMENTO ALLA REGOLA
FINALlTA' DELLO STATO RELIGIOSO
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Prologo
Alberto, per grazia di Dio, chiamato patriarca della Chiesa di Gerusalemme, ai diletti figli in Cristo, Brocardo ed altri eremiti che dimorano sotto la sua obbedienza sul Monte Carmelo, presso la fontana di Elia, 1) salute nel Signore e benedizione dello Spirito Santo. Più volte e in varie maniere 2) i Santi Padri stabilirono come ciascuno debba vivere nell'ossequio a Gesù Cristo,3) qualunque sia l'Ordine nel quale si trova, o la forma di vita religiosa scelta, e servire a lui fedelmente con cuore puro e coscienza buona!) Ma poichè ci chiedete che secondo il vostro intento, vi diamo una formula di vita che abbiate a osservare in avvenire ...
FINALITA' DELLO STATO RELIGIOSO La S. Regola, composta, come abbiamo già detto, a forma di lettera, si inizia con questo prologo esplicativo, la cui impostazione richiama tanto da vicino lo stile delle lettere apostoliche. Non diversamente era solito iniziare s. Paolo: «Paolo, chiamato apostolo di Gesù Cristo, per volontà di Dio ... alla Chiesa di Dio che è in Corinto, e a voi santificati in Gesù Cristo, chiamati santi ... grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e Signore Gesù Cristo ». 5) CosÌ anche gli altri Apostoli. ) Le parole di Elia mancano nei testi più antichi. 2) Ebr., l,l. 3) 2 Cor., lO, 15. 4) l Tim., l, 5. 5.
5) l Cor., l, 1·3.
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PROLOCO
E come questi per confe~ire mag~i~r ~or~a alle esortazioni, agh ammonimenti, alle preSCnZl?n~, SI appellavano alla autorità apostolica, così S. Alberto nchiama la su~ qu~ lifica di patriarca della Chiesa di Gerusalemme, e, ~mph citamente, di rappresentante della s~~ta Sede c?e gli c?nferiva, nel modo più ampio, l'autonta necessana a legIferare in un Ordine al quale egli non apparteneva. . Dopo il saluto e la benedizione de~10 Sp~ri~o Santo, 11 leaislatore accenna allo scopo della vIta rehglOsa, gl~ 111 v:ri modi dichiarato e spiegato nelle regole monastlche scritte dai SS. Padri. Se anche le istituzioni fur?no o1te e gli ordinamenti diversi, lo scopo ~u uno e, Ul11~O nmase per tutti i tempi: vivere nel~' ossequlO a Gesu Crzsto e ser-
:n
virlo con cuore puro e COSCle11za buona. .
.,
Le due frasi di S. Paolo, centrano assaI bene le finahta dello stato religioso e nulla si potrà dire di esso che non si contenga come i~ aerme nelle parole dell'Apostolo. Vivere nell'ossequio a Gesù Cristo. Prescindend.o dal contesto e dalle circostanze concrete che la suggenrono; la frase, presa a sè come fa la R~gola, richi.am~ inn.an:l tutto il fine della creazione di ogl11 uomo. DIO, mfattl, ha ordinato ogni cosa alla propria gloria e alla gloria del suo unigenito Figlio. « Benedett~ Iddio, e Pad:e del Sigl:or nostro Gesù Cristo, il quale Cl ha benedetti con o.gl11 bene~ dizione spirituale, celeste, in Cristo, in quanto Cl ha el~ttl in lui, prima della creazione del mon~o, a ess~r s~nt1 ~ irreprensibili, al suo cospetto,. ~vendoCl prede.st1l1~t;, pe: amore, a essere suoi figli adottlv1 per me~zo d1 ?,",su ~n sto, secondo la benignità del suo volere, SI c~e CIO tO~l11 ~ lode della gloriosa manifesta~~or:e della gra~la s.ua, d.l cm ci fece dono nel suo diletto F 191molo. In 1m no~ ~bblam~ la redenzione per mezzo del suo sangue, la r~mlss:one. del peccati, secondo la ricchezza della sua grazla, dI cm fu
FINALITA' DELLO STATO RELIGIOSO
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larao o a, noi in ogni sapienza e prudenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benignità sua, volontà che egli aveva in sè prestabilita, per tradurla in atto nella pienezza dei tempi, e cioè nell'instaurare (ricapitolare) tutte le cose in Cristo, sia le cose celesti, sia le cose terrestri». 6) La gloria di Cristo esige che gli uomini lo riconoscano e lo adorino «al disopra di ogni Principato e Podestà, Virtù e Dominazione, e al di sopra di ogni titolo che si possa dare non solo nella età presente, ma anche nella futura », 7) come Figlio di Dio, creatore e signore del cielo e della terra, e gli tributino un culto ragionevole, sopratutto colla offerta della propria vita in «ostia vivente, santa, gradevole », ~) e lo servano «in novità di spirito »,0) rendendosi schiavi «alla giustizia per la santificazione », '0) essendo il suo «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e d1· pace ». 11) Se l'ossequio a Cristo è il fine di ogni cristiano, esso diventa per più alta ragione il fine del religioso. Infatti la libera scelta dello stato di perfezione aggiunge, a quello comune, un motivo particolare che nella pratica importa un servizio più perfetto, cioè: l'amore di Dio «con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la volontà e l'amore del prossimo come di sè stessi», 12) essendo 1'amore «la pienezza della legge », 13) e l'osservanza dei comandamenti, dei voti professati e della regola scelta: «Se uno mi ama osserva la mia parola, e il Padre mio l'amerà e verremo a lui e faremo dimora presso di lui»; 14) e tutto n011 l') Ef., l, 3-10. 7) Ef., l, 21. ') Rom., 12. 1. ") Rom" 7, 6. ''') Rom" 6, l'l. 11) Prefazio <leila Rega1ità cli N,S,C,C. 12) Cf. Mat., 22, 37. "') Rom., 13, IO. H) Giov .. 14, 23.
PROLOGO
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già con atti saltuari, sia pur frequenti, ma in forma continua e perenne, come è nella natura della consacrazione. «Lo stato religioso, nota il ven. Giovanni di S. Sansone, fu scelto e ordinato dal divin Maestro e distribuito in diversi Ordini, tendenti tutti al medesimo fine, mediante istituti di spiriti diversi e diverse regole e costituzioni, per l'esercizio dell' amore perfetto.» 15) Il quale esercizio d'amore non tende a limitare la libertà, nè a diminuire la personalità umana (come tanti ritengono), bensì a svilupparla in senso pieno e totale, perchè servire Dio equivale a regnare, a far prevalere la legge dello spirito su quella della carne, e conseguire i frutti di cui parla l'Apostolo: «l'amore, la, gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la longanimità, la mitezza, la fede, la moderazione, la continenza, la castità. » 16) Con ragione il pio autore della, Imitazione di Cristo esclama: « Grande onore e grande gloria servirti, e per te (o Signore) disprezzare ogni cosa, perchè riceveranno molta grazia coloro che si sottometteranno spontaneamente alla tua santissima volontà, troveranno una soavissima consolazione dello Spirito Santo coloro che per tuo amore avranno rigettato ogni diletto carnale. Avranno una grande libertà di mente coloro che per tuo nome si saranno incamminati per la via stretta e avranno trascurata ogni cura mondana. O grato, o giocondo servizio di Dio, col quale l'uomo. ~i venta veramente libero e santo! O stato sacro del serVIZIO religioso che rende l'uomo uguale agli Angeli, ylacabi~e a Dio, terribile ai demoni e commendevole . a tuttI l fedeh! O servizio da accettare e da desiderare sempre, col quale si merita il sommo bene e si acquista un grande gaudio.» 17) 1~) Oe~tJl'es, 850: 11\) Gal., 5, 22-23.
17) Imitazione, III, lO, 5.
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FINALITA' DELLO STATO RELIGIOSO
Come programma la frase: vivere· nell'ossequio a Gesù Cristo potrebbe dirsi completo, e nondimento il legislatore aggiunge anche l'altra: servire a lui con cuore puro e coJàenza buona. La purezza del cuore deve intendersi in senso pieno, in quanto è libertà da tutti gli inciampi e impedimenti che lo possono tenere, in qualche modo, soggetto alle creature o schiavo delle passioni, quali la. cupidigia, la superbia, l'avarizia, la lussuria, l'ira ecc., in conformità alle parole di Gesù: «Chi vuoI venirmi dietro rinneghi sè stesso »/8) e, ancora:. «Nessuno di voi che non rinunci a quanto possiede può essere mio discepolo.» 19) Lo stato religioso provvede coi tre voti a rendere effettiva questa rinunzia, cioè a liberare il cuore dall'attaccamento alle creature, alle cose, agli stessi beni spirituali, quali l'intelletto e la volontà, e a renderlo ansioso di Dio. Quanto più il cuore tenderà a questo fine e lo raggiungerà, tanto più sarà puro e godrà i frutti promessi: «Beati i mondi di cuore, perchè vedranno Dio.» 20) «Il fine della vita religiosa eremitica - si legge nella Regola dei primi monaci - è duplice: uno che possiamo raggiungere col nostro lavoro, nell'esercizio delle virtù e coll'aiuto della divina grazia, e consiste nell'offrire a Dio un cuore santo e puro da ogni attuale macchia di peccato... L'altro, concesso invece per puro dono di Dio, consiste nel gustare in qualche modo nel cuore e sperimentare nella mente, non solo dopo morte, ma anche in questa vita, la virtù della divina presenza e la dolcezza della gloria superna ».21) Dal cuore puro, cIoè libero dalle affezioni terrene, sca18) Mat., 16, 24. 19) Luc., 14, 26. 21) Spec. Carm., I, 23.
20) Mat., 5, 8.
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PROLCGO
turisce la testimonianza della coscienza, che approva c rende tranquilli, anche quando i giudizi umani fossero diversi. Così S. Paolo affermava di sè: «Dico la verità in Cristo, non mentisco, rendendone testimonianza la mia coscienza nello Spirito Santo. » 22) E l'Imitazione di Cristo esorta: «Cerca di avere una buona coscienza, e sarai sempre lieto ... La gloria dei buoni è riposta nella loro coscienza, non già nella bocca degli uomini.» 23) Se l'ideale, le finalità, il programma della vita religiosa si riepilogano assai bene nelle due frasi dell'Apostolo San Paolo, non è detto, tuttavia, sia sufficiente richiamarle a coloro che ne abbracciano lo stato. Si tratta, infatti, di norme perfette, ma generali, per cui sia l'incapacità di trame rettamente da tutti le ultime conseguenze, sia la necessità di provvedere a un indirizzo uniforme fecero sÌ che i Santi Padri, con 1'occhio ad esse, dettassero le loro regole, scendendo ai particolari pratici della vita quotidiana. Proseguendo la tradizione, S. Alberto si dichiara disposto ad accogliere la richiesta a lui indirizzata da Brocardo e dagli altri eremiti del Monte Carmelo di dettare una regola appropriata alle circostanze e al loro modo di vivere. Infatti se anche allora erano in vigore molte regole monastiche ed eremitiche, che richiamavano nomi di gran fama, quali S. Agostino, S. Basilio ecc. i carmelitani, dimoranti presso la fontana di Elia, ne desideravano una che, tenendo conto delle loro tradizioni, avesse risposto più esattamente al loro fine particolare. Si trattava del desiderio legittimo di tendere alla perfezione cristiana seguendo norme proprie. "2) Rom., 9, 1. 2:1) Imitazione, II, 6, 1, 2.
FINA LlTA' DELLO STATO RELIGIOSO
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Dalla richiesta e dall'aver S. Alberto soddisfatto tanto amabilmente il pio desiderio, il ven. P. Michele di S. Agostino deduce che i carmelitani debbono tenere in somma stima la loro Regola: «Ci chiedete che, secondo il vostro fine, vi diamo una formula di vita che abbiate ad osservare in avvenire ... Le parole - spiega il Venerabile - ci indicano chiaramente la ottima convenienza e proporzione della nostra Regola per conseguire la perfezione alla quale aspiriamo in quanto S. Alberto, ponderata b~ne quale fosse stata la perfezione alla quale tendevano l carmelitani, e per il cui raggiungimento gli domandavano una formula conveniente di vita, cercò i mezzi adatti e più proporzionati: li trovò e li propose ».24) Sarebbe perciò quanto mai ingiusto - a~moni~ce il medesimo autor~ .che i carmelitani, anziche segU1re la lettera e lo spmto della propria Regola, volessero, più o meno, imitare gli altri Ordini o ispirarsi al loro modo di vivere. «Essendo la nostra Regola elaborata e adattata tanto bene al nos~r~ fine non vi è motivo di volgersi altrove per cercarVI 1 mezzi di perfezione. Insistano, pure gli altri n~l praticare le norme date da S. Benedetto; seguano questi la regola e la povertà di S. Francesco; osservi~o quelli ~a r~gola d~ S. Agostino; altri ancora siano fedeh al.le leg~l ~~l propr; fondatori ma noi non ci diamo penslero dl ClO per che quelle re~ole tendono a un fine drverso d~l nos:ro:» 25) . Se anche ci è lecito, e in più convemente, lmitare 1 buoni esempi che vengono da fuori, val~rizzare i~s~gna menti e mezzi che l'esperienza ha trovatl vantagglOsl per il progresso nella vita interiore e per l'apostolato, tutto, "4) lntl'oductio ad vitam internam; ed. G. \Vessels, O. Carm., Romae, 1926, 173. ~")hi, 174.
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PROLOGO
nondimeno, dobbiamo rendere conforme al nostro spirito. Per cui la prima domanda da porci, in ogni occasione} non deve essere: che cosa fanno gli altri Ordini in questo o quel caso? Ma: che cosa ci prescrive la nostra Regola? o: che cosa esige lo spirito carmelitano? Perchè la Divina Provvidenza ci ha chiamati a quest'Ordine, la professione l'abbiamo emessa secondo la Regola che lo guida e lo informa e la Chiesa ci approva e ci rende partecipi dei suoi beni in quanto siamo eredi di una tradizione che le ha dato santi famosi ed insigni. Anzi l'Ordine continuerà ad aver diritto alla esistenza solo in quanto rimarrà fedele alla sua vocazione, che è quanto dire, alla volontà di Dio. Se invece, abbandonando quello proprio, desiderassimo, o pretendessimo vivere secondo un altro spirito, quale, ragione potremmo vantare per esistere come carmelitani? Tanto più che non essendo possibile l'imitazione e l'assimilazione perfetta si finirebbe per essere una cattiva edizione dell'istituto preso ad esempio. L'osservazione del nostro ven. P. Michele ci sembra particolarmente attuale oggi per la facile tentazione alla quale possiamo andar soggetti quando ci soifermiamo a considerare la vitalità di altri istituti, e, sopratutto, l'efficienza e il rapido sviluppo delle Congregazioni moderne. Torna conto ripetere: a ciascunoil suo; le esigenze morali e spirituali della Chiesa e dei fedeli sono tante che vi è posto per tutti; e per ognuno, a qualunque stato, a qualunque Ordine appartenga, vi è la possibilità di raggiungere il fine voluto da Dio, quando si muova piamente nel piano segnatogli dalla Provvidenza, senza bisogno di confondersi, senza dover abbandonare il vecchio per il nuovo, il proprio per l'altrui. Quale errore di valutazione in coloro che non vedono alternativa all'incremento dell'Or'-
FlNALITA' DELLO STATO RELIGIOSO
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dine se non l'allineamento alle congregazioni moderne e l'adattamento indiscrimato ai tempi!... Peraltro la nostra Regola tendendo a formare il religioso capace di vivere nel continuo ossequio a Gesù Cristo e a servirlo con cuore puro e coscienza monda, addita una meta tanto elevata e prospetta un programma tanto· perfetto che solo degli spiriti superficiali possono sottovalutarla o ritenerla scaduta e inattuale. Forse i nostri santi hanno salito il monte della perfezione seguendo altre strade, osservando altre regole? Chi si sente portato all'apostolato guardi e si ispiri a S. Andrea Corsini e a S. Pier· Tommaso; chi, più specificamente, è chiamato alla vita contemplativa volga lo sguardo a S. Giovanni della Croce, al ven. P. Michele di S. Agostino, al ven. Angelo Paoli, a S. Teresa di Gesù, a S. Maria Maddalena dei Pazzi e non perda di vista gli esempi che provengono da quelli stessi che la misericordia divina ci pone sotto gli occhi anche ai nostri giorni. S. Teresa di Gesù, dopo aver più volte raccomandato l'osservanza della Regola e delle Costituzioni con quell'ardore e forza di persuasione che le era propria, esclama ad un certo punto: «Piaccia a Dio che osserviamo quello che i nostri Padri hanno ordinato e osservato. Essi divennero santi per questa strada: prenderne un'altra, sia per proprio che per altrui consiglio, si cadrebbe in errore.» 26) La medesima, dopo una spaventosa visione dell'inferno, ebbe a scrivere: «pensando a cosa potevo fare per IddioJ vidi che, anzitutto, dovevo corrispondere ai doveri della
26)
Cammino, 4, 4.
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PROLOGC
mIa vocazione religiosa, osservando la mIa Regola con , ogni possibile perfezione.» 27) Non meno esplicito e fermo è l'insegnamento di Santa Maria Maddalena dei Pazzi. Nella estasi del 23 marzo 1597, quinta domenica di quaresima, avendole il Signore rivelato la bellezza della religione, che ella chiama giardino di delizie, tal amo regale, compiacimento della Santissima Trinità ecc., alla preghiera indirizzata al Signore di mostrarle che cosa avesse dovuto fare un'anima per esser degna della propria vocazione, si sente rispondere: non - bisogna desiderare o fare cosa che non sia conforme alla Regola e alle Costituzioni professate; bisogna vivere puri, fervorosi e distaccati come fu all'inizio (cioè al tempo dei Padri del Carmelo). L'osservanza della Regola e delle Costituzioni dà luce all'anima, purezza alle labbra, tiene lontana la mormorazione e le parole vane e produce ben! senza fine. 28)
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Capitolo Primo
Stabiliamo, innanzi tutto, che uno di voi sia priore, eletto all' ufficio dal consenso unanime di tutti, o, almeno, delìa parte più numerosa e più sana, al quale ciascun altro prometta obbedienza, studiandosi poi di osservarla con ve~it~ di opere, insieme alla castità e la rinunzia della proprzeta.
I DEL PRIORE Poichè il superiore costituisce il perno della vita reo-ol~re e l'obbedienza il legame che unisce e subordina, ~a ~1~nter:;e~1te la ~egola parte da questi punti programmatIC!: pm 111 partIColare essa prescrive qui tre cose: 1. Che vi sia un capo detto priore. 2. Che il priore sia immesso nell'ufficio per elezione. 3. Che al priore sia promessa obbedienza.
1. Il priore
Vita, 32, 9. "') A, BAUSA. Vita ed estasi di S, Maria Maddalena de' Paz_oi, H, Fi-, renze. 1893. 82-86. 27)
Alcuni commentatori si sono softermati a indao-are il senso del termine priore, e mentre taluni l'hanno ~oluto riferire soltanto al priore generale, argomentando dal fatto che la professione viene emessa nel suo nome, altri, invece, l'hanno voluto riferire al priore locale, che è superiore immediato. Senza entrare nel merito delle raglOl11 dell'una e del-
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CAr'o I
l'altra parte, tanto più che la questione è di limitata importanza pratica, notiamo solo che, storicamente, qui si parla del priore del Monte Carmelo, unico superiore della comunità degli eremiti al tempo di S. Alberto. Quando, con la emigrazione in Europa e colla diffusione che ne seguì, l'Ordine si organizzò secondo i criteri propri dell'Occidente, e le case si raggrupparono in provincie, aHora si distinsero gli uffici di priore generale, di priore provinciale e di priore locale, ciascuno con specifiche attribuzioni, determinate sia dalle consuetudini, sia da norme scritte, e l'espressione della Regola fu intesa, almeno all'atto pratico, in senso generico, sì da indicare, secondo i casi, il priore generale, il priore provinciale o il priore locale. Più meritevole di attenzione, invece, ci sembra la clausola che il priore dovesse essere scelto tra i membri dell'Ordine, per impedire che all'ufficio si chiamasse un estraneo, come talvolta avveniva in altri monasteri. Questa possibilità, come è facile capire, non era priva di inconvenienti, come sarebbe oggi se a capo di una comunità carmelitana vi fosse un religioso domenicano o francescano. Il legislatore li previene con un esplicito e formale divieto. La legislazione moderna non solo vuole che il priore generale sia scelto tra i religiosi dell'Ordine, ma convalida, implicitamente, la consuetudine che nelle altre cariche, salvo casi particolari, sia rispettata la divisione delle provincie. Ci sia permesso qui un rilievo. L'esame, non dello spirito ma della lettera della Regola, ci riporta sovente col pensiero ai santi eremiti del Carmelo, per i quali S. Alberto scriveva direttamente, di poche esigenze materiali, tutti assorti dal nobilissimo ideale della contemplazione «veri amatori delle cose celesti»; e nondimeno, anche se
DEL PRIORE
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le circostanze oggi sono tanto diverse, non possia~o no~ convenire che le ragioni allora valide per fissare 1 puntI programmatici della vita car~elitana rir?-angono ~ncora validi nella sostanza. In partIcolare per Il punto m esame, che considera uno stato di fatto ma ch~ valorizza anche la lunga esperienza del legislatore, colm c~e. st~ 3. caDO è il <rarante della unità dell'Ordine e della dlsClphna re~olare, ~enza le quali ogni forma di vita religiosa è deb L ., , stinata al fallimento. a tesI non e meno vera ne meno attuale ai nostri giorni, anche se l'Ordine è diviso in provincie e in conventi. Esso, infatti, è paragonabile ~ un regno, e un re<rno ove manchi l'unione è incammmato alla rovina. 1 ) L~ grave verità dell'ammoniment? evangelico venne tristemente sperimentata durante Il famoso scisma occidentale, quando per ciascun Ordine vi er~no due e anche tre superiori generali, come per la Ch1esa vi erano più papi; proprio allora ebbe inizio .la grande decadenza che rese inevitabile l'allentamento d1 molte regole monastiche, ed ebbe il suo epilogo nella ribellione 111terana. Il nostro ordinamento non ha mai consentito l'esistenza di case autonome, come è di certi Ordini monastici, ma sia le provincie che i conventi costituiscono un'unic.3. entità morale, alla quale si appropria molto bene ,la Slmilitudine del corpo e delle membra, tanto cara all Apostolo S. Paolo, per significare l'unità della Chiesa/) e tutti i religiosi, membri di una fa~iglia, stretti d.a ~n comune ideale, professanti una medeSIma forma dI VIta, hanno nel priore generale il capo e il padre comune. ~e segu~ che tutti lo debbono amare e onorare e rendersI con 1m C) Cf. Luc., 11, 27.
2) Cf. l Cor., 14, 4 s.
CAP. l
partecipi delle gioie, delle cure e delle afflizioni c . A h l l. , omuni. " nc e a 'pre~ 11era perche il Signore conservi e renda s~~pre attIvo Il P. generale rientra negli obblighi del relIgIOSO. 9uesti. n?bili sentimenti ~eneran~ lo spirito di corpo, o d: f~mlgha,. a~portatore dI grandI vantaggi, sia spirituah sta m~tenah, tanto all'Ordine intiero che ai singoli comp~nentl~ i quali compensano ampiamente i sacrifici e le nnunCle ?ecessarie per mantenerlo e incrementarlo. . Inoltre, se Il P. generale è garante della unità dell'Ordme e d~~la disciplina regolar.e,. è doveroso riconoscergli ques~o ~H1~to con una sottomISSIOne umile e sincera. Le CostItUZlOlll d . stabiliscono espressamente che il p . genera le, a opo esserSI fatt~ colla p~r~la e coll'opera esempio del bre~ge affidatoglI dalla D1Vma Provvidenza, deve usare ~flll cur~ perch~ tutti i religiosi, e per quanto possibile . ascuno m pa:-tlColare, non solo osservino con fedeltà e mtegralmente 1 voti professati, ma vivano anche secondo la Regola. e le Costituzioni e così tendere alla perfezione del propno stato:) L~ stesse Costituzioni, tenendo conto della forma aer~rchlCa. dell'Ordine, ad evitare interferenze e contr~~ti dI poter~, precisano con :no!ta esattezza le competenze del P. ~en~tale, del P. provmClale e del priore locale, che ricapItolIamo brevemente. . ~l ~.. generale, rico~10sc?n~, come è naturale, la piena &'lUIlSdizIOne sull Ordme mttero e sui singoli religiosi, SIa nel f~ro esterno che in quello interno, nel senso che quanto dI potere e giurisdizione vi è negli altri superiori, 3) Art. 508.
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si contiene in lui in modo più pieno e più perfetto; così che può ammettere i candidati idonei al noviziato e alla' professione; può concedere la licenza per ricevere gli Ordini sacri, per ascoltare le confessioni, per predicare;~) ha il diritto e il dovere di visitare canonicamente i singoli conventi dell'Ordine,5) disporre in essi, ordinare e rimuovere quanto ritiene opportuno, a norma delle Costituzioni, trasferire i religiosi da provincia a provincia e da convento a convento, dopo aver consultato i rispettivi pro-vinciali;6) erigere confraternite dello Scapolare e Terzi Ordini, conferire gradi accademici, permettere che i religiosi insegnino nelle pubbliche cattedre, dispensare dalla assistenza al coro per un tempo indeterminato quando interviene una causa giusta, presiedere con voce attiva, o personalmente o per mezzo di un delegato, ai capitoli provinciali, e anticiparli o ritardarli fino a due mesi, e ugualmente le congregazioni annue; 7) dispensare, in certi casi, dalla osservanza delle Costituzioni e degli statuti dei capitoli generali, a meno che non sia vietato espressamente. 8) Al medesimo P. generale, col suo consiglio, spetta anche esaminare e approvare gli atti dei capitoli provinciali e delle congregazioni annue/) ecc. E poichè lo stesso P. generale non è l'arbitro, ma il garante della legge, la sua autorità deve contenersi entro i limiti della Regola e delle Costituzioni, ed esercitarsi secondo le direttive da esse stabilite, conformemente al tenore della professione. Il P. provinciale ha giurisdizione nella provincia, in. maniera da poter rimanere e presiedere giuridicamente in" <) Art. 506. 7) Art. 511.
,,) Art. 509. ') Art. 512.
';) Art. 5JO. n) Art. 5l G.
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CAP. I
qualsiasi convento quando lo ritenga necessario per il bene della vita regolare; 1~) può trasferire liberamente i religiosi da convento a convento, e col consenso deldefÌnitorio anche gli ufficiali eletti, e gli stessi priori quando intervenire una causa utile ;11) col consenso del definitorio può aiutare i conventi più poveri coi proventi di quelli meglio provvisti.12) In particolare spetta a lui concedere le lettere dimissorie per gli Ordini sacri, la confessione c la predicazione; 13) designare i predicatori e i missionari per la quaresima, le missioni, gli esercizi spirituali, le predicazioni mensili e le novene; 14) conferire ai sacerdoti non carmelitani, nei limiti territoriali della sua giurisdizione, la facoltà di imporre lo scapolare del Carmine; 15) "concedere, per un tempo determinato, la dispensa dal coro a chi è legittimamente impedito, e dalla stessa recita dell'Ufficio a chi è ammalato o debole, e a tutti i religiosi che gli sono soggetti la dispensa dal digiuno nei giorni più solenni.1 ") E' anche suo diritto visitare, ogniqualvolta lo ritenga opportuno, i conventi della provincia, e suo dovere farlo almeno due volte nel triennio, o personalmente o per mezzo di un suo delegato. 17) Particolarmente, poi, è "affidata alla sua cura e alla sua vigilanza la formazione e l'istruzione dei mariani, dei novizi, dei chierici. L'autorità del priore locale, specificata nel capitolo 26 delle Costituzioni, si esercita sui singoli religiosi del convento, ed ha per oggetto tutto proprio l'osservanza rego]are. In particolare spetta al priore, a meno che non venga data dal superiore maggiore, impartire l'assoluzione" ge10) Art. 454. 13) Art. 459. 16) Art. 462.
11) Art. 457. 14) Art. 245. 17) Art. 456.
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nera le colla indulgenza plenaria nei giorni concessi dalla Santa Sede1') e vigilare sugli ufficiali del convento/D)
2; Velezione del priore La Regola, senza scendere ai particolari, come è nel suo stile, dice che il priore deve essere chiamato all'ufficio o per consenso unanime, o, se questo non è possibile, per consenso della parte più sana e più numerosa. Questa norma (valevole per la elezione del priore generale e del priore provinciale), che costituiva già all'inizio del secolo XII una formula giuridica di uso comune, venne ufficialmente consacrata negli atti del concilio Lateranense IV.~(') Essa trova la sua applicazione anche nella legislazione moderna, sia generale della Chiesa, sia particolare degli" Ordini religiosi, pur con le varianti e precisazioni che i casi o le circostanze richiedono. Infatti non essendo possibile, nè utile, far intervenire ai capitoli per le elezioni, tutti i religiosi dell'Ordine o della provincia, secondo si tratti della elezione del priore generale e della sua curia, o del priore provinciale e del suo definitorio, le Costituzioni determinano chi debba prendervi parte, o per diritto o per elezione regolare, in rappresentanza degli altri. E' evidente che gli elettori, così designati, costituiscono, all'atto pratico, la parte più sana; quella giuridicamente dotata delle debite qualità perchè dai capitoli escano supàiori legittimi, degni e capaci. Ciò raccomanda grande cautela e saggezza nella scelta dei così detti 18)
'") Art. 458. "0) Art. 461.
Art. 308.
19)
Artt. 334, 345.
~O)MANSI, SaCI'Ol"lIm cOllciliomm"... collectio,
1011. 6.
XXII, Venetiis, 177 8, col.
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CAi'o l
soci, affinchè quella che è la parte più sana, ossia meglio qualificata per diritto, lo sia anche di fatto. E poichè nonostante le migliori intenzioni e disposizioni degli elettori, non è facile ottenere unanimità di consensi, le Costituzioni, attenendosi a criteri pratici che valgono ad evitare lungaggini inutili e ad impedire l'accendersi di passioni, in conformità a quanto stabilisce anche il diritto canonico, determinano per le elezioni la maggioranza assoluta di voti nel primo e secondo scrutinio, e quella relativa nel terzo, anche se ai capitoli prende parte un numero limitato di elettori. Quanto al voto è troppo evidente, perchè sia necessario insistervi, che il bene dell'Ordine, la gravità e la santità dell'atto impongono di mettere da parte ogni considerazione puramente umana, di agire immuni da passioni, di non mirare a interessi personali, nè a quelli privati di un convento, e nemmeno una provincia o di una nazione quando si tratta del priore generale, ma di tenere presente solo la gloria di Dio, il progresso dell'Ordine e il bene comune. Il giuramento che si premette alla elezione de~ P. generale e del P. provinciale di (~ele~pe~e colu.i c~le 51 ritiene di dover el~ggere seco~~~ DIO », ) e u~ nchiam~ solenne al senso d1 responsablhta che deve eSIstere negb elettori; chi lo pronunziasse solo pro forma, macchiereb· be la sua coscienza al cospetto di Dio e d~gli uomini. S. Maria Maddalena dei Pazzi, trovandosi un giorno in estasi nella considerazione dello stato religioso, intese che il Si~nore avrebbe concesse nove gra~ie speciali qu~lorJ si fossero osservate nove regole, la pnma delle quah era 21) Rituale Ord. FF. B.mae Virginis Mariae de M. Carmelo ... , Typ. ['nliglottis Vaticanis, 1952, 410, 429.
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questa: Se le sacre adunanze religiose persevereranno nell'eleggere i superiori di tempo in tempo, senza mirare all'età o alle altre condizioni umane, ma solo alla illu. min~zione e all~ i~pirazione divina, lo sposo celeste darà a c111 governa 1assIstenza dello Spirito Santo. 22) Le Costituzioni elencano le doti che debbono eccellere n~l candidato, e la giustizia, la stessa pietà verso l'Ordine eSlge che tutt? si passi. al vaglio con molta prudenza, anche quando SI tratta dI scegliere i superiori dei conventi: procedendo COl: rettitu.dine la scelta ;arà fatta sempre bene, anche se glI eletton non saranno tutti concordi su una medesima persona. Terminiamo con un'ultima osservazione: sebbene coloro ~he stanno a capo, qualunque possa essere il grado di premmenza, come pure chi esercita un ufficio nella comunità, debbano avere un comune denominatore dj qualità morali e soprannaturali, non è detto che chi è adatto ad un ufficio lo sia ugualmente ad un altro. Un buon priore potrebbe essere un economo scadente e viceversa, mo~iv~ per cui la valutazione va fatta in rapporto alle manSlOl11 e alle competenze di un determinato posto di responsabilità. 3. Le promesse da farsi al priore Abbiamo già rilevato che il testo originario della Regola non faceva cenno, in questo punto, della castità e della povertà, e l'aggiunta, a rigor di termini, non sarebbe stata necessaria sia perchè l'obbedienza comprende 239.
22) Cf. Vita e ratti di S. lvJaJ1'a Maddalena dà Pazzi, I, Venezia, 1683"
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anche gli altri due voti, tanto è vero che nella formula della professione vi entrarono solo in epoca molto posteriore,23) sia perchè della povertà e della castità la Re~ gola parla rispettivamente al capitolo nono: del non ·aver alcunchè di proprio e nel capitolo decimo quarto: delle armi spirituali. Per non ripeterci tratteremo di questi due voti nel commento ai citati capitoli. Intanto però è opportuno dare il dovuto risalto all'accento che il legislatore pone sull'obbligo di mantenere la promessa: studiandosi di osservarla con verità di opere. «Figliuoli miei, sembra ripetere a questo punto coll'apostolo S; Giovanni, non amiamo colla parola e colla lingua, ma coll'opera e col· la verità. 24) , Il richiamo, giustificato sotto ogni aspetto, mette in guardia dal pericolo che la deboleza umana, alla quale si può associare la superficialità e la leggerezza, non abbia a contrastare la santità di un impegno formale, contratto liberamente con Dio. Gli ammonimenti dello Spirito Santo a questo proposito, sono gravi e non contemplano ec~ .çezioni: «E' meglio non promettere [a Dio] che non .mantenere le promesse »/5) e ancora: «Se hai promesso .al Signore sii fedele alla promessa, perchè gli dispiace ~una promessa stolta e infedele ».26) Non esiste obbligo 'speciale di abbracciare lo stato religioso, salvo casi del tutto particolari, ma una volta decisi per esso colla pr~ . 23) Ufficialmente la formula coi tre voti entrò nelle Costituzioni solo dopo il concilio di Trento: Constitutiones Fratrum Ord. B.mae Dei GenÌlricis Mariae de Monte Carmelo iudicio Retl.mi magistri J. B. Caffardi ~ .. ad normam concilii Tridentini, Romae, 1586, 133. Da notare però che qualche formula in uso in precedenza aveva già i tre voti espressi: cf. SAGGI, La Congregazione m'antovana, 292; 24) l Giov., 4, 20. 25) Eccl., 5, 4. 26) EccI., 5, 3.
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fessione v'è obbligo di vivere secondo le promesse fatte e la Regola scelta. Il Signore ha assicurato un premio gran~ de a chi abbandona tutto e lo segue, ma l'ha subordinato alla fedeltà ai d~veri; se questa mancasse si moltiplichereb~ b~;o le colpe e m luogo della ricompensa si avrebbe una plU grave condanna. S. Maria Maddalena dei Pazzi aven~ do avuto ~~ giorno la visione di molte anime religiose cadere nell mferno ebbe ad esclamare: «Quanto sarebbe stato meglio se fossero rimaste nel secolo anzichè non osservare le promesse fatte con voto solenne! In tal maniera. si san rese degne di castigo e di pena maggiore». 27)
27) BAUSA,
Vita cd estasi I, 114.
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II
DELLA OBBEDIENZA Il B. Giovanni Soreth commenta così le ultime parole del primo capitolo della Regola: «Le opere debbono corrispondere alle parole, cioè alle promesse fatte in forma solenne, perchè l'uomo, dopo essersi allontanato da Dio colla disobbedienza, deve tornare a lui colla obbedienza.» Quindi, toccando un tasto assai delicato, prosegue: «Chi, nascostamente o apertamente, induce il superiore a concedergli ciò che desidera, si inganna qualora creda di camminare per la via retta, perchè in quel caso non è lui che obbedisce al superiore, ma il superiore che ubbidisce a lui ».1) La vera obbedienza si collauda alla prova dei fatti, sopratutto quando l'ordine ricevuto, sia in cose grandi che piccole, si eseguisce senza acrimonia e senza critiche, anche se dispiace e ripugna alla natura, ovvero il permesso negato produce un senso di contrarietà e, tuttavia, si sa tacere. La Regola dei primi monaci, dall'esempio di chi è crocifisso, che non può più muovere a piacimento le membra nè può cambiare di posizione, ma deve stare immobile dove lo ha conficcato il crocifissore, trae questa conclusione: «Così bisogna che tu sia talmente' inchiodato alla croce, e rinneghi talmente te stesso, da non rivolgere la tua volontà a ciò che ti piace e ti diletta nel 1) Spec. C01'1n., I, num. 2637.
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momerito, ma l'applichi dove ti ha legato la mia... E come colui che è inchiodato alla croce non vede le cose pres~nti, di~entica le passate, non si preoccupa del domam, non e affatto mosso da concupiscenza carnale non acceso da superbia, da contesa, da vendetta da in~idia . ancora. nel corpo, si crede " già morma, quantunque VIva ~o al mo~do, tenen?o fisso Il cuore a quella patria dove e certo dI dover gIUngere presto, così è necessario che tu, penetrato di timo: di. Dio, t.i reputi morto a tutte queste cose, e tenga fiSSI glI occhI della tua anima soltanto a. quella patria che devi, ogni momento, sperar di raggIUngere ».2) Per svilupparsi, corroborarsi e mantenersi l'obbedienza ha bisogno del s~stegno di altre virtù, se~za le quali o. non 'potrebbe SussIstere, o sarebbe sempre in pericolo dI vemr meno. Esse sono, principalmente, l'umiltà che reprime gli stimoli dell' orgoglio e l'istinto naturale della indipendenza? la. fede che fa vedere nel superiore la persona stessa dI DIO, e nelle leggi la manifestazione sicura della sua volontà; e, sopratutto la carità virtù prin. d I ' , Clpe e cristianesimo. «Solamente la carità, scrive il B. Soreth, ci insegna a praticare l'obbedienza con verità di opere, ed è soltanto essa che la rende gradita ed accetta. a. Dio. «Se parlassi le lingue degli Angeli e degli UOmInI e non avessi la carità sarei come un bronzo che risu?na o un ~embalo che tintinna. E se anche possedeSSI la profeZIa e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, 'ed avessi anche tanta fede da Jrasportare le montagne, e poi non avessi la carità, non sarei nulla. Se poi elargissi tutte le mie facoltà in cibo ai poveri, e 2) Spec. Corm., I, 28.
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dessi il mio corpo per essere arso e non possedessi la carità non mi gioverebbe nulla. La carità è paziente, è benigna. La carità non è astiosa, non agisce in vano, non si O"onfia, non è ambiziosa, non cerca le cose sue, non si i~rita, non pensa al male, non gode sopra il male, ma gioisce della verità; tutto ricopre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta ».3) D'altra parte la carità perfetta si rivela, in modo tutto particolare, nell'esercizio della obbedienza, perchè nulla è tanto accetto al Signore quanto il dono vero e sincero della propria volontà. Protestar gli amore e negargli l'obbedienza, sopratutto quando si è promessa con voto, o eseguirla di malavoglia, è controsenso ed ipacnSla. Ma se l'obbedienza, per sostenersi, ha bisogno dell'aiuto di molte virtù, essa, a sua volta, è causa e sostegno per tante altre. Ce lo ricor?ano le C~st~tuzioni, ~ulla autorità di un Padre della ChIesa: «PolChe, come 1l1segna S. Gregorio, l'obbedienza è una. vir~ che inserisc.e le altre nell'anima, e dopo averle 1l1sente le custodIsce ... » 4) Queste virtù sono la povertà, la castità, la pietà, la pazienza, la mitezza, la mortifica,zione; l'amore all'Ordine e alla osservanza regolare... L espenenza, non meno della ragione, dimostra c~e l'uo~o o?b;diente, come in. . segna lo Spirito Santo, nporta v1tton~.) Detto questo esaminiamo, .sulla gUida del Cl~ato artIcolo delle Costituzioni, le dotI della vera obbedle~1za. ~n esso si legge: «Al legittim? superiore si. ~b,bedlsca, 1~ tutto ciò che è onesto e leClto, con semphClta senza dI") , 1 Cor." 13 17 -.
4) Art. 114.
") Prov., 21, 28.
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scussione, con prontezza senza indugio, con al11mo lieto' e non con tristezza e per forza».
Semplicità senza discussione Poichè l'obbedienza richiama la fede e la fede si rivela eccellentemente nella obbedienza, possiamo stabilire un'efficace analogia tra queste due virtù, l'una teologalè' e l'altra morale. Mediante la fede crediamo in Dio e nelle verità da lui rivelate, non perchè siano evidenti in se stesse, o perchè conformi ai postulati della ragione umana, ma per l'autorità di Dio che nè può ingannarsi, nè ci può ingannare. Tanto più la fede è semplice, vera, meritoria quanto più l'assenso prescinde dalle prove di ordine na-· turale, e riguarda i dommi più ineffabili della nostra religione; motivo per cui una delle qualità intrinseche ?ella fede è di essere oscura. L'assenso che fosse subordmato' al ragionamento e alla convinzione razionale non sarebbe fede perchè verrebbe a mancare il motivo formale di questa virtù, costituito dalla autorità di Dio. Perciò' chi dicesse: credo a questo perchè lo ritengo vero, ma non a quello perchè non lo comprendo, o non mi sembra razionale, sarebbe in aperta contra dizione qualora. affermasse di aver fede. Anche l'obbedienza religiosa ha per motivo formale l'autorità di Dio, il quale (come ricorda la Regola al capitolo diciottesimo) parlando dei superiori ha detto: « Chi ascolta voi, ascolta me, e chi dispreza voi disprezza' me» ;6) e per fondamento ha la fede che fa vedere nel superiore il rappresentante di Dio. Quando però si ob6) Luc., lO, 16.
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CAP. l
bedisse, con le dovute disposizioni di mente e di cuore, perchè l'ordine appare giusto al vaglio di una discussione, e per di più anche opportuno ed utile, verrebbe a mancare il sostegno della fede e il motivo formale che le conferisce pregio, dignità e merito: in questo caso la obbedienza diventerebbe ragionata ed umana, e fa supporre diversa disposizione se l'ordine non fosse confor· me al proprio giudizio. Il B. Giovanni Soreth convalida questo principio appellandosi alla autorità di S. Bernardo: che Dio ci comandi direttamente o per mezzo di chi lo rappresenta è sempre la medesima cosa; perciò) supposto che il comando non sia contro la sua volontà (circostanza che dovrebbe apparire chiaramente) si deve mostrare sempre uguale obbedienza e riverenza. T) E come è da ritenere che nessuno ardirebbe opporsi o discutere un comando diretto di Dio, così il vero obbediente non si oppone e non discute un comando di chi lo rappresenta. Anche le Costituzioni, ispirandosi al cap. 18 della Regola, richiamano espressamente questo motivo soprannaturale della obbedienza, raccomandando «che in tutto ciò che si deve fare od omettere non si guardi tanto alla persona del superiore quanto a Cristo che lo pose a nostro capo». 8) La semplicità senza discussione consiste, dunque, nell'obbedire senza indagare i motivi che possono aver determinata una legge o un precetto, e sulle finalità che si propongono; senza chiedersi se le varie circostanze di tempo e di luogo sono state scelte opportunamente; senza analizzare se il superiore è prudente, giusto, ecc. Ragione per cui S. Giovanni della Croce definisce l'obbe') Cf. Spe,·. Carm., I, 2G38.
') Art. 114.
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dienza penitenza della ragione e del proprio giudizio, ed afferma che, presso Dio, è il sacrificio più accetto e più gradito di qualsiasi altro. 9 ) E raccomanda: «Guardati molto bene dall'esaminare la condizione, i talenti, l'indole naturale, il modo di procedere del tuo superiore, perchè altrimenti ti farai tanto danno che verrai a mutare la obbedienza da divina in umana, muovendoti o no ad agire solamente in considerazione delle qualità visibili del superiore, e non per amor di Dio invisibile, al quale tu servi in lui ».1~) Notiamo ancora che l'espressione semplicità senza discuHione deve intendersi in senso integrale, in quanto, cioè, oltre agli apprezzamenti che si possono manifestare esternamente con parole, con gesti ecc., siano evitati anche quelli interni che rimangono nell'ambito dell'inteìletto, perchè la vera virtù abbraccia l'uomo nella sua intierezza di azioni, di sentimenti e di pensieri. Prontezza senza indugio
Il vero obbediente non attende il comando espresso, ma lo previene, non pone ritardo nell'eseguirlo, non misura l'entità del lavoro richiesto, nè il sacrificio necessario. E poichè gli ordini possono essere di cose piacevoli, conformi alla inclinazione, e di cose che repugnano alla natura, è facile comprendere che la prontezza della obbedienza non si prova tanto nel primo quanto nel secondo caso, ave è necessario superarsi con una certa violenza. s. Tommaso osserva che l'obbedienza rende la volontà dell'uomo pronta ad eseguire il volere di un altro, cioè di colui che comanda. Ma quando la cosa comandata è f,) Notte oscura del senso, 6, l. l") Cautele contro il demollio, II.
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in sè piacevole, anche prescindendo dal comando, vi si tende spontaneamente, e allora si può pensare che si agisca non per obbedire a un ordine, ma perchè l'azione corrisponde al proprio volere, quindi conclude che la vera obbedienza si dimostra nelle cose contrarie e difficili. 11 ) La prontezza deve accompagnare le azioni del religioso non solo quando interviene un precetto esplicito del superiore, ma anche nella osservanza abituale della Regola, delle Costituzioni, del Rituale, del Cerimoniale, e, più particolarmente, dell'orario che modera quotidianamente la vita di comunità; per cui quando è chiamato alla meditazione, alla S. Messa, alla recita del divino Ufficio, allo studio, alla scuola, al lavoro, il vero obbediente non ha difficoltà di ripetere: «Pronto è il mio cuore, o Dio, pronto è il mio cuore ».'2) Il ven. P. Domenico di S. Alberto, nel farci conoscere i mirabili esempi di virtù dei novizi e giovani professi del Carmelo di Rennes del suo tempo, parlando della loro obbedienza scrive: «Tra loro è d'uso corrente la frase: comanda Cristo: basta; e non solamente non adducono scuse (cosa per essi veramente inaudita), ma se si volessero spiegare le ragioni, se si tentasse dir loro perchè e per come viene comandato questo o quello, si rifiutano affatto di udire, contenti da veri obbedienti del detto: Dio vuole così...» Quindi prosegue: «Sono soliti prevenire, con diligenza, il segno che vien dato col suono della campana; prendono le cappe, i breviari e ciò che necessita, per compiere quel determinato atto, per uscire al primo tocco, e interrompono ciò che stanno facendo in cella, anche una 11) Cf. Summa, II II, q. 104, '") Salm.56, 8.
<l.
2, ad 3.
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parola cominciata o una lettera, dicendo a sè stessi: questo è il segno del gran re, andiamo a offrirgli doni ».1:1) Con animo lieto e non con tristez.za
t:
per forza
La santa letizia è il coronamento di qualsiasi virtù cristiana, indice anche di eroismo, perchè quando il servizio di Dio (inerente alla pratica della virtù) è compiuto con tale disposizione d'animo, nulla gli manca per essere perfetto. Le nostre Costituzioni ci additano questa alta meta, incitandoci a non sostare finchè, vinta ogni repugnanza della natura, non avremo raggiunto un tale equilibrio interiore da farci accettare ogni ordine ed eseguire qualsiasi prescrizIone con animo lieto, non con tristezza e per forza. Naturalmente un livello tanto alto, comune nei Santi, è frutto di grande lavoro, di molta pazienza e di lungo esercizio, perchè presuppone vittoria completa sul nemico più potente e più agguerrito che è in noi: l'amor proprio; ragione per cui nessuno deve sgomentarsi se trova il cammino irto di difficoltà, se di fronte a certe disposizioni le passioni ribollono e la natura ricalcitra. A lu~go anelare, la santa perseveranza e, sopra tutto, lo spirito eli fede che fa vedere Dio in ogni cosa, potranno condurre le anime generose alle più belle e insperate vittorie. Concludiamo le nostre osservazioni sulla obbedienza riportando con un breve commento gli articoli così sa~ pienti e così pratici delle nostre Costituzioni su questo fondamentale argomento: 1. «Affinchè i nostri religiosi siano obbedienti di fatto, '") DO~I1NICUS A S. ALBERTO, O. CARM., Exercitatio spiritualis fratrum ... iII 110stro Carmeli Rhedol1el1si novitiatu degentiu",; ec!. Joannes.a Cruce Bren· l!inger, in Anal. Ord. Carm., 11 (1940-42), 61·62. .
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studino con diligenza le parti che debbono osservare per obbedienza, che sono: la Regola, le Costituzioni, il Cerimoniale, il Rituale e gli altri libri liturgici secondo il nostro rito, gli insegnamen~i e gli ~rdini ~ei sUReriori, e ciascuno li osservi secondo Il propno obblIgo.» - ) L'articolo merita particolare attenzione perchè richiama obblighi esistenti sempre e dovunque, ci sia o no racchio del superiore o un suo comando esplicito, ci sia o no il buon esempio da parte degli altri, o fin anche l'osservanza della comunità; obblighi contenuti nella Regola, nelle Costituzioni, nel Cerimoniale, nel Rituale ecc. ai quali si è tenuti in forza della professione emessa liberamente e individualmente. E se quale;uno osservasse che la Regola obbliga sotto peccato veni~le .e le ~ostitu~ioni solo a subire la pena eventualmente mfhtta, nspondlamo che qui non si tratta di misurare in precedenza la gravi:à di una colpa, ma di indicare la strada maestra per Vivere secondo Dio. D'altra parte è risaputo che circostanze particolari, quali il disprezzo esplicito o implicito dellalegge, lo scandalo, il disordine ecc. possono conferire reato di colpa ad azioni che in sè non l'avrebbero, e aggravare quella leggera. Si noti anche il richiamo a procurarsi una esatta cognizione di ciò che si deve osservare per ,obbedienza. ~' un richiamo logico, opportunamente pero proposto m forma esplicita. Come al competente esercizio di qualsiasi professione, di qualsiasi arte, di qualsiasi scienza è neces~ario lo studio e la debita preparazione, che il più delle volte si acquista con grande fatica e duri sacrifici, così, e molto più, è necessario per vivere da religiosi. In casi con14) Art. 115.
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creti la trascuratezza e l'ignoranza non toglie nè diminuisce, ma aumenta la responsabilità. E poichè l'obbligo dei voti deve intendersi secondo lo spirito della Regola, il ven. P. Michele di S. Agostino non teme di affermare che noi carmelitani siamo tenuti a ubbidire non solo quando Dio ci comanda per mezzo della legge e per mezzo dei superiori, ma anche quando ci fa sentire la sua voce direttamente, per mezzo delle lspirazioni della grazia: trascurandole, egli afferma, non possiamo conseguire il fine della nostra vocazione che esige la continua, familiare conversazione con Dio. H ') 2. «Del resto avendo Cristo Salvatore detto dei superiori: Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me, i sudditi si persuadano che tutto ciò che viene loro comandato è giusto, a meno che non apparisca cattivo di per sè stesso, e con evidenza; perciò pieghino il proprio criudizio e sentimento, vincano le difficoltà e ripugnanze ~ sottomettano tutte le loro azioni al giudizio e alla volontà dei superiori: in questo modo si sforzeranno di adempiere realmente l'obbedienza promessa e meriteranno di ricevere dal uiusto giudice Cristo Signore la ricompensa della loro u~iltà e sottomissione» .16) L'articolo richiama non solo alla obbedienza di esecuzione, ma anche a quella di volontà e di giudizio, alla quale è assicurata la pienezza del premio. Deuna di nota è anche l'osservazione che «i sudditi b si possono santificare coi difetti dei superiori e i superiori coi difetti dei sudditi »/') perchè previene in partenza le difficoltà che la natura incontra nel dover obbedire a superiori meno degni e meno esemplari. 15) Cf. lnfl"oductio, 25-40.
16) Art. 119.
") Art. 114.
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CAP. II
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Capitolo Secondo
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. Potrete avere dimore negli eremi o dovunquf! vi saranno state donate, purchè adatte e comode alla osservanza della vostra religione, e secondo sarà sembrato con vel1iente al priore e ai frati.
I CONVENTI E L'APOSTOLATO L'interpretazione letterale del testo primitivo della Regola, nella quale mancava questo capito~o ~ggi~nto ~a Innocenzo IV, permetteva ai carmehtam d1 abltare m luoghi solitari, secondo l'uso dei pr~mi mo~aci c~lstlani~ , e come, più o meno, era stato pratlcato dal sant!. Padn Elia ed Eliseo e dai loro discepoli. A loro riguardo si legge nel libro IV dei Re: «I Figli dei Profeti dissero ad 'Eliseo: ecco il luogoove abitiamo dinanzi a te è troppo , angusto per noi; andiamo dunque sino al Giordano e ciascuno prenda dalla selva la sua porzione di legname per · edificare un luogo di abitazione ».1) Il B. Giovanni Soreth, ripensando forse con nostalgia al modo di vivere · degli antichi Padri del Carmelo, riporta a questo punto le parole di S. Girolamo che esaltano la vita di solitudine: «La città è per me un carcere e la solitudine un paradi: so »; quindi prosegue: «La nostra vocazione, o fratelli, · dopò aver abbandònato le folle delle città, è di andare in , cerca della solitudine ... Non parlo deì vescovi e dei presbi-
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teri il cui dovere è diverso, ma del, monaco ... Se dunque vuoi esprimere sul serio il nome che porti, che significa solo, cosa stai a fare nelle città, costruite non per dimora dei solitari, ma delle moltitudini? Ogni cpndizione di vita ha i suoi campioni... il nostro capo è Elia e il nostro condottiero Eliseo, le nostre guide i Figli dei Profeti che abitavano nelle campagne e nelle solitudini e si costruivano le abitazioni sulle rive del Giordano ».2) La presente aggiunta fu di grande importanza perchè costituì la chiave di volta verso il nuovo indirizzo al qu~ le l'Ordine, sotto la pressione degli avvenimenti, si era avviato. Non si trattò tuttavia di un cambiamento brusco o improvvisato in quanto le circostanze avevano già attenuata la solitudine propria del Carmelo, avvicinando, più o meno, gli eremiti ai centri abitati; e nemmeno di un cambiamento totale perchè in questo capitolo aggiuntivo si dice espressamente che mentre si possono fondare eremitaggi senza alcuna difficoltà, quando si tratta di altri luoghi, cioè di dimore vicine ai centri abitati, il priore e i fratelli debbono esaminar bene se in essi è possibile vivere secondo lo spirito dell'Ordine. In tal senso ci sembra dover interpretare le parole: «Potrete aver dimore negli eremi, o dovunque vi saranno donate purchè adatte e comode alla osservanza della vostra religione ». In seguito quegli stessi motivi che avevano spinto a chiedere la facoltà di fondare conventi non eremitici, portarono ad accrescerne il numero, fino a farli prevalere in maniera assoluta. Si deve allo zelo e alle aspirazioni dei nostri riformatori se l'idea dell'eremitaggio è sopravvissuta attraverso i secoli non solo come ricordo storico, ma an2) Spec. Carm., I, 2663.
1) 4 Re, 6, 1-2. 1.
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che come realtà sia pure frammentaria e intermittente. Le Costituzioni della Riforma Turonense richiamarono in onore la vita eremitica stabilendo espressamente: «Afnnchè lo scopo originario del nostro sacro Ordine, cioè lo studio della divina contemplazione e l'amore della santa solitudine, una volta unica nostra occupazione, ora la principale, sia tra noi sempre in vigore, stabiliamo che in questa nostra provincia Turonense vi sia un convento eremitico, lontano dalle città e dallo strepito dei secolari, nel quale alcuni nostri religiosi vivano in clausura pi~ stretta, tutti dediti alla contemplazione delle cose celestI e aoli esercizi della santa solitudine ».3) Anche le Costituz~ni vigenti raccomandano, quanto è possibile, di fondare conventi eremitici. 4) La riforma degli Scalzi era stata concepita, all'inizio, come un ritorno alla vita eremitica: infatti le Costituzioni emanate per essi dal priore generale Giov. Battista Rossi dicevano: «Durante il tempo in cui non si è occupati colla comunità e nell'ufficio, ciascuno rimanga nella propria cella o nell'eremitaggio, come sarà indicato dal prio· re, nel luogo del suo raccoglimento, lavorando in qualche ufficio onesto, rimanendo nel proprio luogo appartato, come prescrive la Regola, così che ognuno viva separato. Colla licenza del priore, intervenendo una necessità, si potrà entrare nella cella o nell'eremitaggio di un altro. Parlino sempre con voce sommessa ».5) Abbandonata, successivamente, l'idea della vita eremitica per tutti, sorsero per opera del P. Tommaso di Gesù, i deserti, attuati secondo il concetto della Regola: celle ") Regula et collslÌlwiolles [1636], 52. 4) Art. 112. fi) Constittlliones generalis Rilf:ci pro Carmelitis Discalcealio. in Allai. Ord. Carm., 4 (1917-22), 112.
separate tra loro da un orto, ma raccordate su un quadrilatero da un corridoio che conduce alla chiesa posta al centro dell'edificio.") , Non vi è dubbio che la trasformazione da eremitiCO in mendicante, il passaggio dalla vita contemplativa alla così det~a vit: mista, sia pure con prevalenza alla contemplazIOne, e stato spesso per l'Ordine causa di intimo e profon?o t~avag1i? Nella sua storia non mancano tipici esponentI "':,el q~ah questo t~avaglio operò più intensamente e pm att1va~ne"':t~: pnmo tra tutti, e agli esordi ancora del nuovo mdmzzo, fu il B. Nicolò Gallico, il quale eletto generale nel capitolo di Tolosa del 1265,') in aperto contrasto con S. Simone Stock, cui successe nell'ufficio, vedeva con grande dolore l'abbandono della solitudine e della pura contemplazione. Nel 1270, lasciata la ca~ica e ritirato si sul ~lonte Enatroff (o Eratroff), casa di Dzo e porta. del paradiSO, come egli lo chiama, scrisse la famosa Sagltta Ignea, che può definirsi un rimoianto amaro e inconsolabile del passato e una dura, q~asi spietata requisitoria del presente. . Taluni, per aver l'Ordine abbandonato, quasi definittvarr:-ente, ~a fo~rr:-a e~emitica, ci accusano di aver perduta 1~ fìSIOnOl;?la. o~lgma~la, e di esistere oggi senza note speCIfiche e Cllstmtlve. L accusa sarebbe vera e assai o-rave se allontanandoci dalla lettera della legge, ne aves~mo an: che perduto lo sp~rito: ragione per cui quanto più siamo pr~s,l dalle necessItà d~l1a vita moderna e dalle esigenze delI apostolato, tanto P1Ù dobbiamo essere vigilanti perchè .
,. ")
AN~STASIO J)E~ S.
ldetluma,
l)
J.
ROSARIO., O.C.D., L'eremitismo della Regola Cm'. Ephemertdes CanneÙltcae, 2 (1948), 257. BALE, Catalagl-lS pn·orum. genera!ium, in 1\1012. hiJt. carm., 2-1R. In
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non abbia ad affievolirsi lo spirito di orazione e di ràCCO:.. gli mento che ci distingue e ci caratterizza. Peraltro qualsiasi rimpianto di una forma di vita che non costituisce più per noi la norma, ma la eccezione, sarebbe illegittimo nella sostanza e sterile negli effetti. Opportunamente le Costituzioni fanno obbligo di spiegare ai novizi che «lo spirito del nostro Ordine è duplice, cioè non soltanto contemplativo, ma anche attivo »,s) e nel secondo articolo, nel precisare la ragione del nostro Ordine, ci dicono che sull'esempio dei nostri Padri Elia ed Eliseo dobbiamo unire la vita contemplativa, che rimane per noi il fondamento e la parte principale, con la vita attiva. Detto questo, notiamo che in tempi antichi conventi e chiese si edificavano senza tener in particolar conto j bisogni spirituali dei fedeli, ai quali, dato il numero considerevole di sacerdoti secolari e di religi~si, era sempre provveduto in maniera sufficiente. Grandi monasteri e grandi chiese sorgevano, non di rado, a breve distanza, solo perchè qualche ricco benefattore desiderava soddisfare la sua pietà, o legare il proprio nome a un edificio sacro. Poichè la condizione presente, che sta facendosi di giorno in giorno più grave per il sorgere di nuove città o di nuovi rioni, è assai diversa, nelle nuove fondazioni, doveri di carità verso il popolo e di fedeltà alla Regola esigono che si guardi non alla storia, al lustro cne l'Ordine può averne, alle comodità, ai vantaggi ecolI011:lici, ecc. ma prima di tutto alle esigenze spirituali dei fedeli. Disinteressarsene, o volerne prescindere, Q. solo; non &re ') Art. 32i.
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al problema il peso che gli si deve, significherebbe vivere al di fuori o ai margini della Chiesa, e sarebbe cosa assai grave. Questa considerazione ne porta con sè altre di non minore importanza, ma una, in modo particolare, merita di essere attentamente ponderata per i suoi vasti riflessi: non si può dire che per essere passati dalla solitudine del deserto all'apostolato il compito dell'Ordine sia stato reso più facile e le responsabilità dei suoi membri fatte più leggere, perchè se i primitivi eremiti dovevano pensare solo a sè, al raffinamento del proprio spirito, alla purificazione della propria anima, e ad esercitare un solo genere di apostolato, senza dubbio prezioso e fecondo, quello della preghiera e della mortificazione, noi dobbiamo aggiungere l'apostolato del buon esempio e tutte quelle forme di attività esterna che la Chiesa ci domanda e le circostanze ci impongono. 1. Apostolato del buon esempio Per il retto e fruttuoso esercizio di una missione altissima, si tratta infatti di dispensare i misteri divini e di essere con Cristo generatori di grazia, abbiamo nelle nostre Costituzioni norme quasi preliminari, appropriate e sapientissime nei capitoli decimo sesto e decimo settimo ave si parla del modo di comportarsi dentro e fuori convento. .Com~ tema generale esse ci ricordano che «se la perfez10ne lllterna della nostra santa religione è basata sopra; una carità ferventissima, l'onore e il decoro esterno si fondano sulle relazioni dignitose e modeste coi secolari»' a) stabiliscono quindi che l'uscita dei religiosi dal conve~t~ sia regolata dalla obbedienza, e ai secolari non sia per~ 9) Art. 181.
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messo l'ingresso in convento senza la debita autorizzazione/O) Richiamati poi i doveri specifici del fratello por~ tinaio, raccomandan~ di conversare coi secolari con prudenza e modestia, senza venir mai meno alle regole della educazione, e tenendo conto del tempo, del ìuogo .è delle persone; di non sciupare il tempo inutilmente nelle visite e in discorsi e conversazioni poco religiose e non edificanti; a non fermarsi a lungo e non frequentare case se non quelle permesse dal superiore; 11) vietano l'eccessiva familiarità coi secolari che possa permettere loro di venire a conoscenza o solo a sospettare i segreti del convento, e raccomandano di evitare qualsiasi vanto di sè e dell'Ordine/ 2) Finalmente nel nostro ed altrui interesse, sia spirituale che morale, ricordano di custodire i sensi, specialmente gli occhi, le orecchie, la lingua, di conservarci in vera umiltà, manifestandola, a scopo di edificazione, colle parole, coll'aspetto modesto e il camminare posato, e a vedere Dio nel prossimo e nella sua immagine.l :!) Ma anche le norme stabilite per la vita dentro il convento, almeno indirettamente, hanno il loro riflesso sulle relazioni coi secolari e sui doveri verso di loro, perchè quando non si è abituati a una vita seria, di controllo, educata, non si riuscirà a nascondere i difetti coi secolari, e di conseguenza non si mancherà di produrre effetti del tutto negativi, contrari cioè all'apostolato del buon esempio al quale siamo tenuti; nè si potranno osservare con essi le regole della modestia cristiana e della sana educazione' civile, che tanto edificano e conquistano, quando non si .. . praticano entro le mura del monastero coi propri confra''') Ivi.
") Art. 182.
lZ)
Artt. Ui3. 185.
;;') Art. 1~~.
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telli. Queste norme stabiliscono: «Poichè conviene che le persone religiose, in convento, si comportino da santi come nella casa di Dio, perciò i nostri religiosi siano posati e modesti nel camminare e si abituino a tenere le mani sotto lo scapolare. Non prevengano i discorsi degli altri, non muovano con leggerezza il capo, non vaghino collo sguardo qua e là; tengano le vesti sempre pulite e religiosamente ordinate; conversino e trattino insieme secondo i gradi e gli uffici, con scambievole rispetto e affabilità ... Tra i nostri religiosi non vi sia troppa familiarità, e nessuna particolarità nella conversazione, ma tutti si amino ugualmente nel Signore con tenero affetto cristiano ».1') La serietà del comportamento che evita l'incedere leggero e scomposto, l'ordine della persona e la pulizia degli abiti, da non confondere colla ricercatezza e la vanità, la parola seria e misurata che rifugge da conversazioni chiassose e argomenti vani, sono le armi del buon esempio che il religioso è obbligato ad usare sempre e dovunque, per il decoro della religione e l'edificazione dei secolari. 2. Apostolato della preghiera e del sacrificio
Un'altra forma di apostolato di carattere eminentemente spirituale e tipicamente carmelitano, non meno ricco e fecondo, non meno utile e necessario, è quello della preghiera e del sacrificio, che ispirò gli antichi eremiti del Carmelo, e sul loro esempio, in maniera vera;.. mente mirabile, tutti i nostri Santi. «Approfittiamo dei brevi momenti della vita, facciamo piacere a Gesù, sal,. vandogli delle anime per mezzo dei nostri sacrifizi », 14) Artt. li?, 179.
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esortava Santa Teresa del Bambin Gesù.'5 ) Mentre è noto che Santa Teresa d'Avila fu spinta a fondare monasteri di più stretta clausura e di penitenza più rigorosa collo scopo dichiarato di aiutare colla preghiera e la mortificazione i difensori della fede. 16) Il sommo pontefice Pio XI dava a questa altissima forma di apostolato il più autorevole riconoscimento: «Si intende del resto facilmente - scriveva - che coloro i quali adempiono l'ufficio della preghiera e della mortificazione continua, contribuiscono molto più all'incremento della Chiesa e alla salvezza del genere umano, di quelli che coltivano il campo del Signore con la loro attività; se infatti essi non traessero dal cielo l'abbondanza delle grazie divine per irrigare il campo, gli operai evangelici riceverebbero certamente minor frutto dal loro lavoro ».11) , Questi ammaestramenti sembra abbiano dimenticato certi religiosi che invece di confidare nella grazia di Dio e di ottenerla da lui coll'umile e insistente ricorso, confidano esclusivamente, o quasi, nella propria attività riducendo al minimo la preghiera, o non riponendo in essa la debita fiducia. Vana illusione! perchè come insegna la fede e l'esperienza conferma, il lavoro umano è destinato all'insuccesso quando non è fecondato dalla grazia celeste: «Se il Signore non edifica la casa, lavorano inutilmente quelli che la vogliono innalzare ».'8) Alla pratica di questo apostolato, tanto importante e necessario, sono chiamati tutti: sacerdoti e chierici, novizi e fratelli, giovani e vecchi, sani e ammalati, e, in maniera 15) Storia di un'anima [e altre opere], Lice, Berruti, Torino, 1943, num. 562. 36) Cammino, I, 2. 37) Costituzione Apostolica Umbra/ilem, in A.A.S., 16 (1924), 389. 18) Salmo 126, 1.
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affatto particolare, le monache consacrate, più di proposito, alla solitudine e alla preghiera. La storia del nostro Ordine, come ben sappiamo, è fecondissima di esempi luminosi fin dagli inizi. 3. Apostolato sacerdotale
La terza forma di apostolato, oltre quella del buon esempio, della preghiera e del sacrificio, più strettamente propria dei sacerdoti, è l'apostolato della predicazione, della confessione, dell'insegnamento catechistico, della assistenza agli ammalati e ogni altra attività che possa essere suggerita o imposta da particolari circostanze di tempo e di luogo e dalla obbedienza .. Il ven. P. Michele di S. Agostino, che della vita carmelitana ebbe la visione più perfetta e ne fu maestro col- . l'esempio e cogli scritti, torna spesso su questo dovere, anche per fugare qualsiasi timore che l'apostolato possa essere di intralcio alla vita contemplativa. «Nel mentre il carmelitano - egli scrive - o chiunque fa professione di vita mista, si occupa per obbedienza di simili cose (predicazione, confessioni, visita agli infermi, ecc.) o anche' si dedica agli studi per rendersi capace di assolverle, sod- . disfa una parte della sua vocazione e agisce come essa impone. Nessuno dunque cada in inganno pensando falsamente di soddisfare alla propria vocazione rimanendo·, sempre solitario nella cella, o standosene continuamente, . come Maria Maddalena, ai piedi del Signore, perchè, se anche come lei abbiano scelta la parte ottima che non potrà essere loro tolta, tuttavia scelsero anche la parte . buona di Marta, in modo che quando lo esige la carità o' urge la necessità o lo permette l'obbedienza, non sia duro, occuparsi nelle opere esteriori.. Perciò bisogna riflettere'
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CAP. II
. anche su questo aspetto del nostro Ordine, perchè nessuno abbia a credere che l'occuparsi, per volere dei superiori, negli esercizi esterni, sia al di sopra di quanto esige la nostra vocazione» .1~) Di fronte ai tanti bisogni del tempo moderno sarebbe ingiusto esimersi dal lavoro con scuse vane e motivi infondati. Le Costituzioni ordinano espressamente: «Il superiore ricordi di mandare alcuni padri presso infermi e altri bisognosi, allo scopo di esercitare opere di carità cristiana; a consolare con vivo zelo i poveri, esortandoli a . sopportare i dolori e le miserie con pazienza e con profitto delle loro anime. Inoltre i superiori abbiano cura che . i sudditi da essi designati prestino volentieri il loro servizio specialmente nella diocesi nella quale dimorano, sia nelle chiese proprie. che nelle altrui, o negli oratori pubblici, quando sia richiesto dal vescovo, senza tuttavia venir meno alla disciplina religiosa ». 2(,) Questo pericolo sarà sempre evitato quando si vivrà vita interiore e si agirà -secondo le direttive dei superiori. Doveri più specifici esistono quando alla comunità religiosa è affidata la cura parrocchiale, la cui responsabilità non ricade soltanto sulla persona che esercita le funzioni - di parroco, ma sulla 'comunità intiera: in questo caso non si deve parlare soltanto di doveri di carità, di convenienza, .. ecc., ma di doveri di giustizia.
CO'\[VENTI E L·APOSTOLATO
non sarei servo di Cristo »,"'). e nemmeno al bo·uacJJ a, CO J'!1o -) perchè è sempre operante la promessa divina: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizi.a e il resto vi S:1rà dato in sovrappiù ».22) Dobbiamo anche guardarci dal Dericolo che trattando col mondo, questo ~on abbia ad trare in noi e, per nostro mezzo, nel convento; pericolo che sarà facile evitare quando si osservino le norme delle Costituzioni riportate sopra, le guaIi, nei rapporti coi secolari, ci vogliono mortificati nei sensi, umili, mocÌèsti, lontani da qualsiasi familiarità e confidenza, brevi e riservati nei discorsi .
;n-
Terminiamo con un'ultima osservazione: ogni forma . di apostolato esterno deve essere intrapresa e compiuta con ~etto fine, mirando alla gloria di Dio e al bene delle anime, non al plauso degli uomini, memori di quanto ammonisce l'Apostolo: «Se volessi piacere agli uomini ~1) lO)
Introdlloio, 146-\47.
20)
Art. 187.
107
22)
Gal., l, lO. Mal., 6, 33.
CAP. III
108
DELLE CELLE DEI RELIGIOSI
109
la semplicità], valendo ci di artisti famosi, colle elemosine Capitolo Terzo
Inoltre nel luogo che avrete scelto per dimora, ciascuno di voi abbia la sua celletta separata, secondo l'asJegnazione fatta dal priore steSJo, col C01lSe1lS0 degli altri frati o della parte più sana.
DELLE CELLE DEI RELIGIOSI Questo punto della Regola prescrive la povertà e la solitudine delle celle e, implicitamente, ne richiama la santità.
1. Povertà delle celle La prima osservazione da fare è che la Regola non parla di stanze ampie e comode, e nemmeno di celle, ma di cellette, cioè di piccole celle. Il termine, comune alla istituzione monasti~a, trovava attuazione vera sul monte Carmelo, perchè le celle abitate dei nostri Padri non potevano essere che piccole e rozze, ben diverse da quelle dei monasteri dell'Occidente. Essendo oggi mutate le condizioni sarebbe vano insistere sul senso letterale della parola, nondimeno lo spirito della Regola, che non muta, richiede e richiederà sempre e per qualsiasi luogo c?e le celle dei reìigiosi si~no conformi alla santa poverta. Che non convenga mal a noi l'osservazione sarcastica di un amico di S. Bernardo, riportata dal nostro Lezana: «Privando noi e le nostre celle del decoro della casa di Dio [che è la povertà e
dei poveri ci fabbrichiamo celle non eremitiche, ma aromatiche. »1) L'esperienza dimostra ampiamente che quando nel convento entra il lusso la vita spirituale si affievolisce e così anche il desiderio della perfezione, essendo le comodità e gli agi in aperto contrasto collo spirito di mortificazione e di penitenza. Nè, a giustificare certe esagerazioni, potrà mai valere l'appello alle esigenze dei tempi, perchè le celle dei religiosi nulla hanno a vedere colle attività e le opere esterne, e la povertà può coesistere assai bene colle regole della pulizia e dell'igiene. Per lo stesso motivo nella cella deve esserci solo quanto basta a far raggiungere il fine cui è destinata, che è la preghiera, il lavoro e il riposo, e nulla di quanto sa di spirito secolaresco, quali la radio, il telefono, il divano ecc., facili incentivi alla dissipazione e alla perdita di tempo. Le Costituzioni ne fanno un divieto esplicito: «E' proibito ai nostri religiosi tenere nelle proprie celle cose superflue, quelle sopratutto, che sanno più di spirito mondano che religioso », 2) mentre dànno facoltà ai superiori di concedere in uso, qualora lo ritengano necessario, libri anche in numero rilevante/) che costituiscono per taluni gli strumenti ordinari del lavoro. S. Teresa di Gesù ricordava spesso che le comodità esterne non giovano alla vita interiore, e che la gioia e la libertà di spirito saranno tanto più grandi, quanto più i corpi verranno privati di como· , ') d1ta. Ispirandosi al· principio della povertà religiosa, nota dominante in tutta la Regola, le Costituzioni prescrivono: «La suppellettile nelle celle sia semplice, uniforme J) LEZANA, Sutn1lla quaestiOl1t/1Il, v, 613. ") Art. 135. 3) Art. 129. 4) Cf. Fondazioni, H. 4-5.
CAP. Hl
110
e in tutto corrispondente alla povertà religiosa », alla quale, però, deve associarsi l'ordine e la pulizia: «Le celle dei religiosi siano tenute ordinate e pulite ».'") Sarebbe grottesco confondere la virtù evangelica della povertà col disordine e la sordidezza che altro non indicano se non poca educazione civile, pigrizia e amor proprio espresso nel desiderio, manifesto o sottinteso, di risparmiarsi il più possibile il lavoro; spesso anche di trascuratezza e disordine interno. Potrà essere opportuno, e talvolta anche necessario, che i superiori, per ragioni inerenti all'ufficio, debbano arredare le proprie celle con maggior larghezza. Ciò è lecito a condizione che il sovrappiù non serva per comodità personale, e sia limitato a quanto ha veramente carattere di necessità o opportunità, perchè i superiori sono obbligati non meno degli altri religiosi alla osservanza della Regola e delle Costituzioni, e le loro mancanze, oltre tutto, darebbero scandalo ai sudditi, favorirebbero la rilassateza nella comunità e non tarderebbero a suscitare ammirazione e scandalo nei secolari, i quali come sono sensibili a ricevere le buone impressioni, così e molto più lo sono nel cogliere il contrasto che può esservi tra il nome di religioso e la vita poco religIOsa. La Regola ammonisce anche che nessuno ha diritto una cella di suo piacimento, ma ciascuno deve a scecrliersi t> accettare umilmente quella assegnatagli oa1 superiore. Nei tempi antichi sia la configurazione dei monasteri sia circostanze del tutto particolari dovevano rendere il problema piuttosto importante se il priore, prima di decidere, doveva ascoltare il parere degli altri frati, o al~
:i) Artt. 135, 172.
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meno della parte più sana: oggi la cosa è semplificata, e perciò le Costituzioni prescrivono solo che il superiore assegni a ciascun religioso una cella, con facoltà di cam-· biarla quando lo creda opportuno. ")
2. Solitudine delle celle La stessa Regola stabilisce che le celle siano separate' l'una dall'altra. Al tempo di S. Alberto lo erano in maniera perfetta, perchè sorgevano distanziate anche nello spazio, ma quando l'eremo si cambiò col convento cominciò· a dominare un altro criterio. Clemente VIII (1592-1605), e successivamente Urbano VIII (1623-1644) prescrissero' che tutte le celle, comprese quelle dei superiori, fossero.· unite in un dormitorio comune.') Saggia norma tutt'ora vigente. Lo scopo delle celle separate è duplice: offrire maggiore facilità di stare uniti a Dio, e rendere il lavoro più fruttuoso. Per cercare Dio, dice S. Teresa, non abbiamo· bisogno di ali, basta ritirarsi in solitudine e contemplarlo dentro di noi. 8 ) E ancora: Stando ognuno per conto suo si osserva meglio il silenzio e ci si abitua alla solitudine, che è un'ottima disposizione per la preghiera. 9) Per questo la Santa voleva che il lavoro, per quanto possibile, anzichè nella sala comune si facesse in cella. Nella Imitazione di Cristo si legge: «Se vuoi com~ pungerti di cuore entra nella tua cella e lascia fuori i· tumulti mondani... Nella cella troverai spesso quello che' (il Art. 172. 7) DeCl·eta pro reformatione j·egularium fael. recoi<d. Clememis VIII ... , in· ConstÙutioncs Fratrum Ord. B. Dei Genitricis Virg. Mariae dc M. Clrmeli ... Romae, 1723, p. 229, num. 26. 8) Cf. Cammino, 28, 2. 9) Cf. jvi, 4, 9.
CAP. III
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assai facilmente perderai fuori. La cella abitata diventa dolce, mal custodita genera noia. Se all'inizio della tua {:onversione l'avrai abitata e custodita con cura ti sarà amica diletta e consolazione assai dolce... Lascia le cose vane a chi è vuoto, e fissa l'animo tuo a quelle che Dio ti ha comandate. Chiudi dietro di te la tua porta, e invoca Gesù, tuo diletto. Rimani con lui nella cella perchè altrove non potrai trovare tanta pace. Se non foss~ uscito e non avessi mai udito i rumori del mondo ti saresti conservato meglio nella buona pace; ma giacchè ti piace ascoltare ogni tanto cose nuove, ti è necessario sopportare il turbamento del cuore» .10) Il nostro B. ~oreth scrive: «Non è possibile all'uomo tener fisso l'ammo a una cosa [cioè aDio] se prima non farà sostare stabilmente il COrDO in un determinato luogo». 11) 1
Come la solitudine della cella favorisce la conversazione con Dio, ne è anzi condizione quasi indispensabile così assicura l'assiduità nel lavoro e ne facilita il rendimento. E' vero che tal uni lavori, specie quelli manuali, richiedono l'opera di molti; per essi vi s?no .l~o. ghi determinati (laboratori, officine, ecc.) .dov~ 1 r~hglO si si trovano insieme e debbono lavorare 111 s11enzlO; al. tri, invece, sopratutto quelli intellettuali, necessitano Ji raccoglimento e di solitudine, quali si possono trovare o nella cella o nella biblioteca, che può diventare un surrogato della cella quando vi si osse.rvi atten.tamente il silenzio. Chiunque invece, senza mot~vo, va glrovag~ndo a destra e a sinistra, perde tempo e SI espone al pencolo . di molte imperfezioni e di molti peccati. Per assic~rare la solitudine delle celle le Costituzioni 10) Imita.done, I, 20, 5, 8.
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proibiscono a tutti, qualunque possa essere la condizione, anche di ospite, di entrare nella cella di un altro, senza il permesso del superiore, sopratutto in tempo di silenzio stretto. Si fa eccezione per le celle dei superiori e degli ufficiali del convento, ma solo per cose di loro competenza. Gli estranei però - notano - non debbono mai essere ammessi senza espressa licenza dei superiori. 12) Le medesime stabiliscono anche che «se qualche volta sarà necessario parlare insieme nelle celle, non si faccia mai a porte chiuse, senza il permesso del superiore... E se qualcuno, eccettuato il priore locale, entra senza urgente bisogno e senza il permesso del superiore nella cella di un altro dopo il segnale del silenzio stretto, deve essere ripreso severamente, e se ciò dovesse fare per abitudine, può essere punito anche colla privazione della voce attiva e passiva ».1:;)
3. Santità delle celle Quando si tenga presente il fine a cui è destinata, viene spontaneo parlare della santità della cella. Il B. Giovanni 'Soreth cita l'amico di S. Bernardo, ricordato sopra, il quale dice: «La cella non deve affatto essere un carcere forzato, ma il domicilio della pace». 14) Il religioso, cioè, non vi deve dimorare per necessità, magari col corpo e non collo spirito, ma con amore e con gioia perchè in essa vi trova facilmente (quando lo voglia) quella pace che altrove si perde. Il medesimo autore prosegue: «Il paradiso e le celle sono parenti, perchè come cielo e cella hanno una certa rassomiglianza nella etimologia, così l'hanrlO anche nella pietà ».15) Senza insistere sull'argomento della 12) Art. 174.
11) Spec. Carm., I, 2668. 8.
13) Artt. 175, 176.
14) Spec. Carm., I, 2667.
15) Ivi.
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CAP.
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etimologia, è comunque certo che il cielo e la cella, nella mente dei Santi, hanno un punto di grande convergenza nella identità delle occupazioni, perchè come in cielo si vive nella visione di Dio e nell'esercizio pieno dell'amore, così nella cella il religioso fervente vive alla presenza di Dio, che contempla mediante la fede, e nell'esercizio dell'amore. Più propria, tuttavia, ci sembra la rassomiglianza tra la cella e la chiesa. Questa è, prevalentemente, il luogo della preghiera in comune, della quale Gesù ha detto: «Dove sono due o tre radunati nel mio nome, ivi sono anch'io in mezzo a loro» t) quella il luogo della preghiera privata, della quale Gesù ha parimenti detto: «Quando vuoi pregare entra nella tua cella, e, chiusa la porta, prega il Padre nel nascondimento ». 17) La chiesa è il luogo dove Dio abita realmente nel SS. Sacramento dell'Altare, dal quale dispensa grazie e benedizioni; la cella è il luogo dove Dio fa sentire, a chi sta attento, la sua presenza nell'intimo del cuore, e pregustare la pace del cielo. L'immagine del Crocifisso e della B. Vergine prescritta dalle Costituzioni,18) ravvicinano ancora più questi due luoghi. Viene di conseguenza che la santità della cella esige la santità di chi l'abita, mentre qualsiasi azione disdicevole che vi si compisse sarebbe una profanazione. Perciò le Costituzioni raccomandano: «in esse i nostri confratelli osservino la modestia, come conviene a luogo santo »/9) La stessa posizione del corpo nel sedere, nello stare in piedi, ecc. deve esprimere un comportamento composto conforme alle norme della buona educazione religiosa. 16) Mat. 18, 10.
17) Mat., 6, 6.
") Art. 13;;.
19) Art.
171.
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Da quanto abbiamo detto si comprende chiaramente che la S. Regola nel prescrivere per ciascun religioso una cella separata non intende offrire un vantaggio o una comodità, come qualcuno potrebbe supporre, ma un mezzo utile e vantaggioso al profitto spirituale e al bene dell'Ordine. Per questo il carmelitano fervente deve amare la cella, desiderarla quando è lontano, custodirla san. tamente, e deve anche essere persuaso che i veri apostoli del Signore, pronti alla lotta e al sacrificio, preparati al più fecondo apostolato, non si formano nel tumulto del mondo e nel chiasso delle conversazioni, ma nel silenzio e nella solitudine. Pretendere, poi, di assimilare lo spirito dell'Ordine senza amare la cella è cosa assurda.
DELLA REFEZIONE IN COMUNE CAP. IV
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1. Si deve mangiare solo nel refettorio
Capitolo Quarto
In maniera, tuttavia, che consumiate insieme, nel re~ fettorio comune, ciò che vi sarà dato, ascoltando, ove st potrà fare comodamente, qualche lettura di libri sacrz.
DELLA REFEZIONE IN COMUNE Anche questo capitolo fu ~ggiunto integralment~ da Innocenzo IV, il quale tolse, d1 conseguenza, dal cap1tolo nono: Del non aver alcunchè di proprio, le ultime parole: in maniera, tuttavia, come già è stato detto in antece~ denza, che ciascuno rimanga nella celletta assegnatagli e viva da solo di quelle cose che gli saranno distribuite. S. Alberto, dettando la regola per gli eremiti, aveva posto l'accento sulla continua permanenza nelle celle, per cui aveva stabilito che anche la refezione fosse fatta separatamente. Mutate le circostanze e sostituito l'eremo col convento era conseguente che si stabilisse anche la refezione in comune. Secondo il Lezana in questo capitolo ci vengono prescritte quattro cose: 1. Che si mangi solo nel refettorio. 2. Che nel refettorio si mangi insieme. 3. Che il cibo sia uguale per tutti. 4. Che, dove si potrà fare facilmente, si legga un brano della S. Scrittura.') Si tratta di un'analisi accurata alla quale ci atteniamo volentieri. ') LEZANA,
Summa qttaestionum,
v,
615.
Da antiche testimonianze sappiamo che i primitivi solitari si nutrivano poco e raramente, spesso soltanto alla sera. Il mangiare fuori delle ore stabilite era considerata una intemperanza colpevole. I Padri del Carmelo, pur vivendo separatamente, dovevano attenersi, per la refezione, ad un orario più o meno fisso, in quanto questa veniva distribuita da un secolare scelto dal priore; 2) la circostanza si perfezionò colla legge della refezione in comune. Presentemente le Costituzioni stabiliscono che tutti i religiosi, compresi i superiori, mangino alla mensa comune lo stesso cibo, eccetto il caso di malattia, nota aì superiori; che non si permetta ai religiosi mangiare cogli ospiti, fuori del refettorio, se non per giusto motivo e non si invitino i secolari a mangiare nel refettorio se non assai raramente; che i religiosi, quando non si trovano in viaggio, non mangino o bevano nelle città, nei sobborghi e nei luoghi ove è vicino un nostro convento, se non col permesso esplicito del superiore, da darsi con discrezione. ') Poichè abbiamo qui espliciti avvertimenti ai superiori di andar cauti nel concedere certe licenze, è logico dedurre che i sudditi debbono esser discreti nel domandarle. 2. La refezù:me va fatta insieme
Questa prescrizione è indicata espressamente nella Re" gola: in maniera, tuttavia, che consumiate imieme nel re~ fettorio comiuze ciò che vi sarà dato. 2) Regola, cap_ 9. ") Arn. 164, 1r69, 168.
CAP. IV
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In linea preliminare, però, è da dire che per tutti l religiosi esiste il dovere di arrivare, per quanto possibile, puntualmente in refettorio, perchè i ritardi generano sempre disordine e confusione. Non senza motivo le Costitu.zioni pongono in un medesimo piano il ritardo al coro, al capitolo e alla lezione scolastica e il ritardo al refettorio, e comminano punizioni a chi ne avesse presa l'abitudine. 4) Le medesime fanno espresso divieto di somministrare cibi fuori delle refezioni ordinarie, senza licenza del superiore, e proibiscono di entrare in cucina se non per motivo di ufficio, e di ammettervi i secolari.5 ) 3. Il cibo deve essere uguale per tutti Dove vige la vita comune la scelta dei cibi spetta a chi ne ha l'ufficio e nessuno ha diritto a un trattamento particolare se non in caso di malattia. Questo è il caso previsto e regolato dalle Costituzioni. 6) Viene di conseguenza che il religioso deve contentarsi per la quantità e la qualità di quanto passa il convento ed esser grato, in ogni caso alla Divina Provvidenza che gli fa provare perennemente la verità del detto evangelico: «Non vi preoccupate di ciò che mangerete e di ciò che berrete ... Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.» 7) Certe lagnanze nella bocca dei religiosi sono segno di intemperanza e di sensualità, di poca fede e di ingratitudine al Signore, che non manca di provvederci con tanta larghezza anche se gli siamo poco fedeli nel servirlo; e poichè colla professione religiosa abbiamo abbracciato volontariamente la povertà e la mortificaziòne, nessuno di noi ha diritto di pretendere cibi costosi. e de-
n
4) Art. 142.
5) Art. 171.
6) Art. 164.
,) Cf. Mat., 6, 24-32.
. DELLA REFEZIONE IN COMUNE
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l~cati. Questa nor.m~ di. ca:atte:e generale vale più particolarmente .per l gIor~l. dI astmenza e di digiuno onde non cadere m contradlzlOne col fine inteso dalla legge.
4. La lettura dei libri santi . Pe:ch~ pro~ve.dendo alle esig~nze materiali del. corp~ non SI dlmentlchmo quelle premmenti dell'anima la Regola. stabilisce che la. refezione sia elevata spiritu~lmente dal~a lettur~ dei li~ri santi; tanto più che sarebbe imperfeZIOne e VIa alla mtemperanza cercare o volere di proposito la soddisfazione dei sensi• . ~u que~to ~rgo~ent? de!.icato e importante per la vita spl!1tuale e utile nfam all msegnamento di S. Giovanni della ~ro~e: Come norma gen~rale, il Santo stabilisce questo pnnclpIO: Tutte le cose m se buone, che dilettano i vari sensi, come i suoni, i colori, i cibi ecc., non debbono formare oggetto di godimento, ma essere motivo per sali:e a Dio.8) «~ermare la volontà - egli scrive - ~e~ .godImento del pIacere causato dalle apprensioni sensIbilI, sarebbe cosa vana, per lo meno, e un impedire ~he la forza della volontà si applichi in Dio, riponendo 11 suo gaudio soltanto in lui... Ho detto con avvertenza e lo ripeto, che se la volontà fermasse il suo gaudio in qualche apprensione dei sensi, sarebbe una vanità. Al contrario però, è ottima cosa, quando essa non si ferma in ciò, ma subito che sente piacere di quel che vede, ode e tratta, ne trae motivo e forza per innalzarsi a godere in Dio.» 9) ~iù espressamente per il cibo scrive: «Dal riporre il godImento nel sapore dei cibi hanno origine direttamente ~)
Salita, III, 24.
9) IvÌ, III, 23, 2-3.
120
C\P. IV
la gola e l'ubbriacheza, l'ira, la discordia, la mancanza di carità verso il prossimo e i poveri, sino al punto in cui giunse il ricco epulone, il quale mentre banchettava tutti i giorni splendidamente, lasciava morir di fame il povero Lazzaro. Parimenti derivano lo sconcerto del corpo e le infermità, si suscitano i moti turpi, perchè crescono gli incentivi alla lussuria; si genera direttamente grande torpore di spirito e si deprava l'appetito delle cose spirituali, tanto che l'uomo non vi trova più sapore e non può nemmeno fermarvisi e trattarne.» 10) La lettura spirituale, il cui uso nelle comunità religiose insieme alla legge del silenzio nel refettorio, risale a tempo immemorabile ed ebbe anche la sanzione di vari concili, serve efficacemente a far evitare questi pericoli e a conferire a un'azione prettamente materiale, eppur necessaria e comandata, un carattere religioso e sacro. Il fatto che la Regola parli solo di Sacra Scrittura, ci dice, come lo stesso capitolo settimo, quanto rispetto e venerazione dobbiamo ai libri santi, che costituiscono il più prezioso e vantaggioso nutrimento spirituale dell'anima. «Ama la lettura dei libri santi - raccomandava San Girolamo - e non amerai i vizi della carne, poich~ quando si gusta ciò che è spirituale diventa vile ciò che è carnaIe»; e il B. Giovanni Soreth, che riporta queste parole, esorta: «Poichè chi avrà bevuto di quest'acqua non avrà più sete in eterno, beviamone sino alla ebbreza dello spirito; e se per caso, fratello, ti mancassero i libri, procura di meditare ciò che hai già letto perchè beato è l'uomo che persevera nella giustizia e pensa in cuor suo che Dio vede tutto nell'interno ». 11) '10) Ivi, III, 24, 5. 11) Spec. Carm., I, 2676-2677.
DELLA REFEZIONE IN COMUNE
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S. Teresa del Bambin Gesù afferma di aver trovato nella Sacra Scrittura una manna nascosta, solida e pura,. e in particolare nel Vangelo lumi sempre nuovi, sensi misteriosi e nascosti. 12) Attualmente le Costituzioni stabiliscono che ad un bra~ no della Sacra Scrittura, possibilmente relativo alla fe-· sta del giorno, e che per rispetto il lettore deve fare stan-· do in piedi, si aggiunga qualche altro libro, scritto in lingua patria e designato dal priore, riguardante di preferenza la vita dei santi o la storia della Chiesa; mentre assegnano al mercoledì la lettura delle Costituzioni, al venerdì quella della Regola, e al sabato quella del cerimoniale, limitatamente al pranzo. 1:;) Questa determinazione non tende a diminuire l'import~nza dei libri santi, ma a rendere la lettura più varia, e, sopratutto, più accessibile ~l1a comune intelligenza. Accenniamo, di passaggio, al problema postosi da alcuni commentatori: se cioè l'aggiunta del capitolo quarto, con la conseguente variante al capitolo nono, sia una mi-· tigazione o una semplice correzione del testo originario .. Evidentemente la risposta dipende dal modo di intenderla, perchè se mangiare nel comune refettorio si considerasse come occasione per abbandonare la solitudine, il silenzio, ecc., più che mitigazione sarebbe rilassamento. Ma questa interpretazione è contraria alla Regola che prescrive la lettura, e alle Costituzioni le quali, pur concedendo che qualche volta si possa dispensare il silenzio, stabiliscono' che si faccia di rado. 14) Quando invece la refezione in 12)
Storia di un'anima, n. 307.
13)
Art. 165.
14)
Art. 156.
122
CAP. IV
LA V"l'f:'. NEL CONVENTO
-comune esclude quella privata nel modo più assolutò nel refettorio i religiosi si accontentano di mangiare q~ello che la Provvidenza dispensa, si osserva il silenzio e si attende alla lettura spirituale, l'aggiunta è da considerare 'una necessaria correzione imposta dalla vita reaoiare e mB perfezionamento della Regola. b
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Capitolo Quinto
A nessun religioso è permesso, senza licenza del priore carica, cambiare il luogo assegnatogli, o permutado con altri.
Ù2
DEL MODO DI VIVERE NEL CONVENTO La prescrizione di non cambiar e non permutare la cella, senza il debito permesso, fu dettata dal proposit.:> di garantire, in ogni punto, l'ordine e la disciplina che sono condizioni indispensabili al buon andamento della vita religiosa. Essa è già contenuta nel capitolo terzo che affida al priore il compito di assegnare a ciascun religioso una cella separata; nondimeno il legislatore la volle porre in termini espliciti forse per prevenire interpretazioni erronee e facili abusi. S. Alberto conosceva per esperienza quanto sia necessario vivere stabili e tranquilli per cimentar sì nella vita spirituale, nè doveva ignorare i disordini, lamentati fin dal primo sorgere del monachesimo, dovuti al girovagare dei monaci da una località ad un'altra, da un monastero ad un altro, in parte perchè irrequieti e in parte perchè illusi di poter trovare un luogo più adatto al proprio temperamento senza bisogno di doversi sobbarcare a troppe rinunzie e sacrifici. Per gli eremiti del Carmelo cquesto pericolo non esisteva in quanto la professione li 1egava anche al luogo. Poteva però esservene un altro,
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CAP. V LA VITA NEL CONVENTO
SIa pure assai minore: quello di non trovare la cella avuta in assegnazione adatta e conveniente, perciò 0p' portunamente si stabilisce che tutto deve procedere col crisma della obbedienza. Il punto della Regola ci offre materia per alcune utili considerazioni che valgono sempre e per tutti, dat.o che non è impossibile, anche per i più provetti, trovarsi ad un certo punto disorientati nel cammino. La vita religiosa è vita di perfezione. Questa norma, che abbiamo appresa fin dal primo giorno del nostro ingresso in religione, dobbiamo tenerla sempre presente e non perderla mai di vista. Essa importa la pratica della dottrina evangelica nel suo senso più puro e pitl elevato, e cioè lo spogliamento dell'uomo vecchio colle sue debolezze, passioni e disordini, e il rivestimento del nuovo «creato secondo Dio nella giustizia e nella verità» ;') importa la imitazione di Cristo, secondo il suo stesso ammonimento: «Chi vuoI venirmi dietro rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua ».2) Si tratta, come tutti sanno, di un cammino aspro e di un'ascesa faticosa, e il pensare che bastino certe circostanze esterne, quali il luogo, l'ufficio, i compagni per in~ traprenderlo e proseguirlo alacremente è vana illusione, Il lavoro spirituale, perchè sia efficace, deve essere interno, condotto in profondità, non alla superficie, per cui le circostanze esterne vi hanno un valore del tutto secon. dario e non determinante. Quanto sono vani e leggeri i religiosi che cercano di riversare la causa delle loro imperfezioni e dei loro tra, vagli sui confratelli coi quali debbono vivere, o sul cbn. ') Ef., 4, 24.
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vento ove li ha posti l'obbedienza, o sull'ufficio che si trovano a dover esercitare, e vanno alla ricerca di conventi più adatti, di confratelli più comprensivi, di uffici meno gravosi e meno distrattivi! Essi non si accorgono che il male non è esterno, ma interno: sta nel loro carattere instabile e strano, nel loro cuore vuoto e volubile, e più ancora nella mancanza di spirito religioso, forse anche nella mancanza, all'inizio, di una seria impostazione della vita religiosa. Comunque sia, sottoponiamo alla loro seria riflessione queste parole della Imitazione di Cristo: «Se cerchi questo o quello, e vorrai andar qui e lì, per troV:lf maggior comodo e beneplacito, non vivrai mai nella quiete e libero da preoccupazioni, perchè ovunque troverai qualche difetto, e in ogni luogo qualche contrarietà ... Giova poco il luogo se manca lo spirito di fervore, nè durerà a lungo la pace cercata dal di fuori se lo stato del cuore manca di vero fondamento, cioè se non rimarrai in me [in Dio]; potrai cambiar luogo, ma non migliorare, perchè alla prima occasione troverai quello che hai voluto fuggire e anche di più ». ") Il nostro ven. P. Domenico di S. Alberto non è meno esatto nell'individuare certi mali e nel prescrivere il rimedio. «Come avviene mai - si domanda - che anche oggi molti religiosi vivono inquieti, tristi, molesti a sè e insopportabili agli altri, se non perchè mancano affatto dell'abitudine di conversare internamente con te [o Signore)? Per cui, sentendosi interiormente vuoti, privi del tutto delle delizie della tua divinità, che comunichi :lell'intimo, essi vorrebbero avere la libertà dei sensi: e poichè la religione e l'obbligo dei voti non consente questo, eccoli vittime della tristezza, della inquietudine, del tedio,
") Luc., 9, 23. ') Imitazione, III, 17, 2-3.
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CAP.\'
della malinconia. Ma quelli che ti amano veramente, o Signore, che sono fondati sulla pietra, e si dedicano alla conversazione interna, non si turbano mai, stanno immo~ bili, preparati a sopportare tutto per te, che sei l'unico loro amore. In tutte le aridità, i rimproveri, le riprensioni, le difficoltà, gli abbattimenti, le oppressioni comunque originate, sia vengano da te, sia vengano dagli uomini, mantengono l'abitudine di non pensare mai alla creatura, ma a te, da cui ricevono tutto, ponendo nel proprio cuore questo atto: anche questo ho meritato, o Signore, sia fatta la tua volontà.» 4) Ecco la causa di tanti mali e la medicina sicura per guarirli. Per non essere ingannati da facili illusioni è necessario dominare la fantasia, facoltà nobile e preziosa sotto un aspetto, ma pericolosa sotto un altro. Mentre infatti è di grande aiuto all'esercizio della orazione mentale, special~ mente agli inizi, colla rappresentazione delle immagini, allorchè si prendono a soggetto argomenti sensibili, può diventare, quando non sia ben diretta e saggiamente regolata, un grave ostacolo alla pace dell'anima e alla tranquillità dello spirito. E' essa infatti che presenta, spesso ingrandendoli, talvolta creandoli, i difetti dei superiori sì da farli sembrare insopportabili, le incomprensioni dei confratelli, le difficoltà dell' orario, i disagi del clima, la povertà della casa, la pesantezza del lavoro, la insufficiente o scadente qualità del cibo, la esistenza di pericoli spirituali, per far desiderare o chiedere il trasferimento ad altro convento ove si ritiene di poter star bene nel corpo e nello spirito. La nota del vantaggio spirituale non manca nei castelli della immaginazione e serve molto bene
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LA VITA NEL CONVENTO
a mascherare l'amor proprio, o altre passioni che stanno'·' in fondo al cuore. E che cosa insegna l'esperienza? Che" quando si fosse riusciti allo scopo, le condizioni o si ripe-tono o si aggravano, per cui «fiunt novissima hominis. illius peiora prioribus.» 5) Ai religiosi sofferenti di questa strana malattia, tornaa proposito l'osservazione di un nostro grande scrittore e' profondo psicologo. «L'uomo - egli nota - fin che sta in questo mondo è un infermo che si trova sur un letto' scomodo più o meno, e vede intorno a sè altri letti ben rifatti al di fuori, piani,a livello: e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s'èaccomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siam'o insomma a un di presso, alla storia di prima. E.per questo - conclude saggiamente - si dovrebbe pensare più a far bene che a star bene: e cosÌ si finirebbe an- che a star meglio.» 6) Ma può verificarsi anche il caso contrario: che cioè' ricevendo l'ordine di trasferimento ad altro luogo, l'immaginazione presenti ogni sorta di difficoltà, e spinga a chiederne la revoca. Le conseguenze sarebbero, più o meno, le medesime, perchè l'esperienza insegna che il religioso si trova bene e lavora con frutto solo quando si rimette con retta intenzione e con animo tranquillo alle disposizioni della Divina Provvidenza. Non sono i con-venti che fanno i religiosi, ma .1 religiosi che fanno i con-venti! ~.)
&)
Mat., 12, 45. A.
MANZONI,
l promessi sposi,
cap. 38.
L\ VITA NEL CONVENTO
J28
CAP. V
Quante delusioni si eviterebbero e quanta pace si go.drebbe nell'anima se si operasse sempre con fede! Perchè non bisogna dimenticare che se anche vi sono prove e difficoltà nei luoghi ove ci ha posto l'obbedienza esse -fanno acquistare grandi meriti, e si risolvono sempre in fonte di consolazione, mentre le difficoltà e le prove pro.prie dei luoghi scelti o voluti di proposito sono causa di profonda amarezza e di amara delusione.
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2. «Se uno avanzasse il diritto di dimora in un convento, per ciò stesso il provinciale è tenuto a trasferirlo, non essendo concepibile un privilegio o una concessione a favore di un religioso contraria al buon regime e alla giurisdizione dei superiori». 8) 3. «Il priore generale, dopo aver consultati i rispettivi provinciali, può trasferire i religiosi da provinèÌa a provincia e da convento a convento ».9)
E poichè la fantasia ci può mettere avanti il nostro profitto spirituale, il lustro e il decoro dell'Ordine, il bene - delle anime ecc., motivi in sè nobili, e per ciò stesso più ingannevoli, è necessario persuadersi che nulla dà tanta ,gloria a Dio, tanto decoro all'Ordine, e giova alla salvezza delle anime, quanto lo spirito di mortificazione e di ob-bedienza. Forti di questa convinzione non solo dobbiamo vivere contenti nel luogo assegnatoci dalla obbedienza, ma lavorarvi animosamente nell'ufficio e nell'esercizio assegna-toci, senza brigare, senza desiderare, senza nemmeno pensare a eventuali Cambiamenti; pronti, tuttavia, a trasfe-rirci senza amarezza e senza rimpianti quando arrivasse un ordine in tal senso. Anche in· queste disposizioni si -dimostra la povertà di spirito di cui parleremo in seguito. Concludiamo queste nostre considerazioni richiaman. do gli articoli delle Costituzioni relativi ai trasferimenti: 1. «Il priore provinciale può trasferire i religiosi da con-vento a convento, quando e come vorrà, non però gli uf-ficiali eletti dal definitorio, senza il consenso del medesimo e il preavviso ai rispettivi superiori.»') ") Ivi.
,) Art. 457. 9.
") Art. 5 IO.
.,'
CAP. VI
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Capitolo Sesto
La celletta del priore sia vicina all'entrata, percl1è vada incontro per primo a quelli che arrivano, e, quindi, quello che si deve fare si faccia secondo la sua volontà e la sua dispozione.
IL SUPERIORE E LA VIGILANZA DELLA CASA In questo capitolo bisogna distinguere due cose: la ubicazione della cella del priore e i compiti a lui assegnati. Quanto alla prima il legislatore ebbe presente la forma del monastero, allora abitato dagli eremiti del Carmelo, costituito di tante cellette separate, come è detto al capitolo terzo. All'epoca della Regola, S. Brocardo aveva condotto a termine il muro di cinta, già iniziato dal suo predecessore e dal patriarca Aimerico, allo scopo di avere una qualsiasi protezione in quei tempi calamitosi, e sopratutto per impedire agli estranei il libero accesso allo interno che avrebbe pregiudicato il tranquillo svolgimento della vita eremitica. Si stabilisce perciò che la celletta più prossima alla porta di ingresso sia abitata dal priore, affinchè nei rapporti colle persone di fuori tutto abbia a svolgersi col suo permesso e sotto la sua diretta sorveglianza. Si tratta di una cautela opportuna e preziosa, suggerita certamente dalla e,sperienza, e del tutto conforme alla lettera e. allo spirito della Regola che vede nel priore l'arbitro e il tutore della vita religiosa.
IL SUPERIORE E LA CASA
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La diffusione in Oriente e in Occidente, il mutamento op~ratosi al t~mpo di S. Simone, le accresciute esigenze del monasten, la loro stessa struttura, resero in seguito necessaria una interpretazione di questo punto della Regola che guardasse alla sostanza e si preoccupa~se meno della parte tecnica e materiale. Oggi sarebbe del tutto anacronistico e controproducente per il bene della comunità se il priore dovesse abitare la stanza occupata dal fratello portinaio e, in certo senso, lo sostituisse nell'ufficio; per cui si interpreta bene lo spirito della Regola quando la sua cella viene a trovarsi nel punto che meglio si presta all'adempimento del suo incarico. Per il resto basterà che il fratello portinaio agisca alle sue dirette dipendenze e la sera, come prescrivono le Costituzioni, gli consegni le chiavi dell'ingresso.') Ciò premesso è utile specificare i compiti del superiore della casa perchè chi è nell'ufficio li assolva fedelmente e chi è tenuto a obbedire non ponga intralci. Innanzi tutto non si deve dimenticare che il convento, ~u; essend? .destinat~ a dare pace all'anima e tranquilhta allo spmto non e affatto un luogo per il quieto vivere, dove mancano difficoltà, pericoli e tentazioni. Il demonio non dorme mai e non risparmia nessuno. Essendogli anzi la preda dei monasteri più allettevole, non ~eraviglia c.he p:oprio qui mett~ in atto maggiore astuZIa e maggIOre mganno. Da cio nasce nel superiore il dovere di una vigilanza continua ed accorta. Spetta al superiore impedire che nel convento entri il male nascosto in certe massime mondane, che oggi si diffondono con tanta facilità, in certi esempi che affievoli') Art. 181.
CAP. VI
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scono e fanno perdere l'idea del dovere, in certe relazioni e amicizie che allontanano il cuore da Dio e lo riempiono di caligine e di fumo, in certa. stam~a. che .non ha null~ in comune colla serietà della v1ta relIgIOsa, 111 certe cornspondenze inutili e nocive. Davanti a Dio egli deve rispondere non solo delle azioni personali, ma anche delle azioni dei sudditi, almeno per quella parte di bene tralasciato, che avrebbe dovuto favorire e incrementare, e per quella parte di male fatto che avrebbe potuto e dovuto impedire. . Se un superiore al termine del suo ufficio non è in arado di rip-etere a nostro Signore: «quelli che mi hai dato li ho custoditi, e nessuno di essi è perito »/) ne porterà le conseguenze nel giorno del giudizio, perchè. avendo ricevuto, coll'ufficio, la cura spirituale e materiale dei reli aiosi che formano la sua comunità, non potrà giustifica~si col dire: «sono io forse il custode dei miei fratelli? » 3) Ma se questo è vero la logica esige che i sudditi non abbiano a ridire quando il superiore interviene opportunamente, vigila sulla casa e promuove 1'osservanza regolare; debbono anzi rallegrarsi di cuore e portare a un'opera di comune interesse e vantaggio, il proprio contributo fattivo e generoso. Per parte sua la Chiesa salvaguarda fortemente la serietà e la santità delle case religiose colla legge della clausura papale, ribadita espressamente dalle Costituzioni: «Nelle nostre case anche non formate, si osservi la clausura papale»; quindi specificano: «Alla legge della clausura è sottoposta tutta la casa ove abitano i religiosi, come 2) Giov., 17, 12. 'J) Cf. Gen., 4, 9.
lL SUPERIORE E LA CASA
gli orti, i giardini loro riservati, esclusa, oltre la chiesa pubblica, la sacrestia, la foresteria se c'è e il parlatorio »:) L'obbligo della clausura, come si sa, è grave e chiunque colpevolmente la violasse e la facesse violare, incorrerebbe nella scomunica. Nel medesimo articolo si aggiunge: Coloro ai quali è affidata la sorveglianza della clausura vigilino attentamente perchè, a causa di visitatori o conversazioni inutili, non venga a discapitarne la disciplina e lo spirito religioso. Ai religiosi non convengono, e difficilmente si possono giustificare le lunghe conversazioni in parlatorio, nè il parlare a voce alta, che, tra l'altro, è indice di poca educazione. Anche in questo deve vigilare il priore, come j sudditi debbono ricevere umilmente le sue osservazioni e attenersi alle sue prescrizioni. Altra cosa prevista espressamente dalla Regola è che gli anari correnti della casa siano disposti col beneplacito del priore: il che non significa che il priore possa arbitrariamente ordinare ogni cosa, perchè la legislazione moderna richiede per le decisioni più importanti il parere, o anche il consenso dei consiglieri o della comunità, a seconda dei casi, o anche il consenso del provinciale o del definitorio, sopratutto quando si tratta di spese rilevanti da affrontare o di mutamenti all'edificio. Quello, invece, che rientra pienamente nella sua competenza, nel quale il diritto corrisponde al dovere, è l'osservanza regolare. Perciò dipende da lui l'andamento sia generale sia particolare della casa, e cioè la fedeltà all'orario, il ministero sacro, l'entrata e l'uscita dal convento,5) l'amminÌ4) Art. 178. 5) Cf. artt. 3D5, 306, 118, 181.
CAP. VI
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strazione della casa e della sacrestia, mediante il controllo sull'economo e sul sacrista. 6 ) Quando, dunque, il priore esige che gli siano chiesti i debiti permessi, che gli si renda conto dei ritardati o mancati interventi agli atti comuni ecc. usa di un diritto e adempie a un sacro dovere, e qualsiasi difficoltà o repugnanza nell'accettare queste norme o nell'ammettere questo controllo, come qualsiasi giudizio o apprezzamento contrario a principi tanto elementari della vita regolare, non possono trarre origine che da mancanza di spirito religioso. Le osservazioni alle quali ci ha condotto il presente capitolo della Regola sono un corollario degli ohblighi contenuti nel voto di obbedienza, e se, prendendo motivo dal richiamo della Regola e dall'esame di alcuni articoli delle Costituzioni, vi abbiamo insistito, è stato solo per precisare meglio certi punti. Se poi qualcuno poco abituato a ponderare esattamente le conseguenze pratiche dei voti, giudicasse pesanti tante prescrizioni, deve ricordare che ad esse si è sottomesso liberamente colla professione, e persuadersi che la durezza non è nella legge, ma nel poco fervore; quello, infatti che è duro agli spiriti rilassati è facile e dolce alle anime ferventi, perchè l'amore sa rendere leggero il giogo della sottomissione e soave il peso della vita regolare.
r,) CLartt. 334 e 346.
SOUTIJDINE E VITA INTERIORE
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Capitolo Settimo
Ciascuno rimanga nella sua celletta, o Vlcmo ad essa, a meditare giorno e notte nella legge del Signore ') e a vigilare nella preghiera/) salvo il caso di altre legittime occupazioni. I
LA SOLITUDINE E LA VITA INTERIORE La vita interiore, cioè l'abitudine alla conversazione familiare con Dio, che può definirsi lo stato di grazia vissuto consapevolmente, costituisce l'essenza della vocazione carmelitana, che ha il suo prototipo in Maria, sorella di Lazzaro, la quale, standosene ai piedi del Salvatore intenta ad ascoltare la sua parola, ne meritò l'approvazione e l'elogio: «Marta, Marta - disse Gesù alla sorella - tu ti affatichi e ti inquieti in molte cose. Eppure una sola è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore che non le verrà tolta». ') Ma chi vuole il fine deve volere anche i mezzi. Sarebbe assai difficile, e forse impossibile, andare in alto per una rapida ascesa tralasciando la strada già tracciata o la scala che vi conduce; per questo la Regola all'esercizio continuo della presenza di Dio premette l'obbligo della solitudine che ne è condizione prima e indispensabile. 1) Cf.
Salmo l, 2.
2) Cf. l Pietr., 4, 7.
") Luc .. lO, 41-42.
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CAP. 'IIì!
Abbiamo già avuto occasione di notare che la cella distinta non ci viene assegnata per comodità, ma perchè rende possibile il conseguimento pieno della nostra vocazione, e riteniamo sia giustificato tornare sull'argomento, sia pure brevemente, prima di soffermarci sul tema più importante e più bello della nostra Regola, che ci fa intravedere la possibilità di raggiungere la libertà propria dei figli di Dio e di conseguire le soddisfazioni più intense e più vere. S. Giovanni della Croce spiega che vi sono tre sorta di luoghi più spiccatamente adatti alla preghiera: quelli che per la bellezza del panorama e la quiete dolce e solitaria che vi si gode svegliano, naturalmente, gli affetti devoti; quelli nei quali Dio suole far grazie segnalate ad alcune persone particolari; e quelli che Dio sceglie di proposito per esservi adorato e servito.4 ) Ma richiamandosi all'esempio di nostro Signore raccomanda di pregare «nel segreto della nostra stanza, dove lungi dal frastuono e senza che alcuno ci veda possiamo farlo con cuore libero e puro, secondo che egli disse: Quando vorrai fare orazione, entra nella tua stanza e, chiusa la porta, prega; ovvero pregare, come egli faceva, nei luoghi solitari e durante il tempo migliore e più quieto della notte ».") S. Teresa, come abbiamo detto, al lavoro fatto in comune preferiva quello fatto in cella per poter più facilmente conservare la solitudine necessaria alla preghiera, e costruiva piccoli romitori entro le mura del monasterO perchè le monache vi fossero vissute qualche tempo in maggiòr raccoglimento. 6) E' troppo evidente che quando, senza necessità o mo<) Salita, III, 41.
5) Ivi, III, 43, 4.
6) Cf. Fondazio"i, l, 6.
SOLITUDINE E VITA INTERIORE
tivo plausibile, si vive fuori della cella e del convento la . porta dell'anima rimane spalancata a ogni sorta di dissi- . pazione, e allora si diventa pigri e riluttanti non solo alla preghiera, ma anche al lavoro e agli atti comuni e si sente il peso della vita religiosa presa nel suo insieme. Ammesso che la condizione prima della preghiera è· il raccoglimento che si trova nella solitudine, ne segue che questa deve essere ricercata e custodita con tanto maggiore impegno quanto più è alta la meta che si vuole o· si deve raggiungere; e poichè la nostra Regola intende' condurci al grado più eminente, o almeno avvl:lfci ad esso, cioè alla unione continua e perfetta con Dio, secondo ' la grazia che egli stesso ci tiene preparata per dispensarcela al momento opportuno in conformità anche alla no- . stra corrispondenza, è naturale che la medesima insista. per la più assoluta solitudine. Il B. Giovanni Soreth, dopo aver riportate alcune gra- . vi parole di S. Girolamo, ammoIiisce: «Fratelli, non è . conforme alla Regola il girovagare qua e là, bensì lo star coi piedi fermi nella cella, o accanto ad essa, meditando· giorno e notte nella legge di Dio e pregando senza interruzione: nella gioia durante il giorno, nella tribolazione durante la notte. [La Regola dice:] rimangano nelle' loro cellette e meditino continuamente, perchè il continuo silenzio e la perenne lontananza dallo strepito del mondo ci spinge a meditare le cose celesti ».7) La Regola dei primi monaci, che esprime con tanta efficacia l'ideale con-· templativo del Carmelo, contiene questa esortazione: «Tu, dunque, figliuolo mio, se vuoi essere perfetto e rag- 7) Spec. Carm., I, 2685.
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CAP. VI!
. giungere il fine della vita monastico-eremitica, e bere dal torrente, nasconditi nel Carith, cioè coltiva il silenzio in una solitudine che sia ignota a tutti, perchè conoscendo la tua fragilità e il fragile vaso [del tuo corpo] che porti, devi temere il pericolo delle città, cioè urtare le folle (". poi cadere e spezzarti. Starai dunque nascosto e tacerai, perchè è cosa buona per l'uomo attendere nel silenzio la salvezza di Dio. Nasconditi nel torrente Carith, che significa separazione, perchè alla tua perfezione profetica conviene che stia del tutto separato e diviso dal consorzio 8 · umano ».) Però, come è facile comprendere, la solitudine non costituisce il fine, ma solo il mezzo della vocazione carmelitana; perciò non deve essere cercata per se stessa, ma in ordine alla intimità con Dio. Lo starsene ritirati in cella per dormire quando sarebbe tempo di lavorare, di studiare, di pregare, per leggere cose inutili, profane ecc. o · soltanto perchè non piace la compagnia degli altri, non significa amare la solitudine nel senso inteso dalla Regola, ma perdere tempo o impiegarlo male. Per questo, · dopo aver detto: rimanga ciascuno nella sua celletta o vicil10 ad essa, specifica subito lo scopo, a meditare gior110 e notte nella legge di Dio e a vigilare nella preghiera. .. Ciascuno rimanga nella sua celletta o vicino ad essa
Alla perfetta solitudine la stessa Regola appone due , eccezioni: la permanenza nelle immediate adiacenze delle celle e l'occupazione legittima. Si tratta di due circo· stanze importanti che bisogna valutare, sia per la retta in8) Spec. Carm., 29-30.
SOLITUDINE E
vrr A
INTERIORE
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terpretazione della Regola sia ad evitare dubbi e perples . sità di coscienza. Nelle celle o vicino ad esse. La specificazione si intendeva in senso letterale per i Padri del Carmelo, i quali vivendo distanziati potevano uscire dalle loro casette, aggirarsi intorno, senza venire a contatto cogli altri e senza arrecare il minimo disturbo. Le difficoltà sorsero quando all'eremo fu sostituito il convento, ragione per cui, a tranquillizare le coscienze e a dare una certa libertà di movimento, Eugenio IV aggiunse: Tuttavia «in ore convenienti [i religiosi] potranno liberamente e lecitamente rimanere e camminare nelle chiese, nei chiostri e nelle loro adiacenze» .D) Queste ore convenienti sono quelle .della ricreazione in comune, determinata con esatteza dalle Costituzioni: «Nelle ricreazioni quotidiane, che si fanno in luoghi determinati, e alle quali tutti i religiosi sia chierici che sacerdoti debbono intervenire, si tengano discorsi di cose pie, utili e oneste, guardandosi dalle mormorazioni ».11él) Quando il tempo è impiegato seriamente, come stabilisce l'orario, la ricreazione si rende utile e necessaria, sia per un certo svago mentale e sia anche per fomentare la carità fraterna; però non deve essere protratta per un tempo indeterminato, nè deve turbare la tranquillità della coscienza a motivo di discorsi vani e nocivi. Le Costituzioni parlano di ricreazioni quotidiane, facendo intendere che i superiori possono talvolta, per giusto motivo, concedere delle ricreazioni straordinarie, avendo riguardo alla età e alle condizioni dei religiosi. Quelle della Riforma Turonense contenevano un articolo che ci piace riportare in quanto riconosce espressa") BI/li. Carm., L 182.
l") Art. 180.
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e/.p, VII
mente che la sana ricreazione anzichè nuocere giova alla vita spirituale: «Poichè la virtù anzichè indebolirsi si incrementa dalla moderata ricreazione, e i religiosi dalla saltuaria cessazione dal lavoro diventano più attivi (es: vegetiores »), si concede ai nostri di poter si ricreare tre 0, al massimo, quattro volte l'anno, entro il monastero, se il priore lo giudicherà opportuno ».") Si va invece contro lo spirito e la lettera della Regola, e perciò si commette di sè peccato veniale, quando si indugia in chiacchiere inutili fuori del tempo della ricreazione o si perde tempo girovagando dentro o fuori del convento. Le Costituzioni, in vista anche degli inconvenienti che ne nascono e degli abusi che ne derivano, fanno esplicito obbligo al priore provinciale di impedire le inutili divagazioni dei religiosi e le frequenti visite dei 'l' '12) f amlIan. Salvo il caso di legittime occupazioni
Queste, al tempo in cui veniva scritta la Regola, erano limitate al culto di Dio e alla conservazione materiale della vita; nelle mutate circostanze vi dobbiamo includere tutte le attività conformi alì'indirizzo dell'Ordine, direttamente o indirettamente indicate dalie Costituzioni, in particolare quelle inerenti al ministero sacerdotale, le quali se compiute con retto fine non solo non allontanano da Dio, ma lo fanno sentire più vicino e rendono la vita doppiamente meritoria. Lasciando Dio per promuover la sua gloria, anche colle azioni più umili, si trova sempre Dio. ") Regula et constittltioncs [1636], 127, Qui eviJentclllente si l'aria di ricreazioni straordinarie.
12) Art. 455.
SOLITUDINE E VITA INTERIORE
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Ma poichè il pericolo della dissipazione è tutt'altro che ipotetico nell'apostolato e nelle altre forme di lavoro che ci tengono lontani dalla cella, ribadiamo alcuni principi elementari che valgano a premunirei sempre e in ogm caso. l. Prima di tutto è necessario conservare il cuore libero da ogni attaccamento alle persone, all'ufficio, a un particolare genere di lavoro in maniera da non rimanerne presi se non per il tempo necessario. 2. Bisogna guardarsi dal rimanere fuori convento più del bisogno, molto più dallo stringere amicizie coi secolari, e dal frequentarne le case se non per vera necessità. 3. Fuori del convento evitare quanto iè possibile la dissipazione con discorsi vani, con domande curiose, coll'intromettersi in affari -che non sono di propria competenza. 4. Quando si è liberi da altre occupazioni sentire subito il richiamo della cella, come del luogo più dolce e più desiderabile. Il ven. P. Michele di S. Agostino scrive: «Chiunque ama la vita interiore deve sentire una inclinazione quasi innata alla solitudine, per cui, salvo il caso che lo imponga l'obbedienza, la carità o la necessità, abbia a sentire quasi nausea ed orrore di stare in mezzo agli uomini, sopratutto secolari .... Quando poi l'obbedienza non permette di con.servare la solitudine esterna, deve far di tutto per conservare guella interna, mediante un intimo raccoglimento dello spirito nella presenza di Dio, risvegliandone cioè nella memoria la sua presenza attuale ».13)
:l:,) cf. lnll'oductio, 196,
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CAP. VI!
II LA PREGHIERA E L'IDEALE CARMELITANO Se l'ideale carmelitano esistette anteriormente alla Regola e fu prassi prima di essere dottrina, incarnata nei pii eremiti del Carmelo che vissero nel secolo XII, e del quale essi stessi non si considerarono gli ideatori ma i continuatori, al legislatore bisogna sempre riconoscere il merito insigne - come abbiamo già detto - di averlo saputo raccogliere e di averlo saputo esprimere con precisione pari alla sobrietà. Non importa se analoghi elementi li troviamo anche in altre regole monastiche, quello che conta è di aver saputo far convergere su un punto principale e programmatico tutte le altre prescrizioni, senza dispersione o frazionamento di elementi dottrinali e senza imporre un carico di leggi frastagliato e complesso. Così l'unità e la semplicità, doti primarie della vita spirituale, trovano nella Regola carmelitana una forma veramente tipica e forse rara. Questo punto programmatico e principale è enunciato nel capitolo settimo che stabilisce di meditare giorno e notte nella legge di Dio e di vigilare nella preghiera; ad esso sono ordinate tutte le altre norme, traendone, perciò, scopo e nobiltà, a somiglianza del cuore nell'organismo umano, che riceve il sangue dalle vene e diventa propulsare di vita di tutto l'organismo. Qualora nella Regola carmelitana si prescindesse da questo capitolo o non gli si desse il risalto e l'importanza che gli spetta, non si riu-
PREGHlERA E IDEALE CARMELITANO
scirebbe più a intendere quanto in essa si contiene, sia si tratti di prescrizioni di carattere esteriore, sia si tratti di·· prescrizioni di carattere spirituale, come non si riuscirebbe· più a comprendere il Vangelo quando non si tenesse nel conto dovuto la legge della carità. Il ven. Domenico di S. Alberto, che alla scuola del· ven. Giovanni di S. Sansone assimilò tanto profondamente· lo spirito del Carmelo, traccia queste norme all'inizio del suo scritto sulla pratica della vita spirituale dei fratelli novizi e professi del Carmelo di Rennes: «Ognuno devesapere, prima di ogni altra cosa e sin dall'ingresso nel nostro Ordine, che esso trae la sua distinzione specifica non solamente dalla vita vissuta secondo una norma comune di perfezione, dalla fedeltà esterna ai voti, dalla puntua-· Età alla recita dell'Ufficio notturno e diurno e alle cerimonie, e dal fedele adempimento degli altri obblighi esterni, ma sopratutto dall'impegno costante della santa orazione e meditazione, e dalla continua e perfetta mortificazione e rinnegamento di sè. Su queste due basi della·· vera religione ti sei compiaciuto, Signore Dio, stabilirei e mantener ci fino al presente». Quindi spiega: «Questo studio della santa orazione consiste in una vera, totale, attuale attenzione a Dio, in un'amorosa dilatazione di tutte le forze della propria anima, che si uniscono e si stringono totalmente a lui, al punto da parlar gli quasi sempre, in ogni ora e in ogni luogo. La mortificazione esterna ed interna scaturisce da questa attenzione a Dio, ed è come· il frutto della presenza divina, la quale come li attira a Dio così li spinge a compiere atti esterni di virtù, per piacere, sia esternamente che internamente, a colui al qualedesiderano essere sempre uniti ».1) ') Exercitatio, 24.
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CAP. VII
Il ven. Giovanni di S. Sansone ammonisce che «nes'suno potrà mai essere vero religioso e vero carmelitano, •secondo il desiderio di Dio, se non è pienamente e intieramente spirituale ». Per lui essere religioso significa «morire e non vivere che in Dio e per Iddio, fino alla intiera distruzione della carne e del sangue nel fuoco del suo ,amore ».2) A questi identici concetti si ispirano le nostre Costitu'zioni, che se in ogni punto sono interpreti fedeli della Regola per il calore che le pervade, sembrano esserlo, in modo particolarissimo, quando si tratta di determinare lo spirito e le caratteristiche della vocazione carmelitana. «Sia per prima cosa profondamente impresso nella nostra mente che l'orazione è l'anima del religioso: se manca quella questa vien meno, e se v'è quella questa ,2; in vigore. Ciò, poi, nel nostro Ordine è tanto vero che riteniamo l'orazione e la contemplazione parte principale di esso. Vogliamo, perciò, che oltre la continua interna conversazione con Dio, tutti si dedichino alla orazione mentale, secondo le proprie forze e colla grazia dello Spirito Santo, due volte al giorno, nel coro o in luogo più ,adatto da determinarsi dal superiore, e, per quanto pos. sibile, la durata sia di un'ora al giorno ».") «Come la perfezione interna della nostra santa religione è basata sopra una carità ferventissima, così l'onore e il decoro esterno ,della religione si fondano sulle relazioni dignitose e modeste coi secolari ».4) Mentre la vita contemplativa viene detta fondamento e parte principale della caratteristica ,dell'Ordine, in confronto alla vita attiva, alla quale siamo ~) Om/'I'''',
2, 7.
") Artt. 148, 149.
PREGHIERA E IDEALE CARMELITANO
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anche destinati sull'esempio del nostro santo padre Elia:) Il mondo, oggi sopratutto, non è proclive a intendere una vita concepita e vissuta integralmente nel senso di pura contemplazione, è anzi propenso a giudicarla inutile e oziosa, indizio di fiacchezza morale o conseguenza di delus.ioni. ,Ma il mondo, si sa, coi suoi pregiudizi e le sue maSSIme, e quello stesso che non volle ricevere e conoscere Gesù, che anzi, scandalizzato dal suo insegnamento, gli voltò le spalle. Le cose spirituali non possono penetrare nel cervello degli uomini che obbediscono alle leggi dei sensI e fanno della vita terrena il fine della propria esistenza. Desta sorpresa invece che ai nostri tempi vi siano dei buoni cristiani, parte perchè impressionati dalle urgenti necessità dell'ora, parte anche ammirati dalle feconde e promettenti realizzazioni dell'apostolato moderno, i quali ritengono la vita di preghiera, sopratutto quella strettamente contemplativa, meno necessaria e meno vantaggiosa a~la .C~iesa. Motiv.o ~i maggior sorpresa è cogliere certi gmdlz1 e affermaZ1Ol11 sulla bocca stessa di sacerdoti e religiosi. A correggere certe opinioni basti il severo ammonimento di S. Giovanni della Croce, la cui dottrina ha avuto l'approvazionè ufficiale della Chiesa. Egli, dopo aver affermato che si farebbe un gran danno alla Chiesa stessa se si volesse occupare, anche per breve tempo, in cose esteriori o attive, quantunque assai importanti, un'anima infiammata di amore di Dio, fine ultimo della nostra creazior:e: si. rivol.ge a, quelli che potrebbero definirsi gli zelantI mdIscretl dell apostolato esterno e ammonisce: «Co-
4) Art. !8i.
") Cf. artt. 2 e 112. lO.
CAP. VIl
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loro dunaue che sono molto· attivi e che pensano di abbracciare 'tutto il mondo colle loro predicazioni ed opere esteriori riflettano bene che apporterebbero molto piti utilità Chiesa e riuscirebbero assai più graditi a Dio (anche a prescindere dal buon esempio che darebbero), se spendessero almeno la metà del loro tempo nello starsen.~ con Dio in orazione ... Allora certamente otterrebbero dI più e con minor fatica, più con un'opera che con mille, e ciò per il merito della loro orazione e per le forze spirituali in essa acquistate; altrimenti tutto si ridurrà ad un martellare invano e a fare poco più di niente, e alle volte proprio niente, anzi non di rado anche danno. Iddio non voglia - esclama poi - che il sale della t~rra cominci a svanire, poichè allora" per quanto sembn che produca qualche buon affetto esteriormente, in sostanza, per~, non sarà nulla, essendo certo che le buone opere non SI possono fare se non in virtù di Dio ». E conclude: «Oh quanto si potrebbe scrivere su questo argomento!»:') «La santa Chiesa - scriveva in epoca recente il Padre Ilario Doswald, generale dell'Ordine - ha ripetutamente preso posizione contro tali dottrine erronee [l'esaltazione della vita attiva e il deprezzamento di quella contemplativa] ed ha, fra l'altro, innalzato agli onori degli altari S. Teresa del Bambin Gesù, maestra della vita interiore e della piccola vià e l'h~ data come pàtror:a perfino ,alle missioni. E la consacrazlOne del mondo umversale a11 Immacolato Cuore di Maria non è forse una esaltazione della vita interiore e un invito solenne a imitare l'esempio di colei che conservava in cuore tutte le cose e le meditava? E l'Ordine Carmelitano, che fu sempre consacrato a Maria SS.ma, deve attenersi sempre agli esempi della sua
a11;
") Cm/tico, 29, lO.
PREGHIERA E IDEALE CARMELITANO
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Madre Santissima. Giustamente dice la nostra S. Maria Maddalena de' Pazzi: Vi è bisogno di ogni sorta di persone e attive e contemplative, ma principalmente si deve attendere che fiorisca la parte spirituale, e non porre il nne nelle cose esteriori. Ed in un'estasi ella esclama: o grandezza delle opere interne, sì poco penetrata! E' di maggior valore un'opera interna, che mille anni di esercizi esterni ».') Peraltro è risaputo che i vescovi missionari, ammaestrati sia dalla esperienza e sia dall'insegnamento del pontefice Pio XI) sono quanto mai solleciti della fondazione di monasteri di clausura, cioè di pura vita contemplativa, ovunque è possibile, perchè è ampiamente dimostrato che l'azione del missionario tanto più si rende efficace e feconda, quanto più è sensibile, nella missione, il nucleo di anime oranti. Ma poichè la nostra vita ha cessato di essere eremitica, quindi di indirizzo puramente contemplativo, si potrebbe pensare che certi richiami e riferimenti debbano essere oggi superati dai tempi o di minore importanza, e che lo stesso capitolo settimo debba interpretarsi in senso più largo da come fu interpretato nei secoli passati. Rispondiamo che qualor4 si volesse arrivare a tale conclusione, non avremmo più diritto di considerarci discendenti degli antichi eremiti del Carmelo e di chiamarci carmelitani, perchè verrebbe a mancarci quella che, comunemente, si dice fisionomia specifica o spirito dell'Ordine, il quale essendo di carattere permanente non può cambiare senza pregiudizio della esistenza dell'istituto. 7) H. DOSWALD, O. (1946-48), 18.
CARM.,
De "ita interiort:, in Allal. Ord. Cilrm., B
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Ciò spiega perchè la floridezza o, dec~.de~z~ di u~ <?rdi?e è sempre in rapporto alla fedelta all mdmzzo ongmano, dovuto alle circostanze, o impresso dal fondatore. Perchè dunque il presente problema ha per noi valore determinante è necessario definirlo con esattezza tanto nella sua essenza che nelle sue conseguenze e non solo in forma speculativa, ma pratica. Infatti come la visione chiara dello spirito carmelitano, fin dall'inizio della vita religiosa, diventa facilmente un'idea-fOl"za che spinge ad operare, cosi una visione vaga ed incerta sarebbe inefficiente, perchè la volontà, pur essendo facoltà razionale, è in sè cieca e non si muove se non quando ha davanti, presentatole dall'intelletto, un ideale ben determinato. Ciò spiega, almeno in parte, il dramma intimo di tanti religiosi sempre incerti e indecisi, scarsi di vita, privi di ideali, quasi barcollanti in mezzo alle tenebre. Giova inoltre notare che la vita esclusivamente contemplativa non è estinta nel Carmelo in quanto si mantiene nei monasteri del Second'Ordine ove le nostre consorelle vivono in stretta clausura imitando gli esempi di s. Teresa di Gesù e di S. Maria Maddalena de' Pazzi, e il suo anelito è forte anche nel Primo. Non senza ragione le Costituzioni vigenti contengono questo articolo: «Affinchè lo scopo originario del nostro Ordine, cioè lo studio <iella divina contemplazione e l'amore della santa solitu,dine, una volta unica nostra occupazione ora la principale, sia tra di noi sempre in vigore, desideriamo che nelle nostre provincie, ove sarà possibile, sia fondato un convento eremitico ».8) Volendo dunque precisare l'ideale e lo spirito dell'Or") Art. 112.
PREGHIERA E IDEALE CARMELITANO
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dine, e indicare i mezzi che lo rendono praticamente attuabile anche nelle presenti comuni circostanze non abbiamo bisogno di affaticarci nella ricerca di cose ~uove nè perderei in ragionamenti difficili; basta esaminare e ~er car di capire l'insegnamento contenuto nella tradizione dell'Ordine, che ha al suo attivo grandi santi e maestri insigni, ~ .nel l~bro del~e Costituzioni che esprimono questa tradIz10ne m mamera perfetta e costituiscono, come abbiamo già detto, la più autorevole e più autentica interpretazione della Regola. Riconosèiuto, dunque, come pienamente giustificato l'indirizzo dato all'Ordine verso la metà del secolo XIII dal piissimo S. Simone Stock" e ammessa l'urgente necessità di intensificare, ai nostri tempi, l'apostolato nelle parrocchie, nelle scuole, nelle missioni, ovunque la Divina Provvidenza ci apre un campo di lavoro, do~biamo ugualmente riconoscere che lo spirito di orazione costituisce per noi, sempre, e in ogni luogo, la parte principale, e che il nostro apostolato esprimerà la nostra vocazione in quanto rivelerà e trasfonderà negli altri l'amore e la pra. tica della vita interiore. Peraltro i due termini: preghiera e apostolato, tutt'altro che antitetici, si richiamano e si integrano a vicenda, come la materia e la forma, l'anima e il corpo; la vita interiore è definita l'anima dell'apostolato, il quale diventa tanto più vitale ed efficiente, fecondo di grazia e di benedizioni celesti per il prossimo, quanto più si eleva alle forme più perfette, e alla stessa contemplazione, mentre senza di essa si è corpi senz'anima; macchine senza spirito, alberi coperti forse di foglie, ma senza frutti.
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CAP. Vfl
III LO SPIRITO DI ORAZIONE Se la conservazione dell'Ordine e la sua ragione di esi·· stere dipende, come si è detto, dal modo di intendere e di osservare il capitolo settimo della Regola, la prima domanda da porsi è questa: Che cosa dobbiamo fare, nelle mutate circostanze, per essere e poterci chiamare, con diritto, carmelitani? Riteniamo che la risposta possa riepilogarsi così: Dobbiamo conoscere la vita di orazione, appre:<:zarla, amarla, gustarla e praticarla. 1. Conoscere l'orazione
La cosa necessaria, prima di ogni altra, è la conoscenza della vita di orazione, nella sua natura, nelle sue forme, nei suoi gradi, altrimenti non si può amare e, molto meno, praticare con frutto. Comunemente è difficile, spesso diventa pericoloso, procedere per una via sconos~iuta. Quanti perdono del tempo prezioso e ristanno dal progredire nella vita spirituale, per la quale avrebbero eccellenti attitudini, perchè difettano della necessaria istruzione! Il loro stato può paragonarsi a quello dell'uomo che cammina nella nebbia: pur avendo la volontà di andare avanti, e di arrivar presto alla meta, non sa come muoversi, nè in quale direzione avviarsi perchè, non vedendo, manca di orientamento. D'altra parte sarebbe assurdo e presuntuoso pretendere che Dio intervenga con .qualche illustrazione di carattere straordinario.
LO SPIRITO DI ORAZIONE
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Come semplice orientamento per i meno esperti, tra le tante definizioni descritti ve della preghiera date dai gran~i maestri della vita ~piritu~le, ci piace indicare questa d! S. Teresa del Bambl11 Gesu, che non solo dice assai bene cosa essa sia, ma risolve, in partenza, le incertezze abituali dei principianti. «Per me la preghiera non è che uno slancio del cuore, un semplice sguardo al cielo, un grido di riconoscenza e. di amore in mezzo al dolore come in seno alla gioia! E' insomma qualche cosa di elevato e di soprannaturale, che dilata l'anima mia e la unisce al Signore. Talora, quando il mio spirito si trova in una sì grande aridità da non poter concepire nemmeno un buon pensiero, recito molto lentamente un Pater e un'Ave Maria, e queste preghiere sole nutrono divinamente l'anima mia, la rapiscono e le bastano ».1) }',fa poichè la chiave di volta per ogni buona forma di preghiera è la meditazione, ne segue l'assoluta necessità di usare ogni industria per imparare a meditare. Tra i diversi metodi (diversi nella forma e nelle sfumature, identici nella sostanza) i carmelitani debbono esercitarsi in quello che è loro proprio, le cui particolarità sono conseguenza dell'indirizzo spirituale dell'Ordine. Questo metodo, da loro stessi insegnatoci e raccomandatoci, servì ai nostri mistici quale punto di partenza per le alte vette della contemplazione. Le Costituzioni fanno obbligo esplicito al maestro di insegnare «ripetutamente ai novizi il metodo per fare la meditazione ... e di compiere i propri atti alla presenza di Dio, affinchè in seguito diventino amanti della vita interiore e, per quanto Dio lo concederà, ne diventino osser-
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vanti secondo la Regola ».2) Le medesime, parlando degli studi ricordano che quello della teologia mistica, per noi carmelitani, costituire la parte migliore. 3) L'esatta conoscenza dei problemi della vita spirituale ci è necessaria non solo perchè possiamo praticare con frutto l'orazione secondo lo spirito dell'Ordine, ma anche perchè la possiamo insegnare agli altri. Dobbiamo infatti ritenere che la Divina Provvidenza ci destina, specificafamente, a questa eccellentissima forma di apostolato. Per cui come gli Apostoli un giorno si rivolsero a Gesù e gli dissero: «Signore, insegnaci a pregare »/) così il popolo cristiano ha diritto di fare a noi la stessa domanda, col conseguente dovere per noi di non deluderlo nelle sue aspettative legittime.
2. Apprezzare l'orazione Ritenerla, con profonda convinzione, come l'atto più elevato e più nobile al quale ci possiamo dedicare; quello che ci conferisce la più alta dignità, perchè nulla si può pensare di più bello, di più grande, di più nobile del contatto diretto e consapevole con Dio. Per noi carmelitani queste considerazioni rivestono una importanza tutta propria, essendo chiamati, secondo il primitivo insegnamento del patriarca Elia, principalmente a cantare le lodi di Dio.5) Cioè a ripetere col Profeta: «Vive il Signore, nel cui cospetto io mi trovo ».r.) Nel già citato articolo delle Costituzioni si legge: «Sia profondamente impresso nella nostra mente che l'orazione è l'anima del religioso; se manca questa quella vien meno, e se c'è questa quella è in vigore ». L'osservazione, di carattere gene2) Art. 326. :J) Cf. art. 198. 4) LuCo, 11, 1. ") Cf. art. 138. 6) 3 Re, 17, 1.
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rale, acquista importanza tutta propria quando si applica ai carmelitani: «Ciò poi nel nostro Ordine - proseguono - è tanto vero che consideriamo l'orazione e la contemplazione parte principale di esso ».') Infatti il no-· stra Ordine si.è reso celebre ed ha acquistato spiccate benemerenze in seno alla Chiesa non tanto per l'insegnamento nelle università e nelle scuole, per pubblicazioni teologiche, filosofiche, letterarie o scientifiche, per le missioni o opere di altro genere, ma sopratutto per l'insegnamento della dottrina spirituale e per il culto tenerissimo, alla SS. Vergine, l'esempio più ammirabile di una continua e ardentissima carità. I nostri santi più conosciuti e più celebrati nel mondo. sono quelli che, attraverso l'esperienza mistica, sono arrivati al più alto grado di contemplazione: S. Teresa di Gesù, maestra di vita spirituale, S. Giovanni della Croce, dottore di scienza mistica, S. Maria Maddalena de' Pazzi, la vergine estatica per eccellenza. Non senza ragione la Divina Provvidenza ha voluto che questi esponenti tipici della vita spirituale fiorissero all'ombra del Carmelo, come ha voluto che i grandi maestri del dogma cattolico fiorissero in altri Ordini sorti con proprie specifiche finalità. La stima dell'orazione significa per noi stima della vocazione, ed è atto di adorazione e di ringraziamento a Dio per aver preordinato per noi questo mezzo efficace di salvezza fin dall'eternità. Questo pensiero richiama l'ammonimento delle nostre Costituzioni: «Affinchè la stima della vocazione religiosa muova efficacemente i nostri conu 7) Art. 148.
CAP. VB
fratelli a opere buone, ciascuno sia profondamente com~reso della s~ntità della. religione carmelitana... e parli ,-on somma rIverenza (11 quanto le è proprio ».8) Come ~er tener cara e .custodire ge,losamente una gemma bi:,ogna c~nos~erne Il valore, COSI per amare e praticare con ..frutto 10razlOne e per tenere nel giusto conto la arazia della v~~azione dobbiamo essere persuasi della sua becc~l_ lenza, dl ciò che è in sè stessa, di ciò che è in grado di operare. 3. A mare l'orazione
. Richiamandoci al medesimo concetto, dobbiamo idenG?care l'amore all'orazione coll'amore alla nostra vocaZIone, considerarle una medesima cosa, come un'unica ~cala ch: p~rte.ndo dalla terra ci fa raggiungere il cielo. ,~e Co.st~t~lZlOl11 nel fare obbligo al maestro di inseo-nare al n.ov~Zl Il. metodo per la meditazione, l'esame di co~cien ~a, r1 d~:ersl. m~di di pregare; di .indirizzare e di compiere l p_ OpI ~ at~l all~ presenza eh D1O, ne specificano il fine: «pcrche chventmo amanti della vita interiore ».9) Per crescere in questo amore è necessario conoscere le . nostre origini, le nostre tradizioni, la nostra storia, la nostra spiritualità, la vita dei nostri santi. Possediamo un Datrimonio cosÌ antico, così vasto, così bello, così vivo, ~~sì attuale che sarebbe stoltezza ignorare ... S. Teresa di Gesù ;acco~andav~ con insistenza di pensare spesso alla grazia rattacI dal SIgnore col chiamarci nell'Ordine dell; sua sa!1tissin:a M~dre, e specificava: «Si fissino gli occhi alla stlrl~e. eh .quel Santi Profeti da cui discendiamo: quanti santI 111 Gelo portarono il nostro abito! Nutriamo la santa ') Art. J 5-1.
!I)
Cf. art. 326.
LO S;;l!\!TO DI ORAZIONE
presunzione di renderci, colla grazia di Dio, non dissimili da loro» .1(') 4. Gustare l' orazzone
Il gusto che si può trovare nell'orazione è duplice: sensibile e spirituale. Il primo consiste in una certa soavità e diletto interno che rende la preghiera piacevole, desiderabile, facile, gioconda. Il Signore, nella sua infinita bontà e compiacenza, si degna concedere questo gusto sopratutto ai principianti, per invogìiarli alla orazione, per renclerii perseveranti e forti nei propositi. Si tratta di una grazia grande, di un invito divino a lasciare totalmente le soddisfazioni dei sensi e a cercare quelle pure dello spirito, ma non è il meglio di quanto si può avere e desiderare. Sebbene nulla proibisca di provare questi gusti sensibili, si debbano anzi accettare con senso di viva gratitudine a Dio datore di ogni bene, sarebbe imperfezione cercarlÌ ansiosamente e rammaricarsi quando vengono a mancare, e sarebbe un errore identificare con essi lo spirito di orazione. E' il cibo proprio dei bambini che il Signore si prenderà cura di sottrarre al momento opportuno per sostituirlo con un altro più solido e più sostanzioso.' l ) Il gusto spirituale consiste, invece, nella propensione della volontà. alla unione con Dio e alle pratiche che la rendono attuabile, quali la meditazione, l'Ufficio divino, la visita al SS. Sacramento, la S. Comunione, la celebrazione attiva delle feste liturgiche, ecc. e può coesistere collo stato di aridità proprio delle anime pie, specialmente di quelle che il Signore desidera innalzare ai gradi più alti dell'orazione. Così S. Giovanni della Croce avverte Fondazioni, 29, 33. Cf. Notte oSClfra del senso, 7, 4.
ì56
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che al principio della vita mistica l'anima, ordinariamente, sente solo aridità e vuoto, e nondimento sente anche una grande sollecitudine di Dio, con pena e timore di non servirlo.12) S. Maria Maddalena dei Pazzi ebbe a confessare una volta che si trovava nella orazione come un legno o una pietra o una cosa insensata. Il gusto spirituale della preghiera importa, dunque, sopratutto prontezza del cuore nel ricevere le ispirazioni di Dio, impegno e prontezza nel compiere gli atti di pietà, considerandoli, nonostante lo sforzo talora necessario. non un peso ma un dolce refrigerio dell'anima, osservan~a fedele dell'orario, e nelle preghiere liturgiche esattezza delle cerimonie nel genuflettere, nell'inchinare, nello stare in piedi, nel sedere ecc. 5. Praticare l'orazione
Come la conoscenza e l'amore di Dio portano ad osservare la sua santa legge senza difficoltà, così la conoscenza, l'amore, e più il gusto dell'orazione conducono alla sua pratica. Sarebbe poco fruttuoso conoscere Dio e falsa la eventuale protesta di amore quando non si volesse sentir parlare dei suoi comandamenti, e sarebbe ugualmente poco fruttuoso e discutibile l'amore e impossibile il gusto dell'orazione quando si omettesse di praticarla o si facesse svogliatamente. Le nostre Costituzioni nell'interpretare la Regola, tanto per alimentare lo spirito di orazione quanto per provvedere alla uniformità in tutto l'Ordine, dopo aver raccomandata la continua interna conversazione con Dio,'S) determinano anche le pratiche da compiersi in comune 12)
Cf.
IV I,
lO, lì.
IO!)
Art. li'
una volta l'anno, una volta al mese, una volta ogni settimana e nei singoli giorni. Ogni anno dieci giorni di esercizi spirituali, compreso l'inizio e la fine e la rinnovazione dei voti; ogni mese un giorno di ritiro; ogni settimana la confessione sacramentale; ogni giorno, oltre la recita dell'Ufficio divino e la S. Messa, un'ora di meditazione, due esami di coscienza, e la recita del S. Rosario.14 ) Prescrivono inoltre, in tutti i mercoledì dell'anno, qualche pio esercizio in onore della B. Vergine e nei sabati il canto della Salve Regina (o Regina coeli) e delle litanie; e funzioni speciali nella ricorrenza annuale della Commemorazione solenne della Ma, dre celeste.10 ) A queste pratiche vanno aggiunte quelle proprie dei novizi, e quelle particolari delle provincie, nonchè la Comunione frequente, anche quotidiana, per i non sacerdoti. Molto probabilmente per i nostri antichi Padri non esisteva una determinazione specifica delle pratiche di pietà e delle ore destinate alla preghiera. La Regola parla soltanto della recita dei salmi per coloro che sapevano leggere e della recita dei Pater noster per gli altri; a trascorrere santamente il resto del giorno provvedeva sufficientemente la nonna di rimanere solitari e di meditare nella legge di Dio. Cambiate le circostanze, tanto le esigenze della vita comune che il dovere di conservare lo spirito dell'Ordine e l'uniformità resero necessaria, e poi obbligatoria, la formulazione di un oratorio, con l'inclusione delle preghiere in comune, a cominciare dall'Ufficio divino. Così nelle Costituzioni del 1294, con maggiore H) Artt. 151, 153, IlI, 149, 152, 15. "') Arn. 8, 9.
MED1TAZIO?-\E E PRESENZA DI DIO
15S
esattezza di quelle del 1281, si ordina: «I frati convengano in chiesa per la recita di tutte le Ore, e, per quanto possono, recitino l'Ufficio divino con umiltà, devozione e uniformità, secondo l'uso del Sepolcro del Signore» .11,) In seguito, come è nella natura delle cose, si ebbero ulteriori aggiunte, e tra queste, a cominciare dal secolo XVI, la meditazione in comune, che, prescritta prima in alcune provincie, diventò ben presto obbligatoria in tutto l'Ordine.
H) C~YnJJitlf.tiOlteS cap. Burdigalen,cis, In Anal. Ord. Ca~·f!)., l S (1953-'~
134.
159 '
IV
MEDITAZIONE E PRESENZA DI DIO Dell'Ufficio e della S. Messa, che costituiscono il pun~· to centrale del culto e la fonte più piena della grazia, parleremo nel commento ai relativi capitoli. Qui limitiamo, le nostre considerazioni all'obbligo e alla necessità della meditazione, quale è allo stato attuale delle cose, e all'esercizio della presenza di Dio. Prima di tutto, però, ci sembra utile un rilievo: le pra-, tiche della vita spirituale, siano quotidiane, settimanali, mensili o annuali, si tratti di Ufficio divino e di S. Messa,. di meditazione, di esame di coscienza, di visita al SS. Sacramento, della recita del Rosario, della Confessione, della·. Comunione, del ritiro mensile o degli esercizi spirituali, non debbono prendersi come atti a sè stanti e indipendenti uno dall'altro, ma come parte di un tutto che si completa e si integra, costituendo, tutti insieme, l'edificio • della vita spirituale. Per noi carmelitani, in particolare, questi atti più o meno comuni allo stato religioso hanno lo scopo di rendere attuabile lo spirito della Regola e di farcelo vivere nel modo più pieno: A riguardo della meditazione le costituzioni stabili-·· scono: «Vogliamo... che oltre la continua, interna conversazione con Dio, tutti si dedichino all'orazione mentale, secondo le proprie forze e colla grazia dello Spirito, Santo, due volte al giorno, insieme nel coro o in luogo . più adatto da determinarsi dal superiore, e, per quanto.
CAP. VI!
possibile, la durata sia di un'ora al giorno ».') Per le monache si richiama il tempo determinato dall'orario, purchè superi la mezz'ora al mattino e la mezz'ora la sera.') Se qualche funzione speciale, alla quale assiste la comunità, ragioni di ufficio o di lavoro di carattere straordinario possono legittimare la dispensa dalla meditazione della sera (come è previsto anche negli statuti particolari di alcune provincie), nessuna ragione valida può addursi . per la dispensa dalla meditazione del mattino. Perciò debbono intendersi in senso stretto le parole che si leggono subito dopo, nel medesimo articolo: «Se qualcuno non può essere presente alla meditazione in comune, la faccia privatamente ».") I d~boli, gli infermi che fossero legittimamente dispensati dall'intervenire in coro insieme alla -comunità, non possono esimersi, senza andare contro lo spirito e la lette~a della legge, dal fare la meditazione per un tempo conveniente. E' infatti di primaria importanza per tutti che la giornata abbia inizio con un atto capace di produrre i più nobili sentimenti e i più santi propositi; privarsene potrebbe recare pregiudizio a tutte le azioni che seguiranno. Come nel canto quando si sbaglia la prima nota, non v'è alternativa tra il cominciare da capo o andare . avanti stonando, così nella vita spirituale, quando l'impostazione è· sbagliata o si continua ad andare avanti per . quella via col pericolo di perdersi o si torna indietro e si comincia di nuovo. Questa norma vale tanto per l'intero . cammino, quanto per un semplice tratto. La Regola sembra anche determinare la fonte da cui 1) Art. 149. ~) Regola di S. Alberto e costittlziolli delle m01lache dell'Ordine della B. F. Maria del M. Carmelo, Tip. PoI. Vaticana. 1936. art. 168. 2) Art. 149.
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debbano essere tratti i temi della meditazione; dice infatti: meditando giorno e notte nella legge del Signore. Ma l'espressione deve inte?dersi in s~nso l~rgo, i~ .quan~o Qualslasi verità che scatunsce dalla nvelaziOne d1Vma, Sia A tratti dei destini dell'uomo, sia degli attributi divini, rientra sempre nell'ambito della legge di Dio, e tende a farci raggiungere il fine prossimo e ul~imo ?el.la nostra creazione che è conoscere, amare e servue Dw m questa vita e poi oaoderlo eternamente nell'altra, in paradiso, e . quindi anche il fine della n~stra. vocaz.iOne. , E' certo però, che la medItaziOne dIretta della. parola divina, specialmente del Nuovo Testa~ento, a Chl ~a la capacità di intenderla a. fondo,- fa scopnr~, come testImonia S. Teresa del Bamb111 Gesu per espenenza personale, sempre nuovi lumi, sensi misteriosi e nascosti, e fa comprendere per esperienza che il regno di Dio è dentro di noi:) Le difficoltà spesso inerenti alla pratica della meditazione, sopratutto al principio, quali la ir:esp~r~e,nz~, la ~e GaIezza fisica, la sonnolenza, lo stato dl andlta, l afflUire di pensieri e di immagini vane ecc. vann~ sopportate. con animo sereno, con pazienza e colla fidUCia che medlante l'uso della buona volontà, la costanza e l'aiuto della grazia, si riuscirà a superarle. Il ven. P. Domenico di S. Alberto consiglia a non impegnarsi con violenza per allontanare simili inconvenienti e a credere fermamente che Dio, nella sua piissima bontà, conferirà grande merito al dolore che si sperimenta nel cuore in simili contingenze; raccomanda anche queste due riflessioni: Dio mi vuole provare e umiliare affÌnchè conosca che sono un nulla e che nulla vi è in me di buono, e per vedere se nel tempo ') Storici di ull'anima, 307. 11.
CAP. \-
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della sofferenza mi allontanerò da lui o non piuttosto mi sforzerò di fare tutto ciò che posso cioè: gemere, vivere con pazienza, e attendere con gioia la sua venuta.") Nessun dubbio che le prove e le difficoltà, affrontate e sostenute con santa rassegnazione, sono una rugiada celeste, una continua invocazione, un atto di fede che unisce a Dio. E l'esperienza insegna che mentre la sfiducia e lo scoraggiamento iniziale (quando non siano tempestivamente superati coll'aiuto anche del direttore spirituale) producono un arresto certo nella vita interiore generando tedio, delusione, tristezza, la perseveranza, la fiducia in Dio, l'uso dei mezzi adatti ( in particolare del metodo proprio dell'Ordine e degli insegnamenti che troviamo negli scritti e negli esempi dei nostri Padri), nescono a rendere la meditazione gustosa e dilettevole. Una condizione del tutto necessaria per acquistare la pratica della meditazione, oltre l'interno abituale raccoglimento, è la continuità e la metodicità; per cui tralascÌarla con frequenza, non far conto del metodo (specialmente all'inizio), passare da un argomento a un altro senza ragione, non penetrare nel fondo del tema, trascurare gli affetti che per noi sono la parte predominante, significa impedire, più o meno volutamente, la formazione di una santa abitudine e l'amore a un esercizio oggi più che mai indispensabile al progresso della vita spirituale. Il carmelitano desideroso di vivere la propria vocazione deve proporsi in forma ben definita, e rimanervi stabilmente fedele, questa massima: neSUl1 giorno senza meditaziolle, e con la ferma volontà che appiana ogni ostacolo, consacrarle il tempo stabilito dall'orario. Come esempio ed incitamento è utile ricordare che in alcuni tempi, al") Cf. Exe/'citatio, 30.
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meno nelle provincie ove l'osservanza era più perfetta, alla meditazione venivano consacrate due ore al giorno. Ma la meditazione non esaurisce il fine della vocazione carmelitana, cioè il nostro dovere di vita interiore. Infatti il citato articolo delle Costituzioni ne parla dopo aver richiamato l'obbligo della continua conversazione con· Dio, e le parole della Regola: meditando gior1lo e notte nella preghiera, debbono intendersi non tanto di medi·· tazione metodica e sistematica guanto piuttosto della familiare conversazione con Dio. Il ven. P. Domenico di S. Alberto, come abbiamo notato sopra, precisa che lo studio della orazione per il carmelitano consiste « in una vera, totale, attuale attenzione a Dio, e in un'amorosa dilatazione di tutte le forze della propria anima, che si uniscono e si stringono totalmente a lui, al punto da parlargli sempre, in ogni ora e in ogni luogo ».") Tra la meditazione e l'attenzione a Dio, cioè l'esercizio della divina presenza, esiste una interdipendenza di causa e di effetto, in quanto la prima tende, tra l'altro, a stabilire e a conservare la presenza di Dio nell'anima, come questa, quando è mantenuta assiduamente nel corso del giorno, serve a rendere la meditazione più raccolta, più viva, più ardente, più fruttuosa e a schiudere più ampi orizzonti della vita spirituale, espressi col termine generico di mistica teologica o intimità divina. Il ven. P. Michele di S. Agostino, dopo aver detto che la teologia mistica, a suo parere, non è altro che « la scienza pratica di Dio e delle cose divine» e che si divide in due parti: una speculativa, consistente nella fede esercitata della divina presenza in ogni luogo e in ogni cosa creata, ~)
Ivi, 24.
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l'altra pratica, consistente nella conformità al volere di Dio, spiega con grande chiarezza come sia facile e ad un certo momento diventi necessario l'esercizio della divina presenza. «Se domandiamo ai bambini del catechismo - così scrive - dove sia Dio, essi rispondono: Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo. Stando così le cose e professandole col lume della fede, che cosa vi è di più ragionevole che rendere attuale sempre e dovunque questa fede nella presenza di Dio? Di fatto sapendo per fede che Dio penetra colla sua essenza, presenza e potenza tutte le cose, molto più perfettamente che i raggi solari il vetro, l'acqua la spugna e l'olio la carta, è del tutto ragionevole che ci troviamo continuamente nella memoria attuale di questa presenza di Dio, tanto sicura in ogni cosa e in ogni, luogo, per cui sempre e ovunque ci teniamo, con grande circospezione e riverenza, lontani da ogni leggerezza, ci asteniamo da ogni cosa che abbia parvenza di male e abbondiamo in ogni cosa buona ... Ma come potremo arrivare a un ricordo tanto assiduo di Dio? Mediante ripetuti atti di fede nella sua presenza ovunque, ne acquisteremo l'abitudine o consuetudine, la quale essendo come un'altra natura che inclina e facilita all'atto, ci renderà tanto facile questo esercizio, cioè avere Dio presente nel pensiero, come ci è facile respirare, cioè compiere quelle cose alle quali siamo inclinati dalla natura. Perchè come operiamo con facilità e quasi senza riflettere ciò che è naturale, ossia quello a cui siamo spinti dalla natura, che anzi tralasciarlo o agire in senso contrario ci rimarrebbe difficile per non dire impossibile in tante cose; ugualmente ciò che faremo intorno alla presenza di Dio per intenso abito di fede, acquistato perfettamente con ripetuto esercizio, apporta per sua natura una certa soave necessità o inclinazione a un tale esercizio, così che
all'anima esercitata in tal modo nella fede sarebbe impossibile dimenticarsi di Dio presente, o non averne la memoria attuale. Per conquistare però questa facilità è necessario che non solo nel tempo della preghiera, ma anche durante il aiorno, siano ripetuti frequenti atti della presenza divina, ~ediante amorose riflessioni, aspirazioni, orazioni giaculatorie ecc. indirizzate a lui presente e penetrante l'intimo dell'anima e di ogni cosa ». Lo stesso venerabile presenta poi una serie di aspirazioni che ci sembra utile riportare. «Dio vede; sono in Dio e Dio è in me; vive il Signore nel cui cospetto mi trovo; respiro in Dio come nell'aria; Dio mio, mi sei presente più di quanto non sia io a me stesso, tu penetri tutta la mia sostanza; ecco mi muovo in Dio come il pesce nell'acqua; o Signore, la spugna non è tanto penetrata dall'acqua come io dalla tua presenza », ecc. 1) Questo esercizio ci sembra possa essere da noi considerato il fine della legge al quale dobbiamo ordinare tutti ali atti di pietà soliti a compiersi durante il giorno, e la b ' sorgente di ogni bene. UnaI grande anima contemp atlva dei nostri tempi ha lasciato scritto queste parole che dovrebbero essere lungamente e attentamente meditate: «lo ho trovato sulla terra il mio cielo, perchè il cielo è Dio e Dio è nell'anima mia ». Concetto familiarissimo alle anime di vita interiore, a cominciare da S. Teresa di Gesù . Ma la medesima, a far intendere i frutti che derivano da questa consapevolezza della presenza di Dio nell'anima, prosegue: «il giorno in cui l'ho compreso, tutto per me si è illuminato ».8) 7) Introdt<ctio, 204-206. 8) Cf. M. M. PHILIPON, O. P., La dottrùla ò'pirÌlt/ale di della SS.ma Trinità, 3 ed., Brescia, 1945, 93.
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V I GRADI PIU' ELEVATI DI ORAZIONE Dalla meditazione attenta e dalla presenza di Dio, per quanto possibile continua, attuale e affettuosa, secondo la formula consacrata nella nostra tradizione, scaturisce l'orazione aspirativa che nella pratica dell'orazione rappresenta senza dubbio un gradino più elevato e può essere il punto di incontro colla stessa orazione infusa, ave la meditazione cede il posto alla contemplazione che rappresenta il culmine e l'ideale ultimo della vocazione carmelitana, secondo l'insegnamento dei nostri maestri. L'esercizio della presenza di Dio e l'orazione aspirativa, o giaculatoria, sono state sempre tenute in gran conto nell'Ordine e considerate come forme di preghiera tipicamente carmelitane per la possibilità e facilità che offrono di vivere in senso pieno lo spirito e la lettera della Regola, e riprodurre in atto la vita del S. Padre Elia, riepilogata nel motto: «Vive il Signore, nel cui cospetto mi trovo ».1) Per esse non si richiedono particolari condizioni ,esterne di tempo e di luogo, come per la preghiera vocale 'e la stessa meditazione, ma solo il raccoglimento interno e l'abitudine a vedere Dio presente in ogni luogo, prima di tutto in noi stessi. Perchè il regno di Dio è dentro di noi: «in lui infatti viviamo, ci moviamo ed esistiamo ».") S. Teresa di Gesù nel commentare l'invocazione: «Pa1) 3 Re, 17, 1.
~) Atti, 17, 28.
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dre nostro che sei nei cieli », ricordato S. Agostino, che dopo molte ricerche riuscì finalmente a scoprire il Signore in se stesso, scrive: «Credete che importi poco per ur~'ani ma soggetta a distrazione, comprendere questa ventà e conoscere che per parlare col suo Padre celeste e goder~ della sua compagnia non ha bisogno di sal~re i? ,cie!o. né di alzare la voce? Per molto basso che par 11 egh e VIC1110, l'ascolta sempre. E per cercarlo non ha bisogno di. a~i, perchè basta che si ritiri in solitudine e. l? contempli 111 se stessa» .3) Quindi prosegue: «Immag111lamo che dentro di noi ~i erga un palazzo immensamente ricco, fatt~ d'oro e di pietre preziose, degno del wan ~1~narc~ a. CUI appartiene. E pensate inoltre, come 111fattI e venSSlmo, che voi concorrete a dargli la magnificenza che ha. Orbene questo palazzo è l'anima vostra: quando essa è pura e adorna di virtù non v'è palazzo così bello che possa competere con lei... Immaginate ora <:he. in 9ues~? palazzo abiti il gran Re, che nella sua misencor~la s. e . degnato farsi nostro Padre, assiso sopra un trono dI altISSimo preaio: il vostro cuore» :1) b Questa stessa considerazione la port~ a rassomis;1iare l'anima a un castello «fatto d'un sol dIamante o dI tersissimo cristallo, nel quale vi sian? molte mansioni, c~me ve ne sono in cielo... Al centro, 1ll mezzo a tutte, vela stanza principale, quella nella quale si svolgono le cose di arande searetezza tra Dio e l'anima »:') b Nel ve~. Giovanni di S. Sansone è abituale l'espressione fondo dell' anima per indicare questa parte più segreta, più intima, in certo sen~o ~iù spi:~tuale. dell'ani~a, dove la conversazione con DlO SI fa pm amIchevole, Il fuoco -S)Cammino, 28, 2. 4) Ivi, 28, 9; .t) Castello, prime mansioni, 1, 1, 3.
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dell'amore arde pm puro, l'unione diventa così 111tlma e stretta che il soggetto (l'anima) viene ad essere consumata nell'oggetto (Dio). Quanto più aumenta in noi la consapevolezza di essere il tempio dello Spirito Santo e cresce l'abitudine a ripiegarci su noi stessi con spirito di fede, tanto più diventa facile l'esercizio della presenza di Dio e ardente l'orazione aspirativa, perchè non si può rimaner freddi quando si viene a contatto diretto col fuoco. Per questa stessa possibilità, e relativa facilità, dobbiamo ammettere che, a differenza dell'orazione vocale e della meditazione, non si può dare motivo legittimo che giustifichi, specialmente in noi carmelitani, la dimenticanza o la trascuratezza del pensiero affettuoso di Dio. Come si vede, il cammino dell'orazione affiancato dal progresso nella virtù, è lungo; molti sono i gradi, e rili ancora le sfumature. L'azione aella grazia, quando trova corrispondenza nella creatura, è semplicemente meravigliosa! S. Teresa di Gesù e S. Giovanni della Croce, coi loro schemi cercano di ridurlo quasi a sistema per presentare un quadro generale, sebbene approssimativo, di questo itinerario, che partendo dal primo gradino della meditazione saltuaria e affrettata, sale al sommo della scala, rappresentata dal matrimonio spirituale o unione trasformante. S. Teresa, come abbiamo detto, usa l'immagine notissima del castello, la cui porta è costituita dalla orazione e dalla meditazione, mentre chi non prega se ne sta fuori, insieme ai rettili e agli altri animali d'ogni specie, con serio pericolo della propria salvezza. Le sette mansioni sono altrettante tappe che è necessario salire e successiva~
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mente oltrepassare per giungere al culmine della unione con Dio, fissata nella settima. Le anime delle prime mansioni sono quelle ingolfate ancora nel mondo, ma con desideri buoni, che qualche volta, sebbene di rado, si raccomandano a Dio e riflettono un poco su se stesse, sebbene in fretta. H) Quelle delle seconde hanno cominciato a rare orazione con una certa regolarità, hanno capito quanto importi non rimanere nelle prime. Quelle delle terze sono già assidue alla meditazione, desiderano ardentemente non offendere Dio e si guardano anche dai peccati veniali; amano la penitenza, hanno le loro ore di raccoglimento, impiegano bene il tempo, si esercitano nelle opere di carità verso il prossimo ecc. E' dunque lo stato abituale delle anime fervorose. Colle quarte mansioni incomincia l'orazione di quiete, nella quale la meditazione comincia ad essere sostituita dalla contemplazione: questa cresce in semplicità man mano che si sale alla quinta, alla sesta, alla settima ove si celebra il matrimonio spirituale tra l'anima e Dio. Naturalmente secondo il grado di orazione l'unione diventa più piena e più stabile. S. Giovanni della Croce, pur indicando sostanzialmente il medesimo itinerario, indugia sulla purificazione attiva e passiva dei sensi e dello spirito. La purificazione attiva prepara alla contemplazione; quella passiva vi introduce. Tra la notte oscura del senso, primo gradino di contemplazione infusa, e la notte oscura dello spirito intercorre un lungo cammino, di vita contemplativa. Per mezzo della notte oscura dello spirito, tormentosa all'anima quanto non si può immaginare, si arriva al grado supremo di unione, che egli chiama unione trasformante. 6) Cf. ivi, J, 6-8.
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Lo· schematismo dei due Santi, affine nella sostanza nonostante le notevoli differenze di stile e di espressioni dovute alla differente formazione intellettuale, ha un indubbio valore pratico, sopratutto perchè presenta in linee ben definite il cammino che si apre all'anima desiderosa di stabilire in sè pienamente il regno di Dio, facendole .. anche vedere la necessità di una dura e mortale purificazione. Però non deve intendersi in senso assoluto, perchè l'azione della grazia non è soggetta a leggi, ma è il mistero della sapienza e della misericordia divina. Molto opportunamente il ven. Domenico di S. Alberto, dopo aver parlato della ~ita i1lu~inati.va, vener:do a parlare di quella fruitiva precIsa: «~ da .dIre tuttavIa c~e a coloro che si danno alla conversaZIOne mterna con DIO, in maniera seria, unica e fedele, non è facile (e del resto nemmeno necessario) distinguere la vita illuminativa da quella purgativa e unitiva. Perchè l'~more q~1a11d~ è veramente tale, esplode rapidamente. L amore VIVO, l amore forte va veloce, talvolta in alto, talvolta in basso, da un estremo all'altro, e in un istante rapisce l'anima sopra di sè fino al più alto grado». Quindi, prosegue: «Dove è l'amore non esiste ordine di colloquio interno ... L'amore, . quando è veramente tale, trasporta spesso dall.a ~urga~iva a quella unitiva [senza passare attraverso la VIa 111ummativa1 e il progresso dell'amore si conosce solo dal suo can. dare' e dalla sua semplicità; infatti la semplicità nell'amore suppone una grande attività, così che quando l'anima . si dilata amorosamente, diventa semplice nell'amore, parla con Dio con semplicità, con familiarità, con confidenza, e quanto più è grande questa familiarità e questa s~m plicità tanto più è elevato il grado dell'amore nell'amma ,che opera così ».1) 7) Exercitatio, 52.
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Da questi cenni rapidi e sommari, desunti dagli scritti dei nostri insigni maestri, secondo i quali la vocazione al Carmelo è vocazione alla vita contemplativa, cioè alla più perfetta forma di unione con Dio, è facile dedurre che il cammino dell'orazione oltrechè lungo è di vasto raggio; sul principio anche difficile, ~ c~usa ~ella inesperi~n~a; della mancanza della necessana Istruz1One, delle andlta interne, della opposizione della stessa natura umana prodive alle soddisfazioni dei sensi non già a quelle dello spirito, ma non di attuazione così ardua o impossibile come tanti ritengono, dopo i primi tentativi sterili e infruttuosi. S. Teresa di Gesù pensando che un giardino si può innaffiare in quattro modi: cavando l'acqua da un pozzo, bcendo (Tirare una ruota, derivandola da un fiume o da ,m ruscello, e finalmente mediante una buona pioggia, vede raffigurati coloro che cominciano a pregare, e non varcano il limite della meditazione, in quelli che cavano l'acqua dal pozzo, il cui lavoro è assai faticoso. Comunque, ella assicura, il Signore non lascia di compens~r~ ge: nerosamente gli sforzi compiuti per vincere le andItà, 1 disgusti, l'insipidezza, le repugnanze. S) Prima di porre fine alle nostre considerazioni sul caDitoIa settimo della Regola riteniamo utile trarre alcune ~onclusioni pratiche che potranno servire di giusto orientamento per la vita. 1. Poichè la professione obbliga a vivere in conformità della Regola e a interpretare secondo il s?~ spirito. i voti che costituiscono l'essenza dello stato relIgIOso, se Il carmelitano non si impegna per rendersi familiare l'orazione mentale, la meditazione e l'esercizio della presenza di Dio ") VÌ/a, c. Il
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non può star tranquillo in coscienza perchè manca agli impegni propri della sua professione. 2. Come lo stato religioso è stato di perfezione da acquistare, nel senso che obbliga all'uso dei mezzi adatti per conseguirla, quali la fuga dal peccato mortale e veniale deliberato e dalle loro occasioni e l'esercizio delle virtù, così la professione secondo la Regola carmelitana, oltre a quella dei voti, è professione di vita interiore da acquistare e da coltivare coll'uso dei mezzi adatti che, oltre i sacramenti, sono sopratutto l'orazione vocale, l'orazione mentale e l'esercizio della presenza di Dio. 3. L'ignoranza della vita interiore e dei metodi che dispongono ad attuarla (metodo per la meditazione, per fare l'esame di coscienza, per esercitarsi nella presenza di Dio, per accostarsi con frutto ai SS. Sacramenti, ecc.) riguardando cose che si è tenuti a conoscere, non attenua, ma aggrava la responsabilità e la colpa. 4. Se il lavoro, specie l'apostolato, possono esimere, secondo i casi, dagli obblighi particolari della vita comune, non esimono dalla pratica della vita interiore, potendo questa coesistere colle occupazioni più intense e più diuturne. «Se eviterai i discorsi vani e il girovagare inutile - ammonisce l'Imitazione di Cristo - e non vorrai udire novità e chiacchiere, non ti mancherà il tempo sufficiente e adatto a perseverare nelle buone meditazioni »,9) cioè alla custodia della vita interiore. . 5. A ~omu.ne incoraggiamento e ad evitare ogni senso eh sfidUCIa, bIsogna tener presente che la vita interiore, salvo casi particolari, non si acquista subito, ma con molto lavoro e seria perseveranza, come la stessa perfezione. « Fi\I) Imitazione, I, 20, 21.
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gEuolo - ammonisce ancora l'Imitazione di Cristo - non devi volgerti i~diet~o nè su?ito abbatterti quando senti parlare della VIa del perfettI; ma piuttosto eccitarti alle cose. più alte, o almeno aspirarvi col desiderio ».10) Il carmeh:ano deve essere sorretto, in questo arduo lavoro, da una mcrollabile fiducia in Dio, il quale, col dono della vocazione, in certo senso è impegnato a non far mancare a chi gli corrisponde le grazie necessarie a renderla efficiente e fruttuosa.
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Capitolo Ottavo
Coloro che sanno recitare le Ore canoniche coi chierici, le recitino secondo le prescrizioni dei Santi Padri e la consuetudine approvata dalla Chiesa; coloro, invece, che non sanno dicano 25 Pater noster per il Mattutino, eccettuate le domeniche e i giorni più solenni, nei quali stabiliamo che il detto numero sia raddoppiato. La stessa preghiera si reciti 7 volte nelle Lodi mattutine: per ciascuna delle altre Ore si dica ugualmente 7 volte la medesima preghiera, meno che all'ufficio vespertùzo, nel quale dotlrete dirla quindici volte.l )
L'UFFICIO DIVINO Se la lettera non meno dello spirito della Regola esige da noi carmelitani, per quanto possibile, solitudine e preghiera, cioè la permanenza nelle celle e la conversazione con Dio, è evidente che da ciò deve trarre luce, forza e ispirazione ogni nostro lavoro, ogni nostro sentimento, ogni nostro proposito. Ma poichè alla debolezza umana non è possibile, senza una grazia speciale, la continua astrazione dal mondo materiale, e quindi la continua meditazione della legge di Dio, la stessa Regola parla di altre legittime occupazioni i e perchè l'orazione mentale non soddisfa integralmente i nostri bisogni e non esaurisce gli obblighi che abbiamo 1) Per le differenze tra il testo attuale e quello originario e i motil·i che determinarono il cambiamento, vedi sopra, pago 35, 46.
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verso Dio, dovendolo lodare anche colle labbra sull'esempio del Divin Salvatore, e pubblicamente quali membri, del mistico corpo di Cristo, la medesima ci prescrive insieme la preghiera vocale nelle sue forme più eccellenti" che sono l'Ufficio divino o, a sua somiglianza, la recita", ripetuta del Pater l1oster. Varie circostanze, che possono essere indicate nella dif-, ficoltà a comprendere il senso letterale dei salmi, nell' ob- , bligo della recita quotidiana e nell'abitudine che ne deriva,. nella conoscenza non sempre esatta o completa della sua struttura, e di quello che esso rappresenta nella Chiesa, concorrono purtroppo a far sottovalutare a molti la bel-lezza, la eccellenza, la importanza della officiatura divina. Eppure nessun atto di culto, nè privato nè pubblico, può eguagliarlo perchè è la preghiera ufficiale della Chiesa, fatta insieme al suo capo invisibile «col quale, per mezzo" del quale e nel quale sale a Dio, Padre onnipotente, ogni onore e gloria» .2) Sotto ogni punto di vista è preghiera completa perchè ' destinata a impegnare tutte le facoltà umane: memoria" intelletto, volontà, sensi; è adorazione vera di Dio, ringra- ' ziamento, invocazione; è nella parte culminante la rinno-vazione incruenta del sacrificio della Croce, alla quale la' comunità dei fedeli o la comunità religiosa, cellula viva', del mistico corpo di Cristo, partecipa in forma pubblicae ufficiale. Dacchè le necessità dei tempi hanno portato a limitarel'ufficiatura corale solenne e a sostituirla con quella privata, la pietà in genere, è doveroso riconoscerlo, ha molto· perduto di quel carattere universale che fa invocare Dio,) 2) Canone della Messa.
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Padre nostro, Padre di tutti, e si è andata più o meno trasformando in pietà individualistica, con grave detrimento della carità e della stessa giustizia sociale. Gli Ordini religiosi debbono considerare loro specifica missione quella di mantenere viva una tradizione che ricollega ai primi tempi della Chiesa, come espressione non soltanto ideale, ·ma reale di una comunità orante, e reagire alle tendenze ·moderne che vorrebbero sempre più limitato il culto liturgico. Quali nobili sentimenti e fervide aspirazioni non ·è capace di suscitare il canto dolce di un salmo, l'invocazione ardente di un responsorio, una Messa solenne ove la precisione del canto vada di concerto colla esattezza ,delle cerimone ... e quali impeti di esultanza non è capace di dare all'anima il pensiero, la certezza anzi alimentata >dalla fede, della presenza di Cristo e della corte celeste 'nel mentre si salmeggia, si canta, si inginocchia, si inchina, si siede ... Queste brevi considerazioni abbiamo voluto premettere al commento del capitolo ottavo, le quali fanno anche intendere perchè la Regola, nonostante fosse stata dettata per eremiti, dopo aver imposto l'obbligo della unione individuale con Dio mediante l'esercizio abituale della sua ·presenza e la meditazione della sua legge, passa subito a imporre la recita dei salmi, cioè l'uflìciatura liturgica, con>'forme alla consuetudine della Chiesa, e, a chi non fosse stato in /:>!Yrado di farlo, la recita di un determinato numero di Pater noster.
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vuole il Lezana 3) argomentando dalla circostanza che Innocenzo IV e gli altri pontefici che confermarono la Regola lasciarono invariata 1'espressione del testo originario, è per la pratica questione di secondaria importanza, tanto più che la recita dellUflìcio deve sottostare a precise leggi positive. Merita invece rilievo la spiegazione che lo stesso B. Soreth aggiunge subito dopo: «Poichè si prescrive la recita delle Ore canoniche secondo la consuetudine approvata dalla Chiesa ne segue che non basta recitare la salmodia individualmente, ma bisogna recitarla insieme ... Pertanto chiunque senza motivo legittimo trascura di intervenire [alla recita in comune] trasgredisce un precetto »:) Perchè se anche la Regola non dice che le Ore si debbano recitare insieme, sia anzi logico supporre che gli eremiti, per il tenore di vita strettamente solitario, le recitassero singolarmente, nondimeno l'obbligo della oflìciatura comune subentrò automaticamente colla trasformazione dell'Ordine, tant'è vero che le più antiche Costituzioni oggi note, quelle del capitolo generale di Londra del 1281, stabiliscono: «I chierici convengano in chiesa per tutte le Ore, e, per quanto possono, recitino l'Ufficio divino con umiltà, devozione e uniformità, secondo l'uso del Sepolcro del Signore ».") Le attuali Costituzioni, in armonia col canone 110 del diritto canonico, ordinano: «In ogni convento dove sono almeno quattro religiosi obbligati al coro legittimamente non impediti, si deve ogni giorno recitare insieme l'Uflì-
Che le parole secondo la consuetudine approvata della Chiesa dicessero riferimento alla Chiesa di Gerusalemme, nei cui confini si trovava il Monte Carmelo, come intende :il B. Giovanni Soreth, ovvero alla Chiesa universaie come
Stllllma q/lileslio1l/tlll, V, 628. ') Spec. CarnI., I, 2694. . ") COII,'lilliliones cap. Londillensi,;, in Allai. Ord. Carm., 15 (1950), 211. ") LEZA'<A,
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CAP. VIIl
cio divino, e così pure celebrare la Messa corrispondente all'Ufficio del giorno, a norma delle rubriche ».6) Tanto la legge generale della Chiesa che la nostra Regola, interpretata dalle Costituzioni, ci obbligano dunque ad intervenire all'ufficio in coro. E poichè l'ufficiatura corale costituisce un obbligo grave per la comunità, chìunque mediante l'assenza ingiustificata fa sì che non si rag-giunga il numero previsto e si tralasci perciò anche la recita in comune di una sola Ora canonica, manca gravemente. Ma le Costituzioni, dopo aver richiamato l'obbligo formale della legge, raccomandano la recita dell'Ufficio in coro anche quando non vi sono quattro religiosi. Al di sopra della legge c'è l'amore all'Ordine e alla osservanza regolare, nonchè vi deve essere il desiderio della perfezione: e se tutti i religiosi si debbono occupare dei divini Uffici, noi carmelitani lo dobbiamo in modo particolare, essendo chiamati principalmente a ciò secondo il primitivo insegnamento profetico del Patriarca Elia. 7) Purtroppo l'esperienza insegna che quando si tralascia in coro la recita dell'Ufficio per mancanza del numero prescritto, è facile tralasciare anche la meditazione in comune, e in tal caso cosa rimane della vita regolare? Nessuna meraviglia che le mancanze seguano alle mancanze e la rilassatezza dilaghi. Non dimentichiamo mai che alla fioritura e alla prosperità della religione non si provvede e non si collabora con pii desideri, come è di coloro che vorrebbero vedere l'osservanza negli altri, nè con progetti e propositi vaghi, ma coll'amore e lo zelo della osservanza, anche se ciò costa sacrificio, a cominciare da ciò che
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è primario e fondamentale, cioè la recita dell'Ufficio divino in coro e la meditazione in comune. Perciò non conviene invocare privilegi, che non esistono, nè chiedere dispense se non per motivi veramente gravi, nè molto meno è lecito assentarsi di proprio arbitrio. Quale alto livello di vita spirituale e conseguentemente di pace e di concordia presenta la comunità religiosa ove tutto procede secondo lo spirito dell'Ordine, nella osservanza dei doveri ai quali obbliga la professione! Trovandoci a vivere in essa torna davvero conto ripetere: «Ecce quam bonum quam et jucundum habitare fratres in unum! »8) Quale disagio invece e quale desolazione là ove ogni occasione è considerata causa legittima di dispensa, dove a tutto si pensa e di tutto ci si preoccupa meno che di assolvere i più elementari doveri e servire Dio nella umiltà, nella semplicità e nella obbedienza! Nessuno si meravigli del sorgere e dell'acuirsi di sospetti, di diffidenze e altre cose del genere quando i religiosi si trovano insieme soltanto in refettorio, perchè si raccoglie ciò che si semina ... Ma perchè l'Ufficio divino in genere e quello corale in particolare possa raggiungere pienamente il suo fine, che è la lode e la gloria di Dio levata a lui in nome della Chiesa e insieme al suo capo, deve essere recitato digne, attente ac devote. Il B. Giovanni Soreth raccomanda: «Salmeggiate sempre insieme, salmeggiate al nostro Dio sa~ientem~nte! cio~ saporosamente e consapevolmente; perche come Il obo S1 gusta nella bocca così il salmo nel ~uore ». Poi richiamandosi a S. Bernardo prosegue: «GIOva poco cantare solo, 8) Salmo 132, 1.
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CAP. VIl!
colle labbra senza l'intenzione del cuore, perchè Dio, al quale nulla è nascosto di quanto si compie illecitamente, non cerca la soavità della voce ma la purità del cuore ... A chi salmeggia degnamente sono soliti unirsi gli Angeli santi, perciò quando vi accingete a pregare e a salmeggiare fate attenzione agli Angeli e state con riverenza e ordine ... Vi scongiuro, o dilettissimi, di intervenire sempre alle lodi divine con purezza e prontezza. Con prontezza affinchè stiate alla presenza di Dio con riverenza e desiderio, non con pigrizia, con sonnolenza, sbadigliando, dimezzando le parole, tralasciandole, pronunziandole con tono di voce sdolcinata, ma con affetto e tono giusto come conviene a chi ripete le parole dello Spirito Santo. Con purezza nel senso che non abbiate altri pensieri, non dico quelli vani e inutili, ma, in quell'ora e in quel luogo, nemmeno quelli che coloro che occupano un ufficio sono spesso costretti ad avere di necessità per provvedere ai bisogni comuni; consiglierei di allontanare anche quelli che forse poco prima, standovene in cella, traevate dalla lettura dei libri, perchè sebbene siano pensieri santi, vi intratterreste in eSSI con poco frutto mentre salmeggiate ».9) Le Costituzioni determinano con esattezza il comportamento esterno da tenere nella recita dell'Ufficio corale, ed è dovere di ciascuno osservare integralmente le singole norme. Esse dicono: 10) 1. «Quando si recita l'Ufficio divino, non si tenga un tono troppo alto, ma mediocre e grave, conforme al numero e alla qualità dei religiosi; a metà versetto si faccia una pausa conveniente; in fine,però, non si faccia nè pau:sa nè prolungamento di voce ». il) Spec. Carm. 1. 2694-2695.
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Artt. 140.141, 143, 144.
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2. «L'Ufficio divino non si reciti mai con voce troppo risonante, ma sempre con tono moderato e grave; nè una parte del coro incominci il versetto prima che l'altra abbia totalmente pronunciato il suo, affinchè le sillabe ini· ziali del versetto successivo non antecedano le finali deI versetto precedente ». 3. «Comandiamo pure che tutti, qualunque sia il grado, nello stare in piedi o seduti, nel genuflettere, nell'inchinarsi e nelle altre cerimonie riguardanti l'Ufficio divino, osservino con uniformità e la massima esattezza le rubriche del nostro Cerimoniale, a meno che circostanze speciali consiglino prudente mente il contrario ». 4. «Nessuno corregga i difetti commessi in coro se non il priore o il sottopriore, e nella loro assenza colui che presiede, cioè il sacerdote che ha la prima voce: questi debbono sorvegliare che in coro non si parli, ma tutti assistano al divino Ufficio in buon ordine ». Queste condizioni che riguardano la parte esteriore della ufficiatura presuppongono le condizioni interne della attenzione e della devozione alle quali sono principalmente ordinate. Un ottimo modello della recita attenta e devota dell'Ufficio l'abbiamo in S. Maria Maddalena dei Pazzi. Di lei sappiamo che non appena la campana ne dava il segnale, sentiva echeggiarsi nell'orecchio la stessa voce di Dio, e, mentre il volto le si illuminava di gioia, ometteva immediatamente qualsiasi altro lavoro. La medesima prontezza esigeva dalle novizie. Era ansiosa di assistere al coro, e se qualche volta ne era forzatamente impedita procurava di supplirvi chiedendo, per la recita privata, l'aiuto di una consorella, persuasa che così avrebbe partecipato anche ai meriti di essa. AI Gloria Patri inchinava il capo colla
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CAP. VIII
intenzione di offrire la propria vita alla SS. Trinità. Eseguiva con la massima esattezza le cerimonie e un giorno fece uscire dal coro una novizia perchè disattenta. Se l'Ufficio divino era recitato un po' in fretta ne soffriva immensamente e, incapace a trattenersi, era solita dire: «Non mi regge il cuore nel veder cantare le lodi di Dio come si eseguiscono le altre faccende del monastero ». Una volta si levò dal posto e avvicinatasi alla superiora, con umiltà pari allo zelo le disse: «Madre mia, si salmeggia con tanta fretta che si ha l'impressione di dover poi compiere cose di maggiore importanza ». I suoi richiami e il suo zelo fecero sì che nel monastero si arrivasse a una recita dell'Ufficio molto raccolta e devota. H )
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non abbia il carattere proprio dell'Ufficio divino e comporti soltanto obbligo di Regola, nondimeno ha grande importanza e grande merito perchè anche questa è preghiera pubblica, prescritta dalla Regola e ribadita dalle Costituzioni; per cui recitando la bene partecipano ai frutti dell'Ufficio divino, come partecipano di tutti gli altri beni che Dio si degna compiere nell'Ordine per il ministero dei sacerdoti.H )
Nessun dubbio che l'Ufficio, sopra tutto se recitato in coro con le debite disposizioni, attira un cumulo di grazie sulla Chiesa, sull'Ordine, sugli stessi parenti, amici e benefattori e sul mondo intiero. E' l'opera di Dio senza confronti, «opus Dei cui nihil praeferendum », secondo la nota frase di S. Benedetto; però è da tenere presente la grave sentenza dello Spirito Santo applicata a chi la compie con negligenza: «Maledetto l'uomo che eseguisce l'opera di Dio infedelmente ».12) I nostri fratelli e le sorelle non coriste del Second'Ordine debbono sapere che anche l'Ufficio dei Pater Noster, ai quali si aggiunge ora l'Ave Maria 13) (sostituibile secondo le nuove disposizioni coll'Ufficio piccolo della Beata Vergine o anche coll'Ufficio così detto dei laici), sebbene ") A.
BAUSA,
Vita ed estasi, I, Firenze, 1893, 210
S.
12) Ger., 48, lO. 13) L'Ave Maria fu aggiunta nelle Costituzioni del B. Soreth: cf. Con-
slittlliones ... [Venetiis, 1499J, pars I, rubr. 3, n. lO.
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H) Cf. art. 93.
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CAP. IX
Capitolo Nono
Nessun frate dica di aver qualche cosa di proprio, ma tutto vi sia comUl1e e si distribuisca a ciascuno per mano del priore, cioè del frate da lui desigl1ato a questo ufficio secondo le necessità, avendo riguardo alla età e ai bisogl1i dei singoli. Se poi vi fosse necessità, potrete avere asini o muli, e qualche animale o volatile per il nutrimento.
I EVOLUZIONE STORICA DELLA LEGGE DELLA POVERTA' Come abbiamo notato sopra, la legge della povertà ha subito nel tempo una notevole evoluzione. Alla origine era interdetto agli eremiti del Carmelo qualsiasi diritto di proprietà, sia privata che comune. In tal senso venne interpretato il testo originario della Regola che diceva; «Nessun frate dica di avere qualche cosa di proprio, ma tutto vi sia comune, e di quelle cose che il Signore vi avrà concesse, si distribuisca a ciascuno per mano del priore, cioè dell' uomo da lui designato a questo ufficio, secondo le necessità, avendo riguardo alla età e ai bisogni dei singoli, in maniera, come abbiamo già detto, che ciascuno rimanga nella stia celletta, e viva separatamente di quello che gli verrà dato». L'interdizione della proprietà privata, inerente allo stato religioso, è esplicita: «Nessun frate dica di aver alcun-
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chè di propno », ecc. L'interdizione della proprietà in comune si deduce dalle parole: «Di quelle cose che il Signore vi avrà concesse si distribuisca ad ognuno per mano, del priore », ecc. Secondo il concetto della Regola, gli eremiti dovevano' vivere separatamente, nelle proprie celle, a meditare nella legge di Dio, senza preoccuparsi delle necessità inerenti alla vita quotidiana, affidate e rimesse in pieno nelle mani della Provvidenza. In tal modo la loro vita era un peren- ' ne atto di fede nella divina promessa: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù ».1) A chi ben rifletta, è difficile concepire una legge che· interpreti in maniera più perfetta la lettera e lo spirito del Vangelo. Alla sua attuazione pratica contribuivano allora, certamente, condizioni favorevoli, quali le minime esigenze materiali degli eremiti, animati da un grande spirito" di penitenza e di mortificazione e sorretti da un ideale· altissimo, e il fatto stesso di essere raccolti in un'unica comunità. Le difficoltà incominciarono e si acuirono subito, dopo la emigrazione in Europa (1238) e la conseguente espansione dell'Ordine. Secondo la relazione del P. Filippo Ribot (t 1370), i· religiosi, posti di fronte alle nuove circostanze, non si trovarono concordi nella interpretazione di questo punto,. perchè alcuni intendevano le parole: tutto vi sia comune nel senso che fosse concesso possedere beni immobili (lo~ calità, case, ecc.), altri invece, appellandosi «all'origine di' questa religione, all'esempio dei fondatori e degli antichi Padri che vissero sul Monte Carmelo e negli altri eremi' senza possedimenti e beni terreni, sostenevano che non. ') Mat., 6, 33.
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era lecito ai frati avere località, rendite, case e possedimenti, e nemmeno greggi di capre e di pecore o altri animali .adatti all'aratura». Permanendo dunque la diversità dei pareri, si pensò di ricorrere al papa Gregorio IX, il quale ponderate le ragioni delle due parti, decise in senso favorevole ai secondi. La bolla relativa è del seguente tenore: « ...La prudenza richiesta dal nostro ufficio ci obbliga a usare una sollecita -cautela, affinchè coloro che salirono il monte per pregare -col Signore e lavarono i propri piedi, non abbiano a infan:garli nuovamente scenden~o dal I?o~,te .della ~ontemp:a zione, e riprendendo i bem terrem gla ngettatl, come 111dumenti del corpo, non abbiano di che esser tenuti quando combattono colle avverse forze spirituali. Per questo motivo, avendo voi salito, coi piedi lavati, la specola del Signore per dedicarvi alla contemplazion.e d:l.l~ cos~ c~ -lesti e avendo affrontata la lotta contro gh spmt1 mahgm, dop~. aver abdicato a tutte le. cose terrene, noi, ~esiderosi del vostro profitto, volendovl sottrarre la matena capace di inquinare nuovamente i vostri Riedi ~ ~arvi cadere, coll'autorità delle presenti [lettere], V1 prOlblamo severamente di ricevere, in qualsiasi mod?, in propriet~, le l~~lità del vostro eremo, o possedimentI, o case o altn redd1ti, ~d -eccezione di asini maschi e di qualche animale o volatIle _per il nutrimento ») . .,. . La bolla può COS1 consIderarsI un mterpretazlOne auten-tica della Regola nel punto in esame. Nel 1247, dietro la spinta delle n~cessit~ e il~ vista della 'situazione che andava maturando, SI torno suU argomento ,;e allora questa linea rigorosa di condotta venne opportu2) Bull. Carm., I, 4 s.
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namente attenuata e resa, in certo senso, conforme al nuovo indirizzo impresso alla Regola . Come abbiamo già detto nella introduzione, Innocenzo IV, coll'aggiunta del capitolo secondo, concesse di p0ter ricevere in dono località adatte alla osservanza della Regola, e dal presente capitolo tolse le parole: di quelle cose che il Signore vi avrà concesse, e le ultime: in maniera, come abbiamo detto, che ciascuno rimanga nella sua celletta, e viva separatamente di quello che gli verrà dato; sostituiinoltre la parola uomo colla parola frate e introdusse nel testo la concessione di Gregorio nono riguardante gli asini, coll'aggiunta dei muli, e gli altri animali o volatili per nutrimento. Praticamente colla mitigazione di Innocenza IV, la facoltà giuridica di possedere per l'Ordine comprendeva: 1. n necessario al culto divino e alla sepoltura dei frati (chiese, oratori, campanili, cimiteri). 2. Il necessario per l'abitazione (luoghi per gli eremi, monasteri, orti, piccole vigne). 3. Il necessario per vivere, cioè per il vitto, il vestiario e anche gli studi. 4. Alcuni animali necessari per l'alimentazione, i rifornimenti e il viaggiare. 3) L'evoluzione successiva, legittimata dall'uso comune, portò gradualmente ad eliminare gualsiasi limitazione di proprietà in comune, e tale comportamento ebbe la sua -convalida ufficiale nel concilio di Trento. 4) Le attuali Costituzioni riconoscono sia all'Ordine, sia alle provincie o commissariati, sia anche ai singoli conventi il diritto di acquistare e di possedere beni temporali, ") Cf. S. ZUCK, O. CARM., De facultate possidel1di in commulli in Or· .dine Carmelitano saec. XIll, in Anal. Ord. Carm., H; (1938-40), 12-23,
155-164. 4) Sesso 25, c. 3: S. :1924, 1080.
EHSES,
Concilil/1Il Tridelllil1Z1/11 , IX, Friburgi Br.,
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con redditi fissi, cioè fondati.") Le medesime, poi, in conformità alle disposizioni di diritto canonico, distinguono tra gli effetti della professione s~mpli~e e d~lla profe~s~one solenne, specificando che la pnma 111terdlce al rehglOso l'uso dei beni, pur lasciandogli la proprietà, mentre la seconda toglie la proprietà e l'uso.H) E' opportuno notare che la Chiesa in tan~o ha perm~s so agli Ordini religiosi di poter pos~e?ere .111 com~~e 1~ quanto questo non si oppone allo spmto d1 poverta mdlviduale che costituisce l'essenza sia del voto che delia virtù ..
O') Art. ]28.
r,) lItt!. 5·3, Cl, (5.
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II LA POVERTA' RELIGIOSA E LA VITA COMUNE Quando sia necessario lo spirito di povertà alla vita e alla conservazione dello stato religioso, oltrechè dalle chiarissime parole di nostro Signore: «Se uno non avrà rinunciato a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo »,') è dimostrato ampiamente, e con somma efficacia, dalla storia. Essa insegna che la decadenza degli Ordini ha avuto sempre come causa unica o primaria il rilassamento del voto di povertà. Il fatto, a chi ben rifletta, non desta meraviglia perchè, come dice il ven. P. Michele di S. Agostino, si tratta delle prime lettere dell'alfabeto spirituale e dei principi fondamentali della vita religiosa, per cui ogni errore che si commette in essi, sopratutto se si tratta di errori abituali e comuni, espone ai più gravi rischi e porta seco le peggiori conseguenze. Ciò che è la fede tra le virtù teologali, insegna il medesimo autore, è la povertà tra i voti, perchè come la fede è il sostegno della speranza e della carità, così la povertà è il sostegno della obbedienza e della castità; se essa vien meno tutto l'edificio è destinato a crollare.2) Questo spiega perchè l'insegnamento e più anche l'esempio di nostro Signore è tanto esplicito, categorico, insistente: «Essendo ricco, diventò povero per noi». 3) « Beati i poveri di spirito perchè di essi è il regno dei cieli ».4) ') Luc., 14, 26. 2) lntrodllctio, 82-83. ") Cf. 2 Cor.. 8. 9. ') Mat., 5, 3.
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Il linguaggio della nostra Regola, anche nel testo attuale, riflette molto bene la dottrina evangelica, tanto più se viene considerato e interpretato alla luce dello spirito che lo informa, nel quale, come è stato detto, non si è verificata mai nè mitigazione nè cambiamento. Se l'evangelo ammonisce che non si può essere discepoli del Signore se prima non si rinuncia a quanto si possiede, la Regola, presupponendo la rinunzia già fatta, prescrive: «Nessun frate dica di avere alcunchè di proprio, ma tutto vi sia comune ». Tra i due non si dà altra alternativa: o spirito di proprietà, o spirito di povertà; il primo richiama l'individualismo, che potrà essere più o meno spinto, più o meno totale, il secondo richiama la vita in comune, salvo il caso di una vita del tutto solitaria. La povertà religiosa è il sostegno della vita comune, alla stessa maniera che la vita comune, quando sia praticata integralmente, è la migliore salvaguardia della povertà religiosa: tanto l'una che l'altra si oppongono all'egoismo e all'amor proprio che costituiscono l'insidia più grande e l'ostacolo più forte della perfezione cristiana. In particolare la legge della vita comune, inerente allo stato religioso, ci impone di vivere come membri di un unico corpo; quindi di indossare un medesimo abito, di sederci alla stessa mensa, di concederci un tempo uguale di riposo, di lavorare per un identico fine anche se il lavoro è diverso, di cantare le medesime lodi del Signore, di partecipare alle medesime ansie e alle medesime gioie. Per cui tutto ciò che l'apostolo S. Paolo dice della comunità dei fedeli, che forma il mistico corpo di Cristo, vale, in maniera più propria e più diretta, di un Ordine o di una comunità religiosa. E come è necessario lo spirito dj unione nella Chiesa, tanto che Gesù pregò insistentemen-
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I9l"
te per questo scopo,") cosÌ è necessario negli istituti religiosi perchè, oltre tutto, l'unione è forza, la divisione è debolezza. A questo spirito di unione mirano le nostre Costituzioni quando stabiliscono: «Poichè è conveniente che i religiosi del medesimo genere di vita, dimorando insieme nella casa di Dio, abbiamo un solo pensiero e un solo, sentimento, bisogna evitare, con grande cura, che in ciò che si deve fare, vi sia tra noi disparità di pareri, causa di discordia», e suggeriscono i mezzi adatti a raggiungere·· quest'unico pensiero e sentimento proseguendo: «Si provvederà largamente alla fusione degli animi se, tolta di mezzo ogni singolarità, tutti saranno partecipi di lavori, uffici, esercizi, secondo le disposizioni dei superiori ».6) Questi hanno il dovere di far partecipare tutti i religiosi agli uffici e agli esercizi della comunità, tenendo conto .. delle capacità e delle possibilità di ciascuno, mentre i sudditi hanno il dovere di rendere, senza limitazione e senza calcoli umani, quanto possono. E poichè in religione non vi deve essere chi abbonda e chi manca del necessario, le medesime Costituzioni prescrivono: «La vita comune sia osservata da tutti anche i~ quanto si riferisce al vitto, al vestiario e alla suppellettlle ».7) Essendo, inoltre, la lode di Dio il fine principale di qualsiasi religione e della nostra in modo particolare, è conseguente che anche in questo deve osservarsi la stessa legge, anteponendo gli esercizi della comunità, anche quando sembrassero pesanti, o meno corrispondenti alla propria indole e inclinazione, a qualsiasi esercizio privato. «Nessun religioso, qualunque sia la dignità e l'ufficio, qualunque il privilegio o la consuetudine, a meno che non, ") Giov., 17, Il.
6) Art. 101.
7) Art. 103.
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. si dica espressamente, si dispensi o si creda dispensato dal coro e dagli altri atti comuni, se non per motivo di infermità o altra causa approvata dal superiore ».') Chiunque entrando in religione si abituerà, dall'inizio, alla vita comune e la vivrà integralmente, troverà spia.. nata la via alla osservanza della povertà religiosa, secondo lo spirito e la lettera della Regola i cui principi possono ridursi a due : 1. Il religioso non può posseder nulla come proprio; 2. l'uso delle cose necessarie è subordinato alla volontà dei superiori. Partendo da tali principi, le Costituzioni scendono a minuti dettagli: «Nessun religioso abbia l'ardire di possedere come proprio ciò che gli venne dato in uso ».9) In tal uni istituti è in vigore la consuetudine di usare, nel comune linguaggio, il plurale possessivo nostro in luogo del singolare mio, ma poichè non è l'uso della terminologia che determina la sostanza delle cose, riteniamo non sia il caso di insistere su un tale dettaglio del tutto formale, e di guardare piuttosto alla sostanza della legge la quale esclude qualsiasi pretesa di possesso. Ciò importa quella disposizione d'animo per cui si può esser privati, senza rammarico, di qualsiasi oggetto avuto in uso dalla religione, quando i superiori lo giudicassero opportuno. Inoltre: «Senza il permesso del superiore non è permesso ricevere, dare, oppure cambiare con altro religioso . i:ose di qualche valore» ;10) il denaro che si riceve «qualunque sia il modo, immediatamente deve essere consegnato al superiore o all'economo, perchè lo depositino nella cassa comune»; 11) mentre tutto quello che proviene da eredità, dopo la professione solenne, va alla provincia.l ' ) 8) Art. 104. 12)
n) Art. 130.
10) I vi.
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Ugualmente, senza il permesso del superiore competente non è consentito far doni di cose che appartengono al con~ vento, alla provincia o all'Ordine, nè riceverne dai secolari senza. il permesso almeno presunto. Quello, poi, che si d; nasse legittimamente deve essere di poco valore, e ciò che si ricevesse e si permettesse in uso deve essere non ricercato, m~ semplice e, ugualmente, di poco valore.13) Gli oggetti o lÌ denaro avuti dal superiore o dall'economo non possono impiegarsi in usi diversi da quelli stabiliti, anche se leciti e onesti, a meno che, in certe circostanze, non si possa usare del permesso presunto. In ogni caso poi il denaro non si deve spendere per cose inutili e vane e quello che resta va riconsegnato intieramente, non essendo lecito . u ntenerne nemmeno una parte. ) E come le cose concesse in uso non debbono essere ricercate, ma semplici e di poco valore, compresa la suppellettile della cella, così è proibito avere cose superflue, sopratutto quelle che sanno più di spirito mondano che reli gioso. 1 ") Queste sono le conseguenze pratiche che le Costituzioni traggono dai principi primi della povertà religiosa; ma esse non ritengono di aver esaurito il loro compito quando hanno determinato i doveri e le responsabilità dei religiosi, si preoccupano anche di provvedere, con saggezza, ai loro bisogni, prendendo motivo dalla Regola stessa che dice: «Si distribuisca a ciascuno per mano del priore, cioè del frate da lui designato a questo ufficio, avendo riguardò alla età e ai bisogni dei singoli ». . . L.a comunità, infatti, nelle persone del priore e dell'eco-
") Art. 132.
") Art. 131.
Art. 65. l~.
14) Cf. art. 133.
l0) Art. 135.
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nomo, è la depositaria dei beni materiali, e su di essa incombe il compito di non far mancare il necessario ai religiosi, perciò le Costituzioni stabiliscono: «Nei nostri conventi vi siano comuni depositi, dai quali, secondo le disposizioni dei superiori, venga distribuito ad ogni reli~ gioso quanto gli è necessario, con carità e prontezza, in maniera però che vi sia riportato al più presto tutto ciò che non serve ».16) La distribuzione, come precisa la Regola, e le Costituzioni ribadiscono, deve essere fatta con criterio giusto, tanto più che il priore e l'economo non sono i padroni, ma soltanto gli amministratori delle cose del convento, obbligati non meno degli altri al voto di povertà, e, in più, responsabili dell'andamento della casa. Sarebbe inopportuno e contrario alla Regola voler richiamare indiscriminatamente la legge della uguaglianza, che applicata alla cieca potrebbe diventare ingiusta. Questa osservazione ha carattere generale e vale tanto per l'assegnazione delle celle, quanto per la suppellettile, il vestiario, i libri, il cibo, i viaggi, le cure, ecc. e riguarda j superiori quanto all'obbligo di valutare e provvedere alle necessità, e i sudditi quanto al dovere di limitare le richieste a ciò che è veramente necessario e nel sapersi contentare. « Gli inferiori - scrive il ven. Giovanni di S. Sansone - obbligati sempre alla pratica della povertà, nulla debbono desiderare nè chiedere che non sia di stretto bisogno, e se si tratta di cose che offrono un certo benessere non si deve andare oltre a ciò che è consentito dana vita veramente religiosa, povera e, in giusta misura, rigida, secondo il vero concetto della religione, sopratutto deUa no'G) Art. 129.
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stra, il cui spirito è così ordinato, e la carità tanto grande da offrire all'anima e al corpo sufficiente benessere nella supposizione che se ne usi con la dovuta possibile mortificazione. I superiori, a loro volta, debbono piuttosto temere di essere troppo restii nel concedere ciò che loro si domanda che non troppo generosi, sebbene la prudenza debba suggerire il vero e giusto mezzo ».") E poichè la religione è una famiglia composta di più persone, ciascuna delle quali può avere necessità diverse, la precedenza non spetta a chi produce, o produce di più, ma a chi si trova in maggior bisogno, quale è il caso degli ammalati, degli anziani, e di coloro che per motivi particolari (di studio, di ufficio, ecc.) hanno speciali esigenze. La :Regola esclude apertamente dai benefici e vantaggi materiali della religione soltanto coloro che potendo lavorare stanno in ozio, richiamando la sentenza di S. Paolo «chi non vuoi lavorare non deve mangiare ».18) Perciò il religioso non ha motivo di lamentarsi e di pretendere quando un confratello, per ragioni note e approvate dal superiore, riceve, in una cosa o nell'altra, un trattamento differenziato, e nemmeno quando gli si negasse quello che, a giudizio dei superiori, non gli è strettamente necessario o la religione non è in bondo di dare . , perchè la povertà professata esige che si viva da poveri, ai quali, come l'esperienza insegna, tante volte manca il puro necessario.
17) Oeuvres, 852. 18) Regola, cap. 15.
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III LO SPIRITO DI POVERTA' Lo spirito di povertà importa, sopra tutto, due cose: che si tenga il cuore distaccato dai beni materiali, di qualunque genere possano essere, e se ne sperimentino volentieri gli effetti. Le Costituzioni iniziano col richiamare l'attenzione dei reliaiosi a questo ideale pieno e completo che avvicina vera;ente a nostro Signor Gesù Cristo e fa rivivere gli esempi degli antichi Padri del Carmelo.: «Poic.h~ la santa. po; vertà è il fondamento della perfeZiOne religiOsa, e pOlche la nostra Regola, dopo aver interdetta ai religiosi ogni proprietà, prescrive che tutto deve essere comune e distribuito a ciascuno secondo il bisogno, avuto riguardo aìla età e alle necessità dei singoli, perciò esortiamo e scongiuriamo tutti nel Signore che l'amino, la conservino nella sua purezza, e, con quella discrezione che è moderatrice di tutte le virtù, ne sperimentino gli effetti, sull'esempio del nostro Redentore che essendo ricco si è fatto povero per nOI. ».1) Questo articolo va considerato attentamente perchè contiene tutte le indicazioni per l'acquisto e la pratica dello spirito di povertà. Innanzi tutto vi si enuncia il principio notissimo che la povertà è il fondamento della perfezione religiosa. Come nessuno può servire a due padroni, così nessuno si può avl) Art. 127.
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vicinare contemporaneamente a due poli opposti: o il peccato o la grazia; o la creatura o il Creatore. Chiunque lavora per formare in sè l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella verità, cioè per stabilire nella propria anima il regno di Dio, deve necessariamente compiere un taglio da tutte le cose che lo ritardano o lo impediscono; cioè dalle cose terrene, che sono i beni materiali, e anche morali e spirituali, siano fuori siano dentro di noi; e quanto più sarà netto questo taglio tanto più il regno di Dio si stabilirà in maniera solida e integrale. Finchè - ammonisce l'Imitazione di Cristo - non si riuscirà a liberarsi da tutte le creature non si potrà attendere liberamente alle cose divine. E per questo sono pochi i contemplativi perchè pochi sanno esimersi totalmente dal fascino delle creature e dalle cose transitorie. 2) Di qui la sentenza breve e sostanziosa: «Lascia tutto e troverai tutto, lascia la cupidigia e troverai il riposo ».3) 1. Scogli contro la povertà
La verità di queste affermazioni appare meglio se analizziamo i motivi che eccitano nell'uomo il desiderio di possedere. Si tratta, in ogni caso, di passioni pericolose che solo la povertà evangelica è in grado di frenare e di spegnere. La stima di cui i ricchi sono circondati nel mondo. Quando passa un ricco molti gli fanno largo o per timore, o per interesse o semplicemente per servilismo. Questa lusinga è un incentivo alla superbia e alla vanagloria. «Gli onori - dice S. Teresa - van sempre d'accordo colle ricchezze: chi desidera gli onori non aborrisce le ricchezze, mentre chi aborrisce le ricchezze poco si cura degli onori, 2) Cf. ImitaZIone, III, 3], 1.
Il) Ivi, 32, 1.
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A vvertasi bene questa cosa - ella raccomanda - perchè la bramosia degli onori porta sempre con sè qualche attacco a rendite e denari. Sarebbe, infatti, assai strano trovare un povero onorato dal mondo ».4) Allorchè si afferma che il denaro apre tutte le porte, e fa acquistare amici e servitori, non si fa che riconoscere una realtà di fatto. Diversa, invece è la condizione del povero, al quale tante volte non si rende nemmeno giustizia. La descrizione dell'Apostolo S. Giacomo del diverso trattamento riservato al ricco e al povero dai vari ambienti che avvicinano, compresi purtroppo anche quelli religiosi, è tutt'altro che immaginaria. «Se - egli scrive - entra in una vostra adunanza un uomo con l'anello d'oro e in veste splendida, ed entra anche un povero ricoperto di cenci; se la vostra attenzione fosse rivolta a colui che è vestito sfarzosamente e gli diceste: siedi qui al posto d'onore! mentre al povero dite: tu sta ritto costì: oppure: siedi sotto lo sgabello dei miei piedi, non verreste a far distinzione fra di voi e non diverreste giudici di pensieri malvagi? » 5) Molto spesso si aspira a diventar ricchi proprio per non Doversi contentare dell'ultimo posto, Don vedersi trascurato e dimenticato, non esser trattato con disprezzo. CosÌ all'avarizia e alla cupidigia si accoppia la vanagloria, l'ambizione, la superbia; passioni e vizi radicati nella fragile natura umana e immensamente insidiosi per tutti. Contro questi mali spirituali il Signore ci ha indicata la medicina sicura e infallibile nella povertà vissuta secondo il suo esempio, la quale unita alla umiltà tiene libero il cuore dall'attaccamento ai beni terreni e preserva l'animo da ogni vana ambizione. 4) Cammino, 2, 6.
") Giac., 2, 2-4.
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Peraltro «la vera povertà, - scrive S. Teresa - quella che viene abbracciata per amor di Dio, porta seco una onorabilità così grande che si impone a tutti, perchè non si cura d'altro che di piacere a Dio ».6) Il desiderio di eludere il peso del lavoro. Il ricco, generalmente, ama la vita comoda e vive nell'ozio; non pensa nemmeno alla parte dura della vita, quasi non esistesse anche per lui la sentenza divina: «Ti guadagnerai il pane col sudore della tua fronte ».7) La natura umana si rivela, talvolta, tanto ricalcitrante al lavoro che si trovano persino dei poveri i quali, pur di non lavorare, si assoggettano a gravi umiliazioni e privazioni. La povertà religiosa, invece, richiama il dovere del lavoro e della fuga dall'ozio: in quello fa vedere uno stru~ mento di elevazione spirituale e un mezzo comune e ne·· cessario di vita, che dobbiamo amare; in questo un pericolo spirituale che dobbiamo evitare. Quando poi è vissuta nella purezza del suo spirito, la povertà preserva anche efficacemente dalle tentazioni proprie dello stato religioso. Perchè il potersi trovare tutti assisi alla medesima mensa, provvisti del vestiario e di quanto necessita ai bisogni della vita, tanto se abbiamo lavorato quanto se abbiamo perduto tempo chiacchierando, dormendo, passeggiando ecc. potrebbe indurre a pensare: perchè lavorare e affaticarsi? Così pure, mancando spesso l'esperienza dura della vita, non tenendo in giusto conto le difficoltà alle quali vanno incontro i secolari per provvedersi del necessario, non sapendo cosa voglia dire la miseria di tante famiglie povere, potrebbe far sì che non si sappiano, ad un certo punto, contenere i propri desideri nei giusti limiti. I;) Calli mino, 2, 6.
7) Gen., 3, 19.
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La vera povertà, col porci dinanzi gli esempi e gli insegnamenti di nostro Signore, della sua SS. Madre, dei nostri Santi, e col ricordarci che la forma di vita da noi scelta liberamente richiede sacrificio, rinunzia, mortificazione, lavoro, tiene lontane questa e molte altre insidie. L'amore alla indipendenza. Nell'uomo affiora sempre questa tendenza e se non è frenata spinge talvolta persino a ledere le leggi della giustizia; così è spontanea la ricerca del lavoro meno gravoso, ma redditizio colla intenzione di ritrarne i maggiori vantaggi. Lo spirito di povertà tiene lontano anche questo pericolo perchè al lavoro vantaggioso fa preferire quello imposto dalla obbedienza, e, in caso di libera scelta, quello più umile, più nascosto, più pesante, come faceva S. Maria Maddalena dei Pazzi. La passione dei divertimenti e dei piaceri della vita. La vera povertà mette al sicuro da questa pericolosa tentazione in quanto esige che tutte le cose del mondo, a cominciare dal proprio io, siano generosamente sacrificate per il bene vero, eterno, immutabile che è Dio: così al divertimento oppone la solitudine, ai piaceri la mortificazione e la croce.
2. Pratica della povertà Il distacco totale dalle cose terrene non deve in alcun modo far temere che possa màncare il necessario, perchè l'çsperienza insegna che l'abbandono fiducioso nella Divina Provvidenza non solo viene premiato colla pace intima del cuore, ma anche colla stessa abbondanza di beni temporali, necessari a vivere. «Non pensate, sorelle mie - scrive S. Teresa di Gesù - che per non curarvi di piacere al mondo [osservando la povertà] dobbiate mancare
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del necessario: ve lo assicuro io. Guai a voi, invece, se cercaste di procurarvelo con artifizi umani! Morreste di fa-me, e a ragione. Tenete gli occhi sul vostro Sposo: è lui che vi deve mantenere; e se egli è contento di voi, vi da-· ranno da mangiare, loro malgrado, fin le persone che vi .sono meno affezionate, come l'esperienza vi ha già fatto> vedere ».8) Del ven. Filippo Thibault, padre della Riforma Turonense, si narra che non voleva mai accettare fondazioni provviste di rendite, per non mancare di fiducia nel Signore e rimaner fedele allo spirito della Regola, e una volta che derogò alla norma, dietro insistenza dei confra-telli, dovè sperimentare la mancanza del necessario. Da tutto ciò risulta chiaro come alla povertà evange-li ca competa, con ogni diritto, l'appellativo di fondamento della perfezione religiosa. Le Costituzioni, enunciata la tesi, traggono subito le debite conclusioni esortandoci e scongiurandoci ad amarla, a conservarla nella sua purezza, e, con quella discre: . zione che è moderatrice di tutte le virtù, a sperimentarne gli effetti, sull'esempio del nostro Redentore, che essendo ricco si è fatto povero per noi. Amare la povertà. Il ven. P. Michele di S. Agostino,. per infervorarci a questo amore, che non è certo conforme alle tendenze della natura, richiama i singoli esempi di nostro Signore. Egli nacque da una madre povera, fu posto in una mangiatoia e riscaldato dall'alito degli animali, durante l'esilio in Egitto visse parte di elemosina e parte del lavoro di S. Giuseppe; durante la vita fu tanto povero da non avere dove posare il capo, morl nudo sullac. H) Cammino, 2, 1.
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·croce e fu deposto in un sepolcro non suo. L'esempio di Cristo - conclude l'autore - dovrebbe essere sufficiente .a far concepire un grande amore e una grande stima della povertà, ma egli vi aggiunge anche quello della Vergine SS. e dei Santi, scegliendo tra questi l'esempio di S. Maria Maddalena dei Pazzi, che chiama questa virtù sposa di . Cristo e nutrice delle spose di Cristo.n) Conservarla nella sua purezza. « Vuoi sapere - si chiede lo stesso autore - in qual modo la povertà si debba conservare nella sua purezza? Allontanando dal cuore .ogni minimo affetto di proprietà, anche alle cose necessarie ». E ritorna sull'esempio di S. Maria Maddalena dei Pazzi, la quale, di tanto in tanto, frugava nella sua cella e portava via tutto quello che non le era strettamente indispensabile. Inoltre dava il consiglio di fare ogni mese un particolare esame di coscienza per conoscere se si era . annidato nel cuore qualche attaccamento o si riteneva al. cunchè di superfluo.10) S. Giovanni della Croce mette persino in guardia da quello spirito di proprietà che può far capolino per gli ogggetti di devozione (immagini, corone, reliquie, ecc.) « In tutto questo - egli dice - io riprendo l'attaccamento del cuore e l'affetto di proprietà... perchè ciò si oppone grandemente alla povertà di spirito, la quale mira alla sostanza della devozione »,") e questa deve scaturire dal cuore e attendere solo alla verità e alla sostanza di ciò che le cose spirituali rappresentano, mentre il resto è solo imperfetto attaccamento che si deve sradicare per avviarsi a . qualche gradino di perfezione. 9)
lntroductio, 86.
'0) Ivi, 103 o.
11) Notle OSClira del scn,'o, 3. 1.
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~perim.entarne, vo~e1Jtie:i gli effetti. Non basta far professIOne d1 poverta, due d1 amarla e di non avere il cuore attaccato a cosa alcuna, bisogna anche praticarla, e all'occorrenza sperimentarne gli effetti. Purtroppo non è raro il caso di religiosi dalle mille esigenze, che sembrano aver fatto il voto colla riserva che nulla mai abbia a mancare per CUI" spesso SI mostrano scontenti,. mormorano del cibo' e hanno tante pretese per cose superflue o non strettamente necessarie; nelle malattie poi non basta l'esercizio della più grande carità per farli contenti.
,. Quanto agli effetti spirituali della povertà, si compen(l1ano perfettamente nelle parole del Signore: «Beati i poveri in spirito perchè di essi è il regno dei cieli» ;12) « Chiunque avrà abbandonato la casa, i fratelli o le sorelle, o il padre, o la madre, o la moglie, o i figli o i campi per amore del mio nome, ne riceverà il centuplo e possederà la vita eterna ».':') La ricompensa non attende per venire il mondo della gloria, ma arriva già in questa vita . « I poveri di spirito - dice il ven. P. Michele - possiedono, con diritto pieno, il regno di Dio già in questa vita, perchè in essi vi è la giustizia, cioè a dire il complesso di tutte le virtù, e la pace ineffabile dell'anima dalla quale ha origine un gaudio sommo e il diletto del cuore nello Spirito Santo, per cui sono veramente beati, appartenendo ad essi il regno dei cieli» .14) S. Giovanni della Croce riepiloga così i vantaggi della vera povertà: «libertà d'animo, chiarezza di intelletto, calma, tranquillità, pacifica confidenza in Dio, culto vero e ossequio della volontà verso di lui» /5) ") Mat., 5. 3. 13) Mat., 19, 29. ''') Salita, III. 19, 2.
14) 1l2troductio, 111.
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cost zelante nel far rivivere lo spirito di orazione e di conIV LO SPIRITO DI POVERTA' E LA PRATICA DELLA ORAZIONE Ciò che abbiamo detto sin'ora della povertà, sebbene rispecchi quanto si contiene nella RegoI; e Costituzioni, è, più o meno, comune a tutti gli Ordini religiosi. Rimane ora da considerare questa virtù più specificatamente in ordine alla vita interiore cioè in rapporto alla vocazione carmelitana. Come l'uccello non può volare nnchè ha le ali impedite, nè l'uomo camminare coi ceppi ai piedi, cosÌ l'anima non può unirsi intimamente a Dio fÌnchè non si distacca da ciò che è creato. Lavoro arduo e cammino hmgo: per questo, come abbiamo sentito dalla Imitazione di Cristo, sono pochi i contemplativi. Nella Regola dei primi monaci si legge: «Tu dunque, figliuolo mio, se vuoi essere perfetto e conseguire il .hne della vita monastica eremitica, e lì bere dal torrente [della contemplazione] allontanati per amor mio dalle cose caduche del mondo abbandonando col cuore e di fatto tutte le cose terrene; perchè questa è la via più facile e più sicura per tendere alla perfezione profetica», cioè «per gustare in qualche modo nel cuore e sperimentare nella mente, non solo dopo morte ma anche in questa vita, la virtù della divina presenza e la dolcezza della gloria superna ».') Per questa stessa ragione S. Teresa di Gesù, ') Spec. C'arm., I, 25, 23.
templazione proprio del Carmelo, insiste tanto sulla povertà. «E' la nostra insegna - ella scrive - stimata e osservata dai nostri antichi Padri, fin dai primordi dell'Ordine. Mi fu assicurato da chi ben conosce la storia, che essi non conservavano mai nulla un giorno per l'altro. E giacchè ora non si pratica più con tanta perfezione all'esterno, procuriamo almeno, per amor di Dio, di osservarIa perfettamente nel nostro interno ».") E insoro-e C011tro gli edifici sontuosi, che oggi non meno di ieri "sono in contrasto tanto stridente colla povertà evangelica. «Quanto alla sontuosità degli edifici - scrive - vi scongiuro di guardarvene per amor di Dio, e per il sangue deÌ suo Figliuolo. Se lo potessi dire in buona coscienza, tali edinei crollino il giorno stesso in cui li doveste costruire» ,') La povertà conforme allo spirito della S. Regola non solo proibisce, dunque, di possedere beni materiali e di essere in qualsiasi modo attaccati ad essi, ma esige anche uno spogliamento totale da tutto ciò che non è Dio, perchè, spiega il ven. P. Michele di S. Agostino, «qualsiasi creatura anche eccellente impedisce l'unione immediata dell'anima con Dio quando si ha con essa un affetto di proprietà».') Perchè si formi un clima favorevole all'amor puro, a queIIa intimità con Dio che non ammette limitazioni o divisioni di sorta, bisogna fare il vuoto intorno all'anima: rinunciare all'essere, alla intelligenza, alle affezioni, alle devozioni sensibili ecc., ma sopratutto alla propri:?_ volontà. Di S. Maria Maddalena dei Pazzi si legge che un giorno le apparve S. Angelo a darle una bellissima lezione
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di povertà. Il Santo Martire, avendo di fronte una nu?va sposa di Cristo, dice che tutte le sorelle debbono oifnrle dei doni: i più preziosi di essi saranno gli esempi della santa povertà. L'anello di questa nuova sposa deve essere il totale spogliamento da ogni cosa. L'anello è rotondo per indicare che non vi deve essere nulla a cui ella possa attac'carsi, ma che nuda abbia a seguire Cristo nudo. Quella che la riceve deve vigilare attentamente affinchè la novella: sposa non tratti altra cosa, non intenda altra voce, non si rallegri di altro che di questa povert.à ... Lì dev~ essere i~ vostro tesoro, il vostro nutrimento, Il vostro nposo. Val non dovete far passare un solo giorno senza trattenere le nuove spose sulla povertà, stimolarle ad amarla, provarle se l'amano veramente ... Questa povertà la dovete amare molto nei pasti, farla splendere nelle vesti, ~agnificar1a in o(mi caso. La dovete amar tanto che se le vlvande e le vestt'non hanno il profumo della povertà, voi dovete pianger molto affinchè le vivande perdano il .loro. sapore,. c, se così può dirsi, che gli abiti siano guastatI dal ruscelh delle vostre lacrime. Che la testimonianza della povertà non abbia a morire che con la sposa. Dio ama tanto la povertà che non può non donarsi, insi:me al suo regno, a chi l~ pratica. L'anima in possesso dl essa usurpa la corona del martiri. Ma tutto deve essere condotto all'anima da un canale d'oro, cioè da un canale pieno di carità, nella soavità dello spirito e nella dolcezza delle parole. Le anime che venaono nella casa di Maria debbono essere imbalsamate dab queste due virtù, per mantenersi nella innocenza posseduta all'atto di prender l'abito.5) La medes~ma Santa, dopo aver rinnovata privatamente la prof:;sslOne; con particolare riguardo alla povertà, quale ella gla pratiCava,
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tenne a dichiarare che non si trattava di cosa nuova, cioèdi professione di altra regola, ma della sua interpretata in senso perfetto, e aggiunse che così avrebbero dovuto, fare tutte le altre. 6) Lo stesso insegnamento, con una insistenza non co-. mune e una linearità incomparabile, lo troviamo in San Giovanni della Croce, definito, a buon diritto il «Dottore nel nulla ». Tra l'altro, egli raccomanda: Quanto ai beni: temporali, «per sfuggire davvero i danni che possono se-. guirne, e per temperare l'immoderato appetito, bisogna aborrire ogni maniera di possesso. Non devi dunque ave-. re alcuna sollecitudine di essi: non del cibo, non del ve-. stito, non di altra cosa creata, nè del giorno di domani; ma usa ogni diligenza nel cercare un'altra cosa ben più' alta, cioè il regno di Dio ».7) E ancora: «E' necessario considerare tutte le cose come finite, e quando, per necessità,. si dovessero trattare, si faccia con sommo distacco, come' non esistessero ».8) Si può dire che gran parte dell'insegnamento spiritua~. le del Dottore mistico tende a persuadere l'anima, incam-. minata verso l'unione perfetta con Dio, della necessità di uno spogliamento totale. A questo sono dirette la duplice' notte del senso e dello spirito, dopo che l'anima, mediante la purgazione attiva, ha già mortificato, in qualche modo, i suoi appetiti. «Massima è l'ignoranza di un'anima. che pensa di poter pervenire allo stato di unione con Dio senza prima esser vuota dell'appetito di tutte le cose naturali, ed anche soprannaturali che le possono essere di, tI)
") Cf.
BAUSA,
Vila ed estasi, II, 61-65.
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Ivi I, 81.
7) Cautele contro il mondo, II. R) Cf. Quattro aVi'ùi a tm 1'eligioso, 7.
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impedimento ... ; perchè è immensa la distanza che passa da queste cose e l'inestimabile dono che si riceve nello stato di unione, d-ono che consiste nella pura trasformazione in Dio. Quindi è che nostro Signor Gesù Cristo, per insegnarne il cammino, nel vangelo di S. Luca ci dice: Qui non renuntiat omnibus quae possidet non potest meus esse discipulus: colui che non rinunzia a tutto ciò che possiede colla volontà non può essere mio discepolo. E ciò 'è chiaro perchè la dottrina che il Figlio di Dio venne a 1nsegnarci fu il disprezzo di tutte le cose, per poter accogliere in noi il dono dello spirito di Dio: fintantochè l'anima non si distacca dai beni di quaggiù è assolutamente incapace di ricevere lo spirito di Dio in pura trasforma'zione ».g) Giova ulteriormente specificare che il distacco di cui parlano i nostri santi non riguarda soltanto i beni tem: porali (ricchezze, dignità, parenti ecc.), i beni naturah (bellezza, aentilezza, intelletto, volontà), i beni sensibili provenientt dal gusto proprio dei sensi, ma gli stessi beni morali, spirituali, soprannaturali, in maniera da arrivare a vivere in pura fede, in pura speranza, in pura carità. Il divin Maestro in due quadri della sua passione ci ha mostrato coll~ esempio la meta aìtissima di questo faticoso e luminoso cammino: nell'orto quando disse: «L'animl mia è triste fino alla morte» 10) e sulla croce, quando lanciò il grido pieno di mistero: «Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato? » 11) Sia la tristezza mortale dell'orto, sia l'abbandono del Padre sulla croce, riversano una luce infinita sia pure piena di mistero sulle parole: «Le 'volpi hanno le loro tane~ gli uccelli dell'aria i loro nidi, ~) Salitl<, I, 5, 2.
l") Mat., 26, 38.
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ma iI Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo ».12) Costituisce una autentica gloria del Carmelo che molti santi rllistici abbiano compreso e vissuto questo altissimo insegnamento, lasciandoci l'esempio da imitare, indica ndaci la strada per la quale ci dobbiamo mettere, non importa se' arriveremo o no alla meta, nè se andremo poco o molto avanti.
e
Prima di concludere aggmnglamo un'altra consideraZlORe.
, io
Come figli della B. Vergine, onorati persino del titolo suggestivo e certamente assai significativo di fratelli, siamo tenuti a ricopiare le sue virtù, e a esprimerle, per quanto possibile, nella vita quotidiana, sia per renderci degni delle sue preferenze, sia per partecipare attivamente con lei all'opera della redenzione che si attua nel tempo. Ora tra le tante virtù che splendono in lei di luce vividissima e incomparabile, vi è il più totale distacco da tutte le cose e il desiderio perenne di compiere senza fine la volontà di Dio. Questa sottomissione perfetta culminò nel sacrificio generoso del suo divin Figlio, offerto da lei sul Calvario. Per questo ella fu ai piedi della Croce, non spettatrice di un dramma, ma attiva cooperatrice di una mis· sione, offrendo e sacrificando quanto possedeva di più caro e di più sublime. Evidentemente l'esempio della madre, che tanto pm ci appare grande e meraviglioso quanto più lo meditiamo, ci impegna, per amor di Dio e di lei, per la espiazione dei nostri peccati e di quelli dei nostri fratelli, per la purificazione della nostra anima, a rinunciare, secondo la 12) l\fat., 8, 20.
11) 1ht., 27, 46. 14.
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misura e la grandezza della grazia divina) a tutte le cose terrene, alle persone care, al nostro intelletto, alla nostra volontà, al nostro cuore, alle stesse soddisfazioni che si trovano nelle pratiche di pietà. e nel servizio di Dio, e a ricevere umilmente e generosamente dal Signore le sofferenze fisiche, le prove morali e spirituali, che egli,. nella sua infinita bontà, si degnasse mandarci per il nostro be· ne, per il conseguimento pieno della nostra vocazione.
LA CHIESA E LA S. MESSA
Capitolo Decimo
L'oratorio, per quanto possibile, si costruisca nel mezzo delle cellette, e ivi, al mattino, ove si potrà fare comodamente, dovrete convenire per ascoltare la S. Messa. LA CHIESA E LA S. MESSA
Il capitolo decimo ha per oggetto l'ubicazione dell'oratorio e la celebrazione quotidiana della S. Messa conventuale. Ripensando alla forma del primitivo eremitaggio, esistente sul Carmelo al tempo in cui veniva scritta la Regola, è facile cogliere l'aspetto pratico della legge. Illegislatore, senza scendere a particolari, stabilisce che 1'oratorio sorga nel centro del monastero, affinchè gli eremiti possano convemrVl ogni giorno, senza grande difficoltà, ad ascoltare la S. Messa. Oggi, nonostante che la chiesa e il convento, almeno in via ordinaria, formino un unico complesso, l'aspetto tecnico e pratico della prescrizione, per quel che riguarda il facile e comodo accesso alla chiesa, mantiene integra la sua efficienza, tanto più che la comunità vi deve convenire non solo per assistere alla S. Messa, ma per compiervi tutti gli atti comuni di pietà. Sull'esempio degli antichi conventi, concepiti e attuati con tanta saggezza e criterio in ordine alla osservanza regolare, la prescrizione deve essere tenuta in alto conto, sopratutto quando si tratta di nuovi edifici, anche se destinati espressamente a cura di anime. Qualora circostanze speciali non lo consentissero. è doveroso provvedere con un oratorio interno.
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La parola oratorio offre al B. Giovanni Soreth motivo per tre considerazioni: 1. L'oratorio è il luogo consacrato alla preghiera. 2. Nonostante la sua destinazione esso, come richiede lo spirito di povertà, deve essere modesto, tenuto conto tuttavia delle esigenze dei luoghi, perchè quello che potrebbe essere grande in un villaggio sarebbe piccolo in una città. 3. Per evitare i rumori che potrebbero disturbare la preghiera è opportuno che esso sorga a una certa distanza dall'abitato dei secolari.1 ) Poichè le esigenze attuali non sono quelle del tempo di S. Alberto e nemmeno quelle del B. Soreth, essendo le nostre chiese non più riservate ai religiosi o destinate prevalentemente ad essi, ma per la quasi totalità aperte al pubblico, e molte con funzioni di chiesa parrocchiale, non è il caso di insistere nè sulla ampiezza nè sulla ubicazione, quando si tenga presente ciò che abbiamo detto sopra; notiamo però che, nonostante l'evolversi dei tempi, presso di noi, sia nella costruzione dei conventi che delle chiese, ha prevalso generalmente un senso di mode.stia e di semplicità, sopratutto in confronto agli altri ordini religiosi, che in certi periodi della storia, hanno gareggiato nella grandiosità e nello splendore degli edifici .sacri e, per riflesso, dei conventi. Poichè non vi è motivo di allontanarsi da questa linea di condotta, la norma, corrispondente allo spirito della Regola, deve essere seguita anche in appresso, a meno che casi particolari non richiedano una deroga. Alla chiesa però si deve sempre e in ogni caso un'attenzione e una cura speciale, perchè sarebbe veramente indecoroso ed ingiusto far bello il convento, render comode le celle, ecc. e cercare il risparmio, o appellarsi allapoverl) Spec. éarni.; I, 2719.·
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tà quando si tratta della chiesa e di quanto serve al culto' arredi, vasi sacri, biancheria, ecc. . ~e ~ buoni cristi~ni spesso .fa~no a gara e affrontano sacnficl non comUl11 per contnbU1re alla costruzione delle chiese, pe.r ~bbellirle, ~e~ prov.vederle della suppellettile, per contnbUlre alla mIglIore nuscita delle solennità religiose non sarà nostro dovere incoraggiarli, e, prima di tutto, precederli col buon esempio? Anche se non ricche e sontuose le chiese debbono essere sempre decorose, ordinate e pulite, come conviene alla ~asa di Pio; e lo saranno tanto più a ragione quanto megho espnmeranno l'equilibrio interiore e la mondezza dell'anima di chi le officia e le frequenta. Perchè a nulla varrebbero i marmi pregiati, gli ori fini, le decorazioni arti.st~che, i soffitt.i intarsiati quando manca lo spirito che v1vIfica ... Le ch1ese non sono luogo di convegno mondano, edifici posti all'ammirazione del visitatore e del turista, ma casa di preghiera, e a dar loro dignità e valore, oltre colui che l'abita con presenza reale nel SS. Sacramento, d~bbono essere i fedeli, e prima di loro i religiosi, ~ace~do 111 modo che nella propria anima abiti sempre ]1 SIgnore. «Non sapete - scrive S. Paolo - che siete tempio di Dio? E che lo spirito di Dio abita in voi? Se alcuno guasta il tempio di Dio, Iddio guasterà lui, perchè il tempio di Dio è santo, quali pur siete voi ».2) Non si può nemmeno pensare che un religioso entri in chiesa coll'anima resa schiava della colpa. Quanto all'obbligo di ascoltar la Messa ogni gIOrno, la riserva o la eccezione prevista dalla Regola: dove si potrà fare comodamente, aveva valore nei primi tempi, 2) 1 Cor., 3, 16 s:
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quando per la configurazione degli, eremi~ l'acccss~ ,all'or~ torio poteva incontrare qualche dlfficolta, non pm Oggi, salvo caso di malattia o circostanze del tutto straordinarie, Al precetto si soddisfa tanto celebrando che ascoltando o servendo la Messa. Esiste tuttavia oggi una legge della Chiesa, richiamata dalle Costituzioni, secondo la quale, come è stato già ricordato, nei conventi ove dimorano almeno quattro religiosi, obbligati al coro e legittimamente non impediti, non solo si deve recitare insieme l'Ufficio, ma anche celebrare la S. Messa corrispondente all'Ufficio del giorno, secondo le rubriche. Alla Messa conventuale debbono, perciò, assistere tutti coloro che sono tenuti al coro, salvo un legittimo impedimento, perchè la Messa costituisce la parte principale della off1ciatura co,rale; e quando è cantata i medesimi, per quanto possibile, debbono prendere parte al canto. Ciò premesso, il capitolo della Regola suggerisce alcune considerazioni sugli atti più importanti della vita quotidiana che sono l'assistenza alla S. Messa, la celebrazione e la S. Comunione. 1. L'assistenza alla S. Messa
Come obbligo del religioso possiamo dire che non ha nulla di speciale, perchè rientra nelle pratiche abituali del buon cristiano. Infatti anche oggi, come nei primi tempi della Chiesa era consuetudine di tutti i fedeli, molte anime pie sono assidue alla S. Messa che è l'atto di culto più grande e più meritorio. Chiunque assiste al divin Sacrificio si associa a Gesù, sacerdote eterno, partecipa alla sua santità, alla sua azione, ai suoi meriti. Si possono moltiplicare le preghiere, mettere insieme tutte le opere buone, ma nulla potrà mai eguagliare o solo ravvicinare il valore
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iniì.nito della Messa, nella quale opera mirabilmente e quasJ SI rende percettibile il dogma della comunione dei Santi. Memoriale e vero sacrificio, sebbene incruento, del corpo e del sangue del Signore, la S. Messa, a somiglianza della misteriosa scala di Giacobbe, è il mezzo di collegamento tra il cielo e la terra, che porta a Dio tutto ciò che la creatura, incorporata a Cristo per mezzo della grazia, è in grado di oftrirgli, e riversa sulle creature i frutti inesauribili della Redenzione. 11 sacrificio eucaristico è un mistero così sublime, che tutto quanto si può pensare di esso e si può dire in sua lode ed esaltazione, rimane sempre immensamente al di . sotto di quanto si dovrebbe, e infinitamente distante dalla realtà. Mistero di fede e di grazia! Va di conseguenza che un simile atto di pietà e di religione, il quale oltre ad essere il più nobile e il più meritorio è anche fonte e causa delle gioie cristiane più intense e più pure, deve essere tenuto in altissimo conto e il religioso non deve mancare di prendervi attivamente parte se non in caso di vera e assoluta impossibilità. Talvolta potrà richiedere un po' di sacrificio edi rinuncia, ma tutto è nulla in confronto al bene che si riceve ... Avvicinandoci e unendoci, colla mente e col cuore, al Figlio di Dio nell'atto della sua immolazione, non solo possiamo conseguire un alto grado di vita spirituale, ma meritare anche le grazie più segnalate. E' infatti lo stesso Gesù, vittima e :sacerdote, che prendendo le nostre parti supplica e intercede per noi. Richiamate queste verità, sembra superfluo ricordare che alla S. Messa, come all'Ufficio divino del quale costituiSCe il punto centrale e la parte culminante, si deve assistere degnamente, attentamente, devotamente.
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Degnamente: cioè in stato di grazia, e in una posizione anche esterna umile e composta; attentamente, accompagnando, quanto è possibile, le preghiere e le azioni del celebrante; devotamente, uniti, in spirito, al sacrificio del Figlio di Dio, e offrendosi insieme a lui al Padre celeste.
Azione di particolare rilievo è servire la S. Messa. Con essa si stabilisce un legame più stretto col celebrante, e, di conseguenza, colla vittima divina; perciò si è più vicini alla fonte della grazia. Questo ufficio associa strettamente i fratelli al ministero del sacerdote, e fa pregustare ai chierici la gioia spirituale dello stesso sacerdozio. Poichè le leggi liturgiche e il decoro dell'azione sacra richiedono sempre la presenza del ministro nella S. Messa (solo in caso di urgente necessità si può fare a meno H), è dovere dei superiori e di quanti sono addetti alla sacrestia curare che il sacerdote non abbia mai a trovarsi solo all'altare, come è dovere di quanti sono disponibili (compresi gli stessi sacerdoti) prestarsi volentieri a questo ufficio e con piena letizia. Per servir bene la Messa si richiedono le medesime disposizioni che per ascoltarla, con particolare riguardo al posto che si occupa nell'azione sacra. Il cerimoniale, dopo aver ricordato che l'ufficio di ministro della S. Messa è del tutto angelico, prosegue: «perciò si adempia con tutta la pietà e devozione possibile; anche esternamente si osservi una compostezza decorosa, si indossi la cappa o la cotta, si cammini tenendo le mani congiunte sul petto in forma modesta e conveniente, cogli occhi bassi e colla mente in Dio e all'azione che deve compiere ». Racco") Caeren1011iaic ;uxla rÙum Ord. FF. B. V. Mariae de M. Carme/o, Romae, 1906, n. 414.
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manda anche di essere debitamente istruito nell'ufficio. '). 2. La celebrazione della S. Messa
«Quando il Sacerdote celebra - si legge nella Imita-· zione di Cristo - onora Dio, allieta gli Angeli, edifica la Chiesa, giova ai vivi e procura il riposo ai defunti». t') Le Costituzioni raccomandano a tutti quelli che sono chiamati da Dio all'altissima dignità del sacerdozio «di regolare i propri atti secondo una norma di tale pietà e santità, da poter essere sempre pronti, come è dovere, a celebrare ogni giorno con frutto. E per farlo con maggior perfezione debbono confessarsi almeno una volta, la settimana e fomentare una speciale devozione alla SS. Eucarestia, al Cuore sacratissimo di Gesù e ai misteri della passione del Signore». 6) Alla preparazione abitua· le e remota è doveroso unire quella prossima perchè)se vale in ogni caso l'ammonimento dello Spirito Santo: «Prima della preghiera prepara la tua anima e non voler essere come un uomo che tenta Dio »/) esso vale sopratutto quando si tratta della S. Messa. Le Costituzioni ammoniscono ancora «di osservare alla perfezione e con uniformità le cerimonie, come si trovano nel cerimoniale, di non introdurvi novità di sorta? nè apportarvi cambiamenti, e di regolarsi in modo da non essere nè troppo lunghi, nè troppo brevi ». 8) Si deve anche curare nel miglior modo e con tutto· l'impegno il decoro esteriore, non solo mediante l'osservanza esatta delle cerimonie, ma anche col comportamen' to grave e dignitoso, la pulizia e l'ordine degli indu~ ') l'li, 413. ") Imitazione, IV, 5, 3. 7) EccE., 18, 23. 8) Art. 229.
Co) Art. 228.
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menti personali, delle vesti sacerdotali e di quanto serve al Sacrificio, come si deve curare il decoro e lo splendo:';::: interno dell'anima coll'attenzione e la devozione, rivivendo e facendo rivivere in chi assiste, l'azione di Gesù nel Cenacolo e il mistero ineffabile del Calvario. L'esperienza insegna quanto sia edificante e quali frutti di pie" tà produca nei fedeli il sacerdote che sale l'altare profondamente compreso dell'azione che compie. E' detto :l ragione che la S. Messà ha valore «ex opere operato », a prescindere dalla santità e il fervore del sacerdote, ma nessuno potrà mai dubitare che la santità e il fervore del celebrante, di chi serve e di chi assiste, tutti insieme «gente eletta, sacerdozio regale »/) rendano la S. Messa più "<legna, più bella, più meritoria per quello che dipende dalla creatura.
3. La S. Comunione La Comunione è parte integrante della Messa e per" ,ciò necessaria al complemento del sacrificio. Nei primi tempi della Chiesa, quando il fervore del" la pietà era pari alla purezza della fede, tutti i fedeli che .assistevano alla celebrazione eucaristica erano soliti accostarsi alla S. Comunione insieme col celebrante: ciò che :risponde a un preciso concetto teologico. La 1v1essa infatti si celebra dal sacerdote col popolo e per il popolo; se dunque la Comunione è completiva della S. lvlessa è naturale che insieme al sacerdote si comunichino anche i fedeli che assistono e, assistendo, celebrano insieme a lui. Col passar del tempo, parte per gli abusi che dovettero introdursi, parte per il raffreddamento del fervore, 9) l Pietr., 2, 9.
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quella forma così perfetta e così genuina di VIta cnstiana andò attenuandosi, e si è dovuto arrivare ai nostri tempi per vedere nuovamente in vigore la prassi della Comunione quotidiana, per opera sopratutto del S. Pontefice Pio X. Nelle più antiche Costituzioni dello Ordine si parla del precetto della Comunione generale da farsi otto volte l'anno (Natale, Purificazione, giovedì santo, Pasqua, Pentecoste, Assunzione, Natività della S. Vergine e festa di tutti i Santi); le medesime, tuttavia, permettevano la Comunione in tutte le domeniche e feste di rito doppio. 10) La legislazione moderna vuole riallacciarsi ai tempi primitivi, non solo permettendo ma consigliando la Comunione quotidiana. Così le nostre Costituzioni raccomandano ai superiori di promuovere tra i loro sudditi «ìa Comunione frequente e anche quotidiana» e stabiliscono che ai religiosi ben disposti deve essere possibile accostarsi spesso, e se lo desiderano anche ogni giorno, alla SS. Eucarestia, mentre prescrivono la Comunione in forma solenne nei giorni di domenica, nelle feste di precetto, in quelle della B. Vergine, dei Santi del nostroOrdine e di tutti i defunti. 11) Inoltre, per venire incontro alle esigenze della vita moderna, che non sempre consente ai fedeli di potervi assistere, e non privare quelli che sono ben disposti di un ausilio tanto efficace di vita soprannaturale, la Chiesa ha permesso che, in caso di necessità, la Comunione si distribuisca anche fuori della celebrazione della S. Messa. Che la S. Comunione occupi un posto di primissima importanza nello sviluppo della vita cristiana e neH'inC01lStÌ!utiones cap. Londinemis, 222 s. Art. l1l.
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cremento della perfezione religiosa è cosa troppo 110ta da doversi dimostrare. Ci limitiamo a qualche breve considerazione. La vita spirituale ha per meta l'unione d'amore con Dio, la quale sarà del tutto perfetta nella visione beatifica. La SS. Eucarestia realizza e perfeziona, in maniera ammirabile, questa unione non solo perchè è nutri· mento dei via tori e medicina degli infermi, ma sopratutto perchè è luce e fuoco di amore. Può anzi dirsi una estensione del mistero della Incarnazione. E' nella Comunione che trovano compimento perfetto le parole della preghiera di Gesù nell'ultima cena: «Prego non solamente per essi [per gli Apostoli], ma anche per quelli che, mediante la loro parola, crederanno in me, affinchè siani tutti uno; come tu, Padre, sei in me e io in te, afhnchè siano essi uno in noi, afhnchè il mondo creda che tu mi hai mandato. lo ho dato loro la oaloria che tu hai data a me, affinchè siano uno come noi slàmo uno; io in loro e tu in me, affinchè siano perfetti nella unità ». 12) Vi sono tre forme di presenza di Dio in noi: «La prima è essenziale - spiega S. Giovanni della Croce - e secondo questa egli non solo sta nelle anime buone e sante, ma anche nelle cattive e peccatrici, e in tutte le altre creature, perchè con questa presenza dà loro l'essere e la vita. Che se questa presenza essenziale venisse loro a mancare, tutte cesserebbero di esistere ritornando nel nulla: quindi essa non manca mai all'anima. La seconda presenza è per mezzo della grazia, per la quale Dio dimora nelle anime pago e soddisfatto di loro. E' evidente che non tutte hanno tale divina presenza, perchè quelle 12) Giov., 17, 20-23.
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che cadono in peccato mortale la perdono; anzi nessuno p~ò natural~:nte sarere ~e.l'abbia. La terza è per via eh affetto spmtuale: mfattl m molte anime devote Iddio s~ole .for~are ~n varie. maniere alcune fresenze spiritual~, con Cul le ncrea, dIletta. e rallegra ». ) Tra queste ultune occupa un posto premmente l'unione eucaristica, che di sè è la riù perfetta di quante se ne possono immaginare e realIzzare sulla terra e costituisce il culmine della stessa unione mistica. E' necessario però che con l'unione fisica vi sia anche quella spirituale, nel senso che Dio possa penetrare fin nel fondo dell'anima senza trovare impedimento e l'anima abbia a riversarsi in Dio con tutto l'ardore. S. Teresa del Bambin Gesù ripensando al aiorno della prima Comunione poteva scrivere, a distanzab di tempo: «Il nostro incontro di quel giorno, piuttosto che un semplice sguardo, potè dirsi una vera fusione. Non eravamo più d~e: Teresa era. scomp~r:a come la goccia d'acqua che 51 perde nella lmmenslta dell'oceano restava solo , G esu' ». H) Chi si accosta alla S. Comunione colla mente distratt~, col ~u?re freddo, coll'attaccamento al peccato veniale, nceve SI Il Sacramento, ma non la virtù del Sacramento se.non in forma ~ssai limitata; diventa sì portatore di CrIsto, ma non nesce a compiere con lui la vera penetrazione morale e spirituale. L'Eucarestia è il mistero di fede, l'atto della Comunione è il mistero d'amore! «O meraviglioso, mille volte meraviglioso memoriale - scrive il ven. Giovanni di S. Sansone - che mostra e dona un Dio vibrante d'amore, e tutto il suo stesso amore. ai suoi intimi amanti! O cosa strana che gli uomini "'-) Ct1l1/ico, l L 2.
H) Storia di 1/n'anitna, T38.
CAP. X
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abbiano gli occhi tanto ciechi da non vedere nè l'amante, nè l'amore delle anime sante! Almeno giacchè essi non possono penetrare in lui, che è loro causa e loro sorgente, si sforzassero di arrivarvi attraverso il più alto dei suoi effetti, che è la porta aperta a tutto il mondo... O mia cara vita, felice l'anima amorosa che ha di voi fame e sete insaziabile! Che nell'ardore della sua fame si avvicina ogni giorno alla vostra sacra mensa e si pasce di voi con tanta avidità da non essere mai soddisfatto! Si può dire di tali persone che tutta la loro anima, tutto ii loro cuore, tutta la loro vita, tutto il loro amore, tutto il loro pensiero, tutto il loro appetito, tutta la loro forza e tutto il loro corpo, sono in continua attenzione per voi ». ''') I mirabili scritti di questo grande mistico sembrano quasi superarsi quando l'argomento che li ispira è il SS. Sacramento dell'Eucarestia. La fiamma che bruciava interiormente si rifletteva nelle parole che gli uscivano .con impeto dal labbro. «Venite, amico unico del mio Cliore, desiderato della mia anima, venite a riempirmi di voi, perchè io sono affamato e sitibondo di voi fino all'infinito e più mi nutro più ho fame di voi» .16) «O mia cara vita, questo augusto Sacramento... voi l'avete istituito per renderci a voi simili, divini della vostra divinità, dii della vostra deità, tutto del vostro tutto ».17) E dopo averli sperimentati in sè, il venerabile è ben in grado di descrivere gli effetti dell'unione sacramentale: «Chi è preso ardentemente e brucia del vostro amore è grande in proporzione, ricco di ogni grazia, forte e largamente perfuso della vostra carità. Diventa eterno, scompare in voi, diviene ineffabilmente luminoso per l'eminenza delle cognizioni che procedono dalla vostra ineffabile sapienza, o meglio, assai
LA CHIESA E LA S. MESSA
semplice nella fruizione ineffabile che ha di voi e in voi '. e che gli conferisce un'altra maniera di essere. E' l'im~ mensità., che vie~e ~ trovarsi nella creatura, alla quale nulla pm resta d1 se, essendo totalmente trasfusa in voi .. Qui l'anima è ridotta, fusa e scomparsa totalmente nella immensa infinità della vostra fornace amorosa, dove la. creatura, per quanto le è possibile, si identifica con voi nella infinità dell'amore ». 18) Il P. Donaziano ci fa apere che Giovanni di S. Sansane, dopo la S. Comunione, appariva anche esternamente infiammato come un serafino; il volto sembrava trasfigurarsi, e se dettava qualche cosa lo faceva con tanto" impeto da sembrare non' un uomo, ma un angelo venuto' dal cielo: lP) Il Signore lo degnò di due favori insigni: quello dI conoscere la durata della presenza in sè del SS. Sacramento, e di conservare le specie eucaristiche dopo la Comunione, per lo spazio di sei ore e più.20 ) , I religiosi, che vivendo nella casa di Dio, trascurano' di accostarsi alla Mensa Eucaristica, o vi si accostano· fredda~ente, più per abitudine che per fede, più per convemenza che per amore sono come gli ammalati che avendo a portata di mano la medicina non la prendono, o la prendo~o ~n modo. in?ebito, o come gli affamati che potendosl nstorare SI nfiutano o lo fanno insufficientemente o malamente. . D'altra parte pretendere di crescere nella perfezione, d~ pr~gr~dire. nella vita interiore, di rendere più saldi i vmcoh dI umane con Dio prescindendo dalla Eucarestia, ' o non dandole il posto che le compete è presunzione stolta . ed assurda. S. Maria Maddalena dei Pazzi, che di propa- ." 18)
l') OeUl/re.', 456.
16) Ivi, 462.
17) Ivi, 461.
Ivi, 447.
19)
Ivi, 9.
20)
Ivi.
~_224
CAP. X
•sito aveva scelto il monastero di S. Maria degli Angeli perchè vi era permessa la Comunione quotidia~a, quand~ sapeva che qualche con.sorella a~eva omesso d1 accostarsl alla S. Mensa di propna volonta provava. un ta.le dolore .da non riuscire talvolta a trattenere le lacnme. SI r~mma~ ricava anche profondamente quando non scorge~am tut~ -:te il fervore desiderato, persuasa che la C.omumon~l ben . Jatta è capace di portare l'anima a grand! altezze. )
IL CAPITOLO CONVENTUALE
225
Capitolo Undecimo
Nelle domeniche, o altri giorni se vi sarà bisogno, dovete trattare della conservazione dell' Ordine e della salvezza delle anime, e, allora, con carità, siano corrette le colpe e le mancanze dei frati, che si fossero eventualmetlte riscontrate in qualcuno. IL CAPITOLO CONVENTUALE La S. Regola determina anche qui tre cose: l'obbligo del capitolo conventuale, il fine di esso e il modo di tenerio.
1. L'obbligo del capitolo conventuale Nelle domeniche, o altri giorni se vi sarà bisog11o, dovete trattare della conservazione dell'Ordine e della salvezza delle anime. La prima frase si presta a una duplice interpretazione: nelle domeniche e anche più spesso, qualora vi sia bisogno, come l'intendevano le antiche Costituzioni, ovvero: nelle domeniche o altro giorno della settimana, secondo rimarrà più comodo, come l'intendono le Costituzioni vigenti: «Il priore locale, una volta la settimana, a meno che non sia scusato da causa ragionevole, deve tenere il capitolo conventuale ». 1) Vari commentatori si sono posti opportunamente iI problema della gravità dell'obbligo, e arguendo da varie ') Art. 307. 15.
CAP. )II
lL CAPITOLO COl'<'VENTUALE
226
circostanze, quali: il tenore della leg.ge che no~ contien~ l'usitata clausola «ubi commode fien potest», Il fine cm essa tende e le sanzioni comminate ai priori negligenti, hanno dedotto che l'omissione saltuaria ingiustificata: trattandosi di obbligo di Regola, è peccato v~nia~e ~entre quella prolunguata e abituale, ugualm~nte. 1l1~lU~tific~ta~ è peccato grave. Il tenore delle C?StltUZlOl11. vlge~t1 e questo: «Il superiore loca:e che ~bb1a .on:esso 11 capItolo due volte al mese dove V1vono dI fam1gha almeno quat~ , l' tro religiosi, sia punito severamente, e se? do~o ammonizione continui ad essere trascurato, SIa d1messo dall'uffici; » ; 2) mentre le più antiche, ~enza distinzione, stabilivano: «Il capitolo conventu~le SIa tenuto al~eno una volta la settimana, sotto pena d1 colpa grave». } Chiunque rifletta seriamente sulla nat.ur~ dello st~to religioso, sui mille inciampi c~e aI:che. q':l S1 P?ssono mcontrare ogni giorno, sui reah pencoh. al. quah va jes?osta l'osservanza regolare, non si meravlgha dell~:e,atlva severità di questa legge, e trova anch~ ~om~rensl?lle perchè in alcuni Ordini, almeno alla ong1l1e, 11 capltolo era prescritto ogni giorno. 4) Il B. Gio~an.ni So;e~h r:~n. te~e affermare che il luogo ove esso S1 tiene e 11 plU mV1S0 al demonio, perchè ivi è solito perdere ciò che ~~adagna altrove; è il luogo, egli dice, consacrato a~lo S~l~ltO. Santo, ave i figli di Dio si radunano per nc~nC1h~rsl con lui.") L'affermazione trova conferma. n~lla Vita d~ S" Maria Maddalena dei Pazzi. Durante 1 c1l1que anm dI durissime prove nei quali il Signore permise che si vaglias2) Art. 298. . . 3) Constitutiones cap. LOl1dwel1Sls, 231. .' • 4) CosÌ ad esempio, era prescritto ai frati Precl!caton: d. Ì>l. H. v 1CAIRE, o. Saint Dominiqtle de Calamega d'après les docume:1t,' da XZl1
s~ !l suo. spirito .eletto, ella soffrì spesso della vista ternbIle del demom, che le apparivano in ogni luogo del monastero n:eno nella sal~ del capitolo. Richiesta perchè que.sta ec~ezIOn.e ebbe a nspondere per gli atti di umiltà e d! mortifiCaZIOne che vi si compiono. ")
2. Il fine del capitolo conventuale
Lo scopo del capitolo conventuale è indicato chiar~ mente dalla Regola: la conservazione dell'Ordine e la salvezza delle anime. ~ somiglianza del corpo umano che per mantenersi ha . b~sogno di attenzi~ni, di cure e di cibo, ogni istituto rehglOso ha le sue eSIgenze morali e spirituali che debbono essere sostenute e provvedute. Il capitolo tende esp~essamente a questo: a prevenire i pericoli che possono 1l1taccare l'osservanza, a ristabilire l'equilibrio quando fosse stato alterato, a premunire i singoli religiosi da DOSsibili insidie, a farli ravvedere ed emendare quando a~es sero mancato. L'espressione: conservazione dell'Ordine e salvezza delle anim,e che alla origine significava solo problemi di carattere mterno, conforme alla vita eremitica si deve oggi intendere nel senso più ampio e in tutt/ i riflessi che porta seco l'attività pastorale, perciò è del tutto conforme alla legge che nel capitolo si trattino anche le relazioni col mondo esterno, si esaminino e si discutano le iniziative da prendere perchè l'apostolato sia efficiente e a?egu~to .ai bi.so~ni e l~ misure da adottare in certe particolan sltuazIOm, spec1almente se alla casa religiosa è affidata ]a cura d'anime.
P.,
ciècle, Paris, 1955, 142. 5) Spec. Carm., I, 2723.
227
G)
Cf.
BAUSA,
Vita éd estan, I, 74.
IL CAPITOLO CONVENTUALE CAP. XI
228
3. Il modo di tenere il capitolo conventuale Il modo di tenere il capitolo è indicato dalle Costitu~ zioni, le quali dicono: «Il priore locale una volta la set~ timana, a meno che non sia scusato da causa ragionevole, deve tenere il capitolo delle colpe, ma non oltre mezz'ora, e in esso, prima che vengano dette le colpe, tenga un'esortazione sulla osservanza regolare o su altro argomento riguardante il profitto spirituale ».7) L'esortazione del priore può avere per oggetto la spiegazione della Regola o anche delle Costituzioni, come è logico dedurre dal fatto che deve essere preceduta dalla lettura di un brano di esse, tuttavia non si tratta di ordine tassativo; anzi le stesse Costituzioni lasciano libertà di scelta purchè si miri al profitto spirituale dei religiosi. Investito di un potere che gli viene da Dio, nell'esercizio delle sue funzioni di padre, di giudice e di maestro, l'ora del capitolo è particolarmente favorevole al priore per insistere «a tempo opportuno e inopportuno, per confutare, sgridare, esortare, con grande pazienza e dottrina ».") Le correzioni e riprensioni, secondo le circostanze, possono essere fatte in forma generale nel corso della esortazione, e individualmente all'atto dell'accusa, ma non è necessario che un religioso accusi una determinata mancan...: za perchè ne venga ammonito e corretto, e nu1la vieta che il superiore denunzi e metta in guardia, sempre con prudenza e cautela, colpe o difetti poco notori, quando sia evitato il pericolo dello scandalo. In ogni caso, però, la nota distintiva e caratteristica del capitolo conventuale deve essere la carità, richiamata 7) Art. 307.
8) 2 Tim., 4, 2.
229
espressamente dalla Regola. Essa vuole che in determinati casi la correzione privata sia da preferire a quella pubblica, e si guardi solo al bene delle anime e al ravvedimento del colpevole, per cui il capitolo può ben dirsi il banco di prova «della prudenza, dello zelo, della esperienza e della dottrina del priore ».9) Si badi però a non confondere la carità colla debolezza o colla timidezza, perchè se deve sempre evitarsi, anche quando si tratta di osservanza regolare, un rigorismo indiscreto e irrazionale che il ven. Giovanni di S. Sansone chiama spirito di polizia, deve evitarsi ugualmente l'accondiscendenza inopportuna e l'amore al quieto vivere che porta a chiudere volutamente gli occhi dove è doveroso tenerli aperti, o a tacere dove sarebbe opportuno parlare. Per cui all'esercizio della carità cristiana non repugna, se occorre, la parola ferma e nemmeno la punizione. S. Paolo, vero apostolo della carità fraterna, chiamò stolti i Galati perchè non si mostravano docili al suo insegnamento/O) e ai Corinti scriveva: «Se anche vi ho rattristati nella lettera, non me ne pento; e se anche ne avessi avuto pena, vedo bene che quella lettera, sia pure temporaneamente, vi ha rattristato, ora ne godo, non perchè avete sofferto pena voi, ma perchè la vostra pena ha servito al pentimento, la vostra pena è stata secondo Dio, sì che in nulla avete patito danno da parte nostra, perchè il dolore secondo Dio produce un ravvedimento di cui si è soddisfatti e che conduce alla salvezza ».11) Ma poichè il frutto del capitolo, oltrechè dallo zelo, dalla esperienza e dalla dottrina del superiore, dipende anche dalla fedeltà, dalla umiltà e da ogni altra buona ') Cf. art. 303.
10) Gal., l, 1.
11) 2 Cor., 7, 8-10.
230
CA!? XI
disposizione dei sudditi, ne segue che al dovere del superiore di tenerlo regolarmente e nel modo debito, wr~ risponde quello dei sudditi, di intervenirvi sempre e con retta intenzione. Assentarsi senza motivo e senza il do:vuto permesso è mancanza contro la Regola, cioè peccato veniale, mentre l'assenza abituale ingiustificata potrebbe diventare colpa grave sia per motivo del disprezzo sia per lo scandalo che si darebbe. Alla presenza fisica bisogna unire una fervorosa partecipazione spirituale, la quale presuppone sentimenti di umiltà, che portano ad ascoltare .devotamnete la parola del superiore, come fosse la parola stessa di Dio, ad acco:gliere le sue osservazioni e i suoi ammonimenti, ad uniformarsi ai suoi punti di vista anche quando non fossero totalmente condivisi, ad accettarne i rimproveri o a trarre frutto dalle raccomandazioni. Quanto all'accusa delle colpe bisogna distinguere l'oggetto e la forma. Di quali colpe è doveroso accusarsi nel capitolo? La Regola e le Costituzioni non specificano mentre il rituale indica solo la forma esterna da seguire. Tenendo conto del fine al quale tende il capitolo, è evidente che non debbono essere oggetto di accusa le colpe occulte, la cui rivelazione potrebbe essere causa di scandalo e nuocere gravemente al buon nome del religioso, nè le colpe che implicano la diffamazione di terzi e nemmeno i peccati interni; lo sono, invece, le colpe esterne pubbliche o note alla maggior parte della comunità, tan~ to leggere che gravi, e le mancanze contro la Reaola, le Costituzioni, il cerimoniale e l'osservanza regolareb in genere. E' norma di grande prudenza che le cose trattate nel
IL CAnTOLO CONVENTUALE
231
capitolo siano abitualmente circondate da discreto riserbo e non formino oggetto di conversazione nemmeno tra i religiosi, molto meno debbono essere rese note ai secolari. I.nche se il divieto esplicito contenuto nelle antiche Costituzioni, per quanto riguarda la seconda parte, non viene ripetuto in quelle vigenti è chiaro, tuttavia, che la norma si contiene implicitamente nella legge generale che proibisce di avere coi secolari una tale confid:nza da esporre al pericolo che essi vengano a conoscere 1 segretI del convento.
232
CAP. XH.Xm
Capitoli Decimo Secondo e Decimo Terzo
Dovete osservare il digiuno tutti i giorni, eccettuate le domeniche, dalla festa della Esaltazione della S. Croce fino al giorno della Resurrezione del Signore, a meno che l'infermità o la debolezza o altra giusta causa non C01tsi~li di romper~ il digiuno perchè per il bisogno non eSiSte legge. Dovete astenervi dal mangiar came, a meno che non vi sia necessario mangiarle a motivo di infermità o di debolezza. E poichè è necessario che per mendicare vi troviate spesso in viaggio, per non esser di peso a chi vi ospita, fuori della vostra casa potrete mangiare cibi cotti con la carne. Viaggiando poi in mare potrete nutrirvi anche di carne. 1)
IL DIGIUNO E L'ASTINENZA DALLE CARNI E' universalmente nota l'importanza che il cristiane~ simo ha sempre attribuito al digiuno. Il divin Maestro lo premise, in forma assoluta, alla sua missione pubblica per lo spazio ininterrotto di quaranta giorni e quaranta notti, mentre il Precursore era solito nutrirsi di locuste e miele selvatico. La sua efficacia fu posta in particolare rilievo nella guarigione del lunatico invasato dallo spirito ma-
DIGIUNO E ASTINENZA
ligno, quando alla domanda degli Apostoli, perchè non fossero riusciti a liberarlo, Gesù rispose: «un tal genere di demoni si scaccia solo colla preghiera e col digiuno.» 2) Traendo motivo sopratutto da questo insegnamento la Chiesa ha sempre considerata questa speciale forma di mortificazione corporale di primaria importanza per l'ascesi cristiana, esaltandone i vantaggi anche nella sua liturgia: «Col digiuno corporale rtu o Signore] reprimi i vizi, elevi la mente, elargisci virtù e premio»; 3) e non solo ha raccomandato, in forma generica, la sobrietà e la temperanza come fecero gli Apostoli, ma con legge positiva e grave fin dai tempi più antichi ha prescritto il digiuno e l'astinenza dalle carni per alcuni giorni dell'anno, o anche per periodi di tempo (venerdi, Quattro Tempi, Quaresima, Avvento, vigilie). I Santi Padri, a nessuno secondi nel mortificare il proprio corpo, hanno tessuto del digiuno i più alti elogi, ne hanno richiamata la necessità e ne hanno esaltati i benefici effetti, mentre il monachesimo d'Oriente, che ha dato alla Chiesa i grandi luminari Paolo ed Antonio, si presenta alla storia coUa nota della più austera penitenza: nutrimento scarso e frugalissimo, costituito spesso di sole radici e di erbe. Conformi a questi insegnamenti e sulla scia di questi esempi, le regole monastiche, quale più qualé meno secondo i tempi e le circostanze, hanno accentuata la legge dell'astinenza e del digiuno, stabilendo obblighi positivi maggiori di quelli imposti ai semplici fedeli. S. Alberto, che non poteva non tenere nel debito conto un elemento tanto prezioso di perfezione e di elevazione spi-
1) Per le varianti apportate da Innocenzo IV al cap. XIII vedi sopra,
pago 35
S.
233
2) Mat., 17, 20.
3) Prefazio ddla Quarcsjma.
234
CAP. XII
-xm
DJeHJNO E ASTINENZA
235
. le, prescrl'sse agli eremiti del .,Carmelo l'astinenza ntua gla nella lorocl consucperpet ua, Come probabilmente era ' . Il' tudine di vita, e il digiuno per Circa ~ette meSI e anno (dal 14 settembre, festa della EsaltaziOne del.la S. Croce fino alla Pasqua), ad eccezion~ dell.e dome111c~e ..Legg~ certamente severa, anche perche la dlspen~a. dall as.tl?enZ~ delle carni fu contemplata solo in caso dI mfe!~lta e dI grande debolezza, a differen~a di quella del dIgmno che contempla qualsiasi causa glUsta. Dobbiamo riconoscere che in questi d~e punti della Regola ci siamo allontanati non poco dal. ngoroso tenore di vita degli antichi Padri, e se anche abbIamo. conse~vato il testo approvato da Innocenzo r~,. di ~att? l? mten~lamo e lo osserviamo secondo le note mlt1gazlO111 d1 Euge1110 IV ,e dei suoi successori Pio II eSisto IV. 4) La disposizione attuale, ch~ nei dettagli e n~lle ulteriori varianti apportate in segU1~o .trae forza .dal ratto che i pontefici Pio II e Sisto IV rnr:Isero al pnore ge~erale dell'Ordine la facoltà di determmare, secondo COSCienza e tenuto conto dei luoghi, dei tempi e delle pe.r~one,. ta~ to la legge del digiuno che dell'astinenza, stabIhscel~ dIiuno per tutti i giorni dell'Avvento e della Quares~ma, g ttuat e le domeniche, e dalla festa della .ecce " EsaltaZiOne della S. Croce sino a Pasqua nel mercoledl, venerdl e sabato, oltre a tutti i venerdì dell'anno, eccettuato .q~e:llo che . Inoltre nelle v1gtlie delle V1ene ent ro l'ottava di Pasqua. .. .. P seguenti feste: Natività, PresentaziOne, VlSltaziOne, . u. e e Solenne Commemorazione della n'fi caZiOn .. d"B. Vergine . del Carmine. A questi vanno aggiunti tutti 1 19lU111 pre-
visti dalla legge generale della Chiesa. Le Costituzioni precisano inoltre che, fuori dell'Avvento e della Quaresima, non si è tenuti al digiuno dell'Ordine nei giorni festivi (che cadessero nel mercoledì e sabato) quando si fosse digiunato nelle loro vigilie. Le medesime stabiliscono anche che nei giorni di digiuno, al mattino e alla sera, sono permesse piccole refezioni (<< refetiunculae »), attenendosi per la quantità e qualità dei cibi alla consuetudine approvata dei vari luoghi.") La legge dell'astinenza obbliga, invece, tuttI 1 mercoledì, venerdì e sabati dell'anno, e tutti i giorni nei quali si è tenuti alla legge del digiuno. E' tuttavia permesso nel lunedì, martedì e giovedì dell'Avvento e Quaresima, mangiar carne nel pranzo. Per la festa della Commemorazione solenne della B. Vergine del Carmine, a meno che non sia imposto da legge ecclesiastica, non esiste l'obbligo dell'astinenza e del digiuno «ob laetitiam tantae so-lemnitatis ».6) Per eventuali dispense merita attenzione ciò che è detto nell'articolo 161. «Quanto ai casi singoli i superiori provvedano a norma del can. 1245, par. 3 ». Il citato canone equipara la potestà dei superiori a quella che hanno i parroci sulle persone della parrocchia, i quali, in casi singoli e quando interviene una causa giusta, possono dispensare dall'astinenza o dal digiuno, e anche da ambedue le leggi, i singoli fedeli, anche fuori del proprio territorio, e nel proprio territorio anche i pellegrini. Poichè le dispense concesse dai sommi pontefici e COll-
· della legge sul digiuno e l'astinenza, vedi 4) Per l'evo lUZlOne
pago 38-42.
~opra,
~----
') /cnt. 153. 1S').
G) Art. 160.
236
CAP. XII - XIll
DIGlUNO E ASTINENZA
servate nella legislazione del nostro ordine equivalgono a una vera mitigazione della Regola, e rimangono anche il punto centrale di differenziazione dall'altro ramo del~ l'Ordine, gli Scalzi, si presentano qui due domande: 1. Furono esse realmente giustificate? 2. Si possono man~ tenere senza pregiudizio dello spirito dell'Ordine? Per rispondere alla prima domanda ci appelliamo all'autorità del B. Giovanni Soreth, che governò l'Ordine nel periodo susseguente la mitigazione di Eugenio IV. Nel suo commento alla Regola egli legittima la mitigazione con due motivi: il senso di rilassamento prevalso nell'Ordine e le difficoltà pratiche di procurarsi ovunque cibi di magro in tutti i giorni della settimana. Quanto al primo nessuno può farsi meraviglia quando richiami alla mente le condizioni generali della Chiesa in quel triste periodo che precedette e preparò la ri· volta luterana. Il rilassamento dilagò un po' in tutti gli ordini religiosi e intaccò tutte le istituzioni. Poichè esula dal nostro compito analizzarne le cause ci limitiamo a una semplice affermazione: sono le grandi ombre della storia. Il nostro Ordine subì i tempi, e in quelle circostanze anzichè dover ricorrere a frequenti dispense o esporre la Regola al pericolo· di facili trasgressioni, sia private che pubbliche, il ricorso alla Sede Apostolica deve essere giudicato legittimo e saggio. Lo stesso Beato giustifica la mltlgazione colle difficoltà pratiche di trovare cibi di magro. «La nostra condizione di Mendicanti - egli scrive - fa sì che non abbiamo ovunque dei fiumi dai quali poter trarre il pesce necessario, e in molte regioni il costo degli altri cibi è superiore a quello della carne; inoltre in vari luoghi di-
237
fetta il vino, e così accade che molti nel voler mantenere l'astinenza si ammalino »:) A distanza di secoli, pur dando atto al grande spirito di penitenza di cui furono animati S. Teresa e S. Giovanni della Croce nel rifiutare decisamente la mitigazione di Eugenio IV e degli altri pontefici, e riconoscendo agli Scalzi il merito di mantenere in piedi in questi punti il rigore della Regola, secondo le correzioni di Innocenza IV, non possiamo non ritenere fondati e legittimi i motivi addotti dal B. Giovanni Soreth e validi anche per i nostri giorni. La seconda domanda trova risposta nella storia dell'Ordine, dalla quale apprendiamo che anche dopo la mitigazione della legge dell'astinenza e del digiuno anime eleuissime vissero ed interpretarono, in senso perfetto, lo spirito e l'ideale del Carmelo. Così lo stesso Giovanni Soreth, Bartolomeo Fanti, Battista Mantovano, Maria Maddalena dei Pazzi, Giovanni di S. Sansone con tutta la eletta fioritura di mistici della Riforma Turonense,O) Angelo Paoli, Girolamo Terzo, Stefano Pelosio, Domenico Lucchesi, ecc. Di fatto, pur ammettendo che l'astinenza continua delle carni e il digiuno prolungato siano mezzi efficacissimi per conservare e incrementare lo spirito di mortificazione e conseguentemente di preghiera, non possiamo non riconoscere che è possibile vivere mortificati e con~ durre vita santa anche facendo uso moderato delle carni e senza una legge tassativa che imponga lunghi periodi di digiuno. 7) Spec. Carm., I, 2738. 8) E' da notare che il P. Filippo Thibault a ragion veduta rifiutò il ritorno alle antiche astinenze e digiuni, persuaso che la mitigazione sia da preferire alle frequenti dispense.
CAP. Xi! - xm
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Nella attuale condizione, però, abbiamo un particolare dovere non solo di mantenerci fedeli alle astinenze e ai digiuni determinati dalle Costituzioni, ma di contentarci sempre dei cibi che la casa ci dispensa, senza interferire sulla quantità e qualità, perchè come sarebbe riprovevole se nei giorni di astinenza, per compensare la mancanza della carne, si pretendessero cibi delicati che invece di mortificare allettano e soddisfano il gusto, così sarebbe riprovevole pretendere cibi speciali quando non manca il sufficiente e si gode buona salute. Il B. Giovanni Soreth rilevava per il suo tempo che mentre alcuni, prima della conversione cioè prima di entrare in convento, vivevano in casa dei genitori sobriamente e così avrebbero continuato a vivere se fossero rimasti nel secolo, entrati invece in religione si mostravano golosi, e mentre in casa si sarebbero nutriti di molta erba e poca carne, dopo aver abbracciato lo stato di penitenza pretendevano di essere trattati meglio dei re. g) La osservazione, piena di ironia, vale per molti casi anche ai nostri giorni, e mette a fuoco la psicologia di quei religiosi che dimentichi dello stato in cui forse vivono le proprie famiglie, e non pensando alle difficoltà che essi stessi avrebbero incontrato nel mondo qualora vi fossero rimasti, sembrano preoccupati solo del mangiare e de] bere, e non sono mai soddisfatti. A questi è opportuno ricordare che il regno di Dio «non è cibo nè bevanda. ma giustizia e pace e gioia dello Spirito Santo» ,1") Ai nostri tempi, contro la legge dell'astinenza e del digiuno si suole opporre di non posseder più la resistenza dei tempi passati e che il lavoro oggi richiesto dalle circo(') SpCL'. Carni., J, 273G.
''') Rill',l., H, 17.
239
DIGIUNO E ASTINENZA
stanze è gravoso e debilitante. L'osservazione può avere un fondo di verità, tuttavia è giocoforza confessare che spesso si esagera, a ragion veduta, sia nell'un senso che nell'altro, e in certe giustificazioni e pretese bisogna riconoscere l'amore ai propri comodi, il culto del proprio, corpo, e, conseguentemente, il desiderio di eliminare o ridurre al minimo i disagi della vita. S. Teresa, appellandosi alla sua esperienza, scriveva: «Si ama tanto la propria salute che è veramente sbalorditivo veder la guerra che per questa ragione si deve sostenere ».11) Di fronte a certe preoccupazioni, più spesso frutto di fantasia e poco senno, se non proprio desiderio di beness~re, torna quant~ mai a proposito il richiam? d:lla ~edesl.ma Sa~~a ~. « Rl: cordiamoci dei nostri Padn, d1 quel santi eremIti al altn tempi, di cui pretendiamo imitare ~a v~ta! Quanti e quali dolori soffrirono essi nella loro sohtud111e! Freddo, fame,. sole e arsura: tutto sopportarono senza aver persona, fuori di Dio, con cui potersi sollevare. Credete f~rse che fosser?, di ferro e non sensibili anch'essi come n01? PersuadeteVI, figliuole, che q~a~do il no~tro. ~or~o comincer,à ad esser vinto, ci lascera 111 pace ne pm Cl tormentera. ~vendo chi si interessa dei nostri bisogni, lasciatene ogm cura, a meno che non si tratti di una necessità evidente. Se non ci risolviamo a non curarci più della morte e della perdita della salute, non faremo mai nulla »/2) Se la mitigazione non ha intaccato lo spirito dell'Ordi-ne, potremmo esser noi a .com~rometterlo .col ~ercare le comodità e gli agi e col nfuggue la mortlficaZlOne e la penitenza. Sia perciò ben impresso nella nostra mente che la mitigazione, appunto perchè tale, deve servire a H) Cammino, lO, 5.
12) Ivi, 11, 4.
240
CAP. XII - XIII
richiamarci alla più esatta osservanza della povertà e della obbedienza, e spronarci all'amore al sacrificio e alla pratica perfetta della vita regolare e comune. Peraltro le Costituzioni dischiudono ai più animosi un vastissimo orizzonte quando dicono: «Per quanto gran parte della nostra professione consista nella castigatezza e durezza di vita, qua e là prescritta dalla Regola e da queste Costituzioni, tuttavia, oltre alle mortificazioni dei sensi, già determinate, ai nostri religiosi ne consigliamo anche altre, affinchè, resi soggetti allo spirito gli stimoli della sensualità, la loro mente possa più facilmente avvicinarsi a Dio »/3) Concludiamo con un rilievo di ordine pratico. Poichè la legge generale della Chiesa obbliga al digiuno solo dopo il ventunesimo anno ~i .età e c~ssa allo s~a~ere. del sessantesimo, possiamo porci 11 quesIto se la hmltazlOne valga anche per i digiuni dell'Ordine. La risposta evidentemente è negativa perchè l'obbligo ai digiuni dell'Ordine scaturisce dalla professione religiosa, e la Regola obbliga senza limitazione. Nondimeno le Costituzioni conferiscono al superiore provinciale la facoltà di dispensare quando intervengano motivi di debolezza o di malattia,14) mentre, per casi singoli, la stessa facoltà compete al priore, in forza del can. 1245, già citato. Le Costituzioni ammoniscono anche che le eventuali dispense generali concesse dalla Sede Apostolica a una regione non esimono i nostri religiosi dall'obbligo di osservare i digiuni e le astinenze proprie dell'Ordine. l ")
13) Art. 108.
H) Art. 462.
15) Art. 161.
LE ARMI SPIRITUALI
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Capitolo Decimo Quarto
Poichè la vita dell'uomo sulla terra è una tentazione,' 1) e tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo dovranno soffrire persecuzione: 2) e di pt'ù il vostro avversario; il demonio, va intorno come leone ruggente, cercando la preda da divorare; :l) con ogni sollecitudine dovete rivestirvi dell' armatura di Dio, affinchè possiate ri,manere in piedi contro le insidie del nemico. 4 ) I vostri fianchi debbollo esser cinti del cingolo della castità/) il vostro petto munito di pensierisal1ti, perchè sta scritto: il pensiero santo ti custodirà. G) Dovete indossare la corazza della giustizia 7) per poter amare il Signore Dio vostro con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la forza e il. prossimo vostro come voi stessi. B) In ogni cosa dovete impugnare lo scudo della fede sul quale possiate spegnere tutti i dardi infuocati del maligno,U) perchè senza la fede non è possibile piacere a Dio.l~) Dovete anche porre sul capo l'elmo della salvezza/l) affinchè attendiate la salvezza soltanto dal Salvatore, che può salvare il suo popolo dai propri peccati.12) La spada poi dello spirito, formata della parola di Dio/") abiti abbondantemente nella vostra bocca e nei vostri cuori, e tutto ciò che dovete fare fatelo nel nome del Sig12ore. 14) ') Giob., 7, 1. 2) 2 Tim., 3, 12. 3) l Pietr., S, 8. ") Ef., 6, 11. 5) Ef., 6, 14. 6) Cf. Prov., 2, Il. 7) Ef., 6, 14. 8) Mat., 22, 37, 39. 9) Et., 6, 16. 10) Ebr., 11, 6. 11) Ef., 6, 17. J2) Mat., l, 21. 13) Ef., 6, 17. 14) Col., 3, 17.
CAP. XiV
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I IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE
Il capitolo decimo quarto della Regola, piccolo florilegio di sentenze tratte dai libri sacri, dopo aver prospettata la realtà concreta della vita e gli impedimenti che si incontrano nella via del bene e nella pratica della virtù, ci inseana quali siano le armi spirituali da usare per conseguireb la vittoria. E' difficile immaginare una esposizione più chiara e una sintesi più completa, nella sua sobrietà, dell'ascesi cristiana. La vita dell' uomo sulla terra è una milizia. n testo attuale della Regola, forse ad accentuare il carattere spirituale del combattimento, tra le parole tentazione e milizia ha preferito la prima.l ) La famosa sentenza contenuta nel libro di Giobbe, viene ampiamente confermata dalla esperienza universale. Le difficoltà che si incontrano sono tanto numerose e tanto complesse che dove mancano alcune abbondano altre: difficoltà di ordine materiale,di ordine morale, di ordine spirituale colle rispettive ramificazioni in ogni senso. Molti secolari, perchè avvertono solo il lato contingente delle cose, si preoccupano, il più delle volte, solo delle prim;, .e, senza r~spar mio di forze, affrontano la lotta per leslstenza e 11 be1) E' da notare che nei codici della Volgata ricorre tanto. miiitia che tenta/io, e così anche nei testi antichi della Regola. La bolla d! Ononq m aveva militia, quella di InnocenzO IV téntatio: cf. Bull. Canl/., I, .:l, lO.
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nessere economico. E' un aspetto del combattimento, spesso duro a sostenere e difficile a superare, perchè non astante gli accorgimenti dell'intelligenza umana e il progresso della tecnica, la terra, maledetta da Dio, continua a produrre per tanti triboli e spine; però ve ne è anche un altro, non meno duro e non meno difficile, che inve~ ste la parte più nobile dell'uomo, quella spirituale, ed ha per fine la salvezza dell'anima. Il dovere di sostenere la lotta sotto ambedue gli aspetti è generale, anche se taluni non l'intendono, dovendo tutti provvedere ai bisogni del corpo e dell'anima: ai primi perchè la vita è dono di Dio e, come tale, da conservare e custodire almeno con mezzi ordinari, agli altri per rendere possibile il conseguimento del fine della creaZlOne~ che è la vita eterna. Limitando le nostre considerazioni allo stato religioso,
è opportuno avvertire che, pur dovendo riservare e consacrare le migliori e più efficienti energie per il combattimento spirituale, nemmeno noi possiamo esimerci dalle lotte e dalle preoccupazioni della vita materiale. La S. Regola ce ne fa espresso obbligo nel capitolo sul lavoro che viene subito dopo, quasi a ricordarci che sarebbe temeraria la pretesa di una provvidenza miracolosa, Posti tuttavia a raffronto, il combattimento spirituale si prospetta per noi più aspro e più impegnativo perchè più gravi sono i nostri obblighi, più alta la meta che ci siamo impegnati a raggiungere e più forti anche le tentazioni che, nonostante le cautele e gli accorgimenti, troviamo' ad ogni passo. Il cammino stesso della perfezione e lo sforzo per raggiungerla equivale a una milizia che non conosce sosta e non ammette tregua.
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CAP. XIV
Narra S. Teresa di Gesù che il 9 agosto 1575, dopo la Comunione, sentendosi con l'animo distratto e turbato, ebbe un pensiero di invidia per quelli che vivevano nei deserti, sembrandole che essi non avessero avuto la possibilità di trovarsi in simile stato. Il Signore, per farle comprendere che le tentazioni ci sono dovunque, anzi più grandi dove è più alto lo stato di perfezione al quale si tende, le fece udire queste parole: ti inganni molto, figliola. Le tentazioni del demonio sono là più forti che altrove. 2) E la medesima mette in guardia coloro che aspirano a maggior perfezione a star più attenti degli altri, perchè il maligno è solito assalirli in maniera assai dissimulata, per cui se non tengono gli occhi aperti si accorgeranno del male solo quando l'avranno subito. 3) L'osservazione è pienamente conforme al detto di S. Paolo richiamato dalla Regola: «Coloro che vogliono vivere piamente in Cristo, dovranno soffrire persecuzione» 4) e all'altro avvertimento dello Spirito Santo: «Figliuolo, apprestandoti al servizio di Dio, vivi in timore, e prepara l'anima tua alla tentazione ».") Il religioso che solo per il fatto di vivere in convento si ritenesse al sicuro dai pericoli spirituali, sarebbe poco avveduto e proverebbe ben presto amare delusioni, valendo per lui, non meno che per gli altri, il detto di Gesù: «n regno di Dio si acquista colla forza e i violenti se ne impadroniscono »,6) e ciò che raccomanda S. Paolo: «Con timore e tremore operate la vostra salvezza ».7) Il combattimento spirituale, spesso fecondo delle più impensate sorprese, ha la durata della vita, e come impe2) Relazioni spirituali, n. 44: in Opert:, trad. ital. del P. Egidio Cered.l di Gesù e P. Federico Areante, O.C.D., Roma [1950J, 475. 3) Cammino, 7, 6. 4) 2 Tim., 3, 12. 5) Eccli., 2, 1. 6) Mat., Il, 12. 7) Filip., 2, 12.
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gna i principianti e i proficienti, così impegna anche i perfetti, e, secondo le testimonianze dei Santi, si trova in forme durissime anche negli stadi più elevati della vita spirituale. Tra gli innumerevoli esempi che potremmo addurre scegliamo S. Maria Maddalena dei Pazzi, la quale, arida e triste come se Dio l'avesse rigettata da sè, ben cinque anni rimase esposta alle tentazioni più orribili, spesso turbata persino dalla vista mentale e materiale del demanio. «Credo non vi sia tentazione nell'inferno che io non l'abbia provata », affermava di sè la purissima Santa. Resa edotta a quella scuola, non si stancava di ripetere ad ammonimento delle sue figliuole spirituali: Dio non si trova nella soavità e nei gusti, ma nella vera virtù, la quale si acquista col patire e col vincere le tentazioni. 8) Per tener lontana qualsiasi illusione ed inganno è bene ricordare che la pace, specialmente lunga, non è conforme allo stato della vita presente, molto meno allo stato di perfezione, e coloro che ritengono di non esser tentati si ingannano: più probabilmente essi non avvertono le insidie per mancanza di riflessione o per una certa apatia spirituale. Non si può dire, però, che l'acqua sia pUra quando l'immondezza ha raggiunto il fondo, nè che il cielo sia sereno perchè arriva dall'alto un raggio di sole. L'assenza di tentazioni è il più delle volte solo apparente, e la calma preludio di più aspra tempesta. E' risaputo che le fonti da cui traggono origine le tentazioni sono tre: una più propriamente interna, le altre che agiscono dall'esterno. S) Cf. BAusA, Vita t:d estasi, l,51 ss.
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. La prima, conseguenza diretta del peccato originale, è il fomite della concupiscenza: la ben nota legge dei sensi, con tutto il cumulo di germi velenosi che contiene. «Nessuno - ammonisce l'Apostolo S. Giacomo - quando è sottoposto alla prova, dica che è tentato da Dio, perchè Dio non è tentatore di male, ma ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo alletta. Indi la concupiscenza, quando ha concepito, dà alla luce il peccato; il peccato poi, commesso che sia, genera la morte » .l') Le cause esterne sono il demonio colla sua astuzia e il mondo colle sue massime e i suoi esempi. «Il mondo è il nemico meno difficile a vincersi; il demonio è il più oscuro ad intendersi; la carne è il più pertinace di tutti, e i suoi assalti durano finchè dura l'uomo vecchio»: così scrive S. Giovanni della Croce.10) .. Quante tentazioni anche nella stessa casa religiosa. da parte dei confratelli! La parabola del grano e della zizania trova la sua applicazione tanto nella Chiesa, presa nella sua universalità, quanto negli istituti e nelle case religiose. Trascuratezza nella interpretazione e nella osservanza dei voti, superficiale valutazione della Regola, delle Costituzioni, del Cerimoniale, del Rituale ecc., insofferenza delle disposizioni dei superiori, maldicenza, mormorazione, esempi e massime che per la loro origine e per la forma con cui tante volte vengono presentate, agiscono molto più funestamente degli esempi e delle massime del mondo. Inoltre parole pungenti, giudizi, calunnie, scherni, rimproveri, invidie, mancanza di tatto e di educazione, vero banco di prova della più soda virtù, cesello delle anime generose ed eroiche. ") Giac., 1, 13-15. Cautele, introd.
10)
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Perchèil religioso non abbia a smarrirsi, a scoraggiarsi, a cadere, il pio autore della Imitazione di Cristo pone nella bocca del divin Maestro queste raccomandazioni: «Per amor di Dio devi sopportare ogni cosa: i lavori, cioè, e i dolori, le tentazioni, le agitazioni, le ansietà, le necessi·· tà, le infermità, le ingiurie, le parole a doppio senso, le riprensioni, le umiliazioni, le confusioni, le correzioni e . i disprezzi. Queste cose giovano alla virtù, provano il discepolo di Cristo, fabbricano la corona celeste. lo per un breve lavoro renderò una mercede eterna, e per una confuzione transitoria una gloria infinita ».") Considerate nel loro complesso, in quanto tendenze, stimoli, incitamenti ad andare contro l'ordine stabilito da Dio, sia che provengano dal demonio, dal mondo o dalle passioni, o da tutte queste cause collegate insieme, le tentazioni hanno spesso una tattica subdola e sorprendente. Talvolta è la stessa vittoria riportata in un determinato caso, a far sorgere perplessità, incertezze; tal 'altra è un atto virtuoso, un'azione nobile che solletica l'orgoglio, la vanagloria; in un caso può essere l'amore alla osservanza a mettere in pericolo l'esercizio della carità fraterna, in un'altra l'eccesso di umiltà, o un'umiltà fuori posto, a far trasgredire il dovere della ammonizione e della con-ezioné. .E quanti inciampi nelle opere suggerite dallo zelo della gloria di Dio e della salvezza delle anime! s. Teresa, spiegando l'invocazione del Pater noster: «Et ne nos inducas in tentationem », mette in guardia .da quei demoni che sogliono trasformarsi in angeli di luce c, così travestiti, non si fanno conoscere se non dopo 1') Imitazione, III, 35, 2.
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aver danneggiata gravemente l'anima. Le succhiano il sanque, le tolgono la virtù, la fanno cadere senza che ella se ne accorga. E ammonisce che uno dei punti dove il demonio ci può recare grave danno senza rivelarsi, è nel farci credere, indebitamente, che siamo adorni di virtù. Così ci può far credere di possedere la pazienza, al punto da protestarci pronti a soffrire molto per amor di Dio, o di aver acquistata la povertà di spirito, mentre non è affatto vero. Ci può suggerire pensieri e desideri violenti di far penitenza, non conforme però a ciò che è comandato, ispirar lo zelo per una più alta perfezione a detrimento della carità, e così via. «Il demonio - ella scrive - è come una lima sorda che bisogna cercar di sorprendere fin dal principio ».12)
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è tentata - dice S. Giovanni della Croce - esercitata e provata con tentazioni e pene, il suo senso non può arrivare alla sapienza. Onde l'Ecclesiastico disse: chi non è stato tentato che cosa sa? E chi non ha esperienza di che può giudicare? » 14) Per questo nei libri santi viene ripetutamente messa in risalto l'opportunità e la necessità della tentazione. E, superiore a qualsiasi altro, è l'ammaestramento del nostro divin Salvatore, il quale permise di essere tentato nei sensi, nella vanagloria e nella cupidigia, che sono i lati più vulnerabili della nostra natura. « Se l'anima non
A sostenere nella lotta e a infondere la necessaria pazienza e perseveranza è di grande aiuto il pensiero del fine cui essa tende secondo il volere di Dio: cioè il progresso nella virtù e la stabilità in essa. Così a perfezionare la fede varranno i dubbi che il demonio mette nella mente sulle verità che dobbiamo credere; a rafforzare la speranza i momenti di amarezza e di scoraggiamento generate da infermità, incomprensioni, offese; a render più viva la carità gli allettamenti e le seduzioni delle creature, e cosi via. «Quanto tu pregavi con lacrime - disse l'Angelo a Tobia - e seppellivi i morti, e lasciavi il tuo pranzo, e durante il giorno tenevi i morti nascosti in casa tua e di notte li seppellivi, io presentai al Signore la tua preghiera. E siccome eri accetto a Dio, fu necessario che la tentazione ti mettesse alla prova ».13) Lo stesso fu di Giobbe. 12) 13)
Cf. Cammino, 38-39, e Castello, prime mans., 2, 16-18. Tob., 12, 12-13.
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1<) Notte oscura del lenso, 13, 3.
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II
LE ARMI DEL COMBATTIMENTO Con ogni sollecitudine dovete rivestir vi dell'armatura . di Dio affinchè possiate rimanere in piedi contro le insi. die del nemico. L'espressione usata dall'Apostolo S. Paolo e divenuta comune nella antichità monastica, presenta con grande efficacia la condizione del militante, propria del cristiano, e la necessità di scendere in campo con le dovute cautele. Il legislatore la dovè ritenere tanto più adatta alla mentalità dei destinatari in quanto molti di essi, prima di darsi ;alla vita eremitica, avevano combattuto da prodi soldati . per il riscatto dei luoghi sacri. Se esiste una battaglia da combattere, vi è il dovere di impugnare le armi capaci di assicurare la vittoria; e quando si tratta della salvezza dell'anima e della perfezione da conquistare, queste non possono essere che spiri. tuali. La Regola, che già nei precedenti capitoli pur senza indicarle con questo nome ne ha indicate alcune validissime, e cioè l'obbedienza, la povertà, la solitudine, la mor,tificazione, la preghiera, ora di proposito si sofferma a considerare altre virtù, alle quali sembra che in maniera più propria convenga l'appellativo di armi spirituali, e . che, unitamente alle altre, costituiscono una forte cintura . di protezione e un mezzo sicuro di vittoria. Nell'enumerarle il legislatore non segue nè un ordine
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logico, nè un ordine di preminenza, importandogli solo segnare la strada da percorrere per vivere stabilmente nell'ossequio a Gesù Cristo. Lo schematismo proprio della mentalità moderna, che pure serve alla impostazione dei problemi e alla chiarificazione delle idee, sembra quasi contrastare colla semplicità e la brevità di un insegnamento tutto spirituale, quale è quello della Regola. 1. L'arma della castità: I vostri fianchi debbono essere cinti del cingolo della castità.
. Anche questa espressione richiama un passo dell'Apo.. stolo S. Paolo, non sappiamo se adattato volutamente dal legislatore al proprio scopo, o riportato da qualche testo allora corrente. L'originale dice: «State, dunque, in piedi, avendo i fianchi recinti nella verità »/) Quanto alla interpretazione egli accetta quella di S. Gregorio: «Cingiamo i nostri fianchi quando, per mezzo della continenza, reprimiamo la lussuria della nostra carne». 2) Abbiamo già detto che la Regola primitiva parlava della castità solo in questo punto, considerandola sotto l'aspetto di arma spirituale, non di voto. La spiegazione di Innocenzo IV e la legislazione successiva che ha vo.1uto specificare il voto nella professione, non hanno aggiunto nulla di sostanziale al concetto originario, ma hanno inteso interpretare e quasi chiarire il significato esatto di questa virtù, che si identifica col voto, in conformità allo spirito della vocazione carmelitana. La Regola infatti 'ordinandoci di servirci della castità come di un'arma per superare le tentazioni della vita, ne presuppone il possesso a tutta prova, mentre le Costituzioni da una parte ci spie') Ef., 6, 14. ~) Homilia 13 in EV(lng.:
MIGO:E,
P. L. 76. 1123.
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gano perchè noi carmelitani ne dobbiamo avere un culto tutto particolare, e dall'altra ci richiamano alla osservanza di quelle cautele che la preservano e la custodiscono. Il tema viene impostato da queste in termini persuasivi e chiarissimi: «Affinchè quest'altro voto della nostra professione, di particolare importanza per noi figli della Madre divina e tanto necessario alla purità interna colla quale ci uniamo a Dio, si abbia in somma cura ... » 3) Se la purezza del corpo e dell'anima costituisce uno dei più begli ornamenti del cristiano, e per la sua conservazione nessuna battaglia deve considerarsi troppo aspra o troppo lunga e nessun sacrificio troppo duro, per noi carmelitani è la ragione prima del nostro esistere, in quan~ to, senza di essa, ciò che diciamo della nostra vocazione si ridurrebbe, più o meno, a ostentazione vana. Il punto delle Costituzioni che ribadisce i doveri inerenti alla qualifica di figli della B. Vergine può considerarsi la sintesi della dottrina mariana dell'Ordine. Infatti, a cominciare dal secolo XIV, il tema dei rapporti tra Ma~ ria SS. e gli eremiti del Carmelo fu trattato ininterrottamente, e con molta efficacia, da questo punto di vista, arrivandosi alla conclusione che oltre al titolo di figli compete ad essi, a buon diritto, anche quello di fratelli per la somiglianza di vita, e, sopratutto, per il voto di castità che li accomunò sin dall'inizio in un unico ideale ed una identica consacrazione a Dio. Muovendo da questo principio e dal pensiero che il Carmelo fosse abitato dai Figli dei Profeti anche al tempo della Incarnazione, fu considerato quanto mai naturale che la SS. Vergine, nei giorni della sua vita terrena, a) Art. 123.
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avesse trattato gli eremiti del Carmelo con familiare confidenza, e persino si fosse consacrata a Dio col voto di verginità prendendo esempio da loro. Gli scrittori che si succe~ono l-:ei sec?li XIV e XV nulla tralasciano di quanto puo serVIre a mcrementare la tenera e filiale devozione verso la celeste Madre, e ad ispirare un alto concetto dell'Ordine a lei consacrato. Anche la cappa bianca, dal tempo del B. Giovanni Soreth, assurse a simbolo di purezza 4) e come tale entrò nella cerimonia della vestizione e professione religiosa: «Coloro che seguono l'agnello senza macchia, cammineranno insieme a lui vestiti di bianco, perciò le tue vesti siano sempre candide in segno esteriore della tua purità interna ».") Arnoldo Bostio, il quale fra tutti tratta l'argomento con singolare calore, ha questa esortazione, che a distanza di secoli arriva a noi limpida e fresca come fosse di oggi: « Tu figlio della divina Maria, tu arbusto di Elia non pregiudicare la loro gloria e non svi1irne la lode. Medita continuamente quelle parole del tuo santissimo Padre, che riepilogano i suoi fatti. Vive il Signore nel cui cospetto mi trovo oggi. E ogniquavolta ti accorgerai di aver ]a mente distratta, negligente o occupata in cose vane, ricordando quelle parole, torna a raccog1ierti. Così progredirai ogni giorno nella custodia vera del cuore, nella stabilità interna e in ogni virtù, nè ti allontanerai dalla madre e sorella infinitamente buona. Una vena nobilissima ne attesti 1'origine: il fratello che si trova sotto la eccellentissima dignità di Maria Regina, si guardi dal far cosa indegna di tale sorella, che anzi, colla somiglianza della .) Constitutiones ... [Venetiis, 1499], capitoli 74-75. f) Rituale, 465, 484.
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vita, dia prova efficace di unione. Se tu menassi vita COfrotta e chiamassi sorella colei che ha generato il nore della incorruzione, profanaresti con voce sconcia un nome incorruttibile. Come esige il tuo nome, non solo devi star lontano dal male, ma anche da tutto ciò che ne ha la parvenza. Fa che il tuo nome ti convenga realmente ... La tua mente sia candida come la veste, e l'abito sia maestro a chi l'indossa ».") Non meno forte è la seconda ragione che ci impegna alla custodia della purezza: il fatto di appartenere a \m Ordine eminentemente contemplativo. Muovendo da questa realtà che non possiamo non riconoscere e non professare, a meno che non vogliamo tradire la nostra vocazione, il P. Michele di S. Agostino deduce che noi carmelitani siamo obbligati non a una qualsiasi forma di purezza, quale potrebbe essere la fuga dalla colpa grave, ma alla purezza piena e integrale, cioè alla purezza del cuore, e di conseguenza all'uso dei mezzi necessari per attuarla. Il medesimo autore specifica in che cosa consista questa purezza propria dei religiosi consacrati alla vita interiore: 1. Che quanto entra nel cuore o vi esce sia conforme alla volontà di Dio e conduca a lui. 2. Che si cerchi, si ami e si possieda lui solo stabilmente, mortificando tutti i sensi e tutte le potenze. 3. Che si allontanino sde(J]1osamente tutte le cose vane ed inutili che bussano alle ~orte del cuore. 4. Che ci si liberi da ogni cosa non necessaria che non conduce a Dio e si attenda con sollecitudine a lui solo, cercando sempre e dovunque il suo be-
111
G) A. BOSTlus, o. CARM., De paironaltt et patrocinio B.mae V. Mariae dicatum sibi Cal'meli Ordine/Il, in Spec. Carm., I, 1535.
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neplacito. 5. Che si tenga lontana ogni vana occupazione dell'intelletto, della memoria, della volontà, della fantasia, dell'appetito sensitivo ecc., si fugga ogni divagazione della mente, e si tenga il cuore nsso in Dio solo, aderendo a: lui con fede semplice e carità vera. 6. Che abbiamo a considerarci in questo mondo come ospiti e pellegrini, nulla desiderando di quanto gli appartiene, come si fosse soli davanti a Dio e con Dio, e nulla esistesse fuori di lui. In breve, egli conclude, la perfetta purità del cuore consiste nell'annichilamento e rinnegamento di qualsiasi affetto alle creature, e anche di pensieri che non fossero conformi al volere di Dio, e nella sincera adesione del cuore a lui 5010. 7 )
In tal senso è evidente che la purezza del cuore si identifica colla perfetta povertà di spirito. Non si dica che questi autori ci indicano una meta troppo alta o superiore alle capacità umane, perchè a prescindere dal fatto che oltre ad essere stati maestri colla parola essi lo furono anche coll'esempio, a chiunque beH rifletta, l'insegnamento non può non apparire inerente e conforme allo spirito della Regola e quindi alla essenza della vera vocazione del Carmelo. Il ven. P. Michele di S. Agostino, e con lui la bella schiera di maestri di vita spirituale fioriti all'ombra del nostro Ordine, non conoscono uno o anche più aspetti della virtù, ma la abbracciano nella sua intierezza, ne penetrano in fondo, ne seguono le ramificazioni fino alle ultime propagini, ne traggono le estreme conseguenze. Così, come la povertà significa rinunzia totale ai beni materiali, naturali, morali e anche spirituali e soprannaturali; il vuoto completo del corpo e dell'anima, delle facoltà e 7) ltltroduct;o, 60-62.
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delle potenze; lo spogliamento di tutto per rivestire Dio che è veramente tutto: ugualmente la purezza significa non solo immunità dai peccati gravi e da qualsiasi macchia anche leggera, ma distacco da ogni cosa transitoria e continua, totale adesione a Dio. Lo stesso ven. P. Michele commentando le parole del salmo: «Quis ascendet in montem Domini?», che egli interpreta per il monte della contemplazione, e, sopratu~ to la risposta: «Innocens manibus et mundo corde», SCflve: «Sembra voglia qui insinuarsi che nessuno può salire il monte della contemplazione, mediante il lume della vita o della nuda fede, e rimanere davanti a Dio nella conversazione interna, se non chi, in ogni luogo, avrà saputo levare a Dio le mani pure, vivere di fede, operar tutto nella fede, e avrà ottenuto da Dio la purezza del cuore nella fede ». Quindi conclude: «Dal che si comprende quanto sia sublime la nostra vocazione, e quale obbligo abbiamo di tendere alla somma purezza del cuore, senza la quale non possiamo raggiungere. la nost!~ perfezione finale. Si comprende anche quanto Siano fehcl coloro che sono chiamati alla vita mistica essendo propria di essi la sentenza del Salvatore: Beati i mondi di cuore perchè vedranno Dio ».8) Ma nessuno deve presumere di arrivare a questa meta alta e nobilissima con un volo d'aquila. I passi nella virtù vanno mossi gradualmente, uno dopo l'altro, coll'uso abbondante dei mezzi soprannaturali che la Divina Provvidenza ci elargisce, e anche la messa in opera di quelle cautele che vengono suggerite dalla prudenza e dalla esperienza. S) !vi, 75-76.
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Per questo le Costituzioni, dopo averci richiamato il fine ultimo della nostra vocazione, e indicato nella purezza perfetta il mezzo per conquistarlo, proseguono: «Stabjliamo prima di ogni altra cosa, che tutti si esercitino con cura nella mortificazione dei sensi, trattengano gli occhi, frenino la lingua, tengano chiuse le orecchie, perchè la morte entra dalle finestre. Tengano inoltre i moti dell'animo così regolati che i loro discorsi siano sempre casti, i gesti pudichi, e tutte le. azioni emanino un profumo di soavissima castità, sì da essere in ogni luogo ~ tempo il buon odore di Cristo e della sua SS. Madre ».P) Data la frauilità umana e l'inclinazione al male, ~ rebbe presunzi;ne e superbia confidare nelle proprie forze e sottovalutare i suggerimenti di una preziosa e universale esperienza che le nostre Costituzioni ci danno non come consiglio, ma come precetto. Custodita colla mortificazione dei sensi esterni ed interni, alimentata e resa luminosa dall'ideale della contemplazione e dal desiderio di riprodurre la vita della Madre celeste, la castità è una potente arma di difesa, come la intende la nostra S. Regola. Essa infatti' conferma la valont:1 nel bene, suscita pensieri santi, propositi ardimentosi, sostiene lo zelo apostolico, fa amare il sacrificio, tiene lontane le tentazioni di scoraggiamento, di accidia, di <Imo! propno. 2. L'arma dei pensieri santi: Il vostro petto deve essere corroborato di pensieri santi, perchè sta scritto: il Pellsiero santo ti custodirà. l0) ~) Art. 123. :lO) Il testo biblico richiamato in questo punto
è nei Proverbi, 2, 11, conforme per,) all'antica traduzione latina, precedente la Volgata, fatta sul testo dei LXX: «consilium bonum custodiet te, cogitatio autem sancta ser17.
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Che il pensiero santo, cioè nobile, puro, fisso in Dio e nei misteri della nostra santa religione, costituisca una arma efficace contro le tentazioni, è facile comprenderlo; essendo infatti una continua preghiera che solleva dalle cose della terra e fa desiderare quelle del cielo, tiene il cuore serrato ad ogni suggestione perversa. Ciò si conlprende tanto meglio se si riflette che la tentazione opera generalmente attraverso la fantasia, che prospetta un bene inesistente o un male immaginario: e poichè due contrari non possono stare insieme, ne segue che il pensiero buono allontana quello cattivo o pericoloso. Quest'arma si custodisce e si affina colla meditazione, la lettura spirituale e la conversazione edificante di cose pie, come è prescritto dalle nostre Costituzioni,1J) mentre fugge di mano a coloro che vanno in cerca di distrazioni col divertimento, le amicizie coi secolari, le conversazioni inutili, le letture sconvenienti e nocive, che riempiono ia fantasia di mille immagini pericolose. I canali puliti portano acqua pura, quelli sporchi acqua inquinata: così è della fonte da cui traggono origine i pensieri. Torna conto notare che il pensiero santo preserva e custodisce da ogni genere di tentazioni, ma particobrmente da quelle contrarie alla castità, alla carità fraterna e alla osservanza regolare, perchè in sua mancanza la fantasia si riempie facilmente delle immagini più strane e pericolose, le quali o allettano al peccato o turbano e tormentano in mille maniere fino a rendere dura la vita religiosa e a farla apparire anche impossibile. 3. L'arma della carità: Dovete indossare la corazza delvabit te.», mentre la Volgata ha: «Consilium custodiet te et prudentia servabit te ,}. 11) Cf. art. 180.
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la giustizia per poter amare il Signore, Dio vostro, C011 tutto il cuore, con tutta 1'anima, con tutta la forza e il prossimo vostro come voi stessi. Come la virtù della giustizia, intesa in senso pieno, si identifica colla carità perfetta e perciò presuppone l'osservanza di tutta la legge, così la corazza della giustizia, che è la corazza della carità, è un'arma di protezione che include tutte le armi spirituali conferendo loro efficacia e valore. L'amore dovuto a Dio è senza limite. L'antica legge, ribadita da Gesù dice: con tutto il more, con tutta la menie, con tutta la volontà. Il fine stesso della legge è l'amore e la perfezione si identifica coll'amore. Chiunque riesce a vivere nella carità perfetta si sottrae, per ciò stesso, a qualsiasi influsso di tentazioni, come è dei Santi del Paradiso, e delle anime che hanno raggiunto sulla terra il grado ultimo di unione con Dio. «Il demonio - dice S. Giovanni della Croce - teme l'anima unita con Dio, come teme Dio stesso ».12) Finchè si è lontani da questa meta è doveroso sentirne il desiderio e tendervi con seria volontà, perchè in proporzione di questo desiderio riusciamo a sottrarci al fascino delle creature, che altrimenti diventa irresistibile. La santa Regola che non può supporre uno stato d~ perfezione acquisita, ci richiama al desiderio di essa e Cl esorta a perseguirla con tutto l'impegno.
Dovete indossare la corazza della giuJtizia. «Tu dunque, figliuol mio - si legge nella Regola dei primi monaci - se vuoi essere perfetto e raggiungere il fine delia 12)
Al'visi e massime, PUliti di amore, n. 47.
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vita monastica eremitica, e stare contro il Giordano, cioè contro l'abisso dei peccati, nasconditi, come è doveroso, nel Carith, cioè nella carità, ed ivi bevi dal torrente. Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, perchè quando avrai fatto ciò sarai perfetto, e potrai nasconderti contro il Giordano nel Carith, cioè nella carità ».13) L'arma della carità, per il fatto stesso che lancia verso Dio, distacca dalle creature, libera il cuore dalle umane affezioni e rende l'anima invincibile. «La livrea della carità - dice S. Giovanni della Crome - ...non solo nasconde e difende l'anima dal terzo nemico, che è la carne (poichè dove è vero amore di Dio non entra amor di se stesso nè delle proprie cose), ma anche avvalora le altre virtù, dando loro forza e vigore a protezione dell'anima, e grazia e bellezza afhnchè con esse ella possa piacere all'amato: perchè senza la carità nessuna virtù è grata agli occhi di Dio» .14) Dall'amore di Dio scaturisce l'amore verso il prossimo, col quale costituisce una cosa sola perchè il vero amore del prossimo non è altro che l'amore di Dio nel prossimo. «Se comprendi a fondo - si legge ancora nella Regola dei primi monaci - devi amare Dio per se stesso, te per Iddio non per te stesso: e poichè devi amare il tuo prossimo come te stesso, lo devi amare non per sè e non per te, ma per Iddio: e questo che altro significa se non amare Dio nel prossimo?» .15) E poichè 1'amore «è longanime, è benigno, non ha invidia, non agisce invano, non si gonfia, non è ambizioso, non è egoista, non si irrita, non pensa al male, non. si compiace dell'ingiustizia, ma gode della verità, soffre ogni cosa, ogni cosa crede, tutto spera, ~~) Spec. Canti., I, 31.
.o,) Spec. Cal'lIl., I, 33.
") N ott~
OSClira
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tutto sopporta» ,'U) premunisce, sopratutto, dalle tentazioni che traendo origine dall'amor proprio e dall'ambizione tendono a rendere insensibili ai bisogni del prossimo. E' evidente che il precetto evangelico della carità cri~ stiana obbliga, prima di tutto, nei riguardi dei confratelli coi quali dividiamo la lode di Dio, il lavoro, i pasti, il riposo. Le Costituzioni dettano norme pratiche sapientissime: «Tra i nostri religiosi non vi sia troppa familiarità nella conversazione, ma tutti si amino ugualmente nel Signore ».11) Le amicizie particolari, oltre ai pericoli intrinseci che contengono, sono nocive alla carità e possono pregiudicare la pace del convento, mentre l'affetto vero, che si ispira a motivi soprannaturali e fa vedere nel prossimo l'immagine di Dio, un'anima destinata a lodare il Signore per tutta l'eternità, giova alla elevazione spirituale degli animi, rende la vita religiosa serena, il convento desiderabile ed edifica anche i secolari. S. Giovanni della Croce, a proposito di affetto particolare fa una distinzione molto importante, che ci piace riferire per il suo valore pratico. Se l'affetto - egli insegna - procede da motivi naturali, quali la bellezza, la gentilezza, l'intelligenza ecc. è da condannare perchè rende schiava l'anima, e pregiudica la carità, secondo la guale si deve amare tutti ragionevolmente e spiritualmente,. come Dio vuole; quando invece procede da motivo di virtù (affetto per una persona fervorosa, osservante, piena di timor di Dio), è lodevole, perchè amare una persona per la virtù che possiede significa amare secondo Dio e con molta libertà, cioè amare Dio nella creatura.18) Che l'esercizio della carità cristiana tra le mura del convento sia condizione indispensabile al raggiungimento del
dello spirito, 21, 6 . 10)
l Cor., 13, 4-7.
17)
Art. 179.
18)
Cf. Salita, III, 22, 1.
262
CAY. XIV
fine comune della vocazione religiosa appare anche dal detto di Gesù: «In questo conosceranno che siete miei discepoli se vi amerete l'un l'altro» t) mentre l'apostolo della carità insiste: «Carissimi, amiamoci scambievolmente, perchè la carità vien da Dio... Chi non ama non ha imparato a conoscere Dio perchè Dio è amore ».2(') Ma l'amore del prossimo, al pari dell'amore di Dio, si prova colle opere, mediante la scambievole comprensione delle necessità altrui, l'aiuto materiale e spirituale e la sopportazione cristiana dei difetti. Le Costituzioni non mancano, anche su questo argomento tanto importante, di norme pratiche precise. Così a riguardo degli infermi, che costituiscono la categoria dei più bisognosi, stabiliscono: «Quando qualcuno dei nostri cade ammalato, tutti i religiosi che dimorano nella casa, ma specialmente i superiori, si adoperino secondo il bisogno a confortarlo, tanto colla parola che coll'opera per il ricupero della salute~) ; prescrivono inoltre che sia designato un infermiere capace, pieno di affabilità, virtù e discrezione; che all'ammalato si prestino tutti gli aiuti materiali e spirituali,21) non-chè di avere una cura sollecita dei religiosi vecchi e deboli, la cui salute abbisogna di speciali attenzioni. 22 ) Raccomandano anche con somma premura che in ogni provincia vi sia un convento ben attrezzato per i religiosi infermi. 23 ) Inoltre fanno obbligo al priore di rendersi comprensivo dei bisogni spirituali e materiali dei sudditi, di aver per tutti le stesse manifestazioni di affetto, di parlar loro con grande carità e di consolare, con paterna benevolenza, quanti fossero angustiati, tristi, timidi e deboli,24) 19) 22)
Giov., 13, 35. 2(,) 1 Giov., 4, 7-8. Art. 364. 23) Ivi. 24) Artt. 309-3 lO.
21)
Artt. 35~-3(i1.
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e raccomandano particolari attenzioni, in ciò che riguarda la lecrge del digiuno, per i fratelli soggetti a lavori di carattere ~traordinario. 25) E poichè, nonostante siamo venuti in religione, animati da un identico proposito, siamo stati educati a una medesima scuola, siamo sorretti da uno stesso ideale, non sono scomparse le diverse tendenze di natura, i diversi umori, e diversi modi di sentire e di ragionare, si impone anche un'altra necessità: quella di saperci cristianamente sopportare e compatire, con grande pazienza e longan~ mità. Il ven. Giovanni di S. Sansone, il quale non fa mlstero di questo stato di cose, da uomo di perfetta vita interiore, dà questi suggerimenti che fanno della carità ~n~ vera arma contro le debolezze della natura e le tentazlOill del demonio: «Quando, contro ogni diritto e ragione, sarete tormentati dalle creature o anche dai superiori, eccitate il vostro amore in Dio, non con lunghe formule aspirative, ma con semplici sospiri, movimenti e sguardi, rinnovati con frequenza e ardore, e lanciati a lui con t~tto l'affetto ... Infine - dice - io non pretendo che abblatc ad essere insensibili ai colpi della mortificazione ... Nè pretendo che non abbiate a vedere che quanto vi si fa talvolta potrà essere contrario a ogni buona ragione, e che le persecuzioni di cui soffrite siano ingiuste. Ma pazienza L. Bisogna ingoiare queste pillole anche se molto amare, senza far conto del risentimento naturale, e perseverando nel profondo desiderio di essere sempre sconosciuti agli uomini e conosciuti a Dio solo, sposo divino della vostra anima. 2H ) 2:,) Art. 87. "') Oelfl'l'eS,
97.
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LE ARMI DEL COMBATTIMENTO
A maggior dilucidazione e a guida dei meno esperti riteniamo utile notare che la virtù non va confusa col sentimento, per cui se vivere in religione costa sacrificio, e talvolta la natura si ribella perchè certi caratteri dispiac~ ciano, il modo di agire di qualcuno è grossolano, questo è solito rispondere con poco garbo, quello è molto attaccato alla propria opinione, quell'altro è proclive a pronunziare parole a doppio senso, non per questo si vien meno alle leggi della carità perchè la virtù non consiste negli impulsi della natura, ma nella volontà; anzi tanto più è meritoria quanto più il suo esercizio esige sforzo e dominio di sè. Nè è da chiamarsi finzione quando si sopporta con pazienza ciò che è molesto, si cerca di dissimulare ciò che dispiace, e sopratutto si è pronti ad aiutare e a far del bene a chi meno andasse a genio e offendesse. Un esempio ammirabile l'abbiamo in S. Teresa del Bambin Gesù, la quale, a costo di non comune sacrificio, riuscì a dare l'impressione di nutrire delle preferenze pro-. prio verso quelle consorelle dalle quali il suo sentimento fine e delicato la teneva maggiormente lontana.
4. L'arma della fede: In ogni cosa dovete impugnare· lo scudo della fede sul quale possiate spegnere tutti i dardi infuocati del maligno.
Questi cenni sommari, e molto più l'esperienza vissuta più o meno a lungo, ci fanno capire che il precetto della carità cristiana è vasto e il suo esercizio complesso e difficile. Per comprenderlo, e più ancora per praticarlo, è necessario far ricorso spesso alla fede che abitua a vedere Dio nel prossimo e nella casa religiosa una famiglia. Ma poichè dove c'è carità c'è Dio, e dove la carità manca Dio è lontano, ciascuno deve esser pronto a sacrificare interessi, suscettibilità, punti di vista personali per la conquista e lo stabilimento di un bene tanto prezioso e fecondo.
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La fede può intendersi in senso imperfetto, come semplice adesione della mente alle verità rivelate, e in senso, pieno, come adesione della mente e della volontà a Dio, e alle verità da lui rivelate. Nel primo caso può essere anche informe, cioè esistere senza la grazia; nell'altro invece viene vivificata dalla carità e presuppone la grazia santificante. «L'atto di fede - insegna S. Tommaso - è ordinato, come a proprio fine, all'oggetto della volontà che è il bene, ma poichè il bene divino al quale è ordinata la fede è l'oggetto proprio della carità, perciò la carità è la forma della fede, in quanto l'atto di fede si perfeziona e si completa mediante la carità ».27) S. Giovanni della Croce a sua volta scrive: «Quanto più l'anima è pura e perfett:l nella fede, tanto più ha carità infusa da Dio ».28) E Giovanni di S. Sansone: «La fede saporosa illumina l'amore e l'amore consolida la fede. Quelli che possiedono questa fede saporosa, godono già in questa vita, in qualche mo-· do, la felicità partecipata. La fede non c'è stata infusa nel Battesimo se non perchè la rendiamo saporosa mediante un amore pio e continuo ».2) In questo senso è lo scudo sul quale battono e si spengono i dardi infuocati del demonio. «La perfezione religiosa - scrive ancora il ven. Giovanni di S. Sansone non consiste nello studiare nè nel conoscere scientifica-o mente e con speculazione scolastica molte cose divine, essendo ciò comune ai giusti e ai peccatori, ma nel conti-o 27) !!9
Summa, II II, q. 4, 2. 3 c. Oeuvres, Abregé de la vie, 37.
28)
Salita, II, 27, 5.
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nuo esercizio della fede, accompagnata dalla luce, dal gusto e dall'amor di Dio, e dalla pratica di ciò che è più importante e più necessario alla nostra salvezza. Noi dobbiamo incessantemente praticare la nostra fede, in maniera da avere in noi la vista e il sentimento di Dio quale è in sè, in noi e in tutte le cose. Quando m~:!Il· ca l'amore attuale di Dio non dobbiamo meravigliarci se non lo sentiamo in noi in maniera soprannaturale, perchè considerandolo solo col nostro potere e con la n~stra debolezza naturale, con intelletto puramente umano che si contenta degli oggetti che specula, nei quali pone la sua presente felicità, e della quale non immagina altra più grande, ignoriamo quanto egli sia buono e gustoso» .:lV) La fede, così intesa, ci fa vedere Dio in tutte le cose, nelle grandezze, bellezze e misteri della natura, negli avvenimenti sia tristi che lieti e sopratutto nella nostra anima; richiama i suoi giudizi, i castighi riservati ai peccatori e il premio preparato ai giusti. Chi vive in questo stato non è vulnerabile agli assalti del nemico. 5. L'arma della speranza: Dovete anche porre sul capo l'elmo della salvezza, affinchè attendiate la salvezza soltanto dal Salvatore, che può salvare il suo popolo dai propri peccati. Ogni tentazione, da qualunque parte venga, tende a persuaderei che la felicità la possiamo trovare anche in questo mondo, e forse anche solo in questo mondo; nel· l'uso lecito e illecito delle creature: nelle amicizie, negli ()fiori, nella ricchezza, nel piacere, ecc. Contro questi pericoli si opera tenendo il capo coperto 30)
Ivi, 576.
LE ARMI DEL COMBATTIMENTO
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coll'elmo della salvezza, che è speranza di un'altra vita, fiducia in Dio e nei meriti di nostro Signore Gesù Cristo. Come l'antico soldato romano poteva alzare la fronte senza temere i colpi dell'avversario se aveva il capo protetto da un elmo solido e resistente, così il soldato di Cristo, che crede e spera in lui, può camminare sicuro tra i pericoli e le seduzioni del mondo, che n011 gli è possibile schivare, quando è protetto da questa fiducia, tanto più che Dio, nella sua infinita misericordia non permetterà la tentazione superiore alle forze, e colla tentazione darà anche 13 via di uscita. 31) S. Giovanni della Croce dà la seguente spiegazione: «L'elmo è un'armatura che protegge tutta la testa e la copre in modo che non le rimane altra parte scoperta se non la visiera per vedere. Lo stesso fa la speranza, che protegge tutti i sensi del capo dell'anima dalle cose del secolo, di modo che le saette di questo non giungano a ferirli in nessuna parte. Soltanto le lascia una visiera, afhnchè gli occhi possano mirare il cielo e non altro, poichè è officio ordinario della speranza far sollevare all'anima lo sguardo a Dio solo, come David afferma aver fatto dicendo: OcuIi mei semper ad Dominum, non sperando alcun bene da altra parte. Onde il medesimo in un altro salmo dice: Come gli occhi della serva si posano nelle mani della sua padrona, così i nostri si fermano nel nostro Signore Iddio, fino a che abbia pietà di noi che speriamo in lui ».32) . 6. L'arma della parola di Dio: La spada poi dello spio nto, formata della parola di Dio, abiti abbondantemente nella tlostra bocca e nei vostri cuori. :è!) Cf. l Cor., lO, 13.
"2) Notte
aSCI/m
deilo spirito, 21, 4.
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Il soldato non deve solo difendersi se attaccato ma anche passare all'offesa. Giustamente si dice che la miglior difesa spesso è l'attacco, e come nell'ordine materiale l'arma adatta per questo era anticamente la spada, così nell'ordine spirituale è la parola di Dio, custodita nel cuore e d'uso frequente nella bocca. Essa tiene lontani i pericoli perchè scoraggia in partenza l'avversario o lo pone nella impossibilità di nuocere. L'Apostolo S. Giovanni si rallegrava coi giovani perchè con questo mezzo erano riusciti a vincere il demonio: «Scrivo a voi, giovani, perchè siete forti e la parola di Dio sta in voi, e avete vinto il maligno». S:l) A rendere abituale l'uso della parola di Dio, e prima di tutto a stabilirla nel cuore, servono i mezzi suggeriti ed imposti dalla Regola, sopratutto la meditazione, lo spirito di fede e l'esercizio della carità. Chi vive unito con Dio ed è abituato alla intima conversazione con lui non solo troverà facile, ma necessario portare sul labbro il suo nome, i suoi attributi, la sua legge e agire per la ncerca e la dilatazione della sua gloria. Concludiamo il commento a questo capitolo con una bella esortazione del nostro ven. Giovanni di S. Sansone: «Bisogna dunque che nel corso della nostra amara peregrinazione ci comportiamo da soldati fedeli e generosi, e coll'aiuto dello Spirito Santo teniamo testa e ardentemente, senza venir meno, ai nostri nemici che sono le nostre passioni e i demoni che vanno intorno per divorarci. Le nostre armi sono la fede e la carità. Un amore attuale, ardente e perenne deve animare la nostra fede a questo continuo e amoroso combattimento per vincere le 3S)
l Giov., 2, 14.
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tentazioni del demonio senza subirne minimamente le suggestioni, per quanto speciose e colorate di un bene apparente, e un santo odio di noi stessi. Dobbiamo vigilare di continuo e con profondissima umiltà di cuore su di noi, e questo medesimo cuore dobbiamo effondere senza sosta, come acqua preziosissima, davanti alla infinità maestà di Dio, perchè così egli vuole e questo ci chiede espressamente. Se faremo ciò egli non mancherà di esserci favorevole ... Da soldati generosi dobbiamo preferire mille volte morire anzichè lasciarci vincere dai nemici come fiacchi e pusillanimi. Al fine di abituarci fortemente al1a nostra milizia armiamoci dello spirito di Dio e di un ardente e in defettibile desiderio di piacergli. E' vero che la lotta all'inizio è amara, ma diventa poi dolce nel mezzo e ancora più saporosa alla fine. Al principio del combattimento i servitori di Dio agonizzano foro temente per non cader morti sul campo, e se cadono si rialzano coll'aiuto della grazia che li eccita dall'interno, poi sentendo in sè forze nuove, capaci di abbattere i nemici che sono gli appetiti e le passioni, saranno essi stessi ad attaccare e a provocare il combattimento... Così la guerra sbocca nel combattimento, il combattimento nella vittoria, la vittoria nella pace, la pace nel riposo soave e il riposo nella corona della immortalità e della gloria, nella pienezza di ogni bene e di ogni felicità ». ~4)
H) OCIiNes, 876-878.
CAP. XV
IL LAVORO
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IL LAVORO
Capitolo Decimo Quinto
Dovete fare qualche lavoro affinc~è il ~emonio Ili trovi sempre occupati, nè dal vostro OZiO ~bbta a t~'?vare qualche adito [per entrare] nelle vostre amme. In CIO avete l'imegnamento e insieme anche l'esempio dell'Apostolo Paolo, per la cui bocca parlava Cristo: il quale, è stato tIOsto e dato da Dio dottore delle gentz nella fette e nella [lt:rità: 1) e se lo avrete seguito non potrete errare. Egli disse: «Fummo presso di voi nel lav~ro.e nella faiica operando giorno e notte per non esserVl di agft.t"a~ via. N 011 che non ne avessimo il potere, ma per offrzrvz noi stessi come esempio da imitare. Poichè stando pr~sso di [lOi vi dicevamo che chi non vuol lavorare 110n aeve mangiare. Ora abbiamo sentito che vi è tra voi qualcttn? che va in giro sellza pace e 11011 fa nulla. Costoro aVtilsiamo e scongiuriamo nel Signore Gesù Cristo~ affinchè, lauorando in silenzio, mal1 gin o il loro pane».-) Questa via è santa e buona, camminate in essa. ")
1) Cf. 1 Tim., 2, 7. 2 Cfr. 2 Tes., 3, 8-12. La ragione del forte richiJI:1o. dell'Apùé,tolu ,li cristiani di Tessalonica è da ricercare nella falsa conVInZIone che ~l. era formata in quella cristianità della imminente fine. del .mondo (<< parusl<1 »),' Per questo motivo molti fedeli si erano dati ~ll'OZlO,. gl~ovagan~o qua e.la e vivendo di elemosine. S. Paolo corregge gh erron, nprova 11 mmponamento degli oziosi e richiama al dovere del lavoro, appellandosi al proprio esempio.
") Is., 30, 21.
Abbiamo già avuto occasione di richiamare il dovere dell'apostolato, da compiersi secondo i bisogni dei luoghi e dei tempi e le direttive dei superiori, per rimanere c(}:~ renti agli obblighi della nostra professione religiosa. Ora più espressamente, in conformità a quanto prescrive la Regola, affrontiamo il problema del lavoro nei suoi vari aspetti, che non è certo per noi cosa di secondaria importanza. Contrariamente all'opinione diffusa in alcuni strati sociali, la vita religiosa non è stata mai concepita come fuga da responsabilità umane e civili, molto meno come vita di ozio. Basta pensare agli antichi monaci d'Oriente che si procuravano il poco necessario per vivere fabbricando e vendendo sporte e altri umili oggetti, e alla Regola di S. Benedetto, che ha per insegna il motto rimasto caratteristico « Ora et labora ». E', anzi, merito del monachesimo se nei lunghi periodi di decadenza e di barbarie furono custoditi e tramandati tesori di arte e di cultura, e se nei tempi di carestia e di generale abbandono le classi più umili poterono sopravvivere alla fame. Al medesimo va anche il merito di aver concepite e attuate vaste bonifiche fondiarie. I motivi per cui le regole monastiche prescrivevano il lavoro erano vari, ma convergenti tutti in un medesimo fine: procurar si il necessario a vivere, evitare l'ozio e le sue conseguenze, facilitare la permanenza nella solitudine delle celle, procurare tranquillità al corpo e un certo sollievo allo spirito, e conseguire così più facilmente il fine della vita eremitica. Ai medesimi motivi si ispira la nostra Regola: «Dovete fare qualche lavoro afhnchè il demonio vi trovi sem-
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pre occupati, nè dal vostro ozio ~bbia a t~ov~re q~alche adito [per entrare] nelle vostre anIme». QUll:dl dall e.sempio e dall'insegnamento di S. Paolo ammOlllsce che 11 lavoro è necessario per vivere. Qualcuno potrebbe ritenere piuttosto limitati gli scopi intesi dalla Regola nel prescrivere il lavor~, per.ò, a. ben~ intenderli, è necessario ricordare le condlz10m eSIstenti al tempo in cui veniva scritta..P~ic~è le necessità ?egli eremiti erano allora quanto mal hmltate, lo stato d1 ~o vertà assoluto (piccole cell~tte ~aggr~ppate. alla meg~lO, senza alcuna esigenza e pnve d! ogm conforto). e. umco l'ideale, quello contemplativo, era naturale che Il lavoro si considerasse pre~alentemente com~ a~ma contr? le tentazioni del dem011l0, che trova nell OZlO un facIle e pericoloso alleato) e in sottordine come mezzo di sostentamento. Ogo-i oerò, il problema anche per nOI si presenta b" 1 sotto un a~spetto molto più amp~o? n~n SOlO ~er la trasfonnazione dell'Ordine da erenllt1co 111 mendIcante, ma per i bisogni e le esigenze che s?no tutte. proprie clell~ ora. Appare infatti naturale a chmnque nfl~tta, che g~l istituti religiosi, destinati a lavorare nell~ v:gna cl?l SIgnore, non possono rimanere aggrappati. al t~~pl che furono, ma, pur restando fedeli a~ ~ropno. spmto ~ al proprio indirizzo, debbono adattarsI al tempI e alle. orco'Stanze e non rifuggire da quella opportuna e~ol~zlOne e da quel necessario adattamento che spesso costltUlsce fO~1te di vita. Uno dei pregi della nostra Regola sta propno nel dare questa possibilità, senza pericolo di compromettere ciò che ne forma la sostanza, come è dello stesso Evangelo. Ai nostri giorni sarebbe anacronistico e inop: portuno voler far rivivere non diciamo la forma degli 1
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antichi Padri del Carmelo, ma anche, in tenTI1111 esatti, quella dei secoli passati. La parola aggiornamento che ricorre oggi con relativa frequenza, è attuale e impegnativa anche per noi quando non si vada contro lo spirito dell'Ordine.
n dovere
del lavoro è generale: «Come l'uccello nasce per volare così l'uomo per lavorare ».") Il creato è inesauribilmente ricco di beni, ma perchè passino a vantaggio dell'umanità, per la quale sono stati creati da Dio, debbono essere scoperti e valorizzati dall'uomo mediante l'impiego dell'attività intellettuale e della forza fisica. Se il secolo ventesimo ha portate tante invenzioni, uno sviluppo tecnico, industriale, sanitario che gli antichi non avrebbero nemmeno sognato, e l'immediato avvenire ci riserva nuove e più grandi sorprese, è perchè pionieri della scienza non hanno risparmiato cure e fatiche, talvolta fino al sacrificio della vita. CosÌ il lavoro è diventato non solo strumento di vita e di benessere economico, ma anche mezzo di elevazione intellettuale e sociale, tanto che gli stati più progrediti amano darsi una struttura costi· tuzionale che ha a base il lavoro. La Chiesa non solo saluta e incoraggia questo progresso della scienza e della tecnica, ma vi si associa e lo promuove secondo le sue possibilità, conformemente al ~uo mandato, perchè tutto torna a lode e gloria del Creatore, e approva i nuovi istituti religiosi che sorgono col dichiarato proposito di valorizzare, per la difesa e la diffusione del cristianesimo, i mezzi più· moderni. Senonchè, dal nostro punto di vista, gli aspetti tecnici del lavoro ci interessano soltanto di riflesso; ci fi4) 18.
G~ob.,
5, 7.
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guardano invece direttamente quelli morali e spirituali, che si riepilogano e si esprimono in pochi concetti: nelle conseguenze che siamo tenuti a portare del peccato d'origine e nel nobilissimo esempio che ci proviene dalla S, Famiglia di Nazareth. Per cui il lavoro lo concepiamo come strumento di espiazione e di purificazione per il peso che porta e come mezzo di elevazione dello spirito per l'esemplare divino a cui guarda. Anche Gesù, figlio di Dio e primogenito tra molti fratelli/) volle sentirne il peso, come fa rilevare espressamente l'Evangelista quando scrive che si sedette al pozzo di Giacobbe perchè stanco dal viaggio; 6) e se a Nazareth lo conoscevano per figlio del falegname, ciò era perchè fin da giovanetto lo avevano visto lavorare a fianco di S. Giuseppe. Muovendo da queste considerazioni è facile capire perchè il lavoro manuale sia entrato nell'ascesi cristiana come mezzo integrativo di primo ordine, non solo quale efficace rimedio contro le tentazioni proprie dell'ozio e come mezzo di vita, ma anche come vero strumento di perfezione e di elevazione spirituale. Il medesimo genere di lavoro è stato mantenuto negli istituti. contemplativi, mentre in quelli di vita attiva ha preso il sopravvento il lavoro apostolico; così i primi hanno a modello Gesù nella bottega di Nazareth, gli altri Gesù che predica, che guarisce, che salva, che passa facendo ovunque del bene. Nel nostro Ordine la pratica del lavoro manuale si tramanda attraverso i monasteri di clausura e attraVf'rtlO j nostri fratelli. 5) Rom., 8, 29. <) Giov., 4, 6.
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Nelle Costituzioni delle monache si legge: «Al conseauimento del sommo bene e della beatitudine eterna m~lto gioverà alle nostre monache non solamente l'intensa preghiera e la frequente contemplazione delle cose celesti, ma altresì l'assiduo lavorare e coll'opera delle proprie mani evitare l'ozio e sovvenire ai bisogni del monastero, e ciò facendo le nostre monache soddisferanno al precetto della Regola che prescrive di fare sempre qualche cosa. Ciascuna monaca assiduamente attenda al lavoro che le è stato assegnato, secondo la disposizione della priora e la consuetudine del monastero, e lo eseguisca in cella o fuori, sola o con le altre, come la circostanza lo richieda, osservando, in quanto è possibile, il silenzio; nè dall'onesto lavoro che le è stato assegnato ardisca esentarsi con qualche futile pretesto, ma piuttosto procuri ~i imitare in silenzio il mirabile esempio di S. Paolo che d1ceva di sè: a ciò che era necessario per me e per quelli che erano meco, provvedevano queste mani». 7) Quanto al lavoro dei fratelli le Costituzioni danno le seguenti norme: «Ordiniamo che in tutti i conventi vi sia un numero sufficiente di fratelli conversi che si occupino degli esercizi materiali secondo le disposizioni del superiore e la consuetudine del nostro Ordine ». 8) La consuetudine vuole che le mansioni più proprie dei fratelli siano quelle di sacre stano, portiere, ortolano, cuoco, falegname, sarto, calzolaio, questuante, ecc. Perchè ~l lavoro riesca in certi casi più produttivo, meglio corfispondente alle esigenze, le medesime Costituzi~ni r~cco mandano di far impartire da un competente l'Istruz1One necessaria, sopratutto se si vuoI avere degli specializzati 7) Regola e costiwzioni delle monache, artt. 203, 204. 8) Art. 79.
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in qualche mestiere. D) E perchè sono a tutti ben noti i vantaggi che arreca alla religione il lavoro umile, modesto e silenzioso dei fratelli, è evidente che il loro merito davanti a Dio non è inferiore a quello degli stessi sacerdoti. Questo, a loro salutare incoraggiamento, si premurano di ricordare le stesse Costituzioni: ,~Sappiano che mediante i ministeri più umili e bassi, quando siano eseguiti con retta intenzione, essi servono Dio e la B. V ergine non meno dei chierici, dedicati alla salvezza delle anime »,HJ) e raccomandano che tutti li amino e li onorino. 11 ) Per i chierici e sacerdoti il lavoro manuale può considerarsi integrativo delle altre occupazioni, che formano per essi la parte principale e, talvolta, anche opportunamente distrattivo. E' evidente che il superiore, tenendo conto delle varie circostanze di luogo e di. persone, può, secondo che gli suggerisce la prudenza e la discrezione, comandare anche questo genere di lavoro, rientrando e'spressamente nelle disposizioni della Regola. Per cui i religiosi non solo non possono rifiutar si senza pregiudizio del voto di obbedienza, ma non debbono nemmeno lamentarsi e mormorare. Qualora sia necessario vincere qualche ripugnanza di natura, piegare l'amor proprio, mortificare l'orgoglio si richiami alla memoria l'esempio di S. Paolo, Apostolo indefesso di Cristo e, nello stesso tempo, umile lavoratore. «In viaggi sono stato più volte, in pericoli di fiumi, in pericoli di pirati, in pericoli da parte della mia gente, in pericoli da parte dei gentili, pericoli in città e nel deserto e sul mare, perìcoli tra falsi fratelli; in fatiche e pene, nelle veglie tante volte, nella
fame e nella sete, nei frequenti digiuni, nel freddo e nella nudità. E oltre a questi mali esteriori v'è l'affanno quotidiano che su me incombe, cioè la cura di tutte le Chiese ». 12) Nondimeno l'occupazione principale dei chierici studenti è lo studio, dei sacerdoti l'esercizio del ministero inteso nel senso più vasto. Abitualmente queste specifiche occupazioni sostituiscono il lavoro manuale prescritto dalla Regola. Le Costituzioni, dopo aver ricordato che agli antichi Padri del Carmelo, nascosti nell'eremo e nella solitudine, era per lo più necessaria una sola cosa: attendere a Dio con continui esercizi 'di contemplazione, proseguono: «nondimeno, dacchè fummo, a buon diritto, trasferiti al servizio pubblico della Chiesa e a coltivare il campo del Signore, la ragione stessa dell'Ordine richiede che allo studio della teologia mistica, che rimane pei carmelitani la parte migliore, si unisca con lena lo studio delle scienze e delle lettere ». Ordinano, perciò, che i provinciali e i priori locali provvedano con ogni industria e fervore al horimento degli studi, perchè, notano opportunamente, « oggi i religiosi possono occupare con dignità e utilità il posto solo a condizione che si distinguano nella Proprio u cultura e nella scienza». ) I chierici, come sanno bene che i loro studi sono tutti ordinati al sacerdozio, così debbono essere persuasi che la fecondità di esso è subordinata tanto alla preparazione spirituale e morale che vi premettono, quanto alla preparazione culturale e scientifica. Perdendo tempo o non impegnandosi come dovrebbero e potrebbero non solo 12)
fI) Art. 81.
277
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10) Art. 93.
11) Art. 80.
2 Cor., Il, 26-28.
'") Art. J 98.
CAr. xv
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mancano al precetto del lavoro al quale li obbliga la Regola, ma pregiudicano e rendono incerti i frutti del ministero sacerdotale, tanto più che l'esperienza insegna che difficilmente il chierico pigro diventa sacerdote laborioso e zelante. I sacerdoti, a loro volta, sono tenuti all'impiego utile del tempo non meno dei chierici, per il medesimo obbligo di Regola e perchè al fruttuoso esercizio dell'apostolato sacerdotale oltre alla preparazione remota si richiede anche quella prossima. Per cui l'obbligo dello studio non cessa col sacerdozio, come non cessa quello della propria formazione, tanto è vero che anche dopo espletato il corso teologico è prescritto l'esame quinquennale, e in ogni tempo permane in atto il dovere di promuovere la salvezza delle anime usando, con prudenza e religione, tuti mezzi umani adatti, 14) tra i quali lo studio occupa certamente un posto di primo piano. In particolare per i predicatori esiste l'obbligo esplicito di coltivare con impegno quel genere di studi richiesto da tale missione, e cioè: S. Scrittura, teologia ascetica, filosofia, patristica, storia ecclesiastica ed eloquenza. 15) Taluni per giustificare la propria inazione sono soliti mettere in campo scuse di vario genere: il convento o la chiesa che non offrono possibilità di lavoro, l'ufficio non ~onforme alla propria indole, la mancanza di una specinea forma di attività o della fiducia dei superiori, fin 'anche le stesse esigenze della vita regolare, mentre è ampiamente dimostrato che tanto nella Chiesa quanto negli Ordini religiosi il lavoro manca solo ai pigri e agli inetti, a quelli perchè non vogliono, a questi perchè non H) Artt. 231, 242.
15) Art. 250.
IL LAVORO
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sanno: spesso, anzi, la pignzia e l'inettitudine si asso~ ciano e si chiamano vicendevolmente. E poichè la pigrizia è un male morale assai grave, dalle più funeste conseguenze sia immediate che remote tanto da rendere la vita inutile e uggiosa, pesante a sè e insopportabile agli altri, ciascuno deve guardarsene con molta attenzione per non caderne vittima, mentre a superare l'inettitudine non v'è altro mezzo che l'applicazione seria, capace di compensare e riparare, per quanto possibile, il tempo perduto. Mediante il lavoro volenteroso, assiduo, produttivo, reso più meritorio dalla obbedienza, si prova l'attaccamento e l'amore all'Ordine, lo spirito di sacrificio e si dà. buon esempio ai confratelli e ai secolari; sotto alcuni punti di vista esso può considerarsi anche la misura del fervore che anima il religioso nel servizio di Dio. S. Maria Maddalena dei Pazzi, amantissima della orazione, nonostante la sua nobile origine si distingueva anche nei lavori ma~ nuali, e per non dover chiamare secolari in monastero, con aggravio economico della casa e con pericolo della osservanza, cercava di rendersi competente in vari mestieri e tante volte continuava a lavorare anche nell'estasi. Analoghi esempi li abbiamo nella vita di tutti i Santi, a cominciare dai più grandi contemplativi, quali S. Giovanni della Croce e S. Teresa di Gesù. Ciò non sorprende per eh è preghiera e lavoro si richiamano e si integrano, e chi più è sollecito nella preghiera è anche più sollecito nel lavoro. Concludiamo con un'ultima osservazione: taluni sono facili a lamentarsi quando l'occupazione alla quale sono destinati è poco appariscente e perciò li lascia nell'ombra, a differenza di altre che conferiscono prestigio e dànno
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CAr, XV
onore. Premesso che il religioso sta a suo agio saio dove lo pone l'obbedienza, è opportuno ricordare che i'Ordili.e come anche la casa, a somiglianza di un qualsiasi organismo, ha vari membri e molte mansioni; spesso le più umili sono le più necessarie, e quelle maggiormente nascoste le più meritorie al cospetto di Dio. Perciò anche nel lavoro, come in qualsiasi altra cosa, è necessario appellarsi alla fede che fa veder tutto nella luce del soprannaturale e dell'eterno. Questa è la via santa e buona nella quale, come ammonisce la Regola, dobbiamo camminare.
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IL SILENZIO
Capitolo Decimo Sesto
L'Apostolo raccomanda il silenzio allorchè impone di osservarlo nel lavoro. 1) E, come il Profeta attesta, «il silenzio è il culto della giustizia ». 2) Inoltre: «La vostra fortezza starà nel silenzio e nella speranza ». 3) Perciò stabiliamo che, detta Compieta, osserviate il silenzio fino a dopo Prima del giorno seguente. Nell'altro tempo poi, sebbene non si abbia un' osservanza così stretta del silenzio, ci si guardi tuttavia con cura dal parlar troppo, perchè, come sta scritto e non meno viene insegnat? dalla esperienza: «Quando si parla troppo non manca ti peccato »:) e « Chi è irriflessivo nel parlare ne sentirà dan110»; 5) inoltre: «Chi fa uso di troppe parole danneggia l'anima propria ».6) E il Signore nell'Evangelo: «Gli uomini nel giorno del giudizio renderanno conto di ogni parola o.ziosa che avranno detta ».7) Perciò ognuno si faccia una bilancia per le proprie parole e dei freni duri per la propria bocca, affinchè colla sua lingua non abbia a scivolare e a cadere,8) e la caduta lo conduca alla morte. Custodisca, col Profeta, le sue vie e non manchi colla sua lingua. D) E il silenzio, nel quale è il culto della giustizia,lO) si studi di ossertJarlo con diligenza e cautela.
1) 2 Tes" 3, 12, 2)!s" 32, 17, :1) Ivi, 30, ì5, 4) Prov" lO, 19. ") Ivi, 13, 3, ii) Eccli., 20, 8, ,) lI'lat., 12, 36, ~) Eccli" 28, 29-30. 9) Salmo 38, 2. 10) Is., 32, 17,
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CAP. XVI
IL SILENZIO In questo capitolo del silenzio possiamo distinguere quattro parti: 1. L'impostazione del problema. 2. La prescrizione positiva. 3. I motivi che lo rendono necessario. 4. I consigli pratici per osservarlo fedelmente. 1. Il legislatore, facendo ancora appello all'autorità di S. Paolo, passa a trattare questo importan~e ~rgon:ento di vita spirituale: «L'Apostolo raccomanda Il sllenzlO allorchè impone di osservarlo nel lavoro». 1) 9~in~i av-:alora la sua tesi con altre due sentenze prese dal hbn sacri: «Il silenzio è il culto della giustizia >", 2) e «la vostra fortezza starà nel silenzio e nella speranza». 3) L'esplicita trattazione di questo tema e la tassativa imposizione potrebbero sembrare superflue dopo quanto è stato detto nei capitoli precedenti, sopratutto nel settimo. Nondimeno essa si giustifica ampiamente sia per l'importanza del silenzio nella vita interiore, sia per la facilità con cui si può trasgredire, e sia anche per la opportunità di emanare norme dettagliate. Secondo il concetto cristiano il lavoro, di qualunque oenere possa essere, diventa doppiamente meritorio (in ~uanto lavoro e in quanto preghiera), quando è compiuto coll'intenzione di rendere gloria a Dio. «Sia che manbaiate , sia che beviate, sia che facciate altre cose, tutto 1) Di fatto S. Paolo più che riprendere la loquacità dei Tessalonicesi, raccomanda di lavorare tranquillamente, senza preoccuparsi della «parusia ». 2) Il testo ebraico dice: «effetto della giustizia [sarà] tranquillità *. 3) Anche qui il testo ebraico dice: «nella tranquillità e nella fiducia sarà la vostra fortezza ».
IL SILENZIO
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fate per la gloria di Dio ».4) Per conseguire questo fine lo unico mezzo è il silenzio che facilita il raccoglimento e non obbliga la mente a distrarsi; quando poi si sta col pensiero raccolti in Dio è naturale che il cuore aderisca a lui con fervore. In tal senso si spiega perchè il silenzio si identifichi col culto della giustizia, intesa, secondo la spiegazione data sopra, come amore di Dio e del prossimo. Un esempio molto significativo l'abbiamo nella vita del nostro S. Padre Elia, del quale leggiamo che, essendo pervenuto al ~onte Ore~ ed. avendo ~res.a dimor~ i~ una spelonca, Udi la voce d1 ~1O cl~e gli. disse: «V1e~l fuori e tienti sulla montagna dmanzl al Signore; ecco ti Signore passa. E vi fu un vent? così ~orte .da scu.otere i monti e da polverizzare le pietre dmanzi al Signore; ma il Signore non era col vento. E, dopo il vento il terremoto', ma il Sianore non era col terremoto. E dopo b il terremoto il fuoco, ma il Signore non era col fuoco; e dopo il fuoco un sussurro di aura leggera. E c?me Elia l'ebbe udito si coprì il volto col mantello e, usoto, stette alla porta della spelonca, ed ecco una voce giungere fino a lui e dirgli: che fai qui Elia? » 5) Se lo strepito che viene dal di fuori impedisce di udire la voce di Dio, molto più quello che viene dall'interno dei pensieri ~ s.i traduce nel linguaggio. Per cui la Regola anche se dlstmgue tra silenzio stretto e silenzio meno rigoroso, e dà delle norme ,per il silenzio esterno: nell'insieme contempla e rac~omanda il silenzio integrale. In questo, quando sia puro per la fonte da cui scaturisce (il cuore), e alto per il fine a cui tende (la conver") ] Cor., lO, 3l.
") 3 Re, 19, 11-13.
2114
C:\P. XV]
IL SiLENZIO
sazione con Dio), oltre al culto della giustizia, si troV:1 anche la fortezza cristiana, necessaria a perseverare e a crescere nel bene, perchè l'anima che ha in sè il senso della presenza di Dio, lo ama e lo gusta, non teme la lotta, non fugge le difficoltà, non perde il coraggio nella prova. «Se Dio è per noi chi può esserci contro? » G) E ancora: «Chi ci separerà dalla carità di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione, la spada? ... Ma in tutte queste cose siamo più che vincitori per opera di colui che ci ha amati. Poichè io san persuaso che nè morte, nè vita, nè angeli, nè principati, nè virtù, nè cose attuali, nè future, nè potestà, nè altezza, nè profondità, nè alcun'altra creatura ci potrà separare dall'amore di Dio in Cristo Gesù, Signor nostro ».') 2. Alla impostazione nobilissima del tema la Regola fa seguire delle leggi positive, distinguendo due forme di silenzio: uno stretto e uno meno rigoroso. Quello si deve osservare da Compieta fino all'ora di Prima del giorno seguente, l'altro nel resto della giornata. Precedentemente alla mitigazione di Innocenzo IV il silenzio stretto andava invece dal Vespro all'ora di Terza. 8) Poichè l'Ordine si è valso della concessione della Chiesa di poter anticipare la recita del Mattutino e delle Lodi, colla conseguente anticipazione della Compieta ad ora conveniente, per cui questa parte dell'Ufficio all'atto pratico non conclude più la giornata di lavoro, come era anticamente, le Costituzioni hanno rimesso al capitolo provinciale il compito di determinare l'ora serale del silenzio stretto. Il relativo articolo richiama e precisa ulteriormen1:) R0111., 8, 31.
i) ROln., H,
35-3~.l.
S) Cf.
S()pr~l,
te il tenore della Regola: «Poichè chiunque è. facile alla profusione delle parole non può affatto osservare la rettitudine della giustizia, essendo insegnamento del Profeta che l'uomo loquace non sarà retto sulla terra, non senza grande motivo di prudenza la nostra Regola raccomanda tanto il silenzio nel quale consiste il culto della giustizia; perciò attenendoci a questo [principio] stabiliamo che tutti osservino il silenzio dal tempo della sera, da determi·· narsi dal capitolo provinciale, fino all'ora di Prima del giorno seguente; nell'altro tempo sebbene non si abbia un'osservanza così stretta del silenzio, ordiniamo tuttavia che nessuno parli se non nel tempo della ricreazione, o quando interviene qualche giusta causa; allora i frati potranno parlare con brevità, modestia e a voce bassa» .") Siccome nell'uno e nell'altro caso non si dà un consiglio ma un precetto, ne segue che qualsiasi infrazione, non legittimata da causa giusta, costituisce peccato veniale; se poi ne provenisse scandalo o un grave disordine <) si contribuisse a creare una cattiva abitudine, la colpa potrebbe diventare grave. Le stesse Costituzioni stabiliscono inoltre: «Chiunque, eccetto il superiore locale, senza licenza di questi, fosse entrato, senza urgente necessità, nella cella di un altro dopo il segnale del silenzio stretto, sia ripreso gravemente, e qualora avesse contratta la consuetudine può anche essere punito colla pena della privazione della voce e del luogo ».j(») E' inoltre obbligo del superiore - proseguono - riprendere chi manca al si~ ìenzio, mentre viene precisato che si manca «non soltanto col parlare, ma con qualsiasi rumore che può disturbare gli altri ».11) Finalmente vengono determinati i luo-
pago 3(i. ~')
Art. 155.
10) Art. li6.
") Art. 157.
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CAP. XV!
ghi nei quali deve osservarsi sempre il silenzio, e cioè: il coro, la sacre stia, il refettorio, il chiostro, il dormitorio e le celle; nondimeno, per giusta causa, il superiore può dispensare il silenzio del refettorio, colla raccomandazione, tuttavia, di farlo raramente. j2 ) Per le monache, in particolare, è stabilito: «Raris~ simamente le nostre monache parlino coi secolari, e allora procurino con diligenza di non sciupare inutilmente il tempo in tali conversazioni, di non trattenersi troppo a lungo e di non manifestare ciò che debbono tenere oc~ culto ».j:1) Poichè le monache di clausura si trovano in con~ dizioni particolarmente favorevoli per riprodurre nel loro tenore di vita gli esempi degli antichi Padri del Carme~ lo, di poter vivere più e meglio dei componenti il primo Ordine la lettera oltrechè lo spirito della Regola, è un dovere tutto proprio mantenersi sempre all'altezza della vocazione carmelitana sia nell'insieme che nei dettagli, e quindi di custodire con molta cura il silenzio. S. Teresa di Gesù fa questa osservazione: «Le religiose che brama~ no di stare tra i secolari e di trattare spesso con loro te~ mano di non aver mai assaggiata l'acqua viva di cui il Si~n~re parlò alla Sa mari tana, e che a ragione lo sposo SI SIa loro nascosto, non godendo esse di star con lui. Temo che questa sventura provenga da due cause: o dal non aver scelto questo stato unicamente per lui, o dal non aver compreso, dopo essere entrate in questa via, la grande grazia che loro ha fatta il Signore nel prenderle a sue spose ... »14) E' difficile che le visite abituali, a scadenza quasi fissa, degli stessi parenti non portino un po' di mondo entro il monastero. Art. 156. Regola e costituzioni delle monache, art. 179. H) Fondazioni, 31, 46. j2) j3)
IL SILENZIO
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La legge del silenzo obbliga tutti e ciascuno in par~ ticolare. I superiori, poi, perchè tutori della legge e per~ chè tenuti a precedere gli altri col buon esempio, vi deb~ bono mettere un'attenzione tutta particolare, e promuoverne l'osservanza. Ma quando anche essi mancassero ri~ mane integro e immutato il dovere dei sudditi, perchè la Regola è al di sopra degli individui. Ci sembra opportuno rilevare che il tempo del silen~ zio stretto nop equivale al tempo del riposo, anche se il riposo coincide col tempo del silenzio stretto, tanto è vero che in origine era prescritto dal Vespro a Terza. Il fine del silenzio, inteso dalla Regola, è quello più volte ricordato: il raccoglimento interno, l'esame della coscienza, la conversazione con Dio. 3. Nel corso del giorno, prosegue la Regola, «sebbene non si abbia un'osservanza così stretta del silenzio, ci si guardi tuttavia con cura dal parlar troppo ». Le Costitu~ zioni, come abbiamo visto, specificano che è permesso par~ lare liberamente nel tempo della ricreazione e quando interviene qualche giusto motivo; in questo caso, però, con brevità, modestia e a voce bassa. La Regola convalida la legge coll'insegnamento della esperienza e coll'autorità dei libri sacri. La prima sentenza ricordata dice: Quando si parla troppo non manca il peccato. L'uomo loquace può paragonarsi a chi è solito spendere senza guadagnare, il quale trovandosi a un certo momento a corto di denaro è costretto a far debiti senza sapere come pagarli; venendo infatti a mancare argomenti buoni, di cose utili e pie, come raccomandano le Costituzioni,o non sentendo attrattiva per questi, e non avendo la capacità di fare un tal genere di discorsi, passa a quelli futili, inutili, peccaminosi, alla maldicenza, alla mormo-
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CAP. XVl
razione, forse anche alla calunnia, perchè ingrandisce o inventa sugli altrui difetti e mancanze che esistono soltanto nella immaginazione, accredita voci raccolte, commenta con spirito fazioso gli avvenimenti più semplici e più comuni. Quante volte, facendo l'esame di coscienza, ci siamo pentiti di aver parlato inopportunamente, con danno nostro e del prossimo e abbiamo dovuto deprecare la nostra leggerezza! L'Apostolo S. Giacomo ammonisce: «Fratelli miei, non vogliate esser molti a far da maestri, sapendo che vi addossate un giudizio più severo. Infatti molti manchiamo in molte cose! »; quindi prosegue: «Chi non manca nel pare lare è un uomo perfetto e può tenere a freno anche tutto quanto il corpo ... Ecco anche le navi, benchè siano grandi e sospinte da venti gagliardi, vengono dirette da un piccolo timone dovunque ordini il timoniere. Così pure la lingua è un piccolo membro e si vanta di grandi cose. Ecco un piccolo fuoco che gran selva incendia! Anche la lingua è un fuoco, un mondo di iniquità. Posta tra le nostre membra, la lingua contamina tutto il corpo, ed essendo infiammata dall'inferno, mette in fiamme la ruota del nostro vivere. Infatti ogni specie di bestie, di uccelli, di serpenti e d'altri animali si doma, ed è stata domata dall'uomo; ma la lingua non c'è uomo che possa domarla; è un male che non si può frenare; è piena di mortale veleno. Con essa benediciamo Dio Padre e malediciamo gli uomini, che sono stati creati ad immagine di Dio. Dalla stessa bocca esce l~ benedizione e la maledizione », e conclude osservando: «Non bisogna, fratelli, che sia così ».l") Segue nella Regola un'altra grave sentenza: Chi è irriflessivo nel parlare sentirà danno. Ciascuno di noi portI
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davanti al prossimo le conseguenze delle proprie azioni e delle proprie parole, mentre davanti a Dio porta anche la responsabilità dei propri pensieri e sentimenti. « Chi custodisce la sua bocca custodisce la sua anima», ammonisce lo Spirito Santo nel medesimo luogo. Prima o poi verrà il giudizio di Dio a rivelare quali parole furono oro, argento e pietre preziose, quali invece furono legno, fieno c paglia. '6 ) ]l medesimo concetto ribadiscono le altre due sentenze che seguono: Chi fa uso di troppe parole danneggia la anima propria, e: Gli uomini nel giorno del giudizio renderanno conto di ogni parola oziosa. 4. La prescrizione del silenzio si conclude con delk raccomandazioni pratiche. Prima tra tutte, che contiene le altre, la vigilanza sulle proprie parole. La citazione integrale del testo sacro è la seguente: «Fa una siepe di spine alle tue orecchie e non ascoltare una lingua maligna, e alla tua bocca metti porte e chiavistelli. Il tuo oro e il tuo argento raduna in forziere sicuro, e per le tue parole fatti una bilancia e dei pesi e opportuni freni e chiavistelli per la tua bocca. E bada di non sdrucciolar per causa della lingua, e cadere alla presenza dei tuoi nemici che stanno in agguato, sicchè la tua caduta sia insanabile e mortale »."7) Il versetto del salmo, richiamato subito dopo, dice: « Custodirò le mie vie, per non peccare colla mia lingua ». La raccomandazione finale riepiloga l'intero capitolo: Ognuno si studi di osservare il silenzio, nel quale è il culto della giustizia, con diligenza e cautela.
'Ii) Cf. 1 Cor., 3, 12.
") E.:.:1i., 28, 28-30.
15) Giac., 3, l-IO. 19.
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CU'. XVi!
Capitolo Decimo Settimo
Tu poi, frate Brocardo, e chiunque dopo di te sarà costituito priore, abbiate sempre in mente e mantenete nel["opera ciò che il Signore dice nell'Evangelo: «Chiunque di voi vorrà essere primo sia vostro senIo ».
L'UFFICIO DEL PRIORE E LE SUE RESPONSABILITA' . La S. Regola, che alla sapienza evangelica unisce grande senso pratico, prima di terminare riprende il tema della obbedienza e del rispetto ai superiori, quello stesso da cui mosse all'inizio, quasi a significare che uno è l'inizio e il coronamento della perfezione religiosa. Prima, tuttavia, ritiene opportuno rivolgersi al priore per ricordargli, colle parole stesse di nostro Signore, che l'ufficio non si riceve e non si esercita per interesse personale, ma per il bene della comunità e il vantaggio dei suoi singoli componenti. Nell'uomo viziato dalla colpa vi è troppa dose di amor proprio, apparente o nascosto, e forse questo più pericoloso di quello, perchè il richiamo evangelico debba a considerarsi superfluo o inopportuno. L'occasione della sentenza qui riportata è cosÌ descritta dall'Evangelista: «Allora si accostò a lui la madre dei figli di Zebedeo coi suoi figli e gli si prostrò davanti come per chiedergli qualche cosa. Ed egli le domandò: Cosa vuoi? Quella rispose: Dì ~he questi due miei figli
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siedano uno alla tua destra e l'altro alla tua sinistra nel tuo regno. Gesù soggiunse: non sapete quello che domandate: potete bere il calice che io sto per bere? Sì, lo possiamo: gli risposero. Voi berrete certo il mio calice, continuò [Gesù], ma quando a sedere alla mia destra o alla· mia sinistra non tocca a me concederlo, ma è per quelli ai quali è stato preparato dal Padre mio. Gli altri dieci, udito ciò, si sdegnarono contro i due fratelli. Gesù, però chiamateli a sè disse loro: voi sapete che i principi delle nazioni le signoreggiano e i grandi esercitano il loro potere sopra di esse. Ma non è così tra voi; anzi chi tra voi vorrà essere maggiore sia vostro servo, e chi tra voi vorrà essere primo sia vostro servo; appunto come il Figlio dell'uomo che non è venuto per esser servito, ma per servire e dare la sua vita per la redenzione di molti ».1) A tutti sono più o meno note le concezioni del mondo in fatto di preminenza, e la storia richiama una lunga serie di sciagure abbattutesi sulla umanità a causa dell'uso arbitrario e dispotico del potere. Per ristabilire la verità c impedire alla Chiesa, i maii troppo comuni e frequenti a~ la società civile, il divin Redentore, muovendo dalla rlchiesta interessata e troppo umana della donna, alle egoistiche concezioni del mondo oppose la sua dottrina e il suo esempio. Chi è a capo non deve pretendere di essere servito, ma deve servire e, qualora sia necessario, donarsi fino all'estremo limite del sacrificio. Di fatto l'esperienza insegna che occasioni di servire e anche di umiliarsi non mancano al superiore quando sia compreso del proprio dovere e lo assolva con senso di cristiana, religiosa responsabilità. A volte, infatti, può 1) Mal., 20, 20.28.
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venir chiamato a rispondere delle mancanze dei sudditi e a portarne il peso. A volte, superando forse un intimo contrasto di coscienza, può trovarsi nella necessità di ta~ cer~ e soffrir~ !n sile~zio, di fronte a mali che non gli è facIle o POssIbIle argmare; non raro poi è il caso di vedersi circondato d'incomprensione, d'indifferenza, e fin anche fatto oggetto di disprezzo per aver promossa 1'osservan~a regolare, per. aver negato un permesso che non convemva conce~ere, per, ave.r ammonito un colpevole, esortato un neghIttosO... ne gh mancheranno occasioni al faticoso esercizio delle opere di misericordia spirituale e corporale, che richiedono spirito di sacrificio e di rinunzia non comune. Ma nella Chiesa di Dio la carica va intesa in questo senso, . non per primeggiare o per evadere dal peso della obbedIenza o per non dover rendere conto del proprio operato, e soltanto chi la esercita con tale spirito è vero d~scepolo del. ~ivin Salvatore. Per questo gli uffici non bIsogna amblrh, e molto meno sollecitarli. S. Teresa di ~esù che c~~Rrendeva bene i pericoli inerenti ai posti dI responsablhta racconta che una volta le venne chiesto da un tale di pregare il Signore perchè gli avesse fatto conoscere se era di suo onore accettare un vescovato. «Dopo la Comunione - scrive la Santa - il Signore mi disse:. potrà accettare quando avrà compreso con verità e chIarezza che il vero dominio sta nel non aver nulla facendomi con ciò capire che chi deve essere assun~o a qualche prelatura non deve desiderarla, nè volerla, o per lo meno non ricercarla». 2) Brigare per diventar superiori può essere atto inconsulto, e quando si arriva a un posto di responsabilità con 2) Vita, 40, 16.
RESPONSABILlTA' DEL PRIORE
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raggiri, promesse, sollecitazioni, difficilmente vi si rimane con dignità, con profitto e con edificazione, anche perchè il Signore, in tali circostanze fa mancare quegli aiuti soprannaturali che costituiscono la grazia di stato. «Una anima inclinata alle preminenze non è accetta a Dio» ammonisce S. Giovanni della Croce.") E quanto il Santo fosse alieno dalle cariche ci è ampiamente rivelato nella lettera che scrisse alla Madre Anna di Gesù per consolarla del rammarico che questa sentiva perchè non era stato confermato priore. «Deve piuttosto rallegrarsi e rendere molte grazie al Signore che le cose non siano andate come ella desiderava; poichè avendo Sua Divina Maestà così disposto, è segno che ciò è più conveniente per noi tutti. Questa è la verità, ed affinchè tale anche ci apparisca, altro non resta che uniformarvi la nostra volontà perchè le cose che ci dispiacciono, per quanto siano buone ed opportune, possono sembrare cattive ed avverse. Ma nel caso presente si vede bene che la cosa non è avversa, nè per me nè per nessun altro. Difatti, in quanto a me, è molto prospera, perchè essendo libero dal governo di anime, col divino favore posso, se voglio, godere la pace, la solitudine e il dolce frutto dell'oblìo di me stesso e di tutte le creature. In quanto poi agli altri, è anche cosa buona che io sia tenuto in disparte, perchè così andranno immuni da quegli errori che avrebbero fatto a cagione della mia mi. ... ». 4) sena Le Costituzioni, dopo aver ricordato che nessuno può validamente dare il voto a se stesso, stabiliscono espressamente: «Tutti si guardino dal procurare, sia direttamente che indirettamente, voti tanto a sè che agli altri ». 5) a) Salita, II, 28, 3. <) Lettera alla lvfadrc Anna di GIOStl, da Madrid, 6 luglio 1591.
,,) An. 383.
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M~ ~nche. de~ider.are un u,~fici? può essere pericoloso perche Il desldeno dImostra l melmazione dell'anima ed è, in~ice ~he si mira più ~i vantaggi che ai pesi; di'qui l a~s~a, pnma per arnvarVI, che toglie la pace e la tranqU11hta, ~ quar:~o il desiderio fosse appagato, di fronte alla l:ealta, Il pm delle volte tanto diversa dal sogno, la d~!uslOne e lo scoraggiamento. Avviene, e forse in forma pm accentuata, come in ogni altro desiderio umano che quando si~ soddis~atto vi si trova tanto poco sugo i~ par~g~ne alI a~petta~lva. ~.essun dubbio che i più amaregWah e ~elusi nell eserClZlO degli uffici siano sempre quelII che V1 hanno maggiormente aspirato. Chiunque, per giustificare le mire ambiziose
SI
ap-
pe~li al~a n?ta sentenza ?i S. Paolo: «Se alcun~ aspira
alI U~fiC10 d1 vescovo, aspIra a cosa buona», H) cioè ad un uffic10 nobil: ed ec~el1ente, ponderi bene le parole che lo ~I\postolo scnve subIto dopo: «Ma il vescovo deve essere ureprel nsibile... sobrio, prudente, dignitoso, costumato, ospIta e, atto ad insegnare; non dedito al vino, non violento, ma mite, pacifico, senza amor di denaro..., bisogn~ ancor~ che sia in ?U01~a re~utazione presso gli estran~l, perche non cada m dIscredIto e nei lacci del demo1110 ». ') Il desiderio potrà essere buono a condizione che si guardi al lavoro da compiere, al bene da realizzare al tra,v~glio da so~tenere, non all'onore, ai privilegi ecc., ~er ~he Il potere V1ene da Dio e si esercita nel suo nome per 11 bene e l'edificazione del prossimo, al che si richi~de l'esercizio assiduo delle virtù cristiane, a cominciare da un alto spirito di disinteresse e di sacrificio. Per non cadere in un facile tranello, nel quale il de6) l Tim., 3, L ') Ivi, 3, 2-7.
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monia trova un alleato naturale e potente nella debolezza umana, conviene tener sempre presente, quando si è in carìca per farne norma di condotta, quando si è sudditi k,er non aspirare alle cariche, che il superiore deve precedere gli altri col buon esempio, in ogni circostanza, che nulla può pretendere dagli altri che egli non sia in grado di dare prima, e che un giorno dovrà rendere conto a Dio del potere· esercitato nel suo nome. ]l ven. Giovanni di S. Sansone esige nel superiore in modo particolare quella dote o virtù, che racchiude tutte le altre, cioè la vita interiore: «E' necessario che il superiore sia non solamente di vita mortificata ed esemplare, per indicare la via ai suoi inferiori, ma ancora che sia di grande preghiera, raccoglimento, ritiratezza e solitudine per eccitare negli altri il desiderio di imitarlo». ') Quindi rivolgendosi direttamente ad essi, raccomanda: «Giacchè non potete e non dovete essere angeli per natura, siate almeno uomini angelici, pieni di Spirito Santo e del suo dono settiforme, che deve essere il frutto e lo effetto della vostra continua e amorosa contemplazione... Voi siete destinati a nutrire santamente (gli inferiori) del latte della sapienza e della scienza celeste. Siete i loro maestri, le loro guide in ogni santità nel comune pellegrinaggio. Siete il loro sole, la loro luce, la loro forza, la loro sapienza, la loro purezza, la loro santità, la loro rettitudine, la loro bilancia, il loro peso; lo specchio in ogni virtù, nell'umiltà, nella semplicità, nella carità. Siete la loro misura, la loro verità stabile e ferma, la loro discrezione, precauzione, la loro vita, la loro salvezza, il loro rimedio, il loro bene, la loro felicità in questa vita. E se sarete così sarete amati senza eccezione». 9)
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CAP. X,'lI
Il B. Giovanni Soreth, a sua volta, ammonisce così i superiori: «Non dimenticate mai che ricoprite la carica non per dominare, ma per servire, non per riposarvi, ma per lavorare per il vantaggio degli altri. Considerando ii grado abbiate cura di non cadere. Nessun dubbio che la prelatura porta se co molti pericoli, ma chi avrà amministrato bene acquisterà merito e avrà più abbondante e più piena misura di pace... Davanti a Dio non sarà degno d~ lod~ ch~ sar.à stato priore, ma. chi avrà adempiuto bene l ufficiO dI pnore ... Bisogna desiderare non il <:rrado più eminente, ma la vita più perfetta ... Chiunque ~iceve da Gesù. l'uffic.io ~i prio.r~ dimen:ichi i propri vantaggi e procun quelh del suddItI, e per Il loro bene non si tiri indietro nemmeno dalla morte. In tali condizioni desiderare il priorato non è nè giusto, nè utile ». I0) Ma quando una carica viene conferita legittimamente, al di fuori di qualsiasi briga, sopra tutto quando non sia stata desiderata, deve essere accettata con umiltà e spirito ~i. sacrificio, c?n animo ~ducioso e sereno per il bene spmtuale propno ed altrUI. Salvo rari casi, la rinuncia, sotto parvenza di umiltà, può nascondere molte p~ssioni, ~rima tra tutte la superbia e l'amor proprio. Nella stona della Chiesa esistono fulgidi esempi di Santi che per fuggire gli onori e le cariche si tennero lungamente nascosti, ma non bisogna dimenticare che certe manifestazioni di virtù, naturali e legittime nei Santi espressione sincera della loro santità, non sempre io son~ Ìn chi ne è lontano.
1(,) Spec. CarnI., I, 2772-2773.
HAPPRE$ENTANTE DI CRISTO
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Capitolo Decimo Ottavo
E anche voi, frati, onorate umilmente il vostro priore, pensando più che a lui a Cristo che lo pose a vostro capo. E ai superiori della Chiesa disse pure: «Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me »/) affinchè n011 siate giudicati a motivo del disprezzo, ma per l'obbedienza abbiate a meritare il compenso della vita eterna.
IL SUPERIORE RAPPRESENTANTE DI CRISTO La Regola si conclude con l'invito a vedere e a onorare nella persona del superiore Dio stesso, come è nello insegnamento evangelico. Se per tutti i fedeli, come scrive S. Paolo, la storia intiera, a cominciare dalla creazione del mondo, è occasione ed invito all'esercizio della virtù teologale della fede, per i religiosi, prima di ogni altra cosa, deve esserlo la persona del superiore, nella sua realtà concreta, coi suoi pregi e i suoi difetti. «Per fede - dice l'Apostolo noi pensiamo che il mondo è stato formato dalla parola di Dio... Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio più eccellente di quello di Caino, e per essa ebbe la testimonianza di essere giusto... Per fede Enoc fu trasportato sì che non vedesse la morte ... Per fede Noè, divinamente avvisato di cose ancor non visibili, con pia cautela, costruÌ un'arca per la salvezza della sua casa ... Per la fede 1) Luc., 1CI, 16.
CAP. XV![[
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Abramo, chiamato a partire per un luogo che doveva ricevere in eredità, obbedì e partì senza sapere dove andava ... Per la fede la stessa Sara ricevette, oltre il limite dell'età, la virtù di dare in luce una creatura ... Per la fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco suo figlio... Per la fede Isacco benedì Giacobbe... » ") Nel medesimo capitolo l'Apostolo, dopo averla definita «Realtà di cose sperate, convincimento di cose che non si vedono», ammonisce che «senza la fede non è possibile piacere a Dio ».:') Ma, pur trattandosi di differenza di grado e di intensità non di essenza, altra è la fede del semplice credente, altra la fede del vero cristiano, altra la fede sufficiente a salvarsi, altra la fede richiesta per aspirare alla perfezione evangelica. Questa ha un suo banco di prova nel rispetto e nella obbedienza al superiore. La Regola, appellandosi . alle parole stesse del Signore, ci esorta a non dimenticare mai questa verità, che sola ci può far superare il più grande degli scogli, quello delle doti umane del superiore: se è o no intelligente, se ha senso pratico o ne difetta, se è prudente o imprudente, se ha carattere fermo o debole, se è o meno virtuoso, e fa guardare unicamente alle disposizioni della Divina Provvidenza che tutto ordina per il bene e la santificazione degli uomini, e fa servire gli stessi difetti dei superiori a prova e purificazione degli eletti. 4) Molto serenamente S. Giovanni della Croce, che pU[ l'paziando nei limpidi cieli della contemplazione non perdeva di vista le debolezze comuni alla generalità degli uomini, i pericoli e gli inciampi disseminati in gran nt17 mero anche nello stato religioso, raccomanda e spiega, 2)
Ebr., Il, 3
55.
;;)
Ebr.. Il, 1, 6.
cl) Cf. art. 11i.
RAPPRESENTANTE DI CRISTO
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tra le altre, questa cautela: di non considerare il superiore, chiunque egli sia, meno di Dio, perchè sta in suo luogo. «E avverti - scrive - che il demonio, nemico ddl'umiltà, te ne farà molte delle sue su questo punto. Se mirerai Dio nella persona del prelato sarà grande il tuo guadagno e profitto spirituale; al contrario grande sarà la perdita e il danno. Perciò guardati molto bene dal· l'esaminare la condizione, i talenti, l'indole naturale, il modo di procedere del tuo superiore, perchè altrimenti ti farai tanto danno che verrai a mutare l'obbedienza da divina in umana, muovendoti o no ad agire solamente in considerazione delle qualità visibili del superiore, e non per amore di Dio invisibile, al quale tu servi in lui. In tal caso è vana la tua obbedienza, o tanto più infruttuosa, quanto più ti rallegri o rattristi per il carattere dolce () difficile del tuo superiore. Ti assicuro che da questo lato il demonio ha rovinato nella perfezione un gran numero di religiosi, in modo che le loro obbedienze sono di un valore assai scarso al cospetto di Dio, perchè nell'ubbidire essi posero il loro occhio nelle suddette cose». E termina: «Se su questo punto non ti fai violenza, tanto da esserti indifferente che sia prelato l'uno piuttosto che l'altro (almeno per quanto riguarda il tuo sentimento particolare), in nessun modo potrai essere spirituale, nè osserverai pienamente i tuoi voti». ") Una osservazione molto utile, sia per i sudditi che per gli stessi superiori è quella del B. Giovanni Soreth, quando raccomanda di conferire alla comunità religiosa il carattere di famiglia: «Bisogna bandire l'idea del dominio e de]la servitù, e attuare quella della paternità e della h') Cautele contro il demonio, II.
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CAP. XVIll
gliolanza. Il padre ama i figli e l'amore non vuole altro che ricambio di amore... La Regola non dice: temete il vostro priore come un padrone..., ma onoratelo come padre, pensando piuttosto a Cristo di cui fa le veci ». i) Il rilievo merita molta attenzione perchè quando alla comunità religiosa si riesce a imprimere il tono di fami~ glia è assicurata la pace degli animi, l'unità degli in~ tenti, l'entusiasmo e la solidarietà nel lavoro e la fraterna reciproca comprensione, con tutti i riflessi esterni edin~ temi e le salutari conseguenze che ne derivano; quando invece vi domina il principio delle distanze, non sarà' facile evitare scontenti e diffidenze e sarà aperta la porta alla finzione e al sotterfugio. Per attuare una vita familiare è necessaria, però, la collaborazione di tutti, del priore e dei sudditi, degli uf~ ficiali e dei semplici religiosi: si tratta di una tela com~ posta di molti fili, legati però tra di loro in maniera che spezzandosi uno tutti gli altri possono allentarsi. Quante volte la pace di una comunità viene compromessa dal comportamento di un sol religioso!
RAPPRESENTANTE DI CRISTO
raccomaridato ai suoi figliuoli spirituali di vivere nella concordia e nell'amore, di avere una stessa anima e uno stesso sentire, di non far nulla per spirito di vanità e di vanagloria, appellandosi al più ammirabile degli esempi, prosegue: «Abbiate in voi quel sen~imento che. er~ anche in Gesù Cristo, il quale sussistendo m natura dl D1O, non considerò questa sua eguaglianza con D~o un.a rapina, ma umiliò se stesso, assumendo la forma dl sch1avo e facendosi simile all'uomo; e in tutto il suo atteggiamento esteriore fu riconosciuto come uomo, umiliò se stesso fattosi obbediente fino al punto di morire su un:a croce ».') L'imitazione della umiltà e della obbedienza del divin Salvatore è l'insegna inconfondibile di chi lo serve veramente con cuore puro e coscienza buona.
La Regola termina così con un nuovo richiamo allo esercizio della fede che fa vincere il mondo e operare per mezzo della carità e alla pratica della umiltà che combatte la superbia e rimuove le barriere che ess.a ~ ~olita innalzare, quali il desiderio di essere a capo, dl dmgere, di godere, e fa cercare la guida degli altri, amare la sottomissione, rifuggire i piaceri e vedere negli uffici unicamente la gloria di Dio e il bene delle anime; ciò che assimila veramente a nostro Signore Gesù Cristo al cui servizio siamo consacrati. L'Apostolo S. Paolo, dopo aver 6) Spec. Carm., I, 2776.
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7) Filip., 2, 5-8.
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CONCLUsrONE
Conclusione
Questo brevemente abbiamo sèritto per voi, stabilendo una f?rmula di vita secondo la quale abbiate a vivere. S~ poz qualcuno avrà fatto di più il Signore stesso al suo rttorno l~ compenserà. Nondimeno usi discrezione, che è moderatrzce delle virtù.
LA REGOLA E LE OPERE SUPEREROGATORIE Le parole conclusive della Regola ribadiscono alcune c?Dsiderazioni e ne suggeriscono delle nuove; le prime nguardano la brevità e la stabilità della Regola, le altre le opere supererogatorie e la prudenza da usare nel loro esercizio. Questo brevemente abbiamo scritto per voi.
Se la Regola è breve non vuoI dire che sia incom~ p!eta, tutt'altro! Questa conclusione la deduciamo, a ragIOn veduta, dopo averla attentamente esaminata nei suoi vari .aspet~i. Nondim~~o, p.erchè i s~ggi inse~namenti che contIene m profondIta e m estensIOne abbIano a intendersi h:ne, torna opportuno ribadire che non basta leg~ g~rla, Impar~rla a n,temoria, ripeterla, ma bisogna me~Itarla, ana~1Z~arla, m~e~pretarla anche secondo lo spinto e la mIglIore tradIzIOne dell'Ordine. Solo a questa co~dizione sarà possibile tenerla nel giusto conto, trarne onentamento per la vita e avere sempre a portata di mano una norma colla quale giudicare, con sicurezza, se il
LE OPERE SUPEREROGA TORIE
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modo di vivere esprime la professione, e in quale misura. E poichè nella vita di perfezione non eSIste maturità completa, nel senso che non sia ancora possibile progredire, lo studio e la meditazione della Regola si adatta ed è utile per tutte le età e per tutte le tappe. E' però assolutamente necessario che prima di emettere la professione di voti semplici, e più ancora quella di voti solenni che lega a Dio per tutta la vita in una consacrazione totale, si abbia un adeguato concetto degli obblighi che si assumono e, conseguentemente, la chiara idea dell'orientamento che bisogna dare alla propria vita. Ciò richia~ ma il senso di responsabilità individuale e quello specifico dei superiori ai quali in maniera più diretta è affidata la formazione dei novizi e dei giovani professi. All'atto della professione i candidati non solo debbono conoscere con esatteza ciò che è richiesto dalla osservanza dei voti in quanto tali, ma ciò che è richiesto dalla osservanza dei voti secondo la Regola. Altrimenti 'la professione diventa un atto inconsulto, e chiunque ne porta la responsabilità opera un tradimento verso gli individui e verso l'Ordine. A un richiamo del superiore, che si suppone conforme alla Regola, il religioso non deve mai trovarsi in una posizione di legittima difesa rispon~ dendo: io non sapevo o non intendevo impegnarmi a questo. Taluno potrà dire che l'osservanza della Regola, se·· condo la spiegazione data, equivale ad alta perfezione, la quale non è di tutti. Rispondiamo che ad essere veri carmelitani non si richiede che tanto si possieda in atto, ma che almeno vi si tenda, come è dello stato di perfezione. Non ,è escluso che anche il più volenteroso abbia a ca:dere e a mancare, ma la buona volontà porta subito a ri-
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CONCLUSIONE
sorgere e far intraprendere con nuova lena e nuovo ardore il cammino. Peraltro della osservanza della Regola bisogna dire quello che si dice della perfezione religiosa, che è un cammino difficile, ma non impossibile, nel quale non v'è per il cristiano obbligo di mettersi, trattandosi solo di consiglio, però quando uno vi si è messo di sua spontanea volontà gli incombe l'obbligo di proseguire coll'aiuto della grazia che non manca mai. Anche su questo tema torna utile e orientativo l'insegnamento di s. Teresa di Gesù: «Se non arriviamo a far tutto ciò che è prescritto [nella Regola e Costituzioni], abbiamo almeno il desiderio, e il Signore, che è misericordioso, farà in modo che le nostre opere giungano, a poco a poco, a conformarsi all'intenzione e al desiderio »/) Quindi raccomanda: «Leggi spesso la Regola e le ordinazioni del tuo Ordine e osservale fedelmente». 2) Stabilendo una formula di vita secondo la quale abbiate a vzvere.
A somiglianza dell'Evangelo, la Regola costituisce una norma di vita stabile e immutabile nella sostanza. Se anche l'Ordine, dal tempo in cui i nostri Padri vivevano sul Carmelo in forma strettamente eremitica, ~ <lndato soggetto a una profonda trasformazione, per cui alcuni punti della Regola sono stati mitigati, altri interpretati secondo le esigenze createsi, via via, nei secoli, nondimeno la sostanza di essa, che costituisce lo spirito dell'Ordine, è rimasta intatta, ed anche nei tempi meno felici ha trovato anime generose, pronte a tutto osare per l) Allocuzione alle monache dell'Incarnazione di Avila, all'atto di pretI.dcl" possesso del suo ufficio di priora il 6 ottobre 1571: Opere, trad. ita!. [1950], 1303. 2) Avvisi... alle me monache, nuro. 34.
LE OPERE SUPEREROGA TORrE
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conservarla nella sua purezza. Quell'aspetto di vita cristia~a, che oggi si. indica .~ol nome di spiritualità carmehtana, come abbIamo gla accennato, ha la sua chiara sorgente nella Regola, e nella medesima il canale limpido ch? trasmett? alle anime amanti di Cristo le acque pure della redenzlOne. ~n,:he. nel fr~st.uono dell'età moderna, nel rapido sus.. segmrsl dI event1? m tanto coz~o di pa~sioni, la S. Regola del Carmelo, smcera emanaZlOne dell Evangelo, rimane ferma come una torre che non trema e luminosa come un faro a indicare il porto della salveza e la via sicura che vi conduc? F.el~ci coloro che vi tengono fisso lo sguardo senza lascIarsI mgannare o fuorviare da allettamenti di dottrine strane e pericolose! Tutto ciò che oggi è richiesto dalle particolari esigenze della vita, da bisogni urgenti e sempre crescenti dell'apostolato, tutto ciò che in certo modo è imposto dalla legge stessa del progresso potrà da noi essere accettato e. sarà anche buono, a condizione che sappiamo e riuSCI.a~o a plasmarlo, a trasformarlo secondo che esige lo S~1f1~O e la sosta~.za della Regola, per cui ne porti e ne nveh ovunque llmpronta. Cosa tutt'altro che difficile molto meno impossibile quando si viva seéondo ciò eh; e~a ~rescri:e,. o ci. sia a!meno l'impegno di adeguarvi aZ1Oll1, penslen, sentImenti. Nel caso contrario ci porremmo per una via che conduce alla rovina. D'altra parte apprendiamo dalla storia che il fiorire o il decadimento dell'Ordine è stato sempre in diretta dipendenza col modo di vivere e di interpretare la Regola. Se poi qualcuno avrà fatto di più il Signore al suo ritorno lo compenserà .
Anche se si tratta di semplice enunciazione, non di
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CONCLUSIONE
precetto e nemmeno di consiglio, questo riferimento alle opere cosÌ dette supererogatorie non deve passare inosservato. Si tratta di un altro pregio della Regola che si àggiunge ai molti altri già rilevati. . Poichè la perfezione spazia in un campo infinito, avendo Dio a modello supremo, 3) e poichè la strada che vi conduce è quella della mortificazione: «Chi vuoI venirmi dietro rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua »:) la S. Regola, evangelica nei principi, rigorosa nelle conseguenze, dopo aver imposto degli obblighi precisi e determinati a tutti coloro che si sentono di professarla, lascia campo libero a chiunque, mosso dallo spirito di Dio, intenda mangiare, in maggior copia, il pane duro della penitenza. Questa via è indicata dal ven. P. Domenico di S. Alberto col motto plus ultra. Per opere supererogatorie non si intendono dunque <Juelle già imposte direttamente e indirettamente nei diciotto capitoli della Regola, nelle Costituzioni, nel ceri~oniale, nel rituale, negli statuti particolari delle provinCIe e nemmeno gli atti interni delle virtù, che rientrano nel precetto generale della carità, ma le azioni che vanno al di fuori ed hanno carattere esteriore, quali: discipline, digiuni, astinenze, orazioni vocali, pellegrinaggi, veglie notturne, ecc. Con grande prudenza tutto ciò viene lasciato libero, cosÌ si evita di moltiplicare oneri che per la maggioranza ·~~ebb~ro troppo gravi, e si lascia ai più fervorosi possibihta ~I scelta secondo le circostanze, tanto più che gli aspettI della perfezione sono molteplici anche se una è la via, quella della carità, e una la meta, il paradiso. 3) Mat., S, 48.
f) Mat., 16, 24.
LE OPERE SUPEREROGATORIE
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Alle opere supererogatorie si riferiscono anche le Costituzioni allorchè scrivono: «Sebbene gran parte della nostra professione consista nella castigatezza e asperità di vita ripetutamente prescritte dalla Regola e da queste Costituzioni, nondimeno, oltre alle mortificazioni già imposte, ne consigliamo altre ai nostri frati, affinchè sottomessi allo spirito i moti della carne, la mente possa aderire a Dio più facilmente ».=;) L'articolo riconosce che la osservanza fedele della Regola e delle Costituzioni impone già un tenore di vita rigoroso, che serve a mortificare duramente le tendenze della natura, pur tuttavia, essendo assai alto il fine proposto, a differenza della Regola che si limita a semplice indiçazione, consiglia espressamente di assoggettarsi a penitenze volontarie, affinchè 1'anima possa aderire a DiQ più facilmente. Non vi è dubbio che quanto è nello spirito del pre~ cetto, ma va al di fuori della lettera, forma una zona di protezione del precetto stesso per la sua fedele osservanza, e costituisce, nel nostro caso, una leva potente per ascen~ sioni più alte come è provato dalla vita dei Santi, alla stessa maniera che la pratica della virtù è la migliore sal~ vaguardia del voto. Per invogliare al compimento di queste opere la Re~ gola richiama il premio sicuro che ne darà il Signore, nella sua infinita giustizia e misericordia: «Fratelli miei - scrive S. Paolo al fine di esortare alla cristiana sopportazione delle comuni avversità della vita - io stimo come non degne le tribolazioni di questo secolo di esser poste a raffronto colla gloria che sarà rivelata in noi ».8) E ancora: «La nostra temporanea e leggera tribolazione' ~)
Art. 10$.
e) Rom., 8, 18.
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CONCLUSIONE
ci merita un peso eterno di gloria oltremodo grande» .7) S. Teresa di Gesù narra che essendole apparso, dopo morte, S. Pietro d'Alcantara, durato per ben quaranta sette anni nella più aspra penitenza, tra altre cose ebbe a dirle: «O felice penitenza che mi hai meritato tanta gloria ».8) Sebbene l'amor puro sia scevro d'interesse e non miri al premio, nondimeno torna a onore e gloria di Dio il concederlo, e in tanta maggior gloria quanto lo può concedere più grande. Peraltro l'amor puro rappresenta il culmine della perfezione, che è di pochi, mentre alla maggioranza torna utile pensare, anche spesso, al premio che ne darà il giusto giudice.
Nondimeno usi discrezione che è moderatrice delle virtù. Ogni eccesso è nocivo ed ogni azione intrapresa senza ponderazione può condurre ad errori, anche quando il fine è buono e le intenzioni sono rette. S. Giovanni della Croce chiama gola spirituale certe penitenze inopportune e indiscrete, definisce gente senza criterio coloro che pospongono la sottomissione e l'obbedienza alla penitenza corporale, e mette in guardia dagli inganni del demonio. g ) Identico è l'insegnamento di S. Teresa/O) e di tutti i maestri dello spirito. La discrezione, oltrechè evitare qualsiasi eccesso, sa scegliere tra i vari generi di opere, di mortificazioni, di penitenze, quelli più convenienti e meglio adatti, tenendo conto dello stato di salute, delle esperienze precedenti, ,) 2 Cor., 4, 17.' , ') Cf. Vita, 27, 16-18. n) Cf. Notte osczira del senso, 6, 1-2, . '0) Cf. Castel/o, quarte mansioni, 3, ! l.
LE OPERE SUPEREROGATORIE
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delle condizioni di ambiente nel quale si vive, del tempo e del luogo, e nulla fa intraprendere che possa incidere sulla osservanza regolare, senza il permesso esplicito del superiore. Inoltre fa ricorrere, sopratutto quando si tratta di principianti o di mortificazioni di una certa gravità, al consiglio del direttore spirituale. Però la discrezione, moderatrice delle virtù, non deve confondersi colla timidezza, colla meticolosità, colla indiscreta preoccupazione della salute, che tante volte non solo fa rifuggire dalle opere supererogatorie, ma fa apparire anche troppo gravosa l'osservanza stessa di ciò che è prescritto. I temperamenti fiacchi e indecisi, più di qualsiasi altro, hanno bisogno della guida di un saggio direttore spirituale, il quale possa suggerire il poco o il molto secondo i casi, e quello che è più efficace a guarire da certi mali.
Cap. VIII:
L'Ufficio divino .
Cap. IX:
La povertà: 1. Evoluzione storica della legge della povertà 2. La povertà religiosa e la vita comune. 3. Lo spirito di povertà 4. Lo spirito di povertà e la pratica della oraz10ne
INDICE 3
PREMESSA.
LA REGOLA E IL SUO AMBIENTE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
L'ideale del Carmelo e la Regola di S. Alberto Riferimenti storici L'organizzazione della vita eremitica sul Carmelo Vicende della Regola . I due testi della Regola Le fonti della Regola . Pregi della Regola Commenti alla Regola
9
12 17
24 44 52 54 57
COMMEl\T'fO ALLA REGOLA
184 189 196
204
Cap. X:
La chiesa e la S. Messa
211
Cap. XI:
11 capitolo conventuale
225
Cap. XII e XIII: 11 digiuno e l'astinenza dalle carni Cap. XIV:
232
1. Il combattimento spirituale 2. Le armi del combattimento
250
242
Cap. XV:
Il lavoro
271
Cap. XVI:
Il silenzio
282
Cap. XVII: L'ufficio del priore e le sue responsabilità
290
Prologo: Finalità dello stato religioso
65
Cap. XVIII: Il superiore rappresentante di Cristo
297
Cap. I:
75
Conclusione: La Regola e le opere supererogatorie
302
86
h;lHCE
310
1. Del priore 2. Della obbedienza
I conventi e l'apostolato
96
Cap. III:
Delle celle dei religiosi
] /.lS .
Cap. IV:
Della refezione in comune.
116
Cap. V:
Del modo di vivere nel convento
123
Cap. VI:
I superiori e la vigilanza della casa.
130
Cap. VII:
1. 2. 3. 4. 5.
Cap. II:
La solitudine e la vita interiore . La preghiera e l'ideale carmelitano Lo spirito di orazione . Meditazione e presenza di Dio I gradi più elevati di orazione
135 142 150 159
166