Fotografia di Vittorio E. Pisu Projet Graphique Maquette et Mise en Page L’Expérience du Futur
STRADE DELLA MIA CITTA Linoleografie di Vittorio E. PISU
SARDONIA
Ici, là bas et ailleurs Cagliari je t’aime
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La scelta di ritornare alla tecnica della linografia per illustrare dei souvenirs della sua infanzia, corrisponde alla volontà di confrontarsi ad un media che non concede ripensamenti e neanche errori. Cosi come il bianco e nero delle sue immagini che non ci vogliono dare nessuna risposta a nessun quesito esistenziale che ci potremo eventualmente porre. Ci vogliono solamente indicare qualche ricordo, trasfigurato anche dalla tecnica che ci propone immagini sognate od anche inventate. Arcibaldo de la Cruz
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STRADE DELLA MIA CITTA Linoleografie di Vittorio E. Pisu
«Cagliari je t’aime» creata ed organizzata da / crèèe et organisèe par
Sardonia Italia/Sardonia France con la collaborazione/et le soutien de
Ici, là bas et ailleurs
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C
et exercice est né un peu par hasard, suite à la réalisation d’une série de linogrammes sur les Casotti del Poetto à Cagliari, j’ai eu envie, en me souvenant de certains épisodes de l’enfance ou de la jeunesse, de parler de mes expériences à Cagliari et pas seulement de ce qui s’est passé sur la plage du Poetto. Donc, à la recherche d’un titre pour ce recueil qui a commencé un jour du 15 août, un peu comme un réveillon de nouvel an, au cours duquel j’ai enregistré les dernières illustrations d’une autre œuvre sur laquelle j’ai travaillé sur commande (c’est «Les Mots de Olga» un recueil de poèmes/chansons écrit par Olga Sokolow, une chanteuse et une actrice, et bien sur auteur, merveilleusement solaire, qui nous a laissés malheureusement trop tôt) après avoir terminé ce travail, j’ai décidé de m’attaquer à cette description littéraire et illustrée des rues de ma ville, que j’apprécie surtout ces jours-ci. J’espère que la lecture de mes souvenirs vous aidera à avoir une vision de Cagliari et de son paysage d’un point de vue différent, vous encourageant ainsi à essayer de découvrir d’autres aspects car une ville si ancienne, si dotée de monuments et d’événements historiques ou anecdotiques ne peut laisser personne indifférent. Vittorio E. Pisu
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uesto esercizio è nato un pò per caso, in seguito alla realizzazione di una serie di linografie sui Casotti del Poetto di Cagliari, ho avuto voglia, ricordando certi episodi dell’infanzia o della gioventù, di parlare delle mie esperienze cagliaritane e non solo quello che si sono svolte sulla spiaggia del Poetto. Così, cercando un titolo per questa raccolta che iniziò in un giorno di Ferragosto, un pò come se fosse un capodanno, durante il quale ho inciso l’ultima delle illustrazioni per un altro lavoro al quale ho lavorato su ordine (si tratta de «Les Mots de Olga» una raccolta di poesie/canzoni scritte da Olga Sokolow, una cantante ed attrice, non che autrice, meravigliosamente solare, che ci ha lasciati sfortunatamnete troppo presto ) dopo aver concluso questo lavoro ho deciso di attaccarmi a questa descrizione letteraria e illustrata delle strade della mia città, che in questi giorni assaporo particolarmente. Sperando che la lettura dei miei ricordi vi aiuti ad avere una visione di Cagliari e del suo paesaggio da un punto di vista diverso, incitandovi quindi a cercare di scoprirne altri aspetti perchè una città cosi antica, cosi dotata di monumenti e di avvenimenti storici o aneddottici non può lasciare nessuno indifferente. Vittorio E. Pisu 9
L
a prima strada di cui vorrei parlare é quella dove sono nato, la via Gianturco a Cagliari, al terzo piano e nella camera dietro la finestra in alto a destra. Naturalmente queste cose le so perché me le hanno raccontate, per di più qualche tempo dopo la mia nascita, i miei genitori che lavoravano per delle case petrolifere, furono trasferiti a Roma dove abitarono per un paio d’anni in Via Rasella. Però i miei nonni paterni abitarono ancora per molto tempo in quella casa e così andando spesso a trovarli, alcuni ricordi di questo luogo mi rimasero impressi. Al piano terra esisteva una bettola, oggi naturalmente sostituita da un bar più contemporaneo. Mi ricordo che nel fondo dell’unica stanza che dava sulla strada troneggiavano tre botti immense, contenenti bianco, rosso e rosso superiore. I muri ed il soffitto, almeno al mio naso di bambino, sentivano fortemente il vino ed alcuni tavoli in legno con delle sedie occupavano il resto dello spazio. Mia nonna vituperava spesso parlando dei frequentatori della bettola, che lei trattava di ubriaconi, dandomi così un’immagine estremamente negativa di questo luogo. 9
All’epoca, nei primi anni cinquanta, non era raro che un mendicante venisse a bussare alla porta dell’appartamento, chiedendo l’elemosina, e mia nonna rifiutava sempre di dargli del danaro, argomentando che l’avrebbero speso sicuramente per bere, ma gli offriva una minestra, del pane ed altre derrate alimentari. A quell’epoca la via Gianturco era una delle strade che partivano dalla piazza creata davanti al nuovo Tribunale, imposante edificio costruito negli anni trenta in uno stile inconfondibile e particolarmente diffuso in Italia per queste costruzioni statali. Davanti alle nuove strade si stendeva una pineta che risaliva fino alla cima del Monte Urpino, ma presto anche quella zona fu occupata da nuove costruzioni. Nella via Pessina, a meno di cinquanta metri, abitavano i miei nonni materni, che ci ricevevano spesso la domenica e dove, un pò più grandicello, mi si mandava a cercare il ghiaccio, disposto su di un carretto tirato da un asino, condotto da un uomo che d’estate lo vendeva, e che me lo consegnava in uno straccio bagnato e che serviva poi a riempire gli spazi appositi della ghiacciaia in legno, ricoperta di zinco, che troneggiava nella cucina dei miei nonni Cilloco. 11
Essi vivevano insieme alla madre di mia nonna, Efisia Pala, forte donna che visse fino all’età di 96 anni e di cui rimase famoso un suo detto, consecutivo ad un pasto pasquale, per il quale aveva ancora preparato, naturalmente a mano, i ravioli per una ventina di persone (era una cuoca sopprafina) e dopo aver consumato l’agnello regolamentare, verdure, frutta e dolce, ebbe un malessere, e distesa sul divano, sospirò «Cuss’acqua minerali m’a mortu!» accusando il bicchiere di acqua minerale che aveva bevuto di essere la causa del suo malessere. Al ritorno da Roma, i miei genitori cercarano un alloggio e lo trovarono in Via Firenze, al n. 12, un appartamento a piano terra con un largo cortile, nella villa Busanca, una costruzione che è stato demolita per essere rimpiazzata da una palazzina costruita sicuramente da qualche cuggino, che per di più occupa interamente i giardini che la circondavano e dove gli aranceti profumavano l’aria. La via Firenze faceva parte di un agglomerato costruito alla fine degli anni ‘20, sulla falsa riga delle città giardino del novecento, costituita da una parte da 13
villette bifamiliari che circondavano uno spazio che noi chiamavamo la palestra, perché nel tempo era destinata agli esercizi ginnici di regime, e dall’altra parte verso la via della Pineta e la futura via Milano da palazzine a quattro piani dove abitava già, in uno degli appartamenti, una delle zie di mia madre. L’appartamento che occupava insieme al marito orafo ed ai suoi figli, cugini di mia madre e nostri zii, era situato al terzo piano ed aveva la caratteristica di essere prolungato da un lungo soggiorno che faceva da ponte con la palazzina adiacente. Non basterebbe un libro solo per narrare tutte le avventure, le vicissitudini e gli anedotti di questo microcosmo, all’epoca ancora lontano dalla vera città. La via Firenze quando fu tracciata incominciava da un muro, che poi fu il tracciato della via della Pineta fino allo Stadio Amsicora, e terminava quasi davanti ad una cava in disuso, con una discesa ripida che la congiungeva con il viale Armando Diaz. Mi ricordo del negozio del signor Caocci, nella via Firenze, l’unco che distribuiva alimentari ma anche quaderni e penne, lampadine ed altri oggetti di prima necessità. Non c’era pratcamente circolazione d’automobili negli anni 50 e per la 15
festa di San Giovanni, la sera, gli abitanti, spesso in pigiama ed in vestaglia, portavano vecchie sedie ed altre suppelletili che accattastavano nel mezzo della strada, non ancora asfaltata, ed a notte gli davano fuoco. Mi ricordo che gli uomini prendevano la rincorsa e saltavano il fuoco, in pantofole spesso, più tardi davanti ad altri falò d’estate mi è capitato anche a me di saltarli, spesso ero il solo a farlo, stupendo l’assistenza, ma per me era come un rito, una celebrazione di quei tempi andati eppure sicuramente felici. La nostra famiglia cresceva e in previsione dell’arrivo di un sesto figlio, mio padre trovò un alloggio più grande. Si trattava di un appartamento situato nella villa Melis, costruzione il cui terreno terminava a punta davanti allo Stadio Amsicora, alla giunzione della via della Pineta e del Viale Armando Diaz, costituito da un allineamento di pini marittimi e bordato su di un lato dalle rotaie del tram che conduceva alla spiaggia del Poetto. Ricordo le lampade al sodio che, la notte, davano una colorazione giallastra alla volta costituita dalle chiome degli alberi. All’epoca il silenzio della notte era rotto solo da qualche rara vettura e qualche motocicletta che percorrevano il viale a tutta velocità. Nell’immagine qui a fianco ho rappresentato le finestre dell’appartamento 17
che occupavamo al primo piano e la balaustra del vasto terrazzo che, con il suo gemello, fiancheggiava l’imponente scalinata che dal viale Diaz permetteva di accedere alla villa. Il complesso possedeva anche un’altro ingresso sulla via della Pineta, molto più comodo e più utilizzato perché la maggior parte dei negozi d’alimentari e di frutta e verdura si trovavano piuttosto all’incrocio con la via Firenze. A quell’epoca esisteva ancora un’altra cava in disuso che costeggiava la via della Pineta e la via Firenze e sul suo suolo troneggiava uno scivolo in cemento creato dalle truppe americane per manutenzionare i loro veicoli. Più lontano l’insieme delle case popolari dette case Fanfani, dove alcuni miei compagni di scuola abitavano insieme anche al maestro Farina. Costui, un grande uomo bruno dalla tinta olivastra, fumava nazionali sensa filtro e senza sosta, puzzava letteralmente il tabacco ed era inoltre estremamente severo con i suo alunni, aveva per di più delle mani grandi e nodose e qualche schiaffo ci scappava sempre, quindi ci tenevamo tranquilli per evitare di approfittarne. Questo vasto terreno era pieno di alberi da frutto di ogni sorta, susine, nespole, uva, ed anche diversi ortag19
gi, che erano coltivati da un vecchio signore che abitava in una casetta all’angolo della proprietà. Lo chiamavamo Maestro Raffaele e passava il suo tempo con i piedi in un secchio pieno d’acqua, sputando dentro regolarmente perché masticava del tabacco. Noi bambini ne avevamo un po paura, ma penso che fosse piuttosto innocuo e si occupava dell’orto e degli alberi da frutto. Ma la meraviglia di questo terreno erano sicuramente gli alberi da fico. Tre alberi allineati della qualità detta «fichi tutto l’anno» con i frutti che maturano tre volte, a maggio, a luglio ed a settembre, più una pianta di fichi neri disponibili alla consommazione generalmente a metà agosto. Spesso, durante le calde notti di luglio, con mio fratello, salivamo in cima ad uno di questi maestosi alberi, e comodamente installati su di un ramo, al fresco, mangiavamo i fichi cogliendoli direttamente sulla pianta. Ancora oggi mi capita di guardare con commiserazione i fichi che si possono trovare nei mercati, a Cagliari passa ancora, a volte se ne possono trovare di lontanamente simili, ma immaginate un pò a Parigi. Sento parlare a volte del lusso, che spesso è confuso con il fatto di ac21
quistare a caro prezzo degli oggetti d’uso comune, anche se riconosco che alcuni sono il prodotto di un artigianato meritevole, ma per me uno dei momenti di lusso della mia vita rimarrà sempre quello di mangiare la notte d’estate i fichi deliziosi sull’albero ed in più in compagnia di mio fratello. Penso che un’altro lusso veritabile sia quello di avere la propria vigna, pintata con le proprie mani e curata ed ogni anno raccogliere qualche chiletto scarso di bellissimi grappoli, come ebbi il piacere di poter realizzare molto più tradi. Ma anche nel terreno della villa esisteva una vigna che cresceva proprio contro il muro di cinta che separava la villa Melis della villa Pinna Stara. L’uva era della qualità zibibbo, con gli acini stretti e lunghi, di una dolcezza squisita, che potevamo gustare alla fine di settembre, anche perché era un pò difficile d’accesso. Invece le susine non arrivavano quasi mai, a parte quelle in cima all’albero, a maturazione, perchè le mangiavamo ancora verdi nonostante la loro acidità tutta particolare, ma non ne avevamo cura. Ricordo anche una bella pianta di capperi di cui raccoglievamo i grossi frutti per conservarli poi nel sale, ed altre diverse verdure. 23
Purtoppo il terreno della villa fù lentamente ma sicuramente ceduto a dei palazzinari che realizzarono le loro costruzioni in economia (come si leggeva sui cartelloni che ne descrivevano il progetto), la punta del triangolo impropria alla costruzione di un immobile é ancora oggi occupata da un distributore di benzina che ne occupa i due versanti. Non so perchè ma mio padre decise di acquistare un appartamento non molto distante e ci trasferimmo così, lasciandoci dietro tanti bellissimi ricordi, come quelli delle feste che d’estate organizzavamo sul terrazzo. Era l’epoca del sirtaki che ballavamo con applicazione insieme all’hully gully ed altre schekerate d’epoca. Già da tempo mio padre aveva acquistato un casotto in prima fila, alla quinta fermata del tram e l’estate la passavamo quasi interamente a dormire al Poetto e tutta la giornata a fare il bagno, giocare con gli amici e sopratutto andare a cercare l’acqua al rubinetto con le brocche. Ho già parlato delle scene alle quali, noi bambini assistevamo, a causa di qualche signora che cercava di non rispettare la fila e che si faceva copiosamente insultare dalle altre presenti, insegnandoci così tanti vocaboli non proprio educati e spesso svelandoci dei dettagli intimi della vita sentimentale e sessuale di 25
queste imprudenti. ma ne ho già lungamente parlato in altre sedi. Dopo aver frequentato le scuole elementari, prima in via Firenze e successivamente in viale Armando Diaz, fui inscritto alla scuola media in via Eleonora d’Arborea, dove spesso andavo a piedi per utilizzare i soldi del biglietto del pulman che economizzavo per comprarmi degli accessori del treno elettrico che avevo ripreso a utilizzare, oppure delle figurine per il presepio di Natale al negozio Bolla, che si trovava in via Manno. Quasi ogni giorno andavo a vedere la vitrina di quel negozio che mi sembrava la caverna di Ali Babà, sfavillante di luci e piena d’oggetti di desiderio. Non so perchè ma quasi ogni Natale compravo invariabilmente un cammello che piazzavo poi nel presepio che allestivamo ogni anno con grande cura, finalmente disponevo di una vera carovana. Questa del presepio era una vera tradizione ed il fidanzato di una delle mie zie aveva anche costruito con dei fiammiferi, numerose casette ed anche un ponticello. Lo realizzavamo con grande cura, andando nei campi ancora circostanti a recuperare delle grandi placche di muschio che utilizzavamo per simulare l’erba di una prateria. 27
Difronte alla villa Melis e lungo il Viale Armando Diaz, si trovava il deposito di carburanti dell’Aereonautica Militare, ed uno dei miei compagni di scuola e grande amico ci abitava, il padre essendo il maresciallo responsabile dell’intero recinto, che comprendeva diversi ettari di terreno, ne avevamo quindi la totale disponibilità. Fu un terreno di giochi favoloso, sia perchè eravamo assolutamente liberi, insieme al mio amico ed i suo fratelli, un altro compagno di scuola si era giunto a noi, e passavamo i pomeriggi a giocare in questo vastissimo spazio, le caratteristiche del terreno erano molto varie, così nel mezzo una vera prateria con dell’erba alta circondata da qualche collinetta tra cui una completamente costituita da calcare che conteneva una quantità incredibile di fossili, vicino a questa roccia un laghetto ed una piccola palude, mentre dall’altra parte una falesia che scalavamo con ardore e dall’altra parte un pendio erboso. Due immensi blockhaus di cemento armato costuiscono ancora oggi i depositi di carburante propriamente detti. la cui parte superiore é materializzata da un insieme di spesse arcate in cemento armato, che a noi faceva pensare al tempio della dea Kali, si trattava del famoso soffitto 29
anti bomba che avrebbe protetto la costruzione da qualsiasi proiettile gettato da un aereo; sono ancora visibili sul posto, anche se non so se siano sempre utlizzati allo scopo per il quale furono costruiti, penso che demolirli sarebbe un impresa molto difficile e naturalmente assai costosa. In seguito il terreno é stato dismesso dalla sua utilizzazione militare e ceduto a diversi promotori che vi hanno realizzato diverse costruzioni che trovo particolarmente ignoranti del luogo dove sono state edificate e delle sue caratteristiche. Uno scempio urbanistico e architettonico insieme. Purtroppo non eccezionale nella città di Cagliari che, distrutta all’ottanta per cento dai bombardamenti angloamericani del 1943, fu ricostruita dopo guerra in modo assolutamente disordinato da costruttori spesso improvvisati ed anche inpecuniari, Le costruzioni «in economia» come si poteva leggere sui cartelli che ne descrivevano i progettisti ed i promotori dell’opera, furono cosi realizzate senza alcun piano d’insieme e con una varietà stilistica (si fa per dire) da catalogo surrealista. Purtroppo molti di questi palazzoni hanno poi condizionato anche la densità della circolazione automo31
bilistica e gli evidenti anacromismi urbanistici. Cosi non posso dire che Cagliari sia una bella città, sopratutto se la devo confrontare ad altri centri cittadini simili oppure comparabili. Anche l’architettura più antica non brilla certo per la sua qualità e se le opere storiche come le torri di San Pancrazio e dell’Elefante, edificate dai Pisani si distinguono dal resto, il periodo spagnolo non ha lasciato molti edifici civili, a parte qualche palazzo signorile in Castello, purtoppo spesso distrutto dai bombardamenti e bisogna arrivare al Regno d’Italia per trovare appunto qualche edificio interessante come l’Ospedale progettato dall’architetto Gaetano Cima, senza parlare naturalmente del Municipio e del Bastione. Più recentemente Ubaldo Badas, al quale si rimprovera di non essersi diplomato in architettura (sic), ha realizzato un certo numero di costruzioni particolarmente insigni che riescono a risollevare il livello generale. E come non parlare del palazzo dell’Enel, a cui si rimprovera di mpedire di contemplare la Sella del Diavolo dalla via Roma, ma che ho sempre considerato un esempio dell’architettura contemporanea e che avrei voluto avesse più seguaci nella forma e nella sostanza ma rimase purtroppo unico.
Citiamo amche Adalberto Libera che, sposato con una cagliaritana, realizzò alcune opere come un padiglione alla Fiera Campionaria ed un insieme di palazzine note come la Città Giardino tra la via della Pineta e la via Scano. Renzo Piano partecipò ad un concorso che doveva vincere ed infatti lo vinse, associato per l’occasione ad un architetto nuorese e realizzò un edificio importante tra il Viale Bonaria ed il Viale Armando Diaz, che arrichisce una serie di costruzioni che testimoniano delle diverse mode archittetoniche che si sono espresse ultimamente in città, Più recentemente le nuove leve degli architetti isolani hanno rimpiazzato gli studi continentali che spesso e volentieri erano incaricati delle realizzazioni sia pubbliche che private. Ma ormai la città si é estesa ed assume la denominazione di Metropolitana, inglobando le vicine municipalità che spesso, per delle ragioni prettamente economique sono diventate il luogo prediletto di abitazione di molti cagliaritani o recentemente arrivati in città. Sarà difficile risolvere i problemi urbanistici (quelli architettonici non hanno soluzione) anche perché le diverse amministrazioni sia regionale che comunale non ne prendono certo il cammino, helas! Mi rendo conto che mi sono un po al33
lontanato di quella che era la descrizione di queste vedute cagliaritane ed il rapporto che ho sviluppato nel tempo con questi aspetti della mia città. Penso che nascendo in un luogo e frequentandolo poi in seguito mentre si cresce e ci si confronta ai diversi avvenimenti della vita, la città appare come un elemento naturale, come se ci fosse sempre stata, un po come la Sella del Diavolo, la collina che delimita la spiaggia del Poetto oppure il Monte Urpinu. Le strade, i palazzi, i monumenti ci sembrano come delle manifestazioni naturali e non costruiti dall’uomo. Solo le strade praticate e conosciute mi sembrano agibili, le altre appaiono invece come muri impaticabili, ritrose e mute, parti di un paesaggio pietrificato, dove qualche geranio in qualche balcone allietta le facciate peraltro spesso colorate. Andavo spesso in Castello a trovare qualche compagno di scuola e le due torri pisane mi hanno sempre impressionato nella loro silenziosa immutabilità, nella loro dimensione smisurata che si stenta a credere necessaria all’avvistamento del nemico ed alla difesa, un retaggio di altri tempi ormai passati eppure sempre architettonicamente presenti come muti testimoni di un ieri scomparso. Vittorio E. Pisu 35
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Cagliari ti amo Ho vissuto a Parigi, Roma New York visitato Londra, Berlino, Bangkok ma quando salgo al bastione e vedo il panorama te lo devo dire, il mio cuore ti ama Marina, Villanova Stampace ti confesso che non so quale di più mi piace Pirri, Bonaria, San Benedetto anche se poi tutto non é proprio perfetto Se poi vado lontano a lavorare e credo di trovare un luogo corretto non c’é niente da fare quello che mi manca é sempre il Poetto En solo quello, perché il primo maggio il nostro Sant’Efisio é l’unico appannaggio Salire a Monte Urpinu e vedere lo stagno ti viene subito voglia di farti un bel bagno Se poi vai in Castello dove non c’é più quasi nessuno non te ne importa niente, perché conosci sempre qualcuno Arabi. Bizantini, Ostrogoti, Pisani financo i Fenici ed anche i Romani sono tutti tuoi padri ma di mamma c’hai quella perché della Sardegna sei la figlia più bella! Ma una sola cosa ti manca un bel sindaco che si chiami Franca anzi Francesca! 39
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et exercice est né un peu par hasard, suite à la réalisation d’une série de linoleographies qui décrivent les Casotti del Poetto de Cagliari, j’ai eu envie, en me rappelant certains épisodes de l’enfance ou de la jeunesse, de parler de mes expériences à Cagliari et pas seulement de ce qui s’est passé sur la plage du Poetto. Donc, en cherchant un titre pour ce recueil qui a commencé un jour du 15 août, un peu comme un réveillon de nouvel an, pendant lequel j’ai enregistré les dernières illustrations d’une autre œuvre sur laquelle j’ai travaillé sur commande (c’est «Les Mots de Olga» un recueil de poèmes/chansons écrit par Olga Sokolow, une chanteuse et une actrice, pas cet auteur, merveilleusement ensoleillé, qui nous a laissés malchanceux trop tôt) après avoir terminé ce travail, j’ai décidé de m’en tenir à cette description littéraire et illustrée des rues de ma ville, que j’apprécie particulièrement ces jours-ci. J’espère que la lecture de mes souvenirs vous aidera à avoir une vision de Cagliari et de son paysage d’un point de vue différent, vous encourageant ainsi à essayer de découvrir d’autres aspects car une ville si ancienne, si dotée de monuments et d’événements historiques ou anecdotiques ne peut laisser personne indifférent. Vittorio E. Pisu 41
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a première rue dont je voudrais parler est celle où je suis né, Via Gianturco à Cagliari, au troisième étage et dans la pièce derrière la fenêtre en haut à droite. Bien sûr, je sais ces choses parce mes parents m’en ont parlé, et quelque temps après ma naissance, mes géniteurs, qui travaillaient pour des compagnies pétrolières, ont été transférés à Rome où ils ont vécu quelques années dans la Via Rasella. Mes grands-parents paternels ont continué à vivre dans cette maison pendant longtemps et, en allant souvent les visiter, certains souvenirs de cet endroit m’ont marqué. Au rez-de-chaussée se trouvait une taverne, aujourd’hui bien sûr remplacée par un bar plus contemporain. Je me souviens que dans le fond de la seule pièce qui donnait sur la rue, il y avait trois énormes barils, contenant du blanc, du rouge et du rouge supérieur. Les murs et le plafond, du moins jusqu’au nez de mon enfant, sentaient fortement le vin et quelques tables en bois avec des chaises occupaient le reste de l’espace. Ma grand-mère parlait souvent des clients de la taverne, qu’elle traitait d’ivrognes, me donnant une image extrêmement négative de cet endroit. 43
À cette époque, au début des années 1950, il n’était pas rare qu’un mendiant vienne frapper à la porte de l’appartement de mes grands-parents pour demander l’aumône, et ma grand-mère refusait toujours de lui donner de l’argent, arguant qu’ille dépenseraient certainement en boisson, mais qu’elle leur offrirait de la soupe, du pain et d’autres denrées alimentaires. À cette époque, la Via Gianturco était l’une des rues qui partaient de la place créée devant le nouveau Tribunal, un bâtiment imposant construit dans les années trente dans un style particulièrement courant en Italie pour les tribunaux. Devant les nouvelles routes, il y avait une pinède qui montait jusqu’au sommet du mont Urpino, mais bientôt cette zone fut également occupée par de nouveaux bâtiments. Non loin de là, dans la Via Pessina, à moins de cinquante mètres, vivaient mes grands-parents maternels, ainsi que mon arrière-grand-mère Efisia, une femme forte qui a vécu jusqu’à l’âge de 96 ans et dont une de ses expressions est restée célèbre; à la suite d’un repas de Pâques, pour lequel elle avait encore préparé à la main des raviolis à la ricotta et aux épinards (elle était une cuisinière émérite) et après avoir mangé l’agneau réglementaire, des légumes, des 45
fruits et le dessert, elle a eu un malaise, et couchée sur le canapé, elle a dit «Cuss’acqua minerali m’a mortu !» (Ce verrer d’eau minérale m’a tuée) accusant le verre d’eau minérale qu’elle avait bu de son malaise. À leur retour de Rome, mes parents ont cherché un logement et l’ont trouvé dans la Via Firenze, n. 12, un appartement au rez-de-chaussée avec une grande cour, dans la Villa Busanca, un bâtiment qui a été démoli pour être remplacé par un bâtiment certainement construit par un certain cuggino, qui occupe aussi entièrement les jardins qui l’entouraient et où les orangeraies embaumés l’air. Via Firenze faisait partie d’une agglomération construite à la fin des années 20, sur la fausse ligne des cités-jardins du XXe siècle, constituée d’un côté de maisons jumelées qui entouraient un espace que nous appelions le gymnase, parce qu’avec le temps il était destiné aux exercices de gymnastique, et de l’autre côté vers la Via della Pineta et la future Via Milano, d’immeubles de quatre étages où une des tantes de ma mère habitait déjà dans un des appartements. L’appartement qu’elle occupait avec son mari orfèvre et ses enfants, cousins de ma mère et de nos oncles, était situé au troisième étage et avait 47
la particularité d’être prolongé par un long salon qui servait de pont avec le bâtiment adjacent. Un livre entier ne suffirait pas pour raconter toutes les aventures, les vicissitudes et les anecdotes de ce microcosme, à cette époque encore loin de la ville et replié sur lui meme. Lorsque la Via Firenze a été tracée, elle partait d’un mur, qui était alors l’itinéraire de la Via della Pineta vers le stade de l’Amsicora, et se terminait presque devant une carrière désaffectée, avec une descente raide qui la reliait au Viale Armando Diaz. Je me souviens de la boutique de M. Caocci, via Firenze, le seul qui distribuait de la nourriture mais aussi des cahiers et des stylos, des ampoules électriques et d’autres produits de première nécessité. Il n’y avait pas de circulation dans les années 50 et pour la fête de la SaintJean, le soir, les habitants, souvent en pyjama et en robe de chambre, apportaient de vieilles chaises et autres commodes au milieu de la route, pas encore pavée, et la nuit ils y mettaient le feu. Je me souviens que les hommes s’eloignés pour se lancer dans une course et sauter par dessus le feu, souvent en pantoufles, plus tard devant d’autres feux de joie en été, il m’est arrivé de les sauter dessus aussi, souvent j’étais le seul à le faire, 49
surpenant l’assistance, mais pour moi c’était comme un rituel, une célébration de ces temps révolus et pourtant certainement heureux. Notre famille a grandi et en prévision de l’arrivée d’un sixième enfant, mon père a trouvé un logement plus grand. Il s’agissait d’un appartement situé dans la Villa Melis, un bâtiment dont le jardin se terminait en pointe devant le stade Amsicora, à la jonction de la Via della Pineta et du Viale Armando Diaz, avenue constituée d’un alignement de pins maritimes et bordé sur un côté par les rails du tramway menant à la plage du Poetto. Je me souviens des lampes au sodium qui, la nuit, donnaient une couleur jaunâtre à une voute constituée par les cimes des arbres. A cette époque, le silence de la nuit était rompu par quelques rares voitures et aussi quelques motos qui roulaient à toute vitesse sur l’avenue. Sur l’image, je représente les fenêtres de l’appartement que nous occupions au premier étage et la balustrade de la vaste terrasse qui, avec sa jumelle, flanquait l’imposant escalier qui, depuis l’avenue Diaz, permettait d’accéder à la villa. Le complexe avait également une autre entrée sur la Via della Pineta, beaucoup plus pratique et plus fréquentée car la plupart des épiceries 51
et des magasins de fruits et légumes étaient plutôt situés au carrefour avec la Via Firenze. À cette époque, il y avait encore une carrière désaffectée qui longeait la Via della Pineta et la Via Firenze et sur son sol se trouvait un toboggan en béton créé par les troupes américaines en 1945 pour entretenir leurs véhicules. Plus loin, il y avait le groupe de maisons municipales appelées maisons Fanfani, où certains de mes camarades d’école vivaient également avec l’enseignant Monsieur Farina. C’était un grand homme brun avec un teint olivastre, il fumait des cigarettes sans filtre sans arrêt, il sentait littéralement le tabac et était aussi extrêmement strict avec les élèves, il avait de grandes mains noueuses et quelques gifles lui échappaient toujours, alors nous nous taisions pour éviter d’en profiter. Les jardins de la villa étaient remplis de toutes sortes d’arbres fruitiers, de prunes, de nèfles, de raisins et même de légumes, qui étaient cultivés par un vieil homme qui vivait dans une petite maison au coin de la propriété. On l’appelait Maestro Raffaele et passait son temps les pieds dans un seau rempli d’eau, crachant dedans régulièrement parce qu’il mâchait du tabac. Nous, les enfants, avions un peu peur 53
de lui, mais je pense qu’il était tout à fait inoffensif et qu’il ne faisait que s’occupait du jardin et des arbres fruitiers. Mais la merveille c’ était sans aucun doute les figuiers. Trois arbres alignés de la qualité appelée «figues toute l’année» avec des fruits mûrissant trois fois, en mai, juillet et septembre, plus un figuier noir dont les fruits étaient généralement bon pour la consommation à la mi-août. Souvent, pendant les chaudes nuits de juillet, avec mon frère, nous avions l’habitude de grimper au sommet d’un de ces arbres majestueux, et confortablement installés sur une branche, au frais, nous mangions les figues, en les cueillant directement sur la plante. Aujourd’hui encore, il m’arrive de regarder avec pitié les figues que l’on trouve sur les marchés, à Cagliari passe encore, parfois on trouve des figues qui leur ressemblent de loin, mais imaginez un peu à Paris. J’entends parfois parler de luxe, qui est souvent confondu avec le fait de payer très cher des objets de la vie quotidienne, même si je reconnais que certains d’entre eux sont le produit d’un artisanat méritant, mais pour moi, l’un des moments de luxe de ma vie restera toujours de manger les délicieuses figues sur l’arbre 55
par une nuit d’été et en compagnie de mon frère. Je pense qu’un autre vrai luxe est d’avoir son propre vignoble, plantè de ses propres mains et soigné, et de cueillir chaque année quelques rares kilos de belles grappes de raisin, comme j’ai eu le plaisir de pouvoir le faire de manière beaucoup plus traditionnelle à Mézy sur Seine. Mais même sur le terrain de la villa, il y avait une vigne qui poussait juste contre le mur d’enceinte qui séparait la Villa Melis de la Villa Pinna Stara. Les raisins étaient de la qualité zibibbo, avec des grains longs et étroits, d’une douceur exquise, que nous dégustions seulement fin septembre, parce qu’ils étaient aussi un peu difficiles d’accès. D’autre part, les prunes n’arrivaient presque jamais, à part celles en haut de l’arbre, à maturation, car nous les mangions encore vertes malgré leur acidité particulière, mais nous n’en avions cure. Je me souviens aussi d’une belle plante de câpres dont on ramassait les gros fruits pour les conserver dans du sel, et d’autres légumes différents. Malheureusement, le terrain de la villa a été lentement mais sûrement occupé par quelques bâtiments réalisés en économie (comme on pouvait lire sur les panneaux d’affichage
qui décrivaient le projet), la pointe du triangle impropre à la construction est toujours occupée par une station-service qui utilise les deux côtés. Je ne sais pas pourquoi, mais mon père a décidé d’acheter un appartement non loin de là et nous avons déménagé rapidement, laissant derrière nous tant de beaux souvenirs, comme ceux des fêtes que nous avions l’habitude d’organiser sur la terrasse en été. C’était l’époque du sirtaki que nous dansions avec application, sans oublier autres hully gully et twists vintage. En même temps, mon père avait acheté un chalet sur la plage du Poetto au premier rang, au cinquième arrêt du tramway et nous passions presque entièrement l’été à y dormir et à nous baigner toute la journée, à jouer avec des amis et surtout à aller chercher de l’eau au robinet avec les damejeannes. J’ai déjà parlé des scènes auxquelles nous, les enfants, avons assisté, à cause d’une dame qui essayait de ne pas respecter la file et qui était copieusement insultée par les autres personnes présentes, nous enseignant tant de mots peu polis et révélant souvent des détails intimes de la vie sentimentale et sexuelle de ces imprudentes. mais j’en ai déjà longuement parlé dans d’autres endroits. Après avoir fréquenté l’école élémentaire, d’abord via Firenze et ensuite viale Armando Diaz, j’ai été inscrit au collège de via Eleonora d’Arborea, où
je me rendais souvent à pied pour utiliser l’argent du ticket de bus que j’économisais pour m’acheter des accessoires du train électrique ou les figurines de la crèche de Noël au magasin Bolla, qui se trouvait dans la via Manno. Presque tous les jours, j’allais voir la vitrine de ce magasin qui me semblait être la caverne d’Ali Babà, étincelante de lumières et pleine d’objets de désir. Je ne sais pas pourquoi, mais presque chaque Noël, j’achetais invariablement un chameau que je mettais dans la crèche que nous installions chaque année avec beaucoup de soin, à la fin j’avais une vraie caravane. La crèche était une véritable tradition et le petit ami d’une de mes tantes avait également construit avec des allumettes, de nombreuses maisons et même un pont. Nous réalisions la crèche avec beaucoup de soin, en allant dans les champs, qui entouraient encore la villa, pour récupérer de grandes plaques de mousse que nous utilisions pour simuler les prairies. En face de la Villa Melis et le long de Viale Armando Diaz, il y avait le dépôt de carburant de l’Armée de l’Air, et un de mes camarades de classe et grand ami y vivait, son père étant le maréchal responsable de toute le complexe qui comprenait plusieurs
hectares de terrain; nous en avions donc la totale disponibilité. C’était un terrain de jeu fabuleux, à la fois parce que nous étions absolument libres, avec mon ami et ses frères, un autre camarade de classe était venu nous voir, et nous passions les après-midi à jouer dans ce vaste espace, aussi parce que les caractéristiques du terrain étaient très variées, au milieu une véritable prairie avec de hautes herbes entourée de quelques collines dont une entièrement faite de calcaire qui contenait une quantité incroyable de fossiles, à côté un lac et un petit marais avec des hautes cannes, tandis que de l’autre côté une falaise que nous escaladions avec ardeur et de l’autre côté une pente herbeuse. Deux énormes blockhaus en béton armé constituent encore les dépôts de carburant proprement dits. dont la partie supérieure, matérialisée par un ensemble d’épaisses arches en béton, nous rappelaient le temple de la déesse Kali, c’était le fameux plafond anti-bombe qui protégeait le bâtiment de tout ordigne lancé d’un avion ; ils sont encore visibles sur place, bien que je ne sache pas s’ils sont toujours utilisés pour l’usage pour lequel ils ont été construits, je pense que leur démolition serait très difficile et bien sûr très coûteuse. Par la suite, le terrain a été abandonné par les militaires et cedé à divers promoteurs qui y ont rèalisés plusieurs bâti-
ments que je trouve particulièrement indiffèrents au lieux. Une catastrophe urbanistique et architecturale à la fois. Malheureusement pas exceptionnelle dans la ville de Cagliari, qui a été détruite à 80 % par les bombardements anglo-américains en 1943 et reconstruite après la guerre de manière absolument désordonnée par des constructeurs souvent improvisés et même inpécuniers, Les constructions «en économie», ont donc été réalisées sans aucun plan d’ensemble et avec la variété stylistique (pour ainsi dire) d’un catalogue surréaliste. Malheureusement, beaucoup de ces bâtiments ont également influencé la densité du trafic automobile et les anachromismes urbanistiques évidents. Je ne peux donc pas dire que Cagliari soit une belle ville, surtout si je dois la comparer à d’autres villes semblables. Même l’architecture historique ne brille certainement pas par sa qualité et si les ouvrages historiques tels que les tours de San Pancrazio et de l’Éléphant, construits par les Pisans, la période espagnole n’a pas laissé beaucoup de bâtiments civils, à l’exception de quelques édifices nobles du quartier de Castello, malheureusement souvent détruits par
les bombardements et il faut attendre l’époquee du Royaume d’Italie pour trouver quelques réalisations intéressantes comme l’hôpital conçu par l’architecte Gaetano Cima, sans parler bien sûr de l’hôtel de ville et du bastion. Plus récemment, monsieur Ubaldo Badas, qui fut accusé de ne pas être diplômé en architecture (sic), a construit un certain nombre de bâtiments particulièrement remarquables qui parviennent à élever le niveau général. Et comment ne pas mentionner le bâtiment Enel, qui fut accusé de cacher la vue de la Sella del Diavolo depuis la Via Roma, l’artère principale, mais que j’ai toujours considéré comme un bel exemple d’architecture contemporaine et que j’aurais aimé trouver plus souvent copié dans la forme et le fond mais qui est malheureusement resté unique. Citons aussi l’architecte Adalberto Libera, qui, mariée à une femme de Cagliari, a réalisé quelques ouvrages tels qu’un pavillon à la Fiera Campionaria et un ensemble de bâtiments connu sous le nom de Città Giardino entre via della Pineta et via Scano où d’ailleurs habitèais une de mes tantes. Renzo Piano a participé à un concours qu’il devait gagner et il l’a d’ailleurs remporté, associé avec un architecte de Nuoro pour l’occasion. Il a réalisé un important bâtiment entre Viale Bonaria et Viale Armando Diaz, qui enrichit une série de bâtiments té-
moignant des différentes tendances architecturales qui se sont exprimées dans la ville, Plus récemment, les nouvelles recrues des architectes de l’île ont remplacé les studios des architectes continentaux qui étaient souvent et volontairement en charge de projets publics et privés. Mais aujourd’hui, la ville s’est agrandie et s’ést dotée d’une Metropolitana (métro de surface), en incorporant les municipalités voisines qui, souvent, pour des raisons purement économiques, sont devenues le lieu de résidence préféré de nombreux habitants de Cagliari ou récemment arrivés dans la ville. Il sera difficile de résoudre les problèmes urbanistiques (les problèmes architecturaux n’ont pas de solution) aussi parce que les différentes administrations, tant régionales que municipales, n’en prennent certainement pas le chemin, helas ! Je me rends compte que je me suis un peu éloigné de ce qui était la description de ces vues de Cagliari et de la relation que j’ai développée au fil du temps avec ces aspects de ma ville. Je pense qu’en naissant dans un lieu et en le fréquentant plus tard, en grandissant et en se confrontant aux différents événements de la vie, la ville apparaît comme un élément
naturel, comme si elle avait toujours été là, un peu comme la Selle du Diable, la colline qui borde la plage du Poetto ou le Mont Urpinu. Les rues, les palais, les monuments nous semblent être des manifestations naturelles et non pas construits par l’homme. Seules les routes pratiquées et connues me semblent accessibles, les autres apparaissent plutôt comme des murs infranchissables, reculés et silencieux, parties d’un paysage pétrifié, où quelques géraniums dans certains balcons tapissent les façades, souvent colorées. Je me rendais souvent au Château pour rendre visite à des amis d’école, et les deux tours Pisan m’ont toujours impressionné par leur immuabilité silencieuse, par leur dimension immuable. dans leur dimension démesurée, qu’il est difficile de croire nécessaire à l’observation de l’ennemi et à la défense, un héritage du temps passé et pourtant toujours présent sur le plan architectural en tant que témoins silencieux d’un hier disparu. Ces quelques images disparates, souvent réalisées en faisant appel non seulement à ma mémoire mais à quelques photographies d’époque, peut etre arrivent à restituer mla complexité de cette ville, si antique et si malheureusement enlaidie par la «modernité» mais qui conserve, en tout cas, pour moi, un charme unique et surtout la toile de fond de tant de situations, évenements, joies et peines de ma vie. Vittorio E. Pisu
L
a tecnica della linografia é qualche cosa che ho imparato nell’ anno 1968 con dei maestri quali Foiso Fois, Antonio Mura e Primo Pantoli. In quello che era ancora il Liceo Artistico privato, diventato poi statale l’anno successivo, potei sperimentare diverse tecniche di incisione, ma la ragione che mi fece scegliere la linografia fu la possibilità di stampare a mano senza bisogno di torchio. La mia produzione di allora, all’incirca 25 linografie, ebbe un certo successo presso i clienti dell’agenzia di mio padre, in maggioranza notai ed avvocati, che apprezzarono queste monografie bienche e nere per adornare le loro sale di attesa. Questo mi permise di finanziare un viaggio di vacanze a Parigi, dove finalmente decisi di rimanere. Naturalmente non ho mai dimenticato la mia città, la sua spiaggia dove ho passato tante estati; al D’Aquila all’inizio, in un casotto alla quinta fermata in seguito ed al Lido anche quando ormai vivevo a Parigi. Questa serie sui casotti mi é stata inspirata da una mostra, organizzata al Lazzaretto nella serie «Cagliari je t’aime» con la quale ho invitato degli artisti francesi a esporre a Cagliari ed a inspirarsene.
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Le cere e gli olii su legno che Camille Revel ci ha proposto, ma anche le sue sculture policrome, con i loro colori slavati mi hanno improvvisamente riportato sulla spiaggia del Poetto, davanti ai casotti ormai scomparsi, che furono il teatro di tante felici stagioni estive. Durante la trasmissione a Radio X, dove l’artista ha parlato delle sue opere, e rispondendo alla domanda del perché di questa mostra, sono stato soprafatto dall’emozione. All’improvviso ho capito il legame profondo ed il rinvio che mi rimandava indietro nel tempo. Cosi é diventato impellente per me il bisogno di riprodurre questi ricordi e queste immagini sfocate, forse anche solo sognate oppure anche inventate dei casotti sia d’estate che d’inverno. Le opere di Camille Revel mi hanno opportunamente ricordato quei luoghi della mia infanzia, ed ho deciso di rappresentarli non solo attraverso le linografie ma anche sulle magliette aumentate da un ricamo per completare il legame che intrattengo con l’arte sarda e che cerco di esprimere con riconoscenza ed ammirazione sperando suscitare gli stessi sentimenti negli spettatori di queste azioni che si pretendono artistiche. Vittorio E. Pisu 59
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a technique de la linographie est une chose que j’ai apprise en 1968 avec des maîtres tels que Foiso Fois, Antonio Mura et Primo Pantoli. Dans ce qui était encore le lycée artistique privé, qui est devenu l’État l’année suivante, je pouvais expérimenter différentes techniques de gravure, mais la raison qui m’a fait choisir la linographie était la possibilité d’imprimer à la main sans avoir besoin d’une presse. Ma production de l’époque, environ 25 linographies, a eu un certain succès auprès des clients de l’agence de mon père, principalement des notaires et des avocats, qui appréciaient ces monographies en noir et blanc pour orner leurs salles d’attente. Cela m’a permis de financer un voyage de vacances à Paris, où j’ai finalement décidé de rester. Bien sûr, je n’ai jamais oublié ma ville, sa plage où j’ai passé de nombreux étés; à l’établissement D’Aquila au début, dans une cabane en bois au cinquième arret du tramway au milieu de millier d’autres après et à l’établissement Il Lido, même lorsque je vivais désormais à Paris. Cette série sur les casotti a été inspirée par une exposition, organisée au Lazzaretto dans la série «Cagliari je t’aime» avec laquelle j’ai invité des 61
artistes français à exposer à Cagliari et à s’en inspirer. Les cires et les huiles sur bois que Camille Revel nous a proposées, mais aussi ses sculptures polychromes, aux couleurs délavées, m’ont soudain ramené sur la plage du Poetto, devant les casotti aujourd’hui disparus, qui ont été le théâtre de nombreuses et heureuses saisons d’été. Lors de l’émission sur Radio X, où l’artiste a parlé de ses œuvres, et en répondant à la question du pourquoi de cette exposition, j’ai été submergé par l’émotion. Soudain, j’ai compris le lien profond et le rapport entre les oeuvres et mes ouvenirs qui m’ont fait remonter le temps. Il m’est donc apparu nécessaire de reproduire ces souvenirs et ces images floues, peut-être même rêvées ou même inventées par les casotti, en été comme en hiver. Les œuvres de Camille Revel m’ont rappelé à juste titre ces lieux de mon enfance, et j’ai décidé de les représenter non seulement à travers les linographies mais aussi sur les t-shirts rehaussés d’une broderie pour compléter le lien que j’ai avec l’Art Sarde et que je tente d’exprimer avec gratitude et admiration en espérant susciter les mêmes sentiments chez les spectateurs de ces actions qui se veulent artistiques. Vittorio E. Pisu
STRADE DELLA MIA CITTA Linoleografie di Vittorio E. Pisu Projet Grapique, Maquette et Mise en Page L’Expérience du Futur Impression TIME Service Une édition / Una pubblicazione
Ici, là bas et ailleurs
SARDONIA
Fotografia di Mauro Molledda
Dopo aver illustrato alcuni ricordi d’infanzia e d’adolesAprès avoir illustré quelques souvenirs d’enfance cenza legati alla spiaggia del Poetto ed ai suoi casotti, et d’adolescence liés à la plage du Poetto et à ses Vittorio E. Pisu ha iniziato cabanes, Vittorio E. Pisu a commencé un’altra esplorazione nostalgica une autre exploration nostalgique et un peu e leggermente malinconica della sua città. mélancolique à propos de sa ville. Les aperçus qu’elle nous offre sont naturellement Gli scorci che ci propone sono naturalmente legati a quelle che sono o piuttosto che erano le sue deambulazioni, le liés à ce que sont ou plutôt étaient ses promenades, ses balades et ses excursions après l’école, sue passeggiate e le sue escursioni del dopo scuola, quando percorreva alcuni quartieri della città a piedi, necessarialorsqu’elle parcourait à pied certains quartiers de mente a piedi, come si dovrebbero la ville, forcément à pied, comme on doit toujours sempre avvicinare le città per conoscerle veramente. approcher les villes pour vraiment les connaître. Alcuni elementi che ha riprodotto sono ormai scomparsi, Certains des éléments qu’il a reproduits ont maincome il negozio di giocattoli Bolla, tenant disparu, comme le magasin de jouets Bolla, ma altri perdurano quasi immuttati, mais d’autres restent pratiquement inchangées, se non fosse per le insegne dei negozi. sauf peut-etre les enseignes des magasins. In queste immagini in bianco e nero non c’é bisogno di Dans ces images en noir et blanc, il n’est pas cercare nessun messaggio subliminale o qualche domanda nécessaire de chercher un message subliminal ou esistenziale e neanche nessuna risposta ad una qualsiasi une question existentielle, ni même une réponse à interrogazione che ci potremo porre, Vittorio E. Pisu ci une question que l’on pourrait se poser, Vittorio E. propone semplicemente di osservare la sua città, cosi Pisu nous propose simplement d’observer sa ville, singolare, cosi speciale, cosi diversa e cosi unica. si singulière, si spéciale, si différente et si unique. E ad amarla anche in questa sua particolarità. Et de l’aimer aussi dans cette particularité. Arcibaldo de la Cruz Arcibaldo de la Cruz