Sardonia Marzo 2020

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Foto Beni Culturali

SARDONIA Ventisettesimo Anno / Vingt Septième Annèe

Marzo 2020/Mars 2020

Monte Prama chiede Giustizia Antonioni / Bini Filippo Figari Ioleapolis / Lapola The Nivola Guggenheim House I Grani Storici Sardi Il latino deriva dal sardo Volontari gratuiti del Touring Club Italiano Il latino deriva dal sardo vediamo Ancora le false carte d’Arborea? La Storia d’Italia comincia da Roma? Caserme Verdi la Beffa Galleria Spazio 61 Mariano Chelo Grande Baboomba Giornata Internazionale della Donna I Nuraghi non sono mai esistiti ? L’Arte rotta - V Giornata D Nuraghe Losa Il sardo Porcheddu, non é isolato All Colors of the World I Pezzinni di Pietrina Atzori REINAS Selezione Regionale XIII Biennale Roma https://www.vimeo.com/groups/sardonia https://www.facebook.com/sardoniaitalia


Cagliari Je T’aime Programma di creazione di Esposizioni e Manifestazioni Artistiche nella città di Cagliari a cura di Marie-Amélie Anquetil Conservateur du Musée du Prieuré Directrice de la revue “Ici, Là bas et Ailleurs” Espace d’exposition Centre d’Art Ici, là bas et ailleurs 98 avenue de la République 93300 Aubervilliers marieamelieanquetil@gmail. com https://vimeo.com/channels/ icilabasetailleurs Vittorio E. Pisu Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS Elena Cillocu via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/ cagliarijetaime SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima Direttore della Pubblicazione Vittorio E. Pisu Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS Commission Paritaire ISSN en cours Diffusion digitale

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orona virus è il tema che si é imposto in questi giorni, ma le declinazioni ed altri svolgimenti a partire da questo semplice enunciato mi lasciano veramente sbalordito. Non immaginavo che la popolazione italiana e non solo quella, perchè in altre nazioni le reazioni sono ugualmente inappropriate, disproporzionate, completamente infondate e apparentemente inefficaci e purtroppo stupide, potesse comportarsi in questo modo. Tutto questo comunque finirà tra breve, perché altre catastrofi, ben più tragiche ed importanti ci occuperanno sia sui media che nella realtà sociale e personale, ma penso che gli effetti disatrosi di questa psicosi generalizzata perdureranno ancora per molto tempo. Già si accumulano le diserzioni dei turisti, rispetto alle località italiane (ed anche estere) che ne hanno fatto una delle loro risorse principali. Ma in questo numero di Sardonia parliamo lungamente di altre situazioni, che forse non hanno niente a che vedere con l’attualità ma che mi sembrano gettare una luce diversa sulla realtà, voglio parlare dell’articolo sulle origini di Venezia e su quelli che trattano del delicato problema di sapere se la lingua sarda derivi dal latino o viceversa senza dimenticare i risultati delle ricerche intorno agli scavi di Monte Prama. Certo, quotidianamente, non abbiamo questo tipo di interrogazioni, ma in un momento in cui l’identità sembra essere così importante per alcuni di noi o forse per tutti noi, riflettere sull’origine delle cose e delle situazioni non puo essere completamente nocivo. Per il resto in questo numero bulimico cerchiamo di trattare sempre i temi che ci sembrano più interessanti da un punto di vista artistico, culturale e sociale. Alcune manifestazioni sono state inoltre riportate a causa del corona virus e cercheremo di seguirle ed illustrarle nei prossimi numeri al momento della loro disponibilità. Spero comunque di riuscire a suscitare il vostro interesse in questo percorso variegato che Sardonia vi propone questo mese, invitandovi a visitare comunque le manifestazioni ancora accessibili come la giornata al Nuraghe Losa con la partecipazione di Angela Demontis, i concerti del Grande Baboomba ed anche la Selezione Regionale per la XIIIsima Biennale di Roma al Teatro Lirico di Cagliari, potete inoltre procurarvi il libro di Mariano Chelo oppure “Trigu” di Atzei e Mascia sugli antichi grani sardi. Probabilmente un numéro speciale di Sardonia durante il mese di Marzo vi terrà al corrente degli eventuali sviluppi di certe manifestazioni riportate a causa della quarantena imposta dal corona virus. Augurandovi di conservare una buona salute e di non incontrare il virus alla moda, vi diamo appuntamento alle prossime pubblicazioni. Vittorio E. Pisu


MONTE PRAMA chiede Verità e Giustizia

Pubblicate le prove scientifiche DELLA POTENZIALITA’ ARCHEOLOGICA GLOBALE. IN RELAZIONE ALL’IMPIANTO DI UNA VIGNA A TENDONE, CON POSSIBILITÀ DI DANNO IN RELATIVA PROFONDITÀ, MA ANCHE ERARIALE PER IL LIEVITARE DEI COSTI DI ESPROPRIO.

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ubblicato l’articolo scientifico del team delle Università riguardante “Profilazione automatizzata della resistività (ARP) per esplorare vaste aree archeologiche: il sito preistorico di Mont’e Prama, Sardegna, Italia” Dati i risultati, ora, sarebbe giusto che venisse chiesta giustificazione amministrativa, erariale, penale, scientifica, dei motivi che hanno portato “all’abbandono” del sito; alla ripresa parziale; al rigetto delle indagini scientifiche delle Università Sarde; alla cacciata delle Università Sarde dagli scavi; e, infine, al rilascio di un nulla osta che dichiarava la “non rilevanza archeologica” A.G.

Foto meandsardinia

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uesto articolo affronta le indagini continue sulla resistività su vaste aree condotte nel sito archeologico di Mont’e Prama, in Sardegna (Italia). Dal 2013 al 2015 sono state condotte nuove ricerche, utilizzando sondaggi non distruttivi e scavi archeologici tradizionali. Le misurazioni sono state fatte al fine di trovare anomalie geofisiche legate a resti archeologici sepolti invisibili e definire l’estensione spaziale dell’antica necropoli. La resistività elettrica dei suoli è stata misurata per mezzo del sistema di resistività automatizzata (ARP ©). Questo metodo multipolare ha fornito mappe ad alta risoluzione della resistività elettrica in tutta l’area indagata utilizzando uno strumento di acquisizione assistito da computer, trainato da un piccolo veicolo. Attraverso questo layout di acquisizione, è stata esplorata una superficie di 22.800 m2. I dati di resistività elettrica sono stati derivati in tempo reale con precisione orizzontale centimetrica, mediante un sistema di posizionamento GPS differenziale. Grazie all’acquisizione simultanea di dati ARP e GPS, è stato reso possibile il rigoroso georeferenziamento del set di dati sperimentale tridimensionale, nonché la ricostruzione di un modello dettagliato del terreno digitale. Qui, i risultati sperimentali vengono analizzati e discussi criticamente (segue a pagina $)

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(segue dalla pagina 3) mediante l’integrazione dei risultati ottenuti da una prospezione ad alta risoluzione, eseguita con un sistema radar a penetrazione terrestre multicanale e tenendo conto di altre informazioni derivate da precedenti studi geologici e archeologici. I risultati geofisici, congiuntamente alla ricostruzione topografica, hanno chiaramente consentito l’identificazione di aree più interessanti in cui le future indagini archeologiche potrebbero essere focalizzate. Conclusioni Viene proposta una prospezione geofisica di un sito archeologico preistorico in Sardegna, in Italia, MONTE PRAMA. Nel quale in particolare, i risultati di un sondaggio sulla resistività automatizzata (ARP) su un’area di 2,28 ettari sono analizzati e discussi in confronto con sezioni di radar a penetrazione terrestre (GPR) sullo stessa zona. Lo scopo della prospezione era quello di rivelare il potenziale archeologico di una vasta area che circonda un sito scoperto per caso e parzialmente scavato negli anni ‘70 quando una necropoli e relativi reperti archeologici (ad esempio frammenti di grandi statue in pietra e monumenti funebri) furono trovati. ... Il sito fu abbandonato fino al progetto scientifico archeologico-geofisico congiunto (20132015) in cui sono state effettuate le prospezioni ARP e GPR. L’indagine ARP ha riguardato un’ampia area localizzata nella parte settentrionale del sito. I dati di resistività apparente sono stati contemporaneamente acquisiti a tre diverse profondità di indagine (0,5 m, 1 me 1,7 m) e presentano una vasta gamma di variabilità (da 15 Ω · ma 250 Ω · m).

SITO PREISTORICO Inoltre gli intensi schemi planimetrici delle mappe di resistività apparente erano caratterizzati da ampie areee resistive con forme irregolari ed estensioni spaziali lineari dell’ordine di decine di metri, ma anche sono state riscontrate alcune anomalie conduttive, caratterizzate da forme sub-regolari e dimensioni di possibile interesse archeologico. Sono stati presentati alcuni piccoli schemi di resistività con apparente coerenza spaziale ma debole contrasto di resistività locale; pertanto, è difficile assegnarli a caratteristiche archeologiche senza misurazioni più dettagliate dei possibili artefatti. Al fine di verificare le interpretazioni preliminari, la distribuzione tridimensionale delle apparenti misure di resistività sono state confrontate con i dati GPR ad alta risoluzione acquisiti lungo i profili lineari. Nella maggior parte dei casi, i risultati mostrano una buona corrispondenza tra anomalie della resistività apparente e segnali GPR . Sulla base dell’accordo tra i set di dati ARP e GPR, è stato possibile definire l’area rilevata in cinque classi che varia in funzione dei due tipi di intensità del segnale e delle loro caratteristiche spaziali complementari. Sono state delimitate due ampie aree molto promettenti e vicine ad un’estensione totale approssimativa di 4190 m2 nella parte meridionale della regione esaminata, corrispondente al limite dell’area riservata archeologica (interna ed esterna). Il confronto GPR era possibile solo per uno di essi (ed è stato positivo), ma la loro continuità e i parametri dei dati ARP (intensità e caratteristiche spaziali) sono la PROVA DELLA LORO POTENZIALITA’ ARCHEOLOGICA GLOBALE. ...


Foto meandsardinia

O MONTE PRAMA Automated Resistivity Profiling (ARP) to Explore Wide Archaeological Areas: The Prehistoric Site of Mont’e Prama, Sardinia, Italy

by Luca Piroddi *,Sergio Vincenzo Calcina,Antonio Trogu andGaetano Ranieri University of Cagliari, Department of Civil Engineering, Environmental Engineering and Architecture, 09123 Cagliari, Italy Accepted: 30 January 2020 / Published: 1 February 2020 (This article belongs to the Special Issue Remote Sensing in Applied Geophysics) Abstract

This paper deals with the resistivity continuous surveys on extensive area carried out at the Mont’e Prama archaeological site, in Sardinia (Italy). From 2013 to 2015, new research was performed using both non-destructive surveys and traditional archaeological excavations. The measurements were done in order to find geophysical anomalies related to unseen buried archaeological remains and to define the spatial extension of the ancient necropolis. The electri-

cal resistivity of soils was measured by means of the Automated Resistivity Profiling (ARP©) system. This multi-pole method provided high-resolution maps of electrical resistivity in the whole investigated area using a computer-assisted acquisition tool, towed by a small vehicle. Through this acquisition layout, a surface of 22,800 m2 was covered. The electrical resistivity data were derived in real time with centimetric horizontal precision through a differential GPS positioning system. Thanks to the simultaneous acquisition of ARP and GPS data, the rigorous georeferencing of the tridimensional experimental dataset was made possible, as well as the reconstruction of a detailed Digital Terrain Model. Here, the experimental results are analyzed and critically discussed by means of the integration of the results obtained by a high-resolution prospection performed with a multi-channel Ground Penetrating Radar system and taking into account other information derived from previous geological and archaeological studies. Geophysical results, jointly with topographic reconstruction, clearly permitted the identification of more interesting areas where future archaeological investigations could be focused. Keywords: archaeological prospection; automated resistivity profiling ARP; electrical resistivity survey; multi-channel ground penetrating radar; geophysical methods integration. https://www.mdpi.com/2072

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ato nel modenese, a Castelfranco Emilia, il 22 aprile 1922, Dante Bini è l’inventore della Binishell, una tecnica che sfrutta la pressione dell’aria per realizzare costruzioni in cemento armato dalla forma sferica, che diventa l’elemento chiave della sua opera. Ed è proprio la Binishell che Dante Bini usa per la costruzione della mitica cupola di Michelangelo Antonioni e Monica Vitti in Sardegna. Siamo a metà degli anni sessanta (1964), il regista e l’attrice si trovano nell’arcipelago di La Maddalena per girare una scena di Deserto Rosso sulla spiaggia rosa dell’isola di Budelli. In questa occasione, Antonioni conosce l’imprenditore e proprietario terriero Giorgio Tizzoni e diventano amici. Tizzoni nello stesso periodo decide di investire sull’acquisto di un terreno nella Costa Paradiso, al tempo un luogo incontaminato, “chiamato dai pastori del luogo ‘terrà niedda’, ovvero terra del niente, perché considerato arido e inutile”, racconta Giulia Chianese, attrice ora impegnata a realizzare un documentario sul regista. L’imprenditore chiede consiglio al nuovo amico e, dopo aver ricevuto il suo sostegno, acquista il terreno e decide di regalargliene un pezzo. La coppia Vitti-Antonioni vuole farsi progettare una casa vacanza, come una sorta di rifugio immerso

ANTONIONI nella natura della Gallura, la parte più a nord della Sardegna, e il compito viene assegnato, nel 1968, al grande Dante Bini. Tra il 1968 e il 1971 Bini lavora fianco a fianco con Antonioni per la realizzazione della villa, si crea un rapporto unico tra architetto e committente, studiano insieme il progetto di questa cupola che sembra sorta dalla terra, che riprende le sfumature rossastre delle rocce della costa, le cui polveri vengono utilizzate per realizzare l’intonaco di rivestimento del guscio. Non si fa in tempo finirla che, ahimè, l’amore tra la Vitti e Antonioni finisce, e questo probabilmente diventa uno dei motivi per cui la Cupola finisce per essere abbandonata e ri-

mane ancora oggi lì, preda all’incuria, come un relitto sulla costa. Vincolata dalla Soprintendenza locale, la Cupola sta esaurendo il suo ciclo di vita, logorata dal vandalismo e dagli agenti atmosferici, mentre continua ad essere visitata, fotografata, postata dagli appassionati di cinema e architettura. Questa è la condizione attuale del capolavoro di Bini, spesso vittima di ladri e occupanti, mentre la Cupoletta, la sua piccola riproduzione costruita lì accanto, di proprietà del pittore Sergio Vacchi, nonché nuovo marito di Letizia Balboni, ex moglie di Antonioni, è stata trasformata in un Bed&Breakfast. Ma finalmente qualcuno è pronto a fare qualcosa ed


Foto materacapitaledellacultura 2019

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BINI è De Rebus Sardois, un progetto di Sara Nieddu che promuove una raccolta firme su change.org rivolta direttamente alla Soprintendenza, alla Regione e al Fai. Giulia Chianese ci fornisce ulteriori dettagli sullo stato attuale della villa, “i proprietari la lasciano marcire nel più assoluto degrado negando esplicitamente ogni qualsivoglia correlazione tra la Cupola e il suo effettivo uso da parte del regista, uno di loro sostiene infatti che la villa non sia mai stata abitata da Antonioni se non per qualche giorno”, a quanto pare infatti, i proprietari della casa sono diversi, tra cui una giornalista televisiva e due coppie di fratelli, “e non è una questione eco-

nomica, di proposte ce ne sono state tante di compravendita del bene, addirittura un investitore cinese voleva comprare la Cupola per trasformarla in un centro di ricerca sperimentale di cinematografia, ma lui ha sempre detto di no”. Ora però sembra che il soprintendente Bruno Billeci assieme a Monica Scanu, presidente regionale del Fondo per l’ambiente, vogliano prendere in mano la situazione. Gli enti si stanno muovendo per il recupero di questo bene, cercando di collaborare con i proprietari per trovare una soluzione in linea con i vincoli della Soprintendenza. Insomma, forse è la volta buona? Stiamo passando all’azione? Speriamo, intanto firmiamo.

’edificio rappresenta un luogo di grande valore artistico e architettonico, una struttura definita da Rem Koolhaas, curatore della 14° Biennale di Architettura di Venezia, come “una delle architetture migliori degli ultimi cento anni” ma anche la testimonianza significativa del periodo di vita trascorso da uno dei più grandi registi della storia del cinema. Oggi versa in completo stato di abbandono e incuria, presenta dei gravi componenti di degrado del calcestruzzo, in particolare nel ponte di ingresso. Gli interni, dove sono ancora presenti gli arredi originali, mostrano dei segni di occupazione abusiva. L’interesse al recupero è stato mostrato nel 2015 quando la Soprintendenza della provincia di Sassari e Nuoro lo ha dichiarato luogo di interesse culturale. Per tale motivo il nostro appello ha come obiettivo quello di sensibilizzare le istituzioni locali e la proprietà affinché si possa procedere al restauro e possibile apertura al pubblico. Sarebbero tante, infatti, le possibili idee di valorizzazione dell’immobile: da spazio espositivo a polo museale. Insomma sarebbe un’opportunità per creare uno spazio culturale e di attrazione turistica che gioverebbe la proprietà, la comunità di Trinità d’Agultu e l’intera Sardegna. FIRMA LA PETIZIONE. Grazie per il tuo sostegno! www.change.org

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ilippo Figari (Cagliari, 23 settembre 1885 – Roma, 30 ottobre 1973) è stato un pittore italiano. Figlio di Bartolomeo Figari, ingegnere delle Reali ferrovie sarde, e Carmela Costa. Per il lavoro del padre, nel 1890 si trasferisce insieme alla famiglia a Sassari, dove conosce Giuseppe Biasi, con il quale compie le sue prime esperienze grafiche su dei locali giornali satirici. Nel 1904 rientra a Cagliari con la famiglia. Dopo essersi diplomato al liceo ginnasio Dettori, espone le sue caricature in una mostra con Felice Melis Marini. Pochi mesi dopo parte per Roma dove il poeta Salvator Ruju lo introduce nella redazione del quotidiano La Patria, per il quale realizza numerose caricature. Nel 1916 viene chiamato alle armi. Dopo essersi distinto in un’azione di guerra per cui sarà successivamente insignito della medaglia di bronzo al valore, cade prigioniero degli austriaci e viene recluso nella fortezza di Komaron. Dal 1929 fino alla caduta della dittatura fascista è segretario del Sindacato regionale fascista Belle Arti. Dopo aver esposto alla Prima mostra del sindacato regionale fascista del 1930 a Sassari, partecipa a varie altre mostre. Nel 1931 espone alla I

FILIPPO FIGARI

Quadriennale nazionale d’arte di Roma, dove una sua opera, La Vendemmia, viene acquistata da Vittorio Emanuele III. Nel 1935 diventa direttore della Scuola d’Arte di Sassari. Con la caduta del regime è soggetto di vari attacchi personali per aver mantenuto per molti anni la carica di Segretario sindacale. Nel novembre del 1911 vengono assegnati i lavori di decorazione del palazzo civico del Comune di Cagliari. Figari ottiene la sala dei Matrimoni. Per realizzare tale opera egli si trasferisce per circa tre anni nel paese di Busachi dove elabora le bozze che poi saranno la base delle tele che realizzerà. Nella rappresentazione del matrimonio sardo il pittore ritrae varie situazioni della tradizione sponsale: l’uscita degli sposi accompagnati dal suono delle launeddas accolti delle donne che gettano il grano come segno augurale, il ballo dello sposo con una delle invitate, momenti di festa intorno al focolare ma anche diverse scene di vita quotidiana del paese di Busachi. Nella sua permanenza a Busachi, Filippo Figari ebbe una relazione con una serva da cui nacque una figlia che non volle riconoscere (infatti ella prese il cognome della madre). Nelle tele sono rappresentati anche gli abiti tradizionali dei paesi di Samugheo e Atzara.


Foto Gino Esposito

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ompiute le sue fatiche, poiché secondo l’oracolo del dio [di Delfi] era opportuno che prima di passare fra gli dèi inviasse una colonia in Sardegna e ne mettesse a capo i figli che aveva avuto dalle Tespiadi, Herakles decise di spedire con i fanciulli suo nipote Iolao, poiché erano tutti molto giovani. Ecco che la Sardegna, l’isola di Herakles, diviene l’ultima meta della sua progenie avuta dalle figlie del re di Tespie, in Beozia… Quando Herakles ebbe compiute le sue imprese (sono le parole di Diodoro), <<poiché secondo l’oracolo del dio era opportuno che prima di passare tra gli dei inviasse una colonia in Sardegna e che mettesse a capo i figli che aveva avuto dalle Tespiadi, decise di spedire con i fanciulli suo nipote Iolao, perché erano tutti molto giovani. Ecco che la Sardegna, l’isola di Herakles, diviene l’ultima meta della sua progenie avuta dalle figlie del re di Tespie, in Beozia…>>…<< Iolao in Sardegna è il grande misuratore delle porzioni del nomos, dell’ordine e della legge: divide le terre ai coloni, fonda città per i popoli iolei, costruisce i luoghi dell’incontro civile, ginnasi e tribunali, in breve, come si esprime una famosa fonte, realizza “tutte quelle cose che contribuiscono a rendere felice la vita degli uomini“. Sicuri della libertà perenne promessa dal dio, i Tespiadi governeranno a sull’isola finchè non ne saranno scacciati per trovare rifugio nella terra cumana; anche Iolao, conclusa la

IOLEAPOLIS LAPOLA Brani tratti dall’articolo di Paolo Bernardini: “La Sardegna degli Eroi, la Sardegna degli Eraclidi”,

compreso nella guida alla mostra

“L’Isola di Herakles”, tenutasi ad Oristano nel settembre del 2004

sua opera, tornerà in Grecia, anche se molti sostengono che la sua tomba sia sul suolo sardo. Alla fine del ciclo gli eredi dei Tespiadi, abbarbicati sui monti, diventeranno progressivamente barbari, fieri e liberi, perché la promessa dell’oracolo è perenne…>> Potrebbe per certi versi sorprendere la constatazione che un archeologo, si sia cimentato nel racconto di avvenimenti mitologici e comunque avulsi da accadimenti scientificamente dimostrabili o dimostrati. Ma è anche vero che molto spesso nelle “pieghe” del mito si celano indizi utili alla ricostruzione della storia, o meglio della preistoria dei popoli e dei rispettivi territori. A questo post sono altresì allegate due immagini. Nella seconda, che riproduce una mappa di Cagliari realizzata da Bastianus Florentinus (XV-XVI secolo), si legge “Ioleapolis” (città di Iolao) dove è attualmente ubicato il rione Marina. Al proposito potrebbe ipotizzarsi che “Lapola”, termine con cui verrà successivamente denominato lo stesso rione, rappresenti la volgarizzazione di “Ioleapolis”. Si tratta comunque, e ci teniamo a ribadirlo, di una semplice ma altrettanto affascinante ipotesi. g.v. h t t p s : / / w w w. f a c e b o o k . com/NURNET2013/posts/2734938409918199 h t t p s : / / w w w. f a c e b o ok.com/…/il-porto-dime…/1561089397303112/

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ella tranquilla enclave di Springs, a New York, la casa di Pietro Nivola e Katherine Stahl dipinge un quadro di come erano gli Hamptons. È facile immaginare il cottage del 1754 com’era una volta, un centro di collaborazione a metà del secolo scorso tra gli artisti che frequentavano la zona, nonostante alcuni moderni aggiornamenti, compreso il fatto che la struttura ora si trova a 30 metri da dove è stata costruita. Molto prima di diventare un rifugio estivo per i ricchi, famosi e sfacciati, gli Hamptons erano un filone di scenografiche cittadine sulla spiaggia che punteggiavano la costa di Long Island, famose soprattutto per la luce di straordinaria bellezza che attirava i pittori da Thomas Moran e Fairfield Porter agli espressionisti astratti del dopoguerra. La casa di Nivola non è lontana dalla casa dove Jackson Pollock e Lee Krasner svilupparono le loro personali versioni dell’astrazione. Pollock era solo uno dei tanti artisti che andavano a trovare i genitori di Pietro, lo scultore sardo Costantino Nivola e la designer di gioielli di origine tedesca Ruth Guggenheim. Costantino, noto soprattutto per i bassorilievi in cemento armato realizzati per clienti come Olivetti e l’Università di Yale, acquistò la casa nel 1948, e ben presto divenne meta di collaborazione tra questo

THE NIVOLA GUG quadro creativo - cosa che si riflette ancora oggi in ogni centimetro della casa. “Le opere d’arte spesso sostituivano i mobili delle case degli artisti”, ricorda Pietro di quei primi anni. “La gente non era diventata ricca e famosa, e i mobili erano per lo più quelli che abbiamo trovato qui. Tutto, dalle cassettiere alle sedie e ai tavoli, erano oggetti che venivano lasciati indietro. Anche mio padre ha fatto alcuni mobili da solo, ma sono state le opere d’arte a dare vita alla casa, piuttosto che i mobili o le cose che si comprano in negozio”. Dall’esterno, è un casale senza pretese, non molto grande, e rivestito di scandole di legno così emblematiche della zona. Ma

all’interno, lo spazio con pareti bianche è una testimonianza della dedizione multigenerazionale della famiglia all’espressione. Le sculture grezze di Costantino riempiono la casa principale, il vicino fienile, uno studio e persino il cortile, dove le lunghe pareti in cemento armato di sabbia con disegni incisi direttamente nel materiale ancora umido sono disposte in modo da formare “stanze” all’aperto. La sua non è l’unica opera di un membro della famiglia che decora il luogo; la figlia Claire ha dipinto una scena greca blu su una parete della camera da letto di una piccola dependance. In mezzo a tanto interesse visivo, è un murale a due pareti, audace e molto in-


solito, dipinto durante un weekend di vento e turbine nel 1950 dall’architetto e designer Le Corbusier, a metà del secolo scorso, che ferma i visitatori sulle loro tracce. Le Corbusier, che all’epoca lavorava al Palazzo dell’ONU a New York e visitava spesso il Nivolas, molto probabilmente dipinse l’esuberante opera utilizzando materiali che trovava in giro: acrilico, olii e persino pittura per la casa. “Eravamo circondati da artisti e spesso si scambiavano regali tra loro”, dice Pietro. “Le opere d’arte erano elementi centrali dell’ambiente”. Come molte case storiche, anche questa salina, una volta sola, ha subito nel

corso degli anni una serie di modifiche frammentarie, dall’aggiunta del secondo piano e della scala centrale nell’Ottocento a una cucina sgangherata, costruita negli anni Venti. “C’è molto interesse [nella conservazione] da queste parti, ma è una battaglia in salita. Questi vecchi posti hanno le loro stranezze”, dice Pietro, mentre Katherine è d’accordo con una risata consapevole. “È affascinante e tutto il resto, ma può anche essere scomodo a seconda di quali siano le vostre aspirazioni”. Quando l’inondazione è diventata una minaccia crescente per la struttura (una tempesta ha lasciato un metro di acqua stagnante nel seminterrato per due

Foto Steve Gross

GGENHEIM HOUSE

mesi) Pietro e Katherine sono stati lasciati a scegliere se ricominciare da capo o cercare di salvare la casa per i loro figli e nipoti. L’impegno per la conservazione è stato solo l’inizio delle sfide che hanno dovuto affrontare. Costantino stesso aveva pensato di spostare la casa dalla strada, ma all’epoca si era rivelato tecnologicamente impossibile. Fortunatamente, la generazione successiva di Nivolas trovò una soluzione in un team di esperti guidato dall’imprenditore locale Tim Mott e dal traslocatore Guy Davis, che ideò un piano per utilizzare un ascensore idraulico per prelevare la casa e farla rotolare indietro di 30 metri, dove sarebbe stata posta su una base adeguata. “I davanzali erano fondamentalmente appoggiati su enormi massi - così erano queste vecchie case coloniche - e gran parte di queste erano marce”, dice Pietro. Come dice Katherine senza mezzi termini: “I davanzali sembravano formaggio svizzero.” Ci è voluta un’attenta progettazione per riportare la casa alle sue originali ampie assi di pino e travi lavorate a mano e fissarla per il trasloco, e ora la casa si trova otto piedi più in alto e più in armonia con il paesaggio progettato per Costantino dall’architetto Bernard Rudofsky. Poiché la conservazione del murale di Le Corbusier è stato uno degli obiettivi principali del trasloco, la

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conservatrice Catherine Myers ha avuto un ruolo importante fin dall’inizio. “È stata il perno di tutti noi”, ricorda Katherine. “Ha tenuto un breve corso per i corniciai e per il trasloco; ha detto loro esattamente cosa avrebbe fatto e come avrebbero lavorato intorno ad esso”. Mentre il team ha preso in considerazione la possibilità di rimuovere il murale dal muro per il trasporto, Myers ha ritenuto che tenerlo attaccato sarebbe stato il percorso più sicuro. Ha escogitato un sistema di incorniciatura con supporto in mussola che avrebbe mantenuto i pezzi al loro posto in caso di rottura dell’intonaco. Una volta che il murale fu sistemato nella sua nuova posizione, Myers iniettò la malta attraverso piccoli fori sulla sua superficie per rinforzare il suo collegamento al muro, una pratica di conservazione standard. Mentre le opere d’arte sono sopravvissute al trasloco, alcune aggiunte, come la cucina e i portici degli anni Venti, erano troppo fragili e dovevano essere lasciate indietro. Pietro l’ha usata come un’opportunità per ripensare alcuni degli elementi più obsoleti dell’allestimento. Arruolando l’architetto del Sag Harbor James Laspesa per aiutare con i disegni, Pietro ha ideato un nuovo progetto ispirato da una vita di connessione con lo spazio . “È nel mio DNA”, dice che incorpora aggiornamenti per il comfort (aria

centrale e nuovi bagni) e la sostenibilità (sostituendo il vetro originale soffiato a mano con finestre Marvin a doppio vetro progettate per imitare gli originali, che hanno trovato una nuova casa nel fienile). Invece di ricreare la vecchia cucina “come un set hollywoodiano”, il suo schema ha compensato lo spazio e l’ha aperta con un’apertura di otto piedi che ora offre la vista sul murale di Le Corbusier. Prima, ricorda Katherine, “vivevamo in cucina - e non abbiamo mai visto il murale”. “In un certo senso, abbiamo riportato la casa un po’ più indietro rispetto alla sua scala originale, alla sua forma originale”, dice Pietro. Anche se si è affrettato a cancellare il merito del progetto, che secondo lui gli è venuto un fine settimana, è innegabile che il legame personale di Pietro con lo spazio è responsabile della sua ultima incarnazione. Anche se ha studiato urbanistica e design, “non è da lì che è nato”, spiega. “È nato dall’aver frequentato gli amici di mio padre, molti dei quali erano architetti. Mio padre stesso ha lavorato con architetti su larga scala. Ho imparato più da lui e dai suoi amici che da altre fonti”. Testo: Heather Corcoran Fotografie : Steve Gross + Susan Daley https://interiorsmagazine.com/stories/april-may-2017/ an-artists-legendary-hamptons-getaway/


Foto Susan Daley

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ostantino Nivola (Orani, 6 luglio 1911 – East Hampton, 6 maggio 1988) è stato un artista e scultore italiano. Il padre era muratore e da lui Costantino apprese i primi rudimenti del mestiere. Nel 1926 iniziò a lavorare come apprendista presso Mario Delitala, pittore e incisore, che stava lavorando alla decorazione dell’aula magna dell’Università di Sassari. Dal 1931, grazie a una borsa di studio, frequentò a Monza l’ISIA (Istituto Superiore di Industrie Artistiche) dove si diplomò come grafico pubblicitario nel 1936. L’anno successivo divenne direttore dell’ufficio grafico della Olivetti, per la quale realizzò le decorazioni del padiglione italiano presso l’Esposizione Universale di Parigi (Exposition Internationale de Arts et Techniques dans la Vie Moderne). Nel 1938 sposò Ruth Guggenheim, una compagna di corso tedesca di origine ebraica (deceduta il 18 gennaio 2008) e fu costretto dalle persecuzioni antisemite ad abbandonare l’Italia, rifugiandosi prima a Parigi, dove lavorò come disegnatore, e poi come molti altri intellettuali e artisti europei, dopo l’invasione nazista della Francia, a New York. Qui dovette superare inizialmente molte difficoltà, finché nel 1941 fu nominato Art Director per la rivista

“Interiors and Industrial Design”, incarico che mantenne per sei anni. A New York trovò un ambiente culturale ricco di fermenti stimolanti e strinse amicizia con molti rappresentanti delle avanguardie artistiche del momento, in particolare con il grande architetto Le Corbusier, con cui spesso condivise lo studio e soprattutto alcune scelte stilistiche, e Saul Steinberg. Nel 1948 stabilì il suo studio in una casa acquistata a East Hampton, a Long Island, dove creò la tecnica della colata di cemento sulla sabbia modellata (sand casting) e conobbe Jackson Pollock. Ritornò in Sardegna per realizzare per conto della rivista “Fortune” dei disegni sulla campagna antimalarica della Fondazione Rockefeller. Nel 1962 insegnò presso il dipartimento d’arte della Columbia University e ottenne riconoscimenti a New York (medaglia d’argento della “Architectural League” e diploma della “Municipal Art Society”; nel 1967 medaglia d’oro e nel 1968 “Fine Arts Medal” dell’”American Institute of Architets”). . Negli anni Settanta, a Cagliari conosce l’artista Maria Lai, con la quale stringe una grande amicizia, insieme realizzeranno negli anni a seguire il Lavatoio Comunale di Ulassai. Oggi a Orani c’è un importante museo dedicato a lui, il Museo Nivola. Wikipedia

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Foto Valeria Putzu

i fa presto a dire grano. Anzi, trigu. O tricu, a seconda che ci si trovi in Marmilla o in Gallura. Perché sono tante le varietà di frumento tradizionale della Sardegna, sopravvissute alle ondate di modernizzazione del Novecento: la mussoliniana Battaglia del grano, la Rivoluzione verde del Dopoguerra, il potenziamento genetico spinto (anche) dalla irradiazione nucleare. Almeno novanta (ma probabilmente sono di più) ne hanno contato Veronica Atzei e Francesco Mascia, co-autori di “Trigu - La storia dei grani storici della Sardegna attraverso l’indagine etimologica delle denominazioni locali”, pubblicato di recente da Alfa Editrice. Un approccio multidisciplinare, un’accoppiata inedita di studiosi. Francesco Mascia, 35 anni, radici a Sanluri e Collinas, è un agricoltore (gestisce con la famiglia una azienda biosostenibile in Marmilla) e ha una formazione da botanico; Atzei, 41 anni, originaria di Turri, è un’insegnante con un background di Linguistica e un Master in Didattica del sardo. Entrambi fanno parte dell’Acadèmia de su sardu, un’agguerrita associazione culturale che si batte per la salvaguardia del sardo con l’obiettivo del pieno bilinguismo. Veronica Atzei, fra l’al-

I GRANI STO tro, ha partecipato alla stesura de Is Arrégulas, uno standard di scrittura aperto a tutte le varianti locali. “Nella linguistica sarda ci sono lavori interessanti sulla botanica e sugli animali. Ma non sul grano, il che è singolare, vista l’importanza del frumento nella millenaria agricoltura della Sardegna”, osserva. Ma dal Dopoguerra a oggi l’agricoltura moderna, la produzione su scala industriale di grani, farine, pane e biscotti, il consumo crescente di prodotti standard da supermarket hanno cancellato quasi dovunque il sapore e persino il ricordo di alcuni frumenti della tradizione. È vero che negli ultimi decenni in Sardegna gli antropologi e gli storici hanno esaminato la cultura contadina nei suoi molteplici aspetti (dalla tecnologia alle funzioni della casa-azienda, alle modalità della produzione artigianale, in particolare di pasta e pane). Ma sulle spighe e i loro chicchi è caduto il silenzio. “Trigu” è il primo passo per il recupero dei nomi perduti, con le sue 134 schede dedicate ad altrettante definizioni del frumento in lingua sarda. Da Alvu a Venesotu, per ciascuna varietà è indicata l’area storico-geografica di uso, l’eventuale citazione nella bibliografia ufficiale (che parte dal trattato “Agricoltura di Sardegna” del 1780) l’etimologia, le principali caratteristiche botaniche e agronomiche.


Foto archivio L’Unione Sarda

ORICI SARDI

“Non un’opera definitiva, ma un punto di partenza”, precisano Atzei e Mascia. Sperando che le schede, e le foto, risveglino la memoria degli anziani contadini residui. Un work in progress: “Persino quando il libro stava già andando in stampa continuavamo a trovare informazioni nuove”, dice la linguista. In due anni di appassionata ricerca, mettendo insieme le loro esperienze, all’apparenza così diverse, Atzei e Mascia hanno censito circa 90 varietà di grani locali a partire dai 134 epiteti usati per definirle. Il circa è d’obbligo e i due dati non collimano perché, spiega Francesco Mascia, lo stesso tipo di grano può avere denominazioni diverse nelle diverse aree della Sardegna. E viceversa. Per esempio, la definizione “Capella” (ma anche “Capelli” o “Capellu”) si riferisce a una varietà elettiva (cioè selezionata da un agronomo a tavolino e non dai contadini nei campi) che è diventata tradizionale per essersi molto diffusa negli ultimi cento anni: il grano Senatore Cappelli. Creato in Puglia dall’agronomo Nazareno Strampelli e introdotto in Sardegna negli anni Venti, apprezzato e coltivato in tutta l’Isola per decenni, scomparso negli anni Settanta e riscoperto all’alba del nuovo Millennio per le sue doti di genuinità, resistenza e digeribilità.

Però le parole non appartengono ai dotti, girano libere, si caricano di significati e sfumature a seconda di chi le usa. Quindi Atzei e Mascia precisano, nella apposita scheda, che in qualche caso “Capelli diventa un termine generico per individuare una qualsiasi buona varietà di grano duro di altezza elevata e con reste scure”. Ha molte vite anche l’epiteto Tricu Cossu. In Gallura, Baronia e nel Supramonte indica un frumento tenero dal colorito rossastro, originario della Corsica e testimoniato in bibliografia sin dal XIX secolo. Nella zona di Orgosolo, però, lo stesso epiteto indica un qualsiasi grano tenero. Probabilmente perché l’attività principale era l’allevamento, e l’agricoltura, essendo marginale o a carattere familiare, non necessitava di una nomenclatura specializzata. Lo studio di Veronica Atzei e Francesco Mascia mette in evidenza la ricchezza e la varietà non solo delle colture, ma anche del lessico correlato. “Difficile trovare in altre regioni dell’Italia e del Mediterraneo un’ampiezza di descrizioni così specializzate, ben definite e ben delimitate”, spiegano i due autori. D’altronde stiamo parlando della materia prima usata in un’industria fiorente per millenni. (segue alla pagina 16)

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(segue dalla pagina 15) Le più antiche testimonianze di coltivazione risalgono al Neolitico e l’Isola era notoriamente il granaio della Roma antica. Nel Medio Evo la Sardegna esportava sia il grano che semola, frégula e pregiate paste essiccate verso il Continente, la Francia e la Spagna. L’interesse per l’attività agricola nell’Isola cresce in maniera esponenziale dal Diciottesimo secolo. Citazioni specifiche delle numerose e diverse varietà di grano si trovano nei vocabolari e negli studi di linguistica sarda, nei trattati degli agronomi e nei diari dei viaggiatori. Ma che cosa è rimasto di tanta biodiversità, nell’era della produzione di massa? Il lavoro è partito dai nomi, dalle definizioni. Raccolti per anni da Francesco Mascia e da sua moglie Marianna Virdis nelle conversazioni con gli anziani agricoltori che li hanno aiutati con generosità nell’avvio della loro attività agricola, che ha base a Villanovaforru. “Dovunque andassimo, intervistavamo gli anziani e prendevamo appunti”. Veronica Atzei ha compiuto l’indagine linguistica. Su 134 nomi del grano censiti nelle schede di “Trigu”, 52 sono diffusi esclusivamente nella parte centro-settentrionale dell’Isola, che nella

V.ATZEI & visione degli autori corrisponde alla macro-variante linguistica del sardo logudorese. Invece 38 si trovano solo al sud, nell’area in cui si parla la lingua sarda nella macro variante campidanese. Gli altri compaiono in tutta la regione, con piccole difformità nella scrittura o nella pronuncia a seconda del territorio in cui sono stati registrati. Sono perlopiù (65 per cento) di origine latina, mentre poco più di un terzo è fatta di parole catalane, castigliane o italiane sardizzate. La metà degli epiteti è legata al colore della pianta e in particolare della spiga e corrisponde in genere alle varietà più comuni. Quasi dovunque si trovano trigu Biancu, Canu o Murru (grigio o bruno), Moro, Nieddu; ma anche Arrubiu o Ruju. Definizioni generiche, che possono racchiudere varietà locali molto distanti tra loro. Ma il vocabolario agricolo tradizionale della Sardegna è ben più sottile e sottolinea svariate caratteristiche del frumento, con l’obiettivo di rendere la descrizione inequivocabile: l’Arrubiu arista niedda, il Murru piludu, il Resticano nigheddu. Non solo. Il 15 per cento degli epiteti censiti è fatto di etnonimi: designa l’appartenenza a un popolo, una nazione o un’area geografica specifica.


Veronica Atzei e Francesco Mascia con il loro libro ‘Trigu’Foto V. Atzei

F. MASCIA Ci sono i sardi trigu de Borutta, Maresu, Montrestinu e via elencando. Ma anche il trigu Romanu, Lombardu, Venesotu. Ci sono grani che venivano dall’estero: il gallurese Cossu dalla Corsica, ma si registrano anche Maiorca, Moriscu, Turcu. Curiosamente, il trigu Sardaresu non è conosciuto né coltivato a Sardara, bensì nel Marghine; del trigu Moresu, coltivato a Sassari, non c’è traccia a Mores; né a Montresta si conosce il Trigu Montestrinu, coltivato a Ittiri, Olmedo e Villanova Monteleone. L’origine etnica segnala dunque un grano in qualche modo di “importazione”. Com’era prevedibile, la stragrande maggioranza delle varietà ritrovate sono frumenti duri. In Sardegna, a differenza che in Italia, anche il pane si fa quasi dovunque con la semola. Difficile rendere giustizia alla quantità di informazioni preziose che Atzei e Mascia hanno raccolto nel loro libro. Che non a caso è pubblicato da Alfa Editrice, la piccola macchina da guerra di Maria Marongiu, 65 anni, giornalista, indipendentista, una vita spesa a difendere la cultura e i diritti della Sardegna, a partire dalla sua lingua, a rischio di estinzione. “Non ho mai dubitato che fosse la persona giusta per

accogliere il nostro lavoro”, dice Veronica Atzei. “Vi presentiamo tutto un mondo antico e prezioso. A qualcuno verrà voglia di proseguire nella ricerca linguistica o agronomica”, dice Veronica Atzei. Ma, attenzione, precisa Francesco Mascia, non siano davanti a un mero catalogo di varietà. “Trigu” è materia viva, non un elenco di fossili. “I grani storici sono risorse genetiche di cui conosciamo nome, storia, territori e comunità di provenienza, modalità d’uso. Insomma, stiamo parlando di una grande cultura”, sottolinea l’imprenditore. Una cultura da recuperare perché rappresenta le nostre radici, ma soprattutto perché può garantire il nostro futuro. “Se riuscissimo a reintrodurre le varietà di grano nelle loro aree storiche, e a coltivarle secondo tradizione, producendo con coerenza gli sfarinati da usare alla maniera di un tempo, potremmo avere in capo a pochi decenni tanti tipi di pane salutare, buono, arricchito dai profumi e dal sapore del proprio territorio naturale”, dice Francesco Mascia. Così come si fa con il vino. O con i formaggi locali in Francia. Prodotti di qualità, preziosi come la terra che li ha generati nei secoli dei secoli. Daniela Pinna

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l direttore dell’Unione Sarda in risposta all’articolo di Maurizio Virdis del 2 febbraio 2020. Ho ricevuto informazioni dall’Unione Sarda che il mio articolo consegnato in data 2 febbraio 2020 verrà pubblicato quando sarà possibile. Nel frattempo, per non fare raffreddare del tutto la minestra, ho deciso di pubblicarlo qui su facebook. ESSERE SARDOCENTRICI NON SIGNIFICA ESSERE DEI FALSARI E I SARDI NASCONO PRIMA DEI ROMANI. Ogni qualvolta si intravede un ipotetico falso storico, vengono rispolverate come esempio di negatività le false Carte di Arborea. Eppure, la storia è piena di falsi molto più illustri rispetto al romanzetto arborense di Pillitu. Basti pensare che gli Etruschi si erano spacciati per Tirreni, costruendo deliberatamente la favola del figlio di re Ati, Tirreno, che partito dalla capitale Sardi della Lidia era andato a colonizzare l’Etruria. Nella trappola tesa dagli Etruschi erano finiti studiosi di rilievo come Erodoto, prima che Xanto Lidio, uno storico del posto, rivelasse al mondo la verità: «Nessun figlio di re Ati si chiamava Tirreno

e nessun figlio di re era mai emigrato dalla Lidia». Che dire poi della favola inventata dai Romani sul loro capostipite Enea, che ancora resiste nei libri di storia, o di quella orchestrata dai Franchi su una loro ipotetica discendenza dai Troiani? Tutti a cercare antenati illustri fuori dalla loro storia e dal loro territorio. Noi Sardi che invece vogliamo essere solo Sardi veniamo tacciati di egocentrismo, sebbene abbiamo dalla nostra parte i dati scientifici del DNA che ci dicono che siamo gli stessi di 7.000-10.000 anni fa e che siamo discendenti da quel popolo che ci ha lasciato in eredità circa 20.000 siti archeologici che vanno dal Neolitico recente al Bronzo finale. Questi sono numeri reali e non falsità. Sono cifre impressionanti se rapportate al resto del Mediterraneo. Come si fa a non tenere conto di questi dati? Forse è anche per il fatto di non credere che tutto questo sia vero abbiamo lasciato che il nostro patrimonio archeologico andasse in rovina ed è per gli stessi motivi che abbiamo tenuto i Giganti di Monte Prama trenta anni negli scantinati e ancora oggi non riusciamo ad aprire gli scavi archeologici del sito.


Foto bartolomeo porcheddu

Riguardo alla lingua sarda, siamo presenti nelle prime forme di scrittura, dal Disco di Festo ai Geroglifici egiziani. Possediamo una stele, quella di Nora, del IX secolo avanti Cristo, scritta in caratteri del primo alfabeto, che ci rivela che in quel tempo eravamo ancora protagonisti della storia. Quello sardo, dalla Cultura di Ozieri alla fine della civiltà nuragica, è un percorso millenario tenuto sempre sulla cresta dell’onda. Pensare che il nostro popolo vissuto per tutti quei lustri (2.500 anni) prima ancora che comparisse l’impero romano non ci abbia lasciato un’eredità linguistica peculiare, questa si che è una falsità. Sostenere oggi che i Romani abbiano portato nell’Impero la loro lingua con i “casi” provenienti dal greco e che dopo la caduta di Roma questi “casi” si siano dissolti nel nulla in un territorio vasto quanto l’Europa occidentale (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra) e in un periodo così breve per la linguistica (500 anni), questo si che è un falso storico. La non corretta lettura del latino ha trasformato il mare che ci circonda da “Tyrrhenu[m]”, pronunciato “Turrenu”, in “Tirrenu”, allontanando dalla lingua sarda il si-

gnificato intrinseco della parola legato alla “Turre”. L’italianizzazione dei nessi consonantici latini (cons. + I + voc.) ha prodotto un falso linguistico generalizzato, per cui oggi leggiamo “mediu[m]” e non “mesu”, “testimoniu[m]” e non “testimòngiu”; la doppia /LL/ cacuminale un altro falso linguistico, per cui leggiamo “molle[m]” e non “modde”, e così via. Il falso delle carte di Arborea è stato scoperto nel volgere di qualche anno, quello della lingua latina madre della lingua sarda ha resistito più di duemila anni, forse con la complicità o la negligenza di linguisti e storici che, come Erodoto, sono caduti nella trappola tesa dai Romani. In latino “fabula” significa, tra gli altri: favola, leggenda, conversazione fantasiosa, scenica, discorso, ecc., dando al lettore libera interpretazione e discrezione sull’argomento. In sardo, invece, fà[b]ula è solo “bugia”. I maestri degli inganni quindi non siamo noi, sebbene ci sentiamo Sardocentrici e crediamo di essere stati il Centro del Mondo antico. Distinti saluti, Bartolomeo Porcheddu (Docente a contratto di Lingua Sarda) Sassari, li 2 /02/2020. https://www.facebook. com/bertulu.porcheddu

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Foto unionesarda.it j.b.

giusto che i musei pubblici paghino le associazioni di volontari senza che questi ricevano niente? È giusto che i musei pubblici attivino convenzioni onerose con le associazioni private che forniscono volontari che prestano il loro servizio nei musei, senza che i volontari percepiscano alcunché? A sollevare il caso è il collettivo Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali, che torna su questo punto riportando le rivelazioni di Roberto Cena, dal 1973 socio del Touring Club Italiano (TCI), la nota associazione senza scopo di lucro che, da tempo, fornisce i propri volontari ai musei, in particolare con l’iniziativa Aperti per voi. Si tratta di un programma attraverso il quale, spiega il TCI, viene favorita l’apertura di luoghi d’arte e di cultura (musei, chiese, aree archeologiche, palazzi storici) altrimenti inaccessibili al pubblico o visitabili con orari ridotti: i volontari sono impegnati non solo presso strutture private ma anche in siti pubblici come la GAM di Milano, il Mudec di Milano, i Musei Civici di Modena, la Necropoli ellenistica del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, il Palazzo del Quirinale di Roma, il Museo Archeologico Nazionale di Taranto. Durante le aperture di questi siti, i “Volontari

Touring per il Patrimonio Culturale” (così sono chiamati i giovani e meno giovani che prestano la loro attività per il TCI) accolgono i visitatori dando loro informazioni ma anche accompagnandoli in visite guidate: in alcuni casi non ci sono tariffe per l’accesso, ma altre volte occorre corrispondere un biglietto (come al Quirinale, dove i costi variano a seconda del percorso scelto). “In pochi però”, fanno sapere da Mi Riconosci, “che molti degli accordi tra le Istituzioni pubbliche e il TCI prevedono una convenzione onerosa, ovvero la stipula dell’accordo previo pagamento all’associazione. Immaginiamo lo sappiano in pochi anche tra i soci del TCI, dato che quei soldi non arrivano ai volontari”. Cena, raggiunto da Mi Riconosci, ha rilasciato alcune dichiarazioni: “in un incontro a cui sono stato convocato dai vertici nazionali del TCI, esattamente un anno dopo la mia richiesta iniziale di chiarimento/ trasparenza, oltre a comunicarmi che è stato ritenuto ‘ostile’ il mio (legittimo, da socio) desiderio di trasparenza e di diffusione, mi è stata confermata l’esistenza di decine di convenzioni onerose su tutto il territorio nazionale, compresa quella stipulata con il Quirinale: mi è stato ribadito che il TCI ritiene compatibili tali convenzioni onerose con l’attività di volontariato, ed è stato sottolineato che non ritiene opportuno diffon-


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dere a tutti i volontari le convenzioni in essere, il loro contenuto ed i loro termini economici”. Di solito, almeno per quanto riguarda gli istituti statali, vengono pubblicati degli avvisi di selezione per associazioni di volontariato senza scopo di lucro (l’ultimo in ordine di tempo è quello dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro, pubblicato a gennaio) che però, da parte dell’istituto pubblico, prevedono l’impegno a garantire un rimborso spese per i volontari. Pare che però, come fa sapere Mi Riconosci, in alcuni casi non sia così. Mi Riconosci fa sapere che il tipo di rapporto che il TCI instaura con i musei è del tutto legittimo, ma “rappresenta una evidente stranezza per una realtà come il Touring Club Italiano”. Inoltre si sottolinea che “i bilanci del TCI non sono pubblici sul loro sito web, ma disponibili per un breve lasso di tempo precedente l’Assemblea e la relativa votazione per l’approvazione degli stessi solo ai soci registrati al sito”, e di conseguenza Mi Riconosci chiede al TCI “di pubblicare online tutti i bilanci e spiegare, ai suoi soci e alla cittadinanza, il funzionamento e il perché di queste convenzioni”, e ai responsabili degli istituti interessati “di fare chiarezza riguardo l’esistenza di tali convenzioni onerose”.

I Touring Club Italiano è un’associazione senza scopo di lucro, con finalità di promozione turistica sull’intero territorio italiano. Sorto nel 1894 a Milano col nome di Touring Club Ciclistico Italiano (TCCI) per iniziativa di un gruppo di 57 ciclisti, tra cui il primo presidente e Roberto del Bonifro Luigi Vittorio Bertarelli, appartenenti alla “fazione progressista” del Veloce Club Milano. L’intento principale del TCCI era la diffusione della bicicletta, vista come nuovo mezzo alla portata di tutti, simbolo di modernità e motore di diffusione del turismo in tutta la penisola. A oggi, con i suoi circa 280 000 soci, è una delle istituzioni turistiche con più iscritti d’Italia. Guide, manuali e carte geografiche del Touring nel frattempo si diffondono ovunque, a dimostrazione dell’importanza che la divulgazione delle conoscenze artistiche e culturali, unite alla valorizzazione e alla scoperta dell’Italia, ricoprono per l’associazione. Attività di consulenza e proposta di piani di sviluppo locale, formazione, studi e ricerche, ma anche organizzazione di viaggi in tutto il mondo e apertura di villaggi turistici rafforzano il ruolo del Touring nel panorama turistico nazionale e internazionale, andandosi oggi ad affiancare alla presenza e alle attività da sempre promosse sul territorio, oltre al già affermato settore editoriale.

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a lingua sarda deriva dalla lingua latina? O piuttosto è il latino a derivare dal

sardo? E se questa contrapposizione semplicistica non ci portasse da nessuna parte, poiché entrambe le lingue possono aver avuto un’origine comune nell'Asia centrale in tempi antichissimi? ● Il genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza (Geni, popoli e lingue, 1996, p. 214, in foto tratta da Treccani. it) spiega che alla famiglia linguistica indoeuropea appartengono, in ordine sull'<<albero genetico>> delle popolazioni dalle più recenti alle più antiche: 1) Iraniani ed Europei; 2) Berberi, Asiatici sud-occidentali, Sardi; 3) Indiani (esclusi i sud-occidentali di fam. ling. dravìdica) derivati dallo stesso antenato genetico di Sardi, Berberi e Asiatici di S/O; Parenti più antichi di tutti questi sono i Làpponi appartenenti alla famiglia linguistica uràlico-yucaghìr insieme ai Samoiedi (Russia settentrionale). Tutto il gruppo Làpponi compresi, è legato geneticamente, ancora più indietro nel tempo, ai popoli facenti parte delle famiglie linguistiche: sinotibetana (Mongoli e Tibetani), altaica (Coreani, Siberiani e Giapponesi) eschimo-aleutina (Inuit e Ciukci). Tutte le lingue fin qui citate costituiscono la <<superfamiglia linguistica euroasiatica>> e i popoli che le parlano hanno parentela primordiale con gli Amerindi o Indiani d'America. Tra questi ultimi alcuni parlano lingue con una costruzione della frase rara nel mondo ma in comune con il latino

e il sardo: il verbo alla fine della frase, ad es. <<Vostro padre costui è>> (Cavalli-Sforza op. cit. p. 287). ● Peter Kolosimo, Terra senza tempo, 1974, pp. 152-155, occupandosi brevemente del <<popolo dei nuraghi>> (paragrafo che si avvale dello studio di G. Lilliu sui Nuragici cit. in bibliografia) dice: <<La civiltà nuragica non conosceva la scrittura, e la sua origine ha potuto essere stabilita soltanto con lo studio di nomi che debbono essere rimasti invariati o quasi attraverso i millenni, e questi nomi provengono dall'Altai, dalla Mesopotamia, dall'Azerbaigian, dal Caucaso, dal Nuristan, dal Kazakhistan e persino dal Sinkiang e dal Tibet>>. ● Passiamo alla riva opposta del mar Tirreno. Kurt Benesch, Passato da scoprire, 1977, p. 57, ci ricorda che: <<Roma non si sviluppò naturalmente in uno spazio vuoto, come sembrano lasciar intendere alcuni vecchi libri di storia, ma crebbe strettamente collegata ad un substrato cresciuto nel Lazio su premesse, sia artistiche sia religiose, ricollegabili ad ambienti diversi, ma particolarmente all'Oriente>>. Un esempio di questi legami antichissimi dal punto di vista linguistico si trova in Raimondi-Revelli-Papa, L'antroponomastica. Elementi di metodo, 2005, p. 38 n.: Di origine sabina (popolazione linguisticamente affine ai Latini, in quanto di ceppo italico e indoeuropeo) erano nomi gentilizi di grande diffusione come Aurelius (connesso come senso al radicale indoeuropeo *AUS, *AUR "brillare", che si ritrova anche in termini [latini] come aurora, aurum "oro") e Valerius. ● Analogie interessanti con la Sardegna si trovano anche in: Sergej A. Tokarev, URSS: popoli e costumi, 1969 (ed. or. Mosca 1958), pp. 409-410: “Tra gli Altaici era diffuso lo sciamanismo: il costume in uso tra gli sciamani era una giubba di pelle che recava appese campanelle e lunghe trecce raffiguranti serpenti”. Questo costume ricorda quello dei “Mamuthones” del carnevale di Mamoiada e quello dei “Boes” del carnevale di Ottana. Peter Kolosimo, op. cit., ricordava che alcune parole del sardo risalirebbero all'altaico. Kurt Benesch scrive che per i Nanai, abitanti della regione tra il fiume Amur e l'Oceano Pacifico, gli attributi che rendevano possibile essere uno sciamano erano lo specchio, le corna sul copricapo e i campanelli (Passato da scoprire cit., p. 285). Tra gli Evenki, popolazione diffusa in tutto il nord-est dell'ex URSS, il costume dello sciamano recava <<una quantità di pendenti metallici>> e le corna di renna sul copricapo; <<va notato che questo tipo di abbigliamento è stato adottato dai popoli vicini: Yucaghiri, Yacuti, Ket>> (Tokarev, op. cit., p. 459. Giorgio de Santillana, in Il mulino di Amleto, p. 158 n., conferma en passant: “Numerosi pezzi di ferro fanno parte dell’abito dello sciamano” presso gli Yacuti). Anche le corna sul copricapo tornano tra gli Shardana, ma di cervo. ● Alberto Cesare Ambesi, Il panteismo, 2000, p. 28, cita quasi di sfuggita il termine sanscrito Gandhàrva come origine del nostro Centauro (attraverso il greco Kentàvros). ● Federico Barello, Archeologia della moneta, 2006, p.


Foto ilsole24ore

176 ci riporta nella Roma antichissima: “Lungamente si è pensato che l'etimologia di "pecunia" (Ricchezza) e "peculium" (Patrimonio) da "pecus" (Gregge, bestiame) (Varrone, De lingua latina, V, 17 e 19; Plinio, Naturalis Historia, XXXIII, 43) fosse chiaro indicatore di una lunga fase del mondo latino nella quale la ricchezza mobile fu costituita sostanzialmente dagli animali da allevamento. Gli studi di linguistica [in bibliografia è cit. Emile Benvéniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, trad. it. 1976] hanno invece ricostruito come, originariamente, la radice indoeuropea *PEKU avesse un significato generico di "ricchezza mobile personale" e con questa valenza abbia dato origine ai termini sopra citati; solo in seguito "pecus" sarebbe passato a indicare, nel mondo pastorale, il bestiame, poi ancora in particolare il bestiame minuto, e infine gli ovini (da cui l'italiano Pecora)”.

● In Buddha, I quattro pilastri della saggezza, a cura di Neumann e De Lorenzo, 1992, p. 91 n., trovo Caturangin / Caturangam: Quadruplo, Formazione quadrupla, dal sanscrito Catur, da cui il latino Quat(t)uor e quindi l'italiano Quattro. ● Giorgio de Santillana, Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, VIII ed. 2000: - p. 107: Jarà, nel poema indiano Mahabhàrata, è il nome della personificazione mitologica della vecchiaia; è alla base del greco Geron, da cui Gerontologia, etc.; - p. 164: Kàla è parola sanscrita che tra i vari significati ha anche <<blu-nero>>; Azzurro-blu e blu-nero sono i colori del cielo rispettivamente diurno e notturno e quindi da Kàla potrebbe derivare il latino Caelum, poi divenuto Coelum (Cielo); - p. 172: <<Il sanscrito "Pra-mantha" è il bastoncino da fuoco 'maschio' con cui si ottiene il fuoco facendolo ruotare a mo' di paletta della zangola. E "Pra-mantha" è diventato il Promèteo dei Greci>>, l'eroe mitologico che portò il fuoco giù dal cielo all'umanità primordiale; - pp. 178 e 332: Yama, divinità indù del tempo e re dei morti, diventa Yima Xsaeta nell'iranico (dall’Avesta, libro sacro degli Zoroastriani), Jamb'shàd e poi Jamshid (mitologico re-fondatore) nel persiano. Da Xsaeta deriva Saeturnus da cui Saturnus, anche lui dio del tempo; - pp. 14 e 523: Tvastr nel R'g Veda (uno dei libri sacri indù) è il dio-fabbro. il greco Ephàistos (Efesto) (segue alla pagina 24)

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(segue dalla pagina 23) deriverebbe da Tvastr attraverso Tvàstar / Tvàstas (L. Tuan, Il grande Dizionario dei sogni, voce "Fabbro"). ● Io stesso, scrivendo Viaggio al centro dell'Uomo. Il pellegrinaggio di Lanza del Vasto in India, 2016 (https://www.academia. edu/…/Viaggio_al_centro_dellUomo._Il_p…) ho scoperto che il nome del dio Shiva è appellativo che significa "il Piacente". Il suo vero nome è Rudra, "il Rosso (di chioma)", nome simile a tutti termini indicanti il colore rosso e derivati con radici indoeuropee *reudh / *rudh: rùdhira in sanscrito, erythros (rosso) ed erèutho (arrossire) in greco, russus e rùbeus ma anche ruber e rufus in latino, Rot in germanico e tedesco, Red in inglese, Roge in francese antico, Rouge in francese moderno. ● Il celebre psicologo Carl Gustav Jung, Tipi psicologici, 1993 (ed. or. 1920), cap. 5, si sofferma non poco sul termine <<Rita>>, in sanscrito: direttiva, ordine, determinazione, indirizzo, statuto, legge, il giusto, il vero, la retta via, la retta direzione. E' assonante e analogo a termini come Rectum (retto), Recte (rettamente), etc. in latino; Dritto e Diritto in italiano (in tutti i sensi: retto; privo di curve o di storture; corpus di leggi; diritto umano), nonché l’aggettivo Retto, e corrispondenti in inglese (Right, Human right, etc…) e in francese (Droit, Droits humains, etc.. ● Un breve capoverso in Amedeo Maiuri, Arte e civiltà nell'Italia antica (vol. IV di Conosci l'Italia, ed. Touring Club Italiano 1960), p. 47 fa sorgere una domanda sul “pantheon”

degli Etruschi, civiltà che qualcuno vorrebbe legata ai Sardi: c’è un legame primordiale o una somiglianza casuale tra nome e aspetto di due lontanissimi esseri mitologici? Etrusco: Tuchulcha, demone degli inferi, coperto di piume e con serpenti al posto dei capelli; Maya: Kukulkan, dio espulso dal cielo per l'incesto con sua sorella, è un serpente coperto di piume (come il Quetzalcoatl azteco). ● Friedrich Max-Muller (1823-1900) storico delle religioni, individuò un legame tra tutti i nomi del dio supremo nelle diverse civiltà (cit. nel corso di Storia delle religioni Univ. Torino AA 2004-2005, prof. N. Spineto): Dyaus Pitar <<il grande spirito del cielo>> dai Veda indiani passa al mondo latino in Iu-piter (poi Iuppiter cioè Giove), al mondo germanico in Tiwaz Fintìr, all'antico italico Dious (Ambesi, Il panteismo cit. p. 110) al greco Zeus, al latino e sardo Deus, al romeno Zeu. In sanscrito si ha anche Dewa / Dewan = essere divino, dio: simile al latino Divinitas, Divus, etc.; in cinese Tien, Cielo divinizzato; in aymarà (antica lingua delle popolazioni delle Ande): Tia <<splendore del cielo>> / Tiwa = dio, dèi; in pre-azteco e poi in azteco (lingua nahuatl?) in Messico e Nicaragua: Teot / Teotl = dio, divinità; in greco Theòs = dio (poi anche il Dio monoteistico giudaico-cristiano) (Kolosimo, Terra senza tempo cit., cap. 19). Alla stessa radice *DIW / *DEW risalgono anche i termini relativi alla luce diurna: Dies in latino "giorno" (da cui Diurnus, Diurno e anche Dìeta), Dag / Daga in goto e germanico "giorno", da cui il Tag tedesco e anche il Day inglese (Raimondi-Revelli-Papa, L'antroponomastica cit., p. 82). ● Anthony S. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, 1988, riporta che la voce Atman - in sanscrito il Sè, l'anima - origina dalla radice An = respiro, respirare. Ha assonanza e analogia con l'egizio Ankh = soffio vitale (raffigurato come croce ansata). E appare nel greco Anemos = soffio, vento, da cui il latino Animus / Anima e derivazioni (animal, animalis = ciò che ha soffio vitale, vivente) sinonimo di Spiritus anch’esso indicante il soffio, il respiro, legato anche all'italiano Spirare, che si dice sia del vento sia del morire (esalare l'ultimo re/spiro). In italiano abbiamo verbi simili con radice An legati al respiro: ansare, ansimare, ànsito, etc. legati al goto Ansu (da cui anche nomi come Anscario e Ansalone (L'antroponomastica cit., p. 80). ● Aristide Pellegrini, Simbolo e parola, in "Hiram-Rivista del Grande Oriente d'Italia" n. 2 / 2012: <<"Verbo" [attraverso il latino Verbum] deriva da una radice *UER attestata in aera indo-iranica, slava e greca; tale radice appare anche nella forma tematica *uerdho / *uordho, presente ad esempio nel tedesco Wort [= parola, come l'inglese Word]>>. ● Il prof. Mario Piantelli, nel corso di Religioni e filosofie dell'India Univ. Torino, AA 2005-2006, citava vari termini sanscriti legati da assonanze e/o da “paternità” a parole occidentali: - Mànusha = uomini, umani; simile al tedesco Mensch, plur. Menschen, Menschheit (umanità), latino humanitas;


- Pakhti = devozione (al dio, al maestro, al padrone), Pakhta = devoto: possono essere collegabili al latino Pietas? - Svà = sé pronome, è il Sui latino. - 'Nr = Uomo, umano (contrapposto alle specie animali) alla base del greco Anthr-opos (essere umano), Andr (umano maschile), da cui Andrologia, etc.. - Màha = grande, da cui il greco Mega(s) e Macro (Makré) divenuti prefissi nell'italiano, il latino Magnum, da cui magnitudo, etc. - Sàpta = numero sette, in latino septe(m), da cui septies, septimum...; in greco è rimasto l'elemento centrale -apt divenuto poi Hept / Hepta- poi corrottosi in <<ebdo->> da cui eptagono (ettagono), ebdomero, ebdomadario... - Bhukti = funzione, potrebbe avere un seguito nel latino functi(o) attraverso una modifica nella pronuncia. - Krùva = crudo/crudele, attraverso il latino Crùvidus. - Muni = silenzioso, si ritrova nel greco Mu/Muo, chiudere-chiudersi (della bocca), da cui Myste = chiuso, Mysterion (mistero: rito o contenuto del rito chiuso ai non iniziati), Mystikos (mistico = tacente nella contemplazione), nel latino Mutus, da cui mutismo, etc.. Nel nome del Buddha, Siddharta Gautama Shakyamuni, indica <<il silenzioso [dunque il saggio] del clan (o del territorio) degli Shakya>>. - Rta = Legge universale, cosmica e sociale insieme: è il <<Rita>> menzionato da C. G. Jung (già cit.). - Valmìka = Formica / formicaio o Termite / termitaio, è somigliante a entrambi i termini italiani Formica (latino Formica) e Termite (latino Tarmes-Tarmites, <<tarma>>) con l'elemento -RMI centrale, come anche nel greco Myrmis (formica). - Yuva = giovane, è quasi identico al latino Iuven(es), Iuventus. - Ràja = Re, in latino Rex e derivazioni (regàlitas, etc.), francese Roy, spagnolo Rey, romeno Rege. - Adiàya = lettura, recitazione, simile al greco Aèido, cantare, e Aòidos, cantore, da cui Aedo; - Kra-tu = <<azione progettata con intelligenza>>, detto soprattutto del sacrificio agli dèi; in greco Kràtos, potere di agire con progetti sul mondo. - Pancha (pronuncia come <<pancia>>) = Cinque, è alla base del greco Pente / Penta da cui pentagono, etc…. ● Ugo Plez, La preistoria che vive, 1992 (ma scritto nel 1973) riporta alcuni elementi relativamente costanti nelle varie lingue (tratti anche da: Trombetti, Elementi di glottologia, cit. in bibliografia): - Ama = Madre; - Aska = Acqua / Femmina; - Niska = Vergine; - Handi = Grande (l'elemento <<-and>> è rimasto); - Lyo = Sciogliere: c'è anche nel greco (da cui Liofilizzare, etc.); - Ri = Scorrere, che scopriamo così essere alla base: > del sanscrito Rta / Rita = Legge cosmica e sociale che (s) corre attraverso le epoche (già cit.); > del greco Reo all'origine del nome della dea Rhea (da Rhein = fluire) e del verbo nella frase <<Panta rei>> (Tutte le cose scorrono, fluiscono - Eràclito), da cui anche Reu-

ma = <<dolore che corre>> (da un punto a un altro del corpo), da cui Reumatismo e derivazioni (Enciclopedia medica De Agostini, 1976 vol. 7); > dell'antico italico Reu all'origine del nome etrusco del Tevere, Rumon (quindi: scorrere dell'acqua) da cui il nome Ruma (villaggio sul Rumon) divenuto poi Roma, secondo lo storico Corrado Barbagallo cit. in Armando A. Aprea, ROMA AMOR, 2015 (riassunto mio on line: https://ita.calameo. com/read/002549679807a9dcb3f3a); > dell'inglese Run (correre), Race (corsa, gara), Rush (corsa precipitosa), nel tedesco Rennen (correre, corsa sportiva); - Sam = Figlio (da cfr. col Son anglosassone, col Sohn germanico e col suffisso <<-sson>> nelle lingue scandinave) e Nome: Shem in ebraico, Shumu in accadico, Sh'ma in aramaico, Ishm in arabo; l'italiano Nome invece dal latino Nome(n), ereditato dal greco Onoma, che sarebbero da riconnettersi, secondo lo studioso G. Semerano, <<alla forma remota dell'accadico Nabum ( = dare un nome)>> (Paolo Sita, Il nome, in "Hiram" num. cit.); - Su = Fuoco / cosa brillante; si ritrova in Surya (divinità solare indiana), Sun, Sole(m), Sole, Sol, Soleil, Sonne (il Sole in inglese, latino, italiano, spagnolo, francese, tedesco); - Teg = Coprire / proteggere, da cui il latino Teg-umentum; - Wad = Acqua: simile all'arabo Wadi = corso d'acqua (da cui i nomi di toponimi ispanici come Guadalajara, Guadalquivir, etc.). (segue alla pagina 26)

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Foto Ales & Ales

(segue dalla pagina 25) ● Poggio-Rosso, Ricerca e Rivelazione, 1998: Tra le divinità indù citate nei Veda ci sono i Maruti, <<dèi guerrieri che combattono i demoni>> (p. 20); in Italia il dio della guerra è Mars (Marte), dall'etrusco Maris (Maiuri, Arte e civiltà nell'Italia antica cit., p. 47). La dea della notte nei Veda è Nakta, foneticamente all'origine del latino Nox, Nocte(m), da cui Notte, notturno, etc. in italiano. In un complesso di templi indù, l'edificio centrale, che contiene la statua di un dio, è detto Griba <<casa dell'embrione>>, da confrontarsi con l'italiano Grembo ("contenitore" dell'embrione umano), dal latino Grèmium (etimo segnalato dal Vocabolario Treccani). ● In Sarvepalli Radakhrishnan (primo presidente della Repubblica dell'India), Storia della filosofia orientale, 1952, vol. II, passim, troviamo necessariamente non pochi “antenati linguistici” sanscriti: - Antar, prefisso analogo all'italiano In, Interno, Interiore, etc., derivanti dal latino In, Inter, etc.; - L'elemento <←stra>> sovente connesso a oggetti come frecce scoccate, proiettili, armi da punta lanciate (nell’antico poema epico Mahabhàrata, si menziona il misterioso mohanàstra, <<la freccia che provoca l'incoscienza>>), assonante al longobardo Stral da cui l'italiano Strale (freccia, anche metaforicamente); - Dvà = Numero due - simile al latino Duo, al tedesco Zwei - che è anche prefisso in nomi di qualcosa che ha doppia natura, doppia forma, etc; - Gam = Uscire, simile

all'inglese Go (andare) e al tedesco Gegen (andare) e Gang (camminare); - Ràvi è uno dei nomi del Sole, da cui deriva Ràshi = corso annuo del Sole, ricollegabile di nuovo al Ri / Rta / Rita: correre, scorrere, trascorrere), simile all'ebraico Rosh (Anno) e all'antico dio solare egizio, Ra. - Màtrka, <<le Madri del mondo>> (energie creatrici dei suoni primordiali da cui nacque l'universo), molto simile al latino Matrix, da cui Matrice, a Méter (greco), Mater (latino) e derivazioni romanze (Madre, etc.) tutti di significato "materno", di ricettacolo della nascita (Plez, La preistoria che vive, cit., menzionava l'elemento <<Ma>> relativo all'acqua, "madre" della vita); - Jnàna = Conoscenza, sapienza, scienza; simile alla Gnòsis del greco (dove la G diventa G di gatto) con uguale significato, e derivazioni (gnostico, etc); in latino l'elemento GN si ritrova in parole come Adgnoscere, Ignorantia, Cognitio, relative alla conoscenza; - Sàngita = Musica, simile ai termini anglosassoni Sing (cantare), Song (canto, canzone, Sang in tedesco), Singer (cantore / cantante, come in tedesco). - Mànas = Mente, coscienza, volontà; legato al latino Mens / Mentis, al greco Mnà da cui Mnèstis (memoria), Mnemonyké (memorizzare, ricordare), da cui derivano i termini Amnesia, Mnesico / Mnestico, Mnemotecnica...; - L' A- privativo ad inizio di parola è anch'esso del sanscrito (ad es. in Ahimsa = Nonviolenza, e si ritrova nel greco A- / AN- (e di qui nell'italiano: Apolitico, Analfabeta, etc.),


nel latino IN- e nell'anglosassone UN- (ad es. inglese Unidentified = Non identificato; tedesco Unheimlich = Non della casa/patria, cioè sconosciuto, estraneo, alieno); - Pùrusha = Uomo maschio, assonante a Vìras, da cui Virum, Virilitas, etc.; - Dàmana = Domare (in latino e in italiano), legato anche all'analogo verbo greco Damàzein (Raimondi-Revelli-Papa, L'antroponomastica, cit., pp. 90-91 n.); - Li = sciogliere, dissolvere; da cui il Lyo greco (Plez, La preistoria che vive, cit.). ● Una tabella reperita su una pagina Facebook probabilmente di storia o di archeologia (tratta da un testo inglese verosimilmente di linguistica) illustra analogie importanti tra il sanscrito (S) e il lituano (L) nonostante la distanza territoriale): S. Agni / Agnis, L. Ugnis = Fuoco, in latino riappare in Igne / Ignis (da cui Igneo, Ignifugo, etc.); S. Aves, L. Aves = Pecora, in latino abbiamo Oves / Ovis (da cui ovino, etc.); S. Deva, L. Dièvas = Dio, divinità; in latino Deus, legato anche al vedico Dyaus e termini correlati indicanti il cielo e la luce diurna (già citati in precedenza); S. Dhùmas, L. D'mas = Fumo, in latino Fumus, in inglese Smoke, è cambiata la consonante iniziale (che tuttavia nel sanscrito e nel lituano è dentale come nell'inglese) ma è rimasto l'elemento centrale M + vocale; S. Kada, L. Kada = Quando (in latino Quando, in romeno Cand);

S. Mrti / Mrtis, L. Mirtis = Morte; in vedico Mrtyu, in latino Mors / Mortis, romeno Moarte; nel mito fenicio del dio Baal che sfida la Morte, questa si chiama <<Mot>> (tavolette di Ugarit in Siria, scoperte nel 1929, menzionate nel corso di Storia delle religioni Univ. di Torino A.A. 20042005, prof. N. Spineto cit.). S. Vìras, L. Vyras = uomo maschio, simile al latino Vir, da cui Virilitas, etc. (assonante anche col sanscrito Pùrusha già menzionato). ● Altri esempi di termini sanscriti probabilmente legati al latino possono essere i seguenti: - Dharma: <<Ciò che è diritto; legge; mente; dovere di stato; forma vera e propria delle cose e forza che le mantiene in quella forma; religione>> (M. Dhavamony, cit. in Gandhi. L'arte di vivere, a cura di Bassoli e Monda). E' possibile un legame con il latino (e poi italiano) Norma = <<squadra per misurare>> e poi <<regola>>, attraverso una modifica della pronuncia? - Yoni = Vagina (da cui la "deformazione" Guaìna = oggetto cavo, riempibile) e per estensione Principio femminile. Si potrebbe legare all'etrusco Uni, dea principale etrusca (Maiuri, Arte e civiltà nell'Italia antica cit., p. 47), da cui Iuno / Iunonis, nome latino della dea romana Giunone? - Bhagavàd / Bhagavàt = Beato, in latino Beatus. Il titolo del poema Bhagavàd-Gita (con G di gatto) incluso nel Mahabhàrata, significa <<Canto del Beato>>; - Sàdhu = santo, saggio; collegato al latino San(c) tus? (segue alla pagina 28)

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Su invito della pagina di archeologia locale Nurnet-La rete dei nuraghi. PierVittorio Formichetti est avec Giovanna Mulas et Antonello Gregorini.

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Foto Nicola Giua

ANCORA LE FALSE CARTE D’ARBOREA

(segue dalla pagina 27) ● In Rudolf Steiner, Educazione del bambino e preparazione degli educatori, 2010 (ed. or. 1924), p. 60 e n., trovo: Data = in sanscrito <<colui che dà, colui che dona>>; in italiano datore, datrice, etc. dal verbo Dare, tale anche in latino, dalla radice Do- derivata dal greco Dìdomi, a sua volta dal sanscrito Dàdami (Dizionario etimologico Rusconi-Idealibri). ● Infine, il bellissimo libro di Silvio Zavatti, Il popolo dei ghiacci. Vita e cultura degli ultimi Eschimesi, 1977 riporta anch'esso esempi interessanti: - p. 43: in alcune lingue degli Eschimesi la negazione “Non” si traduce “Ungi”, simile all' Un- germanico-tedesco, all' In- latino, all' An- greco, tutti prefissi privativi; - p. 46: <<Padre>> si traduce con due termini: <<Atatak>>, simile al turco Ata e al goto Atha / Atta (L'antroponomastica cit., pp. 77-78); e <<Apa>>, simile al semitico Ab / Abba e all'etiopico Abuna, con l'elemento <<Pa>> che torna nel latino Pàter, nel greco Patér, risalenti al sanscrito Pta = proteggere; - p. 226: <<Skolter>>, plurale di Skolt che significa Capelli, è il soprannome di un popolo di etnia Sami; simile all'inglese Skull = teschio, e all'inglese Scalp (da cui l'italiano Scalpo), “voce di origine scandinava” (Vocabolario Treccani) per “cuoio capelluto”.

uesta storia dei falsi d’Arborea ci sta sfuggendo di mano. Non sono entrato nella polemica sulla probabile derivazione della lingua latina da quella sarda, per il semplice motivo che non sono un linguista, e non ne capisco nulla. Da antropologo direi che non mi convince, ma questo è un altro discorso. Perciò attendo che i linguisti dirimano la questione. Poi arriva l’intervento del linguista professore universitario, e lo sento parlare indovinate di che cosa? Di miti risarcitori, di studiosi inconsapevoli e infantili, di identità sarda fasulla e, naturalmente, delle false Carte d’Arborea. Cioè quelle cose di cui io parlo nel mio libro La Mano destra della Storia (senza offesa, con ben altra cognizione di causa, essendo il mio campo di studi), e in cui dimostro come questa corrente di pensiero, che più che maggioritaria è diventata del tutto monolitica e pervasiva nella cultura ufficiale sarda, è solo parziale e interlocutoria, e non tiene conto di fattori fondamentali, come ad esempio la capacità degli stati nazione di costruire, loro si avendone mezzi e strumenti, identità, mitopoiesi e di condizionare la storiografia e, verrebbe da pensare, in questo caso, anche la linguistica. Come diceva il famoso adagio di Weinreich. Questo episodio, per l’ennesima volta, dimostra uno degli esiti del mio studio, ossia la modalità pregiudiziale della cultura ufficiale: di fronte a qualunque studio sulla cultura sarda non importa se esso sia giusto o sbagliato, se sia indipendente oppure no, se sia confutabile tecnicamente o sia inoppugnabile: l’unica cosa che conta, per la cultura ufficiale, è se questo studio sia “identitario”, oppure se sia organico e allineato. Nel primo caso, scatta immediatamente la reazione accusatoria, anche di natura personale: mitopoiesi, sardismo, speculazione di varia natura, mitologia risarcitoria e infantile, empirismo. E, naturalmente, le False Carte d’Arborea. Fiorenzo Caterini Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all’aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto “Colpi di Scure e Sensi di Colpa”, sulla storia del disboscamento della Sardegna, e “La Mano Destra della Storia”, sul problema storiografico sardo. https://www.facebook.com/fiorenzo.caterini vedi anvhe https://vimeo.com/275454030


LA STORIA INCOMINCIA CON ROMA?

Foto Gigi SannaEtà del bronzo e del primo ferro della collina di Monte e Prama )

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ari italiani, ‘natio egemonica’, apriamo una piccola (e grande) discussione, partendo da questo assunto su base documentaria e sulla fiducia dovuta alle fonti dirette: mentre per i secoli XIII - VII a.C., età dei Giganti di Monte ‘e Prama, si può fare (cominciare a fare) una storia non mitologica di Sardegna a prescindere da quella ‘italiana’ (i popoli italici) viceversa non si può fare una storia italiana a prescindere da quella sarda. Non si può, a meno che non ci si rifugi nell’archeo italismo e in una farlocca storia dimidiata dove si escludono e si tagliano, a mo’ di boscaioli, i secoli a piacimento. Infatti, partire dalla nebulosa villanoviana, servirsi del ‘parcheggio’ temporale etrusco e rifugiarsi in una pseudocertezza monarchica delle origini dei ‘sette re’ è semplicemente non fare storia oppure farla ‘comunque, di prepotenza, ad ‘usum italicum’, cioè ad uso ottocentesco romantico delle grandi ‘nationes’ del ‘un solo popolo e una sola lingua’. Oggi, grazie alle scoperte archeologiche (le statue dei Giganti di Monte e prama,, la ‘colonia’ sarda cretese di Kommos, la navigazione delle navi nuragiche in tutto il Mediterraneo, ecc.), grazie all’aumento della documentazione esterna ed interna circa i ‘popoli del mare’ e sui sardi detti ‘shrdn’, ma grazie ancora

al cospicuo rinvenimento di documenti nuragici e di un system originale di scrittura di tipologia ‘protocananaica’, si comincia a delineare una storia sarda che precede quella etrusca di almeno cinque secoli e quella romana di sette secoli e più. Se per logica, anche banale, si procede a fare una storia d’Italia, includendo nella voce Italia (con grossissimi ovvi problemi di accorpamento etnico) anche l’isola di Sardegna, l’operazione ‘può’ (diciamo può) anche essere fatta. Ma ad un patto: che si aggiungano a quella storia, strumentalmente mononazionale, i secoli ormai ‘storici’, di conoscenza storica, dell’età del bronzo e del primo ferro della Sardegna. I documenti di quel lungo periodo oggi cominciano a parlar chiaro. La storia d’Italia ad es. (per non andare più indietro) inizia con i settanta e più Re (con le statue e i relativi nomi) invece che con i ‘tori’ divini della città santa, ancora tutta da scoprire, della collina del Sinis di Cabras, e non più con i leggendari sette re dei colli romani . E’ così difficile da capire? Da prenderne atto? Crediamo di no. E allora per la suddetta logica possiamo tranquillamente affermare : la nuova storia d’Italia, quella scientifica, o la si fa ‘con’ noi o ‘contro di noi’. Tertium non datur. Gigi Sanna

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Foto studio esseci

a nuova presa in giro ai danni dei Sardi da parte dei militari si chiama “Caserme verdi”. Si tratta di un progetto di ottimizzazione delle spese del ministero della Difesa, camuffato da scelta ecologica e supporto ai cittadini. Il progetto è stato spiegato ieri nella sua versione ufficiale (non nei contenuti reali) nel convegno organizzato dal comandate regionale, generale Francesco Olla, nel palazzo La Vallée di Cagliari, alla presenza del capo di stato maggiore dell’Esercito Salvatore Farina. In realtà tutto ciò era già stato presentato a Roma a luglio dell’anno scorso, al Casd-centro alti studi difesa, alla presenza dell’allora ministra Trenta, governo Lega/M5S. Lo studio presentato poneva l’accento sulle condizioni di numerose caserme, che si trovano in «uno stato di degrado generalizzato» fino a comportare «un serio rischio per l’incolumità del personale militare». Il succo del discorso è che l’esercito deve liberarsi di un centinaio di caserme fatiscenti, alcune anche pericolose, che costerebbero parecchi milioni in manutenzioni e che sono oramai in disuso. La soluzione è semplice: restituirle alle comunità, scaricando su altri le spese per l’eventuale ristrutturazione. Altri stabili, nello specifico 26, verranno invece ristrutturati dalla Difesa con grande attenzione per sistemi di risparmio energetico. Ma anche in questi frangenti non si dimenticano mai di fare le giuste proporzioni: le caserme da ristrutturare sono in tutta Italia 26.

CASERME VERDI

La Sardegna ospita il 60% della presenza militare di tutto lo Stato italiano. Quante caserme verranno ristrutturate in Sardegna? Due, su ventisei. A fare da contorno a questa ennesima presa in giro al popolo sardo, l’Università di Cagliari (sempre in prima fila quando si tratta di rendersi disponibile alle forze armate italiane), l’ordine degli ingegneri e quello degli architetti, tutti insieme appassionatamente per studiare come ristrutturare queste due caserme, dotarle di materiali all’avanguardia e pannelli solari per il risparmio energetico.E per non dimenticare di mettere in campo le solite “operazioni simpatia”, i militari raccontano che negli spazi di questa caserme ci saranno anche asili e piscine, che (ma questo è ancora tutto da vedere) “potranno essere anche aperti ai cittadini”. Peccato che i cittadini, che pagano tasse esorbitanti, avrebbero diritto ad avere asili e strutture sportive anche senza ricevere alcuna elemosina dai militari e senza doversi sentire grati di servizi che spetterebbero loro di diritto. E magari se le spese destinate all’apparato militare non ammontassero alla cifra incredibile di 80 milioni di euro al giorno (si, al giorno) potremmo avere anche qualche asilo e qualche palestra in più. In compenso, in tutta questa operazione propagandistica di rinnovo delle strutture spacciato per servizio ai cittadini, il generale Farina si premura di ricordare ai Sardi una cosa importante: i grandi spazi destinati in Sardegna alle esercitazioni militari non verranno assolutamente ridimensionati. Punto. Liberu – Lìberos Rispetados Uguales


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ome sapete, l’associazione culturale Spazio 61 ha compiuto lo scorso anno il suo decimo compleanno. Forte dell’esperienza maturata in questi anni nei quali l’omonima Galleria d’arte in Castello ha visto la realizzazione di una cinquantina di eventi che hanno coinvolto circa duecento differenti artisti, siamo ora alla svolta qualitativa auspicata e preannunciata lo scorso anno. Già con l’ultimo evento del 2019, la mostra internazionale di Pittura Naif “From Lysice to Cagliari”, ho avuto modo di attivare tutta una serie di iniziative volte alla maggior diffusione e promozione della mostra, oltre che nei social, anche inserendo l’evento in alcuni importanti siti d’arte, coinvolgendo le istituzioni, la Mediateca del Mediterraneo e facendo in modo che la mostra fosse storicizzata attraverso l’attivazione di un canale video su YouTube e la realizzazione di un catalogo oltre che cartaceo anche in formato digitale da inserire online affinché chiunque nel mondo ne possa prendere visione. Da quest’anno non ci saranno più le “storiche” rassegne “Ciao Primavera” e “Autunno in città”, anche questo già preannunciato, ma mostre più specifiche per tema o soggetto, tecnica o formato, con un preciso taglio tale da innalzarne la qualità complessiva.

Per il 2020 si partirà, a breve, con un nuovo progetto intitolato “Contaminazioni”. Chi fosse interessato può richiedermi i dettagli. Non ho stabilito ancora una data di realizzazione della mostra collettiva perché voglio aspettare che gli artisti abbiano eventualmente il tempo per realizzare quanto richiesto. Fatevi sentire! E’ online il Catalogo realizzato per i dieci anni di attività di Spazio 61. In questo volume sono raccolte in ordine cronologico le attività svolte dall’associazione culturale Spazio 61, menzionando in primis le mostre collettive e personali di pittura, scultura e fotografia (quasi duecento artisti coinvolti in circa cinquanta mostre), ma non solo: anche presentazioni di libri, di gioielli, di cimeli, serate musicali, performance artistiche e segnalando infine la registrazione di una puntata televisiva di una trasmissione sportiva. Menzionati in ordine cronologico tutti gli eventi e tutti gli artisti (l’elenco alfabetico con circa 200 nomi da Samantha Abis a Roberta Zucca è a pag.3). Sfogliatelo: in tanti vi ritroverete (non posso taggare tutti!). Sandro Serra https://issuu.com/spazio61/docs/catalogo_ compoleto_10_anni_di_ spazio_61 https://www.facebook. com/spazio.sessantuno

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Foto Renato d’Ascanio Ticca

valente pittore Mariano Chelo, che attraversa spazi, ritmi, forme con la disinvoltura e la spregiudicatezza dell’artista, si presenta ora al pubblico, coraggiosamente come scrittore. Lui è sardo, non a caso inizio a parlare di lui come valente, e trasmette subito una salda e sana forza interiore. Usa un italiano, come del resto tutti gli abitanti di questa meravigliosa terra-isola, perché lo ha studiato quasi come seconda lingua e quindi con preciso uso delle parole. E scrive qualcosa che sta tra un racconto e una novella: ma in realtà è una vera favola. Entriamo allora nel meccanismo della storia: Grottanegra è il paese di tutte le fiabe che si rispettino, da quelle dei fratelli Grimm a quelle del grande Gianni Rodari. È un luogo triste dove non c’è sole anche se il nostro astro primario, come scrive Mariano, tramonta ogni giorno davanti al mare, ma ogni giorno uguale all’altro, senza emozionare chi abita nel paese. Poi c’è la nave, il titolo della fiaba, che potrebbe essere il mostro, la balena di Pinocchio.

MARIANO CHELO NON Solo che in questo caso quando vi si entra, si apre e rende tutti diversi da prima, felici. ridona ottimismo, positività, gioia di vivere. Grottanegra diventa nave: vi nascono amicizie, fratellanze e finalmente l’amore tra Giorgio e Nadezna. Troppo facile la vita sulla nave e per rimettere i piedi a terra, ecco che il cattivo di turno è un uragano che squassa il paese, quasi lo distrugge e costringe tutti a tornare a casa. Vale la pena rivalutare quello che era stato lasciato per dimenticare fatiche e dolori, per star meglio in un posto sfavillante dove tutto però era gratuitamente festoso e fastoso. Mariano Chelo ci regala una favola pulita, del tutto e per fortuna, a mio avviso, anacronistica rispetto allo scrivere di oggi così volutamente intricato tra il noir e la violenza seriale. non c‘è volgarità, neppure si intravede la sfrontatezza di chi strimpella parole, di chi si professa fashion influencer, scusate l’inglese, per creare ingorghi mostruosi sui cosiddetti social. Fabrizio Carbone


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na storia molto improbabile ma allo stesso tempo auspicabile, una sorta di favola moderna che racconta di un paese triste e annoiato, stravolto da un avvenimento eccezionale che cambierà radicalmente l’approccio dei suoi abitanti con la vita. Mi piace pensare che le favole… a volte si avverano.

“Sono nato tante volte, la prima nel 1958 in Sardegna, per scelta, ed esattamente a Bosa, e non me ne sono mai pentito. Faccio il pittore per professione da sempre e anche di questo non mi sono mai pentito. Nel 2006 mi sono trasferito a Cagliari dove ho aperto uno studio d’arte e non mi sono ancora pentito. Ora sto pubblicando un racconto che ho scritto qualche anno fa, spero di non pentirmene”. Mariano Chelo

Foto amicolibro

SOLO DIPINGE, SCRIVE

o incontrato Mariano Chelo a Cagliari, ma lo sapevo originario di Bosa (Chelo City) dapprima come pittore, seguendolo con il mio mensile nelle sue esposizioni sia a New York que a Parigi, ma anche in Slovacchia, per scoprire pian piano la sua capacità ad essere ispiratore e motore di tante iniziative che vanno dai concerti di Erik Satie, ripetuti in decine di località diverse partendo da Bosa per finire a Cagliari dopo aver girato Stati Uniti, Francia, Russia e me ne dimentico anche, all’organizzazione di aste d’Arte per venire in soccorso al Festival Pazza Idea, senza finanziamento, oppure in sostegno alla candidatura di Francesca Ghirra al posto di Sindaco di Cagliari (quelle occasion nous avons loupée). Non ultime le esposizioni “Faccia a Faccia” che organizza nel suo studio d’Arte invitando di volta in volta un artista a confrontarsi con le sue opere, senza dimenticare la famosa “Pesci d’Aprile” dove attirava la nostra attenzione sul problema dell’inquinamento dai detriti che ci stanno letteralmente sommergendo, ed adesso ecco un libro che viene appunto a ricordarci tutta la poliedricità del suo talento. Siamo veramente fortunati di averlo questo bosano, cagliaritano d’adozione, artista eccelso e generoso. V. E. Pisu

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Foto Stelio Usai

a Band sarda, capitanata da Andrea Busonera, auto nominata GRANDE BABOOMBA Zucchero Tribute Big Band, che gode di una straordinaria somiglianza estetica e vocale, riesce a conferire un omaggio al blues mediterraneo dell’artista emiliano, mantenendo comunque sempre una propria personalità artistica. La Band, si è prodigata nel riprodurre il più fedelmente possibile i brani più significativi che hanno determinato la grande carriera di Zucchero come alcune ballate quali: “Diamante”, “Dune Mosse”, ma anche brani ritmati quali: “Diavolo in me”, “Baila”, “Per colpa di chi?”, “Vedo nero”, “Parmigiano Reggiano” dando vita ad uno show dinamico e divertente. Lo spettacolo è molto curato anche dal punto di vista scenografico e costumistico così da soddisfare un pubblico attento ed i fans più esigenti. La band è composta da undici elementi. Il progetto nasce nel 1997 in sestetto e inizia a prendere piede nel cagliaritano. Dopo qualche anno, periodo in cui Andrea BUSONERA (voce principale) si dedica a vari progetti blues che si dimostrano di rilevanza regionale e che poi porteranno l’artista anche oltremare.

Voce principale Andrea BUSONERA Vocalist: Carla Giulia STRIANO Violino Anna VIANI Tromba Adriano SARAIS Trombone Matteo FLORIS Sax Maurizio FLORIS Piano e Tastiere Marco ARGIOLAS Percussioni Alessandro ARIPPA Chitarra Roberto IONTA Batteria Alberto ALFONSI Basso Mattia MELIS

GRANDE BABOOMBA La band, dal 2005, prima con il nome di O.I.B. Tributo a Sugar Fornaciari, eppoi come BLUE SUGAR inizia a calcare i palchi di tutta l’isola in accoppiata con altri progetti musicali. Dal 2015 la band si allarga prima a 9 elementi e un anno dopo si trasforma aumentando il proprio organico fino a raggiungere la formazione attuale composta appunto da 11 elementi trovando finalmente la propria stabilità. Non sono mancate anche le esibizioni in formazione straordinaria con bel 18 elementi!! che vedeva la presenza di ben 9 ottoni!!


Foto https://www.cagliaripost.com/

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DIVINA PROPORZIONE L

a giornata si articolerà in due parti, la Communità Frati OFM mattina per chi vuole la partecipazione CONVENTO DI SANTA ROSALIA alla Manifestazione cittadina, che si terrà a Cagliari, per maggiori informazio- Via Principe Amedeo 22 Cagliari Marina ni leggere nei dettagli sulla locandina evento Facebook, in seguito nel pomeriggio a partire contatti dalle 17 due conferenze che saranno seguite Alessandra Sorcinelli da delle letture di testi e di poesie e da una Marina Mariko Corona serie di interventi musicali e canori. Bruno M Daga Ringraziamo la Comunità dei frati OFM.

er quanti desiderano partecipare anche alla Manifestazione della mattina è necessario iscriversi, per il nostro gruppo all’ interessata a raccogliere le adesioni, la dott.ssa Alessandra Sorcinelli, a cui dovrete rivolgervi tramite Facebook entro la seconda decade di febbraio. Nel pomeriggio dalle ore 17 ci sarà un evento speciale così articolato. Breve conferenza sul tema: Donne Differenze Autismo. Il tema svilupperà il dialogo tra le donne e le loro diversità, nel contesto della società al femminile; Vita sociale, Lavoro e interazione. Un tema di estrema importanza per il giusto riconoscimento di tutte le donne Seguiranno brevi letture di testi e poesie degli autori iscritti al evento. Interventi musicali e chiusura della Giornata. Per i poeti e autori che parteciperanno al evento serale di Poesia e musica, la incaricata di ricevere le adesioni è Marina Mariko Corona, a lei vanno indirizzate le iscrizioni e l invio dei testi della serata. Evento libero e gratuito aperto a tutti. Vi aspettiamo numerosi a questo importante evento del nostro gruppo della Officina dei Poeti. Bruno M Daga

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Comunichiamo che il CESP Centro Studi per la Scuola Pubblica Sardegna, ha organizzato un SEMINARIO di FORMAZIONE aperto a tutto il personale Docente, ATA e Dirigente, delle scuole/istituti di ogni ordine e grado ed alle/agli Studentesse e Studenti degli Istituti di Istruzione Secondaria di secondo grado, sul tema: “LA MAESTRA MUTA: l’oscuramento della storia Sarda e la costruzione della coscienza storica subalterna“. Il seminario si é tenuto a: NUORO venerdì 17 gennaio 2020 dalle ore 08.30 alle ore 13.30 AUDITORIUM Biblioteca “S. Satta” piazza Asproni, 8 NUORO

Foto Nicola Giua

l’oscuramento della storia Sarda e la costruzione della coscienza storica subalterna“

NURAGHI NON SONO MAI ESISTITI?

Seminario CESP a NUORO 17 gennaio 2020 “LA MAESTRA MUTA:

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n una guida di Storia per insegnanti elementari, di una dozzina di anni fa, ho trovato questa “interessante” scheda con la quale si vogliono evidenziare differenze costruttive in alcune diverse civiltà e aree geografiche (Mesopotamia, Egitto, Italia), in periodi che vanno dal 3mila al 2mila a.c. e dal 2mila al mille a.c.. Dalle immagini si può notare che, secondo gli autori, in Italia tra il 3mila ed il mille a.c. si viveva esclusivamente nelle capanne e poi nelle palafitte, uniche costruzioni conosciute. La civiltà Nuragica ed i Nuraghi non sono mai esistiti (ma neanche i Pozzi Sacri, le Tombe dei Giganti…). Ho evidenziato questo abominio storiografico alle/ agli alunne/i delle mie classi proponendo la scheda con una mia didascalia. È seguito un approfondito dibattito nel quale le/gli alunne/i delle due quarte elementari hanno espresso e sottolineato tutto il loro disappunto poiché da due anni studiano la civiltà pre Nuragica e Nuragica e, quindi, non capiscono questa grave omissione storiografica. Ulteriori materiali per i seminari CESP-COBAS in Sardegna su “LA MAESTRA MUTA…”. Nicola Giua – maestro


Foto_screen shot Rai 1

la likeability è ossessivamente permeata di ‘pensiero positivo’, di positività a tutti i costi che elude inevitabilmente le frizioni, ogni frizione. Le cose “storte” invece non sono likeable, sono unlikeable. Spiacevoli, sgradevoli. Ma, appunto, che succede se proprio le persone e le cose negative, complicate, storte sono quelle “autenticamente interessanti, affascinanti e fuori dal comune”? L’opera d’arte è in fondo un difetto, un’incoerenza. Un incidente. L’opera è immaginabile come una sorta di fuoriuscita: fuoriuscita dallo schema, dalla costrizione, dal dovere e dal programma. Fuoriuscita di energie ne“ono rare le persone che desiderano solo essere gative che vengono trasfornegative o complicate, ma che succede se promate in positive. L’opera è prio queste caratteristiche sono appannaggio di una specie di flusso vitale persone autenticamente interessanti, affascinanti capovolto – si muove al e fuori dal comune – in tal caso, allora, non può contrario rispetto all’esiesserci un vero dialogo?” (Bret Easton Ellis, Bianco, Eistenza “normale”. naudi 2019, p. 125). L’opera abolisce e aborre Già, che succede? Che succede se anche le opere d’arte si la normalità, la positività. conformano, se tendono a eliminare le complicazioni, a Nel momento in cui invece nascondere erodere o cancellare la loro negatività? la likeability come attegL’essenza stessa della likeability, così come la conosciagiamento e disposizione mo e come si è evoluta in questi ultimi anni, è proprio d’animo è tracimata dai soquella di rimuovere la negatività, ogni negatività, dall’ocial ed è divenuta la strutrizzonte. Individuale e collettivo. tura stessa di una cultura, La gente – soprattutto la gente di oggi – non ama, si sa, l’assetto fondamentale le persone negative. Perché “negativo” è uno che non ti dei nostri comportamenti darà mai, mai un lieto fine; è uno le cui storie – quelle e delle nostre scelte e del che racconta, e quelle che vive – non finiscono mai bene. nostro pensiero, ha mutato E la gente vuole invece il lieto fine, vuole le storie che molto probabilmente anfiniscono bene. che il nostro modo di ‘imSì. Anche se sono finte, anche se sono un’illusione. maginare’ l’imprevisto. L’illusione e la finzione: che poi costituiscono il fulcro di https://www.artribune. È sufficiente basarci, in tutta questa faccenda. com/arti-visive/arte-con- questo senso, sulla nostra Il lieto fine è likeable, così come il mettersi-in-posa (e, temporanea/2020/02/edi- esperienza quotidiana. come abbiamo già visto, il mettersi in posa dell’opera toriale-christian-calian- Ciò che nell’immaginario d’arte è un fenomeno tutto sommato abbastanza recente); (segue alla pagina 38) dro-likeability/

L’ARTE ROTTA - V S

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Foto_Robert Morris

(segue dalla pagina 37) collettivo presente passa per ‘imprevisto’ culturale è, nella stragrande maggioranza dei casi, un evento o un oggetto ampiamente prevedibile, qualcosa che viaggia tranquillamente su binari prestabiliti, e che nel fare questo si appoggia invariabilmente alla nostalgia, alla consolazione del già noto, del già dato, del già esperito: è come se volessi farmi sorprendere, ma non troppo, da qualcosa che non sia troppo diverso da ciò che già conosco. Un’intera cultura ha così sviluppato come effetto collaterale (che poi tanto collaterale non è) un attaccamento morboso a questa nozione ambigua di imprevisto: un imprevisto, cioè, che non è affatto tale. Perché? Perché, come dicevamo prima, è finto. È un imprevisto che vuole piacere, che vuole essere likeable. Il punto è che le cose vere (compresi gli imprevisti)non funzionano così. Una cosa vera non solo è diversa da una finta, ne è proprio il contrario. Un vero imprevisto ci causa come minimo un formicolio allo stomaco (non sappiamo ciò che sta accadendo), spesso ci getta anzi nel panico perché ci sottrae le coordinate di riferimento. Uno scarto vero, nell’immediato, è spiacevole e non piacevole (o meglio: questa spiacevolezza è una forma più sottile di piacere…) è negativo. L’opera costituisce appunto uno scarto vero rispetto alla cornice data, a ogni cornice data.

Il problema dunque è che la likeability si nutre di finzione (eventi opere persone che vogliono piacere a tutti i costi, a tutti, e che sono ‘progettati e costruiti’ per piacere sono intrinsecamente finti, artificiali), ma al centro di tutto questo c’è il controllo. Il Programma – che presiede a ogni aspetto cruciale della vita contemporanea, compresa l’arte. La ‘rottura’ dell’arte risiede in fondo in questa cosa qui: nell’essersi cioè affidata pericolosamente a questa dimensione di finzione, e di aver progressivamente abbandonato invece la sua natura unlikeable. Di verità, fatta di incoerenze inciampi difetti scarti contraddizioni. Di negatività. Per tornare alla dichiarazione Unavailable (2011) di Robert Morris, è utile forse ricordare che la lettera si concludeva così, con un atteggiamento che è unlikeable in modo pressoché sublime: “Everybody uses everybody else for their own purposes, and I am happy to be just material for somebody else so long as I can exercise my right to remain silent, immobile, possibly armed, and at a distance of several miles (Ognuno usa l’altro per i propri scopi, e sono felice di essere solo materiale per qualcun altro fintanto che posso esercitare il mio diritto di rimanere in silenzio, immobile, possibilmente armato, e a una distanza di diversi chilometri)”. Christian Caliandro


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M

i inserisco anche io nel dibattito sulla derivazione del latino dal sardo o viceversa. Non essendo io una linguista, non posso citare studi miei personali, ma vorrei ugualmente apportare il mio granello di conoscenza parlandovi degli studi che in questo campo vengono sviluppati al di fuori dell’Italia. L’ipotesi che alcune delle lingue cosiddette “romanze” (lingue che sarebbero derivate dal latino), in realtà abbiano un’origine non dovuta alla conquista romana (o non interamente dovuta a questa), non è infatti una novità inventata di sana pianta dal ricercatore sardo Bartolomeo Porcheddu, come vorrebbero farci credere alcuni degli archeologi che stanno insorgendo in questi giorni contro le sue teorie; si tratta invece di ricerche che vengono portate avanti da alcuni anni da vari studiosi europei. Per esempio interessanti studi provengono dalla Romania. Secondo Lucian Boia[1] i romani avrebbero conquistato la Dacia, quindi solo un’area corrispondente a meno di un terzo dell’attuale Romania per un periodo di tempo di 165 anni, un periodo troppo breve e un territorio troppo ristretto per poter aver avuto un’influenza tanto

IL SARDO, PORCHED profonda nelle generazioni successive. Mentre nel resto dell’impero solo le province sotto il dominio romano per più di 500 anni avrebbero continuato a parlare latino sviluppando poi una lingua romanza[2], il rumeno sarebbe l’unica eccezione. Oltretutto gli storici trovano difficile da giustificare il fatto che i colonizzatori romani fossero rimasti nella regione dopo l’abbandono della provincia sotto la pressione delle invasioni barbariche, ritengono molto più probabile che tali colonizzatori fossero tornati nei paesi di origine. Inoltre Izzo e Schramm sottolineano come la lingua rumena abbia molti elementi in comune con altre lingue parlate nei paesi balcanici, suggerendo che queste lingue si sarebbero sviluppate fianco a fianco per secoli, con un minimo apporto dei Romani. Un altro contributo interessante a queste ricerche ci viene dalla Spagna, dove la linguista Carme Jiménez Huertas ha sviluppato importanti ricerche sull’origine delle lingue iberiche neolatine (spagnolo, portoghese e catalano) e del loro legame con le lingue ibere pre-latine (in Spagna si sono conservate molte iscrizioni ibere che consentono di avere indizi sulle lingue pre-romane).


Oltretutto ha analizzato le varie lingue neolatine dal punto di vista linguistico, giungendo alla conclusione che le lingue romanze non deriverebbero dal latino, ma che tanto queste come il latino deriverebbero da una lingua comune molto più antica[3]. L’evoluzione naturale delle lingue implicherebbe che queste divergano progressivamente rispetto a una primigenia lingua comune. Le lingue romanze, invece, mostrerebbero una inspiegabile convergenza tra loro e in opposizione al latino. Esattamente questo elemento avrebbe portato l’autrice a ipotizzare una più antica lingua comune. Tale lingua, di tipo agglutinante e non flessiva come il latino e il greco, sarebbe stata priva di casi (nessuna lingua romanza ha mantenuto i casi latini). In origine doveva mancare una differenziazione tra maschile e femminile, si usavano semplicemente parole diverse (vacca – toro, uomo – donna, ecc.), in altre lingue Europee come basco e inglese non c’è alcuna differenziazione di genere. Il suffisso di genere (maschile in –o e femminile in –a) sarebbe un residuo dell’articolo, che infatti nella lingua rumena si trova ancora oggi alla fine della parola. Ai morfemi base si sono andati aggiungendo suffissi

Foto yourforum.gr

DU, NON E’ ISOLATO

determinativi che a volte cambiano la categoria grammaticale del morfema di base, per esempio il suffisso –re trasforma un morfema nominale in un verbo (canto – cantare), il suffisso –tore al contrario trasforma un verbo in un sostantivo (lavorare – lavoratore), il suffisso –tà trasforma un aggettivo in un sostantivo (debole – debilità). Particolare è il caso del futuro: tanto in Spagnolo e Catalano quanto in Italiano la forma del futuro è data dall’infinito più il verbo avere (lavoreró = lavorare ho, letteralmente ho da lavorare, in sardo il futuro è apo a trabagliai). Anche in Francia sono state sviluppate interessanti ricerche da Danielle Corbin[4] e Yves Cortez[5], evidenziando una serie di paradossi: – perché se italiano e francese derivano entrambe dal latino, si somigliano più tra loro di quanto somiglino al latino? – perché applicando i principi di ricostruzione della lingua madre non si arriva al latino? – perchè la terminologia colta in generale deriva dal latino, ma non i termini di uso quotidiano, per esempio non quelli afferenti alla guerra (bellum), stessa cosa per termini afferenti a geografia, abbigliamento, ecc. – dal punto di vista grammaticale:(segue pagina 42)

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Foto pinacoteca nazionale

(segue dalla pagina 41) nessuna lingua romanza ha i casi (solo, in minima parte, il rumeno); le lingue romanze possiedono articoli e il latino no; il latino ha il genere neutro, ma nessuna delle lingue romanze lo ha. – la sintassi latina non ha nulla a che vedere con quella delle lingue romanze (nota mia, giusto con il sardo condivide la posizione del verbo alla fine della frase). – come mai nelle lingue romanze si sono perse tutte le congiunzioni latine e non troviamo traccia in nessuna di tamen, nam, sed, preter, igitur, ecc? Tutte queste considerazioni portano Yves Cortez a ipotizzare l’esistenza di un doppio linguaggio, il latino delle classi colte e una sorta di “paleo-italiano-volgare” per la plebe, che sarebbe quello che ha dato origine alle varie lingue romanze. Non essendo una linguista non sono in grado di dare alcun giudizio di validità o meno sulle teorie esposte, ma, da perfetta profana, mi permetto alcune considerazioni generali. Prima di tutto vedo che la teoria di Bartolomeo Porcheddu non è una sparata isolata, ma che al contrario condivide alcuni elementi (assenza dei casi latini nelle lingue romanze, formazione del futuro, che in sardo è ancora più

IL SARDO, PORCHED evidente, articoli, neutro ecc.) con varie teorie elaborate al livello internazionale. Inoltre queste altre teorie non solo opera di fantaricercatori isolati dall’ambiente accademico, da una rapida ricerca in rete vedo infatti che Lucian Boia era un pluripremiato professore e rettore della Facoltà di Storia dell’Università di Bucarest e vicepresidente della Commissione Internazionale per la Storia e la Storiografia; Herbert Isso è stato professore di Linguistica all’Università di Toronto; Gottfried Schramm era professore di storia all’Università Albert Ludwigs di Friburgo, anche lui pluripremiato per le sue ricerche da varie associazioni e università tedesche, polacche e cecoslovacche; Carme Jiménez Huertas è laureata in Filologia Catalana con una tesi sulle iscrizioni ibere, specializzata in Linguistica, Tecnologie della Lingua, Scienze Cognitive, collabora con varie università spagnole, Danielle Corbin laureata in linguistica a Parigi, professoressa alle Università di Tübingen e Lille III; Yves Cortez era un urbanista e linguista, profondo conoscitore di latino, greco antico e ebraico, oltre che di altre 8 lingue. Quindi se tante autorevoli voci, indipendentemente tra loro, parlano di una possibilità di non derivazione del-


Foto_pinacoteca nazionale

DDU, NON E’ ISOLATO le lingue romanze dal latino, forse c’è effettivamente qualche motivo che porta mettere in dubbio delle conoscenze finora date per acquisite. Mi auguro che questo dilemma venga risolto con un dialogo pacato sui contenuti, non con un rifiuto talebano a qualunque forma di confronto, e che le elite culturali sarde rispecchino quanto accade negli ambienti accademici esteri, dove il conclave culturale è più aperto a discutere le teorie innovative e magari ad accettarne le parti che possano essere scientificamente dimostrate. Mi piacerebbe che si evitasse in futuro la secca chiusura dimostrata dagli articoli che abbiamo visto nei giorni scorsi sui giornali, il rifiuto di informarsi sui concetti che stanno dietro alle nuove ipotesi, la acritica negazione della semplice possibilità che possano avere alcun genere di fondamento. Tali comportamenti ricordano le ragioni degli aristotelici rinascimentali contro le scoperte astronomiche di Galileo Galilei nel “Dialogo dei Massimi Sistemi”, piuttosto che un serio dibattito scientifico. Valeria Putzu Note esplicative [1] Boia, Lucian (2001). History and Myth in Roma-

nian Consciousness [2] Izzo, Herbert J. (1986). On the history of Romanian. In Marino, Mary C.; Pérez, Luis A. The Twelfth LACUS Forum, 1985. Linguistic Association of Canada and the United States. pp. 139–146. Oppure: Schramm, Gottfried (1997). Ein Damm bricht. Die römische Donaugrenze und die Invasionen des 5-7. Jahrhunderts in Lichte der Namen und Wörter [=A Dam Breaks: The Roman Danube frontier and the Invasions of the 5th-7th Centuries in the Light of Names and Words] (in German). R. Oldenbourg Verlag. [3] Jiménez Huertas, C. (2013) Los romances derivan de una lengua madre de carácter aglutinante. Barcelona. Jiménez Huertas, C. (2015) No venimos del latín. Edición revisada y ampliada. Barcelona [4] Corbin, Danielle (1987). Morphologie dérivationnelle et structuration du lexique 1, Tübingen . Chevalier, Jean-Claude; Corbin, Danielle; Danjou-Flaux, et al. (1976) Grammaire transformationnelle : syntaxe et lexique. Villeneuve-d’Ascq : Publications de l’Université de Lille III. [5] Cortez, Yves (2007) Le français ne vient pas du latin! Essai sur une aberration linguistique.Paris

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Foto e design mobilart giulia baita

A

ll colors of the world” è una Mostra che si svolgerà a Cagliari in uno splendido spazio polifunzionale nel cuore della città, la MEM Mediateca del Mediterraneo. Essa intende mostrare il meglio dell’arte mobile da tutto il mondo ed evidenziare l’aspetto internazionale di questo movimento artistico. La Mobile Art è nata 11 anni fa negli Stati Uniti con il primo iPhone e le prime app di editing fotografico. Oggi la rivoluzione tecnologica dell’ultimo decennio e la diffusione di massa di dispositivi mobili in tutto il mondo hanno reso questa forma artistica davvero fruibile ovunque. Internet e i social network, hanno fatto il resto. Non ci sono confini, non ci sono muri, non ci sono persone troppo lontane. Tutto è vicino, facilmente accessibile. Posso comprare a Los Angeles, vendere a Beirut, collaborare con artisti di tutto il mondo. Il web non risolve i problemi di coesistenza, differenze culturali, disparità economiche, ma è un’opportunità. Un’occasione per conoscersi e dialogare. La Mobile Art è nata con questo carattere internazionale che è fondamentale per capirlo. Ma soprattutto è una comunità. Una comunità di artisti

“All colors of the world” Vernissage 24 Marzo 2020 ore 18,00 MEM Mediateca del Mediterraneo

via G. Mameli, 164. CAGLIARI

che condividono immagini e quindi emozioni, culture, idee, problemi, sogni diversi. Partecipano a mostre internazionali, organizzano seminari, creano corsi di arte mobile. La Mobile Community è una realtà vivente, piena di talenti, idee e risorse di ogni tipo. È un esempio di globalizzazione nel mondo dell’arte contemporanea. Cagliari, una città nel mezzo del Mediterraneo, un luogo di incontro millenario di popoli diversi in termini di cultura, religione, storia, diventa un sito espositivo per un’esposizione a carattere internazionale. E soprattutto la galleria MEM sembra il luogo perfetto

per questa Esposizione. “All colors of the world” vuole essere un tema che guarda con fiducia al futuro. Apriamo questo nuovo decennio con un’idea: l’arte non ha confini, l’arte comunica e riunisce popoli diversi, l’arte è un linguaggio universale che parla la stessa lingua. Tutti i colori del mondo. Adoriamo tutti i colori del mondo, anche quelli che non conosciamo, anche quelli che non abbiamo mai visto. Perché tutti gli uomini hanno un profondo desiderio di unità, pace e fratellanza. Tutto ciò può essere un’utopia, ma le utopie hanno cambiato il mondo.. Giulia Baita


Foto_e design fiber art pietrina atzori

CORONA VIRUS

cosi che nascono i pezzinni; dal cestino dei ritagli raccolgo fino ai più piccoli ritagli; agugliate di filo che quasi non ha senso infilare nella cruna dell’ago. Ogni frammento diventa memoria, ogni frammento si eleva a preziosità. Scampolo, scampato dal pericolo dall’oblio, dal macero. Ora recuperati, riuniti, assemblati, cuciti, ricamati, in piccole forme. Sculture, dell’anima.

I pezzinni di Pietrina Atzori

Foto_e design fiber art pietrina atzori

IL CESTINO DEI RITAGLI

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Foto Lalla Lussu

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el Sulcis Iglesiente, nella parte sud occidentale della Sardegna, a Villamassargia, esiste un orto secolare di ulivi innestati dagli abitanti tra il 1300 e il 1600 chiamato “S’Ortu Mannu”, l’orto grande. All’interno del parco di oltre tredici ettari, dimorano più di settecento ulivi secolari affidati alle cure delle famiglie del paese; tra di essi campeggia uno degli ulivi più antichi d’Europa chiamato “Sa Reina”: La Regina. Con oltre 16 metri di circonferenza del tronco, le sue chiome verdissime, i rami nodosi, “Sa Reina” sfida il tempo, le stagioni, la storia. Madre, guardiana coraggiosa, difende il territorio e quel poco che resta dell’antico sconfinato dominio. La Sardegna è spesso un racconto al femminile, che affonda le sue radici nella Preistoria per giungere, con un bagaglio inestimabile di saperi antichi, alle soglie del nostro tempo. Prima dee, poi regine, poi artiste il viaggio prosegue, cambiano le armi ma il principio di resilienza resta immutato, quasi fosse geneticamente trasmesso, anche quando, l’occhio attento, mette a fuoco oltre il mare il mondo con la sua contemporaneità. La mostra Reinas raccoglie e presenta le opere di quattro tra le più importanti artiste di Sardegna, tre generazioni a confronto e un focus sulla produzione dagli anni ‘70 ai giorni nostri. Parliamo di quattro piccole antologiche dedicate a Maria Lai, Zaza Calzia, Rosanna Rossi e Lalla Lussu interconnesse tra loro a sottolineare punti di contatto e diversità di ricerca.

REINAS

ZAZA CALZIA MARIA LAI LALLA LUSSU ROSANNA ROSSI

da mercoledì 4 marzo 2020 a domenica 10 maggio 2020 inaugurazione sospesa

MEF – Museo Ettore Fico via Francesco Cigna 114, Torino www.museofico.it

Il percorso è tracciato da altrettante parole chiave che vogliono suggerire il tema caratterizzante dei nuclei selezionati lungo una narrazione che è anche scoperta, sorpresa, riflessione, in un tempo che scorre in ritmi differenti per creare esperienze personali e condivise. Ecco quindi l’ago di Maria Lai sfilato da un muro cucito per “legare collegare” insieme i quattro temi della Parola, del Ritmo, del Colore e del Segno come capitoli selezionati da un unico libro. Immergendoci nella spiritualità di Lai, nell’ironia giocosa di Calzia, nei colori solari di Lussu, nel rigore estetico di Rossi scopriremo inusitate esperienze di ricerca che restituisco un territorio aggiornato, distante dagli stereotipi più comuni, dove isola non è isolamento ma spazio di convivenze in cui sottili rimandi tra passato e presente sono più chiari, meno disturbati da rumori bianchi. Sull’isola i silenzi profumano di eterno, ecco perché è più facile ascoltare. Attraverso quattro tra le artiste più note del panorama sardo s’intende individuare un percorso comune che restituisce la capacità di trattare elementi peculiari della storia, della cultura, della natura del territorio sardo per restituirli alla collettività elaborati in linguaggi contemporanei aventi la straordinaria capacità di varcare geograficamente i confini “regionali” per divenire patrimonio collettivo internazionale. Mostra a cura di Efisio Carbone Catalogo edito da Iemme Edizioni Napoli

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e opere degli artisti che hanno deciso di partecipare alla selezione regionale per la XIIIsima Biennale d’Arte di Roma, sono esposte dal 22 Febbraio nel Foyer del Teatro Lirico di Cagliari e sono visibili tutti i giorni seguendo l’orario del Teatro ed anche la domenica fino al 27 Marzo. La nutrita partecipazione dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, l’estrema vitalità della scena artistica isolana. Questa manifestazione é stata promossa per conto della Direzione del Centro Internazionale Artisti Contemporanei C.I.A.C. dalla dottoressa Giulia Obino che organizza inoltre in Sardegna numerose esposizioni, manifestazioni ed iniziative culturali. Originaria della provincia di Oristano, e più precisamente di Baratili San Pietro, centro di produzione della Vernaccia (ultimamente la produzione della società Carta é stata premiata all’esposizione Vinitalia, come vino assoluto), dopo un lungo soggiorno in Inghilterra, dove ha potuto perfezionare le sue abilità non solamente artistiche ma anche manageriali nel campo dell’Arte e dell’organizzazione di Eventi Culturali, ha deciso di dedicarsi alla promozione degli artisti sardi o residenti in Sardegna, di cui conosce la versatilità e la produzione di alto livello.

vedi i filmati vimeo.com/393301030 vimeo.com/394335867

Delegata della Direzione CIAC, si é adoperata con coraggio alla diffusione del bando della Selezione Regionale Sarda, sostenuta anche dalla nostra rivista, in modo da coinvolgere il maggior numero possibile di artisti, dedicandosi più particolarmente ai giovani ed agli artisti emergenti, con un particolare riguardo per le artiste donne, che costituiscono ormai quasi la metà degli operatori in Sardegna. Ringraziamo il dottor Gianni Filippini per la sua partecipazione attiva e la presidenza della Giuria che si riunirà il 14 Marzo a partire dalle ore 17 per scegliere le tre opere che parteciperanno alla XIIIsima Biennale di Roma 2020, che si svolgerà nella capitale al Museo Domiziano Piazza Navona nell’aprile di quest’anno ed in settembre nelle sale Zanardelli del Vittoriano. La dottoressa Giulia Obino prepara inoltre altre manifestazioni artistiche e culturali sia a Cagliari che in diverse città sarde tra quelle che hanno sostenuto la manifestazione. La Direzione CIAC, per la rilevanza di alcune sue manifestazioni, ha avuto elogi da parte del Capo dello Stato, dai Presidenti della Camera e del Senato, da eminenti personalità del Vaticano, dal Presidente della Regione Lazio, della Provincia di Roma, dal Sindaco di Roma, e dalla Direzione dell’Accademia di Belle Arti della capitale. Vittorio E. Pisu

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