VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
1
Arte, letteratura, musica e scienza
ANNO II N. 3 Giugno 2008 copia gratuita
PERIODICO SEMESTRALE DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “L’ARTE IN ARTE” URBINO
Il mondo incantato di Alberto Magri di Alessandra Borgogelli Anche in Italia, come in Francia e in Germania, all'inizio del Novecento scatta una molla espressionista. Dal Simbolismo si mutua una pittura sintetica, dove l'à plat serviva a dare forme snelle, tutte di superficie. Tali soluzioni miravano a riconnettere il "basso" all'"alto", a conferire cioè una nuova dignità a una realtà data in modo veloce, in sintesi appunto. E ciò che rimane importante è che una tale "superficialità" mette in evidenza il succo delle cose restituendone le ragioni profonde, i simboli, in una forte contestazione dell' Impressionismo o dei Naturalismi precedenti dei quali si rifiuta il principio di verosimiglianza e dunque quella fedeltà che per tanti secoli si era avuta nei confronti della prospettiva rinascimentale ai fini di una razionalizzazione dei dipinti. Scompare una visione allo specchio, bella quanto si vuole, ma ormai superata grazie alla consapevolezza di una sopraggiunta sofisticazione della cultura, ormai in grado di ragionare in modo più concettuale. Ma presto, per tornare al tema proposto, le visioni aureolate e mistiche del Simbolismo sono rimpiazzate da visioni immanenti, quelle che servono ad acchiappare il mondo in modo via via più crudo. A questo punto siamo di fronte a nuovi sismi, a scosse violente che deformano e decostruiscono visi e individui, cogliendoli spesso in fasi di rivolta o di dolore in un clima aspro che deve ormai fare a meno degli aiuti e delle giustificazioni dall'"alto". Ciò che rimane in comune fra Simbolismo e Espressionismo è il principio astratti-
vo che però quest'ultimo movimento gioca alla luce di due principi fondamentali. Ora infatti si ricorre a un particolare primitivismo e a una precisa deformazione, termini questi che, circa venti anni fa, costituivano il titolo di un mio intervento per una mostra, a cura di Renato Barilli e mia, Espressionismo italiano, che si era tenuta alla Mole Antonelliana di Torino. Del resto spesso i primitivismi ritornano, in una molteplicità di ripetizioni differenti, come si vede bene allora dal recupero dell'arte negra o oceanica dei compagni di strada francesi e tedeschi o più avanti nelle fasi protestatarie degli anni Trenta e anche nelle soluzioni brut dell' Informale fino alla Transavanguardia e alle ultimissime, "barbare" riprese dell'arte africana ed extraeuropea, proprio quelle che hanno ora il compito e il potere di vivacizzare i climi di eccessiva calma piatta del nostro vecchio continente. Ma quali sono le ulteriori caratteristiche dell'Espressionismo italiano? Vediamo subito che, a differenza dei cugini di oltralpe, i centri di elaborazione del nuovo linguaggio sono tanti, come del resto era sempre sucAlberto Magri, Il bucato 1913 cesso in tutta la storia della cultura italiana, legata nei secoli a molte capitali. Ma anche in questo caso, nonostante numerose varianti e minidiversità, lo stile, pur declinato in maniere differenti, rimane fattore unificante. E Magri, Viani, Rosai, Carlini e Lippi, tutti nati negli anni Ottanta dell'Ottocento come gli espressionisti francesi e tedeschi, sono gli artisti che in Toscana, pur con molte contestazioni, enucleano un nuovo stile
Arte Il quadro del Guerrieri di Saltara e la replica di Strada in Casentino di Renzo Savelli pag. 3
Una citta' un palazzo una collezione Pesaro, palazzo Montani Antaldi e le sue raccolte artistiche di Anna Maria Ambrosini Massari pag 4
Letteratura Tonino Guerra, o della poesia della vita intervista di Maria Lenti pag. 6
I "Capitoli del giuoco dei Tarocchi"
di Matteo Maria Boiardo con la "Illustrazione" di Pier Antonio Viti da Urbino (3a parte) di Luciano Ceccarelli pag. 8
Musica Arti e musiche del novecento Musica jazz e pittura astratta di Catervo Cangiotti pag. 10
Scienza Ieri, oggi, domani… di Flavio Vetrano pag. 12
Sperimentazione del laser scanner terrestre applicato ai Beni Culturali: il caso dell'Abbazia di Santa Maria del Monte in Cesena. di Andrea Castellani pag. 15
Taccuino L’anima dell’Associazione di Oliviero Gessaroli pag. 18
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
2
DITORIALE dove le forme si contorcono fino a pervenire alla maschera, al grado zero in una perfetta messa in scena di diversi giochi delle parti. Così si contestano i fenomenismi precedenti e si preferisce puntare allo stereotipo del dolore, della protesta, della disfatta ricorrendo alle categorie del grottesco e del tragico. Ma va notato subito che il clima artistico toscano, e italiano in genere, si avvale di un recupero della cultura autoctona, a differenza di quello straniero che, come ho già accennato, guarda a mondi extraeuropei. Credo poi sia molto importante sottolineare che il nostro Espressionismo si presenta con due facce diverse, parti però di una stessa medaglia, l'una tragica, quella di Viani e Carlini, l'altra candida e innocente, quella di Magri o del primo Rosai. Ed è proprio Alberto Magri a sfidare la dura realtà grazie all'assunzione di una grafia deformante magnificamente usata secondo un principio di docta ignorantia. Ed è sempre lui che riguarda e ripete differentemente le vecchie storie dei Lorenzetti, di Duccio o di tutta quella schiera di maestri e maestrini che avevano ammantato chiese e palazzi dal Duecento in poi. Ma Magri gioca anche sui riciclaggi delle storielline incantate e sospese delle predelle antiche e le reinventa rimanendo fedele al loro principio paratattico. Si tratta di un universo "candido" molto vicino a quello del trentino Garbari, fatto di figurine semplici semplici di diretta derivazione dagli incantati mondi infantili perduti nella memoria e di là recuperati con un'ottica di fanciullino smaliziato. Sono le piazze dei paesi, i bucati stesi al sole, le vendemmie, le case coloniche, i giochi dei bambini a scorrere lenti nelle nuove "predelle". Oppure si disarticolano sui muri formelle di case "buone" o "cattive" proprio come i buoni o i cattivi governi dell'arte senese, riproponendo gli stereotipi della vita quotidiana. E proprio per conservare quel poco di antico e di primitivo che ciascuno di noi si porta dietro, Magri inventa una tecnica particolare e costruisce le sue opere e il suo piccolo mondo "a calce, sopra tavole preparate con successivi strati di gesso, a tempera col latte", arrivando così, come nota nel '14 Giosuè Borsi, suo felice recensore, a risultati che hanno "l'apparenza e i pregi della pittura a fresco…la delicatezza limpida, senza i toni sordi e le vernici metalliche, bioccose e bituminose della pittura a olio". La leggerezza e la smaterializzazione delle opere di Magri deve molto all'assunzione di un segno grafico graffiante, che interviene quasi in silenzio con una funzione deformante. Così si evolvono quelle sintesi toscane che Fattori e i Macchiaioli avevano portato avanti, in piena consapevolezza però che il Naturalismo aveva fatto il suo tempo e che bisognava ritornare alle origini. Ciò è così vero che Magri disarticola la narratività del dipinto e soprattutto immette delle scritte che nominano le cose rappresentate, in un'ulteriore soluzione di ripresa del passato remoto, sia di quello legato all' infanzia, sia di quello legato alla cultura continuando a incantarci con il suo particolare primitivismo, non molto lontano da quello "fantastico" che negli stessi anni interveniva nei lavori del marchigiano Osvaldo Licini.
Alberto Magri La cattiva madre - la maldicenza (particolare da casa in disordine), 1914
2
Con questo numero Vivarte entra nel suo secondo anno di vita ed è con orgoglio che quanti lavorano alla sua realizzazione vivono questo momento, visto i consensi che la rivista ha raccolto nelle due uscite semestrali dello scorso anno. Sull'onda dei successi ottenuti nelle passate edizioni, anche il terzo numero si caratterizza per i contributi intellettuali di grande spessore. L'impegno economico dei Soci dell'Associazione "L'Arte in Arte" e degli sponsor che ringraziamo, è ancora una volta largamente ripagato dalla ricchezza dei contenuti che i collaboratori offrono in modo gratuito. Grazie dunque per il prezioso contributo intellettuale generosamente offerto da tutti gli studiosi che collaborano a questo numero: ad Alessandra Borgogelli per accompagnarci nel mondo incantato di Alberto Magri; a Renzo Savelli per proporci una lettura e una storia delle opere del Guerrieri; ad Anna Maria Ambrosini Massari per la guida alla conoscenza delle ricche collezioni d'arte di palazzo Montani Antaldi; a Tonino Guerra per la sua poesia della vita; a Luciano Ceccarelli per l'impegno e la passione certosina con cui ha portato a termine i "Capitoli del giuoco dei Tarocchi" di Matteo Maria Boiardo; a Catervo Cangiotti per le appassionate riflessioni sulla musica jazz e la pittura astratta; a Flavio Vetrano per accompagnarci in un viaggio affascinante nella scienza tra ieri, oggi e domani; al giovane Andrea Castellani che ci rivela come la tecnologia moderna può essere applicata ai Beni culturali; ad Oliviero Gessaroli che ci racconta la vita dell’Associazione. Vorrei ancora tornare a Tonino Guerra intervistato da Maria Lenti, perché mi pare che la lezione di vita che traspare dalle sue parole sia da non perdere. Tutti, finché le devastazioni del "progresso" lo permetteranno e perché possano essere evitate, dovremmo tornare infatti a guardare la natura con i suoi occhi poetici presi dall'incanto di una piccola cascata d'acqua che scende intorno a un vecchio mulino abbandonato, o dell'acqua che si distende nel corso del torrente Storena come un velo tra le rocce che "toccano l'infanzia del mondo". Tutti dovremmo fare il possibile per non disperdere la ricchezza culturale del dialetto che lui chiama "una grande lingua" forse per la dignità che gli discende dal fatto di essersi affermato nei secoli sulla parola forgiata dalla saggezza e l'esperienza di tante generazioni. Tutti dovremmo tornare ad avere rispetto per la natura, a godere della bellezza poetica di certi luoghi che lo ispirano a valorizzare "i luoghi dell'anima", a curare il recupero di opere nate dalle "grandi domande" dell'uomo ed ora abbandonate come la Pieve dell'Uso di Montetiffi, dove egli vorrebbe che ci fosse la fontana della "Sorgente delle preghiere". Tutti, aggiungo, ricordando una poesia di Tonino Guerra che accompagna un suo film, dovremmo saper ascoltare la parola e il silenzio di certi luoghi dello spirito: sarà - come raccogliere il rumore - gorgogliante di una piccola - sorgente …"."Tutti " afferma con convinzione, concludendo la sua intervista "dobbiamo aggrapparci alla bellezza della poesia".
Alberto Calavalle è nato e risiede in Urbino. E' stato docente di Letteratura italiana e storia negli istituti superiori. Ha collaborato ai servizi giornalistici della sede Rai di Ancona. E' stato collaboratore didattico presso l'Università degli studi di Urbino. Scrive su alcuni periodici. Ha pubblicato: il libro di racconti Il tempo dei cavalli, ristampato dagli allievi della Scuola del Libro di Urbino con incisioni originali; il romanzo Sulla frontiera della Vertojbica; il libro di poesie Infinito passato Urbino; il libro di saggi e racconti brevi Finestre sulla città; il libro di Racconti urbinati.
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
3
Il quadro del Guerrieri di Saltara e la replica di Strada in Casentino di Renzo Savelli
Verso la metà degli anni '40 del XVII secolo si verificò una fortissima ascesa del culto di S. Antonio da Padova. Non a caso nel consiglio generale di Fossombrone dell'11 marzo 1645 si discusse di aggregarlo agli altri "Santi Protettori" della città1, "essendo questi al presente in grandiss.ma venerat.ne nella Cristianità per i grandissimi et infiniti miracoli che si sentono fare dalla Maestà suprema di Gesù Cristo per il merito di d.o glorioso santo". E' dunque a partire da questo rinnovato fervore religioso che possiamo datare le prime opere del Guerrieri di soggetto antoniano, tema sul quale egli tornerà ripetutamente. Un motivo che ebbe molto successo è quello dell'apparizione del Bambinello a S. Antonio, ricordato nel Liber Miracolorum, dove si narra come il santo era stato ospitato da un cittadino che "movendosi qua e là per la sua casa, mentre il beato Antonio se ne stava solo nella camera a pregare, vide di nascosto, attraverso la finestra, un fanciullo bellissimo e giocondo accarezzare Sant'Antonio che lo teneva nelle sue braccia e non cessava di contemplarne il viso. Quel cittadino, stupito e commosso per la bellezza del fanciullo, andava pensando donde potesse essere venuto un bimbo così grazioso. Ma questi, ch'era il Signore Gesù, rivelò al beato Antonio d'esser visto da quel cittadino.2 Questo motivo duale fra il bambino Gesù, spesso rappresentato col ramo di giglio in mano, e il santo di Padova, connotato sempre e comunque da Dottore della chiesa grazie al libro, diventò popolare nell'arte alla fine del '400. Esso tuttavia ebbe la variante della presenza del Bambino non da solo, ma in braccio alla madre, come appare nella giustamente famosa grande pala di Brera del 1636 di Antonie Van Dick (1599-1641). La scena si svolge all'aria aperta: il santo, inginocchiato per terra, riceve le carezze del Bambinello, che non sta ritto in piedi, ma è seduto sulle ginocchia materne. Il libro di preghiere è adagiato a terra, ma non vi è traccia del ramo di gigli. Il Guerrieri, ripartendo dal Liber Miracolorum, ma allo stesso tempo innovando, lo riproponeva all'interno, in uno spazio delimitato e perciò più intimo e confidenziale, in un rapporto non più a due, ma a tre e con l'aggiunta di cori angelici. La prima di tali opere fu probabilmente
la bella tela de La Vergine col Bambino e S. Antonio da Padova, predisposta per la chiesa del Gonfalone di Saltara (PU), ma da vari anni collocata nella chiesa di S. Maria del Soccorso, a breve distanza dall'altra. Il quadro (cm. 230 x 150), opportunamente restaurato, è di una dolcezza e di una tenerezza indicibili: mentre nella stanza della casa, ove era ospitato, leggeva da solo il messale, eccolo ricevere la visita del Bambino Gesù e della Madonna. Antonio si inginocchia a piedi nudi sul pavimento, estasiato e stupito, ancora incredulo del privilegio concessogli. Il Bambino, sorretto dalla madre e in piedi sul messale aperto, si sporge verso di lui e lo accarezza sul mento. La Madonna fa altrettanto ponendogli affettuosamente la mano sulla nuca. Il volto del santo è ancora giovanile, ma l'ampia calvizie e il grigio dei capelli indicano un'età più avanzata. Al centro, in alto, in una corona di luce dorata, sta lo Spirito Santo mentre dieci puttini osservano la scena. Appoggiato sul pavimento l'immancabile ramo di giglio. In un angolo del quadro vediamo il padrone di casa che, attirato forse da quell'improvviso chiarore che filtrava da sotto l'uscio, apre silenziosamente la porta per sbirciare dentro la stanza e resta anch'egli immobile e senza parole, "stupito e commosso", quasi paralizzato dallo spettacolo imprevisto e del tutto inimmaginabile. Come senza parole saranno rimasti i fedeli di fronte alle spiegazioni del miracolo da parte del parroco. Dopo il restauro non sono emersi né riferimenti al pittore, né la data di esecuzione, per la quale abbiamo tuttavia una prova indiretta. La chiesetta del Gonfalone fu terminata infatti nel 1649, come attestato dal portale d'ingresso principale, che nel fregio riporta la scritta: "ANNO DOMINI 1649". Il quadro piacque davvero molto anche a Baccio Rampini, cittadino di Strada in Casentino (De Strata Florentiae), ma residente a Fossombrone nel ruolo di "fattore del Ser.mo Gran Duca di Fiorenza" con il compito di curare le rendite dei beni già dei duchi d'Urbino presenti nel territorio forsempronese. La sua presenza è attestata attraverso atti consiliari e rogiti notarili per circa un decennio (16441653). Il Rampini ebbe certamente l'occasione di apprezzare il bel quadro, forse in casa del pittore mentre
La Vergine con il Bambino e Sant'Antonio da Padova, chiesa di S. Maria del Soccorso, Saltara. La replica si trova nella Cappella della Visitazione a Strada in Casentino Andrea Emiliani "Giovanni Francesco Guerrieri da Fossombrone" Cassa di Risparmio di Fano 1991
era ancora in esecuzione, di scriverne al suo amico o congiunto Gatteschi a Strada e di svolgere il ruolo di intermediario inviandogli magari il disegno preparatorio del quadro di Saltara e suggerendogli alcune piccole varianti di propria idea o su spunto del committente. L'opera del Guerrieri era collocata nella pieve di S. Martino in Vado e precisamente nel secondo altare a destra, sicuramente eretto col solito giuspatronato proprio dalla famiglia Gatteschi, ascritta al patriziato locale. Il quadro, recentemente restaurato, ha rivelato la firma del Guerrieri e la data "A.D. 1650"3. A seguito dei lavori effettuati negli anni '70 nella pieve di S. Martino, tesi a riportarla alla semplicità e alla nudità iniziali, sono stati tolti tutti gli altari, così oggi è possibile ammirare la replica del quadro di Saltara nella Cappella della Visitazione al centro di Strada. 1Consigli, vol. 37, aa. 1643-45, c. 339r, in A.C.F. 2Il brano qui riportato, tradotto dal testo
originale in latino, si trova in G. Viroli, I dipinti d'altare della Diocesi di Ravenna, Cento (FE) 1991, p. 476. 3Claudio Pizzorusso ha decifrato con difficoltà l'iscrizione riemersa nello stipite della porta da lui così trascritta: "FRANCESCO GUERRIERI DA FOSSOMBONE PINGEBAT A.D.1650". Cfr. M. Cellini, Apparizione della Vergine con il Bambino Gesù a S. Antonio da Padova, in AA. VV., "Il Seicento in Casentino dalla Controriforma al tardo Barocco", Firenze 2001, pp. 294-95.
Renzo Savelli è nato e vive a Fossombrone ed è laureato in lingue e letterature moderne. In veste di autore, co-autore o curatore ha scritto diversi libri di storia locale dedicati alla sua città (musica, seta, comunità ebraica, rocca, guida turistica), a S. Ippolito (guida turistica e Palazzina Sabatelli) e ad Isola del Piano (1° volume). Attualmente sta completando una nuova opera dal titolo "Francesco Guerrieri da Fossombrone - L'uomo, l'artista, il cittadino" in occasione del 350° della morte del grande pittore forsempronese.
3
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
4
Una città un palazzo una collezione Pesaro, palazzo Montani Antaldi e le sue raccolte artistiche di Anna Maria Ambrosini Massari
A conclusione del lavoro di studio, restauro e catalogazione delle collezioni, la Fondazione della Cassa di Risparmio di Pesaro ha inaugurato nel 2005 il nuovo allestimento delle proprie raccolte d'arte, conservate nella prestigiosa sede di Palazzo Montani Antaldi, progettato in stile neoclasssico dall'architetto Tommaso Bicciaglia, formatosi alla scuola del maggiore artista pesarese del secolo XVIII, Giannandrea Lazzarini. Le stanze del piano nobile, dove sono state allestite le collezioni artistiche e di rappresentanza furono eseguite "a guazzo" tra il 1777 e il 1781, dagli allievi di Lazzarini, principalmente Carlo Paolucci e il nipote Placido Lazzarini. Si ispirano alle storie dell'Eneide, come in altri palazzi marchigiani, quali il Bonaccorsi di Macerata e a imitazione del palazzo reale di Torino, della dimora sabauda di Moncalieri, dove le avventure di Enea erano state raffigurate per rappresentare metaforicamente le fatiche militari di Carlo Emanuele III nella guerra di secessione polacca. I Montani, infatti, attivi presso la corte dei Savoia, hanno poi voluto decorare una delle stanze del palazzo con lo stemma della casa reale ben prima dell'Unità. La collezione è formata da dipinti, disegni, incisioni, ceramiche e un gruppo prestigioso e cospicuo di carte geografiche dei secoli XVI-XIX riguardanti l'antico Ducato di Urbino. La ricchezza delle raccolte, già più volte utilizzate in questi ultimi anni, per mostre in Italia e all'estero e il loro carattere profondamente legato alla storia e all'identità della città e del territorio, arricchiscono il ruolo di Pesaro come città d'arte, individuando, peraltro, una particolare sezione della sua storia artistica, meno rappresentata in altre istituzioni cittadine, quella relativa alle opere d'arte moderna locale. L'organizzazione dei materiali è stata divisa in due fondamentali sezioni, quella dedicata a pittura e ceramica dal Quattro all'Ottocento, marchigiana e italiana o straniera, sistemate nelle sale affrescate del Palazzo, e quella delle opere novecentesche, sempre comprendenti pittura e ceramica, allestite nella zona adiacente, che ospitava in precedenza uffici della Banca delle Marche. Un autonomo spazio, in questo contesto, è riservato anche alle collezioni grafiche, con le oltre 300 preziosissime carte geo-
4
grafiche dell'antico Ducato di Urbino, manoscritte e a stampa, sciolte nella gran parte dei casi ma anche presenti in volumi. Tra i numerosi e notevoli disegni va almeno ricordato quello di Simone Cantarini, preparatorio al dipinto con Giudizio di Paride, anch'esso di proprietà della Fondazione. Di Giannandrea Lazzarini è presente un gruppo di cinquanta disegni con architetture e paesaggi. La collezione conserva i sei disegni a carboncino nero, quasi cartoni a grandezza naturale, preparatori per le vetrate della Cattedrale di Pesaro, opera di Alessandro Gallucci che raffigurano santi e beati protettori della città. Per quanto riguarda lo sviluppo artistico regionale, la collezione consente di tracciare alcune delle sue linee principali. Il notevole campionario di opere si snoda a partire dalla preziosa tavola di Giovanni Antonio da Pesaro, con una magica teoria di santi attoniti e pieni di ingenua poesia. Il Cinquecento è illuminato dalla tavola di Federico Zuccari con la Visione di santa Caterina dé Vigri, eseguita un anno prima della morte e oggetto di una tormentata vicenda, strettamente legata alle polemiche sollevate dal soggiorno bolognese del pittore, che aveva destato odi e antipatie coi suoi atteggiamenti arroganti. Giovan Francesco Guerrieri e Simone Cantarini testimoniano le linee principali dell'evoluzione artistica e delle influenze che, anche grazie a loro, alimenteranno gli spunti più interessanti della cultura figurativa marchigiana nel Seicento. Recente l'acquisto della fulgida tela di Cantarini con Sacra famiglia e la Trinità, che va ad affiancare gli altri importanti dipinti del pittore mentre, del Guerrieri, troviamo una notevole Santa Cecilia e la possente pala con Crocifissione e dolenti. Alcuni tratti salienti della pittura settecentesca, nelle sue specializzazioni di genere, trovano testimonianza nei paesaggi di Antonio Francesco Peruzzini e Alessio De Marchis. Un caso a parte, nella collezione dei dipinti, è costituito dal gruppo di sette tele con Storie di Tobiolo e dell'Arcangelo Raffaele, opere di Giannandrea Lazzarini e allievi, ciclo ampiamente documentato negli scritti dell'artista pesarese, cui fu commissionato nel 1768 da una famiglia nobile di Osimo, che l'ha conservato fino all'acquisizione da parte della
Federico Zuccari, (Sant'Angelo in Vado, 1539/'43-1609) Santa Caterina de' Vigri, tempera su tavola, 269x184cm
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
Fondazione, nel 1999. Gli allievi del Lazzarini decorano il Palazzo ed un allievo, Giovan Battista Consoli, è autore di un delizioso olio su pietra col Ritratto di Carolina di Brunswick che apre lo scenario sugli anni finali del primo decennio dell'Ottocento, quando Pesaro attraversava una stagione assai vivace della sua vita sociale e artistica, illuminata, tra l'altro, dall'inaugurazione del Teatro del Sole - poi Rossini - nel 1818. Nel 1817 Carolina, principessa di Sassonia, moglie divorziata del futuro re d'Inghilterra Giorgio IV, si stabilì a Pesaro, rimanendoci circa tre anni, riunendo la nobiltà cittadina nella sua dimora, la bella Villa del marchese Eleonori, ridenominata Villa Vittoria, in un clima di accattivante mondanità ma anche di raffinata cultura, di cui fu protagonista eccellente proprio il marchese Antaldo Antaldi, in quegli anni proprietario del Palazzo, che si legò a Carolina di una profonda amicizia, tanto da sostenerla al momento del processo londinese per adulterio, nel 1821, fin quasi a rovinarsi. Ma, accanto alla pittura marchigiana dal '400 all''800 - contrappuntata da inflessioni linguistiche di altre regioni italiane e culture europee, cui sono riservate due stanze, la Fondazione ha diretto i suoi acquisti soprattutto nel settore costituito dalla pittura pesarese, tra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento. Le opere ne documentano i principali protagonisti, molto noti anche a livello del collezionismo nazionale, come Anselmo Bucci, Fernando Mariotti, Alessandro Gallucci, Nino Caffè, Aldo Pagliacci. Di Nino Caffè, sono presenti opere meno scontate dentro la sua produzione più stereotipata, come Il circo del 1942, esercitazione sugli impressionisti sempre influenzata dagli amici artisti pesaresi, in primo luogo Alessandro Gallucci. Di Caffè anche lo straordinario Grande pannello - misura 297x390 cm - col racconto lieve di un attimo rubato a una giornata di sole. Autentico capolavoro di Alessandro Gallucci è il dipinto del 1938 dal titolo Il mercato, insostituibile, rarissima testimonianza dello sguardo fugace e tardivo dell'artista, al grande ceppo stilistico e programmatico della Pittura Metafisica e del grande movimento di "Novecento". Struggente e inquietante il Ritratto di donna (Rosetta) di Fernando Mariotti, del 1924, pit-
5
tore documentato da diverse opere, tappe significative della sua evoluzione. Anche la generazione successiva a quella dei citati maestri è ben rappresentata in collezione, con testi finemente selezionati, a cominciare dal nome di rilevanza internazionale di Giuliano Vangi, toscano che ha legato a Pesaro molta parte della vita e dell'attività, rappresentato nelle collezioni della Fondazione dalla vibrante statua in bronzo, rame, oro e lega di nichel, raffigurante una Ragazza con treccia, acquistata dopo la mostra che la Fondazione ha dedicato all'artista nel 2000. Non potevano mancare i lavori di Oscar Piattella, rappresentato da tre opere sullo scorcio degli anni Cinquanta e di Renato Bertini. A comporre il ventaglio delle raccolte della Fondazione, una parte di centrale importanza è riservata alle ceramiche. Unica al mondo si può definire la collezione di ceramica Tre e Quattrocentesca della Fondazione, composta di circa cinquanta pezzi, acquistati con grande lungimiranza nel 1988, quando l'importanza straordinaria della produzione ceramica pesarese medievale era ancora in corso di definizione, grazie agli studi di Paride Berardi, confluiti nel volume del 1984, L'antica maiolica di Pesaro dal XIV al XVII secolo, che dimostravano, con preziosi documenti, le radici antiche della storia ceramica pesarese. Importante e varia anche la rappresentanza settecentesca nel settore della ceramica, coi noti pezzi decorati alla Rosa di Pesaro della fabbrica Callegari e Casali, ricchissimi di decori e tipologie, con esempi che si distendono su tutto l'arco della produzione della celeberrima fabbrica pesarese e ne rappresentano i quattro periodi, tra 1763 e 1816, rispettivamente anno di inizio e scioglimento della società. Alla fabbrica faentina Ferniani, in un'epoca che oscilla tra secondo e terzo quarto del Settecento sono da ricollegare i due bellissimi vasi da pompa, esemplari rarissimi nel loro genere, recanti quattro stemmi cardinalizi della famiglia Albani. Il Novecento è rappresentato dai pezzi dei principali protagonisti del settore a Pesaro, fra i quali spicca il nome di Bruno Baratti, con la stupefacente serie di dodici piatti coi mesi eseguiti nel 1985.
Scuola di Guannandrea Lazzarini, Commiato di Enea da Anchise, 1777-1781, pittura del soffitto di una stanza del piano nobile di Palazzo Montani Antaldi
Anna Maria Ambrosini Massari, ricercatore e docente al corso di laurea in Scienze dei Beni Culturali, della Facoltà di Lettere e Filosofia dell' Università di Urbino e al Corso di Scienze della Comunicazione della Facoltà di Sociologia della stessa Università, presso la sede di Pesaro-Studi. Si occupa di pittura e grafica tra Cinque e Seicento, con particolare attenzione ad argomenti di area marchigiana ed emiliana. Numerosi studi e articoli sono inoltre indirizzati alla storia del collezionismo e alla storiografia artistica. 5
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
6
Tonino Guerra, o della poesia della vita Intervista di Maria Lenti
La sua opera letteraria e artistica è permeata della memoria che nutre e si rinnova, del legame tra natura e uomo. Adesso, a che cosa sta lavorando? Tutto quello che cerco di fare sono racconti poetici. Adesso sto facendo fontane. Le ultime addirittura sono "Pagine bianche d'acqua", sulle quali ci sono resti di favole, ci sono pietre. Questo tento di fare, qualche cosa che abbia poesia: perché io non sono un architetto, un pittore alla Picasso. Io sono un pittore che racconta. C'è sempre in me l'idea di trasmettere notizie, favole, racconti anche in dialetto. Qui, lei vede, sono circondato da questo mondo sgangherato di libri, oggetti e ricordi. E' che ho bisogno di compagnia e io ricevo molto dagli oggetti che mi sono intorno. Vicinanza alle cose, agli oggetti, non sezionamento ma circolarità dell'esistenza. E' necessaria, ancora? Mi pare di sì: oggi più di prima. Per esempio, qui a Pennabilli è stata fondata l'Associazione "Tonino Guerra". C'è chi si preoccupa di trovare tutti i miei libri, i miei disegni, i miei appunti, ecc., un materiale che si vuole sia completo perché possa servire a qualche studioso, a qualcuno che ha bisogno delle parole. Io, invece, vorrei che l'Associazione si interessasse delle cose che desidero siano fatte. Adesso vorrei preparare "i luoghi dell'anima". Sono stato a vedere un mulino abbandonato, un piccolo borgo sotto Pennabilli, soltanto alcuni ruderi con, attorno, delle cascate d'acqua. Un incanto. Vorrei che lo si pulisse da tutti gli spini per far arrivare anche gli studenti a guardare l'acqua. L'acqua che noi abbiamo perso, che crediamo di conoscere, bisogna vederla, toccarla, averne il godimento. E averne il racconto. Più su, sopra Bascio, c'è una strada che porta al torrente Storena: qui ci sono tutte le pietre precipitate nel tempo dalla nascita del mondo. Tutte le pietre sono là e dentro hanno un velo d'acqua. E' il più bello, il più grande giardino giapponese che abbia mai visto. Va curato. Si può fare anche un parco di cento metri, i bambini ci devono andare a queste rocce, toccarle, perché in questo caso toccano l'infanzia del mondo.
6
Questo è un modo, non dico nuovo di poesia, ma un modo per ricavare per la gente un modo caldo e sereno di vivere, un modo che ti fa riflettere, un modo che ti permette di ritrovare te stesso. Il suo esordio poetico nel dialetto romagnolo… Il dialetto, che purtroppo, anche in Romagna, stanno dimenticando - il novanta per cento delle persone non lo sa più parlare -, è una grande lingua. Il dialetto ha il sudore, le ombre, il dialetto ha i tremori che occorrono. Il dialetto è una lingua che conoscevano tutti i romagnoli e quindi tutti i contadini. Io faccio sempre questo esempio. Se un contadino romagnolo uccide la moglie, chiamato in tribunale, più di venti parole non dice. "Sa, non lo so cosa è successo… Allora, c'era un coltello lì, siccome lei mi ha offeso, …". Se l'avvocato gli chiede di parlare in dialetto, diventa una persona eccezionale, diventa un grande scrittore: "Dunque le voglio dire che erano quindici giorni che pioveva sempre. Pioveva, pioveva. E io andavo fuori nei campi a prendere i cavoli, se no andavano a finir male e mia moglie diceva: se entri in casa sporchi la casa (stava pulendo i tavoli). E, be', se no che cosa mangiamo? E no, non si mangia. E' meglio non mangiare che pulire la casa, dice lei. Io dico: ma no, non è vero...il lavoro che ho fatto… E cominciamo a litigare e…". Litigio raccontato in modo stupendo. "…poi lei mi comincia a guardare male, mi comincia a dire che da quando m'ha sposato sono stato sempre così, testardo, cattivo …Io?...". Eccola, quindi, una discussione stupenda perché lui non ha paura di sbagliare, di dire dasse invece di desse. Lui il dialetto lo sa alla perfezione. Perdere questo capitale enorme, che avevamo tutti in Romagna, è un difetto, grave anche per i ragazzi perché era un aiuto eccezionale per scrivere. Dava la possibilità di non dire 'se parlo bene o parlo male….', sai che puoi dire quello che vuoi. Raccogli brani di poesia da tutte le parti quando parli in dialetto, il tuo modo di raccontare ha le parabole, la fantasia… Un modo strambo che è quello giusto per darti un'emozione. In un incontro pubblico all'uni-
Tonino Guerra nel suo studio
versità di Urbino lei ha raccontato, anni fa, il suo ritorno a casa dalla prigionia… Mio padre era, a differenza di mia madre, uno che non faceva né carezze né baci, perché il romagnolo riteneva che queste frivolezze, queste cose affettuose fossero molto femminili e potessero far pensare… Con ciò non si deve pensare che sotto il romagnolo non fosse un grande sentimento. Anche quando, incontrando un amico magari dopo dieci anni, la frase più commovente era questa: "Ma come, sei ancora vivo?". …molto commovente, perché vuole nascondere un incontro eccessivamente affettuoso. E mio padre… Io non volevo metterlo in difficoltà il giorno del mio ritorno dalla Germania. Ero arrivato a piedi. Davanti a casa, un gruppo di persone. Sapendo della sua difficoltà a dimostrare davanti a tutti un momento di grande tenerezza, mi sono fermato a quattro metri da lui. Lui era sulla porta col sigaro in bocca. Mi ha chiesto: "Hai mangiato?". Ed io: "Ma certo, ma figurati, è andato tutto bene". M'è passato davanti e se ne andava via. Io vole-
vo stare nel gioco di questa difficoltà: "Ma dove andate?". Si gira: "Ho da fare. Non posso mica stare a parlare". Entro dentro casa e nella saletta, avevamo una saletta, c'erano tanti che volevano sapere della Germania ed io chiedevo delle cose della guerra, se avevano bombardato, quando entra uno con una valigetta. Dico: "Cerca qualcuno?". "Sì, cerco lei". "Cerca me?". "Sì, sono il barbiere. Mi manda suo padre". …L'affetto, la tenerezza. Lui con un'occhiata ha visto che avevo un tantino di barba in più. La sua presenza nella cultura italiana è forte. Sarebbe importante una presenza più assidua degli intellettuali per fare andare meglio le cose, perché le cose siano dette piuttosto che rincorse, non dimenticate: per l'oggi, per questo tempo che spesso brucia le energie? Non sono un indovino. Certo potrebbe essere molto comodo specialmente se in provincia si fermassero delle persone e dessero un'occhiata. Io, che sono qui a Pennabilli e cerco di dare una mano, vedo che ci sono molte difficoltà.
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
Non per cattiveria, ma è difficile che un'autorità, sindaci o altro, prenda in considerazione quello che le viene suggerito. Hanno le loro preoccupazioni. Io ho scritto i "Sette messaggi al sindaco" e fin da allora, vent'anni fa, ho spiegato che i sindaci dovrebbero pensare non solo ai tubi delle fogne, alle pasticche per gli ammalati… Devono avere anche delle cose poetiche, devono dire che dobbiamo costruire le piramidi… anche se non è vero, perché bisogna creare questo viaggio magico, bisogna aiutare ad avere dei sogni. Guardo però anche alle cose pratiche. Sarebbe bello che gli uffici tecnici avessero attenzione al paesaggio. Non si possono far dipingere delle case bianche in mezzo ai boschi: chi viene dalla pianura, e vuole trovare un mondo selvaggio, antico, si trova in una dentiera. Il 29 di maggio sono andato a Rimini per parlare a tutti i sindaci, per consigliare ad ogni paese quel che si può fare perché qualcuno arrivi nei nostri paesi. Penso di avere delle idee non di grande spesa. So che non ci sono i soldi, però ogni sindaco potrebbe far piantare quattro o cinque piante tutti gli anni, valorizzare le piante più antiche del suo comune, perché le piante antiche sono anche, per esempio secondo i russi, un aiuto alla forza delle persone. Ogni volta che un russo vede una pianta antica e grossa l'abbraccia: per ricevere un po' della sua forza. Bisognerebbe trovare il modo, noi che siamo in un percorso verso la completa ignoranza perché leggiamo poco, specialmente le donne che credono soltanto ai rossetti e ai chirurghi plastici, di vitalizzare la cultura, ché la cultura abbellisce gli uomini, la cultura abbellisce la pelle del viso… Come si fa a vivere senza leggere, affogati dalle immagini della televisione, spesso non bella come invece dovrebbe essere perché la televisione è un grande strumento. Tiene compagnia alle persone anziane che vivono nelle valli più sperdute, tiene compagnia agli ammalati. Però, che sia una bella televisione. Presente e futuro….I rimpianti? No. Perché io sono un poeta, sono legato alla parola e quindi ancora adesso cerco di fare
7
delle cose. Alcune, i fanali di Tolstoj per esempio, o le ultime fontane di Santarcangelo, le ho realizzate. Altre le sto pensando e, anche, attuando: il recupero delle chiese abbandonate, le chiese con le loro grandi domande, la Pieve dell'Uso di Montetiffi nel comune di Sogliano al Rubicone, nel cui centro vorrei che ci fosse la fontana della "Sorgente delle preghiere", o Sant'Arduino di Pietrarubbia, altre, tutte con le loro traversie per le discussioni con i sindaci, gli amministratori. Certo, dentro la mia età sento che ci sono delle ombre di debolezza, ma spesso, se uno è legato alla poesia, dimentica di essere anziano. Io insisto che tutti dobbiamo aggrapparci alla bellezza della poesia, perché ti può salvare nei momenti di grande sconforto. Tutto qui. --------------Scrittore, poeta, narratore, autore di testi per il teatro, di libri illustrati da lui, tradotto in Russia, in Germania, in Portogallo, Spagna, Messico, ecc., soggettista e sceneggiatore cinematografico (ha collaborato con, tra altri, Anghelopulos, Antonioni, Bellocchio, Bolognini, De Santis, De Sica, Fellini, Giraldi, Lattuada, Monicelli, Petri, Rosi, Taviani, Tarkovskij), Tonino Guerra, nato a Santarcangelo di Romagna nel 1920, oggi vive a Pennabilli (Pesaro e Urbino). Qui, nei sotterranei del trecentesco Oratorio di Santa Maria della Misericordia, ha sede l'Associazione che porta il suo nome, istituita grazie alle Province di Pesaro e Urbino e di Rimini, ai comuni di Santarcangelo e di Pennabilli, alla Comunità Montana Alta Valmarecchia: uno spazio che è museo ( vi sono esposti, tra quadri e libri e videoteca, dei mobilacci disegnati da Tonino Guerra e realizzati da sapienti artigiani del luogo. E le "Lanterne di Tolstoj", tratte dai libri di scrittori russi e dai prototipi ancora esistenti in Russia, dovute alla visionarietà del poeta Guerra e alla mano del fabbro Aurelio Brunelli) e luogo di incontri con un pubblico vario, con studenti, visitatori instancabili delle sue realizzazioni in tutta quella parte di alto Montefeltro e di Romagna. Attirati e sorpresi, già anni fa, da quell' "Orto dei frutti dimenticati", il primo intervento di
Tonino Guerra intervistato da Maria Lenti
Tonino Guerra, che stupì per lo scatto singolare e nuovo del recupero del paesaggio. Per conoscere Tonino Guerra bisogna vedere le sue opere nelle diverse località, fontane, chiese, piccoligrandi parchi, e studiarne, gustarne i titoli: la poesia, come senso in avanti delle cose di cui "parla", è invenzione, il bisticcio è voluto, nuova ogni volta. (Le opere, fino al 2005, sono raccolte, illustrate e arricchite delle parole di Guerra, nel suo Poesie nel paesaggio, per Ramberti di Rimini). Cifra poetica, la sua, che significa anche rispetto della e attenzione alla polis, (anche al di là di quanto farebbe già supporre la sua militanza nella sinistra, che non è un mistero), amore della natura, del lavoro e della storia dell'uomo, sentimento del paesaggio: valori da non disperdere, da conservare, da vitalizzare, se del caso da recuperare, perché vivano nella quotidianità, non come contorno ma come essenza. Tonino Guerra è, in parte, qui. I suoi film, i romanzi, le poesie diranno molto altro. A noi, stretti a volte tra il desiderio di cose belle e esterni (nel loro largo raggio) che poco lo sono, a chi si occupa della cosa pubblica, il compito di fare uscire (e riuscire) tale essenza: che spicchi il volo per farci vivere. ("Vivarte", il suo direttore Oliviero Gessaroli, l'intervistatrice sono grati alla dott.ssa Rita Giannini Direttore del Museo Tonino Guerra per la sua collaborazione).
Tonino Guerra, progetto della fontana “Sorgente delle preghiere”
Maria Lenti è nata a Urbino e qui vive. Ha pubblicato poesie (Un altro tempo, Albero e foglia, Sinopia per appunti, Versi alfabetici, Il gatto nell’armadio) e racconti (Passi variati, Due ritmi una voce), saggi su scrittori e artisti italiani. Collabora a riviste e a quotidiani. E’ stata deputata al parlamento per il PRC). 7
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
8
I "Capitoli del giuoco dei Tarocchi" di Matteo Maria Boiardo con la "Illustrazione" di Pier Antonio Viti da Urbino (3a parte) di Luciano Ceccarelli Nel gioco veramente de la Gelosia le dece carte sono di colore azurro o vero celesto, e in esse sono depinti ochi, come quei da i quali nel animo del geloso el crescier de la gelosia procede. E ne la prima è uno, grandetto, con un breve di sopra; e ne le altre secondo el numero ordinato, con lo breve in mezo, nel quale li terzetti si scrivono che incominciano da Gelosia, sì come li doi dicti giochi d'Amore e de Speranza incomenzavano da il loro; con el numero nel modo già scripto, che a Gelosia sùbito segue. Del qual gioco le quatro figure sono in questa forma depinte. La prima in luoco di fante è Argo, che geloso fu oltra modo, dubitando che Io, dàtali in custodia da Junone, non li fusse tolta; et è depinto carico per tucta la faccia d'ochi, con uno ochio ne la sinistra mano e ne la diricta uno bastone da pastore, con una vesta pastorale tòcca in qualche parte de celeste colore; a i piedi del quale è un pavone, cum la coda diritta, in che egli da Junone fu tramutato; et ha sopra el capo suo el terzetto che de esso brevemente ragiona. Il cavallo è per Turno figuarato: el quale per gelosia da Enea fu vinto, come in Virgilio si lege; et è sopra un cavallo di tucte arme armato, de azuro colorite, con uno ochio in mano e con tre versi che lo manifesta sopra el capo. La Regina di Gelosia, per Junone in questo gioco se dipinge; perciò che ella sempre fu gelosa oltra mo' di Jove, et è regalmente de azuro vestita, sopra un carro di due rote de azuro puntato, tirato da doi pavoni; con uno ochio in mano, e con la Iride, che da capo a piedi la circunda, dicto da gli altri lo arco celeste, e con una aurea corona, sopra la quale sono li versi, che di lei ragionano. L'ultima figura di questo gioco è il Re di Gelosia, per Vulcano significato, lo quale, di Venere geloso, a tutti li dei, diligentemente observandola, la manifestò in adulterio, ritrovandola con Marte per l'accusazione del Sole, che, per lo cerchio suo correndo, la scorse. Et è dipinto nudo, col martello ne la dritta mano; e ne la sinistra una ala d'amore sopra una ancudine; et ha drieto li sui piedi uno foco; e sopra 8
el bracio che tiene l'ala, uno ochio; coperto ne le parte men belle con un celeste drappo che sopra le spalle se lega cum doi groppi; et ha una corona d'oro in capo; e de sopra uno terzetto che lo manifesta: che è lo ultimo de tucto el Capitulo de Gelosia. Li ternarii del quale sono per tucte le quatordeci carte disposti, come sono quelli de li doi già scripti; el primo terzetto a la prima carta adaptando, et il secondo a la seconda; e così de le altre. Li quali tucti versi integrano uno Capitulo che incomenza: Gelosia un vero amor non pò smarrire, Che si uno amante va cum pura fede, Amor il premia al fin del suo servire. Gelosia è dura cosa, ove esser vede Commodo al concorrente nello amore: Ché al spesso supplicar segue merzede. Gelosia tristo rende un lieto core, Ma spesso è causa ancor, dove ella sprona, Condurre un che ama a un virtuoso onore. Gelosia quando vien non si propona Contrastargli alcun mai, ché sforza ogniuno: Ma el saper tollerarla è cosa bona. Gelosia ciascun cerca, e poi ciascuno La fuge; e prima ogniun voria sapere, Poi di saper vorebbe esser digiuno. Gelosia sempre non debbia volere Il concorrente per nimico; anzi esso, Se vincer vôl, de' pazienza avere. Gelosia se te gionge a veder presso A la cosa che tu ami el tuo rivale, Stimi che 'l parli sempre a tuo interesso. Gelosia ove si pone è sì gran male, Che medicina non se trova a lei; E si troppo oltra va, cosa è mortale. Gelosia non vien manco fra li dei, Che fra gli omini faccia; ecco Junone Del suo Jove gelosa, ah casi rei! Gelosia di certezza mai non pone Alcuno in strada, e al ver non apre
porte, E tien fra speme e dubio le persone. Gelosia d'Argo e de sue viste acorte Non fu secura mai, fin che nel piede Con nome de Io non li fur l'orme sporte. Gelosia Turno re, promisso erede Del re Latino, indusse a mortal guerra: E morto fu, ché morte indi procede. Gelosia Juno dea più volte in terra Fece venir per varii amor di Jove, Ché mai non posa un cor che in sé la serra. Gelosia fe' Vulcano in forme nove Pigliar Venere e Marte entro la rete, E il Sol ne fece manifeste prove Con gli ecclipsi soi, segni e comete.
Giasone come Cavaliere di Fanti
Finito el terzo gioco, del quarto ragionaremo, che è il giuoco del Timore, nel quale le scutiche se descrivono, come li dardi nel gioco d'Amore. Queste sono depinte con uno manico de legno lungo assai; et in capo cum tre draghi un poco intorti; et tali scutiche o vero flagelli, perché da ognuno sono temute... Timor un'alma tien tanto dubiosa Ch'ella ha poca ragion di viver lieta, Qual mai non gode e sempre è paurosa. Timor, dov'è qualche pericol, vieta Pigliar piacere, e tanto un om fa vile, Che l'animo ragion mai non acquieta. Timor tremar fa l'angel ne l'ovile Se di fuor sente il lupo, e sì sta chiuso, Che appena intrar gli può il vento sottile. Timor quattro destrier d'un carro a l'uso Sotto una virga tiene a un giogo stretti; E molti in servitù, che non gli excuso. Timor ci tien talor, che i nostri effetti Non possiam dimostrar, che assai ne offende, Ché compagni al timor sono i
rispetti. Timor fa sempre che un non si diffende, Ma supplice ai contrasti se dimostra E senza arme adoprar vinto se rende. Timor, se tu ti accosti armati in giostra La lor virtù sarà sotto te morta; Dove tu sei, sempre la fronte il mostra. Timor obturba i sensi, e faccia smorta Rende, e termito il cor per lui si sente, E l'occhio il mostra con sua vista torta. Timor non ha sol di quel ch'è presente Dubbio: ma teme, ben che sia lontano, Il periculo, e a sé pargli imminente. Timor de certo è a imaginarlo vano, E dove timor regna, ogniun concorre Che invalido quel corpo sia e mal sano. Timor Fineo tra gli omini una torre,
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
Converse in saxo col Meduseo volto, Ché a' timidi fortuna non soccorre. Timor Ptolomeo re, subito volto Ebbe contra Pompeo, sol per paura Che Cesar non gli avesse il regno tolto. Timor non lassò Andromeca secura Del figlio, visto Ulixe: e intrar lo fece Del patre Ector entro la sepultura. Timor Dyonisio del tonsore invece Usoe le proprie figlie, cum carbone Per fugir ferro; e al fin non fugì nece, Ché mal se fugge quel che 'l ciel dispone. Poscia che de li quatro giochi de le Carte a pieno è stato da me scripto, de li Trionfi ora ragionare mi bisogna: e li loro significati, e le picture, e li versi in essi descripti minutamente chiarire. Et da ciò che bono principio sia per me dato, da quello che è me, per quello che se ha dicto, similimo incomenzarò: e questo dimandase in questo gioco el Matto. Lo quale è dipinto a cavallo de uno asino, senza briglia, vestito de rosso, con un capuccio giallo in capo, e cum due campanelle rotonde, atacate a due orechie che nel capuccio sono, una per banda; et ha questo capuccio una verde coda, sì com' sono le rechie, che da le spalle drieto incominciando, se rivolta inverso el capo suo. Et è cinto cum la veste atorno a torno retirata; et ha la manica larga ne la bocca, con uno friso giallo nel orlo, e ne l'ultimo pizzo de la dicta manica è un'altra campanella. E nel piede ha uno stivaletto rivolto sotto il genochio, e quella parte che si rivolge è gialla; et il resto è de rosso colore. L'altro piede e l'atra mano non si vedano per essere in lato tutto dipinto, excepto el volto: lo quale è bianco, con doi grandi e negri ochi, col naso schiazzato, et con le labbra grosse e la bocca aperta, e cum doi ciglia di colore negro insieme agiunte, e con la fronte rugosa. E per quello che io vedendolo puotì existimare, parvemi di vedere la imagine di quello omo: et oltra queste tucte dicte cose, egli tiene uno mondo in
9
mano, rotondo: nel quale e mare, e fiumi, e monti, e cittade si vedano descripte; e sta sopra questo mondo col pecto e col mento appogiato, e tiene le gambe retirate: a le quale l'asino si volta con el capo, come se basciare li volesse li piedi; e sopra de sé tiene tre versi, che sono il principio del quinto Capitulo, che per tucti li Trionfi se expedisse. Ne li quali versi che, insieme cum gli altri, qui di sotto si notaranno, la figura se manifesta, da me cusì particulare e longamente descripta, per essermi de sangue assai congionta. Il primo Trionfo, che è de un ponto, se dimanda l'Ozio; e la figura è di Sardanapalo re, se bene mi ramento, de li Assirii; lo quale a la luxuria e gola dato, non seppe il regno guidare, e fu il primo che ritrovoe le piume ne le quale si dormisse. Questo mi parve potere, di Sardanapalo ragionando, dire. La figura del quale è delicata: e tiene in dosso un manto bianco di celeste colore adaquato, et ha in testa l'aurea corona; e sede sopra un giallo scanno; et sotto el manto è de morello vestito; et a piedi suoi iace una marmota, che è animale pigro e ocioso e sonnolento; e sopra di sé sono li versi posti che lo nominano, li quali incomenzano per questa parola Ozio. Et in tucto el Capitulo de Trionfi li terzetti incominzano per quella parola che significa la figura del Trionfo sotto ad essi dipinta. Et a piede di tucti li Trionfi sono animali di quella medesima natura che è il Trionfo. El numero de quali Trionfi, da l'Ozio incomenzando, che per l'uno è posto, se ritrova scripto in uno canto del breve, che sopra el capo loro è depinto. El secondo Trionfo, che per il binario numero è signato, è la Fatiga, la quale per Ippolita è descripta, che fue per sua grandissima fatiga de le Amazone Regina. Questa in forma de una Nynfa è depinta, col pecto e con la dextra manica di morello; cinta con uno cingulo de simile colore, che drieto a le sue spalle elevato e ritorto se dimostra; con uno velo in capo verde; e con il camiso, da la cintura in giuso, bianco. Et ha ne la dritta mano una lanza; ne la sinistra un
giallo scuto, con uno spechio in mezo, che tutto el brazo li copre. Et a piedi suoi molte formiche se ritrovano, che fra gli altri animali amatrice de fatica sono. E sopra el capo un terzetto si lege, come ne li altri. Desio è lo terzo Trionfo, per Ateone significato, lo quale cose divine desiò di vedere, e, vedendo Diana in una fonte, ignuda si converse in cervo, spargendoli essa nel volto cum le mane l'acque. La pictura è de un omo in giupone di giallo listato, e tutto el remanente de morello colore; e le calze de celeste e bianco, in molte liste divise sono. El capo è di cervo, con doi corna longhe e d'oro e di cervigno colore, con la bocca aperta; e tiene in la sinistra mano uno lasso, e ne la diritta mostra paura: et ha doi cani che lo mordano; et a piedi uno leopardo che siede, lo quale è animale molto desioso in seguire le fiere. E tiene sopra el capo il suo terzettto secondo l'oridine dicto. Ragione per il quarto Trionfo si vede scripta, e la figura che la dimostra è Laura del nostro Petrarca, vestita come Ippolita, et in mano tien un stendardo; et in campo verde si vede un candido ermellino; et ha dinanzi a sé Amore, cum le man ligate dietro e cum l'ale spenachiate; e sotto a piedi l'arco e la faretra sua. E da l'un de' canti un zoco d'ape, cum li busi suoi, e cum le ape che intorno ad esso volano. Le quale per la ragione sono poste, come animali che ne le sue operazioni cum grandissima rasone procede. E sopra el capo de essa Laura sono versi che di lei, non cusì dolcemente come per l' adietro facto fu, ragionano. Nel loco del quinto Trionfo si vede lo Secreto, e per esso Antioco se dipinge, vestito de un manto di morello che dovrebbe esser scuro; cum biondi capelli e delicata faccia; et ha a piedi suoi uno struzzo, lo quale credo che sia per paidire ogni cosa dura, e nel suo proprio sangue convertirla, non mandandola fuori per lo secreto posto. E, sì come a gli altri Trionfi, sopra el capo suo tre versi di lui si legano. Grazia per lo sexto Trionfo si vede, e ne la pictura è significata per tre donne che sono le tre Grazie: le
Dionigi di Siracusa come Re di Flagelli
quale nude si vedano depinte, cum li aurei capelli giù per le spalle; occultate ne le men belle parte cum veli bianchi e suttili, in guisa che esse non occultarse, ma cum le bracia tenere il velo, a chi vi mira, pare; et una guarda l'altra come se insieme ragionassino. A piedi de le quale si vede una Fenice, che volga in se stessa il beco, e dentro ad un rogo, cum l'ale aperte, stando. Et hanno queste Gratie la Fenice per sua; percioché esse in una etade se trovano in uno solo sugetto. Sopre le qual Garzie sono tre versi assai acconciamente posti.
Luciano Ceccarelli è nato in Urbino nel 1942. Nella sua città ha completato tutto il suo curriculum scolastico. Nel 1967 è andato ad insegnare a Cirò Marina (KR), rimanendovi ininterrottamente fino al 1983, concludendo, poi, la carriera di insegnante di lettere nella Scuola Media di Mercatello sul Metauro. Nel settembre del 2001 è stato designato come socio ordinario dell'Accademia Raffaello in Urbino, dove tuttora collabora alle iniziative culturali patrocinate da quell'antico e insigne Sodalizio. 9
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
10
Arti e musiche del novecento Musica jazz e pittura astratta di Catervo Cangiotti
Dunque Arti e…musiche. Chissà perché, quando si parla di musica, si tende sempre a differenziarla, a tenerla separata dalle altre arti. Forse che la musica è un qualcosa di diverso dalla pittura, scultura e dalla letteratura? Certo che la musica ha caratteristiche molto singolari che la differenziano o, almeno, l'hanno tanto differenziata fino all'Ottocento, dalle altre Arti. Ci vorrebbe un intero libro dedicato ad illustrare le argomentazioni addotte, nel tardo '700 e nell''800, per affermare da una parte la superiorità della musica (ad opera della cultura tedesca, da Hegel a Wackenroder) o, dall'altra, la sua inferiorità (ad opera della cultura francese, da Balzac a Rimbaud ad Apollinaire). Ma, a sgomberare il campo da tutte queste diatribe ci ha pensato l'avvento del Novecento che, con la sua rivoluzionaria carica di diversità, ha fatto sì che tutte le Arti, musica compresa, venissero accomunate dalla totale presenza dell'inconscio nei processi creativi e, quindi, dalla prevalenza dei meccanismi psicologici. Le analogie formali, strutturali e psicologiche fra tutte le Arti del Novecento, come avremo modo di constatare, sono talmente suggestive ed illuminanti da usare allo stesso modo (e per significare le stesse cose) segni, colori parole e note; tanto da poter ritenere la natura dei suoni identica a quella della luce (Il suono è luce sotto altra forma, sosteneva Balzac) e da ritenere lo spazio sonoro uguale allo spazio geometrico, in quanto tutti prodotti dalla complessa attività psichica dell'uomo. Lo stesso Freud si era convinto che i meccanismi della mente e della memoria (che riguardano i fenomeni auditivi e visivi) sono gli stessi. Agli inizi del Novecento le scoperte della fisica hanno dato un colpo mortale alle certezze che costituivano un baluardo protettivo per l'uomo di fronte al mistero dell'esistere. Tutto ciò ha reso l'uomo molto insicuro. L'ansia, l'instabilità, l'angoscia diventano motivi esisten10
ziali che influenzano profondamente l'artista del Novecento. Egli, dunque, comincia a riprodurre (in pittura, in poesia, in musica) non ciò che vede ma ciò che sente. Di qui un'arte che non si basa più sulla rappresentazione della natura, ma si basa su segni, parole, simboli, sulla emissione di una nota magari affrancata da un centro tonale. Tutti bagliori dell'anima, come li definiva Andrè Brèton e tutti legati fra loro dal filo dell'inconscio. Per averne conferma basta andare a rileggersi i manifesti "ideologici" dei movimenti culturali che hanno dato origine all'arte del Novecento. Kandinsky teorizzava il valore dell'emozionalità attraverso i simboli, con una pittura astratta che rinunciava in maniera totale alla raffigurazione del soggetto. Tutte cose perfettamente applicabili alla musica jazz, tanto che i percorsi misteriosi, affioranti da segrete solitudini, dei segni e dei simboli di Klee, sono gli stessi dei percorsi armonici e melodici di Monk e Coltrane, due grandissimi della musica jazz. Dunque, sia in musica che in pittura, sia nella poesia che nella letteratura, trionfa l'interiorità (la risonanza interiore, come la definiva Kandinsky) a scapito della rappresentazione del visibile e dell'immutabile. A questo proposito ricordo i due saggi di Jung su Picasso e Joyce: Jung definisce Joyce "fratello letterato" di Picasso, perché il suo libro (l'Ulisse, ovviamente) scompone, attraverso le parole, l'immagine della realtà in un quadro illimitatamente complesso, il cui tono fondamentale è dato dalla melanconia della oggettività astratta. Gli stessi discorsi si potrebbero fare per tanti altri scrittori del Novecento (penso a Cèline, a R.M. Rilke, al Gadda della "Cognizione del dolore"). Nell'Arte del '900, trionfo dell'inconscio, occorre un grande equilibrio fra cuore e mente, fra emozione e razionalità, fra complessità tecnica e carica poetica. Baudelaire parlava di equilibrio fra il pascolo della ragione e l'ebbrezza del cuore!
Picasso
Fontana
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
Ebbene, la pittura di Picasso, Klee e Kandinsky è proprio così: sa dispiegare i propri sentimenti all'interno di un rigore formale ineccepibile. Ciò accade anche nella musica jazz che forse, fra le musiche del '900, è quella che ha più analogie, sorprendenti e suggestive, con la pittura astratta. L'equilibrio fra preordinazione formale e complessità tecnica da una parte e la destrutturazione e ricomposizione delle linee melodiche ed armoniche, caratteristica fondamentale della musica jazz, corrispondono infatti agli stessi processi razionali ed emotivi che hanno generato tutta l'Arte del '900. Le componenti africane del jazz sono fuori discussione. Ma, attenzione, non si pensi minimamente che il jazz sia una musica africana. È una musica nata dall'incontro fra la cultura africana degli schiavi importati negli Stati Uniti, la cultura cattolica francese e quella protestante dei coloni irlandesi e scozzesi. Questa musica, così definitasi ai primi del '900, nei successivi cento anni di vita si è molto sviluppata, diffusa e modificata continuando sempre ad attingere elementi ora dalla cultura bianca, ora da quella nera, essendo stata sin dalle origini, come matrice di nascita, compressa ed oscillante fra le due culture. Ad esempio basta ascoltare Charles Mingus e Duke Ellington (neri) o Bill Evans e Lennie Tristano (bianchi), per avvertire chiaramente che la loro musica non sarebbe potuta esistere senza l'Africa, ma nemmeno senza Ravel e Debussy. Il jazz moderno, sviluppatosi nelle grandi città industriali ha raggiunto livelli straordinari di complessità armonica. Riflettiamo ora sulla straordinaria analogia fra musica jazz e pittura del '900: per la musica jazz l'IMPROVVISAZIONE E' UN FATTO DI FONDAMENTALE IMPORTANZA, DETERMINANDO UNA IDENTIFICAZIONE FRA CREAZIONE ED ESECUZIONE. In sostanza, l'arte coincide con il gesto che la crea.
11
La stessa cosa accade nella pittura informale; pensiamo all'action painting ed a Pollock in particolare, la cui pittura di grande tensione e drammaticità nasce dal gesto creativo istantaneo. Analogamente ricordo le esplosioni sulle tele degli accordi di colore di un De Vlaminck o di un Matisse, del tutto analoghi alle esplosioni delle note e degli accordi durante una improvvisazione. LA TELA DEL MUSICISTA DI JAZZ CHE CREA MENTRE IMPROVVISA E' IL NASTRO REGISTRATO. Senza registrazione non c'è spartito musicale in grado di riprodurre la musica jazz. La cultura africana, che ha esercitato un'influenza fondamentale sulla musica jazz, ha fortemente influenzato anche l'arte di Pablo Picasso. I quadrati, i cubi, i triangoli capaci di deformare la natura secondo una occulta necessità lirica, sono nati dall'amore di Picasso per la cultura e l'arte africane; un'arte ingenua, insieme grossolana e raffinata, che adotta deformazioni plastiche quali espressioni dell'interiorità. Così come le tormentose deformazioni della musica di Parker, il più grande musicista di jazz di tutti i tempi. Tutto ciò è suggestivo ma non casuale. ARTE E MUSICA DEL 2000 Ho cercato di illustrarvi l'universo delle Arti del Novecento. Ora siamo entrati nel Duemila che si affaccia all'insegna di troppi e troppo veloci cambiamenti nella Società, nei valori, nei destini dell'umanità, immersa nel sofferto, tormentato, inarrestabile processo di integrazione di culture, razze e religioni. La musica e l'arte in generale saranno, come sempre, fedeli interpreti di questi cambiamenti. Ma quale musica e quale pittura scaturiranno dal cuore e dalla mente degli artisti del 2000? Io mi sento, anagraficamente e culturalmente, un uomo del Novecento e, come tale, ho difficoltà a districarmi nei complessi sentieri dell'arte del 2000. Mi aggiro un po' smarrito fra minimal, post-pop, arte povera e post-
Pollock
Pollock
modern e mi aggiro un po' smarrito anche nel jazz di oggi, fra queste modernità che non riconosco. Ma, come dice A. Baricco, intanto la modernità "accade", anche se io non la vedo. Annette Peacock dice: "vi sono periodi in cui le Arti vivono grandi trasformazioni e periodi di rilassamento nei quali si vive nell'ecclettismo, nel plagio e nel riciclaggio". A me sembra che oggi sia questa la situazione e non vedo all'orizzonte giganti come Picasso o C. Parker ad indicare la strada. Ma, forse, sono io che non vedo. Pazienza, a ciascuno la sua stagione.
L'Ing. Catervo Cangiotti e' contitolare della Industrie Pica S.p.A. e di varie altre societa' operanti nel settire edile. E' stato presidente di Confindustria Marche e, prima ancora, di Confindustria PesaroUrbino. Fino al 2007 e' stato docente, presso l'Universita' di Urbino, di "organizzazione e gestione delle risorse umane". Grande appassionato di musica jazz e di tutta l'arte del Novecento, l'Ing.Cangiotti ha pubblicato vari saggi e tenuto numerose conferenze su questi temi.
11
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
12
Ieri, oggi, domani… di Flavio Vetrano
L' autunno regalava un tocco squisitamente romantico ad Amsterdam, rendendo ancora più affascinante la varietà di colori che rende così tipiche le case che si affacciano sui canali di questa "Venezia del Nord". In un salone di una di queste case, destinata attualmente ad accogliere adunanze culturali, in quel giorno di metà Ottobre 2007 erano riuniti una trentina di scienziati provenienti dai paesi più industrializzati del mondo per discutere i piani programmatici di alcuni dei più importanti esperimenti internazionali. In particolare si discuteva la pianificazione di LISA (Laser Interferometry Space Antenna), un esperimento per la ricerca di onde gravitazionali, i misteriosi segnali previsti da Albert Einstein circa ottanta anni fa e non ancora rivelati direttamente. Tale esperimento (vedi fig.1) prevede la messa in orbita intorno al Sole di un complesso sistema di tre piccole "astronavi" collegate da raggi laser, la cui perturbazione da parte di onde gravitazionali può essere rilevata con tecniche molto sofisticate. L'impegno finanziario, di alcune centinaia di miliardi di dollari, richiede il supporto di Paesi distribuiti su diversi continenti; il lancio, con razzi vettori NASA, avverrà "domani", nel 2020, e l'esperimento durerà sino al 2024. Al tavolo delle discussioni scientifiche vi erano scienziati provenienti dai laboratori che avevano responsabilità nell'esperimento; era presente anche l'Università di Urbino, col Direttore del suo Istituto di Fisica. L'Oceano Pacifico, visto dalle colline a ridosso di Los Angeles, è di un blu intenso, con onde lunghe che si frangono spumeggianti sulle spiagge sabbiose; anche nei momenti di maggior calma queste rughe di spuma sono imponenti, e donano una mobilità inquieta alla grande massa fluida che sembra quasi vestire di gioielli eburnei il blu profondo del suo immenso mantello. Poco a ridosso delle bellissime spiagge di Santa Monica, Malibu Beach, Long Beach, veloci strade portano ad uno dei santuari della scienza, il California Institute of Technology
12
(CalTech), in Pasadena. In uno splendido scenario in cui una vegetazione tipicamente messicana adorna austere costruzioni che coprono una vasta area splendidamente sviluppatasi in forma di parco, si susseguono laboratori, biblioteche, aule dove premi Nobel hanno insegnato, sviluppato ricerche, tenuto conferenze. Nello splendore di una incipiente primavera, nel Marzo di quest'anno, in una di tali prestigiose sale si è svolta la riunione per discutere i risultati di Virgo e di LIGO (Laser Interferometry Gravitational Observatory), due esperimenti (il primo europeo, il secondo americano) che indagano i segnali gravitazionali provenienti da stelle di neutroni, buchi neri galattici, brillamenti di supernovae ed altri segnali "strani" che potrebbero svelarci ulteriormente i segreti dell'universo. Questo 2007 è stato un annus mirabilis, poiché dopo anni ed anni di duro lavoro e di grandiosi investimenti, i due esperimenti, di fatto due colossali e sofisticate antenne, hanno preso congiuntamente dati importanti che "oggi", nel 2008, vengono dettagliatamente analizzati. I due esperimenti sono molto simili: Virgo, una collaborazione ItaloFranco-Olandese, è un interferometro a bracci ortogonali lunghi 3 km (vedi fig.2) situato nella piana di Càscina, vicino a Pisa; la sua realizzazione ha richiesto circa dieci anni di duro lavoro dopo un lungo periodo di progettazione, un investimento di alcune centinaia di milioni di euro e l'impegno di diverse centinaia di persone tra scienziati, ingegneri e tecnici. L'Università di Urbino era massicciamente presente a questo incontro, avendo il suo Istituto di Fisica la responsabilità diretta dell'esperimento Virgo. In coda a simili riunioni scientifiche, colleghi scienziati, ma più spesso giornalisti od operatori culturali, chiedono con una certa curiosità come Urbino, notoriamente culla dell'arte (o più in generale di quel complesso di attività chiamate "fine arts") si sia "convertita" sulla strada
fig.1 - L'esperimento LISA. Tre piccole astronavi, ai vertici di un triangolo equilatero di lato 6 Milioni di km, sono collegate da un raggio laser. Un'onda gravitazionale induce un'oscillazione della distanza reciproca, rivelata dalla modulazione del laser. Il baricentro del triangolo giace sull'orbita terrestre, a circa 150 Milioni di km dal Sole: le tre astronavi ruotano in modo sincrono intorno al baricentro, mentre il baricentro ruota intorno al Sole con lo stesso periodo della Terra.
fig.2 - L'antenna gravitazionale Virgo, situata nella piana di Càscina, vicino Pisa. E' un Interferometro di Michelson con bracci ortogonali di 3 km; alle estremità sono sospesi specchi tenuti immobili onde permettere di rivelare segnali gravitazionali tramite il loro movimento indotto. La rivelazione di segnali gravitazionali dal cosmo darebbe il via all'astronomia gravitazionale, permettendo di indagare sistemi astrofisici di cui tutt'oggi si ignorano dati fondamentali; aprirebbe inoltre una finestra sul passato più remoto, permettendo di rivelare ed interpretare le increspature dello spaziotempo originatesi alla nascita dell'universo, circa 15 Miliardi di anni fa.
fig.3 - Angolo dello Studiolo del Duca Federico con il ciclo degli Uomini Illustri. Nella parte inferiore si vedono, "estratti" dalle tarsie, il Clavicordo e lo Svegliarino Monastico. Quest'ultimo è raffigurato sull'anta interna superiore destra della porta che mette in comunicazione lo Studiolo con lo spogliatoio-guardaroba del Duca. Esso è uno svegliarino a muro mosso da peso e contrappeso, usato in tempi passati nei monasteri per scandire le ore di preghiera e la sveglia notturna dei monaci; è lecito pensare che il Duca ne possedesse uno che, opportunamente caricato, forniva la "sveglia" per le sue preghiere notturne. Il Clavicordo è uno strumento a corde multiple, percosso ma con tecnica che consente di tenere (a differenza dell'odierno pianoforte) la corda in tensione/vibrazione sinchè il tasto è abbassato. La rappresentazione nello Studiolo del Duca è così perfetta da rasentare la fedeltà di una fotografia, consentendo preziosi studi su questo strumento di cui scarsissima è la documentazione.
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
della Scienza. Ed è sempre con una punta di superiorità, difficilmente mascherata, che racconto loro con piacere la storia di Urbino dei due saperi, della cultura integrale, di questo piccolo grande gioiello di civiltà che nel tempo ha saputo congiungere nel felice segno dell'armonia le due colonne portanti del sapere umano. Di come "ieri" un principe-guerriero, Federico da Montefeltro (1422-1482), mescolando abilmente guerra e pace, scienza ed arte, rinnovellando nel senso più alto il mecenatismo cantato da Orazio, portasse un piccolo lembo di terra ornato del titolo ducale al più alto livello di civiltà e di equilibrio sociale, costruendo una città in forma di palazzo in cui la cultura, l'apertura mentale dell'anfitrione, le elevate e variegate capacità degli ospiti, le acute iniziative degli abitanti si fusero per scrivere una pagina sublime ed irripetibile del Rinascimento europeo. L'amore del duca Federico per la Scienza e la sublime passione per l'Arte traspaiono in ogni atto della sua vita, respirandosi continuamente in quel palazzo ducale di Urbino in cui trovano testimonianza gli equilibri luminosi di una dimora che, sede di uno dei più grandi guerrieri dell'epoca, non è già più una fortezza; capace di ospitare un esercito in arme, ha ovunque la leggiadria di un sublime luogo conviviale; posata come un'aquila sopra un colle a sorvegliare possibili prede o nemici inerpicantisi verso la sommità, distende invece le sue ali a protezione di un mondo sublimato da artisti, scienziati, uomini di intelletto protesi alla scoperta dell'Uomo nella sua interezza. Il cuore di questo "nuovo mondo" costruito da Federico è lo "Studiolo" (vedi fig.3), piccolo immenso spazio in cui la Cultura dell'epoca trova una delle sue più complete ed artistiche rappresentazioni mai compiute. E' difficile esprimere il sentimento che avvolge il visitatore che entri in questo mondo che può definirsi semplicemente "oltre". Ogni piccola superficie delle pareti trasmette un profondo messaggio di armonia colmo di sapienza: e soprattutto l'atmosfera stessa
13
che si respira dà valore assoluto all'affermazione che ivi, in quell'epoca, si raggiunse la perfezione della cultura integrale. Sono infatti disseminati nelle tarsie tesori, artistici in sé, che rinviano continuamente a illustri personaggi in ogni campo dello scibile o ad allegoriche rappresentazioni delle arti liberali del trivium e del quadrivium, le sette nobili branche del sapere: rispettivamente grammatica, dialettica, retorica e aritmetica, geometria, musica, astronomia (vedi fig.4). E l'aspetto forse più innovativo è il grande rilievo che le arti del quadrivio assumono all'interno dello Studiolo, a testimonianza di un ambiente cittadino dove la Scienza era una componente non certo opzionale, con artigiani la cui produzione univa l'estetica dell'arte figurativa alla scienza pura delle proporzioni, della prospettiva, della meccanica. Intere generazioni di artigiani-scienziati (valga come esempio la dinastia dei Barocci il cui capostipite Ambrogio lavorò alla fabbrica del Palazzo Ducale) resero per molti e molti decenni famoso l'ambiente tecnico-scientifico urbinate, rendendo possibile l'instaurarsi di una Fabbrica (poi Accademia) degli Strumenti, in grado di rifornire di strumenti scientifici le più importanti Corti europee. Strumenti scientifici e musicali sono illustrati nelle tarsie dello Studiolo con un realismo perfetto, tanto che ne invogliano lo studio e l'uso. E con l'occasione dei festeggiamenti per il cinquecentesimo anno dalla fondazione dell'Ateneo urbinate questi strumenti sono ritornati a vivere, permettendoci di cogliere meglio la "scienza del Duca", i fermenti culturali che animavano il Palazzo e la Città, il respiro della "technè" che permeava quell'universo umano del Rinascimento urbinate. Infatti, nell'ambito di una mostra celebrativa (vedi fig.5) organizzata in occasione delle manifestazioni "cinquecentenarie", lo strumento informatico della realtà virtuale ha permesso di ricostruire fedelmente, in una dimensione illusoria ma gestibile e sperimentabile "quasi" come la realtà reale, lo Studiolo tutto, consentendo di
fig.4 - Armadio del "quadrivium", in cui, oltre ad alcuni libri, un rosario ed un calamaio, vi sono accuratamente rappresentati i simboli dell'aritmetica, con la tavoletta d'abaco; della geometria, con il mazzocchio, solido geometrico considerato "una sfida alla prospettiva"; dell'astronomia/astrologia, ancora concettualmente non separate in periodo rinascimentale, rispettivamente con la sfera armillare per lo studio dei moti dei pianeti e del Sole, e con l'astrolabio, qui visto presumibilmente come strumento principe per il posizionamento degli astri nella volta celeste. La musica (con l'organo) è invece presente nel pannello subito a lato, non ripreso in figura. Vengono qui mostrate tre immagini di una sola anta: come appare nelle tarsie (a sinistra), la riproduzione con il SW digitale (al centro); infine in realtà virtuale (a destra).
fig.5 - Manifesto della Mostra organizzata dal Gabinetto di Fisica per il cinquecentenario della fondazione dell'Università di Urbino.
13
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
estrarre, manipolare, manovrare in assoluta libertà le componenti di quello splendido ambiente. Lo Studiolo di Urbino fu terminato nel 1476: a più di cinquecento anni di distanza, con la tecnologia della realtà virtuale siamo in grado di godere i dettagli di quella straordinaria impresa meglio dei suoi personaggi coevi. Si può, come per magia, estrarre tutti gli innumerevoli strumenti dalle tarsie, e portarli nello spazio libero della stanza in un prodigio di levitazione (vedi fig.6); e senza fatica alcuna, possiamo ruotarli, studiarli, apprezzare dettagli difficilmente identificabili nell'originale. E forse il più grande risultato che emerge da questo approccio di alta tecnologia è la certezza che gli strumenti rappresentati sono strumenti reali dell'epoca, conosciuti talmente bene dagli artisti che ne hanno riprodotto le forme sulle tarsie da far ritenere che essi avessero sott'occhio i modelli reali: modelli reali legati alla Corte del Duca, ed infine al Duca stesso, il cui amore per le scienze è stato più volte sottolineato. Siamo così ricondotti a considerare la profonda cultura che animava la mirabile Corte, che in una stanza, già eccezionale di per sè, raduna una cospicua collezione di strumenti scientifici d'epoca: certamente la più cospicua ed antica raffigurazione "scientifica" di Urbino, non a caso immersa nello splendore dell'arte che rende magicamente unico il suo Palazzo Ducale. Ma questa testimonianza scientifica, di fatto l'affermazione della rilevanza che la Scienza rivestiva nel ducato, non si esaurisce con il Duca Federico: essa si propaga felicemente nei secoli, costituendo una delle forze che daranno continua vitalità all'intero territorio, con intere dinastie di artigiani, matematici, tecnici. Tracce profonde di come la Scienza abbia felicemente pervaso la vita sociale urbinate, come prosieguo di quelle robuste radici presenti all'epoca di Federico, si trovano in tutti i reperti cittadini: case, chiese, edifici pubblici ne conservano ampie testimonianze; ed il Museo Universitario della Strumentazione Scientifica (vedi figg. 7-8) raccoglie una mirabile collezione di
14
14
strumenti "urbinati" che, figli della lunga tradizione rinascimentale, possono datarsi principalmente tra il diciottesimo ed il diciannovesimo secolo. Così dalle lontane epoche di un ariostesco mondo che cantava "…le donne, i cavalier, le armi e gli amori…..", attraverso le sontuose riflessioni barocche ed un razionalismo illuminista (che in realtà ha solo sfiorato la Provincia italiana), la Scienza pervade lo splendido ducato anche durante i fermenti risorgimentali, proiettandosi poi lontano nel futuro, perdendo forse un po' del fascino arcano delle lacche che impreziosivano l'estetica degli strumenti, ma allargando i propri orizzonti agli spazi immensi dell'indagine cosmica, dove la tecnologia permette ora di indagare più compiutamente, a distanze incommensurabili nello spazio e nel tempo.
fig.6 - Come per magia gli oggetti sono stati estratti dalle tarsie e galleggiano nello spazio: la realtà virtuale consente di ruotarli, spostarli, "guardarli da vicino" e "rimetterli a posto" come se lo Studiolo improvvisamente si materializzasse rendendo magicamente tridimensionale il mondo bidimensionale delle sue tarsie.
Ieri, oggi, domani…intorno all'Arte dei torricini ducali, la Scienza continua a volare, alta, curiosa, indagatrice. fig.7 - Un piccolo scorcio del Museo della Strumentazione Scientifica dell'Università di Urbino, con alcuni armadi ottocenteschi in cui sono collocati originali strumenti scientifici di interesse storico. Il Museo, ricco di parecchie centinaia di strumenti di pregio, costituisce una delle più belle e pregiate raccolte universitarie di strumentazione scientifica d'epoca; sicuramente una delle più complete ed omogenee testimonianze della Scienza tra fine settecento, ottocento ed inizi del novecento. Situato nell'ex Collegio dei Nobili nel centro cittadino, sede degli Scolopi sino all'ottocento inoltrato, sta pienamente riprendendo la sua funzionalità dopo i funesti terremoti del 1997 e 1998 che avevano arrecato ingentissimi danni alle strutture.
Flavio Vetrano è Professore Ordinario presso L’Università di Urbino “Carlo Bo”, del cui Istituto di Fisica è Direttore da molti anni. Membro di Accademie e Società scientifiche nazionali ed internazionali, è stabilmente “Incaricato di Ricerca” presso L’INFN, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Ha ricoperto e ricopre ruoli di responsabilità in grandi progetti internazionali, in particolare nel settore che oggi si definisce “Astroparticle Physics”. Rinvenuto quasi per caso un giacimento di strumentazione scientifica di interesse storico, auspice l’allora Rettore Carlo Bo, si è adoperato per fondare un Museo Universitario che valorizzasse tale ricchezza culturale, memoria storica e patrimonio dell’intera città di Urbino.
fig.8 - Un fine strumento del tardo settecento posseduto dal Museo: trattasi di un dilatometro lineare, adatto a misurare i diversi coefficienti di dilatazione dei solidi in seguito a riscaldamento. Fabbricato a Torino dal meccanico Paolo Lana, fu donato all'Università di Urbino nei primissimi anni dell'ottocento.
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
15
Sperimentazione del laser scanner terrestre applicato ai Beni Culturali: il caso dell'Abbazia di Santa Maria del Monte in Cesena. di Andrea Castellani
La domanda che ci siamo posti è stata: quale aiuto può fornire la tecnologia moderna, quando bisogna intervenire per restaurare delle opere di elevato contenuto storico come un'Abbazia affrescata? Per rispondere abbiamo fatto una valutazione sul campo. Abbiamo utilizzato la tecnica del laser scanner terrestre nel pre-restauro dell'Abbazia di Santa Maria del Monte in Cesena. Prima di descrivere le varie fasi del rilievo in situ e le tecniche post-rilievo in laboratorio ci soffermiamo sulla storia dell'Abbazia. I primi riscontri scritti che riguardano l'origine dell'Abbazia e del suo monastero risalgono intorno al 1042. In questo documento si fa riferimento all'atto del 1026 nel quale viene ricordato il Vescovo S. Mauro di Santa Maria del Monte. Ciò significa che in quell' anno esistevano già una chiesa, non ancora Abbazia, e un monastero benedettino. Intorno al 1050 il monastero poteva contare su vasti possedimenti e alla fine del Duecento appariva come una delle strutture religiose più ricche della città. La zona venne fortificata nel 1356 da Francesco II Ordelaffi, signore di Forlì in lotta contro le truppe papali, e così in quegli anni il monastero e la chiesa vennero gravemente danneggiati. Bisogna ricordare che nei secoli seguenti la Chiesa venne ristrutturata e ampliata fino ad incorporare lo stesso monastero. Nel XX secolo l'Abbazia rimase al centro della vita civile e religiosa della Romagna e ne fu protagonista negli anni della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Durante il periodo 1915-18, il monastero fu impiegato per l'accoglienza dei profughi cacciati dalle proprie terre, in quel momento invase dalle popolazioni Slave. Nella Seconda Guerra Mondiale il monastero divenne rifugio sia per i profughi che per i Cesenati, tutti ospitati nei suoi sotterranei. Nell'ottobre del 1944, in piena guerra, l'Abbazia cadde sotto un bombardamento, e venne danneggiata in maniera molto grave. La chiesa fu abbattuta e buona parte del monastero crollò. Naturalmente negli anni seguenti con l'aiuto della popolazione l'Abbazia venne ricostruita.
Il rilievo laser e topografico della cupola dell'abside e di tutta la zona dell'altare è stata effettuato dal DISTART (Università di Bologna), prima che i lavori di restauro avessero inizio. Si è dovuto procedere ad un restauro massiccio delle zone lesionate perché in dette aree erano presenti vistose fratture, nate a causa dei movimenti del terreno e anche per le infiltrazioni di acqua degli agenti atmosferici che hanno creato delle crepe di diverse dimensioni tra gli affreschi, i quali rischiavano di staccarsi dalle pareti. L'acquisizione è stata eseguita nel gennaio 2007, con uno scanner GS200 GX della Trimble (Immagine 1); a causa di un "black hole" non rilevato all'atto della scansione, è stata effettuata un'altra campagna nel febbraio 2007. L'elaborazione dei dati è stata eseguita nel Laboratorio di Topografia, Fotogrammetria e Rilevamento Geologico del DISTART nei mesi successivi. I laser scanner 3D rappresentano una soluzione eccezionalmente versatile per l'acquisizione di grandi quantità di dati tridimensionali in tempi brevi, mantenendo sempre una precisione relativamente elevata. Gli scanner "Long Range Scanner", come quello adottato per il rilievo nell'ambito del presente studio, utilizzano una tecnologia detta "del tempo di volo" (TOF, time of flight). Essi calcolano la distanza misurando il tempo trascorso dall'istante di emissione dell'impulso laser all'istante in cui fa ritorno allo strumento dopo la riflessione sulla superficie colpita. Questi strumenti riescono a misurare una maglia molto fitta di punti (per esempio 3 mm x 3 mm a 100 m), creando una nuvola di punti (cloud). La velocità di scansione può arrivare fino a 5000 punti al secondo (classe GS), in un raggio di 350 metri. Questi strumenti sono anche dotati di un piccolo motore che permette allo strumento di ruotare, e quindi di effettuare delle scansioni con angoli di veduta di 360° in un'unica sessione, ottenendo ottime precisioni dell'ordine del millimetro. Tutti questi strumenti oggi vengono accoppiati con fotocamere digitali, in genere calibrate dal punto di vista fotogrammetrico, che forniscono diversi vantaggi.
Immagine 1.
Combinando il risultato del laser con quello delle immagini acquisite, è possibile ottenere una visualizzazione real-time di ogni singolo punto della nuvola, con il proprio valore RGB. Queste caratteristiche rendono oggi il laser scanner la macchina ideale per il rilievo di edifici, monumenti e oggetti, eventualmente a supporto di strumentazioni topografiche e fotogrammetriche. Sicuramente il sistema è entrato, e con molto successo, nel campo del rilievo dei beni culturali; l'applicazione laser discussa nel presente articolo ne è un esempio. Parlando di scansione laser si fa riferimento al processo di digitalizzazione operato dagli scanner, i quali convertono informazioni di tipo analogico, (misure di angoli e distanze) in forma digitale nella veste di coordinate tridimensionali. I laser scanners utilizzano tecniche
di misura diverse, ma hanno in comune l'obiettivo di convertire la forma fisica dell'oggetto in un insieme di punti che ne descrivono la superficie. In fase di scansione si fa in modo che tutto l'oggetto venga acquisito da parte dello strumento, evitando una selezione a priori di punti ma curando che non esistano porzioni dell'oggetto prive di informazione. Le fasi in cui si è articolato il rilievo dell'Abbazia sono riassumibili nei seguenti punti: 1) Progetto delle prese. 2) Calibrazione del sensore. 3) Acquisizione dei dati. 4) Controllo della qualità dei dati rilevati sul campo. 5) Ripetizione dei punti precedenti (3 e 4) in caso il controllo dia esiti negativi. 6) Elaborazione dei dati: a) Generazione delle nuvole di
15
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
punti. b) Registrazione manuale o automatica delle nuvole. c) Pretrattamento dei dati e filtraggio. d) Segmentazione automatica. e) Classificazione automatica. f) Controllo di qualità. g) Modellazione (generazione di Mesh e Texture). h) Editing delle superfici. i) Controllo di qualità finale. j) Generazione dei prodotti finali voluti. Il progetto di un rilievo laser deve essere fatto considerando degli aspetti importanti, primo tra tutti il tipo di laser scanner. Infatti oggi il mercato propone strumenti dalle caratteristiche molto differenti: esistono strumenti in grado di acquisire l'ambiente a loro circostante in quasi tutta la totalità, senza che vi sia alcuna necessità di spostare lo strumento, mentre ne esistono altri in grado di acquisire invece solo scene di ampiezza limitata come nel nostro caso. In particolare, nel rilievo laser scanner l'oggetto da rilevare assume grande importanza, e gli aspetti di cui tenere conto sono sia la geometria sia la dimensione. A parità di altre condizioni (passo di scansione, precisione), tanto più vicino al laser scanner sarà l'oggetto, tanto maggiore sarà il numero di punti su una stessa porzione di oggetto, quindi maggiore sarà la risoluzione. In fase di progetto del rilievo bisognerà prevedere anche il numero di stazionamenti da effettuare con lo strumento e progettare gli spostamenti. Nel nostro caso è stata utilizzata una risoluzione di un punto ogni cm a 25m. La progettazione del rilievo deve tener conto anche della precisione che si vuole raggiungere e dei prodotti che si vogliono ottenere, ovverosia dello scopo del rilievo. Il nostro scopo era quello di avere un prodotto di buona qualità, con una tolleranza del millimetro. Naturalmente non bisogna tralasciare l'impegno economico che si è disposti ad affrontare. Nel progetto di un rilievo mediante un sistema a scansione fisso, bisogna anche considerare la forma dell'oggetto e studiarla in modo da non tralasciare zone scoperte che possano comportare for-
16
16
mazioni di modelli tridimensionali non completi. Nel caso di un oggetto avente dimensioni ridotte, una scansione può essere sufficiente a descriverlo completamente. Questo purtroppo non accade se l'oggetto che si vuole rilevare presenta dimensioni elevate: in questo caso è necessario effettuare più scansioni dell'oggetto e da posizioni differenti. Per digitalizzare solamente la cupola sono state necessari cinque stazionamenti, mentre per il rilievo completo dell'Abbazia circa quindici. Naturalmente ogni scansione effettuata è riferita ad un proprio sistema di riferimento locale dello strumento, quindi successivamente bisognerà allineare le varie scansioni. Questo lavoro di editing dei dati è stato svolto in laboratorio. Il metodo più utilizzato per l'allineamento è quello di posizionare alcuni adesivi riflettenti (markers, targets) o entità geometriche di allineamento (sfere) nella zona di ricoprimento tra le due scansioni adiacenti. Questi punti sono facilmente riconoscibili all'interno di una nuvola di punti e permettono l'allineamento automatico di due scansioni da parte del software di editing. Dopo l'unione di tutte le singole nuvole in un' unica (Immagine 2), si è passati alla creazione di una superficie (mesh) che renda più verosimile l'oggetto rilevato. La creazione di questa rete a maglia triangolare irregolare (Triangular Irregular Network, TIN), è definita dai lati di triangoli nello spazio, i cui vertici corrispondono ai punti acquisiti nello spazio 3D. La generazione dei triangoli non è casuale, ma avviene secondo precise regole: in accordo con il criterio di Delaunay. Ogni triangolo-superficie in questo modo descrive una piccola parte di piano nello spazio 3D. La triangolazione TIN di Delaunay è il metodo più semplice ed utilizzato in letteratura informatica, in quanto garantisce: - triangoli ben proporzionati (il più possibile equilateri); - la posizione planimetrica dei punti rispetto ad un piano assunto come riferimento per l'oggetto (proiezione ortogonale); alcuni programmi invece del piano di riferimento si basano sul valore massimo degli angoli ammesso tra le facce
Immagine 2
Immagine 3
Immagine 4
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
"Allowable angle between faces” (0~90). Durante la scansione, vengono acquisite anche immagini digitali da parte dello strumento o del corpo macchina esterno al laser. Grazie ai valori RGB dei pixel, è possibile colorare la nuvola di punti, o meglio fare corrispondere ad ogni punto della nuvola il pixel corrispondente sulla foto. Un procedimento che porta ad un risultato migliore è la texturizzazione della mesh. Tale tecnica è molto utilizzata nel campo dei beni culturali. Per texturizzare le superfici TIN e produrre le ortofoto digitali si sfrutta il principio geometrico delle equazioni di collinearità, che è alla base del processo fotogrammetrico. Tali equazioni esprimono la relazione fra le coordinate assolute X, Y, Z di un punto oggetto (un punto della nuvola) e le coordinate x, y del corrispondente punto immagine (stesso punto della nuvola impresso sull'immagine). In generale, per questi ambiti di intervento la riproduzione delle fotografie sulla superficie del modello 3D metrico costituisce un notevole aiuto nello studio e interpretazione di un oggetto, anche perché non bisogna dimenticare che in numerose situazioni l'immagine fotografica contiene informazioni estremamente preziose sullo stato di conservazione di un bene, su colori, tracce di umidità, eventuali piccole lesioni, ecc. Dalla nuvola di punti con il loro valore RGB si considerano quei punti ben riconoscibili che vengono numerati, poi si annotano le loro coordinate nel sistema di riferimento adottato; in questo modo si costruisce una tabella dove nella prima colonna si inseriscono i punti presi, nella seconda colonna i valori delle X, nella terza le Y, nella quarta le Z. Al termine si hanno sia i punti-immagine (sulla foto) sia i punti-oggetto (sul modello 3D). Utilizzando un comando specifico del software di gestione del laser, si è fatto corrispondere ogni puntoimmagine scelto nella foto (e presente nella tabella con le proprie coordinate) al punto presente sulla superficie (tale operazione prende in genere il nome di "collimazione di punti noti"). Il risultato viene visualizzato in parte nella foto qui di fianco (Immagine 3).
17
Disponendo del dataset completo si possono ottenere molte informazioni riguardo all'oggetto, calcolarne le dimensioni, le aree di alcune parti o di tutto l'oggetto, così come i perimetri, i volumi, le sezioni. Il punto più importante è stato quello di generare attraverso il software il prodotto finale, quello più richiesto dal mercato: l'ortofoto. Per questo, il modello tridimensionale contenente la descrizione geometrica, oltre al grado radiometrico dell'oggetto, è oggi uno dei prodotti più richiesti nell'ambito architettonico, urbanistico e dei beni culturali. Si può definire l'ortofoto come una via efficace ed economica per rappresentare un oggetto in un sistema di riferimento piano (2D), sotto forma di una fotografia dotata di caratteristiche metriche, dell'oggetto stesso. La particolarità di questa immagine sta infatti nella sua geometria. L'ortofoto è ottenuta mediante una proiezione ortogonale dell'oggetto su un piano, in modo che essa risulti metricamente corretta. Ora descriviamo il percorso effettuato per ottenere la proiezione del modello, texturizzato, sul piano di proiezione scelto, Al fine di ottenere una visione foto realistica dell'area analizzata. Innanzitutto, a partire dal modello 3D texturizzato bisogna definire: - il piano di proiezione; - la zona interessata per il calcolo dell'ortho-projection; - la risoluzione dell'immagine voluta. Quando la difficile forma geometrica di alcune costruzioni rende quasi impossibile tale proiezione, bisogna suddividere l'oggetto in sottoclassi, più opportune, e successivamente decidere dove posizionare il piano di proiezione. Nel campo del laser, il processo di suddivisione viene comunemente chiamato "segmentazione". Con questo termine si intende un qualsiasi metodo efficace per la suddivisione di una nuvola di punti, anche molto complessa, in entità di dimensione più piccola; tale procedimento è stato applicato al caso della cupola, per ottenere le otto vele di cui è formata. Per generare l'ortofoto della cupola è stato scelto un piano tangente al suo punto più alto e una risoluzione dell'immagine di 3mm; conseguentemente il software ha elaborato i
Immagine 5
Immagine 6
dati, fornendo, come risultato, un' immagine metrica. L'immagine che segue è l'ortofoto con scalimetro (Immagine 4), e essendo a tutti gli effetti una foto metrica possiamo fare delle misure. Avere a disposizione un ricco database in forma digitale di un oggetto consente un ampio numero di applicazioni. Si possono realizzare dei modelli virtuali riferiti non solo alla situazione attuale ma anche a situazioni del passato, ricostruite appoggiandosi ad informazioni di archivio e con ovvie ipotesi semplificative legate alla non disponibilità di dati metrici dell'epoca (Immagine 5-6). Altri utilizzi del modello digitale sono: ortofoto di precisione, immagine solida, modelli fisici costruiti con stampanti 3D o fresatrici.
Andrea Castellani, attualmente vive a Urbino, si è diplomato come perito chimico all'Istituto Tecnico Statale "Enrico Mattei" di Urbino. Ha proseguito gli studi laureandosi presso l'Università degli studi di Bologna in Ingegneria per l'Ambiente ed il Territorio, discutendo una tesi in fotogrammetria sulla sperimentazione del laser scanner terrestre nell’ambito dei Beni Culturali. 17
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
18
L'anima dell'Associazione di Oliviero Gessaroli
Gli ultimi eventi realizzati dall'Associazione culturale L'Arte in Arte testimoniano il grado di autonomia e di capacità organizzativa raggiunta dai soci, nonché le affinità di intenti, la collaborazione e la volontà di essere parte attiva di ogni iniziativa. Questo vigore è linfa vitale per un'organizzazione che si regge solo sulle proprie forze intenzionata a continuare il percorso intrapreso e a superare gli ostacoli che si interpongono alla realizzazione di ambiziosi traguardi. Ritengo opportuno in questo numero di Vivarte lasciare spazio alle persone e non alle loro opere, che fin qui hanno fatto bella mostra di sé con inserti di vario genere. Se prendo in mano il primo catalogo redatto dalla Associazione e via via scorro tutti gli altri, rilevo con soddisfazione che il tempo non è passato invano: la ricerca e il lavoro costante su di sè ha lasciato tracce visibili e tangibili su ciascuno. Non tragga in inganno la forma espressiva adottata. La tecnica pittorica e la tecnica plastica esplicano un differente impatto comunicativo e svelano in modo diverso l'intimo lavorio compiuto dall'animo dell'artista. Più lieve e sfumato è quello espresso in pittura che si rivela attraverso il segno, il colore, l'atmosfera soffusa; la ceramica, essendo essa stessa materia, con una forma implicita tende a rendere più conclamato il divenire proiettandosi nello spazio vissuto. Non a caso a questo punto è necessario formulare un distinguo tra cultore della ceramica e hobbista della ceramica. Il cultore della ceramica conosce tecniche e ne sperimenta di nuove, conosce e domina la materia, scava nel proprio intimo per trovare l'essenza da trasfondere alla materia dando vita all'arte interiore. L'hobbista si ferma invece alla pratica e all'abilità. Ogni mostra scandisce i passaggi di questo studio, inteso come escavazione dell'io allo scopo di raggiungere la ricchezza, non certo di denaro quanto di ricchezza interiore. In questo senso esporre le proprie opere diventa una necessità, talmente sentita dai soci, che spesso loro stessi ne 18
Inaugurazione mostra a palazzo De Peraga a Vigonza 17 maggio 2008
diventano validi organizzatori. Già nel 2007 Paola Zago ha organizzato un'esposizione dei lavori dell' Associazione a Vigonza, riscuotendo consensi e approvazione sia dalle istituzioni che dal pubblico, tanto che l'evento si è ripetuto nel mese di Maggio 2008 con lo stesso risultato. Il medesimo entusiasmo ha spinto Luca Mucelli, Stefano Cafarri, Fulvio Paci a produrre altre performance, a Urbania (2006), Ofagna (2007), Frontone (2008), sempre affiancati da un ormai esperto gruppo di coordinazione logistica formato da Franco Ceccaroli, Laura Scopa, Paolo Pompei, Nazzarena Bompadre, Martha Belbusti e Gabriella Edifizi. Il tutto secondo lo spirito che anima l'Associazione, che intende realizzare così uno dei suoi obbiettivi raggiungere l'arric-
chimento culturale aprendo un dialogo con ambienti diversi da quello locale e cooperando con associazioni ad essa similari. Il futuro si preannuncia assai ricco e ambizioso, nell'immediato Gabriella Edifizi, con altri soci, sarà impegnata con l'Associazione di Urbania Amici della ceramica nel convento S. Chiara ad Urbino per condividere con le sorelle Clarisse momenti di creatività con l'obbiettivo di foggiare secondo la tecnica Raku, in armonia con l'umiltà francescana, semplici oggetti di argilla "… anche quando vi è distacco con la Chiesa l'arte è ponte gettato verso la spiritualità, ricerca del bello, immaginazione oltre il quotidiano. Ed anche scrutando gli aspetti più sconvolgenti del male, un artista si fa voce di un'attesa di redenzione che è universale" (Papa Wojtyla da Lettera
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
agli artisti 1999). Già da tempo l'Associazione, in particolare attraverso la rivista Vivarte, ha istaurato uno stretto rapporto tra arti visive, musica, letteratura e scienza, ed ora vuole sperimentare un'attività che fondi arte e scienza ed ha individuato l'interlocutore più idoneo alla realizzazione del progetto nel Museo della Strumentazione Scientifica urbinate che raccoglie antichi e originalissimi strumenti di fisica, tutti identificabili come vere e proprie opere d'arte (nell'ottocento il fattore estetico era parte integrante della lavorazione dello strumento scientifico). Non è un caso che espressioni come scienziato pazzo o artista pazzo facciano parte ormai dell'immaginario comune, evocando personaggi come Einstein o Van Googh. La verità è che il vero scienziato e il grande artista hanno occhi che vedono ben oltre la vista dell'uomo mediocre, perché la fantasia permette loro di scavare nell'universo impercettibile per trovare la verità. Sarà un sodalizio tra il Museo del Gabinetto di Fisica dell'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo" e gli artisti della Associazione, che realizzeranno opere ispirate a strumenti scientifici, da presentare in un'esposizione di fine anno. È però mia intenzione in queste righe dare visibilità ai componenti de L'Arte in Arte attraverso l'operato concreto e non artistico, per questo non posso non citare Susanna Galeotti, il grafico di tutte le nostre pubblicazioni, Vivarte compresa e Silvestro Castellani che tanto s'adopera per la rivista a capo di una schiera di invisibili che preferiscono dare il proprio contributo in modo molto discreto. Eppure risultano tanto preziosi, visto l'apprezzamento che Vivarte riscuote. A loro e a quanti offrono il loro contributo scritto gratuitamente, il mio grazie più sincero e l'auspicio di proseguire questa appassionante collaborazione. A conclusione di questo lungo discorso un'unica triste riflessione: tanto entusiasmo, tanta fatica, tanti buoni risultati, ma noi soci siamo come l'ebreo errante, senza una sede, dove ritrovarci,
19
dove conservare materiale o esporre opere. Alcuni appelli sono caduti nel vuoto. La nostra Città si è scordata del mecenatismo di un tempo … tutto è mercificato. I soci contribuiscono già per realizzare quanto già detto, non possono sostenere altre spese, ma in cambio di una sede possono offrire il loro impegno a mantenere viva quella fiammella dell'arte, che questo mondo distratto tenta di spegnere un po' ogni giorno. Eppure non si può privare l'animo umano del sentimento, della passione, della sensibilità rendendolo solo pura razionalità.
CHI SIAMO Claudia Andreani Anita Aureli Martha Belbusti Nazzarena Bompadre Guerrino Buonalana Stefano Caffarri Silvestro Castellani Gianfranco Ceccaroli Francesco Cini Gabriella Edifizi Susanna Galeotti Oliviero Gessaroli Davide Guidi Regine Lueg Emanuela Mencarelli Luca Mucelli Fulvio Paci Paolo Pompei Gianfranco Raimondi Laura Scopa Soha Khalil Ibrahim Angela Torcivia Guido Vanni Paola Zago
Oliviero Gessaroli, laureato in Scienze Geologiche presso l’Università degli Studi “Carlo Bo”, si occupa di rilevamento topografico-fotogrammetrico e geologico-tecnico, applicati alle discipline archeologiche. Inoltre collabora all’anastilosi dei monumenti a Cirene (Libia) applicando le conoscenze acquisite nel campo della caratterizzazione e del recupero dei materiali lapidei.
Inaugurazione mostra Castello di Frontone, Frontone 20 maggio 2008.
Inaugurazione mostra a palazzo del Governatore ad Urbania 22 aprile 2006.
19
VIVARTE.qxd
21/07/2008
17.56
Pagina
20
Vivarte
N°3 giugno 2008 Semestrale di arte, letteratura, musica e scienza dell'Associazione Culturale "L'Arte in Arte" Via Pallino, 10 61029 Urbino cell. 347 0335467 cell. 338 6834621
Provincia Pesaro e Urbino
Registrazione N° 221/07 registro periodico Tribunale di Urbino del 18 maggio 2007 Direttore responsabile Lara Ottaviani Redazione Alberto Calavalle Silvestro Castellani Luciano Ceccarelli Oliviero Gessaroli Maria Giannatiempo López Collaboratore Fulvio Paci Hanno collaborato a questo numero Anna Maria Ambrosini Massari Alessandra Borgogelli Alberto Calavalle Catervo Cangiotti Andrea Castellani Luciano Ceccarelli Oliviero Gessaroli Maria Lenti Renzo Savelli Flavio Vetrano
Agenzia Generale di Urbino P.le E. Gonzaga, 2 61029 – URBINO tel. 0722320262 - 0722327897
Progetto grafico Susanna Galeotti Tipografia Industrie grafiche SAT Pesaro Sede legale Via Pallino, 10 61029 Urbino e-mail vivarte@larteinarte.it Alfabeto, Acqueforti (1747-1748) Joannes Nini Urbinas Fecit
La rivista può essere richiesta attraverso e-mail a vivarte@larteinarte.it oppure scrivendo all’Associazione “L’Arte in Arte” Via Pallino, 10 61029 Urbino (PU) ITALIA
www.amicucci.it 61029 Urbino (PU)