Anno I - Numero 5 - Ottobre 2008 - Reg. Trib. di Roma n.139 del 27/03/2008 - copia gratuita
VOLUME
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ARTEMODACULTURA
ZERI DI VALORE ECOMUSEO POLARIS DI H.P. LOVECRAFT COLOURED FASHION
FREEPRESS
STUDIO DI PROGETTAZIONE ELEUTERI ARCHITETTI ASSOCIATI Progettazione architettonica di massima ed esecutiva Direzione Lavori Pratiche catastali Arredamento d’interni mail to eleuteri.architetti@live.it
Caldo e freddo o forse, più caldo che freddo se il 10 ottobre ad Alberese (Parco della Maremma –Gr-) c’è gente che prende il sole e fa il bagno eppure è già tempo dei ricordi delle vacanze…tutto è rientrato e siamo al lavoro, immersi nelle nevrosi quotidiane che guarda caso erano lì, puntuali ad aspettarci appena tornati a casa dalle ferie. E cosa fare per distrarci? Non ci sono “pensieri miracolosi”…tutto procede in un contesto sociale che, dal “grigio perla” sta scivolando in un “ grigio fumo di Londra”, proviamo a pensare alle feste di Natale e se neppure quelle ci sembrano brillare più di tanto, pensiamo che la modella di questo numero di Volume è una ragazza qualsiasi, una maestra, e vincere il nostro concorso le è piaciuto molto…e continuando nella lettura scoprirete il fascino indiscusso degli eco musei, le battaglie del sindaco di Capalbio, il racconto di fantascienza e… il Festival del Cinema di Roma in onda dal 22 al 31 ottobre. Quest’anno non si chiama più Festa m Festival e non è solo questione di nume ma il sindaco Alemanno intende questa terza edizione, in una veste nuova e sapete chi “tiene le redini” di questa grande kermesse? Ma Gian Luigi Rondi che per sei volte è stato presidente e direttore al Festival del cinema di Venezia. Un uomo come dire “sopra le righe o meglio sopra le pellicole cinematografiche” che riguardo al suo Festival ha detto :” Voglio che il pubblico incontri registi, attori, autori in un clima cordiale e Al Pacino, Toni Servillo, Carlo Verdone, Micheal Cimino, sono alcuni dei personaggi che, hanno accettato con piacere di dare vita a quello che sarà un mega-show. Bè, direi che un salto a Roma in quei giorni forse potrebbe allentare un po’ le nostre tensioni e se poi all’ultimo momento non aveste più voglia di cinema perché non fate un salto al Vittoriale dove “perdersi”dietro la follia artistica di Picasso? Noi di Volume , saremo al Festival del Cinema e vi racconteremo tutto sul prossimo numero! A presto…
Il Direttore Responsabile
Antonella Monti 4
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editoriale
VOLUME
di Antonella Monti
L’Impero giapponese celebra l’arte di Giorgia Aniballi
Angelo Bellobono
di Francesca Eleuteri
Giovanni Bellini finalmente a Roma di Leopolda Ficca
Zeri di Valore
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di Vienna Eleuteri
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La vita non è un lungo fiume tranquillo di Walter Egon
di H.P.Lovecraft
di Massimo Cimarelli
100 miglia per 100 giorni: Manifesta 7 di Annegriet Camilla Spörndle
La Notte
di Sandro Gentili
di Francesca Eleuteri
Dieci anni di “Atreju” di Eleonora Angeli
Graziella Pesenti di Vienna Eleuteri
Giardino Spoerri
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di Annegriet Camilla Spörndle
Volume Casting
In Copertina: Fotografia di Daniele Porroni Fotografie Modella Daniela Delle Monache In questa pagina: di Daniele Porroni Illustrazione di Federico Paris Tratta da: “La vita non è un lungo fiume tranquillo”, Sette Citta Editrice Per comunicare con la Redazione scrivi a:
Coloured
Vergine/Bilancia
di Veronica Pinzuti
Conversando con Lucia Biagi di Antonella Monti
Polaris
Philip K. Dick
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Ecomuseo
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Editoriale
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L’impero giapponese celebra l’Arte di Giorgia Aniballi
Avrà luogo il 15 Ottobre, presso il Meiji Memorial Hall di Tokyo, la cerimonia annuale di premiazione del Praemium Imperiale, attribuito dalla Japan Art Association ad artisti provenienti da ogni parte del mondo. Così il Sol Levante celebra chi, tramite l’arte, innalza la creatività del genere umano: sin dal 1879 l’associazione si adopera infatti per uno scambio culturale fervido, che serva da ispirazione per le generazioni future. Nata allo scopo di promuovere l’arte nazionale in seguito all’apertura totale dei porti nel 1868, la Ryuchikai tenne le sue prime esposizioni a Parigi nel biennio del 1883-’84, per poi cambiare nome in quello attuale nel 1887. Impegnata per gran parte del ventesimo secolo nella tutela e catalogazione delle opere presenti all’interno del paese, oltre che nella loro esportazione, l’associazione subì una brusca battuta di arresto in concomitanza con la seconda guerra mondiale. Al suo termine ha però ripreso appieno la sua attività, ospitando presso il neonato Museo Reale di Ueno diverse esposizioni, tra cui una del Museum of Modern
Art di New York. La svolta arriva nel 1989, quando, una volta sotto l’egida della casa regnante, il principe Takamatsu ritenne opportuno fondare il Praemium Imperiale come contributo attivo del Giappone alla comunità artistica mondiale. Giunto nel 2008 alla sua ventesima edizione, questo si articola in molteplici sezioni, che coprono a tutto tondo il panorama artistico internazionale: pittura, scultura, architettura, musica e cinema/teatro. I vincitori ricevono, oltre ad una medaglia, un compenso di 15 milioni di yen (pari a 99.000 euro) come finanziamento per la propria attività; tra i nomi illustri insigniti finora figurano Federico Fellini, Ingmar Bergman, Renzo Piano, Akira Kurosawa, cui vanno ad aggiungersi quest’anno Zubin Mehta, Sakata Tojuro e Richard Hamilton. Nel 1997, in occasione del decennale della
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fondazione, a questo venne ad aggiungersi un altro premio, il Grant for Young Artists, rivolto alle associazioni che supportano la formazione di giovani talenti nei campi artistici più svariati. Vincitrice dei 5.000.000 di yen (circa 33.000 euro) in palio quest’anno è L’Orchestra Giovanile Italiana, affiliata alla Scuola di Musica di Fiesole e sostenuta dalla Regione Toscana e dal MiBac, che proprio lo scorso anno ha accolto il suo primo studente giapponese. Una tradizione, dunque, che il Giappone porta avanti da secoli, facendosi portavoce orgoglioso di una cooperazione internazionale che favorisca la comprensione e la pace nel mondo. Peter Zumthor - Art Museum Bregenz, Bregenz, Austria 1997(Inside)
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Angelo Bellobono ad alta digeribilità: Chist’è ‘o paese d’’o sole di Francesca Eleuteri
Al via la seconda tappa del progetto “ad alta digeribilità” a cura di Alessandro Facente. Dal 9 ottobre al 13 novembre 2008 presso gli spazi delle cantine B.O.X., sottostanti Palazzo Donarelli-Ricci, a Roma, verrà presentato l’intervento installativo e video di Angelo Bellobono Chist’è ‘o paese d’’o sole.
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Dal testo critico di Alessandro Facente: ”…Ad alta digeribilità si spinge concettualmente sul binomio terminologico “psico-motorio” direttamente connesso allo sviluppo e al benessere personale, quale meccanica che determina la forte volontà di miglioramento globale. È da qualche anno infatti che si parla di “wellbeing” nei centri in cui si pratica attività psico-fisica (fitness center, wellness center e wellbeing center), l’intento è quello di ampliare un approccio e un rapporto globale, appunto, con la nostra coscienza psico-motoria armonizzando il rapporto con noi stessi e con gli altri. Su questo concetto Angelo Bellobono, con Chist’è ‘o paese d’’o sole contribuisce ad indagare gli stati di “reazione psichica e motoria” ad esso connessi. In quest’ottica il concetto centrale è lo “sforzo” inteso come esperienza-movimento, esperienza-reazione, esperienza-ingegno, compensazione mentale quale pensiero-nutrimento, pensiero-sopravvivenza”. Spazio espositivo: CANTINE B.O.X. - Vicolo Sugarelli, 18 Roma 00186 Orario: martedì-venerdì 17-19 (possono variare, verificare sempre via telefono) biglietti: ingresso libero vernissage: 9 ottobre 2008, ore 18:30 curatori: Alessandro Facente Autori: Angelo Bellobono Telefono evento: 06 6892431 Note: una coproduzione L’UNION arte contemporanea, FONDAZIONE VOLUME! Web: www.fondazionevolume.com Angelo Bellobono 1- warm me up - foto della perfomance - chist’è ‘o paese d’’o sole project - 2008 2 -still da video - serie temporary runner - chist’è ‘o paese d’’o sole project - 2008 3 -scritta luminescente su lighting-stripe - chist’è ‘o paese d’’o sole project - 2008
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GIOVANNI BELLINI FINALMENTE A ROMA di Leopolda Ficca
Il trenta settembre si è aperta a Roma una mostra interamente dedicata a Giovanni Bellini, pittore veneziano attivo nella seconda metà del Quattrocento. L’esposizione prevede oltre sessanta opere e punta non solo ai lavori a caratteri religioso, ma guarda anche alla produzione profana, allegorica e mitologica, ripercorrendo quasi tutta la carriera e la crescita artistica del pittore. Nato in una famiglia di artisti, figlio di Jacopo e fratello di Gentile, Giovanni è però quello che più degli altri pone un’attenzione particolare alla resa dei sentimenti e ad una cura estrema della natura,donando ai suoi quadri un calore e un’intimità che avvolgono l’osservatore.
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Partendo dalla tempera è forse il primo che sperimenta e fa sua la tecnica ad olio, che a quei tempi era usata ancora solo dai Fiamminghi; questo nuovo modo di dipingere creerà delle atmosfere cromatiche particolari che influenzeranno molto altri artisti come Giorgione e Tiziano. La mostra è curata da Mauro Lucco e Giovanni Carlo Federico Villa ed è solo la seconda mostra monografica mai realizzata sul Bellini, dopo quella del 1949 tenuta a Venezia. E’ possibile visitarla alle Scuderie del Quirinale, su prenotazione, e si chiuderà l’ 11 gennaio 2009. Scuderie del Quirinale Viale XXIV Maggio, 16 Roma www.scuderiedelquirinale.it info@scuderiedelquirinale.it
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ZERI di valore di Vienna Eleuteri
Pochi storici dell’arte hanno dedicato così tanto spazio alla concretezza dell’oggetto dei propri studi quanto Federico Zeri. Il grande storico dell’arte ha fatto del confronto materiale con le opere il proprio campo di battaglia culturale: “Senza essere buoni conoscitori non si è nemmeno storici dell’arte. E poi, davanti al diluvio di vacua letteratura che viene alla luce ogni giorno, e che è solo vaniloquio, mascherato di pretese storico-artistiche, una semplice attribuzione, anche se modesta, quando è basata su un reale fondamento conoscitivo, rappresenta un risultato solido, quello che è assente dalla stragrande maggioranza delle chiacchiere che ci mitragliano quotidianamente”. Tutto il suo lavoro è testimonianza viva di uno sforzo teso all’emancipazione dai diaframmi ideologici e dal vaniloquio della critica e, probabilmente, rappresenta anche l’eredità di Zeri che - con la forza del richiamo alla dimensione empirica – viene consegnata all’attualità.
Quattro convegni celebrano il decimo anniversario della morte di Federico Zeri (1921 - 5 ottobre 1998): la Fondazione Zeri di Bologna propone una giornata di studi il 10 ottobre (www.fondazionezeri.unibo.it); in collaborazione con la Fondazione Zeri, il Museo Poldi Pezzoli ricorderà lo studioso con il convegno Federico Zeri 10 anni dopo: ovvero “Filologia e Storia dell’Arte” a cura di Mauro Natale, Alessandra Mottola Molfino e Annalisa Zanni che si terrà a Milano il 14 ottobre 2008 (www.museopoldipezzoli.org) ; l’Accademia di Carrara di Bergamo proietta le apparizioni televisive dello storico dell’arte nei giorni 23 e 30 ottobre (www.accademiacarrara.bergamo. it); infine, a Montepulciano, il 21, 22, 28 e 29 novembre si terranno incontri sulla tutela in memoria di Zeri (0578.717300). www.fondazionezeri.unibo.it www.museopoldipezzoli.org www.accademiacarrara.bergamo.it
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ECOMUSEO NUOVE FORME DI MUSEALIZZAZIONE di Francesca Eleuteri
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Il fenomeno degli ecomusei o più in generale la valorizzazione museale del patrimonio etnografico e territoriale stanno vivendo un periodo di crescente interesse in tutta Europa. E’ possibile registrare una progressiva dei musei di questo tipo, che vede la costruzione della maggior parte delle strutture negli ultimi trent’anni. La nascita di questo tipo di musei è riconducibile ad una importante trasformazione, in corso da qualche decennio, che vede un rafforzamento tra istituzione museale e comunità, connessa in particolar modo con il suo territorio. Il termine “ecomuseo” venne introdotto in Francia su suggerimento di Hugues de Varine nel 1971 e realizzato per la prima volta con questa definizione a Le Creusot nel 1974 e nella Grande Lande nel 1975. Tuttavia realizzazioni sostanzialmente simili si erano avute negli Stati Uniti , in Messico e nella stessa Francia . Per quanto riguarda la definizione di “ecomuseo” possiamo dire che, fin da principio, fu una struttura non facile da descrivere. Una delle risposte più accreditate è quella proposta da de Varine che fa riferimento alle differenze fra musei tradizionali ed ecomusei. Sulla base di tre caratteristiche che hanno a che vedere con l’inquadramento dell’interpretazione, che per i primi risiede nella collezione, mentre per gli ecomusei nel patrimonio; lo spazio di riferimento che, nel caso del museo è l’edificio, mentre nel secondo caso è il territorio; il pubblico di riferimento che, nella struttura tradizionale è 12
rappresentato dai visitatori, mentre nell’ecomuseo è caratterizzato dalla comunità intera. Per Davis i criteri sono invece cinque e sono inquadrabili in: territorio esteso oltre i confini del museo, interpretazione in situ, cooperazione e partenariato in luogo della proprietà dei reperti, coinvolgimento della comunità e degli abitanti nelle attività del museo, interpretazione di tipo olistico e interdisciplinare. La realizzazione degli ecomusei è stata accompagnata da un’evoluzione del concetto di patrimonio culturale. Iniziato già alla fine dell’Ottocento il fenomeno di sovrapposizione di paradigmi ambientali, culturali ed economici ha trasformato il concetto di patrimonio culturale, conferendogli caratteristiche che lo legano oggi, molto più che in passato, ai concetti di territorio e di identità e ponendolo in strettissima relazione con il paesaggio culturale. Le prime esperienze di valorizzazione del patrimonio “popolare” in Europa risalgono alla fine del XIX° secolo. Pur ispirate alla rappresentazione della varietà culturale della società rurale, queste iniziative erano in parte condizionate da motivazioni di tipo razziale e patriottico ed avevano come obiettivo principale il rafforzamento dell’identità nazionale. Le forme attraverso le quali venivano presentate erano delle esposizioni nazionali o universali il cui scopo era mettere in mostra la varietà e la diversità nazionale come elemento della ricchezza patrimoniale di un paese.
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Significativa la presentazione alla Esposizione Internazionale di Parigi nel 1878 dell’Accampamento Lappone di Artur Hazellus. La realizzazione più innovativa del periodo fu però quella di Skansen, in Svezia, dove nel 1891 venne allestito un ampio sito che ospitava la ricostruzione di complesse scene di vita e di lavoro rurale della Scandinavia, con utilizzo di figuranti e di materiale etnografico, fabbricati tradizionali autentici smontati e poi rimontati, altri edifici completamente ricostruiti secondo il modello degli originali, abitazioni di diverse epoche e di diverse parti della Svezia insieme alla vegetazione e agli animali caratteristici. Questo tipo di struttura adotta uno schema che diventerà poi una tradizione degli “Open air museum” di tutto il mondo e di cui, in Olanda, troviamo un esempio nello Openluchtmuseum di Arnhem. Dal museo a cielo aperto in cui il territorio viene modificato per riportare in vita le città di un tempo, attraverso lo spostamento degli edifici d’epoca si passò, negli anni ottanta alla creazione dei veri e propri ecomusei, nell’ambito dei quali si possono individuare alcune tipologie. Gli esperimenti più riusciti sono stati gli ecomusei di microstoria, l’ombrello ecomuseale e il villaggio-museo. Il primo è solitamente dislocato in un unico sito, composto da più immobili già utilizzati per attività tradizionali locali; è fortemente diacronico, con un interesse particolare alla storia raccontata attraverso le vicende individuali. Esempi rappresentativi sono l’Ecomusée du Pays de Rennes o il Museo della Civiltà Contadina di San Martino di Bentivoglio in Italia. L’ombrello ecomuseale è invece sviluppato su un’estensione geografica che incorpora numerose emergenze patrimoniali, legate fra loro da una storia e spesso anche da un’attività materiale comune. Occupa un’area che interessa diversi comuni e dispone in genere di più di un sito museale vero e proprio. I profili di interpretazione del territorio sono sia diacronici che spaziali. Esempi caratteristici sono l’ecomuseo Bergslagen in Svezia e i Museées des Techniques et Cultures Comptoises in Francia.
http://www.ecomusee-creusot-montceau.fr http://www.skansen.se http://www.openluchtmuseum.nl http://www.ecomusee-rennes-metropole.fr http://www.ekomuseum.se
“100 miglia per 100 giorni” – MANIFESTA 7 Biennale Europea di Arte Contemporanea in Trentino – Alto Adige di Annegriet Camilla Spörndle
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Dopo anni di vagabondaggio su e giù per l’Europa, MANIFESTA 7, la Biennale Europea di Arte Contemporanea, quest’anno alla settimana edizione, è approdata in Trentino – Alto Adige, dove ospita 188 artisti, provenienti da tutto il mondo, dal 19 luglio fino al 2 novembre. MANIFESTA 7, manifestazione europea d’arte moderna, nata in Olanda nel 1996 dall’iniziativa di Hedwig Fijen che la dirige tutt’ora, è fra le più importanti dei nostri giorni accanto alla Documenta di Kassel e la Biennale di Venezia. Ma si distingue dalle sue “sorellastre” per una caratteristica importante: è itinerante e così si sposta ogni due anni da una città europea ad un’ altra. Dopo le tappe a Rotterdam (1996), Lussemburgo (1998), Lubiana (2000), Francoforte sul Meno (2002), San Sebastian (2004) e Nicosia (2006 – programmata, ma poi cancellata), quest’anno è finalmente la volta del Belpaese. A sorpresa non è stata scelta una grande città d’arte come Roma, Firenze o Venezia per ospitare la MANIFESTA 7, ma un territorio di un perimetro di 100 miglia (ca. 150 km), un’intera regione, il Trentino-Alto Adige. Grazie al Brennero che collega l’Italia con l’Austria, l’Europa settentrionale con l’Europa meridionale, il Trentino-Alto Adige è da una parte una zona ricca di storia e cultura, italiana, tedesca ed europea, ma dall’altra anche piena di contraddizioni come l’evento stesso. Per accogliere i 188 artisti, architetti, scrittori ed esperti, provenienti da tutto il mondo, sono state scelte cinque sedi espositive a Bolzano, Bressanone, Rovereto e Trento. Tranne il Forte Asburgico di Fortezza a Bressanone, voluto dall’imperatore autriaco Francesco I per controllare il passo del Brennero e risalente al 1836, tutte le sedi espositive sono suggestive testimonianze dell’architettura preindustriale del primo ‘900. Ed al contrario di
altre manifestazioni del genere la minuziosa ricerca delle strutture ospitanti da parte degli organizzatori fa parte integrante dell’evento stesso. Perché creare una simbiosi fra l’arte e lo spazio circostante, l’ambiente naturale e sociale, la memoria del luogo e la storia, il milieu, in cui l’arte viene rappresentata, è uno degli obiettivi principali di MANIFESTA. Questo richiede a sua volta un maggiore impegno agli artisti. Per garantire il dialogo fra il luogo e le opere, esse, ispirate in anteprima al luogo espositivo, vengono – in linea di massima – concepite, create ed elaborate ad hoc appositamente per l’ occasione MANIFESTA. “Scenarios” è il titolo del progetto espositivo, curato da Adam Budak, Anselm Franke/Hila Peleg e Raqs Media Collective, alla Fortezza a Bressanone. Al contrario delle altre esposizioni, dove possiamo vedere anche quadri e sculture, alla Fortezza è stato evitato qualsiasi tipo di raffigurazione per non creare antagonismi con l’ambiente. L’impatto visivo dell’imponente struttura è già di per sé così forte, che ai 19 artisti sono state richieste soltanto installazioni sonore e testi audio. L’intento è di influenzare la nostra percezione ed immaginazione dagli “scenarios”, proposte dagli artisti, solo ascoltando e non vedendo. Un esempio è la sound installation “Swarm” dell’artista berlinese TIMO KAHLEN. Ha creato una scultura di metallo, che è rivestita di lamiere d’acciaio borchiato e che ha le sembianze del Forte. Dal suo interno nasce il rumore di uno sciame di api, prima piano piano, poi un pochino più agitato, e poi sempre più aggressivo. Il rumore si confonde sempre di più con il luogo e l’effetto
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minaccioso e guerresco prende il sopravvento e diventa tangibile fino a tal punto che il visitatore si sente come in una situazione d’assalto del Forte. Presente e passato si confondono e ci si sente rivivere sulla pelle la storia di una volta. All’ Ex Sede dell’ Alumix a Bolzano (Via Volta 11), un’ ex-fabbrica di alluminio in abbandono, si riflette sotto il titolo “The rest of now”, evento espositivo curato da “Raqs Media Collective”, su come in un qualsiasi processo si riesce a creare da un residuo un estratto, su come il materiale di scarto può trasformarsi riciclandolo in qualcosa di nuovo, e sul perché oggi una cosa viene considerata preziosa, domani non vale più nulla, ma nel dopo domani sarà forse rivalutata. Fra i 51 artisti partecipanti a questo progetto spicca l’originalità del lavoro dell’ architetto spagnolo JORGE OTERO-PAILOS che nei suoi lavori si confronta spesso con l’inquinamento come chiave di lettura del nostro passato sociale, culturale ed industriale. Per MANIFESTA 7 ha raccolto con lastre di lattice della polvere sulle pareti dell’ ex-Alumix stesso, conservando così nell’opera “The Ethics of Dust” gran parte della memoria storica della fabbrica la cui polvere risale addirittura ai tempi di Benito Mussolini. A Rovereto nell’Ex Peterlini (Via Savaioli 20) e nella Manifattura Tabacchi (Piazza Manifattura 1) vengono rappresentate analisi artistiche del rapporto fra identità locale e globale sotto il titolo “Principle hope”, curato da Adam Budak. In una cittadina come Rovereto l’ambiguità fra modernità e tradizione, vita privata e vita pubblica, norme e standard da una parte, ma la possibilità e la speranza di cambiare verso un futuro migliore è molto più sentita rispetto alla vita in una grande città. 69 artisti si sono dedicati al “principio speranza” che è il motore di sopravvivenza dei piccoli centri urbani. La coppia LIBIA CASTRO (Spagna) & OLAFUR OLAFSSON (Finlandia) che vivono e lavorano a Rotterdam, ma che si sentono decisamente “cittadini del mondo”, hanno prodotto al riguardo la video installation “The Caregivers”. Da sempre attratti dalla relazione fra politiche urbane e problemi sociali, hanno intervistato in un parco pubblico di Rovereto delle badanti dell’Est Europa. Hanno indagato sul ruolo sociale della badante che viene da fuori, ma che ormai è diventata un’istituzione
in tante famiglie italiane; ma anche sulle aspettative ed i sogni delle badanti che partono per trovare fortuna lontano dai propri cari. Dopo queste prime indagini hanno passato il loro materiale alla cantautrice islandese Karólína Eiríksdóttir che l’ha tradotto in una canzone d’opera ed al giornalista italoamericano Davide Berretta che ne ha redatto un articolo. In più hanno decorato tutto il centro storico di Rovereto con delle bandiere che, ispirate a simboli araldici, rappresentano delle silhouettes dei genitali femminili. Infine al Palazzo delle Poste (Via Trinità 27) a Trento è stato scelto dai curatori Anselm Franke/Hila Peleg “The Soul or Much Trouble in the Transportation of Souls” come linea guida dell’esposizione. Nel contesto l’Europa viene esaminata “non come entità geopolitica in espansione, ma dal punto di vista della sua psiche o della sua anima”. Dove sono i punti di contatto della psiche e dell’ anima oltre i confini di stato fra l’io e l’altro, l’individuo ed il collettivo? Esiste un’emozione, una memoria, un’immaginazione, una fantasia, un’autocoscienza europea, universale, o addirittura, “normale” per tutta l’ Europa? Il film “Looking pretty for God” (2008) dell’artista israeliano OMER FAST, ha cercato di rispondere a queste domande in un video su un argomento molto delicato. Osserviamo addetti alle pompe funebri durante il loro lavoro, mentre truccano, vestono e preparano i deceduti per l’ultima apparizione pubblica. Ciò che a tanti di noi può sembrare macabro e ci crea un sentimento di raccapriccio, è secondo FAST “qualcosa di meraviglioso che parli della condizione umana in un modo semplice”. La loro professione è
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un lavoro come tutti gli altri, ma con un lato molto creativo che richiede nozioni nell’arte del trucco, nella chirurgia plastica, nella scultura, nell’inganno, nelle relazioni pubbliche e nella magia. Per l’addetto conta poco l’anima del defunto, lui s’ interessa solo per il corpo del morto. Il risultato, alla fine dei preparativi, è per lui un semplice prodotto del suo lavoro, ma per i parenti è “l’anima” della cerimonia. Dei 100 giorni prestabiliti per MANIFESTA 7 sono rimasti soltanto una sessantina per andare a visitare le esposizioni di tutti i 188 artisti, di cui qui soltanto una minima scelta personale, ma anche i tantissimi eventi paralleli, organizzati da più di 40 istituzioni, associazioni e gruppi nell’Alto Adige. www.manifesta7.it - Comitato Manifesta 7 Telefono +39 0471-414980 -Fax +39/0471-414989.
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culture
VOLUME La realtà tra mistica, magia e fantascienza di Massimo Cimarelli
La visione di un futuro non troppo lontano, opprimente, pessimistico, materiale, in cui i protagonisti non sanno chi realmente sono e , soprattutto, “cosa sono”, con l’eventuale e drammatica crisi dovuta alla riscoperta della propria identità, della loro stessa verità più profonda, o con il loro stesso sacrificio, a volte tutt’altro che consapevole, per un bene più alto, è la tematica dei racconti dello scrittore statunitense, scomparso nel marzo 1982, Philip Kindred Dick. Dick ci porta in un mondo iper-realistico, dominato da valori morali e spiccatamente materiali, ma la cui legge ultima, la cui risoluzione, lontana dall’essere quella della fisica moderna, non è accessibile per mezzo di quei valori preponderanti: è l’esasperata descrizione del mondo moderno, “civilizzato” come lo definirebbero alcuni, in cui però il pericoloso, il criminale, è colui che mette in discussione l’intero sistema, e quindi se stesso, la sua maschera , alla ricerca di un qualcosa di più vero della stessa realtà quotidiana. Philip K. Dick ha cercato di illuminare gli angoli bui della coscienza trasportandola dove questa a volte non può arrivare: è la scoperta della realtà più profonda per mezzo della traversata di differenti stati d’esistenza come il passaggio attraverso le soglie del sonno in una sorta di veglia perenne del film Waking Life, in cui il regista Richard Linklater fa discutere ai personaggi il saggio “Come costruire un universo che non cade a pezzi due giorni dopo” dello stesso scrittore americano. Certo i mezzi a volte sono estremi: mortificazioni del corpo e della mente che in alcuni agiscono come fughe e regressioni ad uno stato di dipendenza mentre in altri, come forse accadde allo stesso Dick, porte che autocoscientemente vengono
aperte su più ampie realtà. E’ la lotta degli ultimi eroi, non sempre soli ma, consapevolmente o meno, uniti in catene e circoli indissolubili, tutti tra loro collegati in un mondo in cui ogni cosa è collegata al Tutto, alla ricerca di un ordine più perfetto perfino attraverso il letterale sacrificio ( da sacro appunto) di alcuni di loro. È il mondo che in apparenza è dominato dalle classi sociali, dal denaro, ma che resta invece vincolato ad un sistema impercettibile, più profondo, manifestatosi in modo quasi razziale: robot, alieni, umani e persone con particolari doti, come i PK del racconto “Allucinazioni”, capaci di utilizzare le loro visioni allucinatorie in maniera plastica, capacità non dissimile dalla fantasia vivente descritta in non pochi ma rari libri dei secoli passati. Dall’opera di Philip K. Dick sono nate numerose trasposizioni cinematografiche e ispirazioni di vario genere per il mondo della celluloide: L’impostore ( RAI -1981) Blade Runner (1982) Terminator (The Terminator, 1984) Atto di forza (Total Recall, 1990) Confessions d’un Barjo (1992) Screamers - Urla dallo spazio (1995) Waking Life (2001) Impostor (2000/2002) Minority Report (2002) Paycheck (2003) A Scanner Darkly - Un oscuro scrutare (2006) Next (2007)
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culture
VOLUME
POLARIS di H.P. Lovecraft Traduzione di Arthur Kenter
culture
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La Stella Polare, dalla finestra a settentrione della mia stanza, brilla di una luce misteriosa. Brilla per tutte le interminabili e infernali ore della notte. E in autunno, quando i venti del Nord minacciano e gemono, e nella palude alberi dalle rosse foglie si scambiano segreti nelle prime ore del mattino sotto la falce della luna calante, siedo accanto alla finestra e contemplo la stella. Dal sommo del cielo si abbassa la fulgida Cassiopea mentre le ore scorrono e l’Orsa Maggiore si alza dietro gli alberi della palude avvolti da vapori e scossi dal vento della notte. Poco prima dell’alba, Arturo ammicca rossastra dal cimitero sulla bassa collina, e la Chioma di Berenice arde di luce sinistra in lontananza nel misterioso Oriente. Ma la Stella Polare continua a spiarmi dalla stessa posizione, ammicca odiosa come un folle occhio vigile che si sforzi di comunicare uno strano messaggio, ma che nulla ricordi se non il fatto che abbia un messaggio da comunicare. Talvolta, quando il cielo è cosparso di nubi, riesco a dormire. Ricordo bene la notte della magnifica aurora quando sulla palude giocavano inquietanti ombre e i riflessi della luce demoniaca. Fortunatamente, ai bagliori seguirono le nuvole e allora mi addormentai. Fu sotto la falce di luna calante che, per la prima volta, vidi la città. Si adagiava quieta e sonnolenta sulla sommità di uno strano altopiano in un avvallamento contornato da bizzarre vette. Le mura e le torri, le colonne e le cupole, il lastrico delle strade, tutto era fatto di un marmo dal pallore spettrale. Nelle marmoree strade si innalzavano i pilastri, di marmo anch’essi, sulla cui estremità erano scolpite le effigi di uomini austeri e barbuti. L’aria era calda e immota. In alto, a circa dieci gradi dallo zenith, riluceva attenta la Stella Polare.
Rimasi a lungo a contemplare la città, ma il giorno pareva non giungere mai. Quando la rossa Aldebaran, che baluginava bassa del suo cammino attorno all’orizzonte, mi accorsi che luci e movimenti animavano le case e le strade. Sagome abbigliate curiosamente, con un nobile aspetto e a me familiare, camminavano all’aperto sotto la falce della luna calante; gli uomini, in una lingua che comprendevo nonostante fosse completamente diversa da qualsiasi altra lingua conosciuta, discutevano di arcane conoscenze. Quando la rossa Aldebaran superò la metà della linea dell’orizzonte, di nuovo vi furono oscurità e silenzio. Quando mi svegliai non ero più quello di prima. Nella mia memoria si era impressa l’immagine della città, e nell’anima era sorto un altro e più vago ricordo, della cui natura non ero ancora consapevole. Da allora, nelle notti nuvolose durante le quali riuscivo a dormire, rividi sovente la città; a volte mi appariva sotto i gialli raggi cocenti di un sole che non tramontava mai, bensì roteava senza posa lungo la linea dell’orizzonte. E nelle notti terse, la Stella Polare spiava dall’alto con rinnovata malvagità. Gradatamente finii per domandarmi quale potesse essere il mio posto in quella città sul misterioso altopiano circondato da inquietanti vette. Se prima mi ero accontentato di contemplare quello scenario come una presenza come una presenza incorporea che tutto avvolge con il suo sguardo, ora sentivo il desiderio di stabilire quale fosse la mia relazione con essa e di esprimere i miei pensieri tra i severi personaggi che quotidianamente conversavano nelle piazze pubbliche. Mi dicevo: “Questo non è un sogno, perché con quali mezzi potrei dimostrare la maggiore realtà di quell’altra esistenza che vivo nella
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casa di pietra e mattoni, a Sud della sinistra palude e del cimitero sulla collina, dove la Stella Polare si affaccia ogni notte alla finestra a settentrione?” Una notte, mentre ero intento ad ascoltare gli uomini discorrere in una grande piazza adornata da numerose statue, avvertii un mutamento, mi resi conto di avere finalmente un corpo. Non mi sentii più uno straniero tra le strade di Olathoё, situata sull’altopiano di Sarkia, fra i monti Noton e Kadiphonek. A parlare era il mio amico Alos, e il suo discorso era balsamo per la mia anima,essendo il discorso di un uomo vero, di un patriota. Quella notte era giunta notizia della resa di Daikos e dell’avanzata degli Inuto: gialli e tarchiati mostri infernali che cinque anni prima erano venuti dallo sconosciuto Occidente a saccheggiare le frontiere del nostro regno e assediare molte delle nostre città. Espugnate le fortezze ai piedi delle montagne, avevano ora la via sgombra verso l’altopiano, a meno che ciascun cittadino non si fosse impegnato ad opporre resistenza combattendo con la forza di dieci uomini. Ma quegli esseri tarchiati erano maestri nell’arte della guerra e ignoravano gli scrupoli d’onore che trattenevano i nostri uomini di Lomar, alti e dagli occhi grigi, dall’abbandonarsi a stragi spietate. Il mio amico Alos era comandante di tutte le forze dell’altopiano, in lui erano riposte le ultime speranze del nostro paese. In quella occasione parlò dei pericoli che avremmo dovuto affrontare ed esortò gli uomini di Olathoё, i più prodi tra i Lomariani, a mantenere alte le tradizioni dei loro antenati che, costretti ad abbandonare Zobna e a trasferirsi a meridione prima dell’avanzata della grande coltre di gelo – anche i nostri discendenti saranno un giorno costretti a fuggire dalla terra di Lomar - , sconfissero con audacia e successo i cannibali
Gnophkehs, pelosi e dalla lunghe braccia, che avevano loro sbarrato la via. Alos si rifiutò di affidarmi un ruolo militare a causa della mia debolezza e dei malori che mi colpivano quando ero sottoposto a tensioni e disagi. Ma, nonostante dedicassi quotidianamente ore e ore allo studio dei Manoscritti Pnakotici e della sagezza dei padri Zobnariani, i miei occhi erano i più acuti della città: perciò il mio amico, desideroso di non condannarmi all’inerzia, mi affidò un compito che per importanza non era secondo a nessun altro. Mi inviò sulla torre di guardia di Thapnen, dove avrei rappresentato gli occhi del nostro esercito. Nel caso gli Inuto avessero tentato di raggiungere la cittadella attraverso la stretta gola alle spalle del monte Noton per attaccare di sorpresa la guarnigione, avrei dovuto lanciare segnali di fumo, avvertendo così i soldati in attesa e salvando la città dall’immediata catastrofe. Ascesi la torre da solo perché la presenza di ogni uomo robusto era necessaria nei passi sottostanti. La stanchezza e l’eccitazione mi stordivano la mente, già provata dalle numerose notti di veglia: ma ero ben deciso, perché grande era il mio amore per la terra natale di Lomar e per la città marmorea di Olathoё che sorgeva tra i monti Noton e Kadiphonek. Però, dalla cella superiore della torre presi a contemplare la falce di luna calante, rossa e sinistra, che baluginava attraverso i vapori stagnanti sulla lontana valle di Banof. Da un’apertura del tetto riluceva la pallida Stella Polare che, scossa quasi da palpiti vitali, mi spiava maligna, demoniaca e tentatrice. Fu il suo spirito, credo, a darmi il perfido consiglio, cullandomi con ritmiche, detestabili promesse che, ripetute all’infinito, inducevano una traditrice sonnolenza: Dormi, dormi sentinella: per seimila secoli questa stella nell’alto cielo si avvolgerà fino a quando al principio tornerà. Altre stelle sorgeranno, per l’asse del cielo circoleranno: stelle felici, stelle serene che guariranno le tue pene. Quando il mio cerchio si chiuderà, il tuo passato ti sveglierà.
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Vana fu la mia lotta contro il torpore mentre cercavo di associare quelle strane parole alle sapienze celesti che avevo appreso dai Manoscritti Pnakotici. La testa ondeggiante mi cadde sul petto di peso e, quando la risollevai, ero ospite di un sogno dove la Stella Polare sogghignava verso di me sbirciando da una finestra al di sopra di alberi che in una palude onirica si agitavano spaventosi. Sto ancora sognando. Nella mia vergogna e angoscia a volte urlo disperatamente implorando le creature irreali che mi circondano di svegliarmi prima che gli Inuto risalgano furtivamente il passo che è alle spalle del monte Noton, conquistando la cittadella di sorpresa; ma quelle creature sono demoni, perché ridono di me e mi ripetono che sto sognando. Si prendono gioco di me mentre dormo, e mentre il nemico giallo e tarchiato forse striscia silenzioso per piombarci addosso. Ho mancato al mio dovere, ho tradito la città marmorea di Olathoё, e ho tradito anche Alos, mio amico e comandante. Ma le ombre che infestano i miei sogni continuano a deridermi. Mi dicono che non esiste nessuna Terra di Lomar tranne che nelle mie fantasie notturne, mi ripetono che nei reami dove la Stella Polare risplende alta nel cielo, e la rossa Aldebaran striscia lungo la linea dell’orizzonte, per migliaia di anni non c’è stato nulla oltre il ghiaccio e la neve e mai alcun uomo vi si è spinto, eccetto creature gialle e tarchiate, accecate dal gelo, che chiamano “eschimesi”. Ora, mentre mi tormento nella mia colpevole agonia, smanioso di salvare la città il cui pericolo cresce da un momento all’altro, senza successo mi sforzo di sottrarmi a questo innaturale sogno di una casa di pietra e mattoni, a meridione di una sinistra palude e di un cimitero che corona una bassa collina. Nel frattempo la Stella Polare, malvagia e mostruosa, mi spia dall’oscura volta, ammicca odiosamente come un folle occhio vigile che si sforzi di comunicare uno strano messaggio, ma che nulla ricordi se non il fatto che abbia un messaggio da comunicare. 25
Cinque Volte Alpha “Danzi mai con il Diavalo nelle pallide notti di Plenilunio?” diceva un ispirato Joker ad un giovane ed attonito Bruce Wayne nel primo Batman di Tim Burton. A chi non è successo di ballare con lui sotto la luna piena delle notti estivi? Solo, a volte, non ce ne siamo resi conto, così è lui che ha potuto condurre la danza. Ne prendiamo atto! Anzi, cogliamo l’occasione di raccontarlo dando il benvenuto nella redazione di Volume a Sandro Gentili, l’uomo che sarà il nostro sguardo vigile sul mondo della Notte, raccontandovi la vita che inaspettatamente si anima al calar del sole. Notte che per noi è il mondo del possibile e dell’indefinito; un mondo, nella sua interezza, in cui tutto prende forma ed in cui Daniela Delle Monache ha vinto il nostro casting. Consci dell’ebrezza del ballo e delle mille manifestazioni che l’oscurità offre celebriamo la stessa possibilità dell’uomo di restare saldo a sé stesso, di ergersi e dominare la danza: qualunque sia la situazione! L’aridità dell’estate è conclusa, ora una nuova natura sorge, più luminosa della Luna, e come un Sole di Mezzanotte rischiara e abbaglia i nostri sogni, rendendoli lucidi, più veri del vero, come nel racconto Polaris di H.P.Lovecraft e nella realtà descritta dallo scrittore statunitense Philip K. Dick. Ora la stella si capovolge, è retta, e l’uomo conduce la danza. Un lavoro contro natura diranno alcuni, eppure è proprio la natura profonda dell’essere umano, le sue radici, il suo essere che, lontano dalle città, nel mezzo della silenziosa natura, prende posto, si calma e rinasce nelle strutture viventi degli Ecomusei. Il Direttore Editoriale
Massimo Cimarelli
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Volume artemodacultura Mensile Reg. Trib. Roma N. 139/2008 del 27/03/2008 Sped. in abb. post. Art. 2 Comma 20/B Legge 662/96 Free Press Publisher: Volume edizioni s.r.l. Tutti i diritti riservati Materiali, comunicati e richieste vanno indirizzati a: Redazione Volume Edizioni s.r.l. Via Enrico Mancini, 39 00135 Roma info@volumeedizioni.com www.volumeedizioni.com www.myspace.com/volumeedizioni www.volumechannel.tv Direttore Responsabile Antonella Monti Direttore Editoriale Massimo Cimarelli Responsabile Arte Francesca Eleuteri Responsabile Moda e Fotografia Daniele Porroni Responsabile Cultura Vienna Eleuteri Collaboratori Stefano Bertone, Sara Sergnese, Giorgia Aniballi, Alessandra Eleuteri, Jeny Fausta Giliberto, Leopolda Ficca, Alessia Vitti, Elvira Zollerano, Anna Teresa Peruzzi, Giampiero Plini, Veronica Pinzuti, Paul Cheung, Eleonora Angeli, Alan Santarelli, Sara Gabriele, Sara Anastasi, Camilla Sporndle Pubblicità Viviana Pazzelli viviana@volumeedizioni.com adv@volumeedizioni.com Stampa Graffietti Stampati S.n.c. S.S. Umbro Casentinese km 4,500 01027 - Montefiascone (Viterbo) Italy La fotografia della testata è di Daniele Porroni I materiali inviati in redazione non verranno restituiti, tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale di contenuti ed elaborati grafici
Tre sorelline raccontano la loro vita a cavallo del divorzio dei loro genitori
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La vita non è un lungo fiume tranquillo di Sophie Savoie, Carole Savoie, Nelly Savoie illustrazioni di FedericoParis
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Siamo nel 1989, e i genitori di Sophie, Carole e Nelly, tre bambine un poí selvagge della campagna lionese, stanno divorziando. La loro vita, fino ad allora spensierata e felice cambia radicalmente e le tre si trovano a dover affrontare problemi più grandi di loro. Per cercare di capire quello che sta succedendo ai loro genitori e a loro stesse decidono di scrivere un diario, lo scopo è quello di documentare la loro infanzia (felice prima del divorzio) per non dimenticarla, ed è anche la loro maniera di esorcizzare il demone che si è impossessato della loro famiglia. Proprio questo diario autentico e autobiografico è la base del libro ìLa vita non è un lungo fiume tranquilloî; Rimasto chiuso in un cassetto per 15 anni, un poí dimenticato ma mai veramente perso, è stato riesumato nel natale del 2004 in un viaggio tra le foto e gli oggetti del passato. Nel rileggere il manoscritto si sono rese conto delle potenzialità di questa testimonianza che riesce a descrivere quello che provano tre bambine nel vedere i loro genitori separarsi, testimonianza diretta e senza filtri del ìbambino pensieroî e per questo preziosa, nata, è vero, da un evento tragico, ma perennemente pervasa da uníinnata comicità e da una vena di ottimismo che fa sempre sperare in un lieto fine, come in una bella favola. Favola iniziata in mezzo alla natura, tra amici animali, spericolate e magnifiche avventure in posti proibiti, guerre leali ed eroiche con altri bambini e descrizioni del rapporto con gli adulti, in un mondo che appartiene essenzialmente a loro e che ci ricorda un passato dove i bambini potevano scappare alla sorveglianza degli adulti ed avere una vita propria.
Tutto questo materiale fantastico è stato rielaborato (senza sconvolgimenti), tradotto in italiano (due delle tre sorelle vivono e lavorano in Italia), illustrato con delle bellissime tavole da Federico Paris, e oggi pubblicato dalla casa editrice Sette Città. Un progetto che ha avuto una lunga gestazione come un buon vino francese, ma che sa restituire tutta la freschezza e líaroma di uníinfanzia invincibile e allo stesso tempo vulnerabile. Walter Egon. Sette Città Via Mazzini, 87 01100 Viterbo tel. 0761/304967 - 0761/303020 www.settecitta.eu info@settecitta.eu
Viaggio attraverso gli Itinerari Notturni del divertimento. di Sandro Gentili Già la Notte………. Cosa c’e di più incredibilmente stimolante della Notte? Probabilmente niente. Nessuno di noi sa per quale strano motivo, ma, dopo il calare del sole, il nostro stato fisico e mentale tende a modificarsi profondamente. Nasce in noi la voglia di vivere tutto ciò che gli impegni giornalieri e gli obblighi della vita comune ci impediscono di vivere. E’ per dare sfogo a questa esigenza che gli uomini, nel corso degli anni, hanno creato innumerevoli luoghi di aggregazione collettiva del divertimento, articolati su differenti Format commerciali rivolti a differenti Target di clientela con lo scopo di accogliere tutti i Nottambuli del mondo. Lo scopo della serie di articoli che verranno pubblicati nei prossimi numeri di volume, è quello di analizzare come negli ultimi trent’anni siano cambiati mode e costumi del Popolo della Notte. Iniziamo subito col dire che la Notte è veramente cambiata moltissimo da quando mi ricordo che, negli anni 80, allora ventenne, facevo la fila fuori dall’unico locale da ballo della città, in giacca e cravatta, con la speranza di riuscire ad entrare. Il Radicale cambiamento dei modelli comportamentali notturni è da ricondurre alle modificazioni dei sistemi e dei ritmi del lavoro, alla evoluzione collettiva del gusto ed ai fenomeni di moda e tendenza imposti dai mezzi di comunicazione di massa. Ritornando a parlare degli anni 80, anni di riferimento per i locali notturni, la Notte era soprattutto il Sabato sera e l’unico luogo deputato ad aggregare gente era La Discoteca nella sua più classica espressione di locale da ballo (allora ancora veniva chiamata così), oggi, per i gestori, sembra essere troppo riduttivo come termine. Mi ricordo che a quell’appuntamento con il Sabato sera nessuno voleva mancare, e
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ci si preparava tutta la settimana per essere all’altezza della situazione, liberando mente e fantasia nella speranza che l’incontro tanto desiderato si concretizzasse. Quindi, un solo locale, una sola serata, una sola occasione settimanale per vivere momenti unici in un luogo dove le condizioni ambientali, luci, musica e gente, rendevano tutto molto più realizzabile. Ok, ora facciamo un salto di trent’anni ed arriviamo direttamente ai giorni nostri per capire come si è evoluta o involuta la struttura dell’offerta di luoghi di aggregazione notturna. Chiunque, oggi, ami assaporare fino in fondo il dolcissimo gusto della notte, sa perfettamente che deve essere molto bene informato, organizzato e deve saper dividere il proprio tempo in differenti orari e luoghi di incontro. Proprio così, i forzati della Notte degli anni 2000 sono molto più evoluti ed attenti e dopo una lunga giornata di lavoro si preparano ad un rito ormai canonico di dividere la serata in almeno 5 differenti fasce temporali: Aperitivo, Cena, Preserata, Notte e Colazione. E già……… chi avrebbe mai pensato trent’anni orsono che l’Aperitivo sarebbe diventato il migliore luogo dove consumare interessanti incontri di lavoro, o che fosse l’occasione per un primo incontro soft tra due persone che si piacciono, oppure il momento migliore per raccontarsi la giornata con l’amico del cuore al fine di scaricare lo stress delle fatiche quotidiane di fronte ad un fantastico Buffet Finger Food Style. Allora cari lettori di volume, io credo che in mezzo a questi trent’anni di vissuto notturno ci siano da raccontare un sacco di storie interessanti, quindi non mi rimane che consigliarvi di seguirci nel nostro viaggio alla scoperta di tic e tabu’ di tante generazioni di Fratelli Nottambuli come noi. Ciao e….. Lunga Vita alla Notte. 29
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Ospiti del locale più chic dell’Argentario, il Red Carpet di Port’Ercole, accompagnati dall’eclissi di luna, abbiamo selezionato la 1° vincitrice del concorso Modella per Volume, indetto ad Aprile e al quale hanno partecipato centinaia di ragazze da tutta Italia. Il premio, assegnato a Daniela Delle Monache, bellissima insegnante di 33 anni, è stato di essere la protagonista per un mese del nostro magazine. Il redazionale realizzato è stato un successo, Daniela ha dimostrato di avere un vero talento da...top model! Ringraziamo il Red Carpet di Port’Ercole per aver ospitato la serata e la grande disponibilità verso tutto il team!
DANIELA DELLE MONACHE Professione: Insegnante Età: 33 anni Nata: Viterbo Segno zodiacale: Vergine Libro preferito: In tutti i sensi come l’amore Best Film: Il Gladiatore
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Le Tartarughe
www.susannalisoperletartarughe.it Via Piè di Marmo 17, orario continuato Roma Via Mastro Giorgio 70, 10/12.30-16/20 Roma FOTOGRAFIE info@susannalisoperletartarughe.it Daniele Porroni FASHION STYLIST Alessia Vitti MODELLA Daniela Delle Monache Accessori e gioielli ASKI MODE www.askimode.it MAKE UP Silvia Porroni 31
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DIECI ANNI DI “ATREJU” di Eleonora Angeli
Anche questo anno, il movimento politico giovanile di Alleanza Nazionale, Azione Giovani, ha voluto radunare i suoi iscritti a Roma. La manifestazione, che prende nome dal protagonista della “Storia Infinita”, si è svolta nella splendida cornice del Colosseo, uno scenario suggestivo che ha visto come protagonisti migliaia di giovani provenienti da ogni parte d’Italia. Durante i quattro giorni si sono svolte mostre e dibattiti; i partecipanti hanno potuto riflettere sugli interventi fatti dai nostri politici, interventi mirati. Si è parlato molto di Federalismo, di sicurezza pubblica ma soprattutto non sono mancati approfondimenti sul futuro di noi giovani. Sono stati giorni entusiasmanti. I ragazzi erano legati da un unico spirito, quello della politica, quella vera, la stessa che li ha portati ad attraversare il Paese per un fine comune. Tutti insieme per una grande festa….quella di “Atreju”.
MOSTRE: PICASSO, L’ARLECCHINO DELL’ARTE AL VITTORIANO Roma 10 ottobre - 8 febbraio 2009 La Città Eterna si prepara all’arrivo dell’autunno sfoderando eventi culturali di primissimo ordine: tra questi, tra i primi, va segnalata la Mostra al Vittoriano che riguarda il grande pittore spagnolo, uno dei più grandi del XX secolo, Pablo Picasso. In particolare vengono presi in esame i vent’anni che intercorrono tra le due guerre, dal 1917 al 1937. Venti anni fondamentali per la Storia, anni ricchi di cambiamenti epocali, anni di contraddizioni, crisi, mode, costumi in continuo cambiamento. Una personalità così spiccata come quella di Picasso non poteva non assorbire e fare propria questa evoluzione storica, e non è infatti un caso che tutto questo abbia influenzato in maniera decisiva la sua arte pittorica: dunque il ventennio preso in esame si rivela ricco di punti d’interesse anche per la pittura dell’artista di Malaga. Le opere presentate a Roma riflettono la volontà precisa di Picasso di rivelare la contraddittorietà dell’epoca: non sceglie un sentiero preciso secondo il quale indirizzare la sua arte, abbraccia invece stili e correnti diversi tra loro, quando non in antitesi: neoclassicismo, surrealismo, astrazione, espressionismo. Un artista a tutto tondo che ancora una volta riesce a stupire con la sua poliedricità e la sua capacità di essere al passo con i tempi, e soprattutto di riflettere con la sua arte ineguagliabile l’inquietudine di un’epoca storicamente articolata e complessa come poche altre. “Picasso 1917-1937” sarà la mostra che riapre i battenti del complesso del Vittoriano il 10 ottobre, per concludersi poi l’8 febbraio 2009. 36
di Vienna Eleuteri
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GRAZIELLA PESENTI squarci di colore sui campi
Spazi aperti, squarci di colore sui campi, immagini limpide e panorami di luce: sono solo alcune delle visioni protagoniste dell’ultima fase del lavoro pittorico di Graziella Pesenti e da sempre sono anche i temi cari alle composizioni poetiche della poliedrica artista che da anni si misura con competenza e passione col proprio animato mondo interiore. Il noto giornalista Corrado Augias ha descritto il lavoro poetico della Pesenti con una efficace espressione: “dipanamento coerente affidato - come in un leit motiv di musicista - ad alcune parole chiave”. Ma l’immagine applica splendidamente anche alla sua ricerca figurativa le cui aperture sugli spazi di colore evocano la coerenza di una visione. Così, i protagonisti diventano la natura e l’emozione - come nel lavoro del 1983 Incerto sapere con cui Graziella vinse il Premio letterario internazionale “Città di Venezia” o in quello successivo non meno suggestivo Una parte di sempre come anche nelle sue marine - oppure il racconto e la vita come accade nella raccolta del 1988 Nel silenzio / anche la notte ha il suo colore ma anche nello splendore dei campi di grano mossi dalla luce di Maremma. Temi forti e sofferti, momenti emotivi che la cultura contemporanea tende a nascondere e ad anestetizzare e che la Pesenti ha il merito di trattare - nei suoi quadri come nelle sue poesie - con quella solare umanità capace di scaldare il cuore aprendoci paradossalmente alla fiducia e ad un’adesione più autentica alla bellezza della vita. Un invito a seguire le tracce lasciate da pennelli, matite e spatole così come dalle parole, sulla scia di un sentimento spontaneo e vitale.
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GIARDINO SPOERRI Quando arte e natura diventano tutt’uno, baciando il cielo… di Annegriet Camilla Spörndle
Un parco di 16 ettari di terreno, a 650 metri d’altezza tra le nobili colline senesi e la selvatica natura maremmana sulle pendici del Monte Amiata, con 79 opere d’arte, soprattutto installazioni e sculture, di 40 artisti provenienti da tutto il mondo. E’ il Giardino di Daniel Spoerri a Seggiano.
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Hic terminus haeret, qui aderiscono i confini, così ci riceve misteriosamente il gran cancello all’ingresso del Giardino Spoerri a Seggiano e…solo alla fine del percorso si riesce a capire il significato di queste parole latine che suonano quasi magiche. Il Giardino Spoerri, un parco di 16 ettari di terreno, a 650 metri d’altezza fra le nobili colline senesi e la selvatica natura maremmana sulle pendici del Monte Amiata, offre al visitatore il felice matrimonio tra arte e natura. 79 opere d’arte, soprattutto installazioni e sculture, di 40 artisti provenienti da tutto il mondo sono finora raccolti qui dal famoso artista svizzero-rumeno Daniel Spoerri. Il tutto integrato nel contesto armonico tra prati e boschi di castagni, uliveti, cipressi, macchia di ginestre e piante aromatiche. La combinazione del percorso botanico con quello artistico, che in tutto dura circa tre ore, stimola tutti i sensi: il tatto, la vista, l’olfatto, l’udito e…la curiosità. C’è una stretta interattività fra la natura e l’arte ed è proprio in esso la genialità del parco. All’atmosfera spesso clinica e noiosa di tanti musei risponde qui la vita pura: la morbidezza del prato sotto i piedi, la luce del sole e l’aria fresca sul viso, l’infinità del cielo, i profumi delle piante ed i canti di sorgenti, alberi ed animali. L’arte è a portata di mano, la scopri dietro colline come gli “Unicorni” (1991) di Spoerri, si nasconde in un insieme di alberi come “Il bosco di Platone” (1998) di Karl Gerstner, addirittura la puoi attraversare come il “Penetrabile sonoro” (1997) di J.R. Soto… O come disse Spoerri stesso: “è importante il sentiero, che si misura a passi, gli odori che si respirano, i rumori che si odono, l’acqua nella quale ci si imbatte, i dislivelli del terreno, i campi ed i prati che si alternano con la foresta e la boscaglia.”.
Prima di aprire il Giardino nel 1991, curato dall’architetto del paesaggio Irma Beniamino, Spoerri che da sempre nutriva un amore profondo per la natura, si fece ispirare dalla “Bibbia” degli affascinati della storia dei parchi: “Hipnerotomachia Poliphili”, un libro di Francesco Colonna, uscito alla fine del ‘400. Il sogno di Polifilo descrive, passando diversi paesaggi, un viaggio che rispecchia quello della vita. Anche Spoerri intende il suo giardino come parabola della propria carriera artistica, durante la quale ha anche incontrato tutti gli altri autori del Giardino, ormai diventati amici, tra cui: Eva Aeppli, Jean Tinguely ed Arman. Eva Aeppli si è dedicata molto all’unione tra l’uomo e l’universo che si esprime in lavori come “Lo Zodiaco” (1979-1999) ed “Alcune debolezze umane” (1993/94), un paragone dei sette vizi capitali con i pianeti. Dalla collaborazione con Jean Tinguely, compagno di Niki de Saint Phalle (ideatrice del Giardino dei Tarocchi a Capalbio), è nata nel 1991 l’installazione “Othello e Desdemona”. Arman, artista francese, diventato famoso negli anni ’60 per aver accumulato in un collage di diversi oggetti in un contesto armonico, è rappresentato nel Giardino con il “Monumento sedentario” (1999/2000), una torre, composta di vecchi attrezzi agricoli, una dedica ai contadini ed alla terra di Seggiano. La vita di Daniel Spoerri è così movimentata e variopinta come la flora del Giardino in cui espone le proprie 34 opere tra albicocchi, aceri, allori, biancospini, cachi, castagni, ciliegi, cipressi, felci, finocchi, fragoline di bosco, ginepri, ginestre, ligustri, menta, olivi, orchidee, prugnoli, rose selvatiche, roveri, viti… Nato nel 1930 a Galati in Romania da padre ebreo che perse la vita nel 1941 in un campo di concentramento. Daniel Isaac
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Olivier Estoppey - Dies Irae
Feinstein, più tardì Spoerri, si trasferisce insieme alla famiglia in Svizzera. All’età di 23 anni esordisce all’opera di Berna come ballerino classico, ma presto non vuole più stare sul palcoscenico, ma dietro le quinte. Così comincia a fare il regista, girando alcuni brevi film sperimentali. Nel 1959 si trasferisce a Parigi e conosce artisti del New Dada e del Nouveau Réalisme. Incontra Arman, Francis Dufrene, Yves Klein e Jean Tinguely e soprattutto l’amicizia con l’ultimo diventa decisiva per Spoerri, perché sveglia il suo interesse per le arti visive. Dopo i primi successi con i cosiddetti “Fallenbilder”, rappresentazioni di semplici situazioni e momenti della vita quotidiana, esposti al MOMA di New York, Spoerri apre il “Restaurant Spoerri” e l’ “Eat-ArtGallery” a Düsseldorf nei primi anni ’70. Qui può combinare la sua passione per la cucina con quella per l’arte. Tutto ciò che avanza a tavola viene preparato con dei conservanti speciali per trasformarlo in opere d’arte. Riproduzioni di bronzo come “Colazione eterna” (1994) ne danno testimonianza. Dagli anni ’80 la vita di Spoerri si svolge un po’ in tutta l’Europa: Italia, Germania, Francia, ma anche in metropoli lontane ed in diverse cattedre universitarie, dove comincia ad insegnare arte agli studenti.
Durante questi viaggi e soggiorni continua a conoscere nuovi artisti e li porta tutti a Seggiano: svizzeri, tedeschi, francesi, uno svedese, un rumeno, uno slovacco, un israeliano, giapponesi, un coreano ed un venezuelano. Per nominarli tutti non basterebbe lo spazio, ma grazie a loro il Giardino di Porri raggiunge ancora un nuovo significato, vale a dire quello della convivenza pacifica in un mondo in cui sono sempre presenti guerra e morte. “Figure contro il dolore ed esercizi per combattere la paura” così intende Spoerri le opere nel parco. Esprimono l’eterna ambiguità della nostra vita: gioia e dolore, fantasia e noia, vita e morte, cielo e terra, micro- e macrocosmo. Vanno preso con ironia, ed è proprio l’ironia l’argomento principale di tante opere del Giardino Spoerri. Hic terminus haeret…qui aderiscono i confini…l’evoluzione della natura e dell’arte continueranno come quella della nostra vita…è questo l’enigma del Giardino Spoerri. Di regola il Giardino Spoerri apre da Pasqua in poi. A richiesta si effettuano visite guidate. Per altre informazioni su come arrivare, sull’orario d’ apertura, ecc. si consiglia di contattare Patrizia Scianchi via telefono 0564/950457. 41
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Daniel Spoerri - Ombelico del mondo
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Conversando con Lucia Biagi Sindaco di Capalbio di Antonella Monti
“Un sorriso appena accennato da Gioconda le ingentilisce ancora di più il viso rotondo, dolce, da brava ragazza che non lascia trapelare nulla la solidità del suo carattere”
L’ha presentato a ridosso del ferragosto il suo libro “Beautiful Capalbio-Fare il sindaco in un paese straordinario”, nel tardo pomeriggio del 12 agosto, in quella “bomboniera”che è Piazza Magenta, così felicemente incastrata fra le antiche mura di Caparbio. Arrivo in ritardo, Capalbio è piena di bella gente sparsa nei pietrosi vicoli, dò la colpa della ricerca del parcheggio e trovo la piccola piazza gremita come non mai piena di tanta gente dall’aria vacanziera e di tanti capalbiesi, incuriositi da quell’insolita veste di scrittrice del loro sindaco. La Dr.ssa Biagi, elegante in nero sembra più minuta, seduta tra il giornalista Pino Buongiorno e P.Luigi Vigna e più in là D.ssa Valentina Angelucci. Un sorriso appena accennato da Gioconda le ingentilisce ancora di più il viso rotondo, dolce, da brava ragazza che non lascia trapelare nulla la solidità del suo carattere. A destra del palco, uno schermo per i suggestivi scatti fotografici di Marcello Serra altro capalbiese doc a cui, si deve la copertina del libro che è uno scorcio dell’arenile capalbiese, nel “mitico” tratto rimasto naturalisticamente intatto. Tanti chilometri di
arenile, completamente privo di infrastrutture, ricco di conchiglie e legni spiaggiati di cui servirsi per stendere leggiadri teli e povero…. di gente, uno sballo! P.Luigi Vigna, presenta il lavoro della Biagi con fare paternalistico e d’altro canto, ha scelto Capalbio ormai da decenni,la giovane avvocatessa parla di quando il sindaco le faceva da insegnante e il giornalista Pino Buongiorno (nelle vesti di moderatore) la incalza di domande che poi stoppa senza troppi preamboli. E il sindaco “frena”, senza innervosirsi, forte dell’indulgenza degli “equilibrati”. Elegante e misurata con il suo caschetto sbarazzino, la Biagi non dimostra i suoi quaranta anni ma trapela dal suo volto, una forza interna ben stratificata che l’ha salvata in più occasioni dalle “molte sirene d’Ulisse”come le definisce lei stessa, che l’hanno tentata da quando è diventato primo cittadino di Capalbio. Oltre che sindaco, Lucia, è mamma, moglie, avvocato e insegnante e vanta solidi valori morali, davvero “ tante cose” per una giovane donna che ha trovato anche il tempo di scrivere quello che si agita nel suo cuore, fuori dagli schemi imposti dalla sua
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tuscany
investitura. La ascolto raccontare qualcosa del suo libro partendo dall’amore per il suo paese fino ai veleni e ai giochi di potere.. poi applausi e fiori…mi defilo, con il proposito di chiamarla il giorno dopo. Non la trovo, lascio un messaggio e mi richiama a breve “Fantastico” penso” in questo contesto di montati è già tanto” “Non potevo mancare, complimenti per questa tua soddisfazione letteraria”inizio”Grazie, mi premeva far conoscere a chi vive nel mio paese sia da cittadino che da turista i sentimenti e le emozioni che restano dietro l’apparenza e che hanno determinato le mie scelte durante il mio mandato.” Il libro della Biagi, di neppure cento pagine, è diviso in capitoli da cui emergono le verità più o meno comode sui suoi anni come sindaco, verità e amore nei confronti del suo paese di cui, vuole difendere strenuamente l’identità.” Sei Sindaco in una terra ancora felix?”incalzo “ Mantenerla felix non è facile e fare il sindaco o l’assessore vuol dire esporsi giornalmente alle calunnie. Vado fiera in modo particolare di alcune vittorie come lo smaltimento dei rifiuti dell’Eurocom e l’approvazione del piano strutturale. Di quest’ultima battaglia, sono particolarmente contenta perché non potete sapere, quanto, questo mio paese, sia oggetto di forti pressioni.” In uno dei tuoi capitoli parli dei nimby, chi sono?:”Partiamo dai tanti personaggi che sono arrivati a Capalbio e ritengo “amici”. Sono i capalbiesi naturalizzati perché arrivano tutti i fine settimana e ci salutiamo mentre facciamo la spesa, sono quelli che si rendono conto di quanto sia necessario proteggere Capalbio scegliendo uno sviluppo sostenibile a ad una sterile campana di vetro, quelli che si adoperano per rendersi utili in tal senso. Penso che Capalbio abbia un debito nei confronti di queste persone “illuminate”. I nimby sono gli altri, e per fortuna neppure troppi e a ben guardare neppure vip, sono quelli che non vogliono nulla nel proprio giardino, sono i “lei non sa chi sono io” con tre avvocati al seguito,sono gli ambientalisti a casa del vicino. Sono quelli che devono fare come vogliono, quelli che insistono nel chiedere di usare le norme con meno rigore.” Non deve essere facile.”Non lo è, ma in quattro anni mi sono temprata. Sono fermamente convinta che in politica dovrebbero esserci più donne…e mi ricandido perché, per me amministrare, vuol
dire avere voglia di fare per il proprio paese e questo, non è né di destra né di sinistra.” “Beautiful Capalbio” di Lucia Biagi Edizioni Cooper - 2008 Cosa significa fare il sindaco nel paese più amato dai vip? Ce lo spiega Lucia Biagi, il primo sindaco donna di Capalbio. Beautiful Capalbio è la narrazione intensa e lucida delle sfide affrontate, vinte e perse. E poi la maremma, quella dei capalbiesi e quella dei volti noti dell’ultima spiaggia: tutte le facce che abitano questa piccola Atene italiana.
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VERGINE
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Segnali dallo zodiaco
Cosa c’è sopra le nostre teste che non sia anche dentro di noi? E come si manifesta questa corrispondenza a livello psichico? Senza alcun dubbio, secondo il parere di George I. Gurdjieff, uno degli ultimi grandi di Veronica Pinzuti esponenti della tradizione ermetico - alchemica, i pianeti hanno un’influenza enorme, tanto sulla vita dell’umanità in generale, quanto sulla vita dell’individuo in particolare. Gurdjieff parla metaforicamente di una grande ruota tenere lontano da lei lo sguardo voglioso di suo sospesa sopra la Terra, alla quale sono fissati zio Ade, dio dei morti. Un giorno egli, con un sette proiettori – i pianeti. Questa ruota gira gesto fulmineo, spalancò la terra sotto i piedi e a turno, la luce dei vari proiettori illumina il della piccola Persefone e la fece precipitare globo terrestre donandogli colori e sfumature agli Inferi, tra le sue braccia. ciclicamente differenti. Tutti gli esseri terreni Alla scomparsa della figlia, il cuore di Demetra sono soggetti alla stessa luce e ne sono implose di angoscia e rabbia. Per nove notti e particolarmente sensibili al momento del nove giorni, senza mangiare né bere, la dea loro primo ingresso al mondo: quella precisa del grano errò in ogni dove alla ricerca della colorazione gli apparterrà per tutta la vita. bimba prediletta. I suoi sforzi furono vani e Senza approfondire il pensiero del grande disperata, la dea decise di abdicare al suo maestro armeno, possiamo avvertire quanto ruolo divino, rinunciando a garantire la fertilità il “colore” di cui Gurdjieff parla assomigli del globo terrestre. all’inclinazione caratteriale che rende ogni L’esilio volontario di Demetra dall’Olimpo rese uomo diverso tra i simili. la terra sterile e ciò sconvolse l’ordine umano. Per riparare alla perenne siccità, Zeus riuscì Il segno del mese ad accordarsi con Ade che permise a Perefone Una giovane fanciulla alata con in mano una di passare una parte dell’anno tra le cure di spiga di grano, simbolo di vita e fertilità: questa sua madre. è l’immagine più rappresentativa del segno Ancora oggi possiamo accorgerci della della Vergine. presenza o meno di Persefone all’Olimpo: tra la Esso domina il mese di Agosto e le prime due primavera e l’autunno i ricchi frutti della nostra decadi di Settembre. È un segno di terra ed è terra ci raccontano dell’amorevole unione delle associato alla fine dell’estate, alla purezza e due dee che felici e gioiose dispensano vita e al temperamento melanconico, in cui il calore fertilità nel mondo umano; l’aridità dei terreni e la passionalità degli istinti sono abbandonati invernali è invece indice dell’obbligata e triste per un più lucido e distaccato comportamento separazione che toglie a Demetra ogni energia intellettuale. e volontà di dedicarsi al suo compito divino.
Il mito
Quando al tramonto il maestrale si quieta e le cicale intonano l’ultimo canto intenso e frastornante, passeggiando con l’occhio del cuore tra i boschetti di pini dei tomboli toscani può capitare di avvertire l’impalpabile presenza di una dea che si aggira solitaria. Demetra è il suo nome ed ella fu presso gli antichi Greci la divinità del grano e della terra coltivata. In un tempo assai remoto ella amò Zeus e con lui generò Persefone, figlia amata e adorata che Demetra ammirava crescere mentre innocente giocava con le ninfe tra boschetti in fiore. L’attenzione e la cura che Demetra riservava alla figlia non bastarono però a
Il profilo caratteriale
Astrologicamente il segno della Vergine si situa in un momento dell’anno in cui la terra appare secca e sgombra, ripulita e nuova, vergine appunto. In questo ambiente naturale, il profilo caratteriale che emerge è quello di una persona attenta e disciplinata: come in un campo prossimo alla semina, dove ogni mossa va calcolata e sapientemente scelta, così anche l’uomo della Vergine appare scrupoloso, serio e metodico. Egli si mostra ben capace di dominare l’impulsività e di rispettare con ordine le regole. Talvolta la sua pignoleria e precisione lo rendono fin troppo esigente e pedante, ma senza queste caratteristiche la sua singolare efficienza d’azione verrebbe meno.
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BILANCIA di Veronica Pinzuti
Segnali dallo zodiaco
La relazione che collega la mitologia, le costellazioni e lo studio della psiche umana è molto interessante. Ciò che rende attraente questo legame è il fatto che dai racconti antichi emergano descrizioni in grado di spiegare alcune caratteristiche comportamentali che riconosciamo in persone a noi vicine. Sembra che i racconti astro-mitologici contengano informazioni criptate, segnali velati che se interpretati nel giusto modo sono capaci di svelare verità curiose ed utili.
Il segno del mese
Mentre le belle giornate si accorciano e si respira di nuovo aria fresca, nel cielo notturno si affaccia la costellazione della Bilancia che ci terrà compagnia dal 23 settembre al 22 ottobre. Questo segno zodiacale domina il settore del cielo e del tempo in cui le stagioni sono in equilibrio tra loro, così come il giorno e la notte. Questa costellazione è l’unica dello zodiaco a non essere raffigurata da una forma animata ma da un oggetto che per eccellenza simboleggia l’equilibrio, la giustizia e l’imparzialità. Questi ultimi sono infatti concetti che devono mantenere una certa purezza per garantire la loro validità e nessuna figura umana avrebbe potuto rappresentarli senza corromperli in una certa misura.
Il mito
Nell’antico mondo greco, al segno zodiacale della Bilancia si associava Temi, la dea della legge. Ella fu figlia di Urano e Gaia incarnazioni del Cielo e della Terra - e fu una delle spose divine di Zeus. Con lui generò le Ore, le divinità dell’ordine sociale; le Moire, personificazioni del destino di ogni uomo e la vergine Astrea, dea garante della giustizia terrena. Temi aveva un ruolo fondamentale nella tutela dell’ordine cosmico ed era infatti la fidata consigliera di Zeus. Il dio degli dèi si affidava ai suoi consulti ogniqualvolta avesse bisogno di prendere delle decisioni importanti su questioni che riguardavano il giusto modo d’agire nel rispetto della Legge eterna. Per questa sua capacità, Temi fu anche una delle poche divinità a condividere con gli Olimpici la vita sull’omonimo Monte Sacro e ricambiava questo privilegio fornendo agli dèi puntuali ed utili profezie.
Il profilo caratteriale
La bilancia è più di tutti l’oggetto che rappresenta l’equilibrio, l’uguaglianza, la giusta misura, però la personalità di coloro che nascono sotto questa costellazione non incarna completamente gli stessi concetti. Il tipo umano della Bilancia è infatti dedito piuttosto a ricercare equilibrio, giustizia, ma non sempre riesce a raggiungerlo. L’uomo della Bilancia vive costantemente con un atteggiamento riflessivo ed è attento nel valutare la scelta da compiere, il giusto comportamento da tenere. Ciò lo rende alquanto indeciso e lento nella presa di una decisione che non dipende mai dall’istinto, ma piuttosto dall’emotività. Proprio così, il sentimento riveste un aspetto fondamentale nella personalità del tipo Bilancia che nella sua continua ricerca, finisce per affidare la conclusione all’intuito, sempre e comunque ponderato dal buon senso, dalla prudenza e soprattutto dal rispetto delle norme e delle convenzioni sociali. I lineamenti gentili e lo sguardo attraente del tipo della Bilancia ci parlano di una personalità tollerante, amabile, gentile ed armoniosa ed in cui si rispecchia il mondo della misura, dei mezzi toni e delle sfumature.
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