Anno I - Numero 8 - Marzo/Aprile 2009 - Reg. Trib. di Roma n.139 del 27/03/2008
VOLUME
CASTANEDA | PROVOS | MURAKAMI | E-BOOK | CY TWOMBLY
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ARTEMODACULTURA
Il Giusto moto dell’ingiustizia
Vediamo il mondo economico crollare sotto gli sguardi attoniti di governi incapaci che cercano di aggrapparsi ad un ramo secco, ormai marcio, che da tempo ha mostrato ogni sua debolezza ma che continua ad esser innalzato come unico sistema reale in una continua ricerca di nuove soluzioni che non ha, e mantenendo le attuali logiche non potrà avere, mai fine per la natura stessa della crisi in atto: crisi economica, crisi di un sistema che ha col tempo soppiantato ogni valore umano rendendo l’uomo un subumano per eccellenza capace unicamente di godere delle proprie e molteplici schiavitù. Viene in mente il racconto del Buddismo Zen della scimmia che per prendere una noce infila la mano dentro il tronco di un albero cavo ma nel cercar di estrarre il suo bottino non riesce più ad estrarre il braccio perché la noce, troppo grande rispetto al buco, glielo impedisce. La scimmia insiste eppure tutti i suoi sforzi sono vani: la noce non ne vuol sapere di uscire. Il piccolo animale è in una situazione di stallo: stringendo la noce non può tirar fuori la mano. Eppure alla scimmia basterebbe poco per riguadagnare la propria libertà: basterebbe mollare la presa! Ogni giorno assistiamo a licenziamenti in massa, a chiusure di aziende, ai drammi di chi non può sostenere se stesso o la propria famiglia, e tutto questo viene considerato come una enorme ingiustizia, come se ciò che è giusto si fosse perso: il giusto come benessere, comfort e morale. Ancora una volta la scimmia non lascia la presa. Giusto è ciò che avviene in conformità alla Legge, non una legge parziale o temporalmente definita ma alla Legge immutabile, perpetua: la perfezione di un doppio quadrato che nella sua continua e inarrestabile ciclicità, che è di per sé a-temporale, assume la forma ideografica dell’infinito come un otto orizzontale. Giusto è il modo attraverso il quale ci avviciniamo alla Legge, ingiusto tutto ciò che dalla Legge ci allontana, che sia in noi o fuori di noi. L’essere umano, pur di non perdere ogni suo appoggio temporale, esterno a sé, caduco, si lascia andare, piange, strilla, strepita e alimenta un rancore verso chi lo ha privato delle sue piccole cose senza sapere che così facendo degrada se stesso e piangendo ciò che non ha più perde ciò che E’. Dove sono i governi? Teoricamente demandati ad amministrare, gestire e risolvere, rettificando secondo Legge, si tolgono invece la maschera e mostrano il loro vero volto democratico: demoni non diversi dalla massa che li ha eletti, incapaci di un atto eroico quanto incapaci di fornir ogni Giusto esempio. Attaccati a ciò che posseggono e preoccupati esclusivamente dell’avere e del gradimento altrui, in un turbine EGOistico e demagogico, propongono, a loro uso e consumo, nuove soluzioni. Per attaccamento al passato e al futuro, che ben si svela nell’attaccamento a ciò che si possedeva e a ciò che si possiederà, si è lontani da sé stessi e dal proprio Centro. Si dimentica il “ qui e ora” dello Zen. Chi, per propria ignoranza o mancanza di spirito, vorrà affermare che a noi occidentali i concetti buddisti sono lontani, mondi estranei e ignoti, potrebbe facilmente ricordare, quando indossa la maschera del buon cristiano, che a lui serve solo come ennesimo rifugio e appoggio, Matteo 6,34: “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.”. Non ci sono novità o nuove soluzioni da ricercare: rivalutiamo, riconsideriamo e partendo dal nostro vero essere, libero da appoggi, rettifichiamo secondo Legge e Tradizione il valore di questa crisi, che potrà essere possibilità reale di riconoscere il Giusto, il Vero. Ognuno è oggi obbligato a scegliere da che parte del fiume stare: tra le scimmie e gli schiavi oppure tra coloro che potranno esser chiamati uomini.
Il Direttore Editoriale
Massimo Cimarelli 4
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editoriale
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Editoriale
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di Massimo Cimarelli
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“Cy Twombly� a cura di Nicholas Serota
Provos
di Francesca Eleuteri
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Un giorno perfetto per i canguri di Haruki Murakami traduzione di Valentina Cirella
Intervista a Carlos Castaneda di Daniel Trujillo Rivas
Rivista Uno Mismo 1997
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EBOOK - Provos di Francesca Eleuteri
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EBOOK - Il Drago e il poeta di Miyazawa Kenji
EBOOK - Art | Nature di Francesca Eleuteri
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In Copertina: Manifestazione dei Provos , Amsterdam Photographer: Cor Jaring, tutti i diritti riservati In questa pagina: Buddha in his youth di Redon
exhibit
VOLUME
“Cy Twombly” A cura di Nicholas Serota
La Galleria nazionale d’arte moderna ospiterà, dal 5 marzo al 24 maggio, la prima grande retrospettiva di Cy Twombly a Roma. Pur toccando tutte le fasi della carriera di questo grande artista americano, stabilitosi in Italia nel 1957, la mostra, che comprende sessanta fra dipinti (molti in più parti), sculture e lavori su carta, si concentra su alcuni momenti cruciali e opere chiave. L’itinerario della mostra va dalla fine all’inizio della carriera di Twombly, come se il visitatore incontrasse oggi l’artista e compisse insieme con lui un viaggio a ritroso nel tempo. Il percorso espositivo inizia con opere che appartengono già al XXI secolo, come l’esemplare della serie Bacchus del 2005, dipinta con il colore del vino e del sangue durante la guerra in Iraq, e alcune inedite sculture del 2009. Negli anni novanta, risaltano le monumentali Quattro stagioni, in equilibrio fra segno e colore, di cui si presenta l’esemplare del 1993-1995. Mai esposto prima è il gruppo di tre dipinti Untitled del 1985, eseguito a Bassano in Teverina e ispirato alla pittura veneziana del Settecento. Le sculture bianche, rielaborazioni di temi classici e funerari, dominano la produzione di Twombly dal 1976,
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mentre la dimensione mentale e la tavolozza virata sul grigio prevalgono in opere come il celebre Treatise on the Veil (Trattato sul velo), presente nelle due versioni del 1968 e del 1970, o la serie di dipinti dedicati a Nini Pirandello, la moglie del gallerista Plinio De Martiis morta nel 1971. I primi anni sessanta sono documentati da dipinti che evocano l’Italia e i suoi artisti, come The Italians del 1961, School of Athens dello stesso anno, che rimanda all’affresco di Raffaello, la serie Ferragosto e The Second Voyage to Italy (o la Caduta di Iperione) del1962. Ai grafismi si alternano grumi di colore vivido e materico, spremuto direttamente dal tubetto, e al recupero della fisicità corrisponde l’affondare nell’inconscio. Fra i dipinti eseguiti dopo il definitivo approdo in Italia nel 1957, compare quello appartenuto a Palma Bucarelli, che presentò la prima personale europea di Twombly alla Galleria La Tartaruga nel 1958. Il percorso espositivo si conclude con un lavoro che risale agli anni di studio dell’artista presso il Black Mountain College, Min OE (1951) nel quale, accanto all’influsso dei grandi contemporanei americani, soprattutto Franz Kline, si avverte già l’interesse per l’arte primitiva e arcaica, poi sviluppato, dopo il viaggio compiuto con Robert Rauschenberg in Italiae Marocco, in dipinti dei primi anni cinquanta quali Tiznit e Quarzazat del 1953, e nelle sculture-feticcio eseguite con materiali di scarto. La mostra, organizzata in collaborazione fra la Tate di Londra e la Galleria nazionale d’arte moderna, è curata da Nicholas Serota, con la collaborazione di Nicholas Cullinan. Il catalogo, edito da Electa su licenza di Tate Publishing, contiene saggi di Richard Shiff, Tacita Dean, Nicholas Cullinan e un’intervista di Nicholas Serota a Cy Twombly.
UFFICIO STAMPA Galleria nazionale d’arte moderna Carla Michelli con Ilaria Berlingeri e Vanessa Ilic Tel. 06/32298328 e-mail: michelli@arti.beniculturali.it
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PROVOS
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la rivolta contro il conformismo di Francesca Eleuteri
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A grande richiesta dei nostri lettori, e in contemporanea con l’uscita dell’E-book edito dalla Volume Edizioni e dedicato al movimento rivoluzionario olandese degli anni sessanta, Volume è fiero di ripresentarvi il dossier: “Provos: la rivolta contro il conformismo”
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© Cor Jaring
Amsterdam, dal punto di vista culturale, è stata nell’ultimo secolo un nodo di scambio tra i movimenti artistici provenienti dalla Gran Bretagna, dall’Europa centrale e dall’area franco-belga. Tutti i movimenti e le tendenze artistiche che sono approdate nella città olandese hanno avuto come particolarità comune il fatto di influire sul sociale. L’azione dei Provos, anarchici rivoluzionari che si riconobbero nel nichilismo dadaista, ne è una manifestazione esemplare ma non isolato. Nel 1947 nasce infatti il gruppo CoBrA il cui nome ha origine dalle tre città di provenienza dei membri che ne fanno parte: da Copenaghen abbiamo Asger Jorn, da Bruxelles provengono invece Alechinsky e Dotremont, mentre sono di Amsterdam Karel Appel, Corneille, Constant Nieuwenhuis e Lucebert. Negli anni in cui l’America vedeva protagonisti Fluxus con Wolf Vostell, John Cage e Maciunas e Joseph Beuys, in Germania, realizzava i suoi happenings, nel settembre 1962 anche Amsterdam vedrà la realizzazione di questa nuova forma espressiva nata ufficialmente nel 1959 con Allan Kaprow in occasione della mostra 18 Happenings in 6 Parts. Allo Stedelijk Museum si inaugura Dylaby en Bewogen Beweging di Daniel Spoerri che trasforma completamente due sale del museo: una diventa un labirinto buio in cui i visitatori sono esposti a varie esperienze sensoriali, come ad esempio superfici umide e calde, diversi tipi di tessuto, suoni e odori; nella seconda sala vengono spostati i dipinti del 1800 sul pavimento e, sui muri vengono invece appese le sculture.
Il periodo degli anni sessanta in Olanda è caratterizzato politicamente da un rigido compromesso tra le diverse forze religiose, economiche e sociali del paese, un sistema definito Zuilen, ovvero dei Quattro Pilastri che sono Capitale, Sindacato, Cattolici e Protestanti. Il sistema risulta privo di una effettiva opposizione, un paese liberale che, di fronte alle provocazioni Provo mostrerà una solida struttura autoritaria. Nel 1965 apparve ad Amsterdam per la prima volta il giornale Provo, sotto la direzione dello studente di filosofia Roel van Duyn. Il movimento Provo venne così fatto conoscere alla città. Il movimento diede vita ad una rivoluzione che, considerando il paese in cui ebbe luogo, “non aveva nessun motivo concreto per protestare”, citando le parole di Aad Nuis, docente universitario che studiò il fenomeno. La risposta sta nel fatto che, in un paese come l’Olanda, considerato un’oasi di benessere e tranquillità, si sentì il bisogno di cancellare o, quantomeno, di mettere in crisi, l’esistenza stessa di questo ordine precostituito, provocandolo. Il termine “Provo” venne coniato per la prima volta dal sociologo olandese Buikhuizen in una descrizione accondiscendente dei Nozems, il gruppo di rivoluzionari che diede vita al movimento. Roel Van Duyn, fu il primo a riconoscere il potenziale nascosto dei Nozems e affermò nel 1965: “E’ nostro compito convertire la loro aggressione in una coscienza rivoluzionaria”. Ispirato dall’anarchismo, dal Dadaismo, dal filosofo tedesco Herbert Marcuse, e dal
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Marchese de Sade, Van Duyn, un intellettuale timido e introverso, divenne presto la forza trainante all’interno della rivista Provo. Ma mentre Van Duyn portava avanti l’attività teoretica dei Provos, un altro importantissimo elemento venne procurato molto presto dall’altro co-fondatore, Robert Jasper Grootveld, un ex pulitore di vetri e artista di strada che, durante i primi anni 60, attirava un massiccio numero di persone ad Amsterdam con esibizioni che ricordano gli happenings. Egli definiva le masse come la “spregevole gente di plastica”, dedita esclusivamente al consumo e il suo scopo era quello di trovare una via per risvegliare gli istinti creativi delle persone. Van Duyn si dedicava quindi alla divulgazione delle idee del movimento tra gli studenti e tra gli ambienti più istruiti, mentre Grootveld si proponeva il medesimo compito rivolgendosi ad artisti di strada. Nel giugno 1965 i Provos, annunciando l’uscita del loro giornale, pubblicavano il loro manifesto programmatico:
PROVO è un foglio mensile per anarchici, provos, beatniks, nottambuli, arrotini, avanzi di galera, semplici simoni stiliti, maghi, pacifisti, mangiatori di patatine fritte, ciarlatani, filosofi, portatori di germi, stallieri reali, esibizionisti, vegetariani, sindacalisti, babbi natale, maestri d’asilo, agitatori, piromani, assistenti dell’assistente, gente che si gratta e sifilitici, polizia segreta e altra plebaglia del genere. PROVO è qualcosa contro il capitalismo, il comunismo, il fascismo, la burocrazia, il militarismo, il professionismo, il dogmatismo e l’autoritarismo. PROVO deve scegliere tra una resistenza disperata ed una estinzione sottomessa. PROVO incita alla resistenza ovunque sia possibile. PROVO è cosciente del fatto che alla fine perderà, ma non può lasciarsi scappare l’occasione di compiere almeno un ennesimo sincero tentativo di provocare la società. PROVO considera l’anarchia come fonte d’ispirazione alla resistenza. PROVO vuol ridar vita all’anarchia ed insegnarla ai giovani. PROVO E’ UN’IMMAGINE.
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Dopo la pubblicazione del manifesto programmatico, il movimento mise in atto le provocazioni nei confronti della monarchia e delle forze dell’ordine. Tali azioni erano esercitate seguendo i cosiddetti “Piani Bianchi”, elaborati da Constant Nieuwenhuis. Il primo tra questi fu il Witte Fietsen Plan, cioè il “Piano delle Biciclette Bianche”; presentato come la soluzione definitiva al “terrorismo urbano di una minoranza motorizzata”. L’idea, proposta dall’industrial designer Luud Schimmelpenninck, prevedeva la chiusura del centro storico alle auto, rimpiazzate naturalmente da biciclette messe disposizione gratuitamente dalla città. Esse avrebbero dovuto essere dipinte di bianco e, per assicurarne la disponibilità, non dovevano assolutamente essere bloccate con la catena. L’ideatore garantiva che, in questo modo Amsterdam avrebbe conseguito grandi vantaggi economici. I Provos misero in atto il progetto e garantirono inizialmente 50 biciclette, confiscate immediatamente dalla polizia con l’accusa di istigazione al furto. Altri “Piani Bianchi” vennero però realizzati; ricordiamo quelli
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chiamati “Piano della Vittima Bianca”, “Piano dei Bambini Bianchi”, “Piano dell’Alloggio Bianco” e “Piano della Moglie Bianca”, i quali prevedevano naturalmente benefici e aiuti gratuiti ai destinatari dei progetti. La strategia elaborata da Van Duyn era caratterizzata da un idealismo condiviso dalla concezione anarchica che animava il gruppo, ma nel tempo si trasformò in un programma realistico che vide anche la partecipazione dello studente di filosofia alle elezioni del consiglio di Amsterdam. Il teorico del movimento fu naturalmente attaccato per un’azione che tradiva gli ideali anarchici e si staccava dalle idee di una frangia del gruppo. Dalle parole utilizzate nel manifesto è evidente il fatto che i Provos non si facevano alcuna illusone circa la possibilità di un effettiva riuscita del progetto. Il movimento opponeva una follia creativa stravagante al grigiore della vita politica olandese, una sorta di scossa per risvegliare dal torpore cittadini considerati troppo passivi e conformisti. Esso non mirava inizialmente a diventare una forza politica al governo poiché ciò andava contro l’essenza
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stessa del movimento, ma con il tempo alcuni esponenti credettero nella possibilità di un intervento politico. Gli eventi organizzati il sabato sera dal gruppo avevano generalmente luogo, durante l’estate, nei pressi della statua Het Lieverdje, nel quartiere Spui di Amsterdam. Gli happenings terminavano spesso con l’arrivo della polizia che numerose volte arrestò i partecipanti. Nel 1966 si vide per la prima volta il coinvolgimento di artisti da parte dei Provo ad Antwerp. Furono improvvisati happenings sulla Groenplaats da Panamarenko, Hugo Heyrman e Bern Lohaus, interrotti dall’intervento della polizia. Il movimento Provo continuò a mettere in atto azioni dimostrative e provocatorie anche fuori del Benelux; in un primo momento a Londra, dove gli attivisti vennero invitati a partecipare all’happening Destruction in Art Symposium organizzato da Gustav Metzger. Altra importante provocazione del gruppo Provo si registrò nel 1967, in occasione del matrimonio della principessa e futura regina Beatrice con il principe tedesco Claus von
Arnsberg, ex appartenente alla Wehrmacht nazista. Essi riuscirono a disturbare il corteo degli sposi e la diretta televisiva lanciando fumogeni che coprirono tutto con una nebbia arancione. Provo si scioglierà pubblicamente il 15 maggio 1967 al Vondelpark nel momento di maggior successo, per non diventare parodia di se stesso e per evidenziare il fatto che non si proponeva obiettivi reali. La scelta di un paese come l’Olanda sollevò degli interrogativi ai quali i membri del gruppo risposero con queste parole: “Non possiamo convincere le masse, e forse non ci interessa neanche farlo. Cosa possiamo aspettarci da questo branco di apatici, indolenti, sciocchi scarafaggi (…). Ma è più facile che il sole sorga da occidente piuttosto che scoppi una rivoluzione nei Paesi Bassi. (…). Noi non siamo tanto ingenui da credere di poter trasformare questo mondo, in un batter d’occhi, in un mondo ideale. Tutti i riformatori, compresi gli anarchici, hanno dimenticato di tener conto della gente, del “fattore umano”, come si suol dire. L’uomo medio è un mangiatore di cavoli,
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improduttivo, non-creativo, non-originale; un imbecille senza spirito critico che reagisce in modo emotivo ecc.; uno che si diverte a fare la fila agli sportelli. Noi no diremo da parte nostra che ogni popolo ha il governo che si merita o che ha voluto, ma crediamo che la massa degli europei sia incapace di evolversi…Detto questo vi diciamo: Non trasferite mai ad altri il vostro potere!”. Il popolo olandese sembrava quindi incapace di realizzare una rivoluzione che risvegliasse le masse da uno stato di immobilità comune, proprio per questo il movimento trovò le sue radici in una Amsterdam liberale con un substrato di irrequietezza e intolleranza.
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Haruki Murakami
UN GIORNO PERFETO PER I CANGURI
traduzione di Valentina Cirella
C’erano quattro canguri in una gabbia – un maschio, due femmine e un cucciolo appena nato. La mia ragazza ed io ce ne stavamo fermi di fronte alla gabbia. Questo zoo non era molto famoso ed essendo lunedì mattina il numero degli animali superava decisamente quello dei visitatori. Non esagero. Il motivo della nostra visita era quello di vedere il cucciolo di canguro. Dico, perchè altrimenti saremmo venuti allo zoo? Un mese prima avevamo letto l’annuncio della nascita del cucciolo nella pagina locale del giornale, così abbiamo aspettato pazientemente la mattina ideale per fargli visita. Ma per qualche motivo il giorno perfetto non arrivava mai. Una mattina pioveva, ed il giorno dopo pioveva ancora di più. Il giorno seguente era chiaramente troppo fangoso; poi il vento ha iniziato a soffiare all’impazzata per due giorni. Una mattina la mia ragazza si è svegliata con il mal di denti e un’altra volta avevo degli impegni da sbrigare in municipio. Non sto cercando di dire niente di particolarmente profondo, ma solo azzardare che: questa è la vita. Così, in un modo o in un altro, un mese è volato. Un mese può passare proprio così. Riesco a malapena a ricordare cosa ho fatto in tutto quel mese. Talvolta mi sembra di aver fatto un sacco di cose, altre volte mi sembra di non aver combinato niente. Fu solo quando il fattorino venne a ritirare i soldi per la consegna del giornale alla fine del mese che mi resi conto che un mese intero era appena volato via. Sì, la vita è proprio così. Finalmente arrivò il giorno in cui saremmo andati a vedere il cucciolo di canguro. Ci svegliammo alle sei, aprimmo le finestre, e decidemmo che sarebbe stato il giorno perfetto per i canguri. Ci lavammo alla svelta, facemmo colazione, sistemammo il cibo per il gatto, facemmo velocemente il bucato, indossammo dei cappelli per ripararci dal sole ed uscimmo. “Pensi che il cucciolo di canguro sia ancora vivo?” mi chiese sul treno. “Ne sono certo. Non c’era notizia della sua morte. Se fosse morto, sono sicuro che lo avremmo letto da qualche parte.” “Forse non è morto, ma è malato ed è in qualche ospedale”. “Beh, penso che la notizia sarebbe uscita.” “E se avesse avuto un crollo nervoso e fosse nascosto in un angolo della gabbia?” “Un cucciolo con un crollo nervoso?” “Non il cucciolo. La madre! Magari ha subìto una specie di trauma e si è isolata con il cucciolo. Le donne pensano davvero ad ogni scenario possibile, pensai impressionato. “Un trauma? Che razza di trauma può colpire un canguro?” “Se non vedo il cucciolo adesso, credo che non avrò più occasione di farlo. Mai più” disse. “Credo di no”. “Ne hai mai visto uno?” “No, mai” dissi. “Sei così sicuro che avresti un’altra possibilità di farlo?” “Non so”. “E’ ciò che temo”. “Sì, ma scusa” replicai, “non ho mai visto partorire una giraffa, nè nuotare una balena. Perchè dovrebbe importarmi così tanto del cucciolo di un canguro?” “Perchè è il cucciolo di un canguro” disse. “Ecco perchè”. Lasciai perdere e mi misi a sfogliare il giornale. Non ho mai vinto in una discussione con una ragazza. ***
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HARUKI MURAKAMI
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HARUKI MURAKAMI
Come era prevedibile, il cucciolo era vivo e vegeto, e lui (o era forse una lei?) sembrava molto più grande di quanto non apparisse nella foto sul giornale, mentre saltava intorno al recinto dei canguri. Non sembrava tanto un cucciolo, quanto piuttosto un canguro in miniatura. La mia ragazza era delusa. “Non è più un cucciolo.” “Certo che lo è” dissi, cercando di rincuorarla. Le misi un braccio attorno alla vita e la accarezzai dolcemente. Scosse la testa. Avrei voluto fare qualcosa per consolarla, ma qualsiasi cosa avessi potuto dire non avrebbe cambiato il fatto principale: il cucciolo di canguro era indubbiamente cresciuto. Così decisi di tacere. Mi diressi verso lo snack bar e comprai due gelati al cioccolato; quando tornai indietro lei stava ancora appoggiata alla gabbia, fissando i canguri. “Non è più un cucciolo” ripetè nuovamente. “Sei sicura?” chiesi porgendole uno dei due coni gelato. “Un cucciolo dovrebbe stare nel marsupio della madre” . Annuii leccando il mio gelato. “Ma non è nel marsupio”. Provammo ad identificare la madre. Il padre si individuava facilmente – era il più grande e calmo dei quattro. Sembrava un compositore il cui talento si è prosciugato e se ne stava immobile, fissando le foglie nel foraggio. Gli altri canguri erano femmine, identiche nella forma, nel colore e nell’espressione. Ognuna delle due avrebbe potuto essere la madre del cucciolo. “Una di loro deve essere la madre e l’altra non lo è” commentai. “Umh”. “Quale secondo te non è la madre?” “Mi hai colto in fallo” disse. Ignaro di quanto stava accadendo, il cucciolo di canguro continuava a saltare attorno al recinto, fermandosi occasionalmente per grattarsi nel fango senza un motivo apparente. Lui/lei trovava molti modi per tenersi occupato. Il cucciolo saltava intorno a dove si trovava il padre, masticava qualche foglia, scavava nel fango, dava noia alle femmine, si sdraiava al suolo e poi riprendeva a saltare ancora un pò. “Perchè i canguri saltano così veloci?” mi chiese. “Per scappare dai loro nemici.” “Che nemici?” “Gli esseri umani” dissi. “Gli uomini li uccidono con i boomerang e poi li mangiano.” “Perchè i cuccioli saltano nei marsupi delle madri?” “Per poter scappare con lei. Loro non sanno saltare veloci.” “Così sono protetti?” “Sì” dissi. “Si proteggono finchè sono piccoli.” “Per quanto tempo si proteggono in quel modo?” Sapevo che avrei dovuto leggere qualcosa sui canguri in un’enciclopedia prima di fare questa piccola gita. Una raffica di domande come queste era del tutto prevedibile. “Un mese o due, immagino.” “Se quel cucciolo ha solo un mese” disse indicando il piccolo canguro, “allora dovrebbe ancora saltare nel marsupio della madre.” “Hmm” dissi. “Penso di sì.” “Non credi che starebbe benissimo dentro a quel marsupio?” “Penso di sì.” Il sole era alto nel cielo a quell’ora e sentivamo le urla di bambini in una piscina lì vicino. Bianche nuvole estive vagavano nel cielo. “Ti va di mangiare qualcosa?” le chiesi. “Un hot-dog ed una coca” disse. Uno studente lavorava al banco degli hot-dog, che aveva la forma di un minivan. Aveva uno stereo portatile dal quale Steve Wonder e Billy Joel mi facevano una serenata mentre aspettavo che gli hot-dog si cuocessero. Quando tornai alla gabbia dei canguri lei mi disse,“Guarda!”, indicando una delle due femmine. “Vedi? E’ dentro il marsupio!” Sicuramente il cucciolo si era rannicchiato nel marsupio della madre (ammesso che fosse la madre). Il marsupio era pieno e due piccole orecchie appuntite e la punta di una coda sbucavano fuori. Era una visione meravigliosa e sicuramente ripagava lo sforzo del nostro viaggio. “Deve essere pesante con il cucciolo dentro” disse. “Non preoccuparti – i canguri sono forti.” “Davvero?” “Certo
che è vero. E’ così che sono sopravvissuti.” Persino con il sole cocente la madre terminato un pomeriggio di shopping al supermercato nella via principale della chic Aoyama e stava facendo una sosta in un caffè nei dintorni. “Sta proteggendo il piccolo, vero?” “Già.” “Mi chiedo se il piccolo sta dormendo.” “Probabilmente.” *** Finimmo i nostri hot dogs, bevemmo e ci allontanammo dalla gabbia dei canguri. Quando ce ne andammo, il canguro maschio stava ancora fissando il cibo in cerca di qualche nota persa. La madre ed il cucciolo erano diventati una cosa sola, quieti nel flusso nel tempo, mentre l’altra femmina misteriosa saltava intorno al recinto come se stesse portando la sua coda in una corsa di prova. Sembrava essere un giorno afoso, il primo da un pò di tempo. “Ehi, vuoi prendere una birra da qualche parte?” disse. “Suona bene” risposi.
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Intervista a Carlos Castaneda
Nel 1960 il giovane antropologo, ancora studente della U.C.L.A., Carlos Castaneda si reca in Messico per la redazione della sua tesi di laurea sulle piante psicotrope. Lì conoscerà un indiano yaqui: Don Juan Matus che, facendo leva sul bisogno di conoscenza delle piante allucinogene del giovane Castaneda, lo introduce pian piano nella via iniziatica dei guerrieri. La vita del giovane antropologo cambia completamente di rotta: da semplice studioso è lui stesso ad essere assorbito dalle pratiche spirituali del maestro indiano fino a divenire lui stesso uno stregone, un vero guerriero, e capo del gruppo degli apprendisti di Don Juan. Il suo racconto è descritto nei libri pubblicati dallo stesso Castaneda, al quale il Time, seppur contestandone la veridicità, dedicò la copertina nel 1973, e descrive l’impatto di un uomo occidentale con i misteri del mondo spirituale, un mondo ampissimo in cui pratiche rituali e meditative si fondono ad elementi magici e stregonici al fine di condurre l’uomo alla sua più alta forma trascendente. I libri di Carlos Castaneda sono: 1968 - Gli insegnamenti di don Juan (anche tradotto come: A Scuola dallo Stregone); 1971 - Una realtà separata; 1972 - Viaggio a Ixtlan; 1974 - L’Isola del Tonal; 1977 - Il Secondo Anello del Potere; 1981 - Il Dono dell’Aquila; 1984 - Il Fuoco dal Profondo; 1987 - Il Potere del Silenzio; 1993 - L’arte di Sognare; 1997 - Tensegrità; 1997 - Il lato attivo dell’infinito ; 1998 - La Ruota del Tempo.
di Daniel Trujillo Rivas
per la rivista Uno Mismo, Cile ed Argentina, Febbraio 1997, pubblicato con il permesso di Uno Mismo. Copyright 1997 Laugan Productions. Domanda: Signor Castaneda, per anni lei è rimasto in assoluto anonimato. Che cosa la ha spinto a cambiare questa condizione e a parlare pubblicamente degli insegnamenti che lei e le sue tre compagne avete ricevuto dal nagual Juan Matus? Risposta: Ciò che ci obbliga a diffondere le idee di don Juan Matus è la necessità di chiarire cosa ci insegnò. Per noi questo è un compito che non può essere più rimandato. Le altre tre sue allieve ed io abbiamo raggiunto la conclusione unanime che il mondo in cui don Juan Matus ci introdusse è nelle possibilità percettive di tutti gli esseri umani. Abbiamo discusso tra noi su quale fosse la strada corretta da prendere. Rimanere nell’anonimato come ci aveva proposto don Juan? Non era un’opzione accettabile. L’altra strada possibile era di divulgare le idee di don Juan: una scelta molto più pericolosa e impegnativa, ma l’unica che, noi riteniamo, abbia la dignità con cui don Juan ha permeato tutto il suo insegnamento. D: Considerando ciò che lei ha detto circa l’imprevedibilità delle azioni di un guerriero, che noi abbiamo corroborato per tre decadi, possiamo aspettarci che questa fase pubblica duri per un pò? Fino a quando? R: Non c’è modo per noi di stabilire un criterio temporale. Noi viviamo secondo le premesse proposte da don Juan e non ce ne discostiamo mai. Don Juan Matus ci fornì il formidabile esempio di un uomo che viveva secondo ciò che diceva. E dico che è un esempio formidabile perché è la cosa più difficile da emulare; essere monolitici e allo stesso tempo avere la possibilità di fronteggiare qualsiasi cosa. Questo era il modo in cui don Juan visse la sua vita. Date queste premesse, l’unica cosa che si può essere è un mediatore impeccabile. Non si è giocatori in questa cosmica partita a scacchi, si è solo pedine sulla scacchiera. Ciò che decide tutto è un’energia consapevole ed impersonale che gli stregoni chiamano Intento o lo Spirito.
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INTERVISTA A CARLOS CASTANEDA
ciò che don Juan mi presentò può applicarsi solo ad una situazione che richiede azione totale, in queste circostanze, avviene molto poco o quasi nulla di preconcetto. Non sono mai riuscito a trarre delle conclusioni circa lo sciamanismo perché per farlo bisogna essere membri attivi nel mondo degli sciamani. Per uno scienziato sociale, diciamo per esempio un sociologo, è molto semplice arrivare a conclusioni sociologiche riguardo qualsiasi soggetto relazionato con il mondo occidentale, perché il sociologo è un membro attivo del mondo occidentale. Ma come può un antropologo, che passa al massimo due anni studiando altre culture, arrivare a conclusioni sicure a quel riguardo? Ci vuole una vita per poter acquisire l’appartenenza ad un mondo culturale. Io ho lavorato per più di trent’anni nel mondo cognitivo degli sciamani dell’antico Messico e, sinceramente, non credo che ciò mi permetterebbe di trarre delle conclusioni o addirittura di proporle. Ho discusso di questo con persone di diverse discipline e loro sembrano capire ed essere d’accordo con le premesse che sto presentando. Ma poi si girano e dimenticano ogni cosa sulla quale avevano convenuto e continuano a sostenere principi accademici “ortodossi”, senza preoccuparsi della possibilità di un errore assurdo nelle loro conclusioni. Il nostro sistema cognitivo sembra essere impenetrabile. D: Qual’è lo scopo di non permettere di essere fotografato, di registrare la sua voce o rendere noti i suoi dati biografici? Questo potrebbe influire su ciò che lei ha raggiunto nel suo lavoro spirituale e se sì, come? Non pensa che sapere chi lei sia veramente potrebbe essere utile per alcuni sinceri ricercatori della verità come modo di corroborare che è veramente possibile seguire il sentiero che lei promulga.? R: In riferimento alle fotografie e ai dati personali, le altre tre apprendiste di don Juan ed io stesso seguiamo le sue istruzioni. Per uno sciamano come don
D: Per quanto ho potuto constatare, l’antropologia ortodossa, così come i presunti difensori dell’eredità culturale pre-colombiana dell’America, minano la credibilità del suo lavoro. La convinzione che il suo lavoro sia semplicemente il prodotto del suo talento letterario, che, in ogni caso, è eccezionale, oggi continua ad esistere. Anche in altri ambiti la accusano di avere doppi valori perché, presumibilmente, la sua vita e le sue attività contraddicono ciò che la maggioranza si aspetta da uno sciamano. Come può dissipare questi sospetti? R: Il sistema cognitivo dell’uomo occidentale ci costringe a fare affidamento su idee preconcette. Noi basiamo i nostri giudizi su qualcosa che è sempre “a priori”, per esempio l’idea di ciò che è “ortodosso”. Che cosa è l’antropologia ortodossa? Quella insegnata nelle sale di conferenza universitarie? Qual’è il comportamento di uno sciamano? Mettersi piume sulla testa e ballare per gli spiriti? Sono trenta anni che la gente accusa Carlos Castaneda di aver creato un personaggio letterario solo perché ciò che riporto non concorda con gli Juan, la principale idea dietro l’astenersi dal | Camicia in seta viola , motivo plissé sul collo, CARTA & COSTURA | Pantalone sigaretta nero “a priori” antropologici, le idee stabilite nelle aule rivelare i dati personali è molto semplice. in tessuto stretch di gabardine,con zip, VICTOR VICTORIA | Anello in filo in argento colorato o sul campo di lavoro antropologico. In ogni caso E’ imperativo lasciare da parte quello che nero, motivo fiore, CALGARO |
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tendenza a dominare e trasformare ogni cosa venga presentata loro e adattarla alle loro proprie ideologie. Se non fosse per il sincero interesse di Cleargreen, Laugan Productions e Toltec Artists, ogni cosa detta da don Juan a quest’ora sarebbe stata trasformata in qualcos’altro. D: C’è un gran numero di persone che in un modo o nell’altro, “si attaccano” a lei per acquisire pubblica notorietà. Qual’è la sua opinione riguardo alle azioni di Victor chiamava “storia personale”. Allontanarsi dal “me” Sanchez, che ha interpretato e riorganizzato è qualcosa di estremamente fastidioso e difficile. i suoi insegnamenti per elaborare una Ciò che gli sciamani come don Juan cercano è teoria personale? E dell’asserzione di Ken uno stato di fluidità dove il “me” personale non Eagle Feather che è stato scelto da don conta. Egli credeva che l’assenza di fotografie Juan per essere il suo discepolo, e che don e dati personali influisca su chiunque entri in Juan tornò indietro solo per lui? questo campo di azioni in modo positivo, sebbene R: Effettivamente c’è un gran numero subliminale. Noi abbiamo l’incessante abitudine di persone che si autodefiniscono miei di usare fotografie, registrazioni e dati personali, studenti o studenti di don Juan, persone ognuno dei quali nasce dall’idea di importanza che non ho mai incontrato e che, posso personale. Don Juan diceva che è meglio non garantire, don Juan non incontrò mai. Don sapere nulla di uno sciamano; in questo modo Juan Matus era interessato esclusivamente invece di incontrare una persona, si incontra alla perpetuazione del suo lignaggio un’idea che può essere sostenuta; l’opposto di ciò di sciamani. Ebbe quattro apprendisti che succede nel mondo quotidiano dove abbiamo che sono qui ancora oggi. Ne ebbe altri di fronte solo persone che hanno numerosi che partirono con lui. Don Juan non era problemi psicologici ma non idee, tutte queste interessato all’insegnamento della sua persone piene fino all’orlo di “io, io, io”. conoscenza; la insegnò ai suoi discepoli D: Coloro che la seguono, come dovrebbero perché continuassero il suo lignaggio. Dato interpretare la pubblicità e l’infrastruttura che non possono continuare il lignaggio, commerciale a lato del suo lavoro letterario i suoi quattro discepoli sono obbligati a e che circonda la conoscenza che lei e i suoi divulgare le sue idee. compagni diffondete? Qual’è la sua vera Il concetto di un maestro che insegna la relazione con Cleargreen, Incorporated e le altre sua conoscenza è parte del nostro sistema società (Laugan Productions, Toltec Artists)? Sto cognitivo ma non è parte del sistema parlando di un legame commerciale. cognitivo degli sciamani del Messico R: A questo punto nel mio lavoro ho avuto antico. Insegnare era assurdo per loro. bisogno di qualcuno capace di rappresentarmi Trasmettere la sua conoscenza a quelli che in relazione alla diffusione delle idee di don Juan avrebbero perpetuato il loro lignaggio era Matus. Cleargreen è una società che ha grandi una questione differente. affinità con il nostro lavoro, così come Laugan Il fatto che ci sia un numero di individui Productions e Toltec Artists. L’idea di diffondere che insistono ad usare il mio nome o il gli insegnamenti di don Juan nel mondo moderno nome di don Juan è semplicemente una implica l’uso di mezzi commerciali e artistici facile manovra per trarre dei vantaggi senza che non sono alla mia personale portata. Come troppo sforzo. società aventi una affinità con le idee di don Juan, D: Consideriamo che la parola “spiritualità” Cleargreen, Laugan Productions e Toltec Artists significhi stato di coscienza in cui gli sono capaci fornire i mezzi per divulgare ciò motivo ruches, VICTOR VICTORIA | Collant | Tubino nerodismanicato in tessuto stretch con esseri umani sono pienamente in grado di che vogliocuciture divulgare. neroiosenza semiopaco- coprente, WOLFORD | Decolleteè in camoscio nero, CESARE controllare i potenziali della specie qualcosa Nelle società impersonali c’èfilo sempre una PACIOTTI | Foulard girocollo in argento coloratoraggiungibile giallo, motivodalla fiore,trascendenza CALGARO | della
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semplice condizione animale attraverso una dura preparazione psichica, morale e intellettuale. E’ d’accordo con questa asserzione? Com’ è integrato il mondo di don Juan in questo contesto? R: Per don Juan Matus, uno sciamano pragmatico ed estremamente sobrio, “spiritualità” era un’idealità vuota, un’asserzione senza basi che noi crediamo essere molto bella perché è rivestita di concetti letterari ed espressioni poetiche, ma che non va mai oltre quello. Gli sciamani come don Juan sono essenzialmente pratici. Per loro esiste solo un universo predatorio in cui intelligenza o consapevolezza sono il prodotto di sfide di vita o di morte. Egli si considerava un navigatore dell’infinito e diceva che per navigare nell’ignoto, come fa uno sciamano, si ha bisogno di pragmatismo illimitato, sconfinata sobrietà e fegato d’acciaio. In vista di tutto questo, don Juan credeva che la “spiritualità” fosse semplicemente una descrizione di qualcosa di impossibile da raggiungere all’interno degli schemi del mondo della vita quotidiana, e che non fosse un vero modo di agire. D: Lei ha sottolineato che la sua attività letteraria, così come quella di Taisha Abelar e di Florinda Donner-Grau, è il risultato delle istruzioni di don Juan. Qual’è lo scopo di questo? R: Lo scopo di scrivere quei libri fu dato da don Juan. Egli asserì che anche se non si è scrittori si può scrivere, ma lo scrivere è trasformato da azione letteraria in azione sciamanistica. Ciò che decide il soggetto e lo svolgimento di un libro, non è la mente dello scrittore ma piuttosto una forza che gli sciamani considerano essere la base dell’universo, e che loro chiamano intento. E’ l’intento che decide la produzione di uno sciamano, che sia letteraria o di qualsiasi altro genere. Secondo don Juan un praticante di sciamanismo, ha il dovere e l’obbligo di saturare se stesso con tutte le informazioni possibili. Il lavoro degli sciamani è di informarsi accuratamente su ogni cosa che potrebbe avere relazione con argomenti di loro interesse. L’atto sciamanistico consiste
nell’abbandonare tutto l’interesse nel dirigere il corso delle informazioni prese. Don Juan era solito dire: “Ciò che organizza le idee che erompono da una tale fonte di informazioni non è lo sciamano, è l’intento. Lo sciamano è semplicemente un condotto impeccabile.” Per don Juan scrivere era soltanto una sfida sciamanistica, non un compito letterario. D: Se lei mi permette di asserire ciò che segue, il suo lavoro letterario presenta concetti che hanno stretta relazione con insegnamenti filosofici orientali, ma contraddice ciò che comunemente si conosce circa la cultura indigena messicana. Quali sono le similitudini e le differenze tra l’una e l’altra? R: Non ne ho la minima idea. Non sono un esperto di nessuna delle due. Il mio lavoro consiste in un rapporto fenomenologico sul mondo cognitivo al quale don Juan Matus mi introdusse. Dal punto di vista della fenomenologia come metodo filosofico, è impossibile fare asserzioni che siano relazionate al fenomeno in esame. Il mondo di don Juan è così vasto, così misterioso e contraddittorio, che non si presta ad un esercizio di esposizione lineare; il massimo che si può fare è descriverlo, e anche solo questo è uno sforzo supremo. D: Presupponendo che gli insegnamenti di don Juan siano diventati parte della letteratura occulta, qual’è la sua opinione circa altri insegnamenti in questa categoria, per esempio la filosofia massonica, il Rosacrucianesimo, l’Ermetismo e discipline come la Cabala, i Tarocchi e l’Astrologia quando le compariamo al nagualismo? Ha mai avuto o mantiene qualche contatto con qualcuna di queste o con i loro devoti? R: Ancora una volta, non ho la minima idea di quali siano le premesse, o i punti di vista e i soggetti di queste discipline. Don Juan ci presentò il problema di navigare nell’ignoto e questo richiede tutto il nostro sforzo disponibile.
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D: Alcuni concetti del suo lavoro, come il punto d’assemblaggio, i filamenti energetici che costituiscono l’universo, il mondo degli esseri inorganici, l’intento, l’agguato e il sognare, hanno un equivalente nella conoscenza occidentale? Per esempio, ci sono alcune persone che ritengono che l’uomo visto come uovo luminoso sia un modo di definire l’aura. R: Per quanto ne so, nulla di ciò che don Juan ci insegnò sembra avere una controparte nella conoscenza occidentale. Una volta, quando don Juan era ancora qui, passai un anno intero in cerca di guru, maestri e saggi che mi dessero un accenno di ciò che stavano facendo. Volevo sapere se c’era qualche cosa al mondo in quel tempo simile a ciò che don Juan diceva e faceva. Le mie risorse erano molto limitate e mi portarono solo ad incontrare maestri celebrati che avevano milioni di seguaci e sfortunatamente non trovai alcuna similitudine. D: Concentrandosi specificatamente sul suo lavoro letterario, i suoi lettori trovano differenti Carlos Castaneda. Prima troviamo uno studioso occidentale un pò incompetente, permanentemente confuso dal potere di vecchi indiani come don Juan e don Genaro (principalmente in A Scuola dallo Stregone, Una Realtà Separata, Viaggio a Ixtlan, L’Isola del Tonal, ed Il Secondo Anello del Potere). Più tardi troviamo un apprendista esperto in sciamanismo (ne Il Dono dell’Aquila, Il Fuoco dal Profondo, e particolarmente ne L’Arte del Sognare). Se lei è d’accordo con questa valutazione, quando e come cessò di essere l’uno per divenire l’altro? R: Non mi considero uno sciamano o un maestro, o uno studente di sciamanismo ad un livello avanzato; n´ mi considero un antropologo o uno scienziato sociale nel mondo occidentale. Le mie presentazioni sono state tutte descrizioni di un fenomeno che è impossibile discernere sotto le condizioni della conoscenza lineare del mondo occidentale . Non potrei mai spiegare cosa don Juan mi stava insegnando in termini di causa ed effetto.
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Non c’era modo di predire cosa stesse per dire o cosa stesse per succedere. In tali circostanze, il passaggio da uno stato all’altro è soggettivo, e non qualcosa di elaborato, premeditato o un prodotto di saggezza. D: Si possono trovare episodi nel suo lavoro letterario che sono veramente incredibili per la mente occidentale. Come può chi non è un iniziato verificare che tutte quelle “realtà separate” sono reali come lei dichiara? R: Può essere facilmente verificato coinvolgendo il proprio intero corpo invece della sola mente. Non si può entrare nel mondo di don Juan intellettualmente, come un dilettante che cerca conoscenza veloce e rapida. Né, nel mondo di don Juan, nulla può essere verificato con certezza. La sola cosa che possiamo fare è di arrivare ad uno stato di consapevolezza accresciuta che ci permetta di percepire il mondo intorno a noi in una maniera più inclusiva. In altre parole, la meta dello sciamanismo di don Juan è di rompere i parametri della percezione storica e quotidiana e di percepire l’ignoto. Questo è il motivo per cui egli si definiva un navigatore dell’infinito. Asseriva che l’infinito si trova dietro i parametri della percezione quotidiana. Rompere questi parametri era lo scopo della sua vita. Poiché era uno sciamano straordinario, egli instillò quel medesimo desiderio in tutti e quattro noi. Ci forzò a trascendere l’intelletto ed incorporare il concetto di rompere i parametri della percezione storica. D: Lei asserisce che la caratteristica basilare degli esseri umani è di essere “percettori di energia”. Si riferisce al movimento del punto d’assemblaggio come a un fattore necessario per percepire l’energia direttamente. Come può questo essere utile ad un uomo del 21° secolo? Secondo i concetti definiti precedentemente, come può il conseguimento di questa meta aiutare il progresso spirituale di qualcuno? R: Gli sciamani come don Juan asseriscono che tutti gli esseri umani hanno la capacità di vedere l’energia direttamente così come fluisce nell’universo. Credono che il punto d’assemblaggio,
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come lo chiamano, è un punto che esiste nella sfera totale di energia dell’uomo. In altre parole, quando uno sciamano percepisce un uomo come energia che fluisce nell’universo, vede una palla luminosa. In quella palla luminosa, lo sciamano può vedere un punto di maggiore brillantezza, situato all’altezza delle scapole, approssimativamene ad un braccio di distanza dietro di esse. Gli sciamani sostengono che la percezione viene assemblata in questo punto; che l’energia che fluisce nell’universo viene qui trasformata in dati sensoriali, e che i dati sensoriali vengono poi interpretati, dando come risultato il mondo della vita quotidiana. Gli sciamani asseriscono che ci viene insegnato a interpretare, e di conseguenza a percepire. Il valore pragmatico di percepire l’energia direttamente come fluisce nell’universo è lo stesso per un uomo del 21° secolo o per un uomo del 1° secolo. Gli permette di allargare i limiti della sua percezione e di usare questo accrescimento all’interno del suo mondo. Don Juan diceva che sarebbe straordinario vedere direttamente la meraviglia dell’ordine e del caos dell’universo. D: Lei ha presentato recentemente una disciplina fisica chiamata Tensegrità. Può spiegare che cosa è esattamente? Qual’è il suo scopo? Quale beneficio spirituale può ottenere una persona che la pratica individualmente? R: Secondo ciò che don Juan Matus ci insegnò, gli sciamani che vissero nel Messico antico scoprirono una serie di movimenti che quando eseguiti dal corpo determinavano un tale benessere fisico e mentale che decisero di chiamare quei movimenti passi magici. Don Juan ci disse che attraverso i loro passi magici, quegli sciamani raggiunsero un accresciuto livello di coscienza che permise loro di realizzare indescrivibili prodezze di percezione. Nel corso delle generazioni, i passi magici furono insegnati solamente a praticanti di sciamanismo. I movimenti furono circondati da enorme segretezza e rituali complessi. Questo è il modo in cui don Juan li imparò e questo è il modo in cui li insegnò ai suoi quattro apprendisti. Il nostro sforzo è stato di estendere l’insegnamento di tali passi magici a chiunque volesse
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impararli. Li abbiamo chiamati Tensegrità, e li abbiamo trasformati da specifici movimenti pertinenti solo ad ognuno dei quattro discepoli di don Juan, a movimenti generali adatti a tutti. Praticare la Tensegrità, individualmente o in gruppo, promuove salute, vitalità, giovinezza e un senso generale di benessere. Don Juan diceva che praticare i passi magici aiuta ad accumulare l’energia necessaria ad aumentare la consapevolezza e ad espandere i parametri della percezione. D: Oltre alle sue tre compagne, la gente che partecipa ai suoi seminari, ha incontrato altre persone, come le Chacmools, le Inseguitrici dell’Energia, gli Elementi, l’Esploratore Azzurro.....chi sono? Sono parte di una nuova generazione di veggenti guidati da lei? Se così fosse, come si può diventare parte di questo gruppo di apprendisti? R: Ognuna di queste persone è un essere specifico che don Juan Matus, come guida del suo lignaggio, ci chiese di aspettare. Predisse l’arrivo di ognuno di loro come parte integrale di una visione. Poiché il lignaggio di don Juan non poteva continuare, a causa della configurazione energetica dei suoi quattro studenti, il loro compito fu trasformato dal perpetuare il lignaggio al chiuderlo, se possibile con una fibbia d’oro. Noi non siamo nella posizione di cambiare queste istruzioni. N´ possiamo cercare o accettare apprendisti o membri attivi della visione di don Juan. L’unica cosa che possiamo fare è di accettare i disegni dell’Intento. Il fatto che i passi magici, protetti con tale gelosia per così tante generazioni, oggi vengano insegnati, è prova che si può davvero in maniera indiretta, divenire parte di questa nuova visione attraverso la pratica della Tensegrità e seguendo le premesse della via del guerriero. D: In Lettori dell’Infinito, lei ha usato il termine “navigare” per definire ciò che fanno gli stregoni. State issando le vele per cominciare presto il viaggio definitivo? Il lignaggio dei guerrieri toltechi custodi di questa conoscenza, finirà con voi?
R: Si, è esatto, il lignaggio di don Juan finisce con noi. D: C’è una domanda che mi sono posto spesso: la strada del guerriero include come fanno altre discipline, lavoro spirituale per coppie? R: La strada del guerriero include tutto e tutti. Ci può essere un’intera famiglia di guerrieri impeccabili. La difficoltà si trova nel terribile fatto che le relazioni individuali sono basate su investimenti emotivi, e nel momento in cui il praticante mette veramente in pratica ciò che lei/lui ha imparato, la relazione si frantuma. Nel mondo di ogni giorno, gli investimenti emozionali normalmente non sono esaminati, e viviamo un’intera vita aspettando di essere ricambiati. Don Juan disse che ero un investitore duro a morire e che il mio modo di vivere e provare sentimenti poteva essere descritto semplicemente: “Io do solo ciò che gli altri mi danno.” D: Quale aspirazione di un possibile miglioramento dovrebbe avere qualcuno che desideri lavorare spiritualmente secondo la conoscenza divulgata nei suoi libri? Che cosa raccomanderebbe a coloro che desiderano praticare gli insegnamenti di don Juan da soli? R: Non c’é modo di porre un limite su ciò che si può realizzare individualmente se l’intento è un intento impeccabile. Gli insegnamenti di don Juan non sono spirituali. Lo ripeto perché la questione è emersa più e più volte. L’idea di spiritualità non calza con la disciplina di ferro di un guerriero. La cosa più importante per uno sciamano come don Juan, è l’idea di pragmatismo. Egli distrusse le mie velleità e mi fece vedere che, da vero uomo occidentale, non ero né pragmatico né spirituale. Arrivai a capire che ripetevo la parola “spiritualità” per contrastarla con l’aspetto mercenario del mondo della vita quotidiana. Volevo fuggire dal mercantilismo del mondo della vita di ogni giorno ed il forte desiderio di fare questo lo chiamavo
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spiritualità. Realizzai che don Juan aveva ragione quando pretendeva che arrivassi ad una conclusione; di definire ciò che consideravo spiritualità. Non sapevo di che cosa stessi parlando. Quello che sto dicendo potrebbe suonare presuntuoso, ma non c’è altro modo di dirlo. Ciò che uno sciamano come don Juan vuole è aumentare la consapevolezza, cioè essere capaci di percepire con tutte le possibilità umane di percezione; questo implica un compito colossale ed uno scopo inflessibile, che non può essere rimpiazzato dalla spiritualità dell’uomo occidentale. D: C’è qualcosa che lei vorrebbe spiegare alla gente sud-americana, in special modo ai cileni? Vorrebbe fare qualche altra dichiarazione in aggiunta alle sue risposte alle nostre domande? R: Non ho nulla da aggiungere. Tutti gli esseri umani sono allo stesso livello. All’inizio del mio apprendistato, don Juan Matus provò a farmi vedere come la situazione dell’uomo fosse comune a tutti. Io, da sudamericano, ero molto coinvolto, intellettualmente, con l’idea della riforma sociale. Un giorno rivolsi a don Juan quella che pensavo fosse una domanda assoluta: Come può rimanere impassibile di fronte alla situazione terribile dei suoi compagni uomini, gli indiani yaqui di Sonora? Sapevo che una certa percentuale della popolazione yaqui soffriva di tubercolosi e che, a causa della loro situazione economica, non potevano curarsi. “Sì”, disse don Juan, “E’ una cosa molto triste ma, vedi, anche la tua situazione è molto triste, e se credi di essere in condizioni migliori degli indiani yaqui, ti stai sbagliando. In generale la condizione umana è in un orrendo stato di caos. Nessuno sta meglio di un altro. Siamo tutti esseri che stanno andando a morire e, a meno di essere consapevoli di questo, per noi non c’è rimedio.” Questo è un’altro punto del pragmatismo degli sciamani: divenire consapevoli che siamo esseri che stanno andando a morire. Essi dicono che quando impariamo questo, tutto acquista un ordine e una misura trascendentali.
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Provos la rivolta contro il conformismo di Francesca Eleuteri Il periodo degli anni sessanta in Olanda è caratterizzato politicamente da un rigido compromesso tra le diverse forze religiose, economiche e sociali del paese, un sistema definito Zuilen, ovvero dei Quattro Pilastri che sono Capitale, Sindacato, Cattolici e Protestanti. Nel giugno 1965 i Provos, annunciando l’uscita del loro giornale, pubblicavano il loro manifesto programmatico: PROVO è un foglio mensile per anarchici, provos, beatniks, nottambuli, arrotini, avanzi di galera, semplici simoni stiliti, maghi, pacifisti, mangiatori di patatine fritte, ciarlatani, filosofi, portatori di germi, stallieri reali, esibizionisti, vegetariani, sindacalisti, babbi natale, maestri d’asilo, agitatori, piromani, assistenti dell’assistente, gente che si gratta e sifilitici, polizia segreta e altra plebaglia del genere. Il movimento diede vita ad una rivoluzione che “non aveva nessun motivo concreto per protestare”, citando le parole di Aad Nuis, docente universitario che studiò il fenomeno. La risposta sta nel fatto che, in un paese come l’Olanda, considerato un’oasi di benessere e tranquillità, si sentì il bisogno di cancellare o, quantomeno, di mettere in crisi, l’esistenza stessa di questo ordine precostituito. QUESTO LIBRO IN FORMATO DIGITALE PUOI TROVARLO ALL’INDIRIZZO WWW.VOLUMEEDIZIONI.COM/EBOOK
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Il drago e il poeta di Miyazawa Kenji traduzione Massimo Cimarelli La storia del poeta Suldatta e del suo incontro con il drago Chanata in un’atmosfera magica tra gare di poesia giapponese e buddismo esoterico. “D’ora in poi l’arte sarà religione, la religione sarà l’arte” - Miyazawa Kenji “Lo scopo del lavoro di tutta la mia vita è stato di consegnare questo libro sacro nelle tue mani, e di renderti capace di entrare nel Nobilissimo Sentiero mettendoti in contatto con l’insegnamento del Buddha.” Questa la nota che nel letto di morte Kenji chiede al padre di scrivere sulle copie, destinate ai suoi amici, della traduzione giapponese del Sutra del Loto. Riecheggiano le parole dello stesso Buddha “faccio ciò solo perché essi possano acquisire l’ Unico Veicolo del Buddha e la conoscenza di ogni modalità” . L’ intera esistenza di Miyazawa Kenji, (18961933) è la vita di agisce per il bene delle persone utilizzando completamente le proprie capacità individuali e consacrando generosamente il proprio talento ad aiutare gli altri contribuendo al progresso sociale. Il poeta giapponese ha dedicato le sue fiabe, tra cui Il Drago e il Poeta , prevalentemente ai bambini ritenuti gli unici ancora in grado di coglierne con immediatezza e semplicità il messaggio universale celato al loro interno. QUESTO LIBRO IN FORMATO DIGITALE PUOI TROVARLO ALL’INDIRIZZO WWW.VOLUMEEDIZIONI.COM/EBOOK
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di Francesca Eleuteri Attraverso la recente valutazione estetica, l’arte e la natura ritrovano un equilibrio finora messo in discussione da sterili questioni gerarchiche che hanno ridotto il problema, il più delle volte, alla derivazione dell’una dall’altra e viceversa. L’estetica del Novecento torna ad interrogarsi sulla bellezza naturale, dopo una campagna antinaturalista portata avanti con forza da intellettuali che volevano rompere con le tradizioni, con quegli argomenti considerati stantii. La percezione dei fenomeni naturali e la contemplazione che ne deriva hanno un rapporto strettamente connesso con la sensibilità dell’uomo verso l’ambiente in cui è inserito: la capacità umana di intervenire sulla natura modificandola alterando il luogo e imprimendo la cultura a seconda del popolo che lo abita, rende la stessa natura un “paesaggio culturale”. Esempio paradigmatico è l’esperienza olandese. “L’Olanda ha sempre conteso alla natura il suo diritto all’esistenza, d’altra parte, l’artificialità del paesaggio corrisponde alla consapevolezza della labilità dei confini tra natura e artificio e l’idea che la terra, da coltivare o da edificare, non è un dono ma il risultato di un ingegnoso processo tecnologico, genera una stimolante sensazione di “manipolabilità” del territorio, anche quando questo viene conformato ai modi pittoreschi di una sorta di “parco a tema” ispirato al passato” .
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Art | Nature Indice e argomenti del testo: Introduzione I. Paesaggio e ambiente: Estetica del paesaggio - Storia del
bello naturale - Il paesaggio come identità estetica dei luoghi - Il genius loci o “spirito del luogo” - Il giardino come forma d’arte ambientale - Classificazione delle forme d’arte ambientale II. Il rapporto tra arte, natura e paesaggio in Olanda: Paesaggio, ambiente, architettura - Storia dell’architettura del paesaggio e dei giardini in Olanda: 1900-2003 – L’organizzazione del territorio - Analisi della concezione del paesaggio in Olanda | Arte e natura - L’arte olandese in rapporto al paesaggio - Provos: la rivolta contro il conformismo - Le prime forme di arte ambientale in Olanda - Land Art - Art in Nature III. Parchi-museo, ecomusei e percorsi di arte ambientale in Olanda | Il Kröller- Müller Museum - La struttura architettonica nel Parco Nazionale De Hoge Veluwe - La collezione del Kröller-Müller Museum - Lo sculpture garden - Giuseppe Penone | Il Groninger Museum -Nascita e sviluppo del progetto - Mendini e la sintesi delle arti - La struttura architettonica | Percorso di arte ambientale a Zeewolde: De Verbeelding - Zeewolde arte paesaggio natura - Kunstmatige natuurlijke netwerken/Artificial natural networks - L’arte ambientale nella regione del Flevoland | Gli ecomusei olandesi - Definizione di “ecomuseo” - Lo Openluchtmuseum di Arnhem - Il centro Water Land di Neeltje Jans - Lo Zuiderzeemuseum di Enkhuisen - Il Nieuw Land Poldermuseum di Lelystad | Amsterdam/Rotterdam/Delft: interventi di architettura del paesaggio urbano - Il Museumplein di Amsterdam - Il Museumpark di Rotterdam - La biblioteca nella città universitaria di Delft - Bibliografia QUESTO LIBRO IN FORMATO DIGITALE PUOI TROVARLO ALL’INDIRIZZO WWW.VOLUMEEDIZIONI.COM/EBOOK
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Volume artemodacultura Mensile Reg. Trib. Roma N. 139/2008 del 27/03/2008 Sped. in abb. post. Art. 2 Comma 20/B Legge 662/96 Free Press Publisher: Volume edizioni s.r.l. Tutti i diritti riservati Materiali, comunicati e richieste vanno indirizzati a: Redazione Volume Edizioni s.r.l. Via Enrico Mancini, 39 00135 Roma info@volumeedizioni.com www.volumeedizioni.com www.myspace.com/volumeedizioni www.volumechannel.tv Direttore Responsabile Antonella Monti Direttore Editoriale Massimo Cimarelli Responsabile Arte Francesca Eleuteri Responsabile Moda e Fotografia Daniele Porroni Responsabile Cultura Vienna Eleuteri Collaboratori Giorgia Aniballi, Alessandra Eleuteri, Leopolda Ficca, Anna Teresa Peruzzi, Giampiero Plini, Veronica Pinzuti, Daniele Ricci. Pubblicità adv@volumeedizioni.com Stampa Graffietti Stampati S.n.c. S.S. Umbro Casentinese km 4,500 01027 - Montefiascone (Viterbo) Italy La fotografia della testata è di Daniele Porroni I materiali inviati in redazione non verranno restituiti, tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale di contenuti ed elaborati grafici
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