n 38 2/3-2013
L’EDITORIALE//
Questo numero è dedicato alle scarpe. Troverete un sacco di calzature da uomo e da donna. Sneakers e classiche. Come sapete noi di Wait ci siamo sempre sentiti investiti da una missione: scoprire e monitorare i migliori talenti emergenti. E’ per questo che abbiamo deciso di intervistare i due nuovi marchi italiani di calzature a nostro giudizio più interessanti del momento: You Footwear e Finale Unlimited. Storicamente l’Italia è stata, con i suoi designer e le sue imprese artigiane, la culla della calzatura di alto livello. Dopo l’avvento della globalizzazione, dopo tanti anni bui dovuti alle delocalizzazioni per abbattere i costi, sentiamo più che mai, dopo aver viaggiato a lungo, che, a livello internazionale e in particolare sui mercati emergenti come la Cina e la Russia, il valore del made in Italy si sta riaffermando sempre più forte. Ovviamente la qualità e il design devono andare di pari passo. Ma si aprono importanti scenari per chi avrà le capacità di realizzare prodotti di alto livello e di trovare i canali di comunicazione più adatti. Anche per i nostri talenti emergenti. Diversi numeri fa abbiamo manifestato la volontà di creare con Wait un collegamento tra noi e la Cina. E’ un cammino complicato perchè spesso è difficile trovare gli interlocutori giusti. Ma continuiamo a lavorare per questo e ora possiamo dirvi che iniziamo a sentirci sulla strada giusta nella speranza, presto, di essere anche noi un piccolo ponte per far conoscere il meglio dei talenti nostrani e, perchè no, per far conoscere nel nostro paese il meglio dei talenti orientali. Stay tuned.
Marco Bianchi Aut. del Tribunale di Pavia n. 3/2012 registro stampe cartaceo del 26/1/2012 Nessuna parte di questo periodico può essere riprodotta senza l’autorizzazione scritta dei proprietari. La direzione non si assume alcuna responsabilità per marchi, foto e slogan usati dagli inserzionisti, né per cambiamenti di date, luoghi e orari degli eventi segnalati. Wait! è un marchio registrato www.waitmag.com - www.waitfashion.com www.waitmusic.com - www.waitgreen.com info@waitmag.com
Wait! talenti e avanguardie creative
Quadrimestrale illustrato di Arte, Moda, Musica e Tendenze a distribuzione gratuita Febbraio-Marzo 2013 Anno VIII - Numero 38 Direttore Responsabile Maurizio Scorbati Direttore Editoriale Marco Bianchi marco@waitmag.com Caporedattore Annalisa K.Varesi annalisa@waitmag.com Redazione Pierpaolo Bironi, Iucu, Manuela Pizzichi, Marco Goi, Francesca Bello Hanno collaborato Giovanni Fossati, Luca Ceccarelli Graphic & Art Director Annalisa K.Varesi Pubblicità Wait Media srl info@waitmag.com LA COPERTINA E’ REALIZZATA DA SALVATORE PALAZZO Editore Wait Media srl Stampa Pinelli Printing srl
di francesca bello
tech_app world
World instagram
app
istruzioni per l’uso Instagram non ha bisogno di presentazioni. Con più di 15 milioni di iscritti cavalca l’onda dei social più usati nel mondo. Ma quali sono i consigli utili per sfruttare al meglio le sue potenzialità? Seguire l’account ufficiale dell’applicazione @instagram è un buon punto di partenza: è possibile farsi un’idea sul concetto di modifiche e condivisione delle proprio foto, sfogliare quelle più belle degli utenti più famosi e partecipare ai vari contest. Sicuramente essere autentici, postare foto di qualità, originali e gradevoli. Cercare di trovare un proprio stile o dei soggetti che ci attraggono particolarmente. Seguire le persone che fotografano qualcosa che ci interessa, la ricerca funziona come su Twitter tramite #. Interagire con likes e commenti alle foto delle persone che seguiamo, e postare 1/2 foto al giorno oppure ogni 5 o 6 ore, con i tag corretti. Quello che invece non andrebbe fatto è seguire troppe persone senza conoscerle, perché non si crea una rete ma solo l’effetto “follow-back” (di cortesia), che si trasformano in persone non interessate al nostro feed che quindi non saranno attive con commenti e like. Inoltre non abusare dei tag, soprattutto quelli messi a caso, che non servono a nulla.
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Fondamentale per essere scrivere sulle foto, con una seguiti è implementare le selezione di font tipografici funzionalità di Instagram che effettivamente fanno la differenza. con una delle tantissime app di editing che permettono di migliorare e customizzare la foto originale. Personalmente suggerisco: per iOS:
Camera +, Snapseed, Filterstor, Colour Touch Effects per Android:
Cartoon Camera, Snaptastic per Windows Phone:
Photo Splash, Metrogram
editing: le migliori
App
Se oltre alle foto volete creare qualcosa di più esistono app iOS per creare collage come Photo Collage, Pic Collage e Overgram, definita la migliore applicazione per
La numero #1 Wood Camera - Vintage Photo Editor. A pagamento (costa 0,89centesimi) permettere di importare facilmente le foto già scattate attraverso la Lightbox e, con la fotocamera integrata, di scattare foto con 32 lenti e con l'effetto visibile in tempo reale. Inoltre si possono sovrapporre ben 28 filtri e 16 cornici differenti, con una risoluzione altissima fino a 8mp, ed esportare le foto nel proprio camera roll, ma anche sui social oltre a Instagram come Facebook, e Flickr.
entrare in questa pagina: 1) Una foto necessita di un certo numero (elevato) di like, durante dei precisi scaglioni temprati calcolati dal momento del caricamento della stessa. 2) Gli hashtag possono aiutare ma rischiano di essere un ostacolo se usati Una delle funzioni più a sproposito. note e più discusse è la 3) I like ricevuti da utenti pagina Esplora (un tempo con elevato numero di chiamata Popular). Su Instagram vengono caricate follower potrebbero “pesare” di più rispetto ai migliaia di foto al minuto. like ricevuti da utenti che Per la pagina Esplora, ne hanno pochi. interviene la matematica, 4) Gli slot disponibili per quella di cui è composto entrare nei Popular in l’algoritmo per la scelta delle foto meritevoli. Ecco un preciso orario sono quali sono i parametri per limitati.
come funziona la pagina
Esplora
ten best #Tags
1. #love - Top tag di Instagram si riferisce a una semplice emozione umana. 2. #me - Il tag per gli autoritratti. 3. #cute - Unghie e smalti, Justin Bieber vestiti e tutto quello che si può considerare “carino”. 4. #photooftheday - Viene usato dagli IGers in cerca di approvazione da parte dei coetanei. Il tag è stato creato da Luca Anania, un media strategist e IGer famoso con più di 7.000 followers. 5. #sky - Il tag per condividere le foto più suggestive e quelle che in effetti offrono immagini mozzafiato. 6. #foodporn - Il tag di foto di cibo, piatti e pietanze che va per la maggiore. 7. #instagood - Questo tag è il più commentanto e quello che ottiene maggiori “like”. 8. #iphonesia - Tag di nicchia è sfruttato generalmente da IGers asiatici. 9. #tweegram - Tweegram è uno strumento che permette di digitare un messaggio tweetlunghezza e trasformarlo in un’immagine di Instagram. 10. #picoftheday-E’ il tag disseminato di immagini da coloro che pensano che il loro scatto sia migliore di altri 5 milioni di foto condivise su instagram ogni giorno.
Se per qualche motivo sistemi operativi Windows, avete la necessità di Mac e Linux.Vi consentirà scaricare le foto da di accedere all’oramai Instagram potete utilizzare immenso archivio Instaport (http://instaport. fotografico presente su me) servizio web gratuito Instagram e, in maniera che vi permette di davvero semplicissima, di effettuare il backup di tutte scaricare le foto di più le foto del vostro account in un unico file zippato o anche direttamente su Facebook, Flickr o link RSS. Potete anche utilizzare le opzioni avanzate da cui impostare il download di tutte le foto, solo delle immagini più recenti, le foto pubblicate in un determinato intervallo utenti inoltre per poter di date, o anche le foto visualizzare specifiche foto da altri utenti che avete e per poterle poi salvare indicato che vi piacciono sul computer; tutto ciò che o ancora scaricare foto risulterà necessario fare dai tag. non sarà altro che digitare, nell’apposito campo di L’alternativa è 4k Stogram ricerca presente nella (www.4kdownload.com/ parte alta della finestra del products/product-stogram) software, il nome di uno un software totalmente specifico utente o, ancora, gratuito, ed utilizzabile su una data parola chiave.
come fare un
Backup
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tech_app world 1) Stickygram Un servizio di stampa personalizzata che trasforma le immagini Instagram in piccoli magneti 50mm x 50mm. I magneti sono disponibili fino a 9 per ogni singolo set. Al costo di 14,99$ (spese di spedizione gratuite in tutto il mondo) si ottengono 9 magneti. (http://
stickygram.com) 2) Casetagram Permette di creare una cover per iPhone 4/4s o 5 usando le foto del vostro profilo. Le foto possono essere disposte a piacimento secondo forme quadrate, tonde o con forme differenti, partendo da una base di cover di colore bianca, nera o trasparante. Il costo è di 34.95$ (spese di spedizione gratuite in tutto il mondo).
(www.casetagram.com) 3) Postagram E’ un’applicazione (gratuita) disponibile per iOS e Android. Segliete la foto e inviatela come cartolina (verrà spedita fisicamente) a soli 0,99$. (postagramapp.
com)
un orologio, un classico “gent” a lancette, simile ad uno swatch, ma con la variante di personalizzare sia il colore del cinturino ma soprattutto il quadrante, inserendo una vostra foto direttamente da Instagram. Il costo dell’orologio è di 44$. (instawatch.
may28th.me) 5) Canvas POP
Idee per sfruttare le foto di instagram Permette di creare veri e propri quadri con le foto di Instagram. A partire dai 49$ per una stampa senza cornice. E’ un’idea originale per personalizzare le pareti di casa con le proprie fotografie. (www.
canvaspop.com) 4) Insta Watch Permette di personalizzare
6) JewelGram
9) Instateez Permette di realizzare delle t-shirt, in soli 3 step (scatta la foto, aggiungila sulla t-shirt e concludi l’ordine),
Un progetto tutto italiano che permette di realizzare gioielli essenziali con materiali come l’oro, l’argento bianco e la cellulosa. Si possono avere così fantastici anelli, ciondoli e pendagli con le proprie il costo è di 22$ (spese di fotografie. A partire dai spedizione gratuite in tutto 16.99 $ (spese di spedizione il mondo). (instateez.me) gratuite in tutto il mondo).
(jewelgr.am) 7) Stitchtagram Permette di creare cuscini personalizzati ma anche tote bag, porta monete e clutch con le proprie fotografie. Il tutto a partire da 28$.
(http://stitchtagram.com) 8) Printstagram Permette di stampare mini book che possono essere rilegati (con calamita sul fondo) o con spirale, con 50
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fotografie l’uno. A partire da 10$ per un set da tre. (printstagr.am)
10) Instagram Friendly Softcover Books Permette di creare un fotolibro rilegato in brossura con le proprie foto di Instagram. E’ molto semplice, si caricano le fotografie on line e si sceglie il layout delle pagine. Il libro è disponibile in due versioni da 5,5 x 5,5 cm e 8,5 x 8,5 cm. Ed il prezzo è a partire da 10,99$, per 40 pagine.
(www.artifactuprising. com)
DESIGN_Furniture Design
FURNITURE DESIGN
Pattern Ispiration
di Annalisa k. Varesi
1. “Petalpusher” wallpaper di Joy D. Cho per Hygge&West www.hyggeandwest.com; 2-3 “Geometry Tin box” e “Raindrop Coushion” di Ferm www.fermliving.com; 4. “Saddle Office chair” di West Elm www.westelm.com; 5. “Tri p Cabinet” di Seletti www.
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seletti.it
DESIGN_furniture Design
artek stool 60 by alvar aalto// Artek prepara i festeggiamenti per l’ottantesimo compleanno dello storico sgabello Stool 60 di Alvar Aalto. L’azienda svedese ha deciso di promuovere per tutto l’anno una serie di iniziative che celebrano questo importante anniversario, fra cui alcune customizzazioni che faranno davvero impazzire i collezionisti. I primi due nomi bastano ad alzare attese e aspettative: Mike Meirè e Rei Kawakubo per Comme des Garçons. Il famoso designer tedesco Mike Meirè ha reinterpretato questo prodotto icona del design finnico dandogli nuova vita attraverso il colore. Lo Stool 60 customizzato da Rei Kawakubo è invece laccato bianco con pois neri sulla seduta e sulle gambe. Tutti i pezzi dell’Anniversary Edition sono realizzati in una serie di 200 pezzi numerati. Il prezzo al pubblico è di Euro 350. Attendiamo curiosi le prossime custom edition.
www.artek.fi
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DESIGN_cool things & gadgets
coolthings &Gadgets
Un cult, proposto periodicamente in nuove varianti di colore. Parlo della Solar Queen di Kikkerland, la statuina che ritrae la Regina Elisabetta e il suo proverbiale “saluto”. La versione lilla “coronata” della foto celebra il Giubileo della Regina. Da collezione la gialla dedicata al Royal Wedding. God save the Queen!
Per tutti i nostalgici degli Anni ’80 Lasonic propone questi “Ghetto Blaster” che abbinano alla perfezione il gusto eccessivo di ieri alla tecnologia di oggi e domani. Niente cassette ma un dock per iPod, porta usb, lettore di schede SD e un sistema bluetooth integrato che gli permette di connettersi con ogni apparecchio nel raggio di 20 metri. Compatibile con iPhone, Android, table, pc, Mac e chi più ne ha più ne metta. Quattro colorazioni: nero, oro, rosso e bianco e una serie di modelli costumizzati da artisti come Stash, Nasty, Cyprien Chabert, Hirschell, Kongo.
www. Kikkerland.com
www.lasonic.com
Dai soliti “burloni” di Fred&Friends un’idea originale e magica per condire l’insalata. “Salt and Magic Magic Wand” sono due vere bacchette magiche, una per il pepe e una per il sale. Agitatele e voilà, il gioco è fatto!
www.fredandfriends.com
L’artista Cesc Grané, Varsity of Community™ e Skate 4 Homies hanno collaborato per la creazione di questo Fugu Skate Desk. La tavola fa parte di un progetto per promuovere lo skate-board come sport sano, incentivando attività creative e costruttive per i giovani più svantaggiati.
www.skate4homies.com
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Ecco la scodella pensata per i possessori di iPhone che non riescono a separarsi dal proprio aggeggino hi-tech neanche durante il pranzo. L’idea è dell’azienda giapponese “Miso Soup Design”, che ha dotato la speciale ciotola anche di altoparlanti passivi.
Jeremy Scott e Smart insieme per una custom edition davvero unica. Un vero colpo di fulmine quello fra l’eccentrico stilista e la Smart Fortwo Electric Drive, da cui è nata l’idea di un’affascinante show car, una Smart elettrica con le ali, simbolo distintivo del designer americano. Bianca, argento e rosso fuoco, la Smart forjeremy (così si chiama) ha debuttato al Salone dell’automobile di Los Angeles e sarà disponibile, in serie limitata, durante questo 2013.
www.misosoupdesign.com
www.smart.it
DESIGN_Product Design
PRODUCT DESIGN//
designer Toys
Bloody Buckingham Warrior// Una nuova versione del “guerriero” di Gary Baseman.
www.kawsone.com 14
di Annalisa k. Varesi
goin bad apple black ed// Questa “Bad Apple” di GOIN in versione black è realizzata in esclusiva per Mintyfresh e come la versione standard è in resina ed è alta 20 cm. La tiratura è limitatissima: ne sono stati prodotti solamente 50 pezzi.
www.goinart.net
kaws boppa fett companion//
domestic hunger//
L’artista americano KAWS torna a lavorare sulla serie Star Wars per la release di Boba Fett Companion. Il toy è venduto in esclusiva nel negozio OriginalFake di Tokyo.
Dell’artista americano Blaine Fontana, è la prima release 2013 della linea Kidrobot Black. Prodotto in soli 200 pezzi numerati e disponibili solo sullo shop online Kidrobot.
www.kawsone.com
www.kidrobot. com
kaws woodstock// Dopo Snoopy, KAWS ritorna a rielaborare nel suo stile un altro personaggio dei Peanuts, Woodstock.
www.kawsone.com
Dunny Kukulcan// Dell’artista Jesse Hernandez è una variante cromatica del Dunny visto nella Apocalypse Series di Kidrobot. Alto tre pollici.
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www.kidrobot.com
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di Annalisa k. Varesi
GREEN_Eco Project & Design Questi ed altri consigli “eco” li trovate in libreria con
Waitgreen:
world widegreenweb
Contenuti sempre aggiornati e indipendenti, news ma anche consigli, azioni e posizioni sull’ecologia e l’ambiente. Internet è oggi il principale mezzo d’informazione “green” a nostra disposizione. Eco fashion, design di riciclo, alimentazione, politiche ambientali, cosmetica bio, gossip e curiosità green da tutto il mondo sono alla portata di un click! Ma come orientarsi fra link, blog, pagine e account? Ecco cinque siti imperdibili da aggiungere ai vostri preferiti.
Inhabitat (inhabitat.com): il sottotitolo “Design will save the world” chiarisce subito di cosa parliamo, cioè di sostenibilità, progetti e idee green applicate all’architettura e al design di tutti i giorni. Dalle nuove tecniche di riciclo dei materiali, alle idee più originali di riuso, fino ai progetti di avveniristiche città green del futuro. Aggiornato e sempre interessante.
HuffingtonPost Green (www.huffingtonpost. com/green/): un sito che non ha bisogno di presentazioni. La pagina “green” dell’arcinoto quotidiano online è davvero imprescindibile per chiunque voglia rimanere informato su tutto quello che è ambiente e sostenibilità.
Waitgreen (www.waitgreen.com): Un blog tutto italiano (ma bilingue) che raccoglie il meglio della sostenibilità online scandagliando quotidianamente la rete. Moda green, idee facili e divertenti da imitare, test e consigli per gli acquisti. Ma anche eco design, mobilità e politiche ambientali.
Wwf (www.wwf.it): per sentirsi più vicini al mondo della natura, tenersi informati e fare qualcosa in prima persona. Pieno di spunti e consigli interessanti.
Greenpeace (www.greenpeace.it): “attivisti” è il sito che fa per voi.
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se vi sentite
Vivere Green
curiosita’, idee e consigli per dare un tocco di “verde” alla propria vita, in uscita a Marzo 2013 per Hoepli.
I social network si sono rivelati lo strumento di comunicazione e diffusione perfetto per un argomento così immediato ed attuale: l’ecologia ormai è social, e profili Twitter e fan page Facebook sono oggi lo strumento l’ideale per condividere notizie, ma anche consigli La prima cosa da fare è individuare i profili e le fan page Facebook istituzionali di magazine e quotidiani – anche online – che si occupano di tematiche ambientali. Qualche esempio? l’HuffingtonPost Green @huffpostgreen,canale tematico del seguitissimo quotidiano online, o il portale green americano TreeHugger, con il suo profilo Twitter @ treehugger e l’aggiornata pagina Facebook www. facebook.com/TreeHugger. Immancabili gli account “attivisti”: il profilo Twitter di The Ecologist (@ the_ecologist), storica rivista ecologista fondata nel 1970 da Edward Goldsmith rilanciata in veste completamente digitale nel 2009, con la corrispondente FanPage Facebook www.facebook. com/TheEcologist, poi Greenpeace Italia (@ Greenpeace_ITA, www.facebook.com/
GreenpeaceItalia) sempre in prima linea e ricco di notizie nostrane, e ovviamente WWF Italia (@wwfitalia, www. facebook.com/wwfitalia). Di sicura ispirazione i profili Twitter di Al Gore @algore, infaticabile difensore della causa ecologista e di Livia Firth, @liviafirth, vera regina
Social a tutta natura!
dello stile ecosostenibile. Se invece cercate account ricchi d’idee creative, oppure vi volete avvicinare all’ecologia ma siete spaventati dalla sua carica rivoluzionaria, segnatevi @The_Daily_Green (www.facebook.com/ thedailygreen), @ Dothegreenthing (www. facebook.com/ dothegreenthing) o l’italianissimo @ LifeGatePeople (www. facebook.com/ LifeGatePeople), che ogni giorno tweetano e postano link e consigli per un’ecologia pratica, semplice e alla portata di tutti.
ART_The Artist
EMILIO GARCIA di annalisa k. varesi Se vedete un cervello che salta, sappiate che è “colpa” sua. Da Barcellona agli Stati Uniti, dal suo laboratorio a internet per arrivare nelle più prestigiose gallerie del mondo e nelle case di appassionati e collezionisti. Un successo così sorprendente da lasciare di sasso persino il suo fautore, Emilio Garcia. L’abbiamo contattato e, fra un viaggio e un’esposizione da una parte all’altra del mondo, ha trovato il tempo per fare due chiacchiere con noi. Abbiamo scoperto una persona giovane, concreta e sorprendentemente umile. Prima domanda, inevitabile. Perché un cervello che salta? L’idea è nata durante un viaggio a Berlino. Sono rimasto affascinato ed ho cominciato cercare notizie sui berlinesi che avevano cercato di oltrepassare il muro. Storie di intelligenza, inventiva, creatività, “cervelli che saltano”. Nasce tutto da qui. Un successo globale. Te lo aspettavi la prima volta che l’idea è balzata in un altro cervello, il tuo? Assolutamente no. E’ stato totalmente inaspettato e ancora oggi fatico a rendermene conto. Ho creato i miei cervelli per divertirmi, e magari ingrandire la mia collezione di art toy scambiandoli non altri collezionisti. Ma dopo aver postato qualche foto su internet sono stato letteralmente subissato di email che mi chiedevano informazioni, prezzi e punti vendita… In una settimana i miei cervelli fecero letteralmente il giro del mondo. Pazzesco... Ricordi il tuo primo - primissimo - lavoro? Wow, il primissimo… Ricordo un olio su tela raffigurante Snoopy che dipinsi quando avevo quattro o cinque anni. Mio padre dipingeva a casa per hobby, e pensai di contribuire. Penso che i miei genitori ce l’abbiamo ancora. Come ti sei avvicinato al mondo dei vinyl toys? Era nelle tue intenzioni iniziali?
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No ma per me è stato come un sogno perché sono un collezionista e un grande fan. I vinyl toys mi hanno sempre ispirato, design affascinanti, super esclusive limited editions, grandi talenti e storie dietro ad ognuno. Rimango sempre stupito quando vedo quanto la gente è disposta a spendere solo per possederli. Indubbiamente questo ti ha permesso di arrivare al grande pubblico. Da una cosa per pochi, unica come l’opera d’arte, sei passato a oggetti in serie, su scala sicuramente più ampia. Questo ha modificato il tuo lavoro? Se sì in cosa? I Jumping Brain hanno sicuramente cambiato il mio lavoro. E all’inizio organizzare le prime produzioni non è stato affatto facile! Tenete presente che i miei cervelli sono sì adorabili, ma anche difficili da produrre. Dopo una mia prima produzione “casalinga” ho cominciato a lavorare con altre aziende come TOY2R, sperimentando su nuovi materiali come marmo, bronzo… I problemi sono sempre tanti. Una sfida per la pazienza. Qual’è, se esiste, il pezzo della tua collezione a cui sei più affezionato e perché? E’ difficilissimo sceglierne uno, ne ho tonnellate. Forse Pup Cup di YoshitomonNara perché mi è stateo regalato da una persona speciale. Poi adoro Kaws, Biskup, Baseman, Dalek, Ron English, Faile, Tokyoplastic, Michael Lau, Kozik, Hayon, Rolito, Shag,Taxali...
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ART_The Artist
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ART_The Artist
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ART_The Artist Scegli una piazza, una città in cui piazzare uno dei tuoi cervelloni. Quale sarebbe? Penso che parlando di cervelli la città più indicata sia Boston. Progetti, news per l’immediato futuro? Ora inizio a esplorare con forme diverse. Gli ultimi studi sulla plasticità del nostro cervello mi ha ispirato. Sembra che cambi la sua forma tutti i giorni a seconda delle cose che facciamo. In pratica possiamo svilupparlo dandogli la forma che vogliamo con l’apprendimento.
Un sogno - ancora - nel cassetto che puoi rivelarci? Vorrei vendere milioni di cervelli ai musei e ai collezionisti di tutto il mondo. Parlando seriamente sono solo contento di poter continuare a fare quello che faccio, guadagnando qualcosa da portare a casa. Cerco di rimanere semplice migliorando tutti i giorni. Infine, classica domanda. Se ti diciamo Wait! cosa ci rispondi? You guys worth your succes, keep up the good work!
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www.emiliogarcia.org
ART_cover contest
salvatore palazzo di pierpaolo bironi In quest’ultimo numero abbiamo pensato di interagire con i nostri lettori con un “cover contest”, chiamando cioè giovani artisti, grafici e illustratori a customizzare la nostra copertina. Siamo stati letteralmente sommersi dalle email. Purtroppo solo uno può essere il vincitore e la scelta, credeteci, è stata davvero difficile. The winner is... Salvatore Palazzo. Siciliano DOC (è di Catania) trapiantato a Milano, ha studiato allo IED e si è laureato nel 2009. Dimostra di avere una passione sfrenata per il disegno che non paragona ad un lavoro, ma ad un piacere. Ecco cosa ci ha raccontato, di sè e della sua arte. Da quanto tempo fai grafica? Questo non è un lavoro, ma un dono. Da quando sono nato ho questa passione. Spesso questo talento mi ha tirato fuori da guai e brutte situazioni. A cosa ti sei ispirato per disegnare la nostra cover? La cover è strutturata su vari livelli. L’idea parte dalle ossa e si ricompone a poco a poco con degli strati allucinati di noi stessi. Di come vogliamo che gli altri ci vedano. Noi siamo dei cadaveri ambulanti con un’anima che vorrebbe non avere forma. Ho aggiunto anche la natura come madre vera del nostro corpo e del nostro essere. Come le falene che son riconducibili ad un immaginario legato al buio e alla nostra parte più nera. Ci son riferimenti a Frigidaire e Mondrian con un pizzico di follia alla Dalì. Come l’hai realizzata e che tecniche e programmi usi in genere? Son partito, come in tutti i miei lavori, da una matita e della carta. Poi ho strutturato i vari livelli con illustrator e photoshop, impaginando il tutto con indesign. Sono questi i programmi che giornalmente uso. La carta comunque rimane il fondamento di ogni mia creazione. A cosa aspiri e cosa ti ispira di
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solito? Aspiro a poter affermare le mie idee mescolandole con ciò che penso io dell’arte. In Italia è difficile ambire a qualcosa del genere, ma continuo a provarci. Prendo spunto dalla vita stessa e dalle situazione che si vengono a creare. Sono molto instabile e così anche le mie ispirazioni che variano a seconda del mio stato. Hai in programma mostre o progetti? Ho vari progetti. Mi piacerebbe poter avere un gallerista. Alcuni anni fa ho vinto il premio “Arte Laguna” nella sezione under25. Magari leggendo queste righe qualcuno mi potrà contattare. Al momento sto cercando di mettere da parte dei soldi per fare il tatuatore, credo sarà una delle mie tante evoluzioni. Alla fine cambia lo strumento ma non chi lo usa. Sto cercando uomini che abbiano dei tatuaggi per una raccolta di illustrazioni. Vorrei che parlassero del tatuaggio e del significato che gli possiamo dare. Cerco poi da anni di illustrare un racconto che ancora non ho il coraggio affrontare. Quali sono le prime regole secondo te per centrare la grafica per una pubblicità o come in questo caso la nostra cover? Io lavoro in comunicazione. L’unica regola che serve per centrare la grafica è un idea di base forte. Si deve fare
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anche una ricerca molto lunga di forme e colori, ma l’idea è sempre il cuore di tutto. Ti ispiri ad una persona in particolare? Ho sempre amato persone dal carattere forte. La persona che più mi ispira tutt’oggi è mio nonno. Che cosa cerchi di mettere nei tuoi disegni? Cerco di mettere nei miei disegni le sfumature di un periodo che sto vivendo, di prevedere il futuro con le linee che vengono guidate dall’istinto. Metto dei concetti e dei punti di vista a volte anche un po’ cinici ma spero sempre poetici.
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Per chi hai lavorato e dove possiamo vedere i tuoi disegni e le tue grafiche? Lavoro tutt’ora in un agenzia pubblicitaria come art director. I miei lavori o progetti li potete trovare su salvatorepalazzo.carbonmade.com ci sono varie sezioni e tutte hanno come componente unica l’arte. Come hai scoperto Wait ed il concorso? Wait è una rivista che ho scoperto grazie ad una mia collega. L’ho sempre trovata molto interessante e con un buon punto di vista sull’arte contemporanea. Sono onorato di farvi parte.
salvatorepalazzo. carbonmade.com
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ART_Iucu Art Club
MICHELANGELO VS FESTA Questo confronto può sembrare “bestemmia” per la disparità linguistica, tecnica e temporale degli artisti in questione. Ecco perchè ho stretto molto, più di ogni altra volta, sull’analisi formale dell’opera. MICHELANGELO BUONARROTI (Caprese Michelangelo 1475, Roma 1564) e TANO FESTA (Roma 1938,1988) sono due artisti umanamente complessi ma mentre Michelangelo vive il proprio tempo da protagonista, Tano vive il disagio contraddittorio degli anni ‘60, da cui purtroppo non ne “uscirà vivo”. Per creare il confronto diretto tra le opere ho stretto sul dettaglio che ha selezionato Festa per il suo dipinto, dettaglio dell’affresco della “Creazione di Adamo” del 1510.
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di Iucu
Michelangelo supera se stesso sia sul piano squisitamente formale che fisico, sia umano che pittorico; “Sfida” il clero dell’epoca con scelte compositive e figurali ardite, ove uomini e donne, ignudi, si intrecciano fisicamente e narrativamente, dispersi in un cielo “blu profondo”, un vuoto cosmico, un dramma dalla fisicità senza precedenti.
Nell’opera di Festa troviamo la plasticità e la staticità propria dell’icona POP, infatti anche Festa “omaggia la divinità”, ma il “divino”, per Festa, diventa l’Autore stesso, Michelangelo diventa atrista con la A maiuscola, POP in quanto sintetizzatore del proprio tempo e catalizzatore di folle di ogni luogo e tempo, la Cappella Sistina diventa “l’esposizione permanente dell’artista” e luogo di “consumo visivo”. L’utilizzo di colori “innaturali” e cosÏ diversi dall’affresco originale servono per creare la “distanza”, per decontestualizzare, filtrando, con spirito citazionista.
WAIT
Presents..
“Nostalgia del buio” (Part I) Ksenja Laginja www.ksenjalaginja.com
books_Recensioni
wait books: on the shelf
1q84, libro 3// di haruki murakami einaudi
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Una recensione che, in tutta onestà, non avrei voluto scrivere. Parlo di 1Q84, in particolare dello sciagurato “Libro Terzo”. Recensendo i Libri I e II, circa un anno fa, scrissi: “Perché non attendere la pubblicazione del terzo ed ultimo libro per parlarne, vi chiederete? Perché è assolutamente irrilevante, perché potrebbe anche non esserci, perché questo romanzo è un assoluto capolavoro anche senza un finale”. Evidentemente qualcuno lassù mi ascolta, o meglio, il mio intuito di lettrice non mi inganna mai. Perché? Perché sarebbe stato meglio non leggerlo questo terzo libro, perché un finale, in questo tomo da 396 pagine io non l’ho trovato. Quanto nei libri I e II i personaggi erano profondi, caratterizzati alla perfezione, affascinanti ed empatici, quanto qui diventano banali, scontati, a tratti (diciamo per 300 delle 396 pagine) irritanti. Quanto nei libri I e II il sottile confine fra reale e irreale teneva sospesi in un limbo straniante e affascinante, quanto qui ogni stranezza appare forzata, eccessiva, quasi da chiedersi «Ma che davvero?» oppure più frequentemente «Perché Murakami? Perché?». Sul finale da Harmony stendiamo uno spesso velo pietoso. Una delle mie più cocenti delusioni letterarie degli ultimi anni, superata forse solo dall’insoddisfacente finale della saga di Harry Potter. Ma lì i libri erano sette e posso capire che la povera Rowling ne avesse anche un po’ le scatole piene. Qui no, di giustificazioni proprio non ne trovo. Che dirvi, leggetevi il primo tomo e mollatela lì perché quello sì “ è un assoluto capolavoro anche senza un finale”. A.K.V
la stella nera di new york// di libba bray
entra nella mia vita// di clara sanchez
fazi
garzanti
Libba Bray autrice della trilogia Gemma Doyle (una cioè che ha venduto 1.000.000 di copie negli Stati Uniti) arriva in Italia con questo primo capitolo di una nuova saga. Siamo nell’affascinante e peccaminosa America negli anni ’20, a New York tra Ziegfeld girls, jazz e alcolici venduti sottobanco. Evie O’Neill dopo l’ennesimo scandalo che l’ha vista protagonista nella cittadina di provincia in cui è nata, viene mandata dai genitori nella Grande Mela per allontanarla da voci e pettegolezzi. Per finire dalla padella alla brace. Entrerà in contatto con diverse figure di strada, ma anche con alcuni personaggi del mondo dell’occulto, conosciuti grazie allo zio che la ospita. E sarà proprio la scoperta delle arti divinatorie a cambiare la sua vita, fra omicidi e investigazioni ben poco tradizionali, regalandoci un “giallo sui generis” assolutamente da leggere! P. B.
Clara Sanchez, autrice spagnola di successo arriva nelle nostre librerie con questo romanzo che si è conquistato subito una buona posizione nelle classifiche di vendita. Veronica, la protagonista, da piccola curiosando per casa trova una busta misteriosa, aprendola vi trova la foto di una bambina poco più grande di lei. Veronica cresce ma la domanda sul chi fosse quella bambina non l’abbandona. Inevitabile la ricerca di una risposta, per svelare così il mistero che l’ha tormentata per tutta la sua esistenza. Clara Sanchez con maestria ha scritto un libro avvincente e ricco di colpi di scena. Una lettura che sicuramente vi farà venire voglia, se già non la conoscete, di saperne di più su altre opere dell’autrice.P. B.
GAMES_Recensioni
wait games: altri mondi videoludici
Metal Gear Rising: Revengeance// XBOX360 – PC – Ps3
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Ecco uno degli spin-off più attesi del 2013. Il protagonista è Raiden un soldato trasformato in cyborg che brandisce una katana (cioè la spada tradizionale giapponese) ad alta frequenza in grado di tagliare qualsiasi cosa. Le vicende si svolgono in un futuro dominato da soldati potenziati meccanicamente fra caose distruzione. Unica speranza per il mondo il nostro Rayden. Il gioco è un classico action ad alto tasso di combattimenti (violentissimi), con il contorno di una grafica curatissima, fluida e molto orientale nello stile. Non a caso il titolo è della giapponese Konami. Per tutti i fans di Metal Gear e non solo, il conto alla rovescia (il titolo uscirà a fine febbraio 2013) è iniziato.
di pierpaolo bironi
Dead Space iii //
DMC Devil May Cry//
XBOX360 – PC – Ps3
XBOX360 – PC – Ps3
Premessa: se non amate le emozioni forti, questo gioco non fa assolutamente per voi. In caso contrario benvenuti in Dead Space 3. I muscolosi protagonisti, Isaac Clarke e John Carver, in questo terzo capitolo sono catapultati sul pianeta Tau Volantis alla ricerca delle origini dei necromorfi (delle orripilanti creature con lame affilatissime che spuntano dai palmi delle mani, denti affilati e piccole braccia sul ventre). Ovviamanete non sarà una scampagnata. Il gameplay adrenalinico e complesso vi impegnerà sin da subito nella personalizzazione di armi e attrezzature in una terra ostile, fra valanghe e montagne invalicabili portandovi sulle spalle il peso del mondo. Insomma se volete un gioco d’azione che metta alla prova nervi e sangue freddo non cercate altrove. E se poi vi sognate i necromorfi di notte non prendetevela con me.
Devil May Cry ritorna. Capcom riporta nelle nostre console Dante, uno dei personaggi più affascinanti del mondo degli action game. Si tratta di un prequel, è bene specificarlo, il cui il nostro eroe mezzo demone e mezzo angelo, più giovane, forse meno dark ma sempre sbruffone quanto basta, si oppone al demone Mundus, che governa il mondo. Fra angeli, demoni, battaglie apocalittiche, scontri sanguinosi e avvincenti, sarete trasportati dall’eccellente grafica in un mondo perduto e alla deriva. Gli appassionati impazziranno per il gameplay e soprattutto per la possibilità di utilizzare combinazioni di armi demoniache e angeliche. Insomma, ci sono tutte le carte in tavola per farci dimenticare il vecchio Dante, tenerci in collati ore alla console e ricordarci che sì, “anche i demoni possono piangere”.
Music_what’s new
WAIT! MUSIC:
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di Marco Goi
What’s new
CRYSTAL CASTLES “III”
BAT FOR LASHES “THE HAUNTED MAN”
La prima volta che ho sentito i Crystal Castles ho pensato a come fossero il perfetto mix del passato con il futuro. Il loro suono mi sembrava uscito dritto da un sogno, o forse sarebbe meglio dire un incubo, composto da musichette 8-bit come quelle dei videogames con cui sono cresciuto, dall’elettronica tamarra che ascoltavo nella prima adolescenza, anche se oggi per darmi un tono sono pronto a negarlo, e dall’irruenza del punk che mi ha travolto nell’adolescenza più inoltrata. Il tutto però riletto e stravolto in una chiave nuova. Futuristica. Da allora, la loro musica ha infettato le mie orecchie come solo poche altre band sono riuscite a fare. Se il primo omonimo album era la rivelazione e il secondo omonimo album era la conferma, cosa rappresenta questo terzo sempre omonimo album? La discesa definitiva nei lati più profondi e oscuri della nostra mente, probabilmente. I Crystal Castles continuano a essere contagiosi, contagiosi come… la peste e non a caso il pezzo che apre il nuovo disco è intitolato proprio “Plague”. Io non so se sia normale amare tanto una musica degenere del genere. Io non so se sia normale esaltarsi tanto per la dance devasto di “Sad Eyes” o “Transgender”. Probabilmente no. A qualcuno potrà sembrare solo rumore indistinto, il baccano che si sente quando si è fuori da un locale. Una volta che si è entrati dentro, è però possibile cogliere tutte le sfumature ed è possibile persino emozionarsi, con questo rumore. Una canzone come “Wrath of God”, ad esempio, ha dei momenti di dolcezza incredibili. Lo so: non è una cosa normale. Questa è musica per persone malate. Persone malate che danno un rave party dentro un ospedale. E non hanno nessuna voglia di essere curate.
Ci sono artisti e band che a ogni nuova uscita cercano di aggiungere colori alla loro tavolozza sonora, che fanno di tutto pur di sorprendere con effetti speciali. I Muse, si veda la recensione a fianco, ne sono un esempio lampante. Per il suo difficile terzo album, chiamato a raccogliere l’eredità dell’acclamato “Two Suns”, Natasha Khan meglio nota come Bat For Lashes ha invece optato per la scelta opposta: less is more. Il suo nuovo lavoro “The Haunted Man” è un disco che gioca di sottrazione e in cui la sua splendida voce è protagonista assoluta. Ad accompagnarla ci sono di volta in volta un delicato ricamo pianistico, un leggero tessuto (manco fossimo ancora in estate) d’archi, qualche lieve battito elettronico ad aggiungere ritmo qua e là. Non c’è volontà di stupire, c’è un sound moderno ma non sono presenti ammiccamenti ai ritmi dubstep del momento. Volendo, si potrebbe persino parlare di un album minimalista, non fosse che darebbe un’idea del tutto sbagliata. “The Haunted Man” lavora di sottrazione a livello sonoro, eppure a ogni ascolto sa regalare dettagli nuovi e, soprattutto, sa regalare emozioni. I momenti da brividorama non si contano nemmeno, su tutti una “Laura” da lacrime agli occhi e non solo da pelle d’oca. Nonostante la Batgirl Natasha non faccia nulla per cercare una hit a tutti i costi, non mancano comunque nemmeno i momenti più pop e radio-friendly, mi si passi l’agghiacciante termine. Quei pezzi in grado di rimanerti incollati in testa, per dirla in maniera differente. In questo campo, a gonfiare la rete è soprattutto “A Wall”, che nel ritornello fa: “When you see a wall, I see a door”, sorta di variante batforlashessiana del detto: “Chiusa una porta, si apre un portone.” Proprio quello che fa il disco. Apparentemente minimalista e chiuso in se stesso, in realtà un portone aperto su un mondo di emozioni.
MUSE “THE 2ND LAW”
RIHANNA “UNAPOLOGETIC”
Tutti si sono dati al dubstep. E quanto dico tutti, intendo davvero tutti. Ormai c’è più gente che fa dubstep che gente su Facebook. I Radiohead? Loro ci sono arrivati subito. Taylor Swift? Ma non è una cantante di country pop commerciale? Eppure s’è messa pure lei col dubstep. Justin Bieber? Non ha ancora l’età legale per bere, però a quanto pare ha l’età per fare dubstep. Rihanna? Vedi recensione a lato. Persino in Italia si sta muovendo qualcosa: i Negramaro ad esempio hanno fatto un pezzo dubstep. Tutti insomma fanno dubstep, anche vostra nonna. E voi, voi non sapete manco cos’è il dubstep? Vivete davvero su questo pianeta, e intendo nel presente e non nel Medioevo? Vi va bene che a cercare di farvi conoscere questo nuovo, ma ormai nemmeno così tanto, genere musicale che mixa il dub con la 2step con il grime con il garage con la house con l’hip-hop e ormai con qualunque altra cosa vi venga in mente, ci pensano adesso pure i Muse. Non contenti di essere diventati i nuovi paladini dello stadium rock, raccogliendo l’eredità di Queen e U2, il signor Kate Hudson al secolo Matt Bellamy e soci hanno deciso che il loro nuovo modello musicale, e forse anche esistenziale, è Skrillex. Skrillex che per intenderci è l’esponente più noto e tamarro della scena dubstep mondiale. Al dubstep sono però dedicati solo un paio di momenti, tra l’altro tra i più interessanti, del loro ultimo album “The 2nd Law”, che per il resto è un gran calderone di suoni buttati dentro a casaccio e in cui alla fine a prevalere è ancora sempre e comunque lo stadium rock. Purtroppo. Come si suol dire, un passo avanti e due indietro. Se solo i Muse avessero osato fino in fondo e inciso un intero album dubstep, sarebbero stati tutti più contenti. Sì, anche vostra nonna.
Non è così facile parlare male di Rihanna. Di ragioni per farlo ce ne sarebbero anche: è tamarra, ha un’immagine che spesso rischia di scivolare dal sexy al volgare, è onnipresente in radio, è un’icona pop e la gente ama odiare le icone pop, si sta rimettendo con Chris Brown nonostante lui in passato avesse scambiato la sua faccia per un pungiball... Più difficile è invece dire cose negative sui suoi ultimi dischi. Non che siano capolavori, però in ambito mainstream pop hanno un loro perché. Rihanna tira fuori un album all’anno e ne sbagliasse uno. Non tutto gira alla perfezione in questo ultimo “Unapologetic”, eppure al suo interno contiene diverse cose notevoli e così, anche se ne vorresti parlare male, non puoi. C’è il ritornello di “Diamonds” che è di quelli che si vanno a ficcare in testa senza più lasciarti, ci sono i beat hip-hop ipnotici, c’è Eminem ospitone di turno in “Numb”. Tutto molto cool ma, come dice Obama, il meglio deve ancora arrivare. E arriva con “Jump”, un pezzo che cita la porno-hit R&B 90s “Pony” di Ginuwine, rivisitata in chiave dubstep. Il risultato? Quello che vogliamo davvero dalla Rihanna: una clamorosa tamarrata che picchia di brutto, bissata da una “Right Now” prodotta dal re della tamarraggine David Guetta. Nell’ultima parte i ritmi rallentano e c’è spazio pure per il duetto con Chris Brown “Nobody’s Business”. Il testo dice: “Sarai sempre il mio ragazzo, sarò sempre la tua ragazza, e non sono affari di nessuno”. Sì, saranno solo affari vostri, ma allora perché ci avete fatto su una canzone per farcelo sapere? Alla fine, resta comunque poco da fare. ‘Sta maledetta di Rihanna ce l’ha fatta di nuovo sotto al naso e ci ha regalato un disco che, volenti o nolenti, è il perfetto specchio riflesso senza ritorno del sound di oggi.
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MUSIC_Recensioni
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THE PILLS
Balmorhea “stranger”
Enrico Ruggeri “Le canzoni ai testimoni”
Dust “Kind”
Ormai vanno queste atmosfere. Per gli amanti dei gettonatissimi XX ecco il nuovo album dei Balmorhea non così new-wave quanto la band inglese ma un po’ più solareggiante se così si può dire. Loop di chitarre elettriche , synth e ritmiche pronunciate, “panta rei”, tutto scorre con serenità. Sciallo o scialla a seconda del vostro geo-locator. Voto: 7 G.F.
Di solito questi album di cover avvengono post mortem, ma questi grandi giovani artisti italiani hanno voluto omaggiare Peter Pan con degli arrangiamenti eccezionali. Primo fra tutti Andy, ex Bluvertigo che con il progetto Fluon ha aggiornato il successo dell’83 Polvere in maniera fantastica. Grandi anche Boosta (Il Mare d’inverno), Dente e Rezophonic accompagnati dall’evergreen Pino Scotto.Voto: 8 G.F
Se fossero nati negli USA forse sarebbero già idolatrati da orde di ragazzine del nuovo e del vecchio continente. Invece questi ragazzi sono sfortunatamente nati e cresciuti a Milano, fanno buona musica ispirata ai grandi del passato, rock rhythm & blues anni 70 e... Cosa dicono di loro? Che dal vivo sono dei veri mostri. Voto: 7,5 G.F
Egyptian Hip Hop “Good Don’t Sleep”
THEGIORNALISTI “VECCHIO”
Craxi “Dentro I Battimenti Delle Rondini”
Questi giovani ragazzotti di Manchester con cadenze “tropic” nel sangue british sono una piacevole scoperta. Fatevi contagiare da brani sincopati e caldi pseudo hype sempre sullo stampo di natura indie ma più in scia afro-groove. Al primo ascolto si può arrivare a pensare all’ennesima copia degli Artic Monkeys ma una volta risentiti potrete notare diversità nell’approccio sonoro e maggiore cura nel dettaglio ritmico.Voto: 6.5 G.F
Vecchio come il nome dell’album, demodè, nostalgico di una musica italiana che riecheggia Battisti e Rino Gaetano. Beat rock di un ultimo Lennon già trasferitosi in Usa. Thegiornalisti omaggiano la musica con un album che entra piacevolmente nelle vostre camerette profumate ed ovattate. Troppa ostinazione nel cercare ritmo/citazioni di un’altra “era”, ma se consideriamo che la musica è morta… ma, il futuro è anteriore. Giustificati.Voto: 6+ G.F
Esordiamo nel dire che i Craxi sono un progetto nato e già storia: Luca Cavina (Zeus, Calibro 35), Andrea Belfi (Rosolina Mar), Alessandro Fiori (Mariposa) e Enrico Gabrielli ( Mariposa, Calibro 35) in un potpourri di sensazioni sonore molto raffinate. Progetto affascinante e graffiante, richiami al Teatro degli Orrori. Provare per credere.Voto: 7 G.F
WAIT! MUSIC
The Cult
di Marco Goi
GREEN DAY “DOOKIE” A volte senti il nuovo disco di una “vecchia band”, o per essere più politically correct di una “band in giro da un po’ di anni”, e ti viene voglia di andarti a risentire il resto della sua produzione. Per rinfrescarti la memoria e ripercorrere il sentiero che li ha portati fino a un nuovo interessante parto. I nuovi dischi dei Green Day “iUno!” e “iDos!” (ma probabilmente pure l’imminente “iTre!”) fanno quest’effetto, quello di volersi andare a riascoltare i loro lavori precedenti. Lo spunto non è però offerto dal voler ricercare le origini del suono che ha portato a questa trilogia discografica, semmai è quello di dimenticare il presente e rituffarci nel passato. Non che siano dischi orribili. Sono solo anonimi, sbiaditi, cosa forse ancora peggiore. Una serie di pezzi che non lasciano il segno. Oggi saranno anche musicisti migliori, i tre green days, ma a mancare loro è una cosa che una volta andata, non la recuperi più: la freschezza. E Dio solo sa quanto sia importante, la freschezza, per una punk band. A questo punto si potrebbe aprire una lunga parentesi sul fatto che i Green Day possano essere considerati o meno punk, e c’è chi dirà che se sono punk loro allora lo è pure Avril Lavigne e chi invece dirà che sono i massimi esponenti del pop-punk californiano, ma in tal caso NOFX e Offspring dove li mettiamo? Prima di complicarci troppo la vita, chiudiamo subito questa parentesi. Se oggi è davvero difficile considerarli punk, soprattutto dopo che il loro “American Idiot” è diventato addirittura un musical di Broadway, di certo ai tempi di “Dookie”, punk o meno o meno che fossero, i Green Day suonavano freschi. Freschi come poche altre band in circolazione. In un periodo dominato dalla depressione del grunge, “Dookie” era la colonna sonora perfetta dei giorni verdi, quelli in cui la rabbia adolescenziale da ascolto compulsivo di Nirvana + Hole + Smashing Pumpkins lasciava spazio alla voglia di qualcosa di più leggero. Quando si preferiva tenere le camicione di flanella da boscaiolo nell’armadio per uscire con una t-shirt e un cappellino all’indietro da skateboarder. Le anime malinconiche come me alla fine tornavano ben presto a rituffarsi nel teenage angst, ma per la mezzoretta o poco più delle 14 velocissime tracce di “Dookie” era piacevole dimenticare il male di vivere e limitarsi a muovere la testa e il corpo come in preda a un attacco epilettico. Al di là di quell’inno generazionale di “Basket Case” e del suo testo nonsense che faceva il paio con la “Smells Like Teen Spirit” dei Nirvana, il top dell’album è “When I Come Around”: quando penso a un pezzo perfetto per cazzeggiare in giro insieme agli amici, questa è la mia scelta numero uno. A quasi 20 anni dalla sua uscita, tutto il disco nel suo insieme suona un poco acerbo, è naturale che sia così, eppure possiede ancora una dote che i Green Day, così come un sacco di altre band, di oggi si possono solo sognare: la freschezza.
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MOVIE_Recensioni
di Cannibal Kid
WAIT! CINEMA
Da vedere... “MOONRISE KINGDOM” DI WES ANDERSON Cast:
Jared Gilman, Kara Hayward, Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Frances McDormand, Tilda Swinton, Jason Schwartzman. Siete indie? Non dovete vergognarvi. Qui non c’è nessuno che vi giudica. È vero che fa molto indie dichiarare di non essere indie, però potete benissimo ammetterlo. Se siete indie, di certo adorerete lo stralunato Wes Anderson e il suo stralunato cinema. A Wes Anderson è intitolato persino un pezzo de I Cani, una delle band più indie del panorama indie italico, quindi non può non piacervi. A meno che in realtà non siate veramente indie. Che siate indie o meno, vi sfido a non adorare quest’ultimo film del radicalchicchissimo regista statunitense. Una storia d’amore tra due ragazzini, due pre-adolescenti che vogliono stare insieme together 4ever ma non è un romanzo (romanzo???) di Moccia. Una relazione tormentata e travagliata, la loro, che li porterà a una fuga romantica che sembra una versione tween de “La rabbia giovane” di Terrence Malick. Wes Anderson ce la racconta con il suo solito impeccabile stile, con un’atmosfera d’altri tempi (dopo tutto il film è ambientato negli anni ’60), con una splendida cura nei costumi e nell’uso della colonna sonora. E, naturalmente, con tutto un campionario di strambi personaggi, dal precisetti capo boy-scout interpretato da Edward Norton, allo sceriffo dal cuore tenero impersonato da Bruce Willis. Soprattutto, finirete per innamorarvi (nel senso più innocente del termine) dei due giovanissimi protagonisti: il nerd ante litteram Jared Gilman e la rebel girl Kara Hayward. Se siete indie, questo sarà il vostro film dell’anno. Se non siete indie, o se siete quelli troppo indie da ammettere di essere indie, lo amerete comunque. Scommettiamo?
“LOOPER - IN FUGA DAL PASSATO” DI RIAN JOHNSON Cast: Joseph Gordon-Levitt, Bruce Willis, Emily Blunt, Jeff Daniels, Paul Dano, Piper Perabo. Ci sono dei film che le hanno tutte in mano, le carte per piacerti. Eppure, alla fine, non riescono a vincere la partita. Per prima cosa, il tema è di quelli che da soli bastano per far pensare a una serie di capolavori e cult assortiti: il tema dei viaggi nel tempo, vero protagonista di pellicole come Ritorno al futuro, Donnie Darko e L’esercito delle 12 scimmie. Per seconda cosa, il cast vede un paio di attori idoleschi, per altro alle prese con lo stesso personaggio. Il killer a pagamento Joe (da non confondere con il Killer Joe dello splendido film con Matthew McCounaghey) è infatti interpretato da Bruce Willis nella versione da “vecchio” e da un Joseph Gordon-Levitt truccato a dovere per dargli più i tratti da Bruce Willis nella versione da giovane. La prima parte della pellicola, con la sua atmosfera futuristica, funziona anche a dovere. Tutto bene, allora? Ci troviamo di fronte se non a un nuovo cult, almeno a un film di solido intrattenimento? Così sembrerebbe, peccato solo che nella seconda lunga parte ambientata in una fattoria, Looper si trasformi in una visione noiosa e per nulla d’intrattenimento. Il reato principale arriva però con il confuso e pasticciato finale. Una storia che gioca su più piani temporali è un grosso rischio e deve essere perfettamente orchestrata in modo che al termine tutti i pezzi si vadano a incastrare alla perfezione. Così capitava nelle pellicole sopra citate, così non capita in Looper che, a dispetto del titolo, non riesce a chiudere il cerchio. Se avessi una DeLorean per ritornare indietro nel tempo, lo rivedrei? Sì, però stopperei la visione dopo la prima ora.
WAIT! CINEMA
...da evitare 44
fashion_The interview
you footwear di marco bianchi You Footwear è un giovanissimo brand italiano di calzature che combina un altissima qualità costruttiva ‘made in Italy’ a un design estremamente originale. I suoi creatori sono Max Bosio, architetto e Alon Simon Tov, designer. Dopo la loro prima presentazione al Pitti, nel 2011, il marchio si è evoluto verso una scelta di materiali sempre più originali ed eclettici ed è subito entrato tra i finalisti di Who is on Next. In un numero dedicato alla calzatura emergente, abbiano sentito l’esigenza di intervistarli. E’ solo un punto di partenza, perchè abbiamo intenzione di seguirli durante il loro cammino che verrà. E’ una storia che potrà essere di esempio per tanti nuovi brand che vorranno percorrere una strada di qualità e di eccellenza. Come e perchè vi è nata l’idea di creare un nuovo marchio di calzature? In realtà l’idea è stata più quella di creare un marchio di scarpe che fosse prima di tutto un concetto e dove il tema dell’accessorio, nel caso specifico la scarpa, fosse il pretesto per iniziare un percorso che nella nostra visione deve portare a creare un ecositema di prodotti. Cosa significa YOU? In questo senso il nome stesso Y.O.U. nasce proprio come un acronimo, ovvero Your Own Universe. Il concetto con cui ci siamo ritrovati è quello in cui i veri protagonisti non siamo noi designers, ma le persone che quotidianamente attraverso le loro scelte definiscono e raccontano delle storie. Questo è un concetto che evidentemente trae ispirazione dall’evoluzione della comunicazione legata alla moda, comunicazione che sempre di più passa attraverso i media interattivi e dove ormai sono le persone della strada che attraverso l’unicità delle proprie scelte di stile e immagine arrivano ad influenzare i designers e gli stilisti. Due soci, due esperienze diverse (forse complementari?). Mi raccontate da dove venite e qual è il contributo di ognuno di voi al brand? Io (Max) vengo dal mondo del design e della comunicazione Alon invece dalla moda con la M maiuscola. In effetti sia
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il nostro modo di lavorare che le rispettive esperienze determinano un processo di contaminazione reciproca continua. Attraverso queste dinamiche, ognuno di noi due può contribuire entrando all’interno del processo creativo delle collezioni, indipendetemente dalle competenze tecniche, che sono comunque necessarie e dove Alon ha sicuramente maggiore esperienza di me. Io d’altro canto svolgo un ruolo diverso, gestendo la comunicazione e il continuo lavoro di creazione del brand. La prima stagione ho visto un prodotto di altissima qualità e di grande design, e s t re m a m e n t e pulito. Successivamente ho assistito a un’evoluzione verso un prodotto molto più carico, colorato, grintoso. Mi spiegate il perchè di questo percorso? La prima stagione è stata una sorta di test in cui abbiamo per l’appunto testato noi stessi e il mercato. A partire da questa prima esperienza, abbiamo capito che c’era spazio per un approccio decisamente più aggressivo e anche più in linea con le nostre ambizioni. Della prima stagione abbiamo mantenuto però inalterati alcuni temi forti come ad esempio il tema della produzione totalmente MADE IN ITALY, il tema della qualità dei materiali e l’attitudine del marchio come catalizzatore di stimoli e spunti spesso eterogenei ed eclettici. Qual è il paese che ha risposto meglio alle vostre creazioni? Ad oggi devo dire l’Asia ed in particolare la Corea che si sta posizionando sempre più come una nuova piazza creativa in grande fermento, specie sui temi della moda e dello stile. Anche il Giappone continua a ricoprire un ruolo importante in questo senso ma vediamo che ovviamente la Cina sta crescendo. Recentemente anche gli Stati Uniti stanno dimostrando molto interesse per il nostro marchio. C’è un brand di calzature o qualche stilista da cui avete tratto ispirazione? Ispirazione non direi, noi cerchiamo di creare un nostro linguaggio che sia il più possibile unico e distintivo. In verità però ti confesso che molti buyer associano il nostro marchio a un brand giapponese che io ammiro
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molto: Visvim. I temi della ricerca dei materiali e della cura dei dettagli sono sicuramente un tratto comune, ovviamente con un’interpretazione che ci rende comunque realtà molto diverse. In un paese come l’Italia, che vive un difficile momento economico, a vostro parere c’è ancora la possibilità per giovani creativi di dire la loro e guardare con ottimismo verso l’a f fermazione dei propri progetti? Direi di sì anche se noi non siamo più tanto giovani, anzi direi che in Italia ci sono molti giovani designers e creativi che potrebbero fare molto di più se solo esistesse un supporto di carattere istituzionale anche in questo senso. Ci raccontate la nuova collezione appena presentata a Pitti Immagine Uomo? Direi che è sicuramente una collezione che esprime un valore di maturità del marchio da un lato e di forte caratterizzazione dall’altro. È una collezione che trae ispirazione dalle leggende e dai miti popolari di regioni italiane come la Sardegna e l’Abruzzo. È inoltre una collezione che presenta scarpe casual e dal look sportivo che sanno essere molto raffinate nella scelta e accostamento dei materiali. È una collezione dai tratti forti ma che sa essere molto trasversale, può piacere a soggetti che amano osare e ricercano una immagine molto “creativa” , ma anche a persone molto normali che però amano distinguersi un pò. Che ruolo ha avuto per voi il Pitti che vi ha visti selezionati tra i più interessanti brand emergenti? Pitti per noi ha svolto un grande ruolo ed è stata una piattaforma di lancio unica al mondo. Sicuramente con tutto lo staff di Pitti c’è un bel rapporto di stima e apprezzamento reciproco. In altre parole noi al Pitti ci sentiamo a casa. Se aveste la possibilità di scegliere, in quale città e paese vi trasferireste per sviluppare il vostro lavoro di creativi? Uno degli aspetti centrali di questo progetto è che la manifattura è fatta tutta in Italia e quindi vedo difficile
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pensare di spostarsi perdendo cosí il contatto quasi quotidiano con la produzione. Ad ogni modo se proprio devo fare una scelta io sceglierei una cittá come Parigi che ho imparato ad amare per il suo mix unico ed eclettico di tradizione, storicità, eleganza ma anche creatività e stile. Fiere in giro per il mondo. Vi ho chiamati ed eravate al Capsule a New York. Quale fiera avete trovato pià ricettiva verso il vostro brand? Devo dire che in modo diverso ogni fiera in cui siamo presenti ci mostra apprezzamento trovando nel nostro marchio e nei nostri prodotti spunti
www.youfootwear.com 50
fashion_The interview
naif di marco bianchi Wait ha seguito Naif 1799 fin dalla sua nascita. Il marchio ha fatto passi da gigante in quest’ultimo anno, compiendo un lavoro di design che ha pochissimi eguali. Forse oggi Naif è il brand streetwear più evoluto e ‘fashion’ di tutto il panorama italiano. Un prodotto che forse è andato così avanti, da essere più pronto per le passerelle e le boutique di alto livello internazionale, rispetto agli streetshop nostrani. Era giunto il momento di intervistare l’Azienda per fare il punto sul percorso compiuto. Abbiamo fatto quattro chaicchiere con Alessando Spinazzola, fondatore e ‘deus ex machina’ del progetto Naif 1979. NAIF 1979. Cosa significa questo nome? Contrariamente a quello che può far pensare al nome della corrente artistica, in realtà è l’acronimo di “New Advanced Italian Fashion” e la data sta a significare l’esperienza sartoriale nel mondo manifatturiero della moda. Quando nasce NAIF 1979 e con quale idea? Nasce ufficialmente nel Giugno 2011, ma trova le sue prime origini ancor prima. Una storia che ha due generazioni. Ero diventato da pochissimi anni orfano di quello che è stato il mio grande maestro d’arte e mi ritrovavo a soli 24 anni (ragazzino dedito ancora ai vizi dei divertimenti di quell’età) a dover prendere di colpo le responsabilità di un gruppo aziendale composto da professionisti che fino all’ora era stato capitanato da un grande “condottiero”. La posta in gioco era alta e consisteva nel conquistare il rispetto e la credibilità di collaboratori che vantavano esperienze professionali di altissimo livello e, in alcuni casi, età che raddoppiavano la mia. Non era facile per loro rapportarsi alle direttive di un giovane ragazzo, se pur intraprendente, ma che fino ad allora aveva svolto le mansioni più semplici. Allora ho pensato che la formula vincente era una sola: novità e rivoluzione generazionale. Così decisi di lanciare una nuova sfida a quella che è la grande esperienza sartoriale del mio gruppo d’impresa abituata fino allora a produrre solo per conto di grandi nomi, griffes e brands. Avevo l’intento di offrire al pubblico un prodotto diverso da tutti, di altissima manifattura e con un rapporto qualità/ prezzo incredibile, forte di avere una piattaforma produttiva tutta nostra. Le mie intuizioni hanno trovato i primi successi sul mercato, consolidando fortemente la fiducia dei mie collaboratori. So che NAIF 1979 è estremamente legato alla NEW FABLE, rinomata azienda italiana di confezionamento di alto livello. In che maniera il made in Italy può fare la differenza anche nello streetwear e nella lavorazione del jersey? La differenza sta nell’esperienza generazionale tramandata, da un gruppo dal grande valore sartoriale composto unicamente da maestranze italiane e dall’alto livello tecnologico che oggi differenza la nostra azienda produttiva sul mercato. Qualità e servizio sono le nostre dottrine professionali.
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Venite dalla Puglia, una terra bellissima e con tanta tradizione di creatività e artigianalità. Cosa vi portate dentro della vostra terra? La tenacia, la positività e la tradizione del buon gusto. La nostra sede produttiva è ubicata in una graziosa città che si affaccia magnificamente sul mare. Immaginate che carica di positività riceviamo al mattino, recandoci presso la sede aziendale, nel percorrere raggianti panorami che si mischiano tra terra e mare. Come nasce una collezione di NAIF 1979, in base a quali ispirazioni? La creazione di una nostra collezione è un arte molto complessa dove nulla viene lasciato al caso. Una collezione di NAIF nasce nel settore forse più strategico interno alla nostra azienda e cioè quello grafico-stilisticomodellistico. Viene diretta principalmente da 6 persone, ognuna a capo di uno staff per la propria specializzazione, il tutto sotto il mio coordinamento. Carmen, Ester, Sebastian, Luigi, Omar, Valerio, Piero. E’ con loro che mi interfaccio ogni giorno per la realizzazione del miglior risultato. Partiamo prima da una ricerca di nuovi materiali e accessori, per poi passare allo stile, allo sviluppo della perfetta vestibilità (con qualsiasi forma) e rendere quel capo così unico, tanto da dover fare provare un’emozione a chi lo indossa. NAIF 1979, come possiamo definire il brand? Un autentico Made in Italy dove la qualità dei materiali e la vestibilità dei capi sono i punti di forza indissolubili. Esiste un brand o uno stilista che, in qualche maniera, costituisce una fonte di ispirazione per il vostro lavoro? Si, esiste, ma tengo più ad mettere in risalto che l’ispirazione nasce anche dalla nostra originalità nell’evolvere quello che è il ns ingrediente preferito: la felpa. Siamo davvero esperti ad estromettere quella che è la sua anima “sportswear” e, con dei trattamenti e lavorazioni speciali, la trasformiamo in un originale ingrediente ottimo per realizzarne uno stile che definiamo street-fashion. Quale può essere il cliente finale di Naif ? Ho visto all’ultimo Pitti un prodotto estremamente costruito e sofisticato. Un nuovo modo di lavorare la felpa. In quale tipo di negozio vedete inserito bene il vostro prodotto? Vi vedete ancora nel negozio street-wear evoluto? O create un prodotto più da boutique? Noi creiamo quello che ci suggerisce la nostra passione e lasciamo che il ns prodotto venga percepito dal canale più giusto per esso. All’ultimo Pitti la sua vocazione è stata ben chiara: Boutique di alto livello e concept store attento. So che si è sviluppato un certo interesse all’estero verso il vostro brand. Quali paesi hanno accolto il vostro marchio? L’estero è sempre attento ai prodotti Made in Italy ben fatti e NAIF 1979 non poteva passare inosservato. Abbiamo iniziato a relazionarci con i mercati Nord-Europei, Giapponesi e Coreani ma non vi nascondo che da 6 mesi abbiamo ripetuti incontri con un importante gruppo commerciale cinese interessato alla distribuzione del nostro brand nel loro paese. Sarebbe una bella rivincita per noi e
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per il nostro settore se si configurasse quest’ultima ipotesi. E’ impossibile fare un’intervista a un giovane marchio emergente e non citare la parola ‘crisi’. Qual’è la vostra percezione della situazione? In che modo guardate al futuro e, se volete, potete darci un vostro consiglio per andare avanti con un briciolo di fiducia? C’è qualcuno che in silenzio ha voluto far entrare di forza la parola crisi nella cultura italiana. Credo che dobbiamo, ora più che mai, fare la nostra mossa come popolazione senza farci illudere da un sistema politico-finanziario in certi versi “perverso”. La fiducia di noi italiani sta nella nostra vera cultura di sapienti creatori di prodotti unici al mondo. Dobbiamo iniziare ad amarci di più! Sento di consigliare vivamente quest’ultimo pensiero. Siete appena stati al vostro primo Pitti Immagine Uomo. Cosa vi ha dato questo evento e cosa vi siete portati a casa a livello di esperienza dopo il contatto con il pubblico? In particolare vorrei ringrazio di cuore l’organizzazione del Pitti Immagine. Impeccabile nell’organizzare un evento internazionale così fantastico! Ci ha
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dato finalmente quello che può essere il più grande valore per il nostro lavoro: l’attenzione di un importante pubblico. Ora ci sentiamo davvero legati a Firenze e credo che confermeremo senza dubbi la nostra presenza nelle prossime edizioni. Parteciperete nel futuro a qualche fiera internazionale? Assolutamente si! Data ora la maturità dimostrata dal brand credo che sia indispensabile. Stiamo già ai lavori per decidere tra le fiere più importanti
d’Europa. Tra le più accreditate, al momento, pensiamo al PREMIUM di Berlino o al TRA NOI di Parigi. Immaginate di sponsorizzare un gruppo musicale o un cantante. Chi scegliereste? Bella domanda!! Qua però ci metterei del personale: da ex componente di un gruppo rock locale ai bei tempi degli studi, ti direi subito i miei preferiti: i MUSE Con quale consiglio concludi e saluti gli amici di WAIT? La moda è una delle arti italiane più stimate al mondo e, oltretutto, risulta essere il secondo settore più importante sul PIL nazionale. Continuare a fare shopping nei negozi italiani ed acquistare Made in Italy è il più grande investimento per il futuro della nostra nazione.
www.naif1979.it
fashion_The interview
FINALE UNLIMITED di marco bianchi La prima volta che ho scoperto questo neo-nato brand è stato attraverso Le New Black, una piattaforma business to busines francese. Eppure ho subito capito che si trattava di un brand italiano. Dallo stile e dalla fattura del prodotto. Abbiamo voluto intervistare Luca, perchè consideriamo il marchio uno dei più interessanti tra gli emergenti, per la sua capacità di prendere le forme della calzatura classica e trasformarleevolvendole verso il futuro. Come nasce l’idea di lanciare un brand di calzature? Non avevo niente da fare e allora mi sono messo a fare scarpe....scherzo! Il brand Finale Unlimited nasce semplicemente dalla mia passione per le calzature. Girando per negozi e cercando scarpe non trovavo mai nulla che mi appagasse completamente, vuoi per prezzi troppo alti, vuoi per qualità scadente o la scomodità. Troppo classiche o troppo fashion. Ho voluto provare a frullare i miei desideri, il mio gusto e vedere quello che usciva fuori. A che pubblico si rivolge il vostro brand? A quello a cui piacciono le mie scarpe. E’ stato recepito meglio all’estero o in Italia? All’estero, in Italia la gente è ancora “logovictim”. Quali pensate siano i punti di forza del vostro marchio? Cosa porta di nuovo nel panorama ? Qualità e manifattura italiana. Di nuovo...? Fammi pensare...le scarpe
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Finale Unlimited sono una rivisitazione delle forme e strutture classiche in chiave attuale. Ho visto che il brand è presente online sullo showroom virtuale Le New Black. Siete presenti anche in showroom fisici? Si, Avista showroom a Milano. In quale maniera vi fate conoscere? Passaparola, fiere del settore... ? Sì fiere, passaparola, amici, amici di amici, internet, boutique. Raccontatemi il vostro background di fondatori del brand e cosa c’è di ognuno di voi in Finale Unlimited. Mi sono diplomato all’ Istituto Europeo
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di Design a Roma in architettura d’ interni dopo aver abbandonato il Politecnico di Milano dopo tre anni di corso. Subito dopo ho aperto nel cuore di Roma un conceptstore per design e abbigliamento, uno spazio poliedrico e di ricerca. Nel 2011 il lancio della prima collezione Finale Unlimited e siamo arrivati ad oggi. La linea è solo maschile. Pensate c h e i n f u t u ro potrà a r r i va re quella femminile? Nessuno impedisce alle donne di indossarle, piede p e r m e t t e n d o. M i piacerebbe vedere le mie scarpe ai piedi di Chloe Sevigny.
www. finaleunlimited.com
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FASHION_The Shop
WAIT SHOPS
Wag: Alle radici dello Streetwear
di Marco Bianchi
Dopo aver intervistato tanti negozi freschi di apertura abbiamo sentito l’esigenza di andare laddove si trovano le radici. In quei negozi che hanno fatto la storia. Pensando alle radici dello streetwear non potevamo non pensare a Wag a Milano. Wag è un piccolo negozio che ha avuto la forza di diventare un cuore pulsante per diverse generazioni, dall’epoca dei punk, skin e teddy boy fino ad osservare la nascita dello streetwear. Wag è un negozio molto piccolo, a testimonianza di come le dimensioni contino fino a un certo punto, è stato (ed è ancora oggi) incubatore di tendenze, epicentro di eventi, centro sociale, punto di scoperta e ricerca di musica nuova e genuina. Ciao Alberto. Raccontami la storia fin dall’inizio. La storia inizia del 1985. Con tre ragazzi “scalcinati” (due ragazze e un ragazzo, io) amanti di Londra e di tutte le nuove tendenze che passavano e sorgevano in quella città. Avevo 22 anni e Londra continuava sfornare nuove tendenze, stili, movimenti artistici e fermenti metropolitani. Ci apparì bellissima l’idea di poter attingere da quella città, da quella cultura e portarla nel nostro paese. Intuimmo la possibilità di intraprendere il commercio, ma non avevamo soldi. Per questo non potevamo interfacciarci direttamente alle aziende, così andavamo direttamente nei negozi e chiedevamo degli sconti... Inizialmente rastrellavamo tutta Londra cercando opportunità, più che nei negozi compravamo da quelli che non lo erano ancora: in particolare facevamo ricerca negli stand di Camden Town e a Kensington. Nonostante tutto, riuscivamo comunque ad applicare il 100% di ricarico. Beh, un bel margine. Sì. Avvicinandoci agli anni ‘90, nella cosiddetta “Milano da bere” i soldi circolavano bene, non c’erano gli aerei Ryanair a 50 euro andata-e-ritorno, non c’era la vendita online. E c’era molta fame di prodotto e cultura. Per questo, nonostante la sterlina fosse abbastanza cara, si riusciva a proporre prodotti che il mercato recepiva bene.
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Come si chiamava il negozio? E dove si trovava? Si chiamava Bela Lugosi, in nome dell’attore che recitò la parte di Dracula. In realtà era anche il titolo di un brano dei Bauhaus. Ci trovavamo all’inizio di via Torino, in piazza Carobbio. Quali erano le culture a cui facevate riferimento? Si parla di punk, rockabilly, skinheads, mods, dark e certamente dell’hip hop. Come si evolsero gli affari? Subito bene, ma la svolta avvenne quando Jean Paul Gaultier scoperchiò la punta delle Dr. Martens mostrando il puntale metallico che c’era sotto la pelle. Gaultier le usò per sfilare in passerella. Il mondo dell’alta moda allora aveva un sapore più underground di quello di oggi. Improvvisamente le Dr. Martens si trovarono al centro dell’attenzione e divenenro cult. Noi già le commercializzavamo, ma presto ci fu il boom di richieste. Ma le compravate ancora dai negozi? No, a questo punto già ci rifornivamo da diverse aziende. C’erano le Dr. Martens originali, ma anche altre fabbriche che utilizzavano la suola ‘Air Wair’ per fare le loro proposte. Si moltiplicarono le offerte di colori e materiali fino ad arrivare a versioni in serpente e con stampa coccodrillo e tartarugata. Arrivammo ad averne oltre 160 varianti. Mi hai raccontato di code incredibili il sabato all’ingresso del negozio... Sì, pensa che in un sabato si vendevano diverse centinaia di paia. Dal momento che il negozio era piccolo organizzammo un servizio di “door selection” curato da alcuni nostri amici, rockers o skinheads che controllavano l’ingresso. A loro piaceva questo ruolo e noi ricambiavamo con merce e con sconti speciali. Insomma gli anni d ’oro. Certo, ma teniamo presente che i negozi che servivano i paninari questi incassi praticamente li facevano tutti i giorni, vendendo camionate di scarponcini Timberland e piumini Moncler a 400 mila lire l’uno. Anche a Milano iniziavano a formarsi i gruppi urbani come a Londra? Si c’erano i rockabilly, i punk e gli skin... tutti facevano rifermento ai boots Dr. Martens, ma con piccole sottigliezze. Ad esempio i punk e skin utilizzavano in particolare i modelli a venti buchi o a dodici ecc. La zona di riferimento era il quartiere Ticinese. I Rockabilly utilizzavano le creepers, mentre i dark usavano principalmente degli stivaletti a punta con tacco basso. Anche quelli venivano a comprarli da noi. E quando arriva Wag? Beh diciamo che verso la fine degli Anni ‘80, l’hip hop americano sbarca e influenza Londra. E Londra influenza l’Italia. Non si può ancora parlare di streetwear, questo termine probabilmente nasce con le prime fiere del settore in Germania. Lo stile univa una serie di prodotti sportivi, che entrarono a far parte del look. Le Adidas Superstar, le Puma Suede, il cappello Kangol, le fibbie con nome, anelloni ed accessori vari. Questo nuovo trend stava esplodendo e mi spinse a creare un contenitore specifico per questo fenomeno.
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E così nacque WAG . Ne fecero parte i tuoi soci originali di Bela Lugosi? Sì, ma solo inizialmente. Fu uno spazio che presi io. Casualmente il padre di un mio compagno delle superiori stava cercando qualcuno a cui subaffittare uno spazio commerciale dotato di licenza. E così arrivai io. Comprai la licenza e aprii Wag. E con i vecchi soci? Beh piano pianino il mio interesse si spostò verso quel mondo. Con i miei soci originari ci furono alcune divergenze, sempre contenute peraltro. Ma la naturale evoluzione fu concentrarmi su Wag. Continuavi il tuo ruolo di ricercatore a Londra? Cer to. Come naturalmente accade, gli amici e i clienti, sapendo
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che saresti andato da Londra ti chiedevano di procurargli dei prodotti specifici. Così fu ad esempio con il classico cappellino Kangol. Quando la richiesta diventava for te , decidevo di iniziare a commercializzarlo anche nel mio negozio. Così fu anche per i dischi. Perchè la cultura hip hop è ovviamente legata alla musica e da Wag si trovavano anche i dischi più nuovi e interessanti, spesso introvabili nei negozi di musica tradizionali. Qualche altro prodotto che era un must? Come non parlare della fibbia con le lettere in metallo? Era un accessorio must e noi le facevamo per tutta Milano. Poi, oltre ai citati Adidas e Puma, c’erano le Nike Jordan e marchi di scarpe come Spx e British Knights. Vorrei
citare fenomeni come i Limpies, marchio principalmente skater che utilizzava le tende dei treni e ne faceva shorts. Poi altri marchi come Cross Colors e sin dal 1990 Karl Kani, o Tribal addirittura del 1989. Come non ricordare poi Stussy e Carhartt quando erano esclusivamente abbigliamento di lavoro. Ma potrei citare altri marchi non meno interessanti, cito 40 Acres and A Mule di Spike Lee. Qualche brand italiano? Intro e Broke su tutti, ma altri brand fecero la loro apparizione segnando la storia, ad esempio Bastard. Un negozio che ha accompagnato la storia metropolitana di Milano. Sicuramente avrai incrociato la vita e le storie di tanti
persoaggi famosi. Tantissimi sono passati qui. Da Jovanotti, che da Bela Lugosi, per un San Remo (festival) si comprò sei o sette paia di Creepers, a Saturnino che era un amante dei cappelli Kangol, presenza costante da Wag. Veramente in tantissimi sono passati qui, non posso non citare la scena hip hop italiana dagli Articolo 31. Sicuramente nei primi anni 90, Dj Enzo è stato il vero “addicted”, un amante dei vestiti. Molti di quelli che son passati da Wag comunque hanno avuto successo sia nella musica, che nell’arte e nel mondo lavorativo intorno ad esso. E’ una cosa molto bella, aver visto la realizzazione di tanti amici e conoscenti nel nostro mondo. E il fatto che Wag sia stato e tutt’ora lo sia, un punto d’incontro e di scambi di energie creative e lavorative, senza contare le amicizie che qui sono nate. Un ruolo, il tuo, non solo legato alla moda. No, infatti ho esercitato ed esercito ancora il ruolo di produttore ed organizzatore di eventi: Wag è stato ed è un vero “centro sociale”, il punto di riferimento per tutto questo. E il mondo dell’action sport e dello snowboard non ti ha mai appassionato? Tutt’altro. Lo snowboard era presente da noi ai suoi esordi, quando era ancora visto come uno sport da ribelli e anche io ho praticato la disciplina. Era l’epoca in cui gli sciatori tradizionali ti guardavano spaventati chiedendosi: chi sono questi barbari che vengono ad usurpare le nostre piste? E tuttavia non avete negli anni portato avanti il fenomeno... Penso che sia stato importante recepire il fenomeno ai suoi albori. Nel momento in cui è diventato un sport ufficiale, oggi anche olimpico, deve essere gestito da professionisti, gente che puo’ consigliare ai clienti l’attrezzatura migliore. Io, da parte mia, non sono un professionista e non mi sento di consigliare il pubblico. Cosa che invece mi riesce benissimo sul versante dell’hip-hop e della musica. Eppure poteva essere un business importante. Sì periodicamente passano tanti business interessanti, ma non per questo è detto che tu li debba abbracciare tutti. Credo che sia importante la credibilità nel proporli. Veniamo ad oggi. Ho la sensazione che, se facciamo un paragone con i leggendari anni 80, culturalmente siamo molto fermi. Dov’è la creatività? E’ un epoca dove non manca il fermento. Ce n’è moltissimo in rete a livello virtuale. Sì ma non vedo tutti questi fenomeni cultuali. Il problema è che nascono tantissimi germogli, ma non appena spuntano vengono letteralmente bruciati in maniera famelica dalla necessita e volontà di sfruttarli commercialmente il più velocemente possibile. E’ un epoca con tanto fumo e niente arrosto. Tutto viene spazzato via se non gli si da la possibilità di crescere e di consolidarsi. Io però non vedo tutti questi movimenti. Vedo molto piattume ed omologazione. Sicuramente ci sono delle “isole felici” ma si tratta di gruppi molti chiusi e ristretti tra loro. Non vedo un’influenza seria sulla società circostante e sulla cultura così come è avvenuto con i punk ad esempio.
Beh in particolare in Italia c’è estrema omologazione. Dove sta il problema? A Londra ad esempio c’è molta più volontà di esprimersi ed essere se stessi anche a livello di look. Puoi vestirti come vuoi e a nessuno gliene frega molto. In Italia invece c’è paura di essere giudicati, di essere fuori dal gregge. Le differenze sono molto morbide e quasi non si notano. Sono evidenti solo quando sono estreme e conclamate .Teniamo presente che in Italia, paradossalmente, c’è poca cultura del vestirsi. C’è moltissima gente a cui non interessa nulla dell’argomento ‘vestire’. Gente che non è capace di vestirsi o di sviluppare un proprio stile. Ma è normale che non tutto questo possa interessare a tutti. Certo i negozi vorrebbero tutti clienti appassionati di look, attenti alle nuove tendenze, curiosi per il dettaglio. Purtroppo non è così, e molta gente fa semplicemente la scelta più semplice, per non sbagliare. Si mettono le Nike Blazer, oppure se vengono dall’ambiente hiphop si mettono il cappello New Era, senza nemmeno chiedersi se quel cappello gli sta bene o meno. Come Wag hai lanciato tantissimi brand e tendenze. Molte aziende lo sanno e ti hanno utilizzato come apripista, per poi commercializzare su grand scala. Non ti sei mai sentito utilizzato per questo? No. Conosco il mio ruolo ed è un gioco a cui partecipo conoscendo la mia parte. Quello che in passato mi ha fatto incazzare e, dopo che ho contribuito a far conoscere un prodotto, che questo mi sia stato, per esempio, la stagione successiva, consegnato in ritardo rispetto agli altri. Accetto che a un certo punto l’azienda voglia massimizzare il profitto aprendo il mercato, ma non che si dimentichi il ruolo che ho avuto. Wag è anche fornitissimo di bombolette spray per graffiti. Com’è la situazione oggi? Sbaglio o in seguito agli ultimi 10 anni di campagna contro i graffitari il mercato si è contratto rispetto all’poca del boom? No, sbagli. Paradossalmente il mercato è cresciuto tantissimo e si è moltiplicato. Indice ne è la moltiplicazione dei marchi e del prodotto sul mercato. Com’è la scena oggi? Il “bomber”, quello che compie quello che è definito atto vandalico sui treni di notte, rimane comunque il fiore all’occhiello. Visto il tempo esiguo e le difficoltà con cui lavora, spesso meraviglia per le opere che sa creare. Per il resto la scena è abbastanza ferma nella sua evoluzione. Difficilmente oggi vedo qualcosa che mi sappia stupire a livello di stile. Mi è difficile dire che si sia esaurito, rimane però il fatto che i writers di oggi hanno un alto livello. E a Milano, qual’è la situazione? Direi disastrosa. Sono stati ripresi gli spazi, ben autogestiti in precedenza, per distribuzioni da parte del comune di muri liberi in maniera incompetente. Come si potrebbe risolvere la situazione? Bhè la prima cosa sarebbe dare la possibilità di gestire la cosa a qualcuno competente. Che conosca il fenomeno dall’interno. Altrimenti come fai a decidere a chi dare gli spazi? Ma la gestione della faccenda devo dire che non è semplice e a volte anche chi è competente non la riesce a gestire per mille motivi.
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Parliamo di brand. Quali sono quelli che ti hanno dato ultimamente più soddifazione? E qual’è un brand che potrebbe stupirci e farsi conoscere nel prossimo futuro? Analizzo molto quello che c’è dietro un brand o meglio quello che c’è dentro, l’anima del prodotto, le persone che collaborano, le idee e la collocazione nel mondo reale. Mi sorprendono sempre i marchi storici con cui lavoro come Karl Kani che tengono il passo e non passano di moda. Quelli che mi piacciono sono Addict e, anche se praticamente non la vendo, Wesc. Invece dei marchi italiani ammiro il lavoro dei ragazzi del brand Iuter. Il futuro nel nostro mestiere non è così sconosciuto visto che le collezioni vengono presentate praticamente un anno prima, di idee ce ne sono, ma parlare di stupore su un nuovo brand, soprattuto tenendo conto che deve anche stupire di “cassetto”, è difficile. Come pensi che si evolverà lo streetwear?
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L’evoluzione dello streetwear è come un elastico, si allunga, si contrae, si contorce. Per me lo streetwear deve necessariamente essere di connotato casual sportivo in quanto applicato ad una vita real street. La ricerca, i materiali, lo stile apportano quello che semplicemente è il buon gusto e fattura in un capo di abbigliamento. Facciamo un po’ di polemica. Parlami della figura del rappresentante in Italia. Il rappresentante in Italia come congiunzione tra azienda e venditore al dettaglio ormai è estinto. E’ ormai una sorta d i m e rc e n a r i o d e l b r a n d potenzialmente più produttivo (vendite) che cerca costantemente di acquisire. Non ha relazioni continue coi clienti se non al momento della presentazione della collezione, o alla riscossione dei pagamenti, non lavora cercando di capire la possibilità di incrementare le vendite dei punti vendita (che il più delle volte non ha mai visto di persona) o di studiarne il potenziale. Lascia le cose al proprio destino. Cerca
di scrivere ordini il più possibile e se poi il prodotto non funziona lo abbandona per un altro. E via dicendo... A difesa posso dire che è un lavoro i cui costi oggi sono alti e tante aziende non sono serie, quindi “quagliare” di poesia è dura. Conosco rappresentanti molto seri e bravi. Parlami dei “finti brand”, dei progetti costruiti a tavolino. Ci si può allacciare al discorso precedente sui rappresentanti, di aziende pacco ce ne sono tante! Aziende che creano dei marchi coinvolgendo nella prima collezione, menti, personaggi e situazioni serie, come una sorta di pastura per fare abboccare. Dopodichè si trasformano in un contenitore carino ma vuoto. Ecco... Queste realtà che di solito sono accompagnate da forti budget pubblicitari tolgono ossigeno e vita a quelle più capaci ma dalla “voce bassa”, riuscendo anche a distorcere la verità sui consumatori a proprio uso e consumo. E in questi tempi di crisi è letale.
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natural
Textures
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1. Diesel; 2. Kenzo; 3. Balenciaga; 4. Pantaloni Zespy; 5. McQ by Alexander McQueen; 6. Franklin & Marshall; 7. Moncler R; 8. Porta iPad Monoty; 9. Golden Goose; 10. MSGM; 11. Our Legacy
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Da i modelli puliti e di puro design, a quelli con le fantasie più pazze proposte dagli stilisti più estrosi, fino al rilancio del bomber più venduto nei primi anni 90, lo Schott che è stato rivisto nel fit (oggi super slim) e nei colori che saranno tantissimi (compresi quelli delle fodere) nella collaborazione con American College. Il bomber torna ad essere il capo MUST. Per lui e per lei. 1.Henrik Vibskov; 2. Missoni; 3. Bernard Wilhem; 4. Alexander McQueen; 5. Acne.
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american college usa// American College al Bread & Butter di Berlino ha presentato un solo prodotto: il remake del bomber Schott, in 20 colori diversi. In versione uome e donna. Dopo aver testato nei negozi questo inverno, con risultati positivi, una limited edition rifittata dell’originale Schott degli anni 80, il marchio ha deciso di riproporre questa collaborazione in una palette impressionante di colore. Ogni variante poi è dotata di piccoli dettagli, come zip di colori diversi e fodere, talora in tartan. Il capo uscirà nei negozi al prezzo di circa 200 euro. E, a quanto subodoriamo, potrebbe essere un nuovo piccolo fenomeno. Anche perchè la tendenza del bomber è molto forte e questo potrebbe essere veramete il ‘re dei bomber’. Info Italia: Junk Room (www.junk-room.com)
www.americancol legeusa.com
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backpack 1
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1.Visvim; 2. Archival; 3. Sandquist; 4. Nanamica; 5. Filson; 6. Herschel; 7. Acne x Visvim; 8. Masterpiece x Nowatt; 9. Herschel Supply Bad Hill; 10. Bothos; 11. Herschel; 12. Ami.
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five panels Cap
Chuk Originals
The Quiet Life
Supreme
Norse Projects
Enswear
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Moupia
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Billionaire Boys Club
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Waiting for the Sun
wood Sunglasses
Waiting for the Sun
Shewood
Waiting for the Sun
Waiting for the Sun
Shewood
Shewood
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t-shirt
Monoty
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This is not Clothing
Byg Bang
M-Stash
Miito
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FASHION_Brand Review
di Marco Bianchi
Brand Reviews KICKERS X CHRISTOPHER SHANNON// Lo stilista inglese Christopher Shannon questa stagione ha messo mano alle forme clas-
siche delle Kickers facendo uso di materiali premium e di dettagli unici trasformandole in oggetti di pura avanguardia
www.christopher shannon.co.uk
comme des garcon x the generic man// Comme Des Garçons collabora (non per la prima volta) con The Generic Man. Quest’ultimo è un marchio americano con sede a Los Angeles che realizza in Portogallo, scarpe di alto livello destinate all’uomo moderno che cerca un prodotto con uno stile forte e
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understated. Comme des Garçons questa stagione porta il colore e la sua creatività giapponese nelle forme pulite e raffinate di The Generic Man, dando vita a qualcosa di molto allegro ed eccentrico: una serie di sneakers stampate con scritte colorate e fumetti che i fan del marchio giapponese adoreranno. Disponibili su Oki-Ni.
www.comme-desgarcons.com
thorocraft// Thorocraft fa a suo modo quello che ha inventato Marc McNairy rendendo ultra-moderne le piĂš classiche scarpe formali da uomo iniettandovi energia e un pizzico di follia attraverso i colori. Thorocraft, marchio Californiano nato nel 2009 applica le sue fantasie (che difficilmente passano inosservate) a calzature dalla fattura e qualitĂ artigianale. Queste a lato fanno parte della nuova collezione primavera-estate, mentre quelle sotto, baciate da paisley e motivi aztechi monocolore sono in arrivo il prossimo autunno-inverno.
www.thorocraft.com
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FASHION_Brand Review
hoon paris// Ho visto la nascita di Hoon alcuni anni fa alla sua prima fiera internazionale: il Bread and Butter Berlin. Era quasi un pesce fuor d’acqua perchè conteneva già in sè un gusto luxury e fashion, ben lontano dal sapore streetwear della manifestazione. Hoon è un marchio parigino che realizza capospalla in pelle di livello luxury con un design preciso e pulito ma allo stesso tempo originale e fresco. I capi sono tutti realizzati al 100% in Francia dai migliori artigiani pellettieri. Il fondatore Adrien Haddad ha creato la sua collezione con l’intento di realizzare capi senza tempo, che potessero rifuggire dalle tendenze del momento. D’altronde chi compra un capo in pelle da oltre 1000 euro, difficilmente ha il piacere di investire su un capo che dia l’idea di poterlo stufare dopo una sola stagione. Hoon realizza prodotti che, per il loro costo, possono difficilmente entrare nel classico negozio urban-wear, ma il cui prezzo può ancora essere considerato concorrenziale se affiancato alle griffe, delle quali, notorietà a parte, ha davvero poco da invidiare. Quella che vi mostriamo è l’anteprima della collezione autunno-inverno 2013.
www.hoon.fr 82
p448// Gli inventori di Shoe Shine lanciano questo marchio di scarpe. La forma è quella che piace oggi, non andiamo lontano da Golden Goose, Philippe Model, Leather Crown e compagnia. Quelli di P448 ci mettono la loro fantasia, che va da dettagli animalier agli inserti di tessuto fiorato. La qualità è impressionante. Il prodotto è artigianale e Made in Italy al 100% e come rapporto qualità prezzo si col-
loca ai veritici assoluti della categoria. Solo prendendole in mano dal vivo si sente l’odore della pelle di prima scelta, si vede la cura con cui sono realizzate le sporcature e gli effetti used, la precisione delle cuciture e la cura dei materiali. La comodità poi è pazzesca, aiutata sa una suola morbida e con uno spessore davvero notevole, per assorbire ogni vostro passo. Ci sono tutte le premesse per un grande successo.
www.p448.it
cor sine labe doli// Accessori fashion? Oggetti di design? Opere d’arte? Feticci per collezionisti. Sì, sì, sì e ancora sì. Difficile “categorizzare” Cor Sine Labe Doli, brand tutto italiano che crea questi piccoli capolavori di ingegno e artigianalità. Dagli ormai classici papillon a colletti, pochette, nodi di cravatta, e collane, tutto in un unico quanto inusuale materiale: la ceramica. All’ultimo
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Pitti hanno presentato anche una collezione di cuori anatomici ciondolo. Davvero bellissimi.
www.corsinelabedoli. com
shoeshine// Per la primavera estate 2013 Shoe Shine, il marchio streetwear tutto italiano che ha registrato un successo stupefacente nelle ultime stagioni, presenta una collezione di t-shirt e felpe che non tradisce il suo spirito sportivo, allegro e scanzonato. Shoe Shine allarga la gamma dei suoi pantaloni in felpa, ormai un must have assoluto. Non mancano la versioni camo affiancate a quelle piÚ basiche e pulite. I temi caldi della collezione sono: la t-shirt con taschino applicato, gli sprazzi di colore fluo, le felpe con taglio a vivo. L’accessorio fondamentale è la sacca in stile esercito con stampato il logo del brand: perfetta per la palestra o da portare in spiaggia.
www.shoeshine.it
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FASHION_Brand Review
boy london// Boy London è un grande ritorno. Il marchio fu fondato nel 1977 da Stephane Raynor, come celebrazione della ribellione affiancando il movimento punk e la acid house. Dal 2007 è stato ripreso e rilanciato partendo esattamente da dove era stato lasciato. C’è una londra underground e ribelle che sta tornando più forte che mai. E in un momento dove c’è voglia più di prodotto che di nomi e loghi gridati, Boy London rappresenta un’eccezione nel panorama, con i suoi caratteri cubitali che sormontano l’aquila imperiale. T-shirt e canotte, bomber, felpe con il logo stampato all-over e una serie di scarpe azzeccatissime, con linguetta gigante e il logo stampato enorme, anche in versione borchiata.
www.boylondon.com
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FASHION_Brand Review
b&d// Le Be&D è un marchio luxury americano che ha fatto centro le sue sneakers che, con una distribuzione iper-selezionata, stanno facendo tendenza negli Stati Uniti ed oggi stanno entrando anche nelle migliori boutique europee:
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Coloratissime e divertenti le proposte Cast per la bella stagione. Il brand famoso per le customizzazioni di orologi iconici del passato propone nuove forme quadrate
Seiko coloratissime abbinate ai classici cinturini intercambiabili in nuovi colori accesi, fluo, in fantasie pop e animalier.
www.castdistribu tion.it
si tratta di sneakers che portano stampato sul lato della scarpa immagini di forte impatto, dalla pistola, alla scarpa col tacco. Un modo irriverente per la donna di dire: ‘queste sneakers sono la mia scarpa col tacco’…
www.beandd.com
FASHION_Brand Review
sister jane// La designer Bea Deza è madrilena, il gusto british piÚ che mai. Raffinata, chic, fatta di dettagli discreti e perfetti, tessuti preziosi e tagli costruiti e sofisticati, questa la collezione Sister Jane per questa spring summer 13. Fiori, colori vivacissimi abbinati al nero, cristalli e pietre che illuminano colletti e decorano bijoux. Leit motiv il lurex, usato su top, giacche, pantaloni, minidree e gonne, lunimoso e prezioso, Per informazioni info@ baltimorastudio.it o visitate il loro sito: www.baltimorastudio.it
sisterjane.co.uk
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minimarket del riciclo// Mixando artigianalità, riciclo, gusto streetwear, avanguardia Minimarket dei Riciclo ha creato un vero e proprio brand che è oggi associalbile alla parola CULT. Dinamici, sempre in evoluzione, i ragazzi del Minimarket uniscono sotto questo nome una serie di mini collezioni e marchi ognuno con una sua specifica natura: la collezione Bet Pet è dedicata al mondo NBA, Nais è invece pura avanguardia spruz-
zata con uno spirito rock e ribelle. Tutte le collezioni sono disegnate e realizzate rigorosamente in Italia. Oggi Minimarket con una crescita vertiginosa è arrivata ad aprire nell’ultimo anno e mezzo 10 monomarca, mentre i negozi che stanno inserendo il prodotto sono più di 100. La formula è vincente. Alcuni bestseller sempre disponibili e collezioni e prodotti nuovi e freschissimi in uscita continua.
www.facebook.com/ marketOfficialPage
pedestrian// Occhio a Pedestrian. E’ questo il nuovo brand specializzato in pantaloni che sta entrando in moltissimi negozi italiani. Il risultato di un mix perfettamente riuscito: un prodotto pulito, dal fit perfetto e completamente made in Italy.
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Dulcis in fundo, un prezzo interessante: 85 euro al pubblico. La collezione si base su 2 modelli: il chino e il 5 tasche che girano su una cartella di colori belli ed efficaci. Il Pedone sta arrivando...
www. pedestrianclothing.com
jovonnista// Jovonnista nasce nel 2007 dalla creatività del designer di origini cinesi Jiao Jyan. L’inserimento nel cult store londonese Topshop lo consacra immediatamente come brand di riferimento fra le fashioniste britanniche prima, di tutta Europa poi. La spring/summer 13 è un tuffo nella bella stagione, nel colore e nella leggerezza. Toni zuccherosi, tagli asimmetrici e iperfemminili si abbinano alla perfezione per un look che parla davvero d’estate. Non vediamo l’ora. Per informazioni info@baltimorastudio.it o visitate il loro sito: www.baltimorastudio.it
jovonnalondon.com
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FOCUS ON
the fun side of Fashion spangled// Eccentrici, colorati e bizzarri. Sono gli occhiali Spangled. Strass, cristalli luccicanti, lunghe ciglia dorate e... pupazzetti di plastica, per accessori culto da indossare o semplicemente mostrare, sicuri che non passeranno inosservati.
www.sjstylee. com
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moxi roller skate// Per usare le loro stesse parole “Moxi è il marchio per le ragazze che vogliono fare skate ed essere belle mentre lo fanno”. Colorati, pop, eccessivi ma dal sapore vintage.
In California, a Long Beach dove sono nati, sono già un cult. Pronte a skettinare?
moxirollerskates.com
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FOCUS ON
the best ofJeans
In senso orario. Alexander McQueen biker jacket; Junia Watanabe printed biker jacket; Christopher Keane leopard biker jacket; Rick Owens ‘naska’ biker jacket.
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Levi’s wasteless// Dopo il jeans «Water Less» Levi’s si cimenta nuovamente nell’eco-fashion con una collezione davvero innovativa. Si chiama «Waste Less» cioè «meno spazzatura», ed è composta da capi in uno speciale denim con una percentuale del 20% di rifiuti post consumo per pezzo: in particolare parliamo di bottiglie di plastica (da 12 a 20 bottiglie per jeans) che danno ai singoli pezzi delle sfumature uniche e differenti, capo per capo. Il debutto è fissato per questa P/E 13 e prevede un impiego complessivo di circa 3,5 milioni di bottiglie riciclate.
www.levi.com 95
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FOCUS ON
wedges
Sneakers 1
1
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1. Isabel Marant 2. Giuseppe Zanotti Design; 3. ASH; 4. Chloe; 5. Marc by Marc Jacobs; 6. Nike x Liberty of London; 7. LemarĂŠ; 8. Puma Mihara
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ADIDAS OBYO ORIGINALS BY ORIGINALS BY JEREMY SCOTT// 98
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lace-up
Shoes
3
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7
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1. Repetto; 2. Chie Mihara 3. Chie Mihara; 4. Jeffrey Campbell; 5. Pretty Ballerinas; 6.Anniel; 7. Zoraide.
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FOCUS ON
Nike Flyknit
Nominate dal Time una delle 25 migliori invenzioni del 2012, le Nike Flyknit sono realizzate mediante la filatura di un solo filo di nylon. Il procedimento assicura una leggerezza totale, la massima traspirabilità e un sostegno solo nei punti dove serve. Inoltre, come ha sottolineato il Time, è una scarpa in qualche maniera ecofriendly: non vengono cucite tra di loro parti differenti e di conseguenza si riducono sprechi e scarti di lavorazione, che necessiterebbero poi di uno smaltimento e andrebbero a inquinare l’ambiente. Grazie a questo formidabile processo costruttivo la scarpa raggiunge un peso sbalorditivo di 160 grammi e si candida a diventare una tecnologia molto utilizzata in casa Nike.
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Come spesso capita però, ciò che è realizzato per scopi sportivi, passa presto nel mondo casual per far parte della vita di tutti i giorni. E’ così che il CEO e designer Mark Parker ha chiamato a lavorare con se Hiroshi Fujiwara e Tinker Hatfield per applicare la tecnologia a nuovi stili e darle un aspetto fashion. Il frutto di questo lavoro sono le Flyknit Chukka, dove la tecologia del filato ha dato vita a una scarpa con la tipica forma ‘chukka’ a cui è stata applicata una sola Lunar. Sono in uscita a breve 2 colori e saranno i primi di una serie più ampia in uscita nei prossimi mesi.
FASHION_Sneakers
future sky hi// La Future Sky Hi - Audace rivisitazione dell’iconica Sky Hi da basket, sul mercato per la prima volta nel 1980, ha la tomaia in nubuck, soletta in EVA e suola in gomma rinforzata e traforata sul tallone per un look spaziale e adatto ad essere indossato in primavera-estate nelle varianti colore bianca con dettagli blu e blu con particolari in arancio e azzurro.
FOCUS ON
puma Liting future disc blaze lite// Puma per la primavera/estate 2013, riedita in chiave futuristica i modelli icona indossati ed apprezzati da intere generazioni, utilizzando nuove tecnologie, dando come risultato un prodotto innovativo e originale. Reintrodotta in questa stagione, anche la mitica Disc Blaze entra a far parte di questo pacchetto: la sneaker che negli anni ’90 rappresentò una vera e propria rivoluzione sulla scena street, grazie all’inedita allacciatura a dischetto che permetteva, con un unico e semplice gesto, di avere un fit personalizzato, ritorna in materiali super leggeri e nelle colorazioni Future.
el rey mid future// Innovazione assoluta, la El Rey è per Puma una calzatura inedita e fuori dagli schemi, grazie alla sua costruzione avveniristica: chiusura a pannelli con strap, dettagli in mesh, la facile calzata slip on e la suola in gomma, le conferiscono un aspetto spavaldo e anticonformista. La tomaia bianca classica si abbina perfettamente alle chiusure arancio con i dettagli in mesh azzurro. Disponibile anche in versione bianca e blu.
future suede light// Una sneakers che omaggia con il nome e l’inconfondibile silhouette la sneaker più rappresentativa di PUMA, la Suede, nata nel 1968. Proposta in due versioni Lo e Mid Future Suede Lite si differenzia dall’originale grazie alla nuova tomaia in nylon, i dettagli in vernice, la linguetta in neoprene e la suola in gomma con stampa ad esagoni Trinomic che, combinati alle nuove e vivaci colorazioni, la rendono perfetta per essere abbinata a qualsiasi look.
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FOCUS ON
puma ARCHIVe Collection puma sf77// Negli anni ’70, quando esplose il fenomeno del jogging come attività ricreativa, fece la sua apparizione la Puma SF77, una scarpa di ispirazione running, come la “sorella” Easy Rider, caratterizzata da elementi, come l’intersuola in EVA, in grado di fornire la massima ammortizzazione e
puma oslo// Puma presenta, per la primavera-estate 2013, una collezione di calzature che rende omaggio agli intramontabili classici del brand. Le nuove sneakers Puma Oslo e Puma SF77 rappresentando un vero e proprio trait d’union con il presente e le ultime tendenze. Puma Oslo, nata come scarpa per l’allenamento indoor, è stata presentata per la prima volta nel 1950 e indossata dagli atleti che partecipavano ai
rendere la calzatura leggera e ideale non solo per correre ma anche per essere indossata comodamente tutto il giorno. Costruita per durare nel tempo, presenta una tomaia in nylon con rinforzi in punta e dettagli in suede tono su tono. Un forte richiamo agli anni ’70 è rappresentato dalle combinazioni colore vintage che spaziano dal classico grigio e blu all’acceso giallo e rosso.
Giochi Invernali di Oslo. Per questa stagione viene riproposta la versione anni ’80 con tomaia in pelle bianca scamosciata, dettagli in verde o blu di morbida nappa, suola dentellata per la massima trazione ed aderenza e scritta in oro sul fianco. Particolare davvero raffinato è l’anno di produzione originale stampato sul rivestimento interno.
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creepers Shoes
Underground
Underground
Underground
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Nel 1945 i soldati britannici tornarono dalla guerra in Nord Africa e passarono a Londra, nelle taverne di Soho E King’s Cross dove le scarpe da loro indossate divennero note come ‘brothel creepers’. Inspirati da queste scarpe dotate di una tomaia scamosciata e una suola molto alta e massiccia, i calzolai locali iniziarono a proporre calzature del genere e i Teddy Boys le adottarono immediatamente ispirati dal loro voglia di libertà, divertimento e un attitudine che rifletteva la nascita del rock n’roll. Negli anni 70 con l’ondata punk le creepers ritornarono protagoniste sulla scena, anche tra gli artisti e i musicisti indipendenti e contaminarono nuovamente il mondo fashion. Oggi le creepers, sull’onda del grande ritorno dello spirito UK, affiancate dal ritorno di Dr Martens, tornano ai piedi dei giovani di tutta Europa sensibili alle tendenze. I marchi di riferimento sono molti, ma in particolar modo Underground e T.U.K, che trovate nella nostra selezione. Le scarpe inizialmente nere e nere-bianche, oggi si illuminano di colori accesi e motivi animalier.
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Tuk
Tuk
Underground Tuk
Tuk
Underground
Underground
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FOCUS ON
richClochard Uno dei temi più attuali nel mondo delle calzature da uomo sono le scarpe stringate con trattamento invecchiato. Si tratta di scarpe di manifattura artigianale di qualità altissima, realizzate spesso da alcune delle migliori aziende al mondo come Church’s e Tricker’s. Abbiamo battezzato questo
gusto clochard-luxury, perché l’aspetto invecchiato può ricordare ai meno esperti le scarpe indossate per una vita da un clochard. In realtà un occhio attento scoprirà la firma delle più prestigiose aziende artigiane (spesso italiane e inglesi) che utilizzano procedimenti manuali vecchi di 100 anni facendo
uso solo delle migliori materie prime. Un gusto chabby-chic apparentemente ‘trascurato’ ma invece fatto proprio dai veri intenditori, allo stesso modo in cui la barba lunga e ispida è oggi sempre più presente sulle passerelle e nelle pubblicità maschili: non è sinonimo di trascuratezza, ma indice di un eleganza che trae ispirazione dalla concretezza e ruvidezza di ciò che è autentico, vero, tradizionale. Come spesso capita però, ciò che è realizzato per scopi sportivi, passa presto nel mondo casual per far parte
della vita di tutti i giorni. E’ così che il CEO e designer Mark Parker ha chiamato a lavorare con se Hiroshi Fujiwara e Tinker Hatfield per applicare la tecnologia a nuovi stili e darle un aspetto fashion. Il frutto di questo lavoro sono le Flyknit Chukka, dove la tecologia del filato ha dato vita a una scarpa con la tipica forma ‘chukka’ a cui è stata applicata una sola Lunar. Sono in uscita a breve 2 colori e saranno i primi di una serie più ampia in uscita nei prossimi mesi.
Churchs
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Marsell
Officine Creative
Marsell
Moma
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ART
Exhibitions di Manuela Pizzichi
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“The New Orleans series” bob dylan Dal 5 febbraio al 10 marzo 2013 Palazzo Reale, Milano
“That’s me / That’s not me” Cindy Sherman Dal 1 febbraio al 26 maggio 2013 Merano Arte, Merano
Avete capito bene. Non stiamo parlando dell’ennesima retrospettiva fotografica dedicata al cantautore statunitense per eccellenza, ma di una mostra che come una canzone nasce direttamente dalla mente e finisce alla sua mano. L’arte qui non prende la via delle sei corde e della musica ma scorre sulla tela, in una serie di 22 dipinti che arrivano in Italia per la prima volta, nel cuore di Milano. “The New Orleans series” è un ritratto senza tempo dello spirito maledetto di una città fortemente amata e vissuta dall’artista americano, già poeticamente descritta nella sua autobiografia Chronicles. La pittura di Dylan è una pittura dal segno semplice e sincero: i quadri esposti a Palazzo Reale per il debutto italiano raccontano di persone e giorni qualunque della New Orleans degli anni ’40 e ‘50, decadente e scura come quel jazz che ne è figlio e voce da sempre. Un’occasione speciale per apprezzare l’autore in una veste tanto poco conosciuta quanto interessante.
Americana, nata nel New Jersey, attualmente vive e lavora a New York: Cindy Sherman è una delle donne dell’arte contemporanea più influenti e apprezzate a livello mondiale. Curata da Gabriele Schor, in collaborazione con la Collezione Verbund di Vienna, la mostra “That’s me / That’s not me” presenta 50 opere significative scelte dalla produzione giovanile dal ‘75 al ’77; gli anni cruciali degli studi alla State University College di Buffalo e anche quelli di un nuovo fermento espressivo che stava emergendo. Un esordio artistico, quello della Sherman, che risulta fortemente influenzato dalle nuove forme di arte di inizio anni 70 come la performance, l’arte concettuale, la body art e già carico della personalità espressiva unica dei lavori della maturità. Sperimentazioni audaci e complesse in cui l’artista è soggetto attivo e oggetto stesso della sua opera: la trasfigurazione corporea di sé ridiscute ironicamente lo stereotipo femminile in una messa in scena cruda e spietata di esso.
“Storie di un fotografo” Gianni Berengo Gardin Dal 1 febbraio al 12 maggio 2013 Casa dei Tre Oci, VENEZIA
“Glass to the wall” Caroline Walker Dal 2 febbraio al 22 marzo 2013 Project B Gallery, Milano
Da un archivio di un milione e cinquecentomila immagini, ne sono state scelte 130 a rappresentare il corpus di questa grandiosa antologica a cura di Denis Curti dedicata a uno dei principali esponenti della fotografia italiana. Scatti pluripremiati che hanno fatto il giro del mondo, ad opera di un artista instancabile che da quasi cinquant’anni lo racconta a modo suo. Quella di Gianni Berengo Gardin è un’opera essenziale ed attenta, che si nutre dell’umiltà dei grandi d’altri tempi e di una passione instancabile. Il bianco e nero è il tratto distintivo del suo lavoro perché “il colore distrae il fotografo e gli guarda”. L’etica di Gardin è quella di chi cattura ciò che “accade”, perché le cose avvengono per caso ma per scattare deve esserci sempre un motivo: “nelle fotografie deve sempre succedere qualcosa” e ogni scatto è una scelta che rimane.Vita in movimento che scorre davanti agli occhi di un obiettivo che fa parlare la realtà nell’immagine di quell’attimo indicibile che resta.
Prima personale italiana per la pittrice scozzese che vive e lavora a Londra. Curata da Jane Neal in collaborazione con Project B, l’esposizione conta dieci tele affiancate da alcuni bozzetti e si colloca nell’ambito del progetto della galleria milanese a supporto di giovani artisti e curatori. “Glass to the wall” è il titolo della mostra in questione, che cela in sé molto dell’intenzione artistica del lavoro di Caroline Walker. In anni in cui la pittura è tra le scelte più coraggiose e meno percorse di un artista, la Walker riesce a produrre qualcosa di nuovo con un’opera dalla forza seducente e autentica che colpisce dritto al profondo dell’essere.Vetro che protegge e svela il non visto e il non detto, vetro che conserva gli angoli segreti della vita di una donna: un vetro appeso al muro, come uno specchio su cui scivola confusa una verità nuda nascosta tra le mura di una stanza o i confini di un giardino.
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Marche ANCONA MBC Via Commercianti 7, 60019 Senigallia (AN) PHOENIX Via Albertini 36, Gross pad.12, 60131 Ancona UNDERGROUND LEGEND SRL Piazza Giuseppe Garibaldi 6, 60044 Fabriano (AN) ASCOLI PICENO EPTA Via Del Trivio 28, 63040 Ascoli Piceno URBAN STREET Viale Cavallotti 129, 63822 Porto San Giorgio (AP) BLAB Via Ugo Bassi 91, 63074 San Benedetto del Tronto (AP) MACERATA COMBO Via Matteotti 160, 62012 Civitanova Marche (MC) MARCO MOREO INDUSTRIE Via Ascoli 10/12, 62010 Montecosaro (MC) SNOWY SUMMIT Via C.Vanni 141, 62014 Corridonia (MC)
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Piemonte
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Toscana
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