Presmell - Annuario 2020

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ANNUARIO 2020 Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell

IN COPERTINA: La frazione Oro, Val Vogna. Fotografia di Carlo Pozzoni

Caro Lettore, il 2020 è trascorso lasciando dietro di sè preoccupazione, dolore e incredulità. Durante l’estate il virus ci ha dato tregua ed un barlume di speranza. Aggrappati a questo abbiamo cercato di avere una stagione di normalità. Ripercorriamo quei momenti perché siano di buon auspicio per i mesi a venire. Annuario

Il Team

PIETRE GEMELLE PRESMELL

5 ANNUARIO 2020 ATTIVITÀ 2020 È cresciuta in seno all’associazione la consapevolezza che insistere nel promuovere attività di tutela e divulgazione del proprio patrimonio culturale, seppur faticoso tanto più in un anno cosi complesso, prima o poi ripaghi delle fatiche. Con determinazione lavoriamo tutto l’anno per creare partnership e collaborazioni che ci aiutino nella salvaguardia del nostro territorio. 25 Luglio 2020 LO SCIAMANO DELLE ALPI Casa parrocchiale di Riva Valdobbia Nella bella cornice della casa parrocchiale di Riva Valdobbia con l’amico e scrittore Matteo Bertone abbiamo presentato il libro di Michele Marziani (nostro socio) LO SCIAMANO DELLE ALPI. Grazie Michele della tua ultima bella opera e grazie a Matteo per la simpatica presentazione. LODELLESCIAMANOALPI SCRITTORE MICHELE MARZIANI Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell CON IL PATROCINIO DI COMUNE DI ALAGNA VALSESIA UNIONE MONTANA COMUNI DELLA VALSESIAassociazione.presmell@gmail.com @associazione.presmell Presmell Associazione Culturale Walser Ecomuseo della Valle Vogna - Alagna Valsesia www.vallevogna.euINFO Presentazione letteraria del libro “Lo sciamano delle Alpi” di Michele Marziani a cura dello scrittore Matteo Bertone 25 luglio 2020 ore 18:00 Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell Corte della casa parrocchiale di Riva Valdobbia Con la partecipazione della libreria NUOVA IDEA di Borgosesia

7 ANNUARIO 2020 1 Agosto 2020 SPÏNNE, SPÏNNE DS GANZA SPÏNNE... Riva Valdobbia - Giornata per la valorizzazione della lana e della canapa locali CON IL PATROCINIO DI COMUNE DI ALAGNA VALSESIA UNIONE MONTANA COMUNI DELLA VALSESIAassociazione.presmell@gmail.com @associazione.presmell Presmell Associazione Culturale Walser Ecomuseo della Valle Vogna - Alagna Valsesia www.vallevogna.euINFO SPÏNNE, SPÏNNE DS SUTINTURASPÏNNE...GANZALANA Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell Laboratorio a cielo aperto per la valorizzazione della lana e della canapa locali: filare, sfeltrire, tingere e tessere. Corso di tintura naturale su lana Prenotazione obbligatoria INFO Tel. 328.92.92.903 - associazione.presmell@gmail.com 2 agosto 2020 1 agosto 2020 dalle 10:00 alle 18:00 dalle 17:00 alle 19:00 Tra le vie di Riva Valdobbia Corte della Casa parrocchiale di Riva Valdobbia V VALSESIANA LANA V

Queste due materie prime sono state ormai dimenticate per lasciare spazio a prodotti industriali o importati quando il nostro paese ne è un produttore d’eccellenza. Non sarà la nostra manifestazione ad invertire il trend del disuso ormai acquisito ma sensibilizzare il pubblico è nostro dovere.

Con orgoglio presentiamo la prima edizione di questo evento. È importante per noi tornare a valorizzare due capisaldi della cultura artigiana del nostro paese: la lana e la canapa.

Lo scopo di questa manifestazione è far conoscere parte del nostro patrimonio culturale artigianale ed agricolo e sensibilizzare l’utilizzo di due materie prime dalle incredibili proprietà. Viene inoltre incentivato il consumo del prodotto locale che in altro caso viene gettato, anzi smaltito, come rifiuto speciale.

Le foto rappresentano momenti del corso di tintura naturale e del mercatino di domenica dedicato alla lavorazione della lana e della canapa.

9 ANNUARIO 2020 Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell CON IL PATROCINIO DI COMUNE DI ALAGNA VALSESIA UNIONE MONTANA COMUNI DELLA VALSESIAassociazione.presmell@gmail.com @associazione.presmell Presmell Associazione Culturale Walser Ecomuseo della Valle Vogna - Alagna Valsesia www.vallevogna.euINFO ALIMURGICHERICERCAALLADELLEPIANTE Scienza e tradizione a braccetto. Dai Walser ad oggi usi e costumi sull’utilizzo della flora locale. Escursione in compagnia della Prof. Vicario e Pietro Ferraris 12 agosto 2020 13 agostooreore20209:009:00 Alta via dei Walser - Val Vogna Ritrovo a Ca’ di Janzo. Ritrovo nel piazzale Wold. Alpe Faller - Alagna Valsesia PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA INFO Tel. 328.92.92.903 - associazione.presmell@gmail.com PARTECIPAZIONE MASSIMA 15 PERSONE 12-13 Agosto 2020 ALLA RICERCA DELLE PIANTE ALIMURGICHE Valle Vogna - Alpe Faller Seconda edizione delle nostre passeggiate botaniche che hanno sempre una frequentazione importante. Grazie alla Prof.ssa Vicario e alla Sua importante esperienza. A rendere ancora più interessante la passeggiata la partecipazione del nostro socio, anch’egli esperto botanico, Giuseppe Ferraris che ha unito la memoria storica sull’utilizzo delle piante ed i nomi dialettali a quelli scientifici.

Pozzoni.

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22-23 Agosto 2020 HOLZIS UND STAINIS – DI LEGNO DI PIETRA

dei

L’associazione

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11 ANNUARIO 2020 CON IL PATROCINIO DI COMUNE DI ALAGNA VALSESIA UNIONE MONTANA COMUNI DELLA VALSESIAassociazione.presmell@gmail.com @associazione.presmell Presmell Associazione Culturale Walser Ecomuseo della Valle Vogna - Alagna Valsesia www.vallevogna.euINFO DISTAINISUNDHOLZISLEGNODIPIETRA Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell Sacralità e simbolismo del popolo Walser e delle Alte Terre. Espongono lo scultore Ireneo Passera, lo scultore Fabio Nicola, il fotografo Carlo Pozzoni agosto22-232020 FRAZIONE PEDELEGNO ALAGNA VALSESIA

Fraz. Pedelegno, Alagna Valsesia

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Uno dei nostri scopi statutari è la salvaguardia del nostro patrimonio culturale e la trasmissione al prossimo. Con questo evento, anch’esso alla prima edizione, vorremmo riprendere parte fondamentale della nostra cultura: l’uso del legno e della pietra che caratterizza il nostro paesaggio. Ma altrettanto importante è il patrimonio immateriale e le forme d’espressione artistica che hanno caratterizzato il nostro passato. La nostra idea è quella di unire l’arte della fotografia, che immortala le immagini del passato, all’utilizzo del legno e della pietra in forme d’arte che si proiettano verso il futuro. Auspichiamo di poter ospitare diverse località dell’arco alpino che possano esprimere la propria cultura con questa formula. ringrazia il Centro Culturale Walser Gmai, l’Unione Montana Comuni della Valsesia il Comune di Alagna Valsesia e artisti Ireneo Passera Fabio Nicola e Carlo

13 ANNUARIO 2020 6 settembre 2020 WALSER WEG: ALAGNA VALSESIA – VALLE DEL LYS

Ringraziamo i Sindaci della comunità che ci hanno accolto ed accompagnato nella visita ai loro paesi e tutti i partecipanti a questo bell’evento, anche delle altre comunità Walser.

CON IL PATROCINIO DI COMUNE DI ALAGNA VALSESIA UNIONE MONTANA COMUNI DELLA VALSESIAassociazione.presmell@gmail.com @associazione.presmell Presmell Associazione Culturale Walser Ecomuseo della Valle Vogna - Alagna Valsesia www.vallevogna.euINFOAssociazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell Da Ca’ di Janzo a Gressoney S. Jean WALSERFEERDEBJUWEG Incontro delle Genti Walser a Gressoney St. Jean attraverso l’alta via dei walser ripercorsa come da tradizione partendo da Ca’ di Janzo. Pressmell Associazione Culturale Walser Ecomuseo della Valle Vogna in collaborazione con Pro Loco Riva Valdobbia e Gruppo Folkloristico “Die Walser Im Land” A CAUSA DELLE RESTRIZIONI COVID NON SI È SVOLTO IL TREKKING CON PERNOTTAMENTO IN RIFUGIO

Da Alagna Valsesia alla Valle del Lys

Non per ultima quest’anno abbiamo sancito il desiderio di incontrarci con i nostri vicini della Valle del Lys (Valle d’Aosta) per ricordare i colli che hanno visto passare molti dei nostri reciproci abitanti, in ogni epoca.

I siti walser nel mondo Complessivamente i siti walser sono una settantina, la maggior parte dei quali nei cantoni svizzeri dei Gri gioni e del Vallese, ma anche, oltre che in Italia, nel Liechtenstein, in Tirolo e nella Savoia. In valle d’Aosta li troviamo a Gressoney e a Issime, mentre in Val d’Ayas sono rimasti numerosi toponimi a testimoniare una presenza walser ormai tramon tata. Nella nostra Valsesia sono presenti sei colonie walser così come nella provincia del Verbano Cu sio Ossola. Fra queste c’è Ornavasso, l’unico inse diamento a bassa quota, dove, nel 2022, si terrà il prossimo Walsertreffen, l’incontro internazionale delle genti walser, che accoglie ogni volta migliaia di persone.

Dott.ssa Elena Sinibaldi del Mibact nel prossi mo articolo ci aprirà una finestra sulle chiavi di lettura dell’Unesco aiutandoci a meglio comprende re il complesso processo di can didatura.

Nuove esperienze di chi vuole ricominciare qui.. in montagna.

O di chi se ne andato ma ha lasciato qui un pezzo di Dedichiamocuore.parte del nostro annuario proprio a chi è stato ispirato dalla Montagna e con capacità di espressione, ce ne vuole parlare nei suoi racconti. Amici, vicini e lontani... chiunque ci voglia parlare del loro rapporto con le Alte Terre.

14 15 PRESMELL - PIETRE GEMELLE ANNUARIO 2020

La cultura walser patrimonio dell'Unesco

Un patrimonio culturale im materiale (ICH - Intangible cultural heritage) è un para digma politico per lo svilup po sostenibile e pacifico di tutte le comunità interessate a riconoscersi in una propria pratica, una rappresentazio ne, un'espressione, una co noscenza o un'abilità, non ché degli strumenti, oggetti, artefatti e spazi culturali le gati a questi elementi.

Locca Roberta Presidente di Presmell Associazione Culturale Walser Ecomuseo della Valle Vogna - Alagna Valsesia

Chiunque frequenti la Montagna sa che può essere fonte di ispirazione. Mondi intrisi di storie dalle radici profonde e dai paesaggi inebrianti.

Il culturalePatrimonioimmateriale

Verso la candidatura al “registro delle buone pratiche di salvaguardia” del Patrimonio culturale Immateriale sancito dall’Unesco.

viciniAmici,elontani

D a molti anni diverse comunità del territorio Walser hanno sentito il de siderio di candidare i propri elemen ti culturali quali Patrimonio Unesco. Sono state provate e ricercate diverse strade, ma la candi datura nazionale non ha avuto vita facile e ri conoscere il giusto approccio, compito arduo. Sin dal Settembre 2019 si è percepita una svol ta significativa. Durante l’assemblea annuale dell’Internationale Vereinigung fur walsertum i rappresentanti di ogni comunità walser eu ropea hanno votato una mozione presentata da alcuni associati che chiedevano una candi datura internazionale. All’unanimità si è dato avvio a questa nuova idea e tutte le comunità si sono trovate in accordo per una candidatura che coinvolgesse tutte e quattro le nazioni che accolgono comunità walser (Svizzera, Italia, Austria e Francia) inoltre, IVfW si è assunto l’onere dell’intero progetto. L’entusiasmo maggiore veniva dalle comuni tà italiane. Esigenza forse dettata dal maggior senso di precarietà dei nostri elementi cultu rali che nonostante il tanto lavoro profuso dai gruppi locali avrebbe bisogno di maggior vi gore e attenzione. A pochi mesi dal voto, Bru no Pelli vice presidente dell’IVfW responsabile delle comunità a Sud delle Alpi, è stato eletto responsabile del progetto candidatura ed è iniziato il processo che ha portato al compo nimento del tavolo di lavoro che vede presenti un portavoce per ogni area geografica: Rober ta Locca (Valsesia e Campello Monti), Danie la Valsesia (Macugnaga e Ornavasso), Anna Sormani (Formazza, Baceno), Nadia Guindani (Valle del Lys) e Patrizia Cimberio come coor dinatrice e consulente. Il 2020 è stato un anno di lavoro importante. Grazie al grande suppor to di Patrizia ed al diretto aiuto del Ministero dei Beni Culturali nella persona della Dott.ssa Elena Sinibaldi, il progetto ha preso forma. Oggi possiamo, con orgoglio, parlare di un ambizioso progetto condiviso con tutte le nazioni coinvolte, che trova l’appoggio della Commissione Italiana Unesco. Il progetto di Salvaguardia nasce dalla rinno vata visione di alcune nostre comunità di for mare un grande sentiero culturale che unisce i nostri paesi (Grosse Walser Wege). Il percorso geografico e bio-culturale ha lo scopo di unirci tramite un “fil rouge” ideale al fine di salva guardare gli elementi a rischio della nostra cul tura, focalizzandoci su alcuni macro-elementi : trasmissione ed educazione, identificazione, raccolta documentazione e ricerca, conserva zione e protezione del territorio, rivitalizzazio ne e sviluppo sostenibile. Possiamo senz’altro dire che la candidatura è pregna degli ele menti che la nostra associazione ha sempre evidenziato e ritenuto ispiranti per il lavoro svolto: le tre vie. Mantenimento e salvaguardia del passato, consapevolezza e identificazione per il presente e progettualità per un futuro che necessariamente sarà evolutivo. La Walser Wege è un modello capace di evolvere e inte grare molteplici aspetti a completamento di un articolato piano di salvaguardia. Capace di trasmettere tramite un lento cammino gli innumerevoli aspetti della cultura walser, anche ai più Aspettigiovani.culturali che toccano diver si ambiti: la lingua, il saper fare ar tigiano, i costumi locali, le ritualità, le pratiche agricole delle alte terre. Secondo un piano di salvaguardia a tutela delle nostre bellezze pae saggistiche e storico/culturali. Va specificato che il progetto di salvaguardia è sviluppato con e per la comunità tutta che ne dovrà e potrà trarre ogni beneficio etico, ma anche pratico. Non vediamo l’ora pertanto di potervi raccontare i particolari di questo lungo per corso geografico ed esperienziale e di metterlo in pratica con Voi. Il prossimo anno (2021) vedrà il perfezionamento del progetto e speriamo la presentazione ufficia le della candidatura a Parigi ( sede Unesco L’antropologa).

• Inclusivo: per cui è possibile condividere espressioni del patrimonio culturale im materiale che sono simili e che sono pra ticate da gruppi differenti; anche nel caso in cui tali gruppi siano vicini tra villaggi, o siano localizzati in parti opposte del mon do, o che siano state adattate da migran ti che si sono stabilizzati in una regione diversa da quella d’origine. In tutti questi casi si può parlare di Patrimonio Culturale immateriale, che è stato trasmesso e che si è evoluto in risposta al proprio ambiente che non deve dare motivo di chiedersi se certe pratiche o elementi sono esclusivi di una cultura, piuttosto invece contribuisce a creare coesione sociale, incoraggiare il senso di identità e di responsabilità che aiuta gli individui a sentirsi parte di una o differenti comunità e sentirsi parte della società in generale.

• Basato sulla Comunità, poiché il patrimo nio culturale immateriale può essere con siderato tale solo quando è riconosciuto dalle comunità, gruppi o individui che lo creano, mantengono e trasmettono.

Di Elena Sinibaldi (Cultural Anthropologist, P.h.d. - General Secretariat UNESCO Unit - Ministry for Cultural Heritage and Activities and for Tourism)

• garantire il rispetto del patrimonio cultu rale immateriale delle comunità, dei grup pi e degli individui interessati;

L’identità culturale risulta essere una cate goria basata sulla comunanza di tratti affini di diversi gruppi, che pur mantenendo spe cifiche espressività, possono costituirsi in circuiti di corrispondenza e di relazionalità restituendo sia il senso personale dell’"appar tenere" secondo similarità, che quello identi Ed è proprio la comunità e lo “stato” di par tecipazione che diventano fattore discri minante per il processo patrimoniale di un bene immateriale e ancor più se si guarda ai percorsi di candidatura alle Liste UNESCO di riferimento (Lista per la Salvaguardia Ur gente, Lista Rappresentativa, Registro delle "LA COMUNITÀ E LO “STATO” DI PARTECIPAZIONE DIVENTANO FATTORE DISCRIMINANTE PER IL PROCESSO PATRIMONIALE DI UN BENE IMMATERIALE".

• Rappresentativo della conoscenza tradizio nale e delle capacità e delle abitudini che si sono diffuse all’interno della comunità tra generazioni o tra comunità diverse.

• salvaguardare il patrimonio culturale im materiale;

Il Patrimonio Culturale Immateriale è infat ti definito nella Convenzione (Art.2) come comprensivo delle pratiche, rappresentazio ni espressioni, conoscenze e il know-how che comunità, gruppi, o individui ritengono essere parte integrante del loro patrimonio culturale, che è ad oggi stato trasmesso attra verso generazioni, acquisendo anche tratti e aspetti nuovi o modificati che tuttavia espri mono senso di identità e continuità, memo ria e vitalità creativa. L’oggetto patrimoniale è dunque identifica to a partire dalla produzione "vivente" della cultura nel suo divenire, nella comunità e nel territorio che lo rappresentano. buone pratiche di salvaguardia).

In tutti i percorsi delineati, seppure con pre cipue differenti finalità, il carattere dell’inclu sività comunitaria appare determinante: la partecipazione “bottom-up” della comunità, e la potenziale aggregazione di gruppi aventi tratti culturali simili ma collocati geografica mente in territori fisici differenti appaiono con presupposti fondamentali per la realiz zazione di processi di patrimonializzazione UNESCO nonché aspetti innovativi del nu cleo della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale e base obbligata per il costituirsi di comunità defi nite nella disciplina antropologica, e più co munemente, anche “di pratica”, “di eredità”, In“patrimoniali”.taleprospettiva, la politica di patrimo nializzazione può diventare un processo di rappresentazione continua ed aggregante soprattutto se il percorso di candidatura si rileva fortemente condiviso, in esito alla na tura dell’elemento immateriale stesso, qua le emblema di identità, simbolo di legami, strumento per una pianificazione multista keholders partecipativa e collaborativa. Il Patrimonio culturale Immateriale è per ciò definito nella Convenzione Unesco del Interno di una delle sale della Casa Museo Walser in frazione Rabernardo, Val Vogna.

IN ALTO: Interno di una delle sale del Museo Walser in frazione Pedemonte di Alagna Valsesia. SOPRA: L'antica processione walser del Rosario Fiorito ad Alagna Valsesia. 2003 come ciò che per le comunità, gruppi, o individui esprime, attraverso la trasmis sione intergenerazione, senso di identità e continuità, memoria, promuove la diversità culturale e la vitalità creativa e ed è fattore fondamentale per il mantenimento della di versità culturale, per il dialogo interculturale ed il rispetto tra popoli e culture di fronte ai processi della globalizzazione.

• sensibilizzare a livello locale, nazionale e internazionale sull'importanza del patri monio culturale immateriale e assicurarne il reciproco apprezzamento; • promuovere la cooperazione e l’assistenza Lainternazionale.“Convenzione per la Salvaguardia del Pa trimonio Immateriale (2003)”, nasce con la prerogativa di favorire un nuovo paradigma di patrimonio, nel quale la cultura e la tra dizione assumono le valenze di processi di “ricreazione continua” disgiungendoli da ca tegorie temporali remote ed essenzializzanti e tradizionalmente più circoscritte alle cate gorie di bene materiale (monumento, sito, opera storico-artistica etc…).

L 'UNESCO (Organizzazione Mon diale per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) è stata istituita a Parigi nel 1946 con l’obiettivo di sviluppare l’educazio ne, la scienza, la cultura e la collaborazione, nel rispetto universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. Il suo mandato e missione sono rivolti alla costruzione della pace attraverso la coopera zione internazionale in materia di istruzio ne, scienze e cultura. I programmi dell'UNESCO contribuiscono al raggiungimento degli Obiettivi di Svi luppo Sostenibile definiti nell'Agenda 2030, adottata dall'Assemblea Generale delle Na zioni Unite nel 2015. La Conferenza gene rale dell'Organizzazione delle Nazioni Uni te per l'educazione, la scienza e la cultura, UNESCO, riunitasi a Parigi dal 29 settembre al 17 ottobre 2003, nella sua 32a sessione, ha adottato la Convenzione UNESCO per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Im materiale, stabilendone le seguenti finalità:

L’UNESCO riassume alcuni macro-ambiti generali in cui far convergere la definizione di patrimonio culturale immateriale, tra i quali: le tradizioni e le espressioni orali, ivi compresa la lingua come veicolo del patri monio culturale immateriale; le arti perfor mative; le pratiche sociali, rituali e gli eventi festivi; le conoscenze e le pratiche riguar danti la natura e l’universo; i saperi con nessi all’artigianato tradizionale. Ad essi si aggiungono attributi fondanti correlati (og getti, strumenti, artefatti, spazi culturali e/o naturali etc…) e peculiarità che connotano tale patrimonio come: • Tradizionale, contemporaneo e vivente allo stesso tempo.

16 17 PRESMELL - PIETRE GEMELLE ANNUARIO 2020 La cultura patrimoniale tra contesti comunitari e scenari internazionali

A seguito dell’analisi del degrado che era in atto sull’edificio congiuntamente alla norma tiva di riferimento, l’intervento sul granaio è stato affrontato mantenendo il più possibile gli elementi e riproponendo l’immagine origi naria con l’uso dei moderni standard abitativi: • consolidamento del basamento in pietra e delle porzioni in legno • rimozione delle superfetazioni e delle parti incongrue • realizzazione di impianti e dei servizi igienico-sanitari • integrazione delle parti crollate e/o man canti • sostituzione puntuale delle parti non più recuperabili per lo stato di degrado in cui si trovano Banfo Silvia Architetto Kodik hus

• Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società (Faro, 2005).

• Hannerz U. (2001), La diversità culturale, ed. Il Mulino.

• UNESCO (2005) “ Text of the Convention for the Protection and Promotion of the Diversity of the Cultural Expressions”

• tariohttps://sdgs.un.org/goalsaggregativocheintaluni casi comporta sia percorsi di patrimonializzazione in rete a livello nazionale che multinazionale.

BIBLIOGRAFIA

Alle tematiche connesse alla complessa defi nizione di comunità e di patrimonio cultu rale immateriale in cui la stessa si identifica, si associa l’applicazione e la sistematizza zione della salvaguardia sostenibile di bre ve-medio e lungo termine, che secondo le aggiornate linee guida e materiali UNESCO, intende integrare approcci e dimensioni dif ferenziate, da quella socio-culturale, a quella ambientale ed economica.

• ONU (2015) “2030 Agenda for Sustainable Development”.

18 19 PRESMELL - PIETRE GEMELLE ANNUARIO 2020

• https://en.unesco.org/creativity/convention

• Giddens A. (1994), Le conseguenze della Modernità, Ed. Il Mulino.

La volontà, che ha contraddistinto l’intera fase progettuale e di cantiere, è stata quella di pre servare il più possibile le caratteristiche dell’e dificio riportandolo alla stato originale con l’accortezza di inserire tutti gli standard abita tivi attuali: acqua corrente, elettricità e servizio igienico/sanitario. L’intervento di restauro è stato proposto a seguito dell’analisi dello stato di fatto e dei degradi in atto sul fabbricato. L’a nalisi effettuata già in una fase preliminare di progetto ha portato ad un intervento di restau ro mirato, consapevole e coraggioso. A testi monianza di questa scelta si è voluto mantene re i due piani dell’edifico separati, non collegati da una scala interna; si è preferito preservare la struttura originaria a fronte di rinunciare ad un confort abitativo maggiore. L’edificio prima era abbandonato da moti anni e si trovava in condizioni di degrado impor tanti non solo superficiali ma anche struttura li. In origine l’edifico era adibito probabilmente a granaio e magazzino, destinazioni d’uso len tamente dismesse con lo spopolamento delle montagne e il cambio degli usi che provocaro no l’abbandono di molti edifici della valle. Il piano terra è realizzato in pietra a spac co, parzialmente interrato, a cui si accede da un’unica apertura; tra questo piano e quello superiore sono stati inseriti i funghi o meglio ‘colonne’ in legno utilizzati come elementi di separazione tra i piani. Questi elementi sono tipici del granaio walser diffuso della valle di Gressoney, ma inusuali in quelli della Valsesia. Questo elemento era indispensabile per salva guardare il raccolto dall’umidità e dai roditori. Il piano rialzato è in tronchi di legno naturale solamente piallati incastrati con la tecnica a block-bau e loggiato in legno aggettante co stituto da lunghi tronchi di larice squadrati, su tre lati. Due piccole porte di circa 1,60m di altezza permettono di accede all’unica ampia sala centrale; una finestrella quadrata di di mensione 10 cm per lato, si trova sulla parete nord e serviva per arieggiare l’ambiente ed evi tare ristagni di umidità. Il tetto è a capanna a due falde con struttura principale e secondaria in legno e manto con copertura in pietra.

• UNESCO (2003) “Text of the Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage”

In tale prospettiva di salvaguardia, diversifi cata ed interdipendente nei domini di indi rizzo, la trasmissione e l’educazione formale e non-formale appaiono come fattori chiave per la vitalità degli elementi stessi, in manie ra consustanziale con le attività specificata mente rivolte alla ricerca, documentazione, valorizzazione e promozione ma anche, in taluni casi, anche alla rivitalizzazione spon tanea di tratti e componenti espressive da parte della comunità stessa e a misure di pro tezione compatibili con il generale quadro di Iriferimento.daticorrenti, aggiornati al mese di novem bre 2020, vedono la compartecipazione di 180 Stati all’attuazione della Convenzione UNESCO 2003 (attraverso modalità di ra tifica, accettazione o adesione), un totale di 549 elementi iscritti nelle rispettive Liste del Patrimonio Culturale Immateriale con pre valenza delle iscrizioni nella Lista Rappre sentativa con un indice stabile (tra il 2016 e il 2019, con eccezione di una decrescita nel 2017) di patrimonializzazione dei processi multinazionali che contano ad oggi 44 ele menti e 87 Paesi coinvolti. Il meccanismo di implementazione della Convenzione, disciplinato e regolamentato da Direttive Operative e da documenti sog getti ad implementazione annuale e bienna le, secondo l’operato degli Organi Statutari della Convenzione (Comitato Intergoverna tivo e Assemblea Generale degli Stati Parte), rilevano non solo la progressiva attenzione agli obiettivi principali definiti nell’art. 1 ma anche un più puntuale perseguimento bi lanciato dei processi e delle finalità previste da ogni specifica Lista, tracciato nel lungo processo di adozione degli Overall Results Framework (2013-2018) che si basano su una accurata analisi ed elaborazione di 26 indicatori. Se infatti la “Lista Rappresenta tiva” è particolarmente indirizzata ad accre scere maggiore visibilità e consapevolezza del significato del patrimonio culturale im materiale e della diversità culturale, la “Lista di Salvaguardia Urgente” richiede l’adozione di specifiche misure in risposta alle minacce e ai rischi identificati mentre la “Lista con cernente il Registro delle Buone Pratiche di Salvaguardia” individua programmi, proget ti e attività nazionali, sub-regionali/regiona li, internazionali che meglio contribuisco no alla salvaguardia del patrimonio e che rispecchiano i principi e gli obiettivi della Convenzione anche per la capacità di porre una riflessione di condivisibilità e replicabili tà con e nei Paesi in via di sviluppo. Nello scenario internazionale contempo raneo, infatti, l’innovatività generata dai percorsi di patrimonializzazione degli ele menti immateriali, può essere colta non solo ri-contestualizzando le categorie classiche culturali ma proiettando le dinamiche so ciali ed interconnesse della dimensione del vivere quotidiano e degli impatti della cono scenza tradizionale - come nucleo sapiente delle comunità- nella comunicazione me diatica e digitale, nella produzione creativa e, all’interno di una più ampia visione di dia logo e solidarietà interculturale. Coerente al mandato originario dell’ONU, l’UNESCO concorre a costruire la pace e la reciproca comprensione tra culture, una missione che ancora oggi viene perseguita attivando ogni strumento necessario, a par tire dall’informazione ad una crescita sem pre maggiore di consapevolezza delle prio rità e dei bisogni delle politiche culturali nel XXI Sec. capaci anche di sviluppare forme di resilienza e di risposta agli impatti di crisi.

Restauro del granaio in fraz. Oro

L ’oggetto di questo intervento di re stauro è da considerarsi un ‘unicum’ dell’architettura alpina walser della zona dell’alta Valsesia. Il granaio si trova in frazione Oro, nel Comu ne di Riva Valdobbia-Alagna. Alla frazione, composta da un gruppo di otto edifici, si acce de percorrendo il sentiero che da Ca di Janzo porta alla frazione Oro e verso Selveglio (sen tiero n°10) percorrendo “l’alta via del Walser”. L’impossibilità di raggiungere la frazione con i mezzi di trasporto classici ha complicato alcu ne fasi del cantiere soprattutto per il trasporto delle porzioni lignee per cui è stato necessario l’utilizzo dell’elicottero. Il piccolo edificio è composto da due piani fuori terra ed è contrassegnato da elementi ti pici dell’architettura walser e l’utilizzo sapiente del legno e la pietra.

• https://www.coe.int/en/web/culture-and-heritage/faro-convention

• Geertz C. (1999), Mondo globale e Mondi locali, Cultura e politica alla fine del ventesimo secolo Ed. Il Mulino.

Una delle sale espositive del Museo Etnografico Walser di Rimella.

• https://ich.unesco.org/en/convention

G - ELEMENTI CARATTERIZZANTI La scala li gnea che permette l’accesso al piano rialzato verrà restaurata con un intervento di pulitura, di consolidamento con resine epossidiche e di protezione con l’applicazione di un film protet tivo antifunghicida. Verranno mantenute anche le piccole aperture sul lato Nord e Est, che ver ranno chiuse da un vetro.

D - PORZIONE SUPERIORE IN BLOCK-BAU Il piano superiore in block-bau è stao adibito a open-space. Le pareti interne e il pavimento sono isolate da un pannello di isolante natura le dello spessore di 12cm. Le piccole aperture laterali che permettevano il passaggio dell’aria che servivano a far essiccare i cereali sono state mantenute, come testimonianza della originaria destinazione d’uso. L’unico grande spazio è scaldato da una stufa a legna. L’accesso all’unica stanza è garantito dalle due porte laterali, che permettere l’areazione e l’illuminazione della stanza. Le fessure esistenti, tra i tronchi di larice, sono state parzialmente eliminate con sigillature a base naturale. Per eliminare gli attacchi biologici causati dagli insetti xilofagi o funghi antisettici sulle parti lignee è stata applicata a pennello ap positi solventi organici.

F - COPERTURA Il tetto era la porzione di edi ficio che si trovava nelle condizioni di degrado peggiori: le infiltrazioni d’acqua provenienti dal manto di copertura avevano attaccato, in modo irreversibile, la struttura principale e se condaria del tetto nonché i listelli. Il manto di copertura, realizzato in beole, è stato totalmen te riposizionato a seguito della sostituzione e consolidamento della struttura principale e se condaria del tetto stesso. Le beole esistenti sono state riutilizzare e riposizionate a seguito di un intervento di pulitura dai muschi con spazzole metalliche. Le parti mancanti del manto sono state sostituite da pietre simili, a spacco, locali. La trave di colmo del tetto è stata sostituita poi ché le infiltrazioni avevano provocato un degra do non solo superficiale ma strutturale e quindi Perirrecuperabile.l’espulsione dei fumi provenienti dalle stu fe, è stato realizzato un comignolo con tecniche tradizionali, in pietra con copertura a lose.

E - LOGGIATO La porzione lignea del loggiato si trovava in una situazione di forte degrado, specialmente sul lato della facciata Sud-Ovest. L’intervento ha previsto la sostituzione delle tavole ammalorate e l’integrazione delle por zioni mancanti, con gli stessi materiali (legno di larice). Sono state inoltre integrate le porzioni orizzontali di tavolato e le pertiche, squadra te e piallate, mantenendo la stessa modularità esistente. Le porzioni ancora recuperabili sono state pulite da eventuale patina biologica con un intervento di pulitura manuale con spazzole metalliche. Alcune travi non più recuperabili a seguito del degrado dovuto alle infiltrazioni d’acqua sono state sostituite con nuove travi in legno di larice. I ‘piedini o funghi’ di legno sono stati sottoposti ad iniezione a base di formulati epossidici per ricostruire la continuità materica-saturazione dei canalicoli, formatasi per l’attacco parassita rio come anche le teste delle travi.

A - BASAMENTO IN PIETRA L’intervento principale di consolidamento ha interessato la parte inferiore in pietra, fortemente dete riorata dalle spinte provenienti dal terreno retrostante e dalle infiltrazioni di acqua (lato Nord).Èstato realizzato un nuovo muro controterra riutilizzando le pietre in essere e predispo nendo un sistema di drenaggi per far defluire le acque provenienti dal terreno retrostante. In questo modo si sono minimizzate le spinte del terreno che hanno provocato i cedimenti del basamento in pietra e le infiltrazioni ac qua. Sono state inoltre ripristinate le porzioni di muro crollate sui muri perimetrali. La por zione di facciata è stata realizzata con travi di recupero in larice. Le pietre che costituiscono il basamento sono state pulite a secco. La pulitura è stata ese guita con pennellesse e spazzole naturali. In questo piano è stato predisposto un piccolo servizio igienico con antibagno.

B - PARTE INTERMEDIA RIMOZIONE DEI TAMPONAMENTI LATERALI L’intervento ha previsto l’eliminazione delle porzioni non congrue e non coeve con il primo impianto dell’edificio: sono state rimosse le porzioni laterali in tavolato di larice, che occludono la porzione ‘intermedia’ dei funghi. I tronchi recuperati sono stati uti lizzati per la realizzazione del tamponamento in facciata e per il nuovo solaio di copertura del basamento. L’idea progettuale ha preso in considerazione gli esempi di interventi simili sul territorio riproponendo le stesse tipologie distributive e uso del materiale.

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C - PAVIMENTAZIONI Al piano terra non era presente nessuna pavimentazione: solamente terra battuta. E’ stato realizzato una nuova pa vimentazione in pietra con la realizzazione di vespaio aerato. La pavimentazione del piano soprelevato verrà realizzata in legno naturale su magatelli e verrà predisposto uno stato di iso lante in fibre di legno dello spessore di cm 10.

Piante ricche di fitoestrogeni che si possono raccogliere in Valsesia: Trifoglio rosso Trifolium pratensis Trifoglio alpino Trifolium alpinum Mirtillo Vaccinium myrtillus Cumino Cuminum cyminum Lampone Rubus idaeus Menta Menta piperita

Questo abbassamento dell'età del menarca dipende quasi esclusivamente dal cambiamento dell'alimentazione: è la situazione economica che ha fatto cambiare la biologia. Si pensava che, allo stesso modo, anche la menopausa sopravvenisse più tardi; studi recenti non confermano questa ipotesi. C’è una situazione che conferma quanto individuale sia questo momento del femminile: si tratta del veder scomparire il proprio ciclo quando si crede di essere ancora nel pieno della vita fertile, ossia prima dei 40 anni. In questo caso si parla di menopausa precoce, sperimentata da circa 1 donna su 100; anche se in anticipo rispetto alla norma, è comunque un evento naturale. La menopausa corrisponde all'interruzione della produzione ciclica di estrogeni per tale motivo sono di particolare utilità i fitoestrogeni presenti in numerose piante, caratterizzati da un'azione simile a quella degli estrogeni. Sono sostanze che mimano l'attività degli estrogeni ed hanno anche attività protettiva nei confronti dell'osteoporosi e delle malattie cardiovascolari. Alimenti ricchi di fitoestrogeni sono: Alfa-alfa, trifoglio rosso, soia, piselli, menta piperita, ruta, serenoa, ginko, Cimifuga racemosa, rabarbaro, salvia, carota, patata dolce, liquerizia (che però aumenta ipertensione), semi di lino, segale, avena, grano saraceno, riso, finocchio, cumino, sesamo, mela, ciliegia, mirtillo, mora, lampone, uva, limone, arancia, aglio, cipolla, cavolini di Bruxelles. Gli alimenti che contengono fitoestrogeni stimolano recettori non a rischio, sono antiossidanti ed aiutano, associati ad un corretto stile alimentare, a ridurre i rischi legati all'osteoporosi e alle malattie cardiovascolari, a prevenire tumori dell'endometrio e della mammella, migliorano memoria e attività cognitive, riducono le sofferenze legate agli effetti collaterali della menopausa. Stimolano il collagene sottocutaneo mantenendo integre cute e mucose. La modificazione ormonale connessa alla menopausa può infatti determinare atrofia degli organi genitali, riduzione della massa mammaria, disidratazione e secchezza cutanea, perdita di massa ossea. Possiamo avere disturbi a carico del sistema genitale-urinario, vasomotorio, osteoarticolari, della sfera psichica e cognitiva. Per quanto rigurda l'alimentazione è utile seguire semplici regole: assumere da 2 a 4 frutti al giorno lontano dai pasti, limitare il consumo di grassi saturi e proteine animali, verdure crude e cotte, legumi, alimenti ricchi di fibra e frutta secca, verdure della famiglia delle crucifere quali rucola, crescione, verze, cavoli, cavolfiore, broccoli. Tra le piante che contengono estrogeni la Cimifuga racemosa o Actea racemosa, era conosciuta dai nativi americani che la usavano per i problemi di mestruali, di menopausa e di parto infatti veniva chiamata radice dello squaw, squaw root. Si tratta di una pianta originaria degli Stati Uniti appartenente alla famiglia delle ranuncolacee di cui si utilizza la radice o meglio il rizoma. E' spontanea nelle zone umide e presenta grandi foglie composte e fiori piccoli, bianchi, raccolti in racemi. Il suo strano nome è correlato alla proprietà di allontanare le cimici con il suo profumo. Gli estratti di questa pianta agiscono sia a livello dell'umore, sia come trofico vaginale e favorisce un bilancio positivo del calcio osseo. Ha anche effetti ipotensivi. I fitoestrogeni della cimifuga sono in grado di legarsi ai recettori della serotonina svolgendo un'azione simile a questo ormone. Sono quindi utili in tutti i problemi mestruali favorendo la risoluzione dei disturbi del sonno e dell'irritabilità. Tra i fitoestrogeni più interessanti abbiamo gli isoflavoni presenti nella soia oltre che negli altri legumi, nei cereali integrali e nel finocchio. Studi epestimiologici hanno confrontato le popolazioni occidentali con quelle asiatiche e hanno scoperto che queste ultime hanno una ridotta incidenza delle patologie correlate con la menopausa. Quando però, a causa dei flussi migratori, le donne orientali assumevano abitudini alimentari occidentali perdevano questo vantaggio. Queste differenze non risultavano completamente spiegabili sotto l'aspetto genetico e apparivano in sintonia con le abitudini alimentari. I fitoestrogeni sono molecole di natura non steroidea ma molto simili nella struttura chimica agli ormoni

femminili, hanno una potenza mille volte inferiore agli ormoni prodotti dal nostro corpo. Per diventare biologicamente attivi, dopo l'ingestione devono essere metabolizzati dalla flora intestinale. Gli isoflavoni hanno un'attività riequilibratrice, abbassano i livelli estrogenici in età fertile, quando questi livelli sono molto alti, e la innalzano in menopausa, quando questi livelli sono molto bassi. Per agire hanno necessità di essere idrolizzati, questo avviene grazie ad un enzima sintetizzato dalla flora intestinale la cui produzione è favorita da una dieta ricca di prebiotici presenti in cicoria, agli, asparagi, carciofi, banane, porri e cereali integrali. Per quanto riguarda la soia, i cibi derivati più ricchi di isoflavoni sono: tomu, tempeh, miso, latte e proteine di soia. Oltre agli isoflavoni esistono altre due classi di fitoestrogeni: i lignani e i cumestrani, i primi presenti in diversi frutti, nell'aglio e nella cipolla, nei semi dei cereali integrali, nel luppolo e nei finocchi, i secondi presenti nel trifoglio e nei germogli. Il trifoglio rosso, Trifolium pratense, ha la proprietà di ridurre gli effetti collaterali della menopausa e di proteggere il sistema cardiocircolatorio e osteoarticolare, non altera la densità mammaria e non aumenta lo spessore Nelledell'endometrio.piantepossono essere presenti sostanze, dette principi attivi, che interagiscono con il corpo umano con effetto terapeutico, quindi possono essere usate come farmaci, con effetto di benessere in quanto vitamine o probiotici. L’estrazione dei principi attivi, a seconda della loro natura, può essere effettuata con solventi quali acqua, vino, olio, alcol, glicerina, aceto.

Piante ed erbe per Principesse e Cenerentole

Ogni pianta in realtà contiene Fitocomplessi, una miscela di sostanze attive che interagiscono.

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Le tinture madri sono anche il materiale di partenza per le diluizioni necessarie per le preparazioni omeopatiche.

Una pianta molto interessante è la Calendula (Calendula officinali), contine oli essenziali con potente azione antinfiammatoria, principi amari, resine, acidi grassi, acido salicilico con aziene antipiretica, saponina, carotenoidi precursori della vitamina A, triterpeni, favonoidi antiossidanti, polisaccaridi immunostimolanti, fitosteroli e mucillaggini con attività addolcente e disinfiammante. Parlando di piante per i problemi femminili le proprietà curative più interesanti sono quelle curative antinfiammatoria, cicatrizzante, emmenagoga, depurativa, è ottima in caso di ferite infiammate, bruciature ed eritemi è inoltre indicata per ipertensione arteriosa per i dolori mestruali. La percentuale idroalcolica del solvente va a sottolineare un particolare profilo terapeutico quindi dipenderà da uno studio sulla percentuale relativa dei composti presenti e sulla loro relativa importanza, ma anche dal tipo di azione che si desidera sottolineare. Ritornando a Calendula officinalis se estraiamo i principi attivi con una soluzione al 30 %, la tintura madre avrà un effeto antinfiammatorio generalizzato dovuto in particolare all'estrazione dei flavonoidi, se lavoriamo con una soluzione al 90% si estrarranno sopratutto le resine e la tintura madre avrà caratteristiche antibatteriche e antinfiammtorie per uso topico.

Una delle preparazioni più utilizzata è la tintura, un’estrazione del principio attivo tramite una soluzione idro-alcolica preprata partendo da alcol etitilico al 95% diluito opportunamente con acqua fino ad arrivare al titolo alcolico richiesto. Se si utilizza la pianta fresca si otterrà una Tintura madre La pianta viene opportunamente spezzettata per permettere il maggiore contatto con il solvente ed il tempo di macerazione deve

La funzione del solvente idro-alcolico è duplice: estrae la gamma di principi attivi e li conserva nel tempo, inoltre denatura gli enzimi impedendo la degradazione dei principi attivi.

Utilizziamo la parola menopausa per indicare tutto un periodo difficile, che in realtà è il climaterio ossia il periodo di transizione dalla fase fertile alla menopausa vera e propria. La parola menopausa, infatti, indica l'ultima mestruazione nella vita di una donna. Qualche decina di anni fa si è scoperto che l'età del menarca, la prima mestruazione, era andata decrescendo passando dai diciassette anni come era una volta ai dodici e mezzo circa.

Con un titolo alcolico compreso tra 65 e 70 % si estraggono oli essenziali e alcaloidi, con un titolo compreso tra 50 e 60 % si estraggono gran parte dei fitoestrogeni, flavonoidi, antociani, saponine e tannini, con un titolo di 45% saponine, mucillaggini e glicosidi molto polari.

PIANTE UTILI E ALLEATE PER IL CORPO FEMMINILE

Vicario Angela Maria Direttrice dell’Orto Botanico di Guardabosone M olte piante possono essere utili nei problemi femminili e possono essere delle alleate che ci accompagnano attraverso i cambiamenti del corpo nelle diverse stagioni della vita ed in particolare nel periodo critico della menopausa.

essere di almeno 21 giorni, andranno poi conservate in contenitori di vetro scuro, chiusi ermeticamente ed etichettati indicando il nome della tintura e la data di preparazione, l’ambiente di conservazione deve essere fresco e asciutto.

Un kilogrammo di Calendula fresca è costituita per il 75 % da acqua, il peso secco corrisponde al 25 % del peso fresco. Il rapporto peso secco/solvente deve essere pari a 1/5. A 250 g di peso secco dobbiamo aggiungere 1250 g di solvente (soluzione alcool + acqua al 30 %). 100g di soluzione stanno a 30 g di alcool come 1250 g di soluzione stanno a x g di alcool (100g 30g = 1250g : xg - x = 436g di alcol - g di acqua = 1250 - 436 = 814g)

CENTELLA ASIATICA

• Inula helenium radice - 65% di grado alcolico

• Vaccinium myrtillus bacche mature o foglie - 55% di grado alcolico-

• Mentha piperita pianta intera - 65% di grado alcolico

• Equisetum arvense fusti sterili - 55% di grado alcolico

1. peso materiale di partenza (foglie di salvia) -500 g 2. percentuale peso secco/peso fresco - 30 % 3. rapporto peso secco/solvente - 1 : 10 4. solvente totale (esclusa acqua contenuta nella pianta) 1356 ml corrispondenti a 1150 g 5. contenuto in acqua nella pianta 70 % 6. resa probabile 1700 ml 7. titolo alcolico finale (stimato) 50 % Valutazione del contenuto di acqua nelle diverse parti della pianta Semi Dal 6% al 20% Frutti oleosi e coriacei Dal 25% al 30% Sommità fiorite Dal 40% al 60% Foglie Dal 60% al 75% Radici, fittoni e rizomi Dall' 80% all' 85% Frutti acquosi Dal 75% al 90% Piante grasse Dall' 80% al 90% Periodo balsamico delle piante

Preparazione di tintura madre di Calendula officinalis

• fiori e la parte aerea fiorita si raccolgono all’inizio della fioritura;

• Achillea millefolium pianta intera fiorita -65% di grado alcolico

• Tussilago farfara Pianta intera fiorita - 45% di grado alcolico

• Edera 100 g di foglie contuse macerazione per 10 giorni in olio d' oliva ml 1.000 come lenitivo e per scottature

• Le radici si raccolgono in autunno al termine del ciclo vegetativo;

• Erica 200 g di fiori macerazione per 10 giorni in olio d' oliva ml 1.000 per attenuare le cicatrici

FIENO GRECO

• Lavandula officinalis sommità fiorite - 65% di grado alcolico

• Viscum album Pianta intera - 45% di grado alcolico g di alcol + g di acqua per ottenere 100 ml di soluzione del corrispondente grado alcolico 20° (16,8 + 78,8) 50° (42,9 + 47,3) 25° (21,0 + 73,5) 55° (46,3 + 42,0) 30° (25,2 +68,3) 60° (50,5 + 36,8) 35° (29,5 + 63,0) 65° (54,7 + 34,5) 40° (33,7 + 57,8) 70° (58,9 + 26,3) 45° (37,9 +55,5) 75° (63,1 + 21,0) Se non intendiamo pesare ma misurare il volume consideriamo che 1 g di acqua ha il volume di 1 ml. Un altro tipo di soluzione sono gli oleoliti, richedono un tempo di macerazione da 30 a 90 giorni, ridotto a 21 se la macerazione avviene al sole. Si utilizza solitamente pianta secca per evitare la saponificazione e l'irrancidimento dell'oleolito: terminata la macerazione si spreme (se possibile si torchia), si lascia decantare per 24 ore e poi si conserva in contenitori di vetro scuro.

Versare in un flacone etichettato (nome della tintura e data di preparazione) con contagocce e assumere con poca acqua 30 2/3 volte al giorno.

• Eufrasia 300 g di parte aerea contusa digestione per 40 minuti in olio d' oliva ml 1.000 per orzaioli

Parti usate: Olio estratto dai semi Componenti principali: Acidi grassi poliinsaturi: acido γ-linolenico Attività farmacologica: Gli acidi grassi poliinsaturi (PUFA) sono i precursori di numerose sostanze (prostaglandine, leucotrieni, etc.) Impiego clicnico: Integrazione dietetica di acido γ-linolenico. Sindrome premestruale. Dermatiti croniche ed eczema atopico.

• Viola tricolor Pianta intera fiorita - 45% di grado alcolico

• Alloro 200 g di Bacche contuse macerazioni per 30 giorni e in olio di oliva ml 1.000 per reumatismi, contusioni

• Giglio bianco 100 g di petali macerazione per 5 giorni in oliva ml 1.000 per pruriti cutanei

• Echinacea angustifolia radice- 55% di grado alcolico

Pertanto:

• Passiflora incarnata parte aerea - 65% di grado alcolico

• frutti e i semi nel periodo della loro massima maturazione. Gradazione delle soluzioni idroalcoliche

La raccolta deve avvenire nel periodo balsamico della pianta, quindi nel periodo in cui la pianta offre una maggiore quantità di principi attivi.

• Calluna vulgaris - 6% di grado alcolico

• Spirea ulmaria sommità fiorite - 65% di grado alcolico

ENOTHERA Nome botanico: Oenothera biennis (Onagraceae)

• Camomilla 150 g di fiori macerazione per 10 giorni in olio di oliva ml 1.000 come antinfiammatorio

• Taraxacum dens-leonis pianta intera fiorita - 45% di grado alcolico

• Salice 150 g di corteccia digestione per 30 minuti in olio di mandorle o d' oliva ml 1.000 per dolori articolari • Serenella (o Lillà) 250 g di fiori macerazione per 10 giorni in olio di mandorle o d' oliva ml come antirughe

• Calendula officinalis sommità fiorite - 65% di grado alcolico

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Nome botanico: Echinacea pallida (Compositae) Parti usate: Radici Componenti principali: Composti polifenolici derivati dell’acido caffeico Attività farmacologica: Attività immunostimolante. Azione antinfiammatoria e cicatrizzante Impiego clicnico: Prevenzione della sindrome influenzale e delle malattie da raffreddamento

• Cappero corteccia 100 g di radice contusa macerazione per 10 giorni in olio di oliva ml per emorroidi, varici

Principi attivi PIÙ POLARI (più solubili in acqua) necessitano una BASSA gradazione dell' alcol per passare in soluzione.

PIANTE PER PRINCIPESSE E CENERENTOLE

• Calendula 150 g di fiori macerazione per 30 giorni in olio di mandorle o di oliva ml 1.000 come antiarrossante

• Ginepro 100 g di bacche contuse digestione per 1 ora in olio d' oliva ml 1.000 per dolori articolari • Iperico 300 g di sommità fiorite macerazione in olio di mandorle o d' oliva ml 1.000 per scottature, piaghe

• Carota 200 g di radice contusa macerazione per 10 giorni in olio d'oliva oliva ml 1.000 come lenitivo e per scottature

Principi attivi MENO POLARI (meno solubili in acqua) necessitano una ALTA gradazione per passare in soluzione.

• Ligustro 250 g di fiori macerazione per 10 giorni in olio di mandorle o d'oliva ml 1.000 per cellulite

• Artemisia absinthium parte aerea fiorita - 65% di grado alcolico

Preparazione di oleolito di luppolo

Olio utilizzato: d'oliva o di mandorle Rapporto pianta essiccata/Olio: 1/5 Pesare 200 g di luppolo (infruttescenze femminili) essiccato, introdurlo in un contenitore di vetro con chiusura ermetica ed aggiungere 1 kg di olio. Lascire in infusione per 30 giorni. Indicazione per la preparazione di oleoliti

Conservazione delle tinture madri: massimo 5 anni in un flacone di vetro scuro, meglio se provvisto di contagocce, la chiusura deve essere ermetica e il luogo di conservazione asciutto e fresco. Etichettatura delle tinture madri: con etichetta portante l’indicazione del tipo di estratto e la data. Uso delle tinture madri: vanno somministrate in gocce e si assumono con poca acqua.

• Hamamelis vireiniana Foglie e cortecia - 55% di grado alcolico

• Chamomilla vulgaris pianta intera fiorita - 55% di grado alcolico Cupressus sempervirens frutti e rami con foglie - 65% di grado alcolico

BARDANA Nome botanico: Arctium lappa L. (Compositae) Parti usate: Radice Componenti principali: Acidi caffeilchinici. Olio essenziale Attività farmacologica: Attività detossificante, diuretica ed antiinfiammatoria-decongestionante Impiego clicnico: Acne e dermatopatie BETULLA Nome botanico: Betula pendula Betula pubescens

• Pilosella hieracium pianta intera fiorita - 65% di grado alcolico

• Noce 200 g di mallo contuso macerazione per 10 giorni in olio di mandorle o d'oliva ml 1.000 come abbronzante • Pioppo 100 g di gemme digestione per 30 minuti in olio d'oliva 1.000 per emorroidi

Parti usate: Foglie Componenti principali: Flavonoidi. Olio essenziale Attività farmacologica: Azione diuretica. Azione antisettica BORRAGINE Nome botanico: Borago officinalis L. (Borraginaceae) Parti usate: Olio estratto dai semi Componenti principali: Acidi grassi poliinsaturi: acido γ-linolenico Attività farmacologica: Gli acidi grassi poliinsaturi (PUFA) sono i precursori di numerose sostanze (prostaglandine, leucotrieni, etc.) Impiego clicnico: Integrazione dietetica di acido γ-linolenico. Sindrome premestruale. Dermatiti croniche ed eczema atopico.

• Ginseng radice - 55% di grado alcolico Glycyrrhiza glabra radice - 65% di grado alcolico

Nome botanico: Trigonella foenum-graecum (Leguminosae) Parti usate: Semi. Componenti principali: Mucillagini; proteine; trigonellina; saponine steroidiche; lecitine; vitamine; sali minerali. Attività farmacologica: Attività tonica, ricostituente ed ergogenica.Azione ipoglicemizzante Impiego clicnico: Integratore dietetico ricostituente e remineralizzante

• Geranio 200 g di foglie macerazione per 10 giorni in olio di mandorle o d'oliva ml 1.000 per lenire le punture di zanzare

• Uva ursina rami con foglie - 55% di grado alcolico

• Foenum graecum - 65% di grado alcolico

EQUISETO Nome botanico: Equisetum maximum (Equisetaceae) Parti usate: Fusti sterili Componenti principali: Sali minerali. acido silicico,potassio Flavonoidi. Fitosteroli. Attività farmacologica: Attività diuretica e remineralizzante Impiego clicnico: Come diuretico nelle infiammazioni ed infezioni delle vie urinarie Come remineralizzante nell’osteoporosi

• Salvia officinalis parte aerea fiorita - 55% di grado alcolico Saponaria officinalis Pianta intera fiorita - 65% di grado alcolico • Solidago virgaurea sommità fiorite - 65% di grado alcolico

Far essiccare 20g di pianta, frantumarla, unire 100 g. di una soluzione alcool + acqua della graduazione desiderata (30%) Miscelare e porre per almeno 21 giorni in un recipiente a chiusura ermetica in luogo tiepido e buio, agi tandolo ogni tanto. Una volta passato il tempo prestabilito filtrare.

In teoria la soluzione che dobbiamo preparare dovrà essere costituita da 436 g di alcol e da 814 g di acqua, in realtà 750 g di acqua sono già contenuti nella pianta fresca, quindi ad un Kg di Calendula fresca dobbiamo aggiungere una soluzione fromta da 436 g di alcool e da 814 g - 750 g di acqua, pari a 64 g di acqua. Per quanto riguarda l'acqua, ha densità uguale 1, quindi 1g ha il volume di 1 ml, 64g corrisponderanno quindi a 64 mol. Per quanto riguarda l'alcol, ha densità uguale a 0,8, quindi 1 g avranno un volume pari a 1/0,8 cioè 1,25 ml, 436 g di alcol avranno un volume pari a 436 x 1,25 = ml 545.

• Arctium lappa radice - 55% di grado alcolico

Nome botanico: Centella asiatica (Umbelliferae) Parti usate: Parti aeree Componenti principali: Derivati triterpenici Attività farmacologica: Attività capillaro-protettrice Impiego clicnico: Insufficienza venosa degli arti inferiori. Cellulite ECHINACEA

• Aesculus ippocastanum semi con tegumento - 65% di grado alcolico

• Humulus lupulus infiorescenze femminili - 55% di grado alcolico

• Valeriana officinalis rizoma - 55% di grado alcolico

• Elicriso 200 g di sommità fiorite macerazione per 30 giorni in olio di mandorle o d' oliva ml 1.000 per eczemi, psoriasi

Preparazione di tintura officinale di Calendula officinalis

Formula per l'estrazione per una tintura madre di Salvia officinalis (estrazione fitoestrogeni)

• Tiglio 200 g di fiori macerazione per 10 giorni in olio d' oliva ml 1.000 per irritazioni cutanee

3 Cfr. il doppio volume Don Gnifetti 1867-2017, Comune di Alagna V.-Sportello linguistico, Unione Alagnese, Centro culturale Walser Gmai, Lions Club Valsesia, Borgosesia 2017.

Antonio Carestia ABATE L’abate di Riva1

Ritratto giovanile dell’abate Carestia (Archivio della Sezione di Varallo del Club Alpino Italiano). di Massimo Bonola

8 Per tutte le informazioni sulla situazione amministrativa del territorio durante il pe riodo francese rinvio al mio volume Valsesia giacobina e liberale (1799-1804), Lions Club Valsesia, Borgosesia 2005.

NOTE A MARGINE

M entre si avvicina il bicentenario del la nascita (1825) e la ripresa degli studi sul Carestia ha superato al meno un ventennio, da quando nel 1998 la So cietà d’Incoraggiamento allo Studio del disegno pubblicò la raccolta dei suoi scritti2, a cura di chi scrive, dal punto di vista bibliografico non sono stati molti i progressi negli studi, soprattutto su materiali inediti, mentre avremmo bisogno di compiere ancora ricerche più approfondite at torno alla figura di questo abate. La recente celebrazione dei 150 anni dalla morte del parroco Giovanni Gnifetti3 ci ha offerto tut tavia l’occasione per riflettere su una figura in un certo senso complementare a quella dell’abate; il parroco alagnese e l’abate rivese ci presentano infatti due personalità di ecclesiastici che, pur in terpretando la loro missione in modi diametral mente opposti, hanno trascorso l’intera esistenza in un solo luogo, tanto da essere più testimoni di quel luogo che non del proprio tempo. Come don Gnifetti è stato per Alagna “parroco di un solo luogo” , l’abate Carestia è stato per antono masia l’abate rivese. L’idea di interpretare il luogo come fondamento della vita e dell’opera di un personaggio, e quin di di “leggere il tempo nello spazio”, emersa dai geografi-storici del tardo Ottocento come F. Ra tzel (1844-1904), sembra rappresentare oggi un progetto interpretativo molto interessante per la comprensione delle figure di quelle personalità in cui la determinazione spaziale, più che tem porale, appare essenziale.5 Nel corso dell'Otto cento si era infatti progressivamente affermato un paradigma storicistico secondo cui ogni persona ha sì una sua peculiarità individuale, unica ed irripetibile, ma, al tempo stesso, è anche espressione della comunità da cui proviene e in cui Porrecresce.quindi l'accento in modo esclusivo sull'in dividuo, optando per un metodo prosopografi co, sarebbe un errore di prospettiva, un errore storico e interpretativo: per capire un individuo è necessario ricostruire il contesto, l’ambiente da cui è emerso e che lo ha plasmato. Ma il conte sto non è dato soltanto dalla dimensione storica, cioè del tempo, e non basta quindi storicizzare la figura dell’individuo per capirlo nel proprio tempo In molti casi incontriamo poi individui che, per dirla con Nietzsche, vivono e pensano in modo inattuale6, e nondimeno vivono in quel tempo, nel proprio tempo. Se ogni indivi duo come sosteneva Hegel, è davvero figlio del proprio tempo7, occorre però aggiungere che é anche figlio del proprio luogo Ogni individuo vive sì nel proprio tempo, ma anche, necessa riamente, in un luogo specifico, circoscritto e definito. In senso lato lo possiamo chiamare “il suo Ora,mondo”.illegame tra questo luogo, cioè Riva, e l'aba te Carestia, mi é sembrato così profondo, inten so e duraturo, che vorrei in questa sede cercare di ricomprendere il personaggio rivese a partire dal suo luogo, e non soltanto, storicisticamente, dal suo tempo. Cercherò quindi di ricostruire l’ambiente e la comunità in cui l'abate è nato, è cresciuto e si è formato soprattutto nella prima parte della sua vita. Che quel luogo sia poi dia cronico, e certo non statico, è evidente, ma la dinamicità riguarda e appartiene appunto a quel luogo.

7 «Del resto, per quel che si riferisce all’individuo, ciascuno è senz’altro figlio del suo tempo ed anche la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero. E’ altrettanto folle pensare che una qualche filosofia precorra il suo mondo attuale, quanto che ogni individuo si lasci fuori il suo tempo». (G.W.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto trad. it. di F. Messineo, Laterza, Bari 1974, p. 18).

1. GEOMORFOLOGIA STORICA Dobbiamo qui riferirci a un’epoca scarsamente indagata e co nosciuta, anche nella storiografia locale, quella della Restaurazione post napoleonica, degli anni attorno al 1825, l'anno in cui il 2 febbraio nasce a Riva Valdobbia il futuro abate Carestia. Purtrop po non esiste nessun testo di sintesi che tracci nel loro complesso le vicende storiche della valle o di questa parte del Piemonte nel periodo della Restaurazione, nè tantomeno esistono studi spe cifici sul luogo e sulla comunità di Riva a quell'e poca. Come ho avuto già modo di notare in altro contesto, commentando le opere di Gerolamo Lana che fu il maggior scrittor valsesiano di quel periodo, l’epoca pre-risorgimentale non ha mai avuto molta fortuna nella nostra ricerca storica, soprattutto ottocentesca, ed é stata largamente ignorata dalla storiografia liberale nel periodo post-unitario, quando l'interesse prevalente era fondato sui temi risorgimentali e dell'unità na Unazionale.ricerca negli archivi, tanto ricchi quanto spesso dimenticati, può comunque fornirci dei dati utili per ricostruire le vicende e il clima della Riva degli anni Venti dell'Ottocento. Era una comunità in certo modo strana, complessa e divisa, che viveva rivolta più al passato che al presente, perché nei decenni precedenti proprio la municipalità di Riva era stata smembrata e ricostruita in altre forme, diverse da quelle tra dizionali in cui aveva vissuto i secoli precedenti. L'unità del luogo, fondamento comune della sua storia, era stata spezzata. Nel periodo napoleonico8 infatti i territori alla destra del Sesia fecero parte dell'Impero france se e quelli della parte sinistra del Regno d'Italia, anch'esso un'emanazione dell'imperialismo na poleonico, ma con una parvenza di autonomia nazionale. Il comune di Riva, nella sua forma unitaria, non esisteva più: la parte alla destra del Sesia, quella più accentrata, dove ora si trova il

alla prima parte del mio recente saggio Tempo e spazio nella formazione di un in sediamento alpino: Alagna Valsesia nei primi tre secoli del suo sviluppo, in “de Valle Sicida”, XXVIII, 2018, p.5-29.

5 Per la trattazione di questa piccola ma interessante rivoluzione storiografica rinvio

6 É noto che F. NIETZSCHE pubblicò dal 1873 una serie di quattro saggi dal titolo Considerazioni inattuali pubblicate in traduzione italiana nel volume La nascita della tragedia. Considerazioni inattuali a cura di M. Montinari e S. Giametta, Adelphi, Milano 1972.

2 A. CARESTIA, Scritti diversi. Alpinismo scienza e poesia di un abate valsesiano, a cura di M. Bonola, Società d’Incoraggiamento allo studio del disegno in Valsesia, Borgosesia 1998.

4 M. BONOLA, Giovanni Gnifetti. Un parroco curato nell’élite del clero valsesiano, in Don Gnifetti 1867-2017, op. cit., p.71.

26 27 PRESMELL - PIETRE GEMELLE ANNUARIO 2020

1 Il testo rappresenta una rielaborazione dell’intervento dello scrivente per le mani festazioni in occasione del primo centenario della morte di Antonio Carestia (2008), e già parzialmente pubblicato sulla rivista Wohnen-Vogna, numero monografico, agosto 2009, a cura di E. Ronco.

di Riva era stato a lungo don Gippa, che non era rivese, neanche di ori gine, ma veniva da Sabbia nella Val Mastallone. Quando nasce l'abate, il parroco è don Giovanni Morino, un grande parroco che ha dovuto ge stire questo momento difficile di riunificazione nel quale, dopo il lungo periodo della secolariz zazione napoleonica, alla Chiesa erano rimaste poche risorse economiche, mentre ingenti patri moni di congregazioni, confraternite o cappella nie erano stati espropriati e dispersi per sempre dall'amministrazione statale. E' quindi un momento difficile anche da un punto di vista economico: un documento molto interessante che lo attesta è quello in cui vengo no censiti i redditi della parrocchia e proprio don Morino dichiara che dalla sua parrocchia ricava rendite per 228 lire delle quali più di 100 sono corrisposte in segale e in formaggio. Que sto significa, in altri termini, che la parrocchia di Riva percepiva ancora rendite tradizionali in na tura, come in pieno medioevo, una specie di de cima ecclesiastica che la comunità riconosceva al parroco. Vengono specificate dal documento le libbre di formaggio e granaglie, e se non pos siamo sapere con certezza cosa il parroco ne facesse, presumibilmente in parte le vendeva e in parte le consumava, è certo invece che per arrivare alla congrua di 500 lire annue, stabilita dalle leggi sabaude, e prima ancora da quelle na poleoniche, mancavano 238 lire. Don Morino è costretto a chiedere al governo l'integrazione prevista, dichiarando in sostanza l'indigenza della sua parrocchia. C'erano anche delle rendite di affitti ma erano nell'ordine delle 12 lire, come c'erano dei legati, dei compensi per la celebrazione di messe ma erano di consistenza assolutamente irrisoria. La parrocchia di Riva quindi, con un solo pre lato, viveva in una condizione di evangelica po vertà. Dal punto di vista delle proprietà fondiarie possedeva il 12% delle terre coltivate, il 10 % dei boschi, che per l'epoca sono cifre molto modeste se pensiamo che nella Lombardia napoleonica le parrocchie possedevano in media il 25% delle terre coltivate e che anche in Piemonte le percentuali sono mediamente molto più alte.

4. CHIESA E SOCIETÀ Un altro aspetto interes sante di questa comunità riguarda la sua consi stenza sociale: com'era costituita la popolazione di Riva in questi anni? L'unico quadro che ci permette di scomporre la popolazione per pro fessioni, quello del 1836, periodo in cui il futuro abate era ancora bambino. Da esso risulta che su circa 700 abitanti solo 307 erano contadini e allevatori, mentre risultavano ben 148 artigiani ed esercenti varie professioni: quindi un 31% di popolazione che viveva del proprio mestiere e non della terra. Questo è un dato che occorre rebbe confrontare con i quadri delle altre comu

5. LINGUA E COMUNITÀ C'è poi l'aspetto linguistico di cui si è molto discusso anche impropria mente: come si parlava nella Riva di quegli anni? Si parlava italiano e tedesco. I dati di alfabetizzazio ne ci dicono che questa era molto elevata, si investiva nell'educazio ne anche perché una buona istru zione di base era fondamentale per i futuri emigranti. Sulla lingua abbiamo dei dati derivati da inchieste finalizzate a stabilire quanti fossero i parlanti italiano e quanti parlassero l'idio ma tedesco; Riva era, nei primi anni dell'800, una comunità asso lutamente mista e bilingue nella quale l'elemento germanofono ammontava a circa 200 persone mentre il resto della comunità parlava valsesiano senza peraltro determinare con questo divisioni o Laproblemi.comunità aveva quindi queste due componenti e non è assolutamente vero che l'elemento germanofono fosse estinto: in fatti, quando l'amministrazione napoleonica lo richiese, il parroco di Riva (e Alagna) mandò un testo in lingua walser: il testo evangelico della parabola del figliol prodigo che era utilizzato in tutte le comunità dell'arco alpino come testo di confronto linguistico per stabilire la loro identità e la consistenza della comunità ancora parlante quell'idioma. Fu sulla base della lettura di quei testi che il barone Carlo Giulio, prefetto del dipartimento della Sesia, scrisse infatti nel set tembre 1812: « Cette commune [Alagna] ainsi que celle de Riva a un language particulier qui parait etre un mélange de la langue allemande tres-corrompue et de quelques mots de l’ancien Concludogaulois».11

11 Cfr. KELLER, H.E., Ennetbirgische Walsertexte aus del Beginn des 19 Ja hrhunderts, cit. in BONOLA, M., Un confine invisibile. L’inchiesta napoleonica sulle comunità walser in alta Valsesia (1806-1812) in “de Valle Sicida”, XVI, 2005, pp.93-128. La citazione sopra riportata si trova a p. 102. Il saggio in questione contiene anche riferimenti ad ulteriore bibliografia a cui rimandiamo. L’incidenza di popolazione germanofona nella parrocchia di Riva è stata sottolineata anche dall’autorevole opera di P. ZINSLI, Walser Volkstum, 7a edizione accresciuta, Chur 2002, p. 274.

ora questa ricognizione del luogo per avvicinarmi più appresso alla figura dell'a bate citando un testo istituzionale: nel 1828 la Viceintendenza, che era il massimo organismo statale sul territorio, dovette inviare a Torino una

3.IL VOLTO POLITICO DELLA COMUNITÀ Il pa dre dell'abate aveva studiato in Francia e succes sivamente aveva fatto una lunga carriera a No vara negli uffici del dipartimento, nell'ospedale e nella scuola. Questi incarichi avevano una con notazione anche politica, ma quando negli anni della Restaurazione il chirurgo Carestia tornò a vivere a Riva non diventerà mai sindaco, si pre sume per sua volontà: le sue idee erano quelle della parte avversa, di derivazione napoleonica. L'elenco dei sindaci nel periodo della Restaura zione evidenzia un rovesciamento, in tutti i pa esi della valle: chi aveva appoggiato Napoleone è costretto a farsi da parte. Sebbene il chirurgo Carestia debba rinunciare al ruolo di sindaco lo troviamo però menzionato in tutti i verbali dei consigli comunali di questi anni come pre sidente di quel consiglio, dove compare con il misterioso titolo di “castellano”. Quando muore nel 1833 il titolo passa ad un suo parente, Giu seppe Antonio Minoia. Tra i sindaci di questi anni è presente anche un probabile antenato del recente e ultimo sindaco rivese: Giovanni Maria Giacomino, di professione zampognaro.

Proviamo allora a fare i conti in tasca della fa miglia Carestia; nell'estimo dei maggiori pos sidenti del paese, redatto nel 1819, il chirurgo Carestia risulta al quinto posto; l'anno dopo sale al quarto, nel 1825 è al primo. Questo è un dato importante, perchè suggerisce che l'abate non è stato avviato alla carriera ecclesiastica per mere ragioni economiche, visto che proveniva da una famiglia decisamente benestante, anzi, dalla fa miglia con i maggiori redditi nel contesto della comunità. Questa fortuna subì però un brusco declino alla morte del padre nel 1833, quando anche le sue due mogli erano già morte: negli anni Trenta quindi la famiglia Carestia subisce una crisi determinata dalla morte precoce degli adulti e dalla presenza di bambini ancora molto piccoli che non possono acquisire nel paese il ruolo che la famiglia ricopriva fino a quel mo mento.

Ilseparate.primocensimento di cui disponiamo in epoca napoleonica, nel 1807, ci dice che Pietre Gemel le, il comune italiano, era popolato da 369 abi tanti di cui 157 in territorio di Riva e 212 ad Ala gna, con nuclei famigliari formati da una media di 4 persone. Il censimento del 1811 degli insediamenti a de stra del fiume ci dice invece che la popolazione, come abbiamo già rilevato, era di 1128 abitanti di cui 597 rivesi e 521 alagnesi. Pietre Gemelle era quindi decisamente più piccola. Negli anni in cui l'abate è bambino, Riva ha 438 abitanti e Pietre Gemelle 340, per un totale di 778 persone; negli anni successivi il numero di abitanti tendenzialmente scende, anche se questi dati vanno interpretati con la variante dell'emi grazione giacchè se i rilievi vengono effettuati in momenti diversi dell'anno i dati possono variare Pietresensibilmente.Gemelle oltretutto era anche e compren sibilmente molto più povera: l'estimo fiscale ci dice che le tasse pagate globalmente da quella comunità erano un terzo di quelle pagate da Riva (40.15 lire di Piemonte contro le 125.15).

NOTE A MARGINE

9 M. BONOLA, Uomini e donne di Vogna (1811) in “Wohnen-Vogna”, 2019, p.36-38.

2. FAMIGLIA E COMUNITÀ La Riva degli anni Venti è un paese che sta cercando di tornare alla normalità, identificata con la tradizione e l’unità del luogo: in questo paese la famiglia Carestia aveva un ruolo primario molto prima che na scesse l'abate, perché suo padre Giacomo Anto nio era stato l'ultimo dei Reggenti del Consiglio Generale della Valsesia, un organismo antichis simo di autogoverno della valle abolito prima da Napoleone nel 1801 e poi dai Savoia nel 1818. Questa carica tuttavia, a prescindere dalla sua successiva soppressione, è assai significativa e testimonia il prestigio della famiglia in tutta la valle. La famiglia Carestia conservava dunque, anche dopo le dimissioni da quell’incarico del padre chirurgo, un posto di assoluto rilievo in questo paese che cercava di tornare alla norma lità attraverso discussioni, riunioni e delibere del consiglio comunale e l'invio a Torino di implo ranti delegazioni, in una società dove le comuni cazioni stradali erano assai precarie e il servizio postale era del tutto inaffidabile e lentissimo. Purtroppo il governo savoiardo aveva altre pri orità e a Torino la questione della riunificazione di Riva Valdobbia suscitava scarso interesse. La Valsesia veniva nel frattempo promossa a Provincia, ma le due parti del paese restavano

NOTE A MARGINE

La prima pagina della monografia di Carestia dedicata al Corno Bianco (da: ‘Bollettino del Club Alpino Italiano’, vol. 4, n. 14, 1869).

Sulla vita religiosa della parrocchia di Riva occorre fare alcune conside razioni. Era una vita complessa in questi anni, ma lo era stata ancora di più negli anni precedenti: la divi sione amministrativa naturalmente aveva sconvolto anche le parroc chie: gli abitanti di Pietre Gemelle non avevano né chiesa né parroco e per assistere alle funzioni dove vano valicare il confine di stato con tanto di passaporto e venire dalla parte dell'Impero francese. Una si tuazione ridicola e paradossale. La parrocchia di Alagna era vacante e c'era solo un coadiutore. Entrambe le parrocchie, Alagna e Riva, collo cate in territorio francese, avevano beni situati oltre il fiume, così come li avevano le confraternite e le varie cappellanie: ora questi beni, sottrat ti di fatto al beneficio ecclesiastico, generavano contenziosi assai com Parrocoplessi.

10 Tutte le informazioni contenute in questo e nei seguenti paragrafi sulla situazione demografica, amministrativa socio-economica e religiosa di Riva nel periodo indi cato derivano da documentazione conservata in due archivi principali: Viceinten denza della Valsesia (conservato presso sASVarallo) e l’archivio del già Comune di Riva Valdobbia (conservato presso uffici comunali). nità della valle per verificare se sia una sua peculiarità, come credo, o rifletta una situazione socio-demo grafica generale. Tra i benestanti, ri sulta una sola persona che viveva di rendite di beni immobili e ci sono infine ben tre ecclesiastici, mentre nel 1829 ne risultava uno solo.

28 29 PRESMELL - PIETRE GEMELLE ANNUARIO 2020 centro del paese, aveva costituito assieme a una parte di Alagna e ad alcune frazioni di Mollia una Mairie francese, che comprendeva anche la valle del Vogna, mentre le frazioni al di là del fiume, sia di Riva che di Alagna, costituivano un comune italiano per il quale era stato reintrodot to il nome antico di Pietre Gemelle. Con l’elimi nazione dell’antichissima separazione parroc chiale che risaliva al 1475 e al 1509 (per la parte di Otro e di Pé d’Otro), il ministero dell’Interno dell’Impero Francese aveva creato le due mairie di Riva e di Pietre Gemelle, aggregando invece tra loro villaggi posti sulla stessa sponda fluviale e in linea verticale, già appartenuti alle due par rocchie e municipalità di Riva e Alagna. Sarebbe apparso normale che alla caduta di Na poleone tutto questo finisse, ma non andò così. Quando nasce l'abate, nel 1825, la situazione amministrativa è ancora la stessa dell’epoca fran cese e tale rimase fino al 1829, quando, con la soppressione dei comuni collocati nell'ex territo rio del decaduto impero, si tornò alla situazione Quandoprenapoleonica.nascel'abate, dunque, questa parte del paese che ne rappresenta il fulcro, sia della vita civile e che di quella religiosa, ha una dimensio ne molto ridotta, mentre ha un peso preponde rante la Val Vogna, con le sue molteplici frazioni, che territorialmente e demograficamente è mol to importante. La mairie di Riva, comprendeva 14 villaggi della già parrocchia di Alagna e 19 di quella rivese, di cui ben 15 in valle Vogna, per un ammontare complessivo di 1128 anime alla data del 26 ottobre 1811. Mentre la popolazione residente nel capoluogo di Riva ammontava sol tanto a 170 individui, suddivisi in 49 abitazioni, gli abitanti della val Vogna erano ben 224. Gli abitanti della Valle Nera erano quindi circa un terzo in più di quelli residenti nel capoluogo, che neppure con l’addizione delle famiglie resi denti a Buzzo e Isolello raggiungeva quella en tità. Dobbiamo presumere inoltre che una parte considerevole della popolazione di quella valle parlasse un idioma germanico, come rilevato dall’inchiesta linguistica promossa dall’Impero francese del 1806, e che quindi i germanofoni costituissero una parte non trascurabile della nuova mairie di Riva. Dobbiamo immaginarci in sostanza un piccolo centro con un’anomala appendice ad Alagna, in altra parrocchia, dove la maggior parte della po polazione parlava ordinariamente un idioma di verso, e alle spalle una grande valle alpina molto popolata e anch’ essa in buona parte germanofo na. Davvero un paese singolare.

31 ANNUARIO 2020 relazione su tutta la valle, relazione che doveva contenere elementi e dati economici, culturali, demografici. A scriverla fu Luigi Noé, il vicein tendente, che per avere notizie delle singole co munità si rivolse alle persone più autorevoli del posto. Per Riva si rivolse al chirurgo Carestia. Da questa relazione emergono due elementi rile vanti: Noé definisce il paesaggio orrido e parlan do delle frazioni di Pietre Gemelle afferma che la gente viveva in condizioni di inimmaginabile sporcizia dentro “capanne” di legno dove trova vano ricovero uomini e bestie insieme, con una promiscuità orribile. La sua conclusione appare un giudizio inappellabile: «l'aspetto suo è di un ricovero di selvaggi». Possiamo non condividere tranquillamente il giudizio del vice intendente. Era in effetti una realtà decisamente più pro gredita e anche più colta di quanto non traspaia dagli aspetti esteriori, specie se questi sono visti attraverso gli occhi di un funzionario torinese dello Stato sabaudo. 6. L'ABATE La figura dell'abate dipende moltissi mo dal contesto che ho cercato di tracciare: oc corre considerare che, pur essendo una figura di assoluto rilievo non solo a livello nazionale ma europeo, si è rifiutato per tutta la vita di lasciare Riva Valdobbia, se non per brevissimi viaggi e soprattutto per seguire i suoi itinerari di erboriz zazione. Aveva un legame profondo con il paese, un rapporto di amore cementato anche da ami cizie e parentele. Il padre già era certamente, come abbiamo visto, una figura importantissima; ma se allarghiamo la visione parentale ci accorgiamo per esempio che il chirurgo Carestia era cugino del canonico Nicolao Sottile e che di conseguenza partecipò personalmente a tutta la vicenda della costru zione dell'Ospizio, come testimoniato dal fitto epistolario intercorso tra i due. La costruzione dell'Ospizio è infatti un momento importante e avrà grandi ripercussioni sia sulla valle Vogna che sulla vita dell'abate. Scopriamo inoltre dei legami di amicizia con Pietro Giordani, medico e botanico di Alagna e con don Pietro Calderi ni, che fu il compagno di vita, studi e ricerche dell'abate. Don Pietro Calderini fu un grande naturalista ma anche un uomo pubblico: fonda tore del Museo di Storia Naturale e, insieme all' abate, dell'Osservatorio metereologico del Colle di Valdobbia, che aveva segnato una delle grandi tappe della scoperta scientifica delle Alpi. Questi legami di persone, di luoghi, di famiglia, di amici incontrati in tappe diverse della vita, hanno fatto in modo che l'abate rimanesse ra dicato in questo luogo in modo imprescindibile. Il tratto fondamentale del carattere e dell'opera del Carestia credo fosse, se si dovesse dirlo in estrema sintesi, quella di essere stato un gran de eclettico, come lo stesso Calderini; un uomo che ha coltivato gli interessi più disparati: nella cultura dell'800 viveva ancora l'idea, che noi ab biamo perso, di “conoscere tutto”, di sviluppare cioè una cultura polivalente rivolta alla totali tà degli aspetti della vita e del sapere. Carestia, come Calderini, era un eclettico ma soprattutto un sistematico e un enciclopedico. La sua attivi tà ha potuto spaziare moltissimo, più di quanto noi oggi riusciamo ad immaginare, alla ricerca, ancora romantica, di quella unità fondamentale tra la storia naturale, civile e religiosa che rappre senta la vita dello spirito della sua totalità. Elemento cardine della sua vita intellettuale cre do sia stato la passione del raccogliere. L'abate è stato soprattutto un raccoglitore, ma non un raccoglitore in senso solo materiale (lo era per quanto riguardava il raccogliere le erbe, prepa rare erbari, essiccare e catalogare) bensì anche di beni immateriali: raccoglieva le parole del dialet to, raccoglieva documenti famigliari per costru ire gli alberi genealogici, raccoglieva pergamene antiche senza le quali noi sapremmo pochissimo della storia di questi luoghi nel 1300-1400. Sal vando questi documenti dalla probabile disper sione, l'abate ha permesso a noi di conoscere, di tramandare ad altri ciò che sappiamo. Racco glieva anche proverbi e ne ha composto quella mirabile raccolta dei “Pregiudizi Valsesiani” che è in fondo la principale raccolta etnografica di credenze popolari del nostro territorio; racco glieva tutti questi beni materiali e immateriali prima di tutto per sé. Però, in alcuni casi, è stato capace di raccogliere e ordinare un patrimonio che in qualche modo è arrivato fino a noi. Per tutte queste sue virtù, e per una dedizione infaticabile alla loro attuazione, per questo suo instancabile raccogliere, ordinare e tramandare, siamo debitori all’abate di una particolare forma di riconoscenza. Se anche noi riuscissimo alme no in parte a fare quello che lui ha fatto rende remmo senza dubbio un grande servizio a noi stessi, al nostro territorio e soprattutto ai più giovani, a coloro che verranno dopo di noi e che avranno bisogno di sapere chi sono e qual è il senso del luogo in cui vivono. Credo anche che questa sua missione di racco glitore sia stata motivata dalla coscienza di un cambiamento tumultuoso in corso. Abbiamo parlato della Riva dei primi decenni dell’ Otto cento, ma se noi la confrontassimo con quella, molto più conosciuta, della fine del secolo, ci ac corgeremmo che c'era già stato un cambiamento enorme: l'abate ne era consapevole, sapeva che il progresso, la modernizzazione a cui non era as solutamente contrario, avrebbe avuto un prezzo da pagare, che questa comunità non sarebbe mai più stata la stessa; questo piccolo mondo si stava modificando irrimediabilmente e tutto quello che si poteva fare, senza ostacolare questo pro cesso, era raccogliere, riunire, custodire. Sono convinto che questo insegnamento abbia un senso di grande attualità e che quindi pos siamo ripensarlo con sentimenti di gratitudine come il lascito di un maestro del nostro tempo.

L’abate Carestia in età avanzata intento a sistemare il proprio erbario (1904).

Adagiato nel vallone del Rissuolo, nella Valle Vogna, sulla via normale per il Corno Bianco, il Rifugio Carestia nasce nel 1995 in sostituzione del precedente divenuto pericolante ed è dedicato al rivese Antonio Carestia, botanico-alpinista di fama internazionale tanto legato a questa valle.

NOTE A MARGINE 12 La raccolta dei Pregiudizi Valsesiani è stata pubblicata, sulla base del manoscritto originale, nella raccolta degli scritti dell’abate citata nella nota 1, alle pp. 109-137.

1 Il lavoro è basato su un aggiornamento di una sezione dell’articolo pubblicato da Zeisciu nel 2013 nel volume Alle origini del Club Alpino, Un progetto integrato di politica, progresso, scienza e montagna curato da Riccardo Cerri (Fantoni, 2013). A questo lavoro si rimanda per i dettagli sulla vita dell’abate (pp. 185-199).

3 “tra le altre memorie trovate nelle certe di questa famiglia ho trovato la seguente che copio ad literam” Bricole, p. 125)

5 La trascrizione degli Statuti eseguita dell’abate Carestia, già segnalata da Mor (1924) presso il Museo Calderini è attualmente conservata in sASVa (MCa, m. 18). Nello stesso fondo è conservata un’altra copia degli statuti, trascritta da don Alfonso Chiara di Varallo parroco di Carpugnino (m. 11), di cui è documentata la corrispondenza con il Carestia in una lettera di quest’ultimo del 17 dicembre 1876 (Mor, 1929, p. 100).

N ella seconda metà dell’Ottocento la scoperta della montagna valsesiana fu opera soprattutto di preti valse siani: il parroco Giovanni Gnifetti (Alagna 1801 – Saint-Étienne 1867), il teologo Giuseppe Fari netti (Alagna 1821.- 1896), don Pietro Calderini (Borgosesia 1824 - Varallo 1906) e l’abate Anto nio Carestia (Riva 1825 – 1908) (Fantoni, 2011). La loro frequentazione della montagna, fisica e culturale, fu estremamente diversificata, come diversi furono i loro caratteri, le loro relazioni sociali e la loro attività in ambito ecclesiastico. In questo panorama molto articolato si diffe renzia soprattutto la figura singolare dell’abate Carestia), vissuto a Riva, dove svolse il ruolo di L’abatecappellano.Carestia fu uno botanico di altissimo profilo, che contribuì in modo significativo alla conoscenza della flora della Valsesia e dell’intero versante meridionale delle Alpi Pennine. Sulle sue pubblicazioni scientifiche e sul suo ruolo di botanico esiste un’ampia letteratura2. I suoi scritti in ambito alpinistico sono stati invece raccolti in Bonola (1998). Ma l’abate Carestia non fu solo un valente bo tanico, fu anche uno storico del territorio che lasciò un’infinità di appunti a cui hanno attinto, con diverse modalità di citazione, svariate gene razioni di ricercatori valsesiani.

Nel momento del trasferimento le Briciole non erano incluse nel fondo. Attualmente è disponibile presso la sezione di Archivio di Stato di Varallo (ASVa, MCa, m. 19) una fotocopia di una copia archiviata con il codice MC44 presso la “Fondazione Arch. Enrico Monti Archivio Walser”.

Raccolse inoltre i decreti dei Visconti notificati ai podestà di Varallo, Borgosesia e Valduggia. Il manoscritto, noto sotto il nome di Genia ni-Carestia, fu oggetto di attenzione solo dopo la morte del Carestia, sempre da parte del Mor (1925, 1929). Dalla consultazione di documen ti di diversa provenienza stilò un elenco dei podestà della Valsesia dal 1307 al 1815 (sASVa, MCa, m. 18).

6 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, Riva 22 febbraio 1874 (Federici, 2007).

13 L’evento climatico è citato anche in una nota lasciata su un registro parrocchiale di Riva: la neve rimase “alta fino al collo di un uomo di normale statura” fino a San Marco (25 aprile) e prati furono liberi dalla neve “solo per la festa di San Bernardo (15 giugno). Solo il 17 luglio cominciò il caldo e l'estate a Pietre Gemelle” (ASPRv) (Fantoni, 2010; in stampa).

UNA FONTE PER LA STORIA VALSESIANA: LE “BRICIOLE DI STORIA PATRIA RACCOLTE DALL’ABATE CARESTIA” Della grande mole di carte lasciate dal Carestia un solo testo, dedicato ai pregiudizi popolari della Valsesia, è stato pub blicato postumo dalla Società Valsesiana di Cul tura nel 1958 con una prefazione di Carlo Guido Mor (Carestia, 1958)10 Nel 1912 Marco (p. 198), nella commemora zione dell’abate, profetizzava che “nelle sue carte […] altri tesori si scopriranno”. Tutto il materiale raccolto dall’abate rimase però inedito. Oltre ai testi citati in precedenza e a una moltitudine di note affidate a fogli sparsi, lasciò una corposa memoria intitolata dallo stesso autore Briciole di storia patria11 Il manoscritto meriterebbe sicuramente una pubblicazione integrale corredata da note cri tiche. Il lavoro costituisce infatti una fonte ine sauribile di notizie per la storia valsesiana. Lo scrivente ne ha ad esempio attinto in lavori sulla peste del 1630, su allevamento e cerealicoltura, sulla dinamica del popolamento tardo-medieva le e sulla storia degli edifici religiosi, sulla fiera di Riva, sui relitti toponomastici di origine walser, su eventi climatici particolari, sulla presenza sto rica in Valsesia di lupi e orsi.

ne12. Di ogni documento o gruppi di documenti l’Autore annotava il nome della persona che gli aveva fornito il materiale. Come precisava lo stes so Carestia le trascrizioni sarebbero servite anche per la ricostruzione dell’origine delle famiglie di Riva (Briciole p. 6.). Questi alberi genealogici, ri costruiti per le famiglie Carestia, Minoia, Prato e Verno non saranno però affidate alle Briciole, ma rimarranno in fogli sparsi (sASVa, MCa, m. 19).

10 Il testo è basato su un manoscritto donato da don Florindo Piolo di Serravalle (1898-1973) alla Biblioteca Civica Farinone-Centa di Varallo nel 1958. Piolo raccolse anche lettere ed autografi dell’abate Carestia, in parte conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Novara ed in parte presso la Biblioteca Civica Farinone- Centa di Varallo (Piacco, 1993, nota 62, p. 156). Il fondo depositato presso la Biblioteca di Varallo contiene anche le 113 lettere inviate dall’abate al nipote Vittorio dal 1862 al 1878.

Nel 1878 trascrisse una copia degli Statuti del Comune di Crevola del 1289, scoperti casual mente dal Galloni, corredandola di note pale ografiche e storiche. La trascrizione fu donata al Museo Civico di Novara e fu pubblicata l’an no successivo da uno storico ossolano, Enrico Bianchetti (1879), e poi ripubblicata ed analiz zata criticamente dal medievalista Giulio Carlo Mor (1924, 1932)5

4 documenti furono donati alla Società d’Incoraggiamento allo studio del Disegno e depositati presso il Museo Calderini di Varallo; nel 2000 il fondo del Museo fu ceduto alla sezione di Archivio di Stato di Varallo. L’archivio del Museo è stato sommariamente riordinato negli anni Settanta del Novecento. Un secondo riordinamento è stato realizzato nel 1997 da Rossella Ratto, sotto la guida della Soprintendenza Archivistica piemontese. Nel 2010 la sezione di Archivio di Stato di Varallo ha eseguito una rischedatura del fondo.

La sua attenzione non era rivolta solo alle fonti documentarie. Collezionò ad esempio un “Sag gio di vocaboli del Dialetto che si parla in Riva di Valsesia per esercizio a chi voglia indagare con la scorta della linguistica da qual popolo fosse anti camente abitato il paese” (sASVa, MCa, m. 18)9, corredato di note con segnalazioni di voci in do cumenti del Quattrocento e Cinquecento e negli Statuti di Crevola e Valduggia. In altri appunti annotò la presenza di toponimi di origine tedesca in alcuni insediamenti del ter ritorio di Riva. Raccolse inoltre una traduzione della parabola del figliol prodigo nel dialetto di Riva pubblicata da Rusconi nel 1878 in un lavoro dedicato ai dialetti del Novarese e della Lomelli na. Tra le montagne di carte lasciate dal Carestia si trova anche un insolito quaderno di “Appunti e nozioni per la vita pratica”, con capitoli dedi cati alla produzione alimentare (“Memoria sul rappigliamento del latte”, “Mémoire sur différentes preparations culinaires de l’Epizze-Vinette”, “Me moria sulla conservazione della carne affumica ta”, sulla caseificazione (“Memoria sul Formaggio Svizzero verde o formaggio delle erbe denominato schabzieger”, “Della fabbricazione e manipollazio ne del cacio, “Sulla fabbricazione dei formaggi” e sul giardinaggio (“Coltivazione delle camelie”) (sASVa, MCa, m. 18).

BRICIOLE DI STORIA PATRIA

che una buona scoperta estranea alla Botanica6 La scoperta era costituita da un diploma di Fran cesco Sforza del 1451 costituente la più antica attestazione dell’antica fiera di Riva7. Nella lettera all’amico il Carestia proseguiva scrivendo che “il meglio che si potrebbe fare sarebbe che tu stesso ti occupassi dell’argomento, per farne ai lettori del Monte Rosa uno di quei graditissimi presenti che la tua colta penna, sempre intinta a patriottismo, sa colla più insinuante persuasiva loro offrire”. Ci vorrà però più di un secolo prima che qualche storico utilizzi il documento scoperto dal Care stia (Rizzi, 1988; Fantoni e Ferla, 2011).

In una lettera a Pietro Calderini del 3 maggio 1874 accennava a questo lavoro e scriveva di averne già raccolti 134 (N. 24 lettere dell’Ab.e Cav. Don Antonio Care stia nelle quali si trattano quistioni storiche importanti intorno alla Valsesia; fondo probabilmente estratto dal Canonico Romerio dall’epistolario conservato presso la Società d’Incoraggiamento; archivio privato).

Un manoscritto inedito dell’abate Carestia1

Le Briciole contengono lunghe trascrizioni par ziali di documenti di cui il Carestia possedeva co pia originale o di cui ne ebbe una copia in visio

8 Non sono note, ad esempio, segnalazioni delle sue scoperte allo storico Federico Tonetti (1845 – 1911), che negli ultimi decenni dell’Ottocento raccoglieva dati per le sue opere dedicate alla storia della Valsesia. Nell’epistolario Carestia sono conser vate solo due lettere del Tonetti (1878, 1880; sASVa, MCa, m. 16).

NOTE A MARGINE

32 33 PRESMELL - PIETRE GEMELLE ANNUARIO 2020

La ricerca storica fu condotta dall’abate Carestia in modo straordinariamente moderno ed insolito per l’erudizione locale di fine secolo, coniugando in modo esemplare ricerche d’archivio e cono scenza capillare del territorio. A proposito della trascrizione degli Statuti di Crevola il Mor scri veva che le note denunciavano “una soda prepa razione storica ed una conoscenza non comune dei luoghi” (Mor, 1929, p. 85). Lui stesso speci fica in alcune parti delle Briciole di aver copiato integralmente le memorie ritrovate, citandone sempre la fonte3 L’abate collezionò documenti notarili originali, scoprì statuti tardo-medievali, trascrisse memo rie storiche dell’alta valle, annotò accuratamente tutto quanto osservava sul territorio. Le sue carte rimasero però a lungo trascurate e la sua attività di ricercatore in ambito storico fu nettamente sottovalutata. In tutte le commemorazioni vie ne ricordata solo la sopracitata scoperta degli Statuti di Crevola (Calderini, 1925, p. 101). Nel 1912 Marco (p. 198), scriveva che le sue carte erano nelle mani di un non meglio identificato avvocato valsesiano socio della sezione CAI di Varallo, ma da questa mano non sarebbe uscita di Roberto Fantoni nessuna valorizzazione delle carte del Carestia. Nel 1929 Mor (pp. 86-87) scriveva che i docu menti raccolti al Museo Calderini costituivano “un pregevole fondo storico che attendeva un illustratore”. Nel 1933 sarebbe stato lui stesso l’illustratore della parte più antica di queste car te. La raccolta di documenti, relativi prevalen temente al territorio di Alagna e Riva, raccoglie un arco cronologico compreso tra il Trecento e l’Ottocento4. I trentacinque documenti del Duecento e Trecento sono stati pubblicati per la prima volta da Mor nel 1933. La collezione di documenti si compone poi di altri cento cinquantatre documenti del Quattrocento e di altro centoottantasei del Cinquecento. A queste fonti hanno attinto tutti i ricercatori che si sono occupati della colonizzazione del versante val sesiano del Monte Rosa.

Per una sintesi di questi lavori e per la sua bibliografia in ambito botanico si rimanda nuovamente a Fantoni (2013, pp. 199-205).

11 Briciole di storia patria raccolte dall’Abate Carestia s.d. (ma fine Ottocento). No nostante alcune note contenute nelle Briciole siano state utilizzate già da alcuni autori a fine Ottocento, il quaderno viene citato per la prima volta molto tardiva mente. Il manoscritto, di 261 pagine, sino agli anni Ottanta era depositato presso il Museo Calderini. Nel 2000 il fondo del Museo Calderini venne ceduto dalla Società d’Incoraggiamento allo studio del Disegno alla sezione di Archivio di Sato di Varallo.

Di alcune famiglie che avevano avuto un partico lare rilievo nella storia civile del paese raccolse, in modo sparso, informazioni storiche ricavate dai documenti in suo possesso, iscrizioni presenti sulle lapidi mortuarie, elenchi dei notai apparte nenti al casato, stemmi di famiglia. Nel manoscritto sono riportate memorie sto riche sincrone, come la “Memoria eorum qui mortui sunt ex pestis in annis 1630 et 1631” e la “Memoria relativa alla peste del 1630”, tratta da “da un manoscritto foglio volante che era stato cavato da altro simile di Pietro Jachetti 1794 23 marzo” (Briciole, pp. 161-163, 177-178; citato in Fantoni et al, 2006). Particolare attenzione sembra essere dedicata anche alla trascrizione di memorie legate a im portanti eventi climatici, come quella stesa il 17 luglio 1600 a ricordo del freddo dell’inverno appena terminato (Briciole, p. 154)13 e ai loro ef fetti sulla vita della valle, come la memoria del 3 marzo 1628 sulla nevicata che aveva distrutto alcune case alla frazione Peccia14. Altre volte le informazioni su eventi climatici sono basate su osservazioni fatte dallo stesso Carestia, come le note sull’alluvione del 1755 (Briciole, pp. 203205). Di altre memorie storiche, ritenute meno interessanti, il Carestia fornisce invece un sunto. Curiosa è, ad esempio, la citazione di un libret to di memorie di un certo Carlo Giacomo, che scriveva che suo padre Antonio aveva ucciso 302 camosci prima del 1700 e altri 436 ne aveva ab

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9 In corso di pubblicazione, a puntate, su questa rivista.

Se in ambito botanico la sua corrispondenza de nuncia la collaborazione con un gran numero di ricercatori in ambito storico i suoi corrisponden ti sembrano nettamente inferiori come quantità e come qualità degli scambi epistolari (sASVa, MCa, Raccolta del carteggio tenuto dall’abate Carestia con scienziati e personaggi amici della Valsesia, m. 16).8

NOTE A MARGINE

Il Carestia quasi sempre comprendeva il valore delle sue scoperte archivistiche, che spesso se gnalava in primo luogo a Pietro Calderini. In una lettera all’amico varallese del 22 febbraio 1874 scriveva: in premio della mia pazienza mi venne fatto in questi giorni appunto di fare an Tra le montagne di carte si trova anche un insolito quaderno di “Appunti e nozioni per la vita pratica”, concapitoli dedicati alla produzione alimentare e alla caseificazione.

12 Grazie alla consultazione di numerosi documenti notarili distribuiti cronologica mente tra Trecento e Settecento il Carestia raccolse, disegnandoli con estrema cura e precisione, i segni tabellonali di quasi 200 notai valsesiani (sASVa, MCa, m. 18).

14 “a di 3 de Marzo e cascatto la neve sopra le case de la peccia ha rotto sette case...” (memoria trovata tra le carte della famiglia di Michele Carestia Bandarale; Briciole, pp. 125-126).

ARCHIVI E SENTIERI DI MONTAGNA

7 Copia del 1874 in ASPRv (b. 3, f. 2), Collezione di diritti, ragioni, accordi, conven zioni, estimi e cambi, fine sec. XVI in avanti Il documento è trascritto anche nelle Briciole (pp. 224-227.)

• MARCO C. (1912) – Commemorazione dell’abate Cav. Antonio Carestia, ‘Rivista Valsesiana’, n. 78, pp. 189-198.

• MOR C.G. (s.d., ma 1929) - Spigolando fra le carte di Antonio Carestia, ‘Almanacco-Guida della Valsesia’. anno 1930, pp. 81-85.

Per Riva trascrisse le iscrizioni presenti sull’affre sco del Giudizio Universale dipinto sulla facciata della chiesa parrocchiale, relative alla esecuzio ne dell’opera nel 1597 da parte di Melchiorre d’Enrico e al suo restauro eseguito nel 1810 da Giovanni Avondo (Briciole, p. 190). In ambito religioso trascrisse gli atti di separazione di Riva da Scopa del 1325, di Alagna da Riva del 1475 e l’aggregazione ad Alagna di Otro e Piè d’Otro del 1509 (Briciole, pp. 172-176, 167-169, 160-171).

• ASRv Archivio Storico Parrocchia di Riva

• MOR C.G. (1933) - Carte valsesiane fino al secolo XV, Società Valsesiana di Cultura, pp. 367.

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FANTONI R. (in stampa) – Riva 1600. Gli effetti di uno degli anni più freddi della Piccola Età Glaciale sulle comunità agropastorali dell’alta Valsesia ‘Le Rive’, a. a. XXX, s. III, n. 6

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I libretti di erborizzazione dell'abate Carestia. battuti dal 1700 al 1734 (per un totale di 738).

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BIBLIOGRAFIA

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Da alcuni libri del Consiglio generale della valle conservati presso l’archivio Comunale di Riva annotò gli abbattimenti di orsi e di lupi avvenuti tra 1657 e 1716 (Briciole, pp. 250-253; citato in Fantoni, Riassunse2020).anche tutte le note che trovò su fogli sparsi tra le carte notarili, come quelle relative alla presenza di soldati spagnoli che per due anni rimasero a difesa del Colle di Valdobbia tra 1636 e 1638 (Briciole, pp. 178-179).

34 35 PRESMELL - PIETRE GEMELLE ANNUARIO 2020

Interessante risulta l’attenzione dedicata ai topo nimi di origine tedesca presenti in alcune località della val Vogna. L’abate copiò, senza commento, da documenti della seconda metà del Cinque cento i toponimi “intus Biju (alla Peccia)”, “ad stoch (alla Peccia)”, “ad pratum del Vaut” e “intus Theige” (sempre alla Peccia), “ad pasquerium de grirte”, “a schos”, “ad Stoz”, “intus venghes (In Dinti)” (Briciole, p. 237; citato in Fantoni et al, 2011; 2016)15 Nel Saggio di vocaboli …riporta anche le voci “bodma”, località con un campo alla Peccia, e Le“grabo”.Briciole contengono anche appunti presi du rante escursioni effettuate in Valsesia, che indica no una particolare attenzione per i segni lasciati sul territorio: disegnò le incisioni presenti sulle facciate della pietra infissa al colle di Valdobbia nel 1767 per marcare i limiti tra il territorio di Riva e quello di Gressoney (Briciole p. 5); quelle presenti, con iniziali, segni di casato e data (1615), su una lastra di pietra ubicata sulla cresta che separa i ghiacciai del Garstelet da quello di Bors (Briciole, p. 236); quella presenti con iniziali e data (B1555C) su una pietra del parapetto del versan te orientale del ponte del Gallo, demolito per la costruzione della strada carrabile (Briciole, p. 97). Seguendo le orme di fra Dolcino salì sulla Pare te Calva, con suo cugino Vittorio Jachetti, il 28 aprile 1874; partì dalla frazione Dughera alle 6.30 e, passando per il “sentiero delle capre”, che traversa sopra le Scarpie di Rassa, raggiunse il pianoro in un’ora e mezza. Nel suo manoscritto lasciò un appunto con le sue osservazioni sui massi incisi presenti sulla sommità della montagna, che costituisce la pri ma documentazione del fenomeno (Briciole ..., pp. 206-208)16 Ma l’abate non si limitò ad osservare e riprodurre le incisioni seicentesche inneggianti a fra Dolci no. Infatti volle lui stesso lasciare un segno del suo passaggio. Sul suo manoscritto annota infat ti: “Incidemmo le iniziali del nostro nome e le cifre dell’anno corrente su un altro masso”. Nell’ultimo disegno allegato alla sua relazione riproduce an che quest’ultimo masso, su cui aveva lasciato le sigle C.A I.V (iniziali di Carestia Antonio e Ia chetti Vittorio) e la data 1874. Antonio Carestia non fu soltanto un illustre botanico, un valido alpinista o uno storico dimenticato. Con la sua frequentazione eclettica di archivi e sentieri alpe stri l’abate offrì il miglior tributo alla montagna, che non è soltanto un terreno di conquista alpi nistica, un vessillo per la patria o un laboratorio scientifico; come scriveva un altro singolare pre te, la montagna è un luogo ove la scoperta c’est un plaisir toujours nouveau (Gorret, 1867).

MOR. C.G. (1932) - Statuti della Valsesia del sec. XIV. Valsesia, Borgosesia, Crevola, Quarona, In Corpus statutorum italicalorum, Milano, v. 15.

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Lo stesso Carlo Giacomo precisava poi di aver continuato l’attività paterna, prendendo 180 “ca mozze” tra il 1723 e il 1760 (Briciole, p. 229; citato in Fantoni et al., 2011).

FANTONI R. (2010) - Comunità di frontiera ecologica e variazioni climatiche. Esempi dal versante meridionale del Monte Rosa, ‘Notiziario CAI Varallo,’ a. 24, pp. 45-50.

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• sASVa sezione di Archivio di Stato di Varallo

• MOR C.G. (1929) - I manoscritti e le edizioni degli Statuti valsesiani, ‘Boll. Stor. Prov. Novara’, n. 23, pp. 72-106.

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• MCa Museo Calderini (in sASVa)

RIFERIMENTI ARCHIVISTICI

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15 Questi ed altri toponimi (Wassre, Hoch, Platte, Grabo, Tanne, Stotz, Garte e Scilte) furono segnalati (sulla scorta del Carestia?) da Gallo (1892). Per alcuni toponimi citati esiste anche un’antica attestazione documentaria. La voce grabo, fosso, compare in un documento del 1571 relativo al territorio della Peccia (sASVa, FNV, b. 10420). La voce tanne, abete, compare in un altro atto del 1491 nel territorio della Montata Briciole …). Inoltre due documenti del 1483 (Briciole …, p. 23) e del 1589 (sASVa, MCa, b. 17) nominano rispettivamente un appezzamento di terra a prato e campo e un croso de Staffo oltre Vogna (Fantoni et al, 2011; 2016). 16 Nella sua nota segnalava, a quattro metri dalla fossa, la presenza di un lastrone di 130 cm di altezza e di 65 cm di larghezza, infisso verticalmente nel terreno, che trovarono parzialmente rovesciato e raddrizzarono; la lastra recava sulla faccia ri volta a sud la data 1303 W F.D.; sulla faccia rivolta a nord l’iscrizione W GG 1666 A. 23 Su un altro masso spaccato e semisepolto era presente la data 1846, una piccola croce ed una coppella del diametro di 20 cm de della profondità di 15 con le iniziali G.C. (Briciole ..., pp. 206-208). La salita alla Parete Calva è citata anche in una lettera del 3 maggio 1874 a Pietro Calderini N. 24 lettere dell’Ab.e Cav. Don Antonio Carestia cit.). In questa lettera scriveva, con la solita ironia, che “in man canza d’Album visitatori della Parete Calva incisero date ed iniziali fin dal 1666” e segnalava correttamente che la data 1303 era scritta in cifra arabica con “caratteri intermedi tra quelli dal 500 al 600” Nel 1876 il Carestia formulò anche una “propo sta per scavi alla parete Calva”.

• GALLO C. (1892) - In Valsesia. Note di taccuino – 2a ed. con aggiunte e itinerari; rist. anast. 1973. S. Giovanni in Persiceto.

L’abate Carestia e il progetto per un “Archivio di storia patria” in Valsesia

E

Monte Rosa si può con sicurezza affermare che la “sveglia” fu data e la scelta di occupare la prima pagina per sette numeri consecu tivi dell’estate 1874 mostra che l’intento di voler essere persuasivi era più che evidente. Anche se non è semplice accertare se l’ap pello sia stato accolto e compreso, dalle let tere che Carestia scrive si può però ben rico struire che il desiderio “d’istituire in Varallo un piccolo archivio” di documenti utili per lo studio della storia valsesiana aveva per lui le sembianze non di un semplice proposi to e una vaga idea (in questa veste forse già promossa dal Calderini anni addietro), ma di un ben organizzato e costruito progetto archivistico di ricognizione, conservazione e valorizzazione del patrimonio documen tario locale. In primo luogo l’abate Carestia, infatti, nello scambio epistolare mette in luce che l’operazione si presenta comples sa e va organizzata in modo sistematico e condotta non in solitaria, ma con l’aiuto di una serie di collaboratori tra i quali vengo no citati altri parroci come don Carlo Mar chini, curato di Fervento7. Inoltre l’abate è ben consapevole delle criticità che possono insorgere nel momento in cui si chiede a qualcuno di privarsi delle carte in proprio possesso perciò ipotizza una vera e propria strategia di negoziazione prevedendo di chiedere ai proprietari: “che diano visione di quelle pergamene, carte antiche, che possie dono senza saperne l’importanza; esibendoci noi, in contraccambio del favore, a decifrar le gratuitamente, ed a restituirle dalla pri ma all’ultima contrassegnate ciascuna d’un cenno sommario del loro contenuto. Per tal modo quando no venga fatto d’imbatterci in memorie utili per la Storia, ne terremo conto con note e con copie, salvo altresì l’acquistar ne l’originale dal suo attuale padrone, quan do siavi il tornaconto.”8 E in questo caso maliziosamente Carestia fa notare che i pro prietari, venendo a sapere dell’importanza storica del documento, difficilmente se ne priverebbero senza intravedere una possi bilità di guadagno, e così facendo tratteggia indirettamente il carattere a volte “egoistico” di molti convalligiani: “Credi che tu trovan dosi un documento dove si accenni per caso ad un fatto storico, come p. es il punto della battaglia, il sentiero del castello, il varco di Fra Dolcino ecc…voglia il possessore di tal documento cederlo senza altro all’Archivio di Storia Patria? Prima caritas incipit a se ipso”9 Non è tra l’altro questa l’unica nota critica del Carestia nei confronti dell’atteg giamento dei valsesiani verso i documenti della propria storia. In un’altra lettera, sot tolineando il lavoro egregio compiuto nel Biellese, in val d’Aosta e nel Canavese, ac cusa i suoi compatrioti di essere superficiali e nelle stesso tempo di lagnarsi senza assu mersi la responsabilità della propria inerzia:

I Biellesi, auspice Sella, si sono messi anch’essi a collaborare per identico scopo. Anche i Val sesiani debbono fare altrettanto, e non tenersi paghi di lamentare p. es la perdita della Sto ria Valsesiana del notaio Giovanni D’Anna e di esporre vaghe congetture sull’ubicazione del Castello di Robiallo; ma fare nuove ri cerche, che non è detto non siano per dare a riesumare la prima, ed evocare i ruderi del secondo”10. In altri punti, invece, ne sotto linea la diffidenza e ciò rende ancora più indispensabile il ricorso alle capacità per suasive della “penna” del Calderini: “Dissi piamo dalla mente del popolo gli infondati sospetti intorno alle possibili bieche mire che altri possa avere nelle ricerche di che ci occu piamo”11 A queste criticità che necessitano di una certa flessibilità di azione e persuasione a seconda delle circostanze si aggiunge an che la difficoltà di separare il proprietario da documenti che possano avere ancora un qualche valore legale: “[...] se il documento è utile al proprietario del fondo come titolo d’acquisto o di possesso del fondo istesso non è giusto il privarnelo; ed a noi basterebbe pren derne nota. In casi speciali poi si può sempre verificare se un documento da noi deside rato sia proprio utile nel senso citato al suo padrone, e posto che non lo sia, riaverlo pel progettato archivio.”12 Nonostante tutto però Carestia ribadisce che: “L’essenziale è di non procrastinare più le nostre ricerche. Tutti gli anni si sciupa una certa quantità di carte an tiche e pergamene e libri. Urge dunque fare il possibile per verificare almeno il valore di tali oggetti, destinati a scomparire per sempre”13 In un certo senso l’abate mette in luce che ancora prima di costituire un archivio è ne cessario poter redigere una sorta di censi mento delle carte privatamente conservate dai valsesiani con lo scopo di ricostruire eventualmente i fondi che per svariate cau se nei secoli passati sono andati dispersi ma di cui a volte sono noti gli inventari perchè pubblicati in studi passati o già ritrovati dallo stesso Carestia. Tra le cause della di spersione il Carestia ne individua alcune nella lettera del 15 marzo, quando scrive: “la maggior parte delle carte, di cui ci vogliamo occupare, io penso, che sia andata sperperata nei mutamenti di governo, nel traslocamento delle amministrazioni, negli incendi fortuiti, nel trasporto degli archivii, e nelle sommosse popolari”14 Davvero ammirevole a questo proposito è l’abilità di Carestia di usare pa role ricche di immagini che trasmettono il suo amore per i documenti e la pena per il loro destino come quando scrive: “Ammes se le accennate cause, per cui sono scomparsi i più utili materiali di Storia Patria, si deve pensare come rinvenire e ravvivarne la parte che va randagia per la Valle, chiedendo bene spesso un ultimo asilo al pizzicagnolo ed al tabacchino”15 oppure quando ricorda la de stinazione delle carte dell’archivio dell’In tendenza finite a Novara dopo un ennesimo cambio di organizzazione amministrativa

1 Cfr. Il Monterosa Gazzetta della Valsesia, n. 655, 13 giugno 1874. 2 Le 24 lettere di proprietà privata costituiscono un fondo molto interessante per contenuti storici riportati. La trascrizione di alcune delle suddette lettere sono state pubblicate in diversi numeri del bollettino Il Sacro Monte di Varallo, Luglio-settembre 2007 e 2019 da Gabriele Federici che ha anche messo in luce l’importanza del sodalizio “tra due personaggi che, pur nella diversità dei loro caratteri, collaborarono insieme per il progresso culturale della Valsesia”.

3 M.BONOLA L’Abate di Riva pp. 27-31 4 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 22 febbraio 1874 5 Ibidem 6 Ibidem

11

Ma bisogna che tu scuota un po' forte l’iner zia e la sbadataggine dannosa dei Valsesiani. I nostri vicini del Canavese e di Valle d’Aosta, per opera segnatamente del Cav. Bertolotti, e del Rev.do Duc, che con alacrità e pazienza raccolgono in applauditissime opere le noti zie più antiche delle loro patrie, veggono ogni anno squarciarsi nuovi veli sotto di cui rima sero fin qui nascosti o mal noti importanti avvenimenti accaduti in quei paesi in epoche dalla nostra remotissime.

NOTE A MARGINE

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NOTE A MARGINE

di Sabrina Contini C hissà quale fu la reazione che ac compagnò i lettori del Monterosa nel giugno del 1874 al veder im provvisamente comparire tra le pagine del giornale locale una serie di interventi dal titolo “Della ricerca e della conservazione dei patrii documenti”. Si possono immaginare i loro sguardi curiosi attratti da quelle lun ghe colonne di caratteri in prima pagina di sicuro effetto grazie al titolo realizzato con maiuscole dallo stile elegante e altisonante; scorrendo le parole possono averle dappri ma lette convinti di assaporare note erudite e poi di colpo sorpresi di scoprire che quella eleganza del titolo di sapore antico era solo all’apparenza garanzia di una tranquilla e piacevole lettura. L’interrogativo su quale sia stata la reazione del pubblico si pone so prattutto in considerazione del tono scelto dall’autore, il professor don Pietro Calderini che, fin dal primo di questi articoli datato 13 giugno, non lascia alcun dubbio sulla sua posizione rispetto alle responsabilità dei valsesiani nei confronti del proprio patri monio documentario: “Io vorrei bene poter rispondere che a favore dei patri documenti s’ebbe da noi il massimo riguardo: ma pur troppo per mala ventura ciò non è punto il vero. La verità, la dura e increscevole verità si è che per deplorevole nostra incuria e crassa nostra inerzia le antiche nostre Pergamene, le antiche nostre Scritture n’andarono presso che tutte disperse e molte forse anche perdute!”.1 Le righe seguenti e le riflessioni che prose guono nei successivi sei numeri della rivista sono dense di informazioni, notizie, osser vazioni sull’importanza di una necessaria ricognizione, raccolta e conservazione delle carte storiche disperse negli archivi mal te nuti delle comunità della valle o conserva te egoisticamente dalle famiglie valsesiane. Insomma una vera e propria accusa e nello stesso tempo un accorato appello affinché si intervenga prima che sia troppo tardi. Le possibili scoperte e indagini storiche che si potrebbero realizzare, se solo si capisse l’im portanza di recuperare i documenti dispersi, vengono tutte offerte con dovizia e precisio ne dal Calderini, su suggerimento e stimolo però va detto di un altro grande protagoni sta della cultura valsesiana di quel periodo, ovvero l’abate Antonio Carestia. Le lettere inviate dall’abate rivese al suo “carissimo amico” tra il febbraio e il luglio 1874, infat ti, testimoniano che nella stesura di questa serie di articoli il Carestia sia stato una sorta di ghost writer dei nostri tempi guidando il Calderini nella scelta dei temi da trattare e dei toni da tenere, e mostrando così ancora una volta quanto la stretta collaborazione e sinergia tra i due, diversi per carattere e mo dalità comunicative ma in sintonia sui fini da perseguire, abbia reso grandi servigi alla cultura del nostro territorio. Il fine comune che li unì in quei mesi del lontano 1874 fu, dunque, l’idea di costitu ire un archivio documentario valsesiano e di utilizzare le pagine del Monte Rosa come strumento di “persuasione” della necessità e della bontà dell’iniziativa2. L’idea sembra es sere venuta all’abate, appassionato paleogra fo e cultore di documenti antichi, proprio nel mese di febbraio, mentre nella sua “so litudine cenobitica” era intento a trascrivere documenti indecifrabili e occupare così il tempo di un periodo dell’anno che poco si prestava alla sua attività privilegiata, ovvero la raccolta di piante per gli studi botanici. Nella lettera del 22 febbraio 1874, infatti, il Carestia racconta del ritrovamento inaspet tato di un documento che permette di da tare intorno al Trecento l’inizio di una delle più importanti consuetudini rivesi, cioè la Fiera di san Michele, evento tradizionale e importantissimo nella vita di quella comu nità alpina col quale il Carestia ha un pro fondo legame3. L’emozione per la scoperta lo spinge a scrivere: “L’ho sempre creduto, e lo credo ancora, che la nostra Valle contiene molte di consimili preziose scritture, che, l’u na dopo l’altra, vanno sciupate per ignoran za, e tenute nascoste per diffidenza; e quindi la loro perdita è quasi certa ed irrecuperabi le”4. E immediatamente dopo esplicita l’idea e lancia la proposta neanche troppo velata al suo amico Calderini, uno dei principali editorialisti locali: “Se io avessi voce in capi tolo presso la Direzione del M. Rosa inculche rei ben volentieri il dovere che ha la stampa patria di scongiurare a tutto potere l’accen nato inconveniente; sia raccomandando alle famiglie, che sanno di possedere scritture an tiche di non mai distruggerne alcuna senza conoscerne prima il contenuto; sia anche col mettere sull’avviso i legatori di libri, presso i quali si trinciano giornalmente sì molte per gamene che è del loro torna conto di farle leggere prima di fare l’uso che porta il loro mestiere”5 Con la convinzione che “data la sveglia in questo senso ai Valsesiani, non si tarderebbe ad avere qualche prova che il loro buon senso, ed il grado d’istruzione, per cui il loro Circondario ha il primato in Italia ri sponderà (col plauso di tutti coloro che colle pazienti ricerche delle memorie istoriche ane lano a concorrere all’edifizio del nostro civile progresso) riconoscente dell’appello”, l’abate Carestia chiede all’amico di occuparsene lui direttamente: “il meglio che si potrebbe fare sarebbe che tu stesso ti occupassi dell’argo mento, per farne ai lettori del M. Rosa uno di quei graditissimi presenti, che la tua colta penna, sempre intinta a patriottismo, sa col la più insinuante persuasiva, loro offrire”6 Considerati i toni dell’articolo poi pubbli cato qualche mese dopo dal Calderini su

“Io nutro buona speranza che raddoppiando indagini si verrà a qualche buon risultato.

12

L’HO

7 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 1 marzo 1874 in cui si legge: “Io spero p. es. che l’amico Don Carlo Marchini Curato di Fervento si presterebbe volentieri a darci il suo intelligente aiuto; anzi mi lusingo, che egli prima d’ora avrà fatto raccolte non indifferenti per la nostra bisogna”. 8 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 1 marzo 1874 9 Ibidem 10 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 22 marzo 1874 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 19 luglio 1874 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 22 marzo 1874 13 Ibidem “ SEMPRE CREDUTO, LO CREDO ANCORA, CHE LA NOSTRA VALLE CONTIENE MOLTE DI CONSIMILI PREZIOSE SCRITTURE, CHE, L’UNA DOPO L’ALTRA, VANNO SCIUPATE PER IGNORANZA, E TENUTE NASCOSTE PER DIFFIDENZA; E QUINDI LA LORO PERDITA È QUASI CERTA ED IRRECUPERABILE”

NOTE A MARGINE 14 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 15 marzo 1874 15 Ibidem 16

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Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 17 aprile 1874 21 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 24 marzo 1874 22 Ibidem 23 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 29 marzo 1874 24 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 22 aprile 1874 25 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 21 Giugno 1874 26 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 28 Giugno 1874 27 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 14 Giugno 1874 28 Ibidem

Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 13 aprile 1874 17 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 29 marzo 1874 18 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 8 aprile 1874 19 Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, 13 aprile 1874 NOTE A MARGINE 20

SOPRA: copertina del Saggio del Carestia sui vocaboli del dialetto di Riva Valdobbia.

come quella d’un prezioso tesoro, ho nuova ragione d’esser contento del fatto mio.”18 In fine in altri punti dello scambio epistolare il Carestia elenca le vaste lacune che si potreb bero colmare riguardo alla vita civile della Valsesia indicando addirittura i possibili titoli del sommario delle ricerche che po trebbe scaturire dall’analisi dei documenti raccolti: “Edilizia. Santuarii. Strade. Ponti. Acquedotti. Barriere. Scuole. Chiese. Opere Pie. Voti. Bandi Campestri. Statuti generali. Statuti particolari. Belle Arti. Artisti. Persone celebri. Persone infami. Aneddoti. Autografi ecc. ecc. Inondazioni. Incendii. Pestilenze. Carestie. Epizoozie. Emigrazioni. Guerre. Paci. Milizie. Castelli. Valanghe. Frane. Ter remoti. Caccie. Bestie selvagge. Bestie feroci ecc. ecc.”19 e poi “Parrocchie, ossia Erezione di esse. Podestà, ossia loro nomina e vicende. Statistiche varie, e prima quella della popola zione valsesiana”20 Se il progetto d’istituzione di un archivio storico valsesiano, come fin qui illustrato, viene in buona sostanza elaborato e pro mosso dal Carestia, l’attività promozionale dalle pagine del Monte Rosa, invece, a par tire dal mese di giugno, passa in mano al Calderini. Il Carestia si offre di diventare a questo punto il braccio operativo della loro comune azione chiedendo di fargli avere ap pena pronte “una diecina di numeri del M. Rosa per mio conto per meglio diffondere il tuo articolo, e quindi ottenere meglio il nostro scopo. Ad evitare i duplicati all’istessa perso na, io mi limiterò a diffonderli nella Valsesia superiore Nonostante”21. questo passaggio di consegne l’abate sembra ben conscio non solo dei vantaggi di avere a disposizione la “penna erudita” del suo carissimo amico, ma anche dei rischi ai quali può andare incontro, es sendo forse a conoscenza di aspetti del suo carattere e della personalità che a noi neces sariamente sfuggono. Sono, infatti, molte le raccomandazioni rivolte all’amico soprat tutto rispetto al desiderio di non diventare oggetto di troppi complimenti come quan do scrive: “Si raccomanda scrupolosa econo mia di epitteti laudativi al mio indirizzo”22; oppure quando sottolinea: “In relazione alla raccolta di memorie storiche non saprei più che dirti, tranne di replicarti e triplicarti di parlare di me soltanto quando non ne possa fare a meno, sopprimendo ogni lode, ogni in censata, di cui hai l’incorreggibile difetto di essere cordialmente prodigo. Spero peraltro che in quest’occasione farai giudizio, limitan doti a prender atto del solo mio merito, che è un poco di buon volere, e nulla di più”23 Altre raccomandazioni riguardano, invece, la necessità di contenersi da parte del Calde rini in accuse a singole persone o famiglie, precauzione necessaria a ben vedere per ottenere poi la collaborazione tanto desi derata: “Intanto se mai ti ponessi ad abboz zare il tuo articolo apologetico delle antiche memorie patrie evita ti prego le personalità per quanto ti sia possibile. Penso che ci sarà da guadagnare. Non indaga chi abbia avu to torto nella dispersione di quelle memorie. Starà alla solerzia di tutti i sinceri patrioti a neutralizzare il mal fatto degli antenati, per quanto è ancora possibile”24 . O ancora, ad articolo già pubblicato, le os servazioni sullo scritto del Calderini con tengono anche suggerimenti di stile: “ Il tuo articolo sui Documenti seguita a piacermi. Colgo l’occasione per osservarti però che la fretta con cui sei obbligato a scrivere non ti lascia sempre campo a riflettere che scrivi pel popolo, e non pei dotti. Il tuo articolo riesce al certo più bello pubblicato come l’hai scritto; ma il popolo non lo leggerà forse per intiero. Ci perde il filo probabilmente tra gli incisi dei tuoi periodi piuttosto complessi per natura, e più ancora resi tali dall’afa del pomeriggio, in questa stagione, che, mascherandone la parte eccitante ne svela le particelle anodine! Ma tu hai sicuramente il tuo perché anche in que sto; e ti riservi una pagina di riepilogo adatta all’intelligenza anche del popolino al quale ti raccomandi nella bisogna per cui lavori con mente e cuore, come sempre quando c’è di mezzo la povera ed amata nostra Valsesia”25 La critica si rende necessaria se si tiene pre sente ciò che più sta a cuore al Carestia ov vero che il loro progetto si possa realizzare davvero: “Ti ripeto anzitutto che finora ap provo sinceramente il tuo Art. Sui Documenti patrii anche sulla forma; e l’osservazione sul tuo periodare qualche volta un poco lungo, ma tu perdona per il gran desiderio che nu tro di assicurarmi, che le tue ottime ragioni facciano larga breccia nel comprendomine un poco duro dei popolani nostri”26. Come noto si è dovuto attendere il secolo successivo perché la Valsesia fosse dotata di un archivio che raccogliesse e conservas se la sua memoria storica con l’istituzione negli anni Settanta del Novecento della se zione di Archivio di stato di Varallo presso la quale sono depositati moltissimi fondi di enti pubblici e privati, il notarile e gli archivi storici di quasi tutti i comuni della Valle che con difficoltà avrebbero potuto conservarli e soprattutto renderli disponibili agli storici per le loro ricerche per mancanza delle ri sorse necessarie. Questa realtà che è stata, e deve continuare ad essere, una risorsa e uno slancio per il progredire della ricerca stori ca del nostro territorio e non solo, sarebbe stato sicuramente una grande soddisfazio ne per i due luminari della Valsesia di fine Ottocento che tanto si erano spesi in quei mesi del lontano 1874 intorno a un simile Ritornandoprogetto. col pensiero ai lettori che quella mattina del 13 giugno si trovarono a legge re gli scritti del Calderini, non è vero che non possiamo conoscerne la reazione o per lo meno non di tutti questa reazione rima ne ignota. Il Carestia, infatti, ce la descrive nella lettera che scrive il 14 giugno subito dopo la pubblicazione: “Simile ad un abita tore delle nostre città di pianura, ansante per l’afa estiva, che al sopravvenire d’una benefica pioggia rinfrescatrice, può trarre finalmente dai polmonii più largo il respiro, anch’io già da tempo ansante di non vederti nella pos sibilità di trattare quel desideratissimo tema della ricerca e conservazione dei documenti di Storia patria, ho dimenticato d’un tratto ogni affanno, quando ieri qui assicurato dal M. Rosa e dalle stesse tue parole, che l’in vocato tuo scritto mi stava sotto gli occhi. Ottimamente! Bravissimo! Che se il seguito corrisponderà al principio, come non ne du bito, le tue parole saranno una vera pioggia d’oro, per lo scopo loro, e pei bisogni nostri. Non occorre che io ti aggiunga parola per im pegnarti a scuotere col nerbo della tua penna l’inerzia generale dei nostri patrioti”27 E non si può negare che il finale suoni qua si come un monito da passato rivolto a noi contemporanei: “L’incubo maledetto che li governa, li addormenta, li accieca, quando sciupano, a chi può più, i preziosi residui delle nostre care memorie antiche. M’affido totalmente al tuo illuminato patriottismo”28

del territorio valsesiano: “Ma mi voglio ben rammentare che tu stesso, in epoca non molto remota, vedesti ancora pergamene in buon dato migrare dai nostri Archivi dirette, se non erro, a Novara, dov’era traslocata la nostra Intendenza e dove c’è a temere che siano tutte morte di nostalgia! Però se è vero che le ossa fremono amor di patria le si debbono ricupe rare al più presto, altrimenti arrischiano di terminare la loro esistenza già cadaverica col servire alle esperienze della cremazione”16 Una volta stabilito che nella raccolta dei documenti si deve procedere ricostruendo i legami tra le carte disperse per ricondurle al soggetto produttore, persona o istituzio ne che fosse, con un vero e proprio metodo che in archivistica si definirebbe “storico”, il Carestia esplicita anche tutta una serie di obiettivi che potrebbero essere raggiunti dal punto di vista della ricerca storica locale. Tra essi oltre alla possibilità di far luce su momenti della storia valsesiana rimasti av volti nel mistero o trasmessi nella memoria storica in modo a volte contraddittorio, va segnalata la convinzione di poter attraverso lo studio di documenti in dialetto ricostru ire anche le origini etnografiche in partico lare delle comunità walser, alla quale anche lui appartiene. Nella lettera del 29 marzo, infatti, si legge: “Dunque non voglionsi negli gentare neppure le scritture in dialetto nostro, perché io sono d’avviso che molti vocaboli si sono in esso conservati, che sottoposti alla critica linguistica ponno diventare armi pre ziose in mano allo storico che volesse rintrac ciare le origini nostre etnografiche, e varreb be (?) più quelle delle colonie tedesche delle nostre valli. Si è appunto in questo intento che già da molti anni ho dato principio ad una raccolta di singoli vocaboli del dialetto di Riva, che non hanno certo derivazione né dalla lingua italiana, né dalla francese importataci dai nostri emigranti, né dalla spagnola, scarso residuo dovuto al Dominio succeduto a quello dei Visconti e degli Sforza. Ma la mia messe è poca. Si dovrebbe collabo rare tra varii; e spero che i risultati sarebbero tali da porgere col fatto nostro un argomento di più a Lepsius e suoi seguaci per sostenere che la Paleografia è uno degli strumenti della linguistica, il che di rimbalzo verrebbe forse a dilucidare sino a quel punto possa sostenerci, che le nostre valli furono nei tempi delle inva sioni dei Cimbri e dei Teutoni popolate dalle loro falangi sgominate dalle vittoriose aquile romane sui Castri Mariani”17 Un’altra que stione storiografica potrebbe essere risolta grazie al ritrovamento di un numero mag giore di antiche carte viene esplicitata dal Carestia nella lettera dell’8 aprile dove an nuncia il ritrovamento di “una copia dell’in feudazione della Valsesia al Card. Mercurino Gattinara fatta da Carlo V, ed intimutari addì 6 luglio 1529 dal Governatore di Mila no Antonio De Leyva”. Egli infatti sottolinea così la rilevanza della scoperta anche di un solo documento che possa chiarire il tema della autonomia della Valsesia nei corsi dei secoli: “Ed in vero. Se la scoperta di qualsivo glia titolo atto a spandere qualche raggio di novella luce sul tenebroso sentiero di chi bra ma investigare le cause ed i modi per cui la nostra povera Valle abbia potuto conservare per varii secoli la sua autonomia fra l’univer sale tracollo di leggi e dominii, e l’inestricabile labirinto di donazioni e spogliamenti, diritti e prepotenze, rapine e privilegi, per cui andò famosa l’epoca feudale, vuol essere salutata

VIPERAIO

UN VIPERAIO DISCRETO: ANTONIO CARESTIA

Don Ruscetta diventò l'ambasciatore incon testato del suo paesello grazie al talento di Guido Piovene, celebre giornalista. Dal loro primo incontro nel 1941, Piovene fu affasci nato da questo personaggio di romanzo, che dopo la messa domenicale aveva per abitudi ne di mettere alla prova i ragazzi che volevano partecipare ad un'opera meritoria e guada gnare qualche soldo. All'uscita dalla chiesa, Don Ruscetta rilasciò alcune aspidi (Vipera a. aspis) sul sagrato e insegnò il modo migliore per catturarle! Secondo lui, tre qualità erano primordiali per diventare viperaio: saper rico noscere le vipere, toccarle con decisione e far prova d’una grande pazienza. Le vipere cattu rate furono inviate all’Istituto sieroterapico di PioveneMilano. riferì anche un fatto perturbante: nes sun moriva mai a Croveo ! Questa anomalia può farci sospettare che Don Amedeo avrebbe forse firmato un patto con l'incarnazione del diavolo sulla terra. Indubbiamente non fu il caso, perché quasi morì per un morso vipe rino e fu salvato in extremis dall'iniezione del siero dell'Istituto da lui fornito. Piovene capì allora che in fondo il diavolo non è così brutto come lo si dipinge, una rivelazione confortan te per tutti i "romanzieri accusati di essere trop po familiari col male" (Piovene 1957).

Figura 1. Vipera aspis aspis (Valle Vogna)

Nel 1953, su richiesta del direttore del Gior nale Radio RAI, Piovene intraprese un'odissea radiofonica attraverso tutta l'Italia, un'oppor tunità da sogno per tornare a Croveo. Da questa esperienza è nato il Viaggio in Italia, capolavoro letterario di Piovene (1957), il cui ritratto di Don Amedeo simboleggia perfetta mente il senso profondo di un’opera "che non è una guida turistica né un saggio geografico" (Rossomando 2015).

Don Ruscetta fu anche portato alla luce dal Cinegiornale (Scotti 1942). Il fascino desueto delle ultime immagini di questo rapporto ci ricorda inevitabilmente Fernandel nel ruolo di Don Camillo

"si dedicava ancora con speciale accanimen to ad una caccia pericolosa per quanto utile.

40 41 PRESMELL - PIETRE GEMELLE ANNUARIO 2020 Preti viperai: angeli custodi nel Purgatorio?

Figura 4. Don Amedeo Ruscetta Figura 5. L’abate Antonio Carestia

Figura 6. Vipera aspis aspis varietà immaculata (Gran Paradiso)

Figura 7. Vipera walser (© Sylvain Ursenbacher)

Fino alla morte, nonostante una vista debole,

Questa varietà di aspide molto rara è co nosciuta in Svizzera nelle Alpi vallesane, in Francia nel Massiccio del Beaufortain, in Spagna nei Pirenei ed in Italia nel Gran Pa radiso (figura 6) (Golay 2020; Mebert et al. 2011; Tessa 2017).

Durante la sua vita don Ruscetta avrebbe cat turato quasi 12.000 vipere, di cui 800 in un anno, che furono inviate all'Istituto Pasteur di Parigi (Bronckers 2014). Dal 1930, inviò le vipere esclusivamente all'Istituto sieroterapico milanese Serafino Belfanti. Amedeo Ruscetta morì a Vercelli il 21.I.1961. Perché scrisse il Figure 2-3. Vipera aspis aspis (Valle Vogna)

suo epitaffio che si concluse con alcuni versi di Dante (1472): "L'anima preclara mover si volle, tornando al suo regno" (Paradiso, Can to XI, versi 115-116) ? Rispose alla domanda durante l'intervista radiofonica del Viaggio in Italia: "Vivus fecit sibi, ce l’ha fatta lui per se, perché se mi dan del matto da vivo, saprei di fendermi. Se mi lo danno dopo morte rimango matto tutta 1'eternità" (Ruscetta in Piovene 1955). È un fatto poco noto, ma durante il secolo precedente, don Ruscetta ebbe un emi nente confratello, l’abate Carestia, che esercitò discretamente i suoi talenti di viperaio in una valle vicina. Antonio (figura 5) nacque a Riva Valdobbia (Vercelli) il 2.II.1825, da Maria Eva Jachetti e Giacomo Antonio Carestia. Dopo studi nei seminari di Gozzano e di Verona, fu consacrato sacerdote nel 1848; lo stesso anno, diventò cappellano di Riva Val dobbia. Fu subito attratto dalla diversità bo tanica della regione. Libero da cura d’anime, poté dedicarsi senza rimorsi alla sua passione e diventò prontamente uno dei più grandi co noscitori della flora alpina (Marco 1907). In occasione dell'inaugurazione del museo varallese di Storia Naturale, l’illustrissimo amico suo don Pietro Calderini (1867) fu il primo a menzionare l’attività di viperaio dell'abate: "del Sig. Carestia sono pur dono prezioso le più belle vipere". Rivelazione con fermata in una lettera di Carestia a Vincenzo Cesati del 30 maggio 1871: "Eccomi […] cogli scalpelli in una tasca e col vaso per le vipere in un’altra. Sissignori: né si sgomenti troppo sul fatto mio che senza darmi vanto d’incantatore di serpenti tra l’aprile ed il maggio sono giunto ad attanagliarne dieci senza far uso dell’am moniaca per ovviare agli effetti dell’avvele namento" (Carestia in Rotti 2003; cfr. Golay Nel2015).1878, Calderini segnalò alcune "in teressanti varietà di colore che presenta la vipera aspis in Val Sesia [sic],e più spe cialmente su di una varietà senza fascia dorsale e senza mac chie", la Vipera aspis var. immaculata. L’anno seguente, de Betta descrisse la stessa varietà da "luoghi montuosi di Riva Valdobbia dell'alta Valsesia in Piemonte" che nominò V. a. var. Calderinii in onore del donatore (de Betta 1879). Curiosamente, il nome di Carestia non è menzionato, però Capocaccia (1963) confermò che tutte queste vipere furono catturate dall’abate.

di Philippe Golay A prima vista, tutto sembra contrapporre i due ecclesiastici piemontesi di cui mi accingo a fare un ritratto incrociato. Il primo era esuberante, burlone, animatore della vita pubblica del suo paesello, mentre il secondo, malinconicamente timido, così modesto che, più volte, ricercatori occultarono il suo ruolo determinante, botanico di fama internazionale, si celò nel suo "romi taggio" alla fine della sua vita. Tuttavia, entrambi svolsero un'attività insolita, quella di viperaio. Sacrificarono innumerevoli vipere comune (Vipera aspis aspis; figure 1-3) sull'altare della salute pubblica, l’uno per sottrarre i suoi parrocchiani al pericolo delle morsicature prima della sco perta del siero antiofidico di Césaire Phisalix nel 1894 (cfr. Bochner e Goyffon 2007) e l'altro per partecipare attivamente alla sua elaborazione. Un'attività meritevole nel loro tempo, che sarà per fortuna presto un vago ricordo dopo che i loro ultimi discepoli saranno mandati in pensione per motivi legali (cfr. Valsesia 2016), ma anche perché ci stiamo muovendo verso la produzione di veleno in vitro (cfr. Puschhof et al. 2021).

"L'erpetologo vi riscontra varietà grande di vipere aspidi ed anche qualche raro esemplare della specie che è detta Pelias berus" (Calderini 1869). Carestia fu anche il primo a catturare un marasso nella Valsesia, un campione of ferto dal Calderini al Museo civico di Storia naturale Giacomo Doria (Genova) nel 1871 (Capra 1954). Le caratteristiche dei marassi delle Prealpi ed Alpi piemontesi incuriosiro no numerosi erpetologi e provocarono la re cente descrizione di Vipera walser (figura 7) (Capra op. cit. Ghielmi et al. 2006; Ghielmi et al. 2016).

UN COSPICUO: AMEDEO RUSCETTA

Nella stagione propizia attendeva che uscissero dalle loro tane le vipere, che sono piuttosto nu merose nella Valsesia, e con un bastoncello terminante a forca abil mente le immobilizza va ed uccideva prima che avessero il tempo di rivoltarsi" (Ferraris Eminente1909). storico della Valsesia, Carestia fece anche antropologia, ma senza saperlo come Monsieur Jourdain, il Borghese gentiluomo che parlava in prosa. Nel tentativo lodevole di distinguere la reli gione dalla supersti Amedeo (figura 4) nacque a Centonara (Ver bano-Cusio-Ossola) il 31.V.1874, da Caterina Fusarelli e Carlo Ruscetta. Dopo studi nel se minario di Novara, questo seminarista "burlo ne, ma leale e schietto" secondo i maestri suoi, fu consacrato sacerdote nel 1899; lo stesso anno diventò vicario economo, poi, dal 1903 al 1959, parroco di Croveo (Milani 2021, in litt.). La sua vocazione di serparo nacque dopo un incidente accaduto in gioventù quando trovò un grande biscione nero in un nido di merlotti, un aneddoto che varia nel corso degli anni poiché la biscia si trasformerà in vipera... Dopo l'arrivo di don Ruscetta a Croveo, il mo dello economico di questa contrada, che cam pò d'aria e di contrabbando, cambiò drastica mente, come lo spiegò Diovuole Proletti, uno dei più noti discepoli di Amedeo: "Da allora diventarono tutti viperai […] Subito dopo la guerra si guadagnavano 50 lire per ogni esem plare: era già una bella paghetta. Poi 200 e alla fine degli Anni Cinquanta il prezzo pagato dal parroco era arrivato a 500 lire. Da leccarsi i baf fi" (Proletti in Valsesia 2016).

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• Mebert K., Zwahlen V., Golay P., Durand T., Ursenbacher S. (2011) Ungewöhnlich hoher Farb-Polymorphismus bei alpinen Aspisvipern in Frankreich. Zufall oder natürliche Selektion ? elaphe N.F. DGHT, 12011(1):13-19.

zione, raccolse, tra 1880 e 1890, "ogni sorta di pregiudizi anche in fatto di religione, persuaso d’aver fatto già opera contro ai pregiudizi questa raccolta che mi auguro possa illuminare qual che passo della misera vita umana". Dei sette pregiudizi valsesiani sulle vipere ne citerò solo uno: "coll’uccisione della prima vipera che ad alcuna venga fatto di vedere in un anno si li bera un’anima dal Purgatorio." (Carestia 1998) A questo proposito, Ferraris (op. cit.) dimostra una volta di più lo spirito malizioso dell’abate: "una volta mi scrisse una lettera molto faceta ove si vantava di aver salvato un'anima dal Purgatorio e ciò per avere nel principio dell'an no ucciso la prima vipera […] concludeva –senza troppa persuasione– che se ciò fosse vero molte anime gli avrebbero dovuto esser grate di una tale liberazione!" Antonio Carestia morì a Riva Valdobbia l’11.V.1908.

• Calderini P. (1878) VII Riunione straordinaria in Varese. Processi verbali delle Sezioni. Sezione di zoologia,anatomia e fisiologia comparate e paleontologia. Seduta del 27 settembre 1878. Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, XXI(1):207-213.

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• Ferraris T. (1909) L’abate Antonio Carestia. Annali di Botanica, VII(II):197-205.

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• Calderini P. (1869) La Valsesia considerata sotto i suoi vari aspetti. Discorso letto a l’adunanza straordinaria del Club Alpino Italiano il giorno 29 agosto 1869 in Varallo dal socio cavaliere professore Calderini Pietro. Bollettino del Club Alpino Italiano, V(16):317-325.

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• Rotti G. (2003) L'attività dell'Abate Carestia attraverso alcuni suoi scritti inediti. Revue Valdôtaine d’Histoire Naturelle, 57:119-125.

• Piovene G. (1955) Vercelli e Novara, Radio Uno, 14 febbraio 1955. http://www.teche.rai.it/1955/02/viaggio-in-italia-vercelli-e-novara/ [ultima consultazione il 30.III.2021].

• De Betta E.F. (1879) Nuova serie di note erpetologiche per servire allo studio dei rettili ed anfibi italiani. Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Serie V, V:377-415.

• Bochner R., Goyffon M. (2007) L'oeuvre scientifique de Césaire Phisalix (1852-1906), découvreur du sérum antivenimeux. Bulletin de la Société herpétologique de France, 123:15-46.

• Scotti U. (1942) Come si catturano le vipere per l'invio all'Istituto produttore di Siero, Cinegiornale Luce C, 29.09.1942. https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000017666/2/ [ultima consultazione il 30.III.2021].

Settembre 2016 Pescara, Ianieri Edizioni, pp. 325-328.

• Golay P. (2020) Fantômes de l’éboulis: les vipères de Derborence. Bulletin de la Murithienne, 137:33-49.

• Zaccarello M. (2006) Lettura di Purgatorio VIII. Dante Studies, CXXIV:7-23.

SINISTRA: Figura 8. Canto VIII del Purgatorio nell’edizione originale della Comedia di Dante Ali ghieri (1472). SOPRA: Figura 9. La vipera di Doré (in Alighieri 1868).

DUE ANGELI Come abbiamo visto, don Ruscetta prese in prestito alcuni versi dal Paradiso dantesco, ma la sua visione di esso rimase radicalmente di versa, addirittura iconoclasta: "Se volete trova re molti santi non cercatele in paradiso, andate al cimitero dalle tombe. Vi accorgerete che sono tutti santi" (Ruscetta in Piovene 1955). Mentre l’abate Carestia, anche in tono scher zoso, sembrò dare più credito alla visione tra dizionale. E se l'origine del pregiudizio valsesiano si tro vasse anche nella Comedia di Dante (Alighieri 1472), più precisamente nella fabula del ser pente narrata nell'VIII canto del Purgatorio ? In questo canto (figura 8), allegoria della ten tazione, Dante racconta che ogni sera, nella valletta dei Principi negligenti dell’Antipur gatorio, "una biscia, forse qual diede ad Eva il cibo amaro" (vv. 98-99) tornava per tentare di lusingare l’orgoglio e la vanità delle anime principesche, ma che era cacciato senza pietà da "due angeli con due spade affocate, tronche e private de le punte sue" (vv. 26-27). Oltre ad alcune trasparenti allusioni, questi versi erme tici sono ricchi di un simbolismo che la Lettu ra di Zaccarello (2006) ci permette di afferrare Semeglio.possiamo facilmente intuire che il serpente incarna il diavolo e che i due angeli simbo leggiano la sorveglianza vigile di Dio, la pre senza di due spade e la loro descrizione sono più enigmatiche. Zaccarello (op. cit.) ci rivela che, per la maggior parte dei commentatori, le due spade rappresentano due virtù cardina li dell'intervento divino: la giustizia colla sua lama e la misericordia colla sua punta tronca ed inoffensiva, ma anche che queste spade bruciano del fuoco della carità. Inoltre, dalla pubblicazione della Comedia di Dante, l'episodio del serpente fu illustrato da molti artisti famosi, Blake, Botticelli, Dali, Doré, Flaxman, solo per citarne alcuni. È sor prendente constatare che, nello stesso modo in cui il biscione di don Ruscetta si trasformò in vipera, la biscia di Botticelli divenne una vipera nell'opera di Doré (in Alighieri 1868; figura 9) e persino un serpente a sonagli in quella di Flaxman (1807; figura 10).

• Calderini P. (1867) Per l’inaugurazione d’un Museo di Storia Naturale e d’una sede di soccorso al Club Alpino Italiano fattasi a Varallo nei giorni 28 e 29 settembre. Varallo, Colleoni, 23 pp.

• Golay P. (2015) Il y a 150 ans dans le bulletin. Rétrospective. La morsure de vipère n’est-elle point mortelle dans notre pays ? Bulletin de la Société vaudoise des Sciences naturelles, 94( 4 ):343-360.

Figura 10. Il serpente a sonagli di Flaxman (1807).

• Capocaccia L. (1963) Xantocroismo nella vipera comune, Vipera aspis aspis (L.). Natura Milano, 54(4):174-177.

• Piovene G. (1941) La caccia alle vipere. La lettura, Rivista mensile del Corriere della Sera, A. 41, 1. ottobre, pp.986-991.

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• Ghielmi S., Menegon M., Marsden S.J., Laddaga L., Ursenbacher S. (2016) A new vertebrate for Europe: the discovery of a range-restricted relict viper in the western Italian Alps. Journal of Zoological Systematics and Evolutionary Research, 54(3):161-173.

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• Marco C. (1907) Cenno sulla fauna e sulla flora valsesiane e dati meteorici di Varallo. In: Club Alpino Italiano, (a cura di), La Valsesia (Alpi Pennine) per cura della sezione di Varallo del Club Alpino Italiano in occasione del XXXVIII Congresso degli Alpinisti italiani in Valsesia. Torino, G.B. Paravia, pp. 273-289.

RINGRAZIAMENTI Massimo Bonola, Ron Bronckers, Domenico Capolongo, Marta Co loberti, Giovanni Enzio, don Paolo Milani, Sylvain Ursenbacher, Michelangelo Zaccarello.

• Bronckers R. (2014) Don Amedeo Ruscetta, the master Viperaro: he who taught children how to catch vipers. Litteratura Serpentium, 34(1):6-12.

EPILOGO Anche se, da un lato, dubito che la mia ipotesi, a dir poco seducente, possa mai essere verificata, dall'altro non ho dubbi che se c’è un granello di verità nella visione dantesca del Purgatorio, i nostri sacerdoti formano una pattuglia aerea formidabile che il serpente ten tatore evita come la peste. Due angeli custodi che hanno gettato via le loro spade affocate per tirare, a mani nude, il diavolo per la coda!

• Puschhof J., Post Y., Beumer J., Kerkkamp H.M., Bittenbinder M., Vonk F.J., Casewell N.R., Richardson M.K., Clevers H. (2021) Derivation of snake venom gland organoids for in vitro venom production. Nature Protocols, 16:1494-1510.

• Carestia A. (1998) I pregiudizi popolari della Valsesia. In Bonola M. (a cura di), ‘Scritti diversi. Alpinismo, scienza e poesia di un abate valsesiano’. Borgosesia, Idea Editrice, pp. 109-137.

• Rossomando P. (2015) Un itinerario nell’Italia del dopoguerra: il Viaggio in Italia di Guido Piovene. Tesi di Laurea, Venezia, Università Ca’Foscari, 102 pp.

NOTE A MARGINE Il Monte Rosa n. 480 del 4 febbraio 1871 R. FANTONI, L’Abate Antonio Carestia. Archivi e sentieri di monta gna, in Cerri R. (a cura di), Alle origini del Club Alpino. Un progetto integrato di politica, progresso, scienza e montagna, 2013, p. 196 P. CALDERINI, Per l’inaugurazione d’un Museo di Storia Naturale e d’una sede di soccorso al Club Alpino Italiano fattasi a Varallo nei giorni 28 e 29 settembre, Varallo, Colleoni, 1867.

NOTE A MARGINE

4 Al momento della stesura del testo, è stato rinvenuto in museo un ulteriore nucleo di piante preparate dall’Abate Carestia, non fissate, con il relativo cartellino identificativo, a fogli d’erbario e quindi non inserite nelle 15 cartelle descritte. Sono stati pertanto predisposti dei fogli ai quali sono stati fissati campioni, che sono stati pertanto catalogati e inseriti nell’inventario generale. Ad aprile 2021, anche grazie all’operazione di digitalizzazione dell’erbario stesso, che ha consentito un riconteggio dei fogli, l’o pera di Carestia risulta essere composto da 15 cartelle in cui sono conservati 1013 fogli; in tali fogli sono 1391 le specie rappresentate, per un totale di 1922 esemplari; la raccolta di fanerogame risulta così composta da 1049 preparati, tra fogli e pacchetti, contenenti un totale di 1986 esemplari, identificabili in 1427 specie. 5 G. ROTTI, L’erbario di fanerogame del Museo Calderini di Varallo con particolare riferimento alle entità raccolte dall’abate Antonio Ca restia, in M. Bonola (a cura di), Scritti diversi. Alpinismo, scienza e poesia di un abate valsesiano, Idea Editrice, Borgosesia, 1998, pp. 155-156 6 G. ROTTI, L’erbario di fanerogame…, op. cit., p. 156 7 Gaudenzio Ferrari n. 31 del 24 luglio 1886 8 F. BAGLIETTO, A. CARESTIA, Licheni nuovi dell'alta Valsesia. Com mentario della Società Crittogamologica Italiana, 1863, Vol. 1, parte 5, pp. 439-446. venienti dal Monferrato; quello di Ludovico Caldesi (1822-1884) con più di 20 reperti dall’isola d’Elba e da Cagliari. Ciò che salta subito all’occhio, visionando i fogli d’erbario allestiti dall’Abate di Riva, è la grande perizia che egli dimostra nello sten dere le piante in preparazione all’essiccazio ne e al fissaggio sui fogli; i reperti, inoltre, a distanza di più 150 anni, risultano in un otti mo stato di conservazione . Tale maestria è riscontrabile anche in altre raccolte botaniche, conservate al Museo Calderini, che il Carestia inviò, a completa mento della più ricca e più conosciuta rac colta di Fanerogame. Di particolare pregio risulta essere l’erbario lichenologico, donato al museo nel luglio del 1886: ‘Tale collezione di licheni consta, tra specie e varietà, di circa 540 esemplari, tutti ben ordinati e ottima mente classificati. 40 di dette specie (26 ge neri diversi) sono specie nuove, scoperte per la prima volta dal nostro insigne botanico’7 Si tratta questa di una raccolta sconosciuta ai più e che deve essere ancora indagata, no nostante il contributo dell’Abate in campo lichenologico sia stata all’epoca riconosciuto a livello nazionale, alla pari di nomi quali Massalongo e Baglietto. Alla collaborazione con quest’ultimo si deve la pubblicazione di uno scritto relativo ai licheni valsesiani8 La raccolta venne donata al museo in due ri prese, nel luglio del 1886 la prima e nel mag gio 1913 la seconda – la seconda spedizione non fu ad opera di Carestia, morto cinque anni prima nel 1908, ma per interposta per sona che era in possesso di questo nucleo di campioni. A seguito dell’inventariazione svoltasi nel 2010, è risultata essere compo sta da 10 cartelle e da un totale di 516 cam pioni, per altrettante specie rappresentate. È recente (marzo 2021) il rinvenimento di un ulteriore cartella contenente 9 campioni – non ancora inseriti quindi nell’inventaria zione -, che portano la raccolta a contenere un nucleo di 525 esemplari.

ALTRE RACCOLTE BOTANICHE CONSERVATE AL MUSEO CALDERINI E DONATE DALL’ABATE CARESTIA Raccolta di pteridofita (felci): 1 cartella con 38 fogli; 51 specie rappresentate per un totale di 85 esemplari Raccolta di briofita (muschi): 1 cartella con 14 pacchetti; 14 specie rappresenta te per un totale di 34 esemplari Raccolta di epatiche: 1 cartella con 11 pacchetti; 11 specie rappresentate per un totale di 19 esemplari

La maggior parte dei restanti esemplari, cir ca 400, furono invece inviati al Carestia da suoi corrispondenti, alcuni tra i più impor tanti e illustri botanici del XIX secolo in ter ritorio italiano. Fra questi Abramo Bartolo meo Massalongo (1824-1860), Giuseppe De Notaris (1805-1877) e Francesco Baglietto (1826-1916), questi con reperti provenien ti per lo più dalla Liguria, Vincenzo Cesati (1806-1883) e Giuseppe Gibelli (1831-1898).

Contributi botanici di Antonio Carestia al Museo Calderini

I nizia così l’Appendice al numero 480 datato 4 febbraio 1871 del giornale ‘Il Monte Rosa’, redatta da Pietro Calde rini, direttore e fondatore pochi anni prima del Museo di Storia Naturale di Varallo che oggi porta il suo nome. Scopo fondante del museo era quello di for nire agli studenti delle Scuole Tecniche di Varallo – ospitate all’interno dei locali che oggi conservano le collezioni di Palazzo dei Musei – materiali naturalistici utili per uno studio diretto delle discipline scientifiche.

di Marta Coloberti Erbario Carestia (C1F2) ed Erbario Carestia (C5F35) - Museo Calderini Varallo. Archivio fotografico Museo Calderini.

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Ciò consentì al Museo di diventare nel tem po anche un vero e proprio centro di pro mozione degli studi scientifici in Valsesia. Nel condurre questa impresa Calderini fu coadiuvato da numerosi personaggi attivi in quel periodo sulla scena scientifica del la neonata Italia: professori delle maggiori università italiane – per esempio Milano e Torino –, studiosi o semplici appassionati delle materie scientifiche, che a più riprese spedivano al museo varallese preparati ed esemplari utili ad arricchire le collezioni che si andavano via via formando. È in questo modo che a pochi anni dall’inaugurazione del Museo, in esso erano già rappresentate tutte le branche delle scienze naturali. Ma se per le collezioni geologiche e zoologiche furono necessari diversi contribuiti da parte di altrettante persone, la parte botanica del Museo venne affidata alle mani di un singo lo individuo, caro amico di Calderini, pro fondo conoscitore del territorio valsesiano e votato agli studi botanici, condotti sia in valle sia al di fuori di essa: l’Abate Antonio Carestia. I due erano legati oltre che da in teressi comuni, quali le materie scientifiche, anche da una profonda amicizia, testimo niata dall’enorme mole di lettere conservate all’interno dell’epistolario Calderini, consul tabile presso la sezione di Varallo dell’Archi vio di Stato di Vercelli, che conta 790 lettere inviate dall’abate tra il 1865 e il 1905. 157 sono invece le lettere del Calderini conser vate nell’epistolario Carestia2 Già nel settembre del 1867, infatti, durante il discorso di inaugurazione del Museo va rallese3, Calderini faceva presente agli inter venuti che all’interno dell’allestimento non avrebbero trovato alcuna raccolta afferente alle materie botaniche, ma annunciava che l’erbario per il museo si stava componendo, con ‘savissima cura’ grazie all’operato del rivese Abate Carestia, considerato da Cal derini stesso il più illustre scienziato che in quegli anni la Valsesia potesse vantare, in considerazione anche dell’altissima fama che era a lui riconosciuta presso i più insigni botanici europei del momento. Di certo si può affermare che il museo cal deriniano non avrebbe successivamente assunto sempre maggiore importanza se non avesse annoverato tra le sue collezioni l’erbario del botanico della valle. L’abate Ca restia consegnò parte dell’erbario da lui cre ato nel maggio del 1870, continuando negli anni seguenti a incrementare a più riprese la raccolta di fanerogame da lui allestita con ulteriori esemplari: giugno 1871, marzo 1873 e febbraio 1876. È invece del settem bre del 1876 l’invio di un registro ordinato delle piante raccolte e facenti parte l’erbario del museo. La recente catalogazione delle cartelle e dei fogli d’erbario che costituiscono l’opera dell’abate valsesiano, accompagnata da una “Sciogliamo un obbligo da lunga pezza contratto annunziando pubblicamente un dono cospicuo inviatoci a varie riprese dall’e gregio nostro amico cav. Abate don Antonio Carestia, e che consiste in una ricca collezione di piante fanerogame, susseguita da un’altra di crittogame vascolari. […] Ed ora queste piante mandateci in dono dal Carestia costituiscono il nostro Erbario”1 .

I nomi più ricorrenti risultano essere quelli di Cesati, con circa 70 reperti per lo più pro venienti dal veronese, dal vicentino, dal sa lernitano, dalla Maiella e dai colli di Firenze; quello di Francesco Negri (1841-1924), con circa 40 esemplari, per la maggior parte pro

revisione critica degli esemplari, ha com portato una migliore precisazione delle originarie determinazioni e una quantifi cazione dei campioni musealizzati: l’erbario si compone di 15 cartelle in cui sono con servati 986 fogli; in tali fogli sono 1368 le specie rappresentate, per un totale di 1890 esemplari; completa la raccolta di fanero game una scatola in cui sono conservati 36 pacchetti; 36 sono le specie rappresentate, per un totale di 64 esemplari. La raccolta di fanerogame risulta così composta da 1022 preparati, tra fogli e pacchetti, contenenti un totale di 1954 esemplari, identificabili in 1404 Deglispecie4esemplari facenti parte la raccolta di fanerogame, circa 800 sono stati raccolti dall’Abate stesso nell’arco di 22 anni, com presi tra il 1854 e il 1875. Ogni esemplare d’erba è corredato, nella quasi totalità dei casi, da un cartellino, ancorato al foglio per mezzo di spilli e recante il nome scientifi co, in uso in quel periodo, corrispondente e i dati di raccolta: la località, in alcuni casi l’habitat di rinvenimento della pianta, la data di raccolta e il nome del raccoglitore. Dall’esame dei dati di raccolta dei reperti è stato in tal modo possibile ricostruire le tappe e le località toccate dall’Abate Carestia durante alcune sue importanti visite, effet tuate dentro e fuori i confini della Valsesia. La maggior concentrazione delle località erborizzate dal Carestia si trova nel settore nord occidentale della Valsesia: l’alta Val Grande, con il territorio di Riva Valdob bia, e la Valle Vogna (ricorrono molte vol te i nomi di Valdobbia, dell’Ospizio Sottile, dell’alpe Larecchio, del Corno Bianco e del Corno Rosso); il territorio di Alagna, con le pendici meridionali del Monte Rosa; il val lone d’Olen (citati spesso sono l’alpe e il Col d’Olen, nonché il Corno del Camoscio); la valle d’Otro, con Pianmisura, l’alpe Granus, l’alpe Zube. Assai rare sono invece le visite effettuate dall’Abate in Val Mastallone e in Val Sermenza. La valle di Gressoney, dislo cata appena al di là del Colle di Valdobbia, risulta invece essere la località di raccolta più frequente per quanto riguarda il fronte valdostano visitato dall’Abate Carestia nel le sue peregrinazioni botaniche. Ricorrono inoltre la Valle di Ayas e la Valtournenche, zone sempre valdostane poste nelle altre due valli che scendono dal massiccio del Monte Rosa e dal Monte Cervino. Altre lo calità visitate dal Carestia e rappresentate da alcuni esemplari della raccolta calderiniana furono Vercelli e Genova .

PIETRE GEMELLE laLaPRESMELLnostrastoria,nostracultura Il Corno Bianco e la Val D’otro – Cartolina del 1916

SOPRA: Fig. 4: Cartolina viaggiata del 1908. SOTTO: Fig. 6: Gruppo di ospiti dell’Albergo Al pino (Archivio della Commissione Foto-Cine del CAI di Varallo) culturale bolognese nella seconda metà dell’Otto Chissàcento. cosa lo portò lassù (fig. 7)? Lo storico albergo è tut tora attivo: nel corso de gli anni si è ingrandito e rimodernato. Da Pen sione Alpina è diventata Casa Alpina e in seguito, con l’acquisizione di altre due costruzioni, La Casa Walser e la Casa Perello (già Caffè-Pensione), ha adottato l’intitolazione di “Relais Regina”, a ricordo del passaggio della Sovra na di Casa Savoia (fig. 8). Oltre all’Albergo Alpino, gestito da Giovanni Favro e Maria Frascotti, Riva Valdobbia poteva contare già a fine Ottocento, su un buon numero di altre strutture ricettive, con “buona e vecchia riputazione”. E cioè: - Albergo delle Alpi: fondato da Giovanni Guglielmina, uno dei figli di Giuseppe Gu glielmina, il primo albergatore di Alagna che aveva dato vita, nell’arco di pochi anni, a una capillare rete di alberghi in monta gna, al lago e al mare. La guida già citata così lo descrive: “Situato sulla strada, subito dopo la Chiesa Parrocchiale, è stato fondato nel 1871 e può dare alloggio con le sue suc cursali a circa 100 persone. E’ vicinissimo all’Ufficio Postale e telegrafico ed è fermata delle diligenze e dell’automobile che fanno servizio da Varallo ad Alagna. Camere linde, salone da pranzo, sala da ristorante, conver sazione e biliardo, gabinetto da bagno. Vit to eccellente. Ottimo trattamento. Impianto elettrico. Garage. Giardino. Località gradita per la sua vista splendida sulla giogaia del Monrosa. Aperto tutto l’anno, fa stagione da giugno a settembre (fig. 9)".

Fig. 2: Copertina del libro che ritrae Sibilla Alera mo sul balcone dell’Albergo di Ca’ di Janzo. SOPRA: Fig. 5: Lapide con iscrizione dettata dal conte Toesca di Castellazzo con menzione del soggior no della regina Margherita a Ca’ di Janzo.

Regine e scrittrici a Ca’ di Janzo di Elisa Farinetti

Fig. 1: Disegno dell’Albergo Pensione Alpina, tratto da “Almanacco-Guida della Valsesia del 1894

“…L’Albergo Pensione Alpina dei coniugi Fa vro… sa offrire al turista tutti quegli agi che si possono trovare in un buonissimo alberghet to montano. In origine esso era una semplice buvette, ma poi, per l’appoggio avuto e per il suo eccellente spirito di iniziativa, il proprie tario l’ampliò, l’abbellì, lo rimodernò, ed ora l’Albergo consta di un bel fabbricato, che ha vaste e ben aerate camere, una vasta sala da pranzo in cui v’è una lapide, con iscrizione dettata dal Conte Gioachino Toesca di Ca stellazzo, ricordante che la regina Margheri ta ha pernottato due volte all’Alberghetto nel settembre del 1898 (fig. 5). V’hanno inoltre un salone per le feste e per ballo, sale di lettu ra e di biliardo, gabinetto da bagno e camera oscura per i fotografi. L’Albergo è illuminato a luce elettrica. Nella sua facciata posteriore ha una balconata sempre adorna di fiori, e esternamente un giardino e uno spianato per i giuochi all’aria libera. Aperto tutto l’anno, fa stagione da giugno a settembre ed è mol to frequentato. Annesso all’Albergo è l’ufficio postale”… (fig. 6). Ma siamo a conoscenza che anche un altro personaggio letterario, di minore noto rietà, soggiornò in questa struttura alla fine dell’Ottocento: il libro dei viaggiatori, che purtroppo non sembra più rintracciabile attualmente, ma che l’avv. Emilio Pagliano (compilatore della bella monografia su Riva Valdobbia e la Valle Vogna) aveva avuto modo di visionare nel 1907, così riporta in nota: “Interessante è il libro dei viaggiatori di quest’alberghetto, nel quale in prosa, in ver si, in italiano, in lingue straniere sono rac colti gli entusiasmi di tanti alpinisti: Enrico Panzacchi vi lasciò scritto:” Facemmo una sì buona colazione – a Ca’ di Janzo – che for te sorge in noi la tentazione – di star qui a pranzo”. Panzacchi oggi non è uno scrittore molto noto ma fu poeta, critico d’arte e mu sicale, oratore e prosatore; assieme a Olin do Guerrini e a Giosuè Carducci formava il triumvirato che dominava l’ambiente

Forse non a tutti è noto che nel giugno del 1918, nella fase cruciale del I° conflit to mondiale, una famosa scrittrice italiana soggiornò per alcuni giorni all’ “Albergo Pensione Alpina” di Ca’ di Janzo in Val le Vogna, fondato dalla famiglia Favro nel 1883 (fig. 1). Si trattava di Sibilla Aleramo, l’autrice de “Una donna” e di altre opere sulla condizione femminile dell’epoca. Da circa due anni era nata un’intricata storia sentimentale tra la scrittrice e il poeta ita liano Dino Campana che, tra alti e bassi, con periodici allontanamenti e riappacifi cazioni improvvise, era giunta a un punto critico. Non conosciamo le circostanze del la scelta di questo piccolo angolo di Val sesia per quella breve vacanza; possiamo però supporre che la Aleramo intendesse ritrovare un po’ di serenità e di riposo du rante il tormentato legame con il poeta dei “Canti Orfici”. Nel carteggio intercorso con lo scrittore, pubblicato nel libro “Un viaggio chiamato amore” (da cui è stato tratto l’omo nimo film), si fa infatti riferimento al suo soggiorno in Valle Vogna, in compagnia dei coniugi Marie e Julien Luchaire, che già due anni prima avevano ospitato la coppia nella loro residenza fiorentina (fig. 2).

IN ALTO: Fig. 3: Riproduzione fotografica con la regina Margherita sul balcone dell’Albergo.

- Caffè Ristorante del Monte Rosa: di Bian co Angela. E’ situato a destra, in principio al paese, e ha una bella vista sulla parte bassa del piano della Valle. E’ una piccola ed otti ma pensione per quelle famiglie che amano un trattamento veramente famigliare.

“L’alberghetto” doveva effettivamente com parire come un luogo di villeggiatura piace vole, dotato di ogni tipo di confort, secondo quanto viene descritto in una guida di ini zio Novecento (fig. 4):

Un ventennio prima, nel settembre 1898, l’albergo aveva ricevuto la visita di un’ospi te ancora più illustre: la regina Margherita di Savoia, durante una delle sue frequenti escursioni in Valsesia, proveniente dal la sua dimora estiva di Gressoney (fig. 3).

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Turismo e ospitalità a Riva Valdobbia tra Otto e Novecento

• Cinzia Guala, Alagna • Paola Leonoris,tecentoAlagnapreferì accettare l’ospi talità in un’abitazione privata piuttosto che adattarsi alle sco modità di una modesta locanda di legno; o del viaggiatore ingle se Thomas W. Hinchliff che nel 1861, durante una tappa del suo percorso attraverso le Alpi Oc cidentali, riferiva: “…nel primo pomeriggio arri vammo a Riva, un misero villag gio, dove comunque decidemmo di dormire… La piccola locanda fu la peggiore in cui ci fermammo nel corso del viaggio, e avremmo avuto difficoltà a trovare qualco sa da mangiare, se non fosse stato per la fortunata circostanza che alcuni sacerdoti della Valle avevano inten zione di cenare lì il giorno seguente, e quin di potemmo gustare le primizie di un arrivo particolare di provviste. Il cibo, comunque, fu molto alla buona, e due del nostro gruppo non poterono neppure assaggiare quello che l’ostessa sembrava considerare una particolare bontà: una specie di minestra servita in gran di tazze da caffè…” (fig. 11).

RINGRAZIAMENTI: Si ringraziano per la collaborazione: • Sezione C.A.I. di Varallo – Commissione Foto-Cine

1 Le tradizioni di scacciapensieri maggiormente documentate sono in Piemonte, Sardegna, Campania, Calabria e Sicilia. Ma tracce anche vaghe della presenza di questo strumento sono state rinvenute in tutto il resto del paese.

• “Guida illustrata di Alagna, Riva Valdobbia, Valle Vogna”. Varallo, Tip. G. Zanfa, (inizi 1900)

Fig. 11: Vecchie locandine dell’Albergo Pensione Alpina di Ca’ di Janzo. Fig. 7: Cartolina viaggiata del 1917.

La scena si svolge in un ampio ambiente chiu so con al centro un focolare delimitato da un leggero rialzo in pietra. Attorno ad esso si sono raccolte diverse persone, sedute e intente in diverse attività, che descriverò più avan ti, e un gatto, mentre dietro al gruppo, nella penombra, si intravedono il busto di un'altra figura maschile, una struttura triangolare por tafusi e due galline che dormono appollaiate su di una mensola della parete. L'ambiente è probabilmente un'antica cà ‘d la fümm, locale adibito alla preparazione dei cibi che, sprov visto di un'apposita canna fumaria, era solito

Fig. 2. Focolare di antica casa di Camasco (Ciribini 1943, p. 65)

• B. Conti (a cura di), “Sibilla Aleramo, Dino Campana. Un viaggio chiamato amore”. Milano, Feltrinelli, 2002 • E. Pagliano, “Riva Valdobbia e la Valle Vogna”. Roma, Tip. Artigianelli, 1907

• “Almanacco-Guida della Valsesia per l’anno 1894”. Varallo, Tip. Camaschella e Zanfa, 1893

NOTE A MARGINE

Fig. 9: L’Albergo delle Alpi di Riva Valdobbia in un’illustrazione dell’epoca. Fig. 10: Caffè ristoran te Valsesiano. Cartolina viaggiata del 1939.

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are strano che l'Italia, che nel più am pio contesto europeo raduna alcune delle più interessanti tradizioni di manifattura e utilizzo dello scacciapensieri1, risulti generalmente povera dell'iconografia di questo strumento rispetto ad altre zone, come l'Europa Centrale e Settentrionale. Non sorprende però che una parte consistente di questa iconografia sia localizzata in Valsesia, area dove dai primi anni del XVI secolo fino alla fine del XIX è documentato uno dei più importanti centri di produzione di questo pic colo strumento metallico a livello europeo e mondiale2 Se le notizie sull'utilizzo musicale della ribèbba in Valsesia sono poche, tutta via queste testimoniano spesso un uso molto radicato e l'adozione di tecniche che oggi si potrebbero definire “virtuosistiche”. A cor roborare questa lettura la segnalazione3 della presenza, in un'asta avvenuta il 15 novembre 2016 presso la casa d'aste Cambi di Genova, di un quadro raffigurante due suonatori di scacciapensieri e intitolato arbitrariamente “Figure davanti al fuoco” (Fig. 1)4. Gli esperti che hanno analizzato l'opera l'hanno attribuita

• R. Cerri – L. Osella Crevaroli, “The Queen of the Alps. Girovagando a sud del Monte Rosa”. Magenta, Edizioni Zeisciu, 1

- Caffè Ristorante Valsesiano: di Gabbio Enrico (fig. 10). - Già dal 1869 inoltre sappia mo che era attivo, all’entrata del paese giungendo da Alagna, l’ “Albergo delle Pietre Gemelle”, gestito da Maria Gabbio. Rica viamo la notizia da una lettera scritta dall’abate Antonio Ca restia al teologo Giuseppe Fa rinetti, con queste parole: “… L’ostessa Maria Gabbio vorrebbe far stampare un certo numero di biglietti colle parole “Albergo delle Pietre Gemelle in Riva Val dobbia tenuto dalla vedova Ma ria Gabbio e qualche altra pa rola sul servizio… L’albergatrice provvede guide o muli ai viaggiatori che ne desiderano per recarsi a Mollia, a Gressoney, a Macugnaga…”. Nella stessa località esiste tuttora una struttura ricettiva, costituita da piccoli e accoglienti appartamenti, con la stessa L’abitatodenominazione.diRivaValdobbia non poteva for se competere con la vicina località di Ala gna (in cui lo sviluppo turistico aveva fatto passi da gigante dopo la conquista della Signalkuppe), ma possedeva comunque una discreta ricettività, come testimonia il gran numero di alloggi vacanza che mette va a disposizione di coloro che preferivano trascorrere le giornate “in piena libertà, in appartamenti comodi, eleganti e spaziosi”. Leggiamo ancora nella nostra guida i nomi dei proprietari degli alloggi che venivano dati in affitto in estate: - Ferla Giuseppe, sorelle Ferraris, Gabbio Antonio, Gabbio Giovanni, Jachetti Michele, Jachetti Pietro, Micheletti Alessio, Orso Vit torio, Real Melchiorre, Tasso Pietro, coniugi Torra Minoia, Verno Capitano Michele. Un deciso salto di qualità quindi, nel campo dell’accoglienza turistica, rispetto a quanto risulta dai giudizi poco lusinghieri espres si dai primi viaggiatori, quali lo scienziato ginevrino H.B. De Saussure, che a fine Set BIBLIOGRAFIA:

Fig. 1. Anonimo, “Figure davanti al fuoco” (tardo XVIII secolo), Olio su tela, Collezione Privata

ad una “Scuola spagnola della fine del XVIII secolo” e, come vedremo più avanti, se la col locazione temporale potrebbe essere corretta, non lo è quella geografica perchè il soggetto rappresentato è quasi sicuramente valsesiano.

Studio iconografico di una scena di veglia di un quadro anonimo del XVIII secolo di Alessandro Zolt

2 Per ulteriori approfondimenti sulla manifattura valsesiana di scacciapensieri si veda: A. Lovatto, A. Zolt, La Ribeba in Valsesia nella storia europea dello scacciapen sieri Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2019. 3 Ringrazio il musicista e studioso Loris Niero. 4 colo.asphttps://www.cambiaste.com/it/asta-0272/scuola-spagnola-della-fine-del-xviii-se(ultimaconsultazione30/11/20).

Fig. 8. Vecchia pubblicità dell’Albergo Pensione Alpina.

Fig. 4. Johann Philipp Heinel, “Die Maultrommelspie ler” (1840), acquerello, Münchner Stadtmuseum SINISTRA: Fig. 3. Dettaglio dei suonatori Fig. 5. Anonimo, “Scena pastorale”, affresco, Casina d'Adda a Varallo Sesia (Perusini – Gri 1982, p. 100) glie valsesiane per il suo grande valore artisti co. Per completare il quadro “sonoro”, si nota che il ragazzo seduto alla sinistra della suona trice, appoggiato allo schienale della panca e con la testa leggermente inclinata all'indietro sembra avere la bocca aperta, probabilmente per cantare sul suono delle ribebe un motivo a lui conosciuto. La raffigurazione di questi due suonatori trova un parallelo nella scena pastorale raffigurata su di un affresco della Casina d'Adda di Varal lo Sesia (fig. 5), risalente come il nostro qua dro alla fine del XVIII secolo: vi sono anche qui due suonatori di ribèbbe, uomo e donna, che forse ne stanno suonando due contempo raneamente (anche se le braccia tenute così in alto non lo consentirebbero) mentre la custo dia è tenuta dalla ragazza in bella vista sulla

La Ribeba o Musa Alpina dello scultore nativo di Brugaro di Cravagliana Giacomo Ginot ti (1845-1897), il quale ha ritratto con molta precisione una pastorella in costume che suo na due ribebe7. Altra peculiarità della tradi zione valsesiana dello scacciapensieri è la pre valenza dell'uso femminile, fatto abbastanza raro nel più vasto contesto europeo, nel quale lo scacciapensieri è uno strumento essenzial mente maschile e talvolta usato per effettua re serenate alle ragazze, abitudine circondata spesso da leggende su poteri magici e amma liatori dello strumento sulla psiche femminile. Una simile tradizione è presente ad esempio sulle Alpi austriache e di cultura germanica in generale, pur essendovi molte similitudini con il contesto valsesiano, come ad esempio la presenza di un altro antico centro di pro duzione di scacciapensieri (nel villaggio di Molln in Alta Austria) e la pratica del doppio scacciapensieri suonato simultaneamente8 Valga come esempio un acquerello del 1840 del pittore tedesco Johann Philipp Heinel che raffigura proprio una situazione come quella appena descritta (fig. 4). Tornando al nostro quadro, è interessante notare la presenza, sulla gamba destra della suonatrice, della custodia in legno per le ri bèbbe in uso, oggetto che tradizionalmente era intagliato e regalato dai ragazzi come pegno di amore e ancora oggi tramandato nelle fami

11 N. Staiti, Le immagini della musica popolare, in R. Leydi (a cura di), Guida alla musica popolare in Italia, Vol. 1: Forme e Strutture, Lucca, Libreria Musicale Italiana 1996, pp. 245-273.

L'occhio è subito attratto al centro della sce na dove, su una panca in legno, spiccano una ragazza, che ha momentaneamente smesso di filare e tiene la rocca in posizione verticale, e alla sua destra un ragazzo. Entrambi suonano due ribèbbe contemporaneamente tenendo gli strumenti sulla bocca e facendo in modo che ogni mano tenga e suoni lo strumento allo stesso tempo, facendo vibrare la lamella con il mignolo (fig. 3)6. Questo peculiare modo di suonare lo scacciapensieri era tradizional mente usato in Europa ed è stato documenta to, oltre che in Valsesia, in Austria, nelle Isole Britanniche e nei Carpazi ucraini. In Valsesia un'altra raffigurazione è costituita dalla statua

5 G. Ciribini, La casa rustica nelle valli del Rosa. Valsesia ed alta valle dell'Anza. In dagine generale storico-evolutiva, Novara, P.N.F. Centro Nazionale Universitario di Studi Alpini, 1943, pp. 64-66.

8 Va notato però che nella tecnica austriaca i due strumenti erano suonati con l'anu lare (come nel quadro riportato) oppure con il dito medio.

SOTTO: Fig. 6. Dettaglio del gruppo a destra del

tente a lavorare il burro (Fig. 7). Questi affreschi, così come il nostro quadro e più in generale le rappresentazioni pittoriche “popolaresche” del XVII e XVIII secolo, pur essendo a volte debi tori per atmosfere e simbologie a idealizzazioni e “bucolicismi”, offrono comunque una serie di informazioni etnograficamente (ed etnomusi cologicamente) rilevanti11

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Nella nostra veglia, sotto l'attento sguardo dell'anziana donna a destra, la coppia a sinistra si sta scambiando un intenso sguardo, cogliendo NOTE A MARGINE

l'attenzione dell'uomo a destra che li guarda con un'espressione che tradisce preoccupazione... forse il padre della ragazza o addirittura un altro pretendente rimasto al paese al contrario del suo rivale, visti gli abiti leggermente meno pregiati. Sulla destra l'altro personaggio elegante sembra avvicinarsi anche fisicamente alla suonatrice, con il braccio appoggiato sulla panca che quasi sfiora quello della ragazza, forse senza immagi nare che un ostacolo alle sue mire potrebbe es sere costituito dall'altro suonatore, il quale tiene un bastone tra le gambe, forse indicazione della sua mansione di pastore e simbolo di prestanza virile nemmeno troppo velato. In conclusione il quadro, che purtroppo non ci consente di ascoltare le musiche suonate e cantate nella scena, ci permette però di am mirare quello che sembra essere un sunto di tradizioni che fanno parte del patrimonio immateriale della Valsesia e delle valli affini.

6 Musicalmente due strumenti potevano essere accordati all'unisono oppure ad un intervallo di quarta o di quinta. Forse è collegabile a questa pratica musicale il fatto che l'unità minima di vendita delle ribèbbe fosse la coppia.

7 Di questa statua, realizzata tra il 1896 e il 1897 poco prima della morte dello scul tore, esiste una versione in gesso conservata ed esposta alla Pinacoteca di Varallo Sesia e una versione in marmo, attualmente conservata nei depositi della GAM di Torino e di proprietà dei Musei Civici della città.

sua gonna, ad ulteriore conferma di un legame particolarmente stretto tra la ribèbba e le donne valsesiane9L'altraattività ben rappresentata dal quadro è la filatura: quattro donne, due giovani e due an ziane, sono impegnate a filare (lana, lino o più probabilmente canapa) dalla rocca, assicurata al vestito da un apposito anello, al fuso mentre un ragazzo, seduto in mezzo alle due coppie, sta sfibrando a mano un fusto di canapa. Tutte le età sono rappresentate nel quadro: all'estrema destra una madre porge il seno ad un bambino, la cui testa emerge da una culla lignea, dopo aver scostato dall'arco il telo che lo protegge dagli in setti. Sempre sulla destra, ai piedi della anziana e gozzuta filatrice un bambino sta disturbando con una pagliuzza il riposo di un suo coetaneo, mentre la mano della donna scherma il viso del dormiente quasi per proteggerlo (fig. 6). All'estrema sinistra del quadro un'altra donna dall'età avanzata si è addormentata in un angolo buio della stanza piegandosi su se stessa mentre filava seduta. Un sonno che sembra contrappor si simbolicamente (e anche cromaticamente) a quello, illuminato dal fuoco, del neonato e del bambino all'estremità opposta. Dettaglio cu rioso, le rocche delle due giovani ragazze e delle due anziane donne presentano un nastro di co lore differente: rosso acceso per le prime e blu o verde scuro per le seconde, si tratta certamente di una differenziazione cromatica simbolica ti pica dell'abbigliamento popolare, che distingue le donne “da marito”, dalle donne “maritate” e dalle vedove10 Ma la situazione ritratta potrebbe non essere so lamente una semplice suonata che allieta il lavo ro domestico: le veglie invernali, soprattutto in paesi divisi in frazioni come quelli della Valsesia, costituivano un modo per i ragazzi di conoscere, sotto il controllo dei parenti, le ragazze del paese. E infatti è evidente che ci troviamo di fronte ad una situazione “galante”: due dei ragazzi, all'e strema sinistra e all'estrema destra, sono parti colarmente ben vestiti, con abiti eleganti e cilin dro in testa. Forse si tratta di emigranti arricchiti tornati dall'estero che approfittano di una veglia per capire con chi poter mettere su famiglia nel loro paese natìo. Un altro affresco presente nel la Casina d'Adda, rappresentante una scena di caccia, raffigura l'incontro tra due uomini vestiti elegantemente come in questo quadro e alcune donne in costume tradizionale (anche questo molto simile a quello raffigurato nel quadro) in

Fig.quadro.7.Anonimo, “Scena di caccia”, affresco, Casina d'Adda a Varallo Sesia (Perusini – Gri 1982, p. 100) riempirsi di fumo che anneriva le pareti. In una foto dello studio di Giuseppe Ciribini La Casa rustica nelle Valli del Rosa (1943), è raf figurata una stanza di questo tipo di un'antica abitazione di Camasco, simile se non uguale a quella raffigurata nel quadro (fig. 2)5. Il fuoco, in questa scena, è relativamente tenue, usato solamente per illuminare e scaldare l'ambien te, senza che il fumo comprometta lo svolgersi delle attività, e i personaggi seduti sulle due panche tengono i piedi vicini al focolare, ap poggiati sul rialzo. Un ragazzo, alla sinistra, si è tolto una scarpa per approfittare del calore. La situazione raffigurata con realismo è una veglia serale (la viğğa in valsesiano o der setz in titzschu), durante la quale si vedono i pre senti affaccendarsi nei lavori di filatura, sva garsi con la musica, giocare oppure riposare.

La veglia costituiva un momento importan tissimo per le società di alta montagna non solo per l'aggregazione ma soprattutto per l'intenso “passaggio di cultura” che avveniva al suo interno: le generazioni più anziane in culturavano le giovani, le persone che avevano viaggiato portavano notizie di terre lontane, si dibatteva sulla politica locale o sovra-locale. Si trasmettevano così in questo contesto sto rie, leggende, canti, danze ma anche il “saper fare” tecnico, che più entra in relazione con la cultura materiale, come il lavoro dei tessuti, la costruzione o la riparazione di attrezzi o l'inta glio al coltello finalizzato alla decorazione dei manufatti.

10 G. Perusini, G. P. Gri, Costumi tradizionali e popolari in Valsesia, Borgosesia, So cietà Valsesiana di Cultura, 1982, pp. 64 e 68.

9 In un resoconto di un'escursione alpina, in appendice al settimanale biellese L'eco dell'industria pubblicato l'8 settembre 1872, così si accenna alla manifattura degli scacciapensieri: «Passiamo [nel tratto tra Mollia e Riva Valdobbia n.d.r.] d’accanto alla fabbrica di un oggetto indispensabile alle Valsesiane delle così dette harbebe o ribebe, piccolo istromento a fiato della forma approssimativa di una cetra» (Anoni mo, Escursione alpina, «L'eco dell'industria», II, 49, 1872, p. 394). Interessante il fatto che l'autore definisca gli strumenti come addirittura indispensabili alle valligiane.

NOTE A MARGINE

7 Fondo Calderini cit., 8/h, doc. 13. 8 C.A. PISONI, Fortificazioni cit., pp. 39-40.

attenzione alla soglia di massimo allarme. Come scrisse Federico Tonetti: «Questi rumori di prossima guerra provocarono dal Governo di Milano ordini di armamento ge nerale delle milizie nei paesi vicini alle frontiere, e specialmente le milizie valsesiane dovettero por tarsi a sorvegliare i proprii confini. Tutti gli uomi ni dai venti ai settant’anni, abili alle armi, ebbero ordine di raccogliersi sotto alle proprie bandiere, e vennero assegnati i posti alle varie compagnie. Quelle di Rimella, di Alagna e Riva furono man date a guardare i passi d’Olen e di Valdobbia, e furono spediti alcuni scopritori nella valle d’Aosta, con incarico di sorvegliare le mosse dei francesi, e di stare continuamente alla loro vista, avvertendo bene dove disegnassero rivolgere la loro marcia»3 Già alla metà di luglio del 1690 il Consiglio Ge nerale della Valsesia deliberava che le milizie ci viche delle diverse comunità della valle in caso di «qualche incursione da farsi da’ Francesi – che Dio guardi – dovessero [...] portarsi a guardar i passi»4 Al 23 settembre risale una Nota della mo nicione distribuita in cima Vendobia e al succes sivo 31 ottobre una Notta del fieno et legna data al signor governatore, indirizzata al console di Vogna5 Impressionante era il dispiegamento di uomini disposto sul terreno: 600 uomini a Riva, 100 al colle di Valdobbia, 400 ad Alagna, 40 al colle di Zube, 60 al col d’Olen; altre centinaia di uomini presidiavano i valichi verso il biellese, sopra Rassa e alla bocchetta della Boscarola6 Nonostante l’avanzare dell’autunno, stagione poco propizia alle attività militari, soprattutto in aree montuose, l’esercito francese non arrestava la sua avanzata; la neve e i rigori dell’inverno ga rantivano però una naturale protezione agli alti valichi alpini. Nel dicembre 1690 il governatore decise di pro cedere con la costruzione di alcune opere difen sive, ritenute prioritarie, lungo il percorso del colle di Valdobbia, identificando i siti della Ma donna delle Pose e di San Grato presso la frazio ne Peccia come sedi delle nuove fortificazioni da edificare. Il 21 dicembre fu stipulata la conven zione fra il governatore militare e tre uomini del la val Vogna, Michelangelo Morca, Pietro Verno e Pietro Picco, per la costruzione di una torretta con annesso muro difensivo accanto all’oratorio di S. Grato presso la frazione Peccia, a sbarrare il passaggio alle mulattiere che scendevano dal colle di Valdobbia e da quello del Maccagno; queste opere murarie difensive nel testo del do cumento vengono significativamente indicate come: «torretta e fortificazione del governatore»7.

Fortificazioni antifrancesi in Valsesia durante la guerra della Grande alleanza (1688-1697)

5 Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Fondo Museo don Pietro Calderini, 8/h, docc. 11, 12. 6 C.A. PISONI, Fortificazioni valsesiane di fine ‘600. Una inedita relazione di fine Seicento sui passi dei Walser tra Alta Sesia e Valdagosta in «Campello e Walser». Atti del Sedicesimo Convegno di Studi (Campello Monti, 26 luglio 2008), Omegna 2009, vol. I, p. 36 nota 13.

Dopo l’inverno, che aveva concesso un poco di respiro ai piemontesi, le ostilità ripresero con vigore nella primavera del 1691, al punto che il duca Vittorio Amedeo, per ragioni di sicurez za, fu costretto ad allontanare dal teatro degli scontri la propria famiglia, mettendola al sicuro nella città di Vercelli. Tra marzo e aprile caddero dapprima Nizza, poi Montalbano e Villafranca, in seguito, tra maggio e giugno, Avigliana e Car magnola: Catinat era ormai alle porte di Torino. Nel mese di giugno vi fu forse il momento più critico per il duca Vittorio Amedeo in questa fase della guerra, l’assedio di Cuneo, protrattosi dal giorno 11 al 28 di quel mese. I timori sull’evolvere della situazione militare in quei giorni, in cui alcuni reggimenti francesi di fanteria e di cavalleria stavano mettendo a ferro e fuoco la Valle d’Aosta8, sono bene documentati dalle liste di guardie e di forniture ai soldati posti a presidio dei passi: al 24 giugno 1691 risalgono una Notta della paglia che si è datto alli soldati e una seconda Notta della legna che li personerii della Riva hanno datto alle cinque compagnie; al 25 giugno una Notta delli soldati che sono stati di guardia di Alagna; infine del 9 luglio una Lista delle guardie di Verdobia9 Sul fronte delle nuove fortificazioni però non molto era stato fatto. I lavori erano iniziati solo alla Peccia dove il progetto delle strutture difen sive prevedeva una muraglia che, a partire dalla chiesa di San Grato, procedeva verso nord in globando una casa civile dalle tipiche strutture walser per proseguire poi più a monte con altri muraglioni e trincee a sbarramento della valle. Alla Madonna delle Pose, dove erano presenti preesistenti strutture difensive ormai da tempo in rovina, risalenti a precedenti eventi bellici di forse oltre un secolo prima, non soltanto i la vori non erano iniziati ma non era stato ancora approntato nemmeno un progetto esecutivo. Grandi preoccupazioni venivano poi dalla situa zione degli alti valichi, che durante la stagione estiva erano agevolmente percorribili e che per la loro ampiezza e per la conformazione del ter reno erano difficili da fortificare e da difendere. Al fine di procedere alla definizione di un pro getto definitivo per la Madonna delle Pose, che consentisse finalmente di fare partire i lavori, ma anche per fornire al governatore una preci sa relazione sulla situazione di fatto della valle in termini di vulnerabilità di fronte ai possibili attacchi francesi, venne inviato in missione in

L'oratorio di S. Grato presso la frazione Peccia, una delle zone individuate per la costruzione di una torretta con annesso muro difensivo, a sbarrare il passaggio alle mulattiere che scendevano dal colle di Valdobbia.

Luigi XIV, pur essendo al corrente delle mosse piemontesi, tentò una contromossa diplomatica, offrendo di rinunciare alla cittadella di Torino, una richiesta troppo umiliante per potere esse re accettata, e di accontentarsi di Montmélian, Susa, Carmagnola e Mirabocco. Ormai però la scelta di campo era fatta: non restava che la guerra. Un conflitto che sarebbe passato alla sto ria con il nome di guerra della Grande Alleanza o guerra dei Nove Anni1.

NOTE A MARGINE

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3 F. TONETTI, Storia della Vallesesia e dell'alto novarese con note e documenti, Varallo 1875-1880, pp. 541-542.

4 Archivio Comunale di Riva Valdobbia, Verbali del Consiglio Generale della Valle, 1675-1720, c. 131v, 14-15 luglio 1490.

NOTE A MARGINE * Questo articolo rielabora con alcune integrazioni e aggiornamenti un contributo pubblicato nel 2009: R. BELLOSTA, Le comunità walser dell'Alta Valsesia e la dife sa dei valichi alpini. Riflessi delle vicende politico-militari degli anni 1690-1691 nelle carte del fondo «Museo don Pietro Calderini» di Varallo, in «Campello e Walser». Atti del Sedicesimo Convegno di Studi (Campello Monti, 26 luglio 2008), Omegna 2009, vol. I, pp. 25-32. 1 Sulle vicende relative alla guerra della Grande Alleanza cfr. gli ormai classici scritti di C. MORANDI, Studi su la Grande Alleanza e su la Guerra di Successione Spa guola: rapporti anglo-olandesi, Pinerolo 1924; ID., Torino e Napoli durante la guerra della Grande Alleanza: nel carteggio diplomatico di G.B. Operti (1690-1697) Napoli 1935. Per un inquadramento generale degli eventi nell’ambito del contesto storico europeo cfr. D. SELLA, Sotto il dominio della Spagna, in Lo Stato di Milano dal 1535 al 1796, a cura di C. Capra e D. Sella, Storia d’Italia Utet, vol. XI, Torino 1984; e i re centi studi di C. STORRS, War, Diplomacy and the Rise of Savoy, 1690-1720, Cam bridge 2000; ID., The Resilience of the Spanish Monarchy 1665-1700, Oxford 2006. 2 V. CIRIO, La dominazione spagnola nel contado di Novara, in Una terra fra due fiumi, la provincia di Novara nella storia. L’età moderna (secoli XV-XVIII) a cura di S. Monferrini, Novara 2003, p. 209.

I l 2 maggio 1690 un possente esercito fran cese varcò le Alpi. Oltre 18000 uomini guidati dal maresciallo Nicolas de Catinat de La Fauconnerie, da tempo acquartierati nel Definato, dilagarono in gran parte del Piemonte occidentale senza trovare resistenza e giunsero fino ad Avigliana e a Pinerolo, dove stabilirono i propri accampamenti. La capitale stessa del ducato di Savoia, Torino, era ormai sotto scacco. Non si trattava di un evento del tutto inaspetta to, ma della diretta conseguenza della politica dei duchi di Savoia negli anni precedenti. Du rante gli ultimi decenni del XVII secolo infatti il ducato si era trovato di fatto sottoposto a una sorta di tutela da parte della monarchia france se, ponendosi nella condizione di doversi spesso piegare ai ‘consigli’ che gli giungevano da Parigi. Consigli che, con il passare del tempo, mostra vano sempre più evidente la loro caratteristica, decisamente sgradevole, di veri e propri ordini, ai quali ci si doveva uniformare senza alcuna possibilità di resistenza. In questo modo, ad esempio, il duca Vittorio Amedeo II, dopo ri petute sollecitazioni affinché si occupasse della questione valdese, si era trovato costretto, suo malgrado, ad accettare la presenza in Piemon te di un contingente armato francese, per asse condare la volontà di Luigi XIV – il Re Sole, un uomo al quale era difficile dire di no – da tempo impegnato in una sua personale guerra, che for se sarebbe più corretto definire ‘crociata’, contro le minoranze protestanti diffuse al di qua come al di là delle Alpi. Nell’animo del duca Vittorio Amedeo si era però sempre più affermata la consapevolezza del fatto che, se si fosse voluto veramente garantire una qualche forma di rilevanza politica e di potere

* di Roberto Bellosta effettivo al ducato sabaudo, non si sarebbe potu to evitare di allentare in qualche modo la morsa dell’asfissiante influenza del re di Francia. Egli prese quindi in gran segreto la decisione di ade rire alla Lega di Augusta, che si era formata due anni prima, nel 1688, tra le principali potenze europee per contrastare la politica espansionisti ca di Luigi XIV. Nonostante le sue precauzioni per mantenere strettamente riservate le trattative con i nuovi alleati, i francesi vennero però a co noscenza degli accordi e cercarono di costringe re il Savoia a chiarire la propria posizione. Da ciò la decisione di inviare un esercito in Piemonte con l’ordine di imporre al duca Vittorio Amedeo, come garanzia della propria fedeltà al re di Fran cia, l’obbligo di allestire un esercito di duemila fanti e ottocento cavalieri e di consegnare la for tezza di Verrua e la cittadella di Torino. Vittorio Amedeo cercò dapprima di temporeg giare, ma, messo alle strette, confermò la sua scelta di schierarsi tra le file della Grande Alle anza, con il patto che l’imperatore gli inviasse immediatamente rinforzi e si impegnasse a difenderlo in pace e in guerra, e con le clausole che Pinerolo fosse sua e che gli spagnoli, ai qua li veniva concesso Casale, difendessero Nizza e inviassero a loro volta un esercito in Piemonte.

9 Fondo Calderini cit., 8/h, docc. 15, 16, 17, 18.

Nel mese di giugno venne presentata la dichia razione di guerra, in seguito alla quale ci fu un tentativo da parte dell’ambasciatore francese di fare insorgere Torino: senza successo. Catinat con il suo esercito imperversò allora in tutto il Piemonte occidentale, con saccheggi e devasta zioni, la cui prima vittima fu il borgo di Cavour, conquistato dai francesi con facilità dopo un breve assedio. Vittorio Amedeo, cui erano per venuti a rinforzo ottomila uomini tra Spagnoli e Tedeschi, avrebbe voluto dare subito battaglia al nemico e vendicare le stragi commesse, ma consigliato dalla saggezza e dalla perizia tattica del principe Eugenio di Savoia a non accettare subito il confronto in campo aperto con un eser cito in gran parte composto di uomini con poca esperienza nelle armi, andò ad asserragliarsi nel la fortezza di Villafranca. Il maresciallo Catinat riuscì però con grande abilità ad attrarre l’eser cito del duca fuori dalla fortezza in uno scontro aperto, scelta che si rivelò disastrosa per Vittorio Amedeo, che venne sconfitto il 18 agosto nella battaglia di Staffarda. Dopo la schiacciante vittoria francese a Staffarda si diffuse il timore che l’armata francese avesse ormai travolto ogni resistenza e che anche i con fini dello Stato di Milano – del quale la Valsesia costituiva l’estrema propaggine a nord-ovest –fossero in grave pericolo. Fu merito del gover natore di Novara il conte Carlo IV Borromeo Arese intuire che, per garantire la sicurezza dei confini occidentali dello Stato di Milano e per proteggere la città di Novara, «andava costruito un sistema difensivo a monte, in Valsesia, terri torio confinante con il contado di Novara, con fortificazioni nell’alta val Vogna che sbarrassero la strada ad un eventuale attacco francese dalla val le d’Aosta. Per tale motivo mandò in Valsesia nel 1690 i suoi ingegneri per valutare la realizzazione colà di un sistema difensivo»2. In particolare voci incontrollate sulla presenza – o sull’imminente arrivo – di un contingente francese in valle d’Aosta fecero portare i livelli di

iniziati10Ilavorialle

Attraverso il Colle Valdobbia passavano gli emigranti e il traffico leggero dal milanese alla valle d’Aosta.

2 I lavori per la costruzione dell'edificio iniziarono nel 1823. L’Ospizio fu poi costituito ente morale con Patenti Regie del 18 settembre 1832 ed inaugurato il 24 luglio 1833.

15 S. e R. BELLOSTA, Valle Vogna. Censimento delle case di legno, Gozzano 1988, p. 157.

16 L. FAVERZANI, Lechi, Teodoro voce del «Dizionario biografico degli italiani», vol. 64 (2005).

onde visitare il Rosa, le miniere e la natura del suolo»; G. GNIFETTI, Nozioni topogra fiche del Monte rosa ed ascensioni su di esso, in «Rivista delle Alpi, degli Appennini e vulcani», III (1866), p. 459. Cfr. anche L. e C. MEZZACAPO, Studi topografici e strategici su l’Italia Milano 1859, p. 35.

NOTE A MARGINE

1 Il testo, rivisto e integrato in vari punti, è presente nel volume: Nicolao Sottile (1751-1832). Il sacerdote l’intellettuale il benefattore. Rossa, 24 agosto 2002. Atti del convegno, a cura di Franca Tonella Regis. Comune di Rossa – Comunità Montana Valsesia – Regione Piemonte – Provincia di Vercelli – Società Valsesiana di Cultura. Tipolitografia di Borgosesia s.a.s., maggio 2004.

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10 C.A. PISONI, Fortificazioni cit., pp. 40-42. 11 Verbali del Consiglio cit. cc. 138v-139r, 27 luglio 1691.

13 R. BELLOSTA, I briganti e le opportunità della guerra: Piccola storia criminale di due fuorilegge valsesiani del Quattrocento, in «Nuova Rivista Storica», XCV (2011), fasc. 1, p. 252.

14 Sull’importanza di questa via di comunicazione ancora nell’Ottocento si ricordano le parole del parroco di Alagna don Giovanni Gnifetti: «Per questo colle di Valdobbia transita la maggior parte de’ Valsesiani che va e ritorna dalla Francia e dai paesi contermini, e presta comodo passaggio a molti stranieri che si recano nella Valsesia

Qui di seguito vorrei ora brevemente pre sentare l’“Archivio dell’Ospizio Sottile”. Le carte dell'Ospizio Sottile sono state og getto di un primo riordinamento nella pri mavera del 2000, compiuto dal sottoscritto nella casa parrocchiale di Riva, messa gen tilmente a disposizione da don Carlo, al fine di preservare i documenti esistenti dal pericolo di un loro deterioramento o smar rimento. Lo stato di conservazione dei do cumenti è comunque risultato generalmen te buono, fatta eccezione per alcuni di essi; nel descriverne il contenuto si è prestata particolare attenzione a rispettarne la forma e lo stile originari. I documenti vanno dai primi anni dell’Ottocento, quando la nobile idea del Sottile cominciò a prendere corpo, fino al periodo immediatamente seguente al termine della Seconda guerra mondiale. L’intervento ha interessato un patrimonio di documenti rinvenuti in luoghi e in tempi diversi. Tale patrimonio è stato mantenuto intatto nel successivo ufficiale lavoro di ri ordino, riguardante l’intero archivio storico comunale, svolto nel giugno 2005 dalla dot toressa Sabrina Contini con la supervisione della dottoressa Rossella Ratto, grazie al contributo della Regione Piemonte. Il Fondo “Ospizio Sottile” (1809 – 1948) ha la seguente consistenza: 16 serie, 16 sotto serie, 5 sotto-sottoserie, 524 unità (voci che compongono il suddetto Fondo); esso fa parte integrante dell’Archivio Storico Co munale (1451 – 1955). Le carte conservate nell’archivio storico dell’ex Comune di Riva Valdobbia3 comprendono, infatti, la docu mentazione prodotta da 7 soggetti diversi che costituiscono 7 fondi autonomi:

17 L’età napoleonica, a cura di F. Lemmi, in Storia politica d’Italia, vol. X, Milano 1938, p. 18; R. SORIGA, S. MANFREDI, L’idea nazionale italiana dal secolo XVIII all’unifica zione, Modena 1941, p. 161; E. RAGOZZA, Gente della antica Valsesia, vol. II, Gente in Comunità. Documenti di vita civile e sociale, Novara 1980, pp. 152-155.

L’archivio dell’Ospizio Sottile di Riva Valdobbia1

di Attilio Ferla I l Canonico Nicolao Sottile lasciò un rilevante segno nella storia valsesiana, distinguendosi per le sue qualità mo rali e intellettuali, nonché per le opere che promosse e realizzò in favore della gente di montagna; Riva, la Valle Vogna e Alagna lo ricordano e gli sono grati per la realizzazio ne di un ospizio al Colle Valdobbia, costru ito e mantenuto in vita con il determinante impiego di una cospicua parte del patrimo nio L’Ospiziofamiliare.2Sottile, posto all’altezza di m. 2480 sul colle Valdobbia, tra la Valsesia e la Valle d’Aosta, fu nel tempo un prezioso ricove ro per gli emigranti, soprattutto durante le prolungate stagioni invernali. Il Comune di Riva Valdobbia, una ventina d’anni fa, insie me ad altre istituzioni locali e regionali, ave va provveduto al restauro dello storico edi ficio, inaugurato il 27 luglio 2002 con una partecipata cerimonia. In tale occasione, era stata allestita a Riva una piccola esposizione di alcuni dei documenti ritenuti più inte ressanti, tra i numerosi che sono rimasti a testimoniare la storia del “Pio Ente”. I mede simi documenti sono stati successivamente presentati al Convegno sul Sottile, tenutosi a Rossa il 24 agosto 2002, su iniziativa del Comune della bella località valsesiana, terra d'origine della famiglia del canonico.

A partire dal 7 settembre 1871, data della cerimonia di apertura, l'Ospizio fu anche sede di un osservatorio meteorologico.

18 G. CASALIS, Dizionario geografico, storico, statistico e commerciale degli Stati di S. M. il re di Sardegna, vol. IX, Torino 1841, p. 437.

Pose iniziarono nel luglio 1691, con l’edificazione di un vallo in muratura, con torri munite di feritoie per gli archibugi e alloggio per la guarnigione di guardia. La comunità della Val le, tramite la delibera del Consiglio Generale del 27 luglio, acconsentì di farsi carico di parte delle spese di costruzione: «Havendo il signor podestà Silvestro Alberganti si gnificato al Conseglio il desiderio ha il eccellentis simo signor conte Carlo Borromeo perché la valle concurri con il mantenimento di qualche mano vali, nel mentre s’anderanno terminando li ripari qui incominciati alla Madonna delle Pose, per ser vitio del Re nostro signore che Dio guardi»11 Gli eventi bellici proseguirono nei due anni se guenti, con alterne fortune, fino alla sconfitta di Vittorio Amedeo nella battaglia della Marsaglia del 4 ottobre 169312. Tuttavia il terreno degli scontri appariva ormai lontano e la Valsesia con i suoi valichi non sembrava più essere sotto mi naccia diretta. Nonostante i rovesci subiti, come la presa di Montmélian, nel dicembre 1691, il duca sembrava mantenere sotto controllo la si tuazione e appariva soprattutto in grado di fare presidiare efficacemente il territorio valdostano e garantire la sicurezza degli itinerari di transito che lo attraversavano. I timori delle massime autorità dello Stato di Milano – al cui territorio apparteneva in quel tempo la Valsesia – erano legati soprattutto alla presenza di un’antica via di comunicazione atte stata già in età tardo medievale13, percorsa, oltre che da non trascurabili flussi commerciali, anche da un itinerario molto frequentato da parte de gli emigranti valsesiani diretti verso la Francia (soprattutto la Savoia e la Tarentasia), tramite il valico del Piccolo S. Bernardo, e verso la Svizzera occidentale, attraverso il Gran S. Bernardo14 Tale via poteva essere percorsa piuttosto rapi damente da un esercito che si trovasse presso la città di Aosta: scendendo dapprima lungo il fondovalle verso Chatillon e Saint Vincent, quin di percorrendo la strada del col de Joux fino a Brusson in val d’Ayas; e da qui per il colle della Ranzola raggiungendo la valle del Lys presso Gressoney-Saint-Jean; a questo punto il percorso risaliva verso il colle di Valdobbia per scendere in val Vogna. «Attraverso la valle Vogna passava, fino a tutto il ‘700, il traffico leggero dal milanese alla valle d’A osta, mentre ancora nel secolo successivo la mu lattiera per il colle di Valdobbia era frequentata da numerosi emigranti: nei documenti sabaudi questo itinerario era incluso, con la strada d’Ivrea e con quelle dei valichi del Piccolo e Gran San Bernardo, fra le quattro grandi strade della valle d’Aosta»15 Il crinale tra la valle del Lys e la Valsesia presen tava inoltre almeno due possibili varianti al per corso principale precedentemente descritto, che conducevano entrambe all’abitato di Alagna: la prima, più agevole, attraverso il col d’Olen; la se conda, un po’ più impervia, per il passo di Zube attraversando la val d’Otro. Il percorso del colle di Valdobbia - come avrebbe dimostrato con successo oltre un secolo più tardi il capitano Teodoro Lechi16, che nel maggio 1800 in età napoleonica, durante la prima campagna d’Italia, insinuatosi per questa via quasi non in contrò resistenza penetrando fino nel cuore della Lombardia17 - consentiva un facile accesso all’a rea del Cusio e del basso Verbano, e da qui, var cato il Ticino, apriva le porte verso l’alta pianura Lombarda e verso la stessa città di Milano. Una via di comunicazione ancora importantissima nel XIX secolo, come risulta evidente dalle con siderazioni e dagli auspici di Goffredo Casalis: «La strada provinciale da Varallo ad Aosta pel colle di Valdobbia, percorre questo territorio [del la Valsesia] in tutta la sua lunghezza, e qualora fosse ultimata e renduta per intiero carreggiabile, ne deriverebbero segnalati vantaggi a tutti questi vallegiani per la maggiore facilità dei mezzi di tra sporto dei loro legnami, dei marmi, delle ardesie e di altri oggetti di cui soprabbonda la valle»18 Si comprende dunque perché, anche in presenza di una minaccia non così immediata e diretta, si prendessero provvedimenti e contromisure che ci appaiono oggi forse sproporzionati, si orga nizzassero guardie ai valichi - anche in luoghi, come il passo di Zube, dove difficilmente sarebbe potuto transitare un esercito - e si progettassero e costruissero importanti opere di difesa e di for tificazione: di alcune delle quali - come il torrio ne che sorge accanto alla chiesa della Madonna delle Pose, situata all’imbocco della val Vogna in un luogo di passaggio obbligato del percorso – si sono conservate evidenti tracce materiali fino ai nostri giorni. La posta in gioco tuttavia era troppo alta, il rischio troppo elevato. Nella comune per cezione delle autorità e degli uomini del tempo si trattava di una seria e concreta minaccia per l’esi stenza stessa dello stato di Milano, di un perico loso varco nelle difese approntate ai confini che il governatore non si poteva permettere di lasciare incustodito e che andava difeso a ogni costo.

NOTE A MARGINE

3 Riva Valdobbia si è unita al Comune di Alagna Valsesia nel 2019. Valsesia l’ingegnere e architetto Filippo Cagnola. Egli, come è documentato nell’ampia relazione che produsse alle autorità milanesi, analizzò la situazione suggerendo i valichi e le gole monta ne in cui si potevano impostare con sicurezza le nuove fortificazioni, mettendo in luce punti forti e criticità, procedendo a eseguire un’ispezione alle opere militari già esistenti o in fase costru zione, avviando i lavori dove non erano ancora

12 Sui dettagli della battaglia della Marsaglia presso Volvera cfr. J. DONNEAU DE VISE, Journal de la campagne de monsieur de Catinat en Piémont. Avec le détail de la bataille donnée a la Marsaille le 4. Octobre 1693. Et le siège de Sainte Brigide, avec la liste des morts & des blesses Lyon 1694.

1. Novara, 12 marzo 1820, al Prof. Carestia di Riva: scelta del “locale” dell’Ospizio e ne cessità di una stalla; inutilità del consenso governativo per la costruzione della casa al colle Valdobbia; richiesta di aiuti alle Con gregazioni di Carità a favore dell’Opera Pia, una volta terminati i lavori; contrarietà a chiedere degli aiuti a “Grassoneto”; oppor tunità dell’appalto e di un nuovo “disegno”; incombenze relative alla costruzione dell’O spizio.

2. Novara, 6 maggio 1820, al Sig. Carestia di Riva: consegna all’Abate Gianoli di Camper togno di denaro per il futuro Ospizio; scelta

tutti questi documenti è pos sibile ricostruire, almeno in parte, le varie vicende che interessarono l’Ospizio, in un momento storico contraddistinto da molte iniziative tese al miglioramento delle condi zioni di vita dei valsesiani.5 L’amministrazione del “Pio Stabilimento” è quasi completamente documentata, con le deliberazioni assunte e la relativa contabilità.6 È possibile così cono scere, innanzitutto, gli amministratori e i cu stodi che si sono succeduti nel tempo7, e quali opere furono intraprese per la costruzione

NOTE A MARGINE

del luogo dove costruire l’Ospizio; necessità di un “disegno” adatto al luogo; opportunità che la futura casa abbia “i comodi necessa ri”; necessità di indire un appalto ed inco minciare i lavori al più presto, con il tempo favorevole.

APPENDICE - “ARCHIVIO DELL’OSPIZIO SOTTILE”

6 In archivio si trovano tutti Bilanci, dal 1845 fino al 1954, con esclusione del periodo 1945 – 1951 (cessazione dell’opera assistenziale dell’Ente, a causa degli eventi bel lici); Conti, dal 1833 al 1943; documenti relativi a queste altre voci: Assicurazione, Conto Corrente, Libro Mastro, Mandati di pagamento, Modello C1 Beneficenza, Pro cesso Verbale Verifica di Cassa, Registro Giornale dei Pagamenti, Registro Giornale delle Riscossioni, Registro Protocollo, Registro del Ristoro ai Viandanti, Repertorio Atti soggetti a Registrazione, Tasse e Imposte. Sono pure conservati alcuni inventari.

12. Novara, 27 giugno 1825, a Carestia: gli man da una lettera sua e la risposta dell’impresa rio Gianoli per informarlo, e aggiunge: “... Vedrà che teme la onestà e l’imparzialità del bravo S.r Gravolo, che però è uomo del me stiere, e capace. Le sue opere lo provano. Ho interessato il S.r Ingegnere Dipartimentale per fare riconoscere provinciale la strada della Valdobbia, e lo fu otto giorni sono.”

9. Ara, 14 ottobre 1823, a Carestia: compiaci mento per la nascita del figlio; visita dell’Ar ciprete di Riva, Morini, con il quale si è par lato dello “stabilimento di Valdobbia” e della necessità “di mobiliarlo almeno delle cose più necessarie”, attraverso i denari raccolti con una colletta; decisioni da prendere ri guardo la custodia dell’Ospizio nel prossimo inverno, con tutti i relativi problemi; rime diare, a spese dell’appaltatore, al fatto che il camino della cucina “patisce molto fumo”; non è d’accordo sul prezzo delle assi utiliz zate per foderare la stufa.

Le informazioni riguardanti l’archivio storico sono state tratte da: Sabrina Contini, Comune di Riva Valdobbia, Provincia di Vercelli, Archivio Storico, 1451- 1955, Inven tario, giugno 2005. Un sentito ringraziamento vada alla dottoressa Sabrina Contini.

10. Novara, 27 novembre 1823, a Carestia: rap porti con l’impresario Paolo Gianoli – “... Quest’uomo non brama che denari, e per averne si rivolge a tutti i mezzi. Le sue due liste ne sono una prova ...”; prega Carestia e Gravolo (Graulo) di definire le questioni, ap pellandosi all’onestà, giustizia e amicizia del primo; confida molto nel Gravolo “... Perché capace di rilevare tutte le mancanze dell’im presaro e perché onest’uomo; ma un poco timido...”; ricorso all’aiuto del sacerdote Giu seppe Gianoli, nipote dell’impresario.

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(Legenda – ASRv = Archivio Storico di Riva Valdobbia; FOsS = Fondo Ospizio Sottile)

13. Ara, 20 luglio 1825, a Carestia: l’informa che un mese prima la moglie dell’impresa rio Gianoli, recatasi in Ara, gli fece scrivere a Novara che “... Il giorno 27 dello scorso giugno due periti d’uffizio, cioè il Sindaco di Campertogno Sig. R. M. ed il Sig. figlio dell’oste della Croce Bianca di Varallo S.r Golino dovevano portarsi in Valdobbia per terminare le questioni fra il Lapierre ed il Gianoli; mi pregava di delegare una persona per ultimare e per venire alla collaudazione delle opere del suo marito”; diceva infine che “... Il maggiore e più sostanziale mancamen to della fabbrica dell’Ospizio si è il coperto ...”; si affida alla sperimentata prudenza di Carestia e Gravolo esortandoli a scrivere al Gianoli per “... Mandare subito degli operai per fare le piode necessarie, acciò possano trasportarle e collocarle quindi prima della neve. Se poi egli è sordo all’invito...”, prega i due di rivolgersi all’arciprete “... Per animare le donne e pure pagarle per il trasporto...”. 14. Scopa, senza data (estate 1825), a Carestia: rapporti con l’impresario Paolo Gianoli; trasporto delle piode da utilizzare per il ri facimento del coperto dell’Ospizio; “... Bi sognerà ricordarsi delle ramate (griglie per finestre) che sono necessarie, e che pagherò se non abbiamo altre risorse”. 15. Ara, 7 settembre 1825, a Carestia: chiede in formazioni sul coperto dell’ospizio, riferen dosi alla lettera sua da Scopa – “... Rendere il coperto più ripido alzando la colmegna, op pure abbassare i muri, ma il pendio sembra sufficiente...” 16. Ara, 21 settembre 1825, a Carestia: è sod disfatto di apprendere da una lettera del cugino che il tetto dell’ospizio sarà rifatto interamente, l’impresario dovrà pagare con una somma di L. 470 prestatagli dal nipote abate, e con altre di debitori del canonico, non sempre affidabili. I denari da Camper togno sono offerte lasciate all’abate Gianoli. Si scusa per i fastidi dati agli amici di Riva, la cui comunità diventerà proprietaria dell’O spizio “... Con un reddito sufficientemente proporzionato alle mie forze... Ripeto quan to già mi disse il S.r Vice Intendente (nobi le Gaetano Tagliacarne) cioè che per avere motivo di parlare vantaggiosamente dell’O spizio in un suo rapporto al Governo brama che nel primo Consiglio comunale, venga Egli pregato d’interessarsi presso il Governo stesso per ottenere una dote. Questo Signore è molto portato per favorirci”. Breve messag gio, inviato dalla Mollia l’11 settembre 1825 da Giacomo Antonio Molino a Carestia: Pa olo Gianoli con lo scrivente e un suo fratello andranno la sera stessa a dormire alla Montà di Riva con i loro lavoranti (carpentieri); a Rassa non ce ne sono per il momento a di sposizione; cita un Defabiani e un Tanasio (Attanasio?). Il Rifugio Ospizio Sottile 1. Comune di Riva Valdobbia; 2. Ex-Comune di Pietre Gemelle; 3. Ufficio di Conciliazione; 4. Ente Comunale di Assistenza; 5. Consiglio generale della Valle; 6. Famiglia Minoia; 7. Ospizio Sottile. Complessivamente, l’ex Co mune di Riva Valdobbia conserva: n. 205 Fal doni; n. 1376 Unità archivistiche.4

11. Novara, 10 novembre 1824, a Carestia: dona un cavolfiore e dei piccoli animali al cugino ed agli amici di Riva e Mollia.

8 Ricordiamo, tra le relative documentazioni: “Appalto dell’Ospizio di Valdobbia”; “Costruzione d’una cappella e di una stalla”; copertina relativa ai “Disegni per la costruzione d’una Cappella con Sacrestia, d’una Stalla e Stanza all’Ospizio di Val dobbia”. Tra chi prestò la propria opera, menzioniamo: il pittore Francesco Cusa, che “dipinse il quadro dell’Addolorata per la cappella dell’Ospizio”; pittori fratelli Avon do, che eseguirono “alcune dipinture nell’Oratorio dell’Ospizio”. Con la costruzione della cappella dedicata alla Madonna Addolorata, si volle dare un conforto spirituale ai viandanti di passaggio sul Colle. Nella cappella è ricordato il passaggio della Re gina Margherita, avvenuto sul finire del secolo scorso. 9 In archivio sono documentate le donazioni della Carità di Mollia, dei Pii benefat tori di Campertogno, dell’Amministrazione provinciale della carità della Valsesia, dei “cantoni” (di Riva), Boccorio e Buzzo. Sono, inoltre, conservate le seguenti disposi zioni testamentarie: Eredità don Giuseppe Prato di Alagna, Eredità Ferdinando Care stia, legato Alpe Larecchio; Eredità Sottile; Legato del Sottile in favore dell’Ospizio, di beni da lui posseduti in Prato; Testamento De La Pierre Gio. Giuseppe Nicolao. Infine, citiamo anche seguenti atti: Donazione di un campo aratorio, sig. Giacomo Curta, Failungo di Pila; Concessione di presa d’acqua, Barone Carlo Peccoz; Dona zione di lire 4000, signora Viotti Giulia, vedova Carmellino. 10 Era previsto che il ristoro fosse gratuito per poveri, come risulta da un apposito registro denominato: “Registro del Ristoro ai Viandanti”. 11 Carlo Alberto di Savoia, nel 1832, unitamente all’approvazione del Regolamento, concede al “Pio Stabilimento” un sussidio annuo di lire 500. L’archivio contiene la corrispondenza con le seguenti istituzioni: Club Alpino Italiano, Commissione reale d'inchiesta sulle Opere Pie, Chiesa di Novara, Genio civile, R. Questura, Ente provin ciale per il turismo, Federazione vercellese Enti autarchici, Ministero dell'Economia nazionale, R. Intendenza e R. Vice Intendenza, R. Prefettura e R. Sotto Prefettura, Subeconomato R. Apostolico. dell’edificio sul Colle Valdobbia, avvenuta nel 1823, con i diversi successivi interventi di am pliamento e di restauro.8 È altresì attestata la generosità di molti: abi tanti della valle, forestieri, emigranti, che si concretò nelle beneficenze raccolte dalle Congregazioni di Carità e nella disposizione di consistenti patrimoni in favore dell’Ospi zio, attraverso donazioni, legati, eredità.9

3. Novara, 28 maggio 1820, al medico chirur go dott. prof. Giacomo Antonio Carestia: “... Non voglio, né posso a meno di prevalermi della propizia occasione del S.r Ab.e Care stia, fatto sacerdote, per riverire V.S. Car. ma.”; viaggio a Riva per la metà di luglio; “ ... Il figlio cresce in età, in virtù, ed in grossezza e grandezza”; complimenti ai fratelli Graulo.

7. 7 – Novara, 3 agosto 1823, al cugino Ca restia: lo informa di una lettera per l’abate Gianoli e di una sua prossima venuta a Riva, e aggiunge: “... Mi compiaccio della nuova gravidanza della Cugina. Il Cielo rimpiaz zerà la perdita fatta (v. lettera 24 maggio). Credeva che tutti li assi legnami fossero stati portati, e ritirati nell’anno scorso nell’ospizio; onde sento con stupore che 45 donne ani mate dal S.r Arciprete si portarono in Val dobbia pel trasporto dei legnami...”.

8. 8 – Ara, 21 settembre 1823, a Carestia: “... Il Gianoli vuole sempre danari...”; scrive che lo pagherà fra qualche giorno tramite un Moli no di Campertogno, e aggiunge: “... Aspetto con impazienza la nuova di un suo erede. Appena nato me lo faccia sapere per anti ciparmi la consolazione”; augura un parto felice alla cugina, lo informa che l’indomani andrà a Novara per otto o dieci giorni.

4. Varallo, 22 agosto 1820, memoria per il Sig. Giacom’antonio Carestia di Riva: necessi tà di dare l’appalto dell’opera al più presto; indicazione del “bravo oste della Montà”, muratore e falegname, come persona “… Che potrà fare la casa a miglior mercato e bene al paro di altri”; osservazione che “… Una casa appaltata non è più dubbia. Quin di chiuderemo la bocca ad alcuni malevoli, ossia ad alcuni uomini avari oppure nemici delle opere buone”; offerta della calcina da un “particolare di Grassoneto”; trasporto del legname.

Oltre a quelli collocati presso l’archivio sto rico comunale di Riva Valdobbia, pochi altri documenti riguardanti il Pio Ente (per lo più copie) si trovano nell’archivio parrocchiale di Riva, unitamente ad un ritratto del Sottile ed ai disegni di un progetto d’ampliamento Esaminandodell’Ospizio.

7 Interessanti sono le domande di nomina al posto di custode, da parte di: Gens Giovanni, Gens Battista, Giacomino Battista, Bechaz Pietro, Perello Camillo, Deste fanis Antonio (Anni: 1890 - 1911).

5. Campertogno, 26 agosto 1822, al Sig. Gio. Michele Graulo di Riva: somma di lire 750, quale acconto da versare al Sig. Paolo Gianoli per i lavori fatti e da farsi; invito a provvedere in merito ai crocetti per i canali. Allegata la ricevuta di lire 750 firmata Paolo Gianoli.

5 Il 26 dicembre 1897 fu fondata a Riva la “Società di Mutuo Soccorso e Beneficen za”, con lo scopo di creare un sodalizio destinato a soccorrere soci con un sussidio nei casi di malattia e d’inabilità al lavoro. La Società promosse varie attività culturali che si proponevano di favorire dei momenti di socializzazione, nonché il migliora mento intellettuale e morale della popolazione locale.

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6. Novara, 24 maggio 1823, al cugino Carestia: dolore per la morte del figlio del Carestia; “... Se Iddio mi dà la salute, come spero, andere mo pranzare in Valdobbia nel nostro casino, ma bramo aspettare finché tutto sia termina to. Allora penseremo a tutto ciò che convie ne. Conviene però sollecitare il Sig.r Paolo Gianoli la cui negligenza ci è troppo nota”; ricorso alla “Carità” di alcune parrocchie per costituire una dote a favore dell’Ospizio; im piego di una famiglia di Riva che si obblighi di stare tutto l’anno all’Ospizio; “... Ai poveri veri, come sono alcuni giovani apprendizzi, che non hanno denaro, si potrebbe dare loro qualche cosa gratuitamente, perché membri dei comuni la cui Carità concorre al mante nimento del pio stabilimento”; approvazione del Cardinale Morozzo di quanto stabilito a favore dell’Ospizio.

Risulta chiaramente dai registri conservati anche il particolare favore con cui erano ac colti i poveri all’Ospizio.10 Sotto il profilo istituzionale, sono documen tati i rapporti con l’autorità regia e le altre isti tuzioni civili e religiose, che dovevano dare il formale riconoscimento allo scopo filantropi co dell’Ente e il loro contributo affinché esso potesse continuare a realizzarsi nel tempo.11 Le corrispondenze private, invece, mettono in luce la natura dei rapporti tra i diversi prota gonisti di quel tempo: il Sottile e i suoi colla boratori; il Clerino, primo custode dell’Ospi zio, con le notizie riguardanti i lunghi e duri inverni trascorsi sul Colle Valdobbia; il notaio Giuseppe Carestia, amministratore dell'Ospi zio, il sacerdote Giuseppe Gianoli, anch’egli amministratore, suo zio Paolo Gianoli, pri mo appaltatore dell’Ospizio. In archivio sono pure conservati le “Regie Patenti” (1832) e lo Statuto Organico, che stabilivano il Regola mento e l’ordinamento dell’Ospizio. È parimenti conservato il resoconto verbale dei momenti più importanti: l’inaugurazione dell’Ospizio, l’inaugurazione dell’Osservato rio Meteorologico, altre deliberazioni che se gnarono la vita del “Pio Stabilimento”. Infine, è possibile consultare le statistiche re lative ai passaggi sul colle Valdobbia e le te stimonianze lasciateci dai passeggeri nel “Re gistro delle firme”, nonché alcuni dati relativi alle osservazioni ivi compiute dall’Osservato rio meteorologico, inaugurato nel 1871. Mi auguro che questa considerevole testimo nianza, di un particolare periodo della storia locale, possa trovare, unitamente a tutto l’Ar chivio Storico Comunale, un luogo adatto per la sua conservazione e la sua consultazione. In Appendice ho messo in evidenza la cor rispondenza del Sottile e del Clerino, richia mando l’attenzione su tutte le loro lettere, pre senti nel nostro archivio.

CORRISPONDENZA PRIVATA “LETTERE E SCRITTI DEL CANONICO NICOLAO SOTTILE". Il fascicolo si com pone di 43 documenti (ASRv, FOsS, Fald 203, Unità 1341, 1 fascicolo, 1820 marzo 12 -1832 maggio 27).

9. All’Ospizio, lì 4 gennaio 1845, al Sig. No taio Carestia: nota dei viaggiatori passati dall’Ospizio nel 2° semestre 1844; nota de gli oggetti donati all’Ospizio nel 2° seme stre 1844.

1. All’Ospizio, lì 4 agosto 1833, a Gianbattista Minoya di Riva: progetto di una stalla; tra IL PRIMO CUSTODE Giacomo Clerino, nato a Carema (Ivrea), vive un’infanzia ed un’adolescenza pie ne di privazioni, accudendo al bestiame nelle sue montagne. Dopo aver frequen tato la scuola, a diciotto anni si arruola diventando soldato di Napoleone. La sua nuova condizione è certamente mi gliore di quella precedente, almeno fino a quando il Clerino non partecipa all’as sedio di Hambourg, durato cinque mesi e culminato nella battaglia dell’otto feb braio 1814. La fame, il freddo, le fatiche, la sporcizia e, più di ogni altra cosa, l’immane carne ficina, lo provano duramente. Ritornato a casa, Clerino riprende a lavorare la terra e a custodire il bestiame, poi fa il mina tore. A 28 anni si arruola nuovamente, al servizio del re sabaudo Carlo Felice; la scia la carriera militare a 36 anni, con il grado di caporale. Ritorna nei suoi luoghi natii e qui si fa assumere come guardia forestale. A 39 anni Clerino viene assun to come custode dell’Ospizio, ruolo che svolge con lo spirito del buon soldato per ben 23 anni: dal 1833 al 1856. Supe rati i quarant’anni sposa la ventitreenne Anna Maria Loro, (dalla quale avrà otto figli), fissando la residenza familiare alla Montata (1638 m), la prima frazione che si incontra scendendo dal colle. All’età di 76 anni, Clerino muore sotto una valanga alle 4 pomeridiane del 13 febbraio 1870, nei pressi dell’oratorio di S. Grato alla Peccia, mentre accompagna la giovane Maria Alessandrina Vescovo (26 anni, nativa di Brusson e abitante a Riva), an ch’essa perita in quel tragico giorno. En trambi i corpi sono ritrovati il 16 febbraio e sepolti nel cimitero locale il 19 febbraio La1870.comunità di Riva e Valle Vogna ha ri cordato Giacomo Clerino, primo custode dell’Ospizio, con una targa posta sulla parete esterna dell’Oratorio di S. Grato, lungo il sentiero che porta al Colle. (Tratto da: Attilio Ferla, Tra Valsesia e Valle d’A osta, Le Rive, Bimestrale, Anno XXIII Nuova Serie, n.5, settembre-ottobre 2013). sloco della cassa della Bussola. 2. All’Ospizio, lì 2 settembre 1833, a Gianbat tista Minoya di Riva: danni procurati dai pastori; acquisto di un fornetto 3. Ospizio, 14 novembre 1833: nota riguar dante il pernottamento di Gio. Giuseppe Jhavers con l’intera famiglia di 11 indivi dui. 4. Ospizio, lì 17 novembre 1833, a Gianbat tista Minoya di Riva: collocazione e pa gamento del fornetto. Allegato: Valentino Schinobal, Gressoney, lì 18 novembre 1833 - Ricevuta della somma data in acconto dal Clerino per l’acquisto del fornetto. 5. All’Ospizio, lì 24 giugno 1834: ricevuta.

32. Novara, 9 giugno 1831, al Vice Intendente della Valsesia (avv. Francesco Sezza Boyl): progetto di mantenere una famiglia che di mori tutto l’anno all’Ospizio; testamento del Sottile - “... Ho già lasciato l’ospizio coi suoi mobili agli uomini di Riva, ed acciò la fab brica non sia loro di peso ho pure lasciato alcuni fondi in Prato, cioè campi e vigne ed una somma di alcune mille lire per la manu tenzione. Il parroco pro tempore della Riva, ed i tre parroci più vicini, cioè di Alagna, Moglia e Campertogno saranno pure gli amministratori del pio stabilimento con due uomini probi della Riva. Essi nomineranno la famiglia che deve abitare l’ospizio, veglie ranno sopra la sua condotta e sopra la loro fedeltà e onestà nel custodire i mobili dell’o spizio, e le oblazioni fatte dai passeggeri...”. 33. Ara, 20 agosto 1831, a Carestia: domanda del Sergente Avondi di Balmuccia di abitare l’Ospizio di Valdobbia. 34. Ara, 13 novembre 1831, al Professore Care stia di Riva: provvista di legna, di vino e di altre cose per l’Ospizio, nell’attesa delle de terminazioni del Governo a favore del Pio Stabilimento. 35. Gennaio 183… al Professore Carestia di Riva: richiesta di alcuni servizi a favore dell’Ospizio. 36. Novara, 4 aprile 1832, a Gianbattista Minoya di Riva: apprezzamento per la poesia invia tagli dal Minoya. 37. Novara, 2 maggio 1832, a Gianbattista Mi noya di Riva: apprezzamento per la poesia del Minoya; notorietà dell’Ospizio in Ger mania ed in Francia. 38. Novara, 27 maggio 1832, a Gianbattista Mi noya di Riva: ringraziamento per i versi in francese dedicati all’Ospizio. 39. Senza data e luogo (Torino), firmata Barone D’Auvure, capitano nei reali Carabinieri: “... Le Ministre de l’Interieur avoit donc arran gé: 1° de faire placer à Valdobbia aux frais de la province un cantonier; 2° de faire assigner quelque secours sur l’économat.” 40. Senza data. Lettera al Sottile dal coadiuto re della parrocchia di Riva don Giacobini: accenna al Gianoli impresario; si dichiara debitore di alcune somme verso il canonico, che spera di saldare in estate. 41. Novara, 15 marzo (manca l’anno, post 1828, scrittura incerta e disordinata), a Carestia: piano per l’amministrazione dell’Ospizio.

8. Ospizio, l’ultimo dicembre 1836, al Procu ratore Carestia: nota dei viaggiatori; acqua della fontana mancante da un mese; noti zie sulla praticabilità della strada; notizie meteorologiche.

10. All’Ospizio, lì 4 gennaio 1853, al Sig. No taio Carestia: nota dei viaggiatori passati dall’Ospizio nel 2° semestre 1852; dati ri guardanti la temperatura e la neve.

13. Al Sig. Procuratore dell’Ospizio Valdob bia Giuseppe Carestia di Riva: impegno di prendere nota, dall’anno venturo, dei viag giatori che passano per l’Ospizio; necessità di ricoverare in una stalla il bestiame che si trova nei pressi dell’Ospizio.

7. Al Procuratore (G. Carestia): numero dei viaggiatori passati dall’Ospizio nel secondo e ultimo semestre del 1835.

17. Senza luogo (Ara), 10 ottobre 1825, a Care stia: rapporti con il sig. Paolo Gianoli – “... Ringrazio Iddio che ha mandato quella grande neve, per cui non si può fare que sta collaudazione se non nell’anno venturo.

22. Novara, 27 giugno 1827, a Carestia: la moglie dell’impresario Gianoli, che non ha la procu ra per il marito, non ha risposto alle lettere“... Il suo marito è nella Savoja, ed ignoro se il suo figlio convalescente sia a Campertogno.” “Le mie sorelle gli contracambiano i loro complimenti, e lunedì prossimo partono per Lione. Non erano venute per stare in questi paesi, e non vogliono stare a Novara, e tan to meno in Ara”. Quanto al Gianoli: “... Non bisogna lasciare alcuna coda, ossia pretesto a quell’uomo di mala fede. Il Sig. abate Gianoli deve passare la Valdobbia per andare trova re suo padre (Carlo?). Mi scrisse che ci darà tutti i lumi, che da lui dipendono per soste nere la nostra causa. Egli ha fatto il dissegno, il Divis, ed è onest’uomo”. 23. Novara, 7 novembre 1827, a Carestia: af ferma di non temere la lite con il Gianoli, che il suo perito Gravolo, da lui scelto per il collaudo, è adatto allo scopo con l’assistenza del Carestia stesso; “... Ho saputo dal S.r Gra volo che nel mese di dicembre sono passate dall’Ospizio 146 persone, l’ho detto al Cardi nale (Morozzo della Rocca, vescovo di No vara dal 1817 al 1842) che ha avuto piacere, provando questo che l’Ospizio è frequentato, e non inutile”. 24. Novara, 14 dicembre 1827, a Carestia: “... In Ara la Matilde fortunatamente sin’ora non sta male, benché debba mantenerle una ser va. Dio voglia che continui così tutto l’inver no...”; il S. manderà una brenta di vino all’O spizio; è “... Ben contento che la neve non penetra più nell’ospizio; Dio voglia che non penetri mai più; ma deve essere cura del Giò della Montà li chiudere subito i buchi per cui potrebbe introdursi la neve facilmente. Si rimedia al principio dei mali...”; rapporti con Paolo Gianoli. 25. Novara, 24 marzo 1828, a Carestia: “... Al povero nostro Ospizio, oltre i beni di Prato intendo di lasciare alcune mille lire per la sua manutenzione. Non ho mai ottenuto un soldo per questo orfano. Buone parole e nulla più. Tutti lodano le opere buone quan do sono fatte, perché le parole non costano nulla. Ma. Pazienza. Spero in Dio che la cosa anderà ad onta degli uomini”; pendenza con Paolo Gianoli e con Pietro Anna Carmelli no. 26. Novara, 12 aprile 1829, a Carestia: relazione da inviare per la pubblicazione alla Gazzetta di Torino, sul fatto che 27 persone trovarono rifugio all’Ospizio, durante il maltempo del 20 dicembre (1828); “... Ho già fatto molti passi per ottenere da S. Maestà un annuo sussidio. Questa relazione del Sindaco risve glierà le idee? ...” Allegata una paginetta in brutta copia relativa alla lettera sopra men zionata. 27. Novara, 13 settembre 1829, a Carestia: dono di un tacchino; debito del sig. Pietro Anna Carmellino; conto pendente con il Gianoli. 28. Novara, 22 settembre …, al Professore Ca restia di Riva: rapporti con il sig. Paolo Gia noli. 29. Novara, 17 febbraio 1830, a Carestia: scrive al cugino su una soma di vino da mandare all’ospizio su richiesta di “Giuseppe Senta detto Spagnolo compagno di negozio di Pie tro Anna”, incontrato casualmente a Prato. Conclude – “... Da un mese sono ammalato”. 30. Novara, 29 giugno 1830, al Professore Ca restia di Riva: lavori da svolgere all’Ospizio, costruzione di un altarino ed esecuzione di alcuni dipinti raffiguranti un crocifisso, una Madonna addolorata ed un S. Michele op pure un S. Giovanni. 31. Novara, 21 novembre 1830, al Barone (...) capitano nei Reali Carabinieri: interessa mento a favore dell’Ospizio “... Des Messieu rs les Comtes Colobiano et de Salasco”, be nedizione dei locali dell’ospizio e dell’unita cappella.

42. Senza data, al cugino ed amico Carestia: “... Non posso scrivere; ma posso mandargli un pollino...” 43. Senza data, al cugino Carestia: questioni re lative all’Ospizio; interessamento di alcuni notabili a favore del Pio Stabilimento (Conte Colobiano, Segretario di Gabinetto e Barone D’Avare); ringraziamenti all’Arciprete di Riva.

12. Ospizio, lì 11 maggio 1856, al Sig. Procu ratore Giuseppe Carestia di Riva: notizia del mancato passaggio di viaggiatori negli ultimi 11 giorni; nevicate nel periodo com preso tra aprile e maggio; avvistamento di una marmotta; notizie riguardo all’acqua della fontana e le provviste della cantina.

"LETTERE E SCRITTI DI GIACOMO CLE RINO, CUSTODE DELL'OSPIZIO”. Il fascicolo consta di 14 documenti (ASRv, FOsS, Fald 203, Unità 1344, 1 fascicolo, 1833 agosto 04 - 1856 maggio 11).

6. Ospizio, lì 3 maggio 1835, al Procuratore (Giuseppe Carestia): presenza di due guide che hanno accompagnato due signori di Gressoney ed hanno aiutato a “rompere la neve sino circa alla piana granda”; inaspet tata nevicata tra il 28 ed il 29 aprile.

11. All’Ospizio di Valdobbia, lì 27 marzo 1856, al Sig. Carestia Notaio: difficoltà a sostene re gli impegni di custode data l’età avanzata di 62 anni e timore che da questa incapa cità possano derivare degli eventi luttuosi; intenzione di congedarsi dall’incarico di custode, a partire dal prossimo luglio.

IL FONDATORE DELL’OSPIZIO Nicolao Sottile nacque a Lione nel 1751, da famiglia di emigranti valsesiani. Il pa dre, Carlo, nativo di Rossa, era architet to; la madre, Anna Ronco, era originaria di Scopa. Intraprese gli studi presso i Padri dell’oratorio di Lione, portando a termine il corso di Retorica. Avvertita la vocazione, frequentò a Novara il Semi nario studiando filosofia e teologia, ve stendo l’abito di chierico. Sacerdote di Rossa, qui celebrò la sua prima S. Mes sa nel 1774. Agli inizi degli anni Ottanta divenne parroco della Colma di Valduggia. Nel 1787 fu nominato segretario del Vesco vo di Novara. Succes sivamente, nella Basi lica di S. Gaudenzio, ricoprì l’incarico di co adiutore del canonico Vespolati, succeden dogli nel 1793. Scrisse numerose opere, tra le quali si ricorda per l’acuta analisi della condizione valsesiana di inizio Ottocen to: “Quadro della Valsesia”. Oltre alla fon dazione dell’Ospizio, promosse la nasci ta della Società di Incoraggiamento allo Studio del Disegno, istituì il “Premio della Virtù” (dedicato alle donne nubili valse siane), ideò e contribuì ad altre numero se e benefiche iniziative. Nicolao Sottile morì ad Ara nel 1832, all’età di 81 anni, poco dopo la nascita dell’Ospizio, prima della sua solenne inaugurazione. Negli anni precedenti, il canonico aveva già disposto di donare la sua rilevante opera alla comunità di Riva: un ultimo atto di grande generosità, coerente con la vita fino a quel momento vissuta. (Tratto da: Attilio Ferla, Tra Valsesia e Valle d’A osta, Le Rive, Bimestrale, Anno XXIII Nuova Serie, n.5, settembre-ottobre 2013).

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Quest’uomo, per cui il danaro è tutto, cer cherà cento pretesti, armando pretese per variazioni, aggiunte, cambiamenti” (che il canonico gli ha già proibito per lettera). “Prima della collaudazione bisogna assolu tamente ch’egli specifichi in iscritto tutte le sue pretese, onde abbiamo da ribatterle... “. Non è disposto a dargli la nota delle spese sostenute, poiché alcune sono crediti perso nali di prestiti fatti dal canonico ad altri, di cui l’impresario do vrebbe avere il conto...; ringrazia “... I due eccellenti cooperatori”. 18. Ara, 19 novembre? 1825, al Sig. Gravolo prega lui e il Carestia di rappresentarlo durante la collau dazione dell’Ospizio, richiesta an che dal Gianoli, e “... Di fare come se fosse per loro stessi”. 19. Novara, 13 luglio 1826, a Carestia: lamenta che alcune sue lettere non siano arrivate ai destinatari, ma “... Sono ben lontano dal prendere in diffidenza persone oneste in cui ripongo ogni fiducia, e che hanno operato molto a favore del povero ospizio. Senza loro premura ed assistenza che cosa poteva io fare? Se piace a Dio verrò nella Valle Gran de, ed alla Riva, ed uniti s’intenderemo di ciò che conviene fare per ultimare ogni questione con quell’ingordo impresaro. Le mie sorelle lo riveriscono con tutto il cuore, ed in ciò non fanno che sentire i miei sentimenti...”. 20. Novara, 1° febbraio 1827, al sig. G. Michele Graulo di Riva: rapporti con il sig. Paolo Gia noli. 21. Novara, 17 maggio 1827, a Carestia: lo infor ma dei suoi rapporti coll’impresario Gianoli, e della perizia affidata al Gravolo “uomo del mestiere”; sa che il Gianoli è in Savoia, e con sidera opportuno vedere prima la procura, diffidando dell’uomo; il Sottile ha intenzione “... Di fare un instromento di donazione de miei fondi di Prato all’Ospizio”.

14. “Nota degli effetti che abbiamo ricevuto nel corso dell’ultimo scaduto trimestre, ap partenenti all’Ospizio”.

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PRESMELL - PIETRE GEMELLE. Annuale dell’Associazione Culturale Walser Presmell Ecomuseo della Valle Vogna. Anno 2020. A cura del Comitato Direttivo.

REALIZZAZIONE GRAFICA: NORDCAP STUDIO, Borgosesia - www.nordcapstudio.it

Presidente: Roberta Locca; Vice Presidente: Donata Farinetti; Segretario: Gabriele Confortola

L’associazione ringrazia l’Unione Montana dei Comuni della Valsesia, il Comune di Alagna Valsesia e tutti quanti ci sostengono. Un ringraziamento particolare ad un generoso e riservato benefattore che ha permesso un primo intervento per salvare il mulino di Rabernardo.

Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell

PRESMELL - PIETRE GEMELLE. Annuale dell’Associazione Culturale Walser Presmell - Ecomuso della Valle Vogna. Anno 2020. Associazione culturale Walser Ecomuseo della Val Vogna Presmell

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