Ritratto giovanile dell’abate Carestia (Archivio della Sezione di Varallo del Club Alpino Italiano)
184
Antonio Carestia Archivi e sentieri di montagna Roberto Fantoni
1 - Premessa Nel 1958 Carlo Guido Mor, presidente della Società Valsesiana di Cultura, nella prefazione all’edizione di un quaderno dedicato ad appunti inediti dell’abate Carestia1, scriveva che “a cinquant’anni dalla morte, la figura di Antonio Carestia, né ha perso di rilievo, né s’è oscurata: direi, semmai, che ancor troppo poco conosciamo la sua personalità, ispirata a complessi interessi”. Sino ad allora erano stati dedicati al Carestia solo una commemorazione in ambito valsesiano2 e una memoria in ambito scientifico3. Lo stesso Mor si era occupato brevemente del Carestia4. Nei cinquant’anni successivi è stata rivolta una grande attenzione ai suoi interessi in ambito botanico5. Sono rimasti invece dimenticati i suoi multiformi interessi in ambito storico, frequentati con una singolare coniugazione di ricerche archivistiche e di conoscenza del territorio. Questo lavoro cerca di colmare, almeno parzialmente, questa lacuna. 1 - C.G. Mor, prefazione in: A. Carestia, I pregiudizi popolari della Valsesia, Borgosesia, Società Valsesiana di Cultura, quad. 2, s.d. [ma 1958], p. 7. 2 - C. Marco, Cav. Antonio Carestia, ‘Almanacco-Guida della Valsesia’, a. 1909, pp. 154-157; id., Antonio Carestia, ‘Rivista mensile del Club Alpino Italiano’, 1909, n. 5, pp. 196-197; id., Commemorazione dell’abate Cav. Antonio Carestia, ‘Rivista Valsesiana’, n. 78, 1912, pp. 189-198; B. Calderini, Abate Cav. Antonio Carestia. Commemorazione centenaria. Inaugurazione d’un ricordo a Riva Valdobbia, ‘Almanacco-Guida della Valsesia’, a. 1926, pp. 98-105; E. Zanetta, L’abate Antonio Carestia, ‘Almanacco-Guida della Valsesia’, a. 1940, pp. 45-53. 3 - T. Ferraris, L’Abate Antonio Carestia, ‘Annali Botanici’, a. 7, n. 2, 1909, pp. 197-205; O. Mattirolo, L’erbario dell’abate Antonio Carestia, ‘Rivista Valsesiana’, a.VI, n. 59, 1911, pp. 1-6. 4 - C. G. Mor, Spigolando fra le carte di Antonio Carestia, ‘Almanacco-Guida della Valsesia’, a. 1930, pp. 81-85. 5 - D. Bertolani Marchetti, Ricerche sulla vegetazione della Valsesia. I. L’opera e le raccolte dell’Abate Carestia in Valsesia, ‘Nuovo Giornale Botanico Italiano’, vol. 61, n. 4, 1954, pp. 515-578; L. Pomini, I botanici ed i naturalisti della Valsesia,Vercelli, Collana culturale scientifica dell’Istituto Tecnico Agrario, 1959; R. Piacco, L’abate Antonio Carestia (1825-1908) botanico valsesiano, ‘Bollettino Storico per la Provincia di Vercelli’, a. 22, n. 2, 1993, pp. 117-160; G. Rotti, L’erbario di fanerogame del Museo Calderini di Varallo con particolare riferimento alle entità raccolte dall’abate Antonio Carestia, in: M. Bonola (a cura di), Antonio Carestia. Scritti diversi. Alpinismo, scienza e poesia di un abate valsesiano, Borgosesia, Idea Editrice, 1998, pp. 149-168; A. Soldano, Spunti di quotidianità e vicende varie dell’attività lichenologica di Antonio Carestia, ‘Notiziario della Società Lichenologica Italiana’, vol. 11, 1998, pp. 9-17; G. Rotti, L’attività dell’Abate Carestia attraverso alcuni suoi scritti inediti, in: AA.VV. Pastori di Anime, cacciatori di Erbe. Giornata di Studio su Religiosi e Botanici in Piemonte, Valle d’Aosta e nel Mondo: la scoperta del Creato, il cammino della Scienza, Atti del convegno 30 giugno 2003-Sala Frassati del santuario di Oropa (Biella), ‘Revue Valdotaine d’Histoire Naturelle’, n. 57, 2003, pp. 119-125; A. Pistarino, L’abate Carestia e le erborizzazioni nella sua Valsesia, in: La colonia tedesca di Alagna-Valsesia e il suo dialetto. Opera postuma del dottor Giovanni Giordani, ed. anast. preceduta da cinque saggi introduttivi, Torino, Hapax Editore, 2011, pp. XXXVI-XLII.
185
2 - La famiglia Carestia Le origini Le origini della famiglia Carestia risalgono ai primi decennio del Trecento, in un periodo prossimo alla fondazione degli insediamenti permanenti dell’alta Valsesia. Il cognome si è originato, alla terza generazione documentata, per trasmissione del soprannome di “Comolus dictus Carestia”, attestato ad inizio Quattrocento. In questo periodo alcuni componenti della famiglia sono documentati alla Montata, una delle frazioni più alte della val Vogna. E in questa frazione rimase, sino alla peste del 1630, il gruppo principale delle famiglie recanti questo cognome. Questa epidemia ridusse drasticamente la famiglia6. Dopo la peste, nel 1641, numerosi rami della famiglia risultano presenti in diverse frazioni della val Vogna (Montata, Peccia, Sul Sasso, S. Antonio, Ca’ Morca, Ca’ Piacentino e Ca’ di Janzo; nel 1690 risultano presenti anche alle Piane, a Selveglio e a Ca’Verno. Nel 1814, oltre che in val Vogna compaiono a Riva e in alcune frazioni lungo il Sesia (Isolello e Piana Fuseria)7. Alla ricostruzione delle origini della sua famiglia l’abate Carestia dedicherà una particolare attenzione, testimoniata dai numerosi fogli di appunti e dalle ricostruzioni genealogiche conservate nel suo archivio8.
Il padre Giacomo Antonio Carestia Giacomo Antonio Carestia, padre di Antonio, nacque il 9 dicembre 1769 a Riva, da Giovanni Pietro (1744-1816) e Marianna Minoja9. Si maritò due volte, con Marianna Prato e con Maria Eva Jachetti. Ebbe cinque figli: Marianna (1795-1861), Anna Maria (1790-1888), Pietro (1804-1823), Pietro (1823-1859) e Antonio (1825-1908). Seguendo il padre in Francia, iniziò la carriera scolastica a Lione e studiò chirurgia a Grenoble, dove conobbe il professore di botanica Dominique Villars, e a
6 - R. Fantoni, A. Ferla, A. Negro e E. Zanoletti, 1630. Colle di Valdobbia: una via per la peste, ‘Notiziario CAI Varallo’, a. 20, 2006, pp. 61-64; ora anche in: R. Fantoni e M. Spotorno (a cura di), La Montagna attraversata: pellegrini, soldati e mercanti, Atti del convegno di Bard 16-17 settembre 2006, Club Alpino Italiano Comitato Scientifico Ligure Piemontese, 2010, pp. 55-67. 7 - Archivio Storico della Parrocchia di Riva Valdobbia (d’ora in poi ASPRV), Registri parrocchiali. 8 - Sezione di Archivio di Stato di Varallo (d’ora in poi sASVc), Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 19, Briciole di Storia Patria; F. Tonetti, Museo storico ed artistico valsesiano, 1875-1891, rist. anast. Borgosesia, Corradini, 1973, s. II, tav. IX.
186
Parigi, sotto il celebre professor Pierre-Joseph Desault. Dopo il conseguimento della laurea esercitò la professione di chirurgo all’Ospedale Maggiore di Novara e fu nominato professore di chirurgia del dipartimento d’Agogna il 16 novembre 1808; il 26 maggio 1810 divenne professore aggiunto alla commissione dipartimentale di Sanità10. Nel 1814, a soli 45 anni lasciò la professione e ritornò in Valsesia, dedicandosi all’attività pubblica. Il 12 maggio 1815 fu eletto reggente del Consiglio generale della valle. In questa carica nel 1817 pubblicò la terza edizione del Quadro delle Valsesia di Nicolao Sottile. Quando il canonico Sottile scelse i suoi collaboratori per l’erezione dell’ospizio al Colle di Valdobbia affidò la direzione dei lavori a Giacomo Antonio Carestia, di cui era cugino, e a Giovanni Michele Graulio, impresario e capomastro, genero del Carestia. Nell’agosto 1820 Nicolao Sottile, Giuseppe Gianoli e Giacomo Antonio Carestia salirono al colle per individuare il sito su cui costruire il nuovo ospizio. La sua presenza è costante in tutta la fase fondativa dell’ospizio, di cui fu membro dell’amministrazione11. L’abbandono della professione medica non gli procurò problemi finanziari: negli anni compresi tra il 1819 e il 1825 risulta a Riva tra i principali contribuenti – per molti anni il principale –, con una quota d’imposizione superiore a 5 lire12. Nel periodo novarese e dopo il ritorno in Valsesia si dedicò alla sua principale passione, la botanica, testimoniata dagli scritti conservati13. Si tratta di un “Catalogo delle Piante che crescono spontaneamente nella Valsesia distribuite per ordine alfabetico” datata ‘Novara 3 novembre 1804’14, dell’“Elenco delle piante che trovasi nell’Erbario Botanico del professore Carestia disposte per ordine della classificazione lineana”, datato 1822, e di un generico “Piante”.
9 - ASPRV, Registri parrocchiali. La corrispondenza di Giacomo Antonio è conservata in sASVa (Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 15); essa si compone di un gruppo di 164 lettere pubbliche (dal 26 aprile 1796 al 22 novembre 1832), di 57 lettere inviare alla moglie Marianna Prato (30 dicembre 1784-27 febbraio 1814) e di 14 lettere ricevute dalla moglie (3 giugno 1796-10 maggio 1797). Nello stesso fondo sono conservate anche 118 lettere di Giovanni Pietro Carestia, padre di Giacomo Antonio (23 febbraio 1744-15 agosto 1816). 10 - sASVa, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 15; ASPRV, Registri parrocchiali; F.Tonetti, Museo storico ed artistico valsesiano, op. cit., s. II, p. 39; O. Mattirolo, L’erbario dell’Abate Antonio Carestia …, op. cit., pp. 2-4; R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 122. 11 - Archivio Storico del Comune di Riva Valdobbia (d’ora in poi ASCRV), Fondo Ospizio Sottile. 12 - sASVc,Viceintendenza di Varallo, m. 21, 1819-1847. 13 - sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 19. Nello stesso fondo sono presenti, oltre ad appunti di medicina, anche appunti di mineralogia. In un fascicolo recante il titolo “Minerali di Riva e di Alagna” compaiono due elenchi di minerali, che costituivano forse una sua collezione, di diverse località nel territorio dei due paesi, ma anche alcune rocce peculiari della bassa Valsesia e località limitrofe (M. Fenera e Maggiora) e dell’Ossola. 14 - In nota l’autore precisa però che il catalogo era il risultato di “varie erborizzazioni fatte nelle vicinanze del Monte Rosa, di Allagna e della Riva nelle vacanze del 1803 1804 1805”.
187
Nel periodo novarese frequentò Giovanni Biroli (1772-1827), anche lui medico, botanico e docente di agronomia a Pavia, al quale fornì molti esemplari di piante valsesiane. Il Biroli riconoscerà il contributo offerto dal Carestia nella prefazione della Flora aconiensis15 pubblicata nel 1808 e gli dedicherà come Phyteuma carestiae una pianta da lui scoperta16. L’autorevolezza di Giacomo Antonio in campo botanico superò i confini nazionali. In chiusura del capitolo dedicato alla vegetazione nel suo volume dedicato al Monte Rosa (1824), von Welden definiva il Carestia un “grande studioso della sua regione, … di cui conosce perfettamente ogni angolo interessante”17. Dopo la morte di Giacomo Antonio, avvenuta a Riva il 23 marzo 183318, una parte dei reperti della flora valsesiana rimase nella casa di Riva, in quello che suo figlio chiamerà l’“erbario paterno”19.
3 - Antonio Carestia Antonio nacque il 2 febbraio 1824 a Riva e venne battezzato con il nome di Giacomo Antonio Michele Maria, che indicava la volontà dei genitori di radicare il figlio nella famiglia (con i nomi dei due genitori) e nel territorio (con il nome del santo patrono della comunità rivese). La madre morì pochi giorni dopo la sua nascita. Il padre scomparve nel 1833, quando Antonio aveva appena compiuto otto anni. Antonio seguì gli studi classici a Varallo ed entrò in seminario prima a Gozzano e poi a Novara, nel 1848 venne consacrato sacerdote20.
15 - G. Biroli, Flora aconiensis seu plantarum in novariensi provincia sponte nascentium descriptio,Vigevano, ex Typographia viglevanensi, 1808, p. XVIII. Numerossisime sono le pagine in cui il Biroli cita specie raccolte od osservate dal Carestia ex monte Rosa (vol. 1, pp. 63, 64, 92, 111, 140, 142, 179; vol. 2, pp. 5, 8, 58, 67, 70, 111, 171, 172), ad montem Turlum (vol. 1, pp. 144, 176, 211; vol. 2, p. 18, 38, 54, 62, 70, 72, 113), in alpibus (o nei dintorni) di Alagna (vol. 1, pp. 80, 83, 92, 115, 140, 190, 212; vol. 2, p. 30, 115, 226), ad alpes vallis di Vogna (vol. 2, p. 77), ex alpibus (o valle) Sessiae (o Sessitis) (vol. 1, p. 150; vol. 2, p. 9, 19, 27, 36, 38, 42, 58, 60, 86, 91, 162, 236, 242, 245, 249), in illis di Campertogno (vol. 1, p. 158), in summis alpis di Rima (vol. 1, p. 89), in saxosis (o nei dintorni) di Scopa (vol. 1, pp. 89, 114, 143; vol. 2, p. 9, 54, 98, 115), in ruderatis et fossi pinguibus di Borgosesia (vol. 1, p. 62). 16 - G. Biroli, De Nova Phyteumatis specie, ‘Memorie della Regia Accademia delle Scienze di Torino’, vol. XXIII, 1818, pp. 315-317; O. Mattirolo, L’erbario dell’Abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 3; R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 122. Negli stessi anni un altro medico valsesiano si dedicava con passione alla botanica, l’alagnese Pietro Giordani (1770-1808); anche costui è ricordato in alcune pagine dal Biroli (O. Mattirolo, L’erbario dell’Abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 4). 17 - L. F. von Welden, Der Monte-Rosa. Eine topographische und naturhistorische Skizze, nebst einem Anhange der von Herrn Zumstein gemachten Reisen zur Ersteigung seiner Gipfel, Wien, Gerold, 1824. 18 - ASPRV, Registri parrocchiali. 19 - G. Rotti, L’attività dell’Abate Carestia …, op. cit., p. 119. 20 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., pp. 123-124.
188
Le origini della famiglia Carestia di Riva (fonti: Appunti vari dell’abate Carestia, Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Museo Calderini, m. 19; F.Tonetti, Museo storico ed artistico valsesiano, s. II, tav. IX)
La scelta In una lettera del 23 marzo 190621, a consuntivo della sua vita, Antonio scriveva: “né mai più in vita mia ebbi a nutrire la minima velleità di aspirare ad un meno modesto impiego, perché soggiogato dal fascino del più morale fra gli istituti, l’amor della Patria, ed impotente contro la allettativa di una splendida Flora alpina che ad ogni piè sospinto mi deliziavo, ero abbastanza pago”. L’opportunità per rimanere in patria per dedicarsi agli studi sulla flora valsesiana giunse nel momento stesso in cui conseguiva la laurea. Il 9 dicembre 1846 don Carlo Angelotti di Cavallirio, rinunciava infatti al beneficio Bertolini22, che risultava ancora vacante nel 1848, quando il Carestia fu nominato sacerdote. 21 - C. G. Mor, Spigolando fra le carte di Antonio Carestia …, op. cit., p. 90; R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 124; M. Bonola (a cura di), Antonio Carestia …, op. cit., pp. 26-28. 22 - Il beneficio Bertolini venne istituito con lascito testamentario da Pietro fu Antonio Bertolino il 19 maggio 1687. Il testatore don Pietro Bertolini riservava la nomina e il diritto di patronato a favore dei fratelli G. Battista e Giacomo Chiesa, eredi Bertolini, e a favore dei loro eredi, in linea maschile, se essi avessero voluto accettare; nell’ipotesi negativa il diritto di patronato doveva passare, col consenso del parroco, alla locale confraternita del SS. Sacramento. Estinta la discendenza nel 1847 subentrò nel diritto di patronato del Beneficio Bertolini la confraternita (ASPRV, “Pro Memoria Beneficio Bertolini in Riva Valdobbia”, 1931). Il Bertolini fu anche il principale promotore dell’edificazione dell’oratorio di S. Rocco, eretto tra 1636 e 1641 (ASPRV).
189
La famiglia di Antonio Carestia (fonte: Archivio storico della Parrocchia di Riva Valdobbia, Registri parrocchiali)
Nel 1848 la confraternita del SS. Sacramento, valendosi del diritto di patronato loro conferito dal fondatore del beneficio, nominò Antonio Carestia titolare del beneficio23. La cappellania gli dava diritto a una rendita annua di 350 lire e a una casa presso l’oratorio. Gli obblighi del beneficiato prevedevano: “1° di celebrare quattro messe alla settimana nella Chiesa Parr.le 2° di celebrare una messa al mese nell’Oratorio di S. Rocco 3° di udire le confessioni in Chiesa e fuori presso gli infermi 4° d’insegnare la dottrina cristiana ai fanciulli”24 Secondo la consuetudine del tempo, anche al Carestia venne dato il titolo di abate, intendendo con questo appellativo il sacerdote libero da cura d’anime. La libertà dalla cura d’anime gli permise di dedicarsi a tempo pieno alla passione di famiglia: la botanica. 23 - Antonio Carestia non fu invece né cappellano dell’oratorio di S. Antonio in val Vogna né maestro della scuola della stessa frazione, come riportato in alcune fonti.Titolare del beneficio di S. Antonio, istituito con testamento di Michelangelo Morca del 2 ottobre 1733, cappellano e coadiutore dal 1819 al 1849, era un altro Carestia, Giuseppe, figlio di Pietro Carestia e di Maria Giovanna Bronzo (22 novembre 1791-29 maggio 1849). Durante l’Ottocento le scuole non erano affidate a cappellani, ma a maestri di professione; nell’archivio storico del comune di Riva sono conservati i “Convocati [della] comunità di Riva per la nomina del maestro” redatti a partire dal 1831; a partire dal 1871 sono poi conservate le “Nomine di insegnanti per le scuole elementari maschili e femminili di Riva e per quella di Vogna”; Maggiorina Frascotti nel 1886 fu nominata maestra per la “scuola di Vogna” (ASCRV, mm. 112 e 435). 24 - ASPRV, “Pro Memoria …”, op. cit.. 190
Nonostante la predilezione per gli studi, fu sempre fedele agli impegni presi come cappellano, celebrando quotidianamente nella piccola chiesa di S. Rocco “con convinzione, ma senza ipocrito zelo” e, officiando la domenica nella parrocchiale di S. Michele Arcangelo25. Della preferenza per gli studi botanici rispetto all’attività religiosa lo stesso Carestia non fa mistero nelle lettere inviate ai ricercatori con cui era in contatto: in una lettera del 18 aprile 1865 scrive di aver frequentato una settimana di esercizi spirituali presso il Sacro Monte di Varallo per “anticipare il pagamento d’un certo periodico debitaccio al Vescovo di Novara per non essere costretto a soddisfarlo negli estivi mesi che saranno molto più simpaticamente dedicati a Flora che non alla Religione”26.
Le condizioni finanziarie La cappellania gli dava diritto a una rendita annua di 300 lire e a una casa presso l’oratorio. A questo reddito si aggiungeva la rendita dei beni paterni, che ugualmente ammontava a 300 lire. Le condizioni economiche lo inducevano al risparmio: “Ho lasciato scadere il tempo utile per rinnovare l’assicurazione contro gli incendi, … risparmio d’azzardo se vuoi, ma nel nostro caso, se non plausibile, almeno scusabile”27. Le condizioni economiche lo indicevano al risparmio. “Ho lasciato scadere il tempo utile per rinnovare l’assicurazione contro gli incendi, … risparmio d’azzardo se vuoi, ma nel nostro caso, se non plausibile, almeno scusabile”28. Ma l’abate pativa la carenza di risorse finanziarie soprattutto per l’impossibilità di viaggiare: “La mia vagheggiata passeggiata a Genova l’ho rimandata alle calende greche per più motivi, primo dei quali di non espormi in viaggio senza i mezzi di sussistenza”29. “La tenuità del mio patrimonio, attorno a cui pigola una mezza dozzina di pronipoti, orfani di padre e di madre …” (lettera del 25 marzo 1905). In una lettera del 9 giugno 1877, lamentando la scarsità dell’indennizzo assegnatogli, che deve integrare con il reddito proveniente dal patrimonio di famiglia, si rammaricava che “un gruzzolo per un viaggio di 15 giorni non arrivo mai a porlo in serbo”30. Pochi anni dopo, ormai divenuto un botanico di chiara fama, decise di avanzare
25 - T. Ferraris, L’Abate Antonio Carestia, op. cit., p. 197; non volle invece accettare di essere confessore (G. Peroni, Impressioni estive. Alle falde del Monte Rosa. Una celebrità in fondo ad una valle, ‘Gazzetta del Popolo’, 20 agosto 1905, citato in: R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., pp. 124-125. Una testimonianza in questo senso è raccolta anche da E. Zanetta (L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 48), che ricordava una frase dell’abate: “io non giudico mai e per non mettermi nel caso di farlo per dovere, non ho neppure preso la confessione”. 26 - A. Soldano, Spunti di quotidianità e vicende varie …, op. cit., nota 7, p. 12. 27 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 134. 28 - Lettera del 7 febbraio 1873 al nipote Vittorio (R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 133). 29 - Lettera del 7 maggio 1871 (R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 134). 30 - A. Soldano, Spunti di quotidianità e vicende varie …, op. cit., pp. 13-14. 191
una richiesta di sussidio. In una lettera del 22 dicembre 1880 lamentava il ritardo della pubblicazione dell’Anacrisi in quanto sperava che potesse servirgli per la richiesta di sussidio presentata al ministro dell’Industria. In una lettera successiva, del 6 marzo 1881, esprimeva il proprio compiacimento per la pubblicazione, dicendo di non perdere la speranza nel sussidio: “non aspetto che l’arrivo dei primi zeffiri per battere di nuovo la campagna di Biella e Canavese prima, e le valli d’Aosta a stagione più inoltrata”31. Nel maggio 1881 il Carestia ottenne finalmente un contributo a titolo “d’incoraggiamento pei suoi studi e ricerche botaniche”32. Finalmente poteva permettersi qualche breve viaggio ed estendere le sue erborizzazioni anche nelle valli limitrofe a quelle del Sesia e nel luglio 1882 riuscì finalmente a compiere e li utilizzò subito per il tanto ambito viaggio di studio in val d’Aosta33. Godeva inoltre di un sussidio del Regio Economato di 200 lire, citato dallo stesso Carestia nella lettera del 25 marzo 190634. Negli ultimi anni della sua vita avrebbe potuto contare anche su un sussidio trimestrale di 150 lire concesso almeno dall’aprile 1894 dalla regina Margherita. In una lettera del 25 marzo 1905 però lamentava ancora “la tenuità del (…) patrimonio, attorno a cui pigola una mezza dozzina di pronipoti, orfani di padre e di madre”35. 31 - Ibidem, p. 14. 32 - Il sussidio è successivamente citato dal Carestia in una lettera del lettera del 25 marzo 1906: “… è ben vero ch’ebbi munifici conforti dai miei mecenati, quali il prof. Parlatore e i ministri Sella e Perazzi” (R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 133) ed è citato come ‘Sussidio Sella’ in un memoriale relativo all’abate Carestia (manoscritto autobiografico, sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, in: M. Bonola, Antonio Carestia …, op. cit., pp. 32-35). In una lettera del ministro dell’Industria a Quintino Sella del 19 maggio 1881 la somma era però indicata in 500 lire (R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., nota 67, pp. 156-157). 33 - A. Soldano, Spunti di quotidianità e vicende varie …, op. cit., p. 14. Il percorso di questo viaggio venne descritto in dettaglio dallo stesso Carestia in una lettera a Cesati dell’11 febbraio 1882: “A giugno avanzato tornai alla carica, passando da Rassa all’Oropa, e di là a Graglia sino a Ivrea, donde per S. Martino e Gressoney rientrai in patria. Ma ai 3 di luglio di nuovo valicai la Valdobbia diretto al Picolo S. Bernard, dove pernottai la sera del 7. All’alba dell’8, facendo strabiliare quelli da cui mi accomiatai, e poi l’albergatore di Courmayeur presso il quale arrivai la sera, solo soletto, col mio zaino sulle spalle, e con le mie speranze botaniche in cuore, raggiunsi il Col de la Seigne, percorsi l’Allée Blanche, rasentando il lago di Combal, e poi, conversando ora coi massi della stupenda morena del ghiacciaio di Myage, ora colle vertiginose guglie delle Dames Anglaises (10 luglio), calai a Courmayeur. Fatta più tardi la valle Ferret sino al colle omonimo, intercalando il contento per le mie raccolte all’ammirazione per le severe bellezze del Monte Bianco che sempre mi era vicino, per Col Serena passai a S. Remy (11 luglio), poi salii al Gran S. Bernardo (12 luglio) nel cui lago pescai (più fortunato del Prof. Parlatore) il Phoxinus laevis Agass. M’internai poscia nella povera e disamina Val pellice (13 luglio), da cui escii varcando il Colle di Val Cormiève (14 luglio) che mette in Val Tournanche, paese che evitai, preferendo l’Alpino suo albergo di Breuil. Presa la direzione delle Cimes Blanches (15 luglio) al chiarore di luna, ebbi campo di viaggiare ed erborizzare colassù a mio beneplacito, senza timore di arrivare tardi a Gressoney la Trinità, da cui ero separato dal Colle di Betta-Forca. Il giorno 16 luglio feci l’Olen e la sera dormii saporitamente più che mai nel mio letto. Addì 19 era di bel nuovo al M. Rosa all’altezza di 3500 m.s.m! (A. Carestia, Le ultime erborizzazioni nelle Alpi Piemontesi, ‘Nuovo Giornale Botanico Italiano’, vol. 14, 1882, pp. 146147; Bertolani Marchetti, Ricerche sulla vegetazione della Valsesia …, op. cit., pp. 519-520; R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 128; M. Bonola (a cura di), Antonio Carestia. Scritti diversi …, op. cit., pp. 104-105). 34 - Il sussidio di 200 lire del regio Economato mantenuto per un ventennio, venne ridotto a 80 lire nel 1905. (G. Peroni, Impressioni estive …, in: L. Pomini, I botanici ed i naturalisti della Valsesia …, op. cit., p. 32). 35 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 133.
192
La vita domestica L’abate organizzò la sua vita nella casa della cappellania. L’edificio è descritto negli atti del beneficio Bertolini, che ne era proprietario; si trattava di una “casa civile e rustica … con annesso giardino cintato – composta detta casa al sotterraneo di due cantine; al pianterreno di atrio d’entrata, piccola stalla, cucina e saletta con altra entrata secondaria e passaggio a notte; al primo piano di cinque stanze ed altra piccola stanzetta; al secondo piano di tre stanze e due piccoli locali con soprastante sottotetto. La casa è murata in pietre e calce, coperta a piode e ha lobbiali in legno a levante”36. In questa casa accolse come domestica Margherita Vicario, che portò con se una figlia, Maria (1863-1945). Margherita Vicario accompagnerà il Carestia anche nelle sue erborizzazioni, portando nella ‘civera’ il materiale necessario per la preparazione degli erbari37. A Margherita l’abate rimarrà sempre legato e nel suo testamento dell’8 e 17 aprile 1907 la nominò ‘erede particolare’, lasciandole la casa in Riva, con tutto il legname da ardere, il cibo, i mobili e le suppellettili presenti in quella casa e nella casa della cappellania38.
Una persona riservata ma cordiale È lo stesso Carestia a delineare la sua personalità, riservata ma cordiale, nella corrispondenza con amici e collaboratori. In una lettera chiarisce i motivi della sua riservatezza: “sono anni ed anni che qualche riparo lo trovo nella mia solitudine, che i mal informati confondono colla selvatichezza. Ed anche quest’inverno seguirò tal mio tenore di vita rovistando ed ordinando le mie raccolte; leggendo buoni libri … che mi fo spedire dagli amici; conversando a quando a quando con Margherita, a quando colla sua piccola Maria”39. In un’altra lettera chiarisce di non preoccuparsi di come questa sua solitudine sia interpretata dalle persone con cui viene in contatto: “non mi cale che i gaudenti, gli sfaccendati, i dissipatori mi chiamino affetto di ipocondria, a me importa di essere veritiero con me e cogli altri”40. La distinzione tra desiderio di solitudine e “selvatichezza” è confermata dalle testimonianze dei suoi interlocutori occasionali; Carlo Marco, direttore del Museo di Storia Naturale di Varallo, scriveva: “fui a Riva-Valdobbia, con un biglietto di presentazione del Calderini, per conoscere personalmente il Nestore dei botanici italiani. Fatto entrare nel piccolo studio, mi ricevette il Carestia con una certa diffidenza; forse 36 - Atto di vendita, 8 luglio 1920; ASPRV, m. 149, Carte novecentesche, Beneficio Bertolini. 37 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., pp. 124 e 140. 38 - Testamento dell’8 aprile 1907 (ibidem, Appendice, pp. 147-152); in: sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 16, è conservato un altro testamento dell’abate del 1898. 39 - Lettera s.d. (ibid., p. 136). 40 - Lettera del 1873 (ibid., p. 136). 193
non era troppo accetta al vegliardo la curiosità di un giovane qualunque, che desiderava conoscerlo. Ma, quand’ebbe letto i caratteri del Calderini e saputo che l’importuno era naturalista, e per di più amante della botanica, si alzò di botto, mi strinse con forza le mani, e dal fugace lampo che irradiò il suo occhio sinistro … capii che la mia presenza gli era cara. Si parlò per ben due ore, e volle che dopo colazione ritornassi da Lui, e a lungo conversammo ancora”41. La sua bonomia è percepibile dai suoi interlocutori anche fisicamente: “era alto, esile, con quel sorriso e quello sguardo indescrivibile che sono la rivelazione delle anime e delle menti di eccezione: aveva una distinzione che imponeva rispetto, unita a una bonomia semplice e calda che apriva il cuore”42. La sua cordialità emerge anche nei racconti di Erminia Zanetta, che trascorse a Riva l’estate del 1907: “era quasi cieco ed usciva di casa solamente per celebrare la Messa e per fare quattro passi”, ma divenne ugualmente il suo “maestro di prudente alpinismo”: a conclusione della narrazione di una serie di aneddoti, l’Autrice aggiungeva che l’abate “era adorabile”43. Erminia Zanetta ricordava tra le sue doti “quella di saper scherzare con signorile ed alta arguzia”44. Dalle lettere emerge infatti la figura di una persona dotata di grande ironia. Ironica verso gli amici, quando, descrivendo la fotografia di un amico, scrive: “nella foto si trova un non so che fuor dell’ordinario, qualche tratto che tentenna fra l’arzillo e il posapiano, fra l’anacoreta e l’epicureo, fra il santo e il briccone; insomma si direbbe che è venuto al mondo dal connubio del Carnevale e la Quaresima”45. Ironica verso i valsesiani: “in Luglio erborizzando in un pantanoso declivio presso Scopello fui intravveduto dalle fienajuole di quel paese. Mi tennero per un avvelenatore delle fontane, e so che si guardarono bene di servirsi di quell’acque lungo l’estate”46. Con la stessa ironia si sofferma sui suoi malanni: “un reuma lombare … così delizioso e discreto nell’approfittare dell’ospitalità che anche adesso dopo più di 20 giorni non si è ancora ritirato da casa mia”47. Tra i soggetti colpiti dalla sua ironia vi erano spesso i “difetti della sua casta, cioè dei preti”48. Significativo del carattere del Carestia è un episodio avvenuto nel 1885, quando la domestica Margherita e sua figlia Maria, saputo che una ragazza del paese voleva portare la sue seconda bambina all’orfanotrofio chiesero all’abate il permesso di ospitarla in casa; il Carestia, nonostante l’età ormai avanzata, acconsentì49. La bambina, a cui era stato assegnato il nome di Secondina Vicario, poi mutato in Bondelli, trovò nell’abate un tutore affezionato ed attento alla sua crescita. Nell’aggiunta al 41 - C. Marco, Commemorazione …, op. cit., pp. 192-195. 42 - E. Zanetta, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., pp. 45-46. 43 - Ibidem, pp. 46 e 48. 44 - Ibid., p. 48. 45 - Lettera del 22 gennaio 1872 al nipote Vittorio (R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., pp. 136-137). 46 - Lettera a Pietro Calderini da Riva 22 settembre 1867 (sASVc, Epistolario Calderini, m. 1). 47 - Lettera del 22 gennaio 1872 al nipote Vittorio (R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 137). 48 - E. Zanetta, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 48. 49 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 138. 194
Riva Valdobbia e la Valle Vogna (fotografia di A. Fava; da: G.Toesca di Castellazzo, F. Gerbaldi, N.Vigna, La Valle Vogna e Ca’ di Janzo,Valsesia,Torino, G. B. Paravia e C., 1908)
testamento del 17 aprile 1908 il Carestia decise di lasciare un erbario “alla giovanetta Secondina Bondelli figlia di Caterina in segno di […] speciale benevolenza per la buona condotta tenuta sinora, e pel suo amore allo studio”50. Il legame di Secondina con l’abate è testimoniato dal trasferimento che fece fare nel 1958 della salma dell’abate nella cappella che aveva fatto costruire per lei e per Maria Vicario nel cimitero di Riva51.
4 - La presenza nel Club Alpino, nelle associazioni e nei progetti valsesiani L’abate Carestia fu un discreto alpinista. Salì ripetutamente sul Corno Bianco (di cui lasciò due memorie pubblicate sul ‘Bollettino del Club Alpino’ nel 1869 e nel 1872)52. 50 - Aggiunta al testamento del 17 aprile 1908, in: R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., Appendice, pp. 147-152. 51 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 144. 52 - A. Carestia, Il Corno Bianco tra il Colle d’Olen ed il Colle di Valdobbia nell’alta Valsesia, ‘Bollettino del Club Alpino Italiano’, vol. 4, n. 14, 1869, pp. 24-33 (ora anche in: L. Pomini, I botanici ed i naturalisti della Valsesia …, op. cit., pp. 121-127 e in: M. Bonola, Antonio Carestia …, op. cit., pp. 39-50); P. Calderini e A. Carestia, Un’ascensione al Corno Bianco fatta il giorno 8 settembre 1871 da una signora italiana, ‘Bollettino del Club Alpino Italiano’, vol. 5, n. 17, 1872, pp. 352-355. Sempre sul bollettino del Club Alpino pubblicò un’altra monografia alpinistica: Il Grauhaupt o la Testa Grigia tra Gressoney ed Ayas (Alpi Pennine), ‘Bollettino del Club Alpino Italiano’, vol. 4, 1869, n. 15, pp. 151-163. I manoscritti di questi articoli sono conservati in: sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 12. 195
La parete est del Corno Bianco e la prima pagina della monografia di Carestia ad esso dedicata (da: ‘Bollettino del Club Alpino Italiano’, vol. 4, n. 14, 1869)
Nel 1869 fu nominato socio onorario della del Club Alpino La succursale di Varallo del Club era stata fondata due anni prima da Carlo Montanaro, Carlo Regaldi e Pietro Calderini 53. Pietro Calderini fu uno dei migliori amici dell’abate. Nell’epistolario Calderini sono conservate 789 lettere ricevute dall’abate dal 1865 al 190554. 157 sono invece le lettere del Calderini conservate nell’epistolario Carestia55. Questo rapporto personale favorì la collaborazione del Carestia a numerosi progetti valsesiani. Negli anni Sessanta del secolo collaborò alla costituzione del museo di Storia naturale di Varallo56. Riferendosi alla cerimonia di inaugurazione scriveva: “Non 53 - Si veda in questo volume il contributo di R. Fantoni, R. Cerri e A. Vercellino, Pietro Calderini, Carlo Montanaro e Carlo Regaldi. Un progetto integrato di progresso, scienza e montagna (p. 147). 54 - sASVc, Epistolario Calderini, m. 1. 55 - sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 16, Raccolta del carteggio tenuto dall’abate Carestia con scienziati e personaggi amici della Valsesia. 56 - “L’erbario pel nostro Gabinetto sta al presente componendosi con savissima cura dall’egregio mio amico abate Antonio Carestia, … e non correrà gran tempo che per opera di lui il Museo di Varallo possederà una bella collezione di ben mille piante fanerogame. Del Sig. Carestia sono pur dono prezioso le più belle vipere che preparate nell’acquazente entro vasi di cristallo, fanno vaga mostra di sé nello scompartimento dei rettili” (P. Calderini, Per l’inaugurazione d’un Museo di Storia Naturale e d’una sede di soccorso al Club Alpino Italiano fattasi a Varallo nei giorni 28 e 29 settembre, Varallo, Colleoni, 1867; ora anche in: M. Bonola, Antonio Carestia …, op. cit., pp. 103-116). 196
197
posso venire per più ragioni; me ne rincresce davvero; perché il dare un appoggio qualunque anche minimo all’istituzione che state per inaugurare, è sempre stato nei miei desiderii; siccome quella che si prefigge la diffusione della scienza tra il popolo, che ne ha tanto bisogno quanto del pane quotidiano”57. L’abate fu amministratore dell’Ospizio Sottile dalla nomina, avvenuta il 24 giugno 1870, sino alle dimissioni, comunicate con lettere del 19 aprile e 24 maggio 188258 e fu tra i promotori dell’osservatorio meteorologico fondato al colle di Valdobbia nel 187159. In tutti i progetti valsesiani mantenne però una posizione defilata. Ne è un esempio il coinvolgimento nella gestione dei giornali fondati dallo stesso Calderini, che il 7 febbraio 1884 comunicava all’amico la decisione di dare vita a una nuova testata, il ‘Gaudenzio Ferrari’: “Noi abbiamo fatto un passo ardito e arrischiato molto, ma ci fummo costretti. Noi pensammo a pubblicare un nuovo giornale ed è quello che tu pure riceverai domani. Esso è il primo numero che esce e porta il nuovo titolo di Gaudenzio Ferrari. Gazzetta Valsesiana. Il colpo è fatto; ma a vivere come faremo?”60. Lo stesso Calderini dieci anni dopo, il 17 dicembre 1894 annunciava al Carestia la chiusura del giornale: “Col finire di quest’anno io mi ritiro dal giornalismo e coll’ultimo numero di questo mese il Gaudenzio Ferrari cessa le sue pubblicazioni e muore di morte naturale. Muore perché io non mi sento più di scriverlo ... È dal dicembre del 1860 che faccio il giornalista, sono il decano di tutti i giornalisti della nostra Provincia; è tempo che vada a riposo. Al posto del Gaudenzio Ferrari uscirà altro giornale e lo scriverà il Tonetti Federico; avrà per titolo “Il Corriere Valsesiano”61. In questi dieci anni non compaiono articoli dell’abate sul giornale fondato dall’amico, che lo informa sulla nascita e sulla conclusione del progetto: il Carestia in questa vicenda appare come una persona informata dei fatti, ma poco coinvolta negli stessi.
Un patriota di simpatie garibaldine Sul libro di vetta del Corno Bianco l’8 agosto 1864 lasciò la frase “viva l’Italia libera, indipendente e una!”, a testimonianza della sua adesione agli ideali risorgimentali. 57 - Lettera a Calderini da Riva 22 settembre 1867 (sASVc, Epistolario Calderini, m. 1). 58 - ASCRV. 59 - R. Fantoni, R. Cerri e A.Vercellino, Pietro Calderini, Carlo Montanaro e Carlo Regaldi …, op. cit., p. …. Nel carteggio Carestia sono conservate due lettere del 1871 di padre Denza, che nel 1863 aveva fondato a Moncalieri l’osservatorio centrale della neonata Società Meteorologica Italiana (sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 16, Raccolta del carteggio tenuto dall’abate Carestia con scienziati e personaggi amici della Valsesia). 60 - sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 16, Raccolta del carteggio tenuto dall’abate Carestia con scienziati e personaggi amici della Valsesia, lettera n. 95.61 - Ibidem, lettera n. 107. 61 - Ibidem, lettera n. 167. 198
Il 24 settembre 1867 Giuseppe Garibaldi fu arrestato e la notizia venne pubblicata in prima pagina sul ‘Monte Rosa’ il 28 settembre62. Il successivo 1 ottobre l’abate Carestia volle ricordare l’eroe scrivendo sul libro di vetta del Corno Bianco di aver cantato “Tu ci annunzi da lontano che il servaggio d’Itali finì”, aggiungendo che “tale era il voto dell’anima nostra, ma l’amarezza del disinganno ci soffocò le voci in petto, pensando che il più nobile figlio della Libertà, Garibaldi, dal carcere d’Alessandria esulò in questi giorni pel suo scoglio di Caprera”63.
I valsesiani in sua memoria Nel 1912 un busto in bronzo dell’abate Carestia, eseguito da Giuseppe Rappa fu donato da suo padre, Giovanni, alla sezione di Varallo del Club Alpino Italiano64. Nell’articolo dedicato alla commemorazione dell’abate pubblicato in corrispondenza dell’inaugurazione del busto, Carlo Marco auspicava che l’abate fosse ricordato anche nel suo paese natale. L’augurio fu esaudito nel 1925. Nel centenario della nascita, su iniziativa di un Comitato di cui facevano parte il Comune, la sezione CAI di Varallo e la Società di Incoraggiamento, venne posato in Riva un bassorilievo in bronzo eseguito da Zeffirino Carestia, incastonato su un masso in granito; un fregio in bronzo riproduceva pascolo, zappino e alpenstock e due esemplari di ranunculus glacialis e artemisia nitida65.
5 - Il botanico L’abate Carestia fu uno botanico di altissimo profilo66, che contribuì in modo significativo alla conoscenza della flora dellaValsesia e dell’intero versante meridionale delle Alpi Pennine, come provano i cartellini fissati alle piante erborizzate e l’elenco delle specie determinate nei lavori scientifici. La sua attività si svolse prevalentemen62 - L’arresto di Garibaldi, ‘Il Monte Rosa Gazzetta della Valsesia’, a. 7, n. 305, 28 settembre 1867. 63 - Libro di vetta del Corno Bianco (Archivio della Sezione di Varallo del Club Alpino Italiano), in: M. Bonola (a cura di), Antonio Carestia. Scritti diversi. Alpinismo, Scienza e poesia di un abate valsesiano,Varallo, Società d’incoraggiamento allo studio del disegno in Valsesia, 1998, pp. 73 e 75). 64 - C. Marco, Commemorazione …, op. cit., pp. 189, 191. 65 - Completa l’opera l’iscrizione, proposta dallo stesso Marco nel 1912: Dinanzi alla maestà del Rosa / che alpinista conobbe / tra la ricca flora montana / che botanico principe illustrò / l’effigie / dell’abate antonio carestia /ammaestri gli uomini / alla virtù e alla modestia / (1825-1908). Il monumento fu inaugurato il 2 dicembre 1925 (B. Calderini, Abate Cav. Antonio Carestia …, op. cit., pp. 98-105). Il monumento è stato recentemente smantellato; i bronzi sono stati collocati in una nuova posizione e la lunga epigrafe del Marco è stata sostituita da una molto più breve: Abate Antonio Carestia /Riva valdobbia (Valsesia) 2-2-1825 12-5-1908 / Botanico. 66 - Cfr. nota 4.
199
te sul campo, con escursioni anche di più giorni sui monti della Valsesia e delle valli limitrofe (Canavese, Biellese, val d’Aosta e valle Anzasca). La sua attività di erborizzazione è descritta in sei libretti – in formato 10x14 cm –, che coprono tutta la sua attività, dal 1854 al 190767. Si tratta di taccuini di viaggio in cui sono annotati, probabilmente in un periodo immediatamente successivo all’attività sul campo, le date delle escursioni, le località visitate e sono elencati, con numero progressivo, i reperti raccolti con commenti su forme e colori. L’ultimo libretto, recante in copertina le annate 1902-1906, comprende anche 5 annotazioni del 1907, anno in cui l’abate aveva già 82 anni68. Questi libretti costituiscono probabilmente il ‘diario’ a cui rimandava l’abate su alcuni cartellini, ripetutamente cercato da Bertolani Marchetti e ritenuto disperso. Le sue pubblicazioni furono poco numerose, limitate ad alcuni gruppi del re67 - I libretti, scoperti da G. Rotti nel 1998 (G. Rotti, L’attività dell’Abate Carestia …, op. cit., p. 120), sono conservati in: sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 18. 68 - G. Rotti, L’attività dell’Abate Carestia …, op. cit., p. 123. 69 - F. Baglietto, A. Carestia, Licheni nuovi dell’alta Valsesia,‘Commentario della Società Crittogamologica Italiana’, vol. 1, n. 5, 1863, pp. 439-446; id., Alcuni licheni nuovi dell’alta Valsesia, ‘Commentario della Società Crittogamologica Italiana’, vol. 2, n. 1, 1864, pp. 82-85; id., Catalogo dei licheni della Valsesia. I., ‘Commentario della Società Crittogamologica Italiana’, vol. 2, nn. 2-3, pp. 240-261, 321-434; id., Catalogo dei licheni della Valsesia. II., ‘Com200
Libretti di erborizzazione dell’abate Carestia (Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Museo Calderini, m. 18)
gno vegetale e scritte quasi sempre in collaborazione con altri botanici69. Come scrisse nel 1909 il Ferraris nella prima memoria dedicata al Carestia botanico, “il venerando uomo ci ha lasciato carestia di scritti botanici, ma una ricca collezione di piante cui ha dedicato tutta la sua vita”70. Uno dei motivi della sua ‘carestia’ di scritti è individuato dallo stesso abate in una lettera del 25 marzo 1905 con cui si lamentava di come la sua esigua rendita non gli avesse consentì di “arricchire la … biblioteca, mentario della Società Crittogamologica Italiana’, vol. 2, n. 3, 1867, pp. 321-434; id., Anacrisi dei licheni della Valsesia, ‘Atti della Società Crittogamologica Italiana’, vol. 2, nn. 2-3, 1880, pp. 143-254-356, anche Milano, Tip. A. Lombardi, 1880; C. Massalongo e A. Carestia, Epatiche delle Alpi Pennine, ‘Nuovo Giornale Botanico Italiano’, vol. 12, 1880, pp. 306-366; id., Epatiche delle Alpi Pennine, ulteriori osservazioni ed aggiunte, ‘Nuovo Giornale Botanico Italiano’, vol. 14, 1882, pp. 212-258; id., Trois espéces d’hépatiques nouvelles pour la region des Alpes Pennines, ‘Revue bryologique’, vol. 10, 1883, pp. 100-102; A. Carestia, Le ultime erborizzazioni nelle Alpi Piemontesi, op. cit.. 70 - T. Ferraris, L’Abate Antonio Carestia, ‘Annali di Botanica’, a. 7, n. 2, 1909, pp. 197-205. 201
di provvedermi un competente microscopio, di visitare Musei ed Erbari e corrispondere personalmente coi botanici di cui mi vanto di aver amicizia, non è detto che avrei licenziato alle stampe qualche mio scritto in relazione ai miei prediletti studi”71. L’abate segnalò però le scoperte più interessanti e inviò campioni e lunghi elenchi di specie ai numerosi botanici con cui era in contatto, che pubblicarono i nuovi rinvenimenti72. Alla sezione di Archivio di Stato di Varallo sono conservati ad esempio alcuni di questi elenchi, come il “Catalogo delle piante spedite a Firenze al Prof. Filippo Parlatore” nel 185773. Nel carteggio Carestia sono conservate le lettere di quasi una cinquantina di botanici. Particolarmente consistente fu lo scambio epistolare con Giuseppe De Notaris (Milano, 1805-Roma, 1877), professore di botanica nelle Università di Genova (1843-1861), Napoli (1861-1872) e Roma (48 lettere dal 1858 al 1876); Vincenzo Cesati (Milano, 1806-Vercelli, 1883), professore di botanica e direttore dell’orto botanico di Napoli dal 1868, considerato con De Notaris il fondatore della crittogamologia in Italia (116 lettere tra 1854 e 1881); Francesco Baglietto (Voltri, 1826-Genova, 1916), allievo di Giuseppe De Notaris e fondatore con lo stesso e Cesati dell’Erbario Crittogamico Italiano (135 lettere dal 1857 al 1907); Carlo Massalongo, direttore dell’orto botanico dell’Università di Ferrara (192 lettere dal 1879 al 1901)74; più ridotta, ma significativa, per i rapporti di lavoro, è la corrispondenza con Oreste Mattirolo (Torino, 1856-Torino, 1947), professore di Botanica e direttore di orti botanici prima a Bologna (dal 1984) poi a Torino dal 1900 al 1932 (5 lettere dal 1883 al 1905). Alcune volte i suoi corrispondenti raggiungono il Carestia in Valsesia e si rendevano conto di persona dell’accuratezza delle sue perlustrazioni botaniche. Federico Baglietto, che stava collaborando con il Carestia dal 1857 alla pubblicazioni di studi sui licheni della Valsesia, lo seguì sulle montagne valsesiane in tre escursioni nelle estati del 1863, 1864 e 186575. Al termine dell’escursione del 1863 il Baglietto scrisse in una lettere a Cesati del 1 agosto 1863 di aver “potuto toccar con mano di quanta oculatezza e raro discernimento sia dotato l’ottimo Carestia”. Il riconoscimento delle sue capacità e della sua fama di studioso è testimoniato dalle numerose dediche alla sua memoria di nuove specie fatte da
71 - C. G. Mor, Spigolando fra le carte di Antonio Carestia …, op. cit., p. 81, Prefazione, op. cit., p. 9; L. Pomini, I botanici ed i naturalisti della Valsesia …, op. cit., p. 80; R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 135. Un microscopio con ottica Zeiss era poi riuscito ad acquistarlo, nel 1881, per una cifra superiore al suo sussidio annuale (310 lire); esso fu lasciato al comune di Riva con l’aggiunta al testamento del 17 aprile 1908 (in: R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., Appendice, pp. 147-152). 72 - A. Pistarino, L’abate Carestia …, op. cit., pp. XXXIX-XLI. 73 - sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 19. 74 - sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, Raccolta del carteggio tenuto dall’abate Carestia con scienziati e personaggi amici della Valsesia, m. 16. Le lettere del Carestia al Cesati sono conservate nell’Archivio di Stato di Vercelli; quelle al Massalongo nella Biblioteca comunale di Verona. 75 - A. Soldano, Spunti di quotidianità e vicende varie …, op. cit., p. 12.
202
diversi botanici76. La sua fama di erborizzatore si diffuse in tutta la comunità scientifica e spesso i botanico si rivolgevano a lui per cercare nuove segnalazioni. A questi il Carestia rispondeva puntualmente. In una lettera del 26 febbraio 1896 scriveva: “è probabile che il buon prof. Gibelli77, invocando la mia cooperazione finirà per cavar sangue da una rapa”, ma riuscì ad inviargli un elenco di 110 specie rare della Val Sesia e della Valle d’Aosta raccolte tra il 1866 e il 189678. Per quanto riguarda le piante vascolari l’abate non diede alle stampe i risultati delle proprie erborizzazioni; i materiali di flora vascolare raccolti da Carestia in Valsesia, conservati in sedi diverse, sono stati elencati e dettagliati da Bertolani Marchetti79, che ha anche dettagliato cartograficamente le località perlustrate80. Per quanto riguarda le briofite, gli studi sulle epatiche furono in parte pubblicate in lavori in cui il Carestia compare come co-autore81 e in studi condotti negli anni Venti da Cappelletti sulla base dei reperti raccolti da Carestia e conservati nelle collezioni torinesi82. Per i licheni il Carestia fu co-autore di alcuni studi condotti con Federico Baglietto83. Le sue raccolte in Valsesia sono state oggetto di studi attraverso carteggi84 e i lavori pubblicati85. Le ricerche sui muschi sono rimaste inedite e i reperti d’erbario costituiscono ancora adesso il corpo principale, in alcuni casi ancora unico, dei dati disponibili86.
76 - Patellaria Carestiae, Humaria Carestiae (Vincenzo Cesati); Peziza Carestiana (Ludwig Rabenhorst); Durella Carestiae (Giuseppe De Notaris); Belonium Carestianum, Spherulina Carestiae, Sydowia Carestiae, Staganospora Carestiana (Andrea Saccardo); Dendrophoma Carestianum, Melittosporium Carestianum (Giacomo Bresadola); Monacrosporium Carestianum (Teodoro Ferraris). 77 - Giuseppe Gibelli (1831-1898), professore di botanica all’università di Bologna. Nell’epistolario Carestia sono conservate 39 sue lettere (sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 16). 78 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 136. 79 - D. Bertolani Marchetti D., Ricerche sulla vegetazione della Valsesia, op. cit.. 80 - A. Pistarino, L’abate Carestia …, op. cit., p. XXXIX. 81 - C. Massalongo e A. Carestia, Epatiche delle Alpi Pennine …, op. cit.; id., Epatiche delle Alpi Pennine, ulteriori osservazioni ed aggiunte, op. cit.; id., Trois espéces d’hépatiques nouvelles pour la region des Alpes Pennines, op. cit.. 82 - C. Cappelletti, Contributo alla flora epatologica piemontese, ‘Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti’, n. 86, 1926, pp. 467-498; id., Repertorio dell’Epaticologia piemontese, in: Studi sulla vegetazione del Piemonte, Torino, Checchini, 1929, pp. 400-456. 83 - F. Baglietto, A. Carestia, Licheni nuovi dell’alta Valsesia, op. cit., Alcuni licheni nuovi dell’alta Valsesia. ‘Commentario della Società Crittogamologica Italiana’, vol. 2, n. 1, 1864, pp. 82-85; id., Catalogo dei licheni della Valsesia I., op. cit.; id., Catalogo dei licheni della Valsesia II., op. cit.; id., Anacrisi dei licheni della Valsesi, op. cit.. 84 - A. Soldano, Spunti di quotidianità e vicende varie …, op. cit.. 85 - D. Isocrono, E. Matteucci, C. Falletti, R. Piervittori, Contributo alle conoscenze licheniche nelle Alpi Pennine (Valsesia, Piemonte-Italia), ‘Bollettino del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino’, vol. 21, n. 2, 2003, pp. 261-474. 86 - A. Pistarino, G. Forneris, Le collezioni briologiche del Piemonte e della Valle d’Aosta conservate presso l’Erbario dell’Università di Tortino, ‘Bollettino del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino’, vol. 24, n. 2, 2006, pp. 191-231; A. Pistarino, L’abate Carestia …, op. cit., p. XLI. Alcuni elenchi sono stati pubblicati da G. De Notaris e G.Venturi, Osservazioni sopra alcune Briinee critiche o rare raccolte dall’Abate A. Carestia, ‘Nuovo Giornale Botanico Italiano’, vol. 18, 1886, pp. 297-304. 203
Di un gruppo di alghe, le diatomee, si è occupato Giaj-Levra87, mentre i reperti micologici furono esaminati da Bresadola e Saccardo e da Ferraris88.
Gli erbari Il risultato di decenni di erborizzazioni fu una grandiosa collezione di reperti botanici. L’abate diede inizio al suo erbario all’età di 28 anni con un reperto di Aesculum hippocastanum datato “primavera 1853”89. Sul cartellino precisava di aver “dato principio nel mio Erbario con questa pianta portatami da gentil persona”90. L’erbario principale, costituito da circa 25.000 reperti91, fu lasciato dal Carestia al comune di Riva, con tutti suoi libri e il microscopio con ottica Zeiss92. Il Saccardo, per facilitarne la consultazione, propose la cessione ad un grande museo di Firenze o Torino, dove si sarebbe unito agli erbari di De Notaris o di Cesati93. Il comune di Riva, con delibera del 22 agosto 1910, stipulò un contratto di vendita con Oreste Mattirolo e l’erbario finì all’Orto botanico di Torino94. Sul ‘Corriere 87 - P. Giaj-Levra, Diatomee della Valsesia, ‘Nuovo Giornale Botanico Italiano’, vol. 33, 1926, pp. 219-251. 88 - G. Bresadola, P. A. Saccardo, Enumerazione dei funghi della Valsesia raccolti dal Ch. Ab. Antonio Carestia, ‘Malpighia’, vol. 11, 1897, pp. 241-325; Id., Enumerazione dei funghi della Valsesia raccolti dal Ch. Ab. Antonio Carestia. Ser. II, ‘Malpighia’, vol. 13, 1900, pp. 425-452; T. Ferraris, Reliquie Cesatiane. II. Primo elenco dei Funghi del Piemonte, ‘Annuario del R. Istituto Botanico di Roma’, vol. 9, 1902, pp. 187-220; id., Enumerazione dei funghi della Valsesia Ser. III, ‘Malpighia’, vol. 18, 1904, pp. 482-503. 89 - Probabilmente in quella data l’abate conservava ancora l’‘erbario paterno’. Un altro erborizzatore appartenente alla famiglia Carestia fu (Eugenio Delfino) Alfonso Carestia (13 agosto 1863-15 febbraio 1948). Durante un periodo trascorso in Francia egli raccolse un erbario di circo 7000 specie, poi donato all’università di Besançon, in Valsesia 4000 specie circa in un altro erbario che andò distrutto nel 1930 in un incendio della sua casa (R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 141). 90 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 138; G. Rotti, L’erbario di fanerogame del Museo Calderini di Varallo …, op. cit., p. 158. 91 - In letteratura viene costantemente ripetuto che l’erbario era costituito da 25000 (cfr. ad esempio R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 141). La prima fonte riferisce però questa cifra alle ‘raccolte del Carestia’ (C. Marco, Commemorazione ..., op. cit., p. 196). E’ inoltre probabile che la cifra non sia riferibile al numero di specie ma a quello dei reparti. In: O. Mattirolo, L’erbario dell’abate Antonio Carestia …, op. cit., pp. 5-6, nell’erbario di Torino sono censiti 22650 esemplari elencati per gruppi e sottogruppi. 92 - “… lascio al Comune di Riva Valdobbia, mia patria, tutto il mio grande erbario” (aggiunta al testamento del 17 aprile 1908, in: R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., appendice, pp. 147-152). Per l’acquisto l’Orto botanico di Torino utilizzò un lascito di un suo ricercatore, Bruno Fedele di Occhieppo (O. Mattirolo, Nuovi materiali scientifici pervenuti in dono al R. Istituto Botanico di Torino 1907-1910, ‘Bollettino della Società Botanica Italiana’, 1911, f. 3, p. 34. 93 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 243. 94 - O. Mattirolo, L’erbario dell’Abate Antonio Carestia …, op. cit., pp. 1-6; id., Nuovi materiali scientifici pervenuti in dono al R. Istituto Botanico di Torino …, op. cit., pp. 30-37; R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., pp. 142-143. L’assetto attuale dell’erbario del Dipartimento di Biologia vegetale dell’Università di Torino riflette ancora l’organizzazione delle collezioni impostata a fine Ottocento nella quale le raccolte sono riunite su base sistematica e suddivise con criterio geografico; la collezione Carestia è conservata nell’Herbarium Pedemontanum, che include esemplari le cui stazioni di raccolta sono circoscritte al Piemonte e alla Valle d’Aosta.
204
Appunti del Carestia relativi ai principali tipi litologici della Valsesia (Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Museo Calderini, m. 18)
Valsesiano’ del 17 settembre 1910 una corrispondenza da Riva95 ne dava la notizia “con un senso di amarezza non disgiunto però dal compiacimento che ogni compaesano deve provare sapendo che il frutto di lunga fatica e di molto studio sarà degnamente e durevolmente conservato nell’Università di Torino” e ricordava che l’operazione avrebbe aumentato “l’aureola di luce che circonda la memoria di un valoroso valsesiano”96. A fugare i dubbi sull’operazione arrivò un articolo inviato, su invito dello stesso Carlo Marco, dal Mattirolo alla Rivista Valsesiana, che rassicurava i rivesi che la decisione 95 - Un paio di anni dopo Carlo Marco si assumeva la paternità dell’articolo (C. Marco, Commemorazione …, op. cit., p. 196). 96 - L’erbario Carestia, ‘Corriere valsesiano’, a. XVI, n. 38, 17 settembre 1910. R. Piacco (L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 159), citando Pomini (I botanici ed i naturalisti della Valsesia …, op. cit., p. 66), riporta un testo leggermente diverso che non proviene dal testo pubblicato sul ‘Corriere Valsesiano’ ma da un articolo successivo dello stesso Carlo Marco. 205
del comune aveva “assicurato alla nazione un monumento scientifico” che avrebbe dato “al suo autore quella fama che, a lui vivente, non fu concessa dai suoi contemporanei”97. Un’altra collezione, costituita da 827 entità raccolte dall’abate (di cui 621 della Valsesia, 114 della valle d’Aosta e 92 di altre località) dal 1854 al 1875 fu da lui stesso donata al museo di Varallo98. Un altro erbario con un migliaio di fogli fu donato dal Carestia al suo medico curante di Riva Valdobbia, Camillo Tirozzo; passato in eredità al figlio, Ugo Tirozzo di Fobello, fu lasciato (con testamento del 12 aprile 1986, alla sezione CAI di Varallo, insieme con una casa di abitazione che attualmente ospita il Museo Tirozzo alla frazione Campelli di Fobello)99. Nell’aggiunta al testamento del 17 aprile 1908100 è poi menzionato “un piccolo erbario composto da sette fascicoli di piante” lasciato a Secondina Bondelli. I campioni, con riferimento a quelli conservati nel Museo Calderini di Varallo, sono particolarmente pregevoli dal punto di vista estetico e dimostrano la perizia del Carestia nell’individuare le piante sul terreno e nel farle essiccare in maniera veramente egregia, “tanto che alcuni reperti paiono essere statai preparati non oltre un secolo fa ma una settimana fa!”101
6 - Archivi e sentieri di montagna L’abate Carestia non fu solo un valente botanico, ma anche uno storico del territorio che lasciò un’infinità di appunti a cui attingeranno svariate generazioni di ricercatori valsesiani102. La ricerca storica fu condotta in modo straordinariamente moderno ed insolito per l’erudizione locale di fine secolo, coniugando in modo esemplare ricerche d’archivio e conoscenza capillare del territorio. A proposito della trascrizione degli Statuti di Crevola il Mor scriveva che le note denunciavano “una soda preparazione storica ed una conoscenza non comune dei luoghi”103. 97 - O. Mattirolo, L’erbario dell’Abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 2. 98 - La collezione è costituita da 15 pacchi con circa 1300 entità; oltre ai campioni raccolti dall’abate sono conservati altre 450 entità donate all’abate da altri botanici (G. Rotti, L’erbario di fanerogame del Museo Calderini di Varallo …, op. cit., pp. 148 e 158). 99 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., p. 142; G. Rotti, L’erbario di fanerogame del Museo Calderini di Varallo …, op. cit., p. 165. 100 - R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., pp. 147-152. 101 - G. Rotti, L’erbario di fanerogame del Museo Calderini di Varallo …, op. cit., p. 156. L’accuratezza con cui il Carestia preparava il materiale era stata celebrata anche dal Buser (1857-1931). 102 - Secondo quanto scritto da Secondina Bondelli in una lettera del 23 dicembre 1957 a don Piolo, una parte delle sue carte fu distrutta: “si afferma a Riva V. che delle carte lasciate dall’abate si fece un gran falò nel mezzo del cortile” (R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., nota 105, p. 159). 103 - C. G. Mor, Spigolando fra le carte di Antonio Carestia …, op. cit., p. 85.
206
DA RIZZI
Pagine manoscritte da Briciole di Storia Patria (Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Museo Calderini, m. 19)
207
L’abate collezionò documenti notarili originali, scoprì statuti tardo-medievali, trascrisse memorie storiche dell’alta valle, annotò accuratamente tutto quanto osservava sul territorio104. Le sue carte rimasero a lungo trascurate. In tutte le commemorazioni viene ricordata solo la scoperta degli Statuti di Creola105. Significativa della percezione degli interessi del Carestia è l’affermazione del Calderini del 1925: “scienza, patria e religione avevano la stesso culto nell’animo del Carestia”106. Nel 1912 Marco scriveva che le sue carte erano nelle mani di un non meglio identificato avvocato valsesiano socio della sezione CAI di Varallo107, ma da questa mano non sarebbe uscita nessuna valorizzazione delle carte del Carestia. Nel 1925 Mor scriveva che i documenti raccolti al Museo Calderini costituivano “un pregevole fondo storico che attendeva un illustratore”108. Nel 1933 sarebbe stato lui stesso l’illustratore della parte più antica di queste carte. La raccolta di documenti, relativi prevalentemente al territorio di Alagna e Riva, abbraccia un arco cronologico compreso tra il Trecento e l’Ottocento109, fonte alla quale hanno attinto tutti i ricercatori che si sono occupati della colonizzazione del versante valsesiano del Monte Rosa110. 104 - Tra le montagne di carte si trova anche un insolito quaderno di “Appunti e nozioni per la vita pratica”, con capitoli dedicati alla produzione alimentare (“Memoria sul rappigliamento del latte”, “Mémoire sur différentes preparations culinaires de l’Epizze-Vinette”, “Memoria sulla conservazione della carne affumicata”), sulla caseificazione (“Memoria sul Formaggio Svizzero verde o formaggio delle erbe denominato schabzieger”, “Della fabbricazione e manipollazione del cacio”, “Sulla fabbricazione dei formaggi” (sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 18). 105 - O. Mattirolo, L’erbario dell’Abate Antonio Carestia …, op. cit., nota 2, p. 4; B. Calderini, Abate Cav. Antonio Carestia …, cit., p. 101. 106 - B. Calderini, Abate Cav. Antonio Carestia …, cit., pp. 101-102. 107 - C. Marco, Commemorazione ..., op. cit., p. 198. 108 - C. G. Mor, Spigolando fra le carte di Antonio Carestia …, op. cit., pp. 86-87. 109 - L’archivio del museo era stato sommariamente riordinato negli anni Settanta del Novecento; un secondo riordino è stato realizzato nel 1997 da Rossella Ratto, sotto la guida della Soprintendenza archivistica piemontese. I documenti furono donati nel 2000 dalla Società d’incoraggiamento allo studio del disegno alla sezione di Archivio di Stato di Varallo e depositati nel fondo ‘Museo don Pietro Calderini di Varallo’; nel 2010 è stata effettuata la rischedatura. 110 - E. Rizzi, Sulla fondazione di Alagna, ‘Bollettino Storico per la Provincia di Novara’, vol. LXXIV, 1983, pp. 335-368; id., Walser regestenbuch. Fonti per la storia degli insediamenti walser, Anzola d’Ossola, Fondazione Arch. Enrico Monti, 1991; B. Fantoni e R. Fantoni, La colonizzazione tardomedioevale delle Valli Sermenza ed Egua (alta Valsesia), ‘de Valle Sicida’, a.VI, n. 1, 1995, pp. 19-104. 208
Appunti del Carestia relativi ai minerali del territorio di Riva e Alagna e ai vocaboli dialettali di Riva (Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Museo Calderini, m. 19)
209
La collezione di documenti inizia con un atto del 1278 e i trentacinque documenti fino al 1399 sono stati pubblicati in extenso dal medievalista Carlo Guido Mor nel 1933111. Essa si compone poi di altri centocinquantatre documenti del Quattrocento e di altro centottantasei del Cinquecento112. Nel 1878 trascrisse una copia degli Statuti del Comune di Crevola del 1289, scoperti casualmente dal Galloni, corredandola di note paleografiche e storiche. La trascrizione fu donata al Museo civico di Novara e fu pubblicata l’anno successivo da uno storico ossolano, Enrico Bianchetti113, e poi ripubblicata ed analizzata criticamente dal Mor114. Raccolse inoltre i decreti dei Visconti notificati ai podestà di Varallo, Borgosesia e Valduggia. Il manoscritto, noto sotto il nome di Geniani-Carestia fu oggetto di attenzione solo dopo la morte dell’abate, sempre da parte del Mor115. Dalla consultazione di documenti di diversa provenienza stilò un elenco dei podestà della Valsesia dal 1307 al 1815116. Il Carestia quasi sempre comprendeva il valore delle sue scoperte archivistiche, che spesso segnalava in primo luogo a Pietro Calderini117. In una lettera all’amico varallese del 22 febbraio 1874 scriveva: “in premio della mia pazienza mi venne fatto in questi giorni appunto di fare anche una buona scoperta estranea alla 111 - C.G. Mor, Carte valsesiane fino al secolo XV, Borgosesia, Società Valsesiana di Cultura, 1933. 112 - Molti documenti provengono da lunghissimi assi ereditari e da questi documenti il Carestia prese appunti per la preparazione delle genealogie di numerose famiglie di Riva. Particolare attenzione dedica ovviamente alla famiglia Carestia, di cui annota anche le date di nascita e morte estratte dai registri parrocchiali (pp. 68-88), la presenza negli stati d’anime (pp. 98-117), la presenza nei documenti notarili (pp. 94-96). 113 - C. G. Mor, Spigolando fra le carte di Antonio Carestia …, op. cit., p. 85; E. Bianchetti, Statuti di Crevola di Valsesia. Un dono del Cav. Ab.e Antonio Carestia al Museo Patrio Novarese, Novara, Società archeologica novarese, 1879. La trascrizione degli statuti eseguita dal Carestia è conservata in: sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 18; nello stesso fondo è conservata un’altra copia degli statuti, trascritta da don Alfonso Chiara di Varallo di Varallo, parroco di Carpugnino (m. 11). 114 - C. G. Mor, La vicinia di Crevola Sesia, ‘Bollettino Storico per la Provincia di Novara’, n. XVIII, 1924, pp. 6-20, 125-152, 230-256; Statuti della Valsesia del sec. XIV.Valsesia, Borgosesia, Crevola, Quarona, in: Corpus statutorum italicalorum, Milano, Hoepli, vol. 15, 1932. La trascrizione degli statuti eseguita dell’abate Carestia, già segnalata da Mor (La vicinia di Crevola Sesia …, op. cit. pp. 19-20) presso il Museo Calderini è attualmente conservata in: sASVc, Museo son Pietro Calderini di Varallo, m. 18. Nello stesso fondo è conservata un’altra copia degli statuti, trascritta da don Alfonso Chiara (m. 11), di cui è documentata la corrispondenza con il Carestia in una lettera di quest’ultimo del 17 dicembre 1876 (C. G. Mor, Spigolando fra le carte di Antonio Carestia …, op. cit., p. 100). 115 - C. G. Mor, Di alcuni decreti viscontei inediti, ‘Archivio Storico Lombardo’, a. 51, 1924, nn. 1-2, pp. 254258. Della condizione giuridica di Borgosesia nella Curia Inferiore dell’Universitas Vallis Sicidae, ‘Bollettino Storico Bibliografico Subalpino’, n. 27, 1925, pp. 326-327; I manoscritti e le edizioni degli Statuti valsesiani, ‘Bollettino Storico per la Provincia di Novara’, n. 23, 1929, pp. 72-106. 116 - sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 18. 117 - Non sono invece note segnalazioni delle sue scoperte allo storico Federico Tonetti (1845-1911), che negli ultimi decenni dell’Ottocento raccoglieva dati per le sue opere dedicate alla storia della Valsesia (A. Sella, Federico Tonetti, ‘Bollettino Storico per la Provincia di Novara’, a. VIII, 1914, pp. 97-114; C. G. Mor, Federico Tonetti: nel cinquantenario della morte dello storico valsesiano, Borgosesia, Società Valsesiana di Cultura, quad. 7, 1962, pp. 17). Nell’epistolario Carestia sono conservate solo due lettere del Tonetti (1878-1880; sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 16)
210
L’abate Carestia in età avanzata intento a sistemare il proprio erbario (1904) 211
L’abate disegnò le antiche incisioni trovate sulla parete Calva così come quelle da lui stesso eseguite il 28 aprile 1874 (da: Briciole di Storia Patria, Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Museo Calderini, m. 19)
Botanica”118. La scoperta era costituita da un diploma di Francesco Sforza del 1451 costituente la più antica attestazione dell’antica fiera di Riva119. Nella lettera all’amico il Carestia proseguiva scrivendo che “il meglio che si potrebbe fare sarebbe che tu stesso ti occupassi dell’argomento, per farne ai lettori del Monte Rosa uno di quei graditissimi presenti che la tua colta penna, sempre intinta a patriottismo, sa colla più insinuante persuasiva loro offrire”. Ci sarebbe voluto però più di un 118 - Lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini, Riva 22 febbraio 1874 (G. Federici, L’Abate Carestia ricercatore di testi, ‘Il Sacro Monte di Varallo’, a. 83, n. 4, 2007, p. 11). 119 - Copia del 1874 in: ASPRV, Collezione di diritti, ragioni, accordi, convenzioni, estimi e cambi, fine sec. XVI in avanti, m. 3, f. 2. Il documento è trascritto anche nelle Briciole di Storia Patria (sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 19, pp. 224-227). 212
secolo prima che qualche storico utilizzasse il documento scoperto dal Carestia120 e ci poi altri vent’anni prima che gli appunti dell’abate sulla fiera uscissero dall’anonimato121. Se in ambito botanico la sua corrispondenza epistolare testimonia la collaborazione con un gran numero di ricercatori, in ambito storico i suoi corrispondenti sembrano nettamente inferiori come consistenza e qualità122. La sua attenzione non era rivolta solo alle fonti documentarie. Collezionò ad esempio un “Saggio di vocaboli del Dialetto che si parla in Riva di Valsesia per esercizio a chi voglia indagare con la scorta della linguistica da qual popolo fosse anticamente abitato il paese”123, corredato di note con segnalazioni di voci in documenti del Quattrocento e Cinquecento e negli Statuti di Crevola e Valduggia. In altri appunti, di cui si parlerà in seguito, annotò la presenza di toponimi di origine tedesca in alcuni insediamenti del territorio di Riva. Raccolse inoltre una traduzione della parabola del figliol prodigo nel dialetto di Riva pubblicata da Rusconi nel 1878 in un lavoro dedicato ai dialetti del Novarese e della Lomellina124.
Una fonte per la storia valsesiana: “Briciole di storia patria” raccolte dall’Abate Carestia Della grande mole di carte lasciate dal Carestia un solo testo, dedicato ai pregiudizi popolari della Valsesia, fu pubblicato postumo dalla Società Valsesiana di Cultura nel 1958 con una prefazione di Carlo Guido Mor125. Nel 1912 lo stesso Marco profetizzava che “nelle sue carte … altri tesori si scopriranno”126. 120 - E. Rizzi, Le fiere medioevali di Macugnaga e di Pietre Gemelle e l’evoluzione dell’economia walser nelle valli del Monte Rosa, in: AA.VV., I walser nella storia della cultura materiale alpina, Atti del V Convegno internazionale di studi walser, Macugnaga, 3-5 luglio 1987, Anzola d’Ossola, Fondazione arch. Enrico Monti, 1988, pp. 231-271. 121 - R. Fantoni e A. Ferla, La fiera di San Michele a Riva, in: R. Fantoni, S. Del Bello, G. Maculotti e J. Ragozzi (a cura di), La cucina delle Alpi tra tradizione e rivoluzione, Atti della XXI edizione degli ‘Incontri tra/montani’, Incontri tra/montani, Gruppo walser Carcoforo, 2011, pp. 259-266. 122 - sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, Raccolta del carteggio tenuto dall’abate Carestia con scienziati e personaggi amici della Valsesia, m. 16. 123 - sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 18. 124 - A. Rusconi, I parlari del Novarese e della Lomellina, Novara, Tip. Rusconi, s.d. (ma 1878), pp. 63-64. 125 - A. Carestia, I pregiudizi popolari della Valsesia, op. cit.. Il testo è basato su un manoscritto donato nel 1958 da don Florindo Piolo di Serravalle alla Biblioteca civica ‘Farinone Centa’ di Varallo. Don Piolo (1898-1973) raccolse anche lettere e autografi dell’abate Carestia, in parte conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Novara ed in parte presso la Biblioteca civica di Varallo (R. Piacco, L’abate Antonio Carestia …, op. cit., nota 62, p. 156). Il fondo depositato presso la biblioteca contiene anche le 113 lettere inviate dall’abate al nipote Vittorio dal 1862 al 1878. 126 - C. Marco, Commemorazione ..., op. cit., p. 198. 213
Tutto il materiale raccolto dall’abate rimase inedito. Oltre ai testi citati in precedenza e a una moltitudine di note affidate a fogli sparsi, lasciò una corposa memoria intitolata Briciole di storia patria127. Nonostante alcune note contenute nelle Briciole siano state utilizzate già da alcuni autori a fine Ottocento, il quaderno viene citato per la prima volta molto tardivamente. Il manoscritto costituisce una fonte inesauribile di notizie per la storia valsesiana. Lo scrivente ne ha ad esempio attinto in lavori sulla peste del 1631 in Valsesia128, su allevamento e cerealicoltura129, sulla dinamica del popolamento tardomedievale e sulla storia degli edifici religiosi130, sulla fiera di Riva131. Le Briciole contengono lunghe trascrizioni parziali di documenti di cui il Carestia possedeva copia originale o di cui ne ebbe una copia in visione132. Di ogni documento o gruppi di documenti l’autore annotava il nome della persona che gli aveva fornito il materiale. Come precisa lo stesso Carestia le trascrizioni serviranno anche per la ricostruzione dell’origine delle famiglie di Riva133. Questi alberi genealogici, ricostruiti per le famiglie Carestia, Minoia, Prato e Verno non saranno però affidati alle Briciole, ma rimarranno in fogli sparsi134. Di alcune famiglie che avevano
127 - Briciole …, op. cit.. Il manoscritto, di 261 pagine, sino agli anni Ottanta era depositato presso il museo Calderini. Quando nel 2000 il fondo documentario del museo venne ceduto alla sezione di Archivio di Stato di Varallo, le Briciole non erano incluse. Attualmente è disponibile presso la sASVc (Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 19) una fotocopia di una copia archiviata con il codice MC44 presso ‘Archivio Walser’ della Fondazione Arch. Enrico Monti. Il manoscritto è citato da Rizzi come “appunti manoscritti del Carestia” (E. Rizzi, Le fiere medioevali di Macugnaga e di Pietre Gemelle …, op. cit. nota 26, p. 270) o come “Briciole di storia valsesiana” (E. Rizzi, I giorni del pane nero, Milano, EDB, 2010, p. 272).Alcuni documenti citati in regesto nelle Briciole erano stati citati precedentemente come “pergamene originali” (E. Rizzi, Walser, gli uomini delle montagne-die Besiedler des Gebirges, Anzola d’Ossola, Fondazione Enrico Monti, 1981; ad esempio un documento del 1387 viene nominato a p. 155, nota 1). 128 - R. Fantoni, A. Ferla, A. Negro e E. Zanoletti, 1630. Colle di Valdobbia …, op. cit.. 129 - R. Fantoni, Le comunità di frontiera ecologica della Valsesia medievale, in: R. Fantoni e J. Ragozzi (a cura di), La gestione delle risorse nelle comunità di frontiera ecologica. Allevamento e cerealicoltura nella montagna valsesiana dal Medio Evo al nuovo millennio, Atti del convegno di Carcoforo, 11 e 12 agosto 2007, Carcoforo, Gruppo Walser, 2007, pp. 15-20; R. Fantoni, A. Papale, A. Regis e M. Sasso, La sappa e la ranza. Produzione alimentare e alimentazione in una valle alpina tra Medio evo e nuovo millennio, in: R. Fantoni, S. Del Bello, G. Maculotti e J. Ragozzi (a cura di), La cucina delle Alpi tra tradizione e rivoluzione …, op. cit., pp. 23-73. 130 - R. Fantoni, La Val Vogna (Alta Valsesia). Un insediamento multietnico tardomedievale sul versante meridionale del Monte Rosa, ‘Augusta’, 2008, pp. 57-62. 131 - R. Fantoni e A. Ferla, La fiera di San Michele a Riva, op. cit.. 132 - Briciole …, op. cit., pp. 6-54, 118-144, 146-152, 242-248. Grazie alla consultazione di numerosi documenti notarili distribuiti cronologicamente tra Trecento e Settecento il Carestia raccolse, disegnandoli con estrema cura e precisione, i segni tabellonali di quasi 200 notai valsesiani (sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 18). In una lettera a Pietro Calderini del 3 maggio 1874 accennava a questa lavoro e scriveva di averne già raccolti 134 (N. 24 lettere dell’Ab.e Cav. Don Antonio Carestia nelle quali si trattano quistioni storiche importanti intorno alla Valsesia; fondo probabilmente estratto dal canonico Romerio dall’epistolario conservato presso la Società d’Incoraggiamento; archivio privato). 133 - Briciole …, op. cit., p. 6. 134 - sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 19.
214
avuto un particolare rilievo nella storia civile del paese, egli raccoglie, in modo sparso, informazioni storiche ricavate dai documenti in suo possesso, iscrizioni presenti sulle lapidi mortuarie, elenchi dei notai appartenenti al casato, stemmi di famiglia135. Nel manoscritto sono trascritte memorie storiche sincrone, come la “Memoria eorum qui mortui sunt ex pestis in annis 1630 et 1631” e la “Memoria relativa alla peste del 1630”, tratta da “da un manoscritto foglio volante che era stato cavato da altro simile di Pietro Jachetti 1794 23 marzo”136. Particolare attenzione sembra essere dedicata anche alle memorie di eventi climatici particolari, come quella stesa il 17 luglio 1600 a ricordo del freddo dell’inverno appena terminato137, o ai loro effetti sulla vita della valle, come la memoria del 3 marzo 1628 sulla nevicata che aveva distrutto alcune case alla frazione Peccia138. Altre volte le informazioni su episodi meteorologici sono basate su osservazioni fatte dallo stesso Carestia, come le note sull’alluvione del 1755139. Di altre memorie storiche il Carestia, ritenute meno interessanti, fornisce invece un sunto. Curiosa è, ad esempio, la citazione di un libretto di memorie di un certo Carlo Giacomo, che scriveva che suo padre Antonio aveva ucciso 302 camosci prima del 1700 e altri 436 ne aveva abbattuti dal 1700 al 1734 (per un totale di 738). Lo stesso Carlo Giacomo precisava poi di aver continuato l’attività paterna, prendendo 180 “camozze” tra il 1723 e il 1760140. Dai libri dei consigli generali della valle annota gli abbattimenti di orsi e di lupi avvenuti tra 1657 e 1716141. Riassume anche tutte le note che trova su fogli sparsi tra le carte notarili, come quelle relative alla presenza di soldati spagnoli che per due anni rimasero a difesa del Colle di Valdobbia tra 1636 e 1638142. Le Briciole contengono anche appunti presi durante escursioni effettuate in Valsesia, che indicano una particolare attenzione per i segni lasciati sul territorio: disegna le incisioni presenti sulle facciate della pietra infissa al colle di Valdobbia nel 1767 per marcare i limiti tra il territorio di Riva e quello di Gressoney143; quelle presenti, con iniziali, segni di casato e data (1615), su una lastra di pietra ubicata sulla cresta che separa i ghiacciai del Garstelet da quello di Bors144; quella presenti con
135 - Per la famiglia Chiarini: Briciole …, op. cit., pp. 53-56, 63. 136 - Briciole …, op. cit., pp. 161-163, 177-178. 137 - Ibidem, p. 154. 138 - “… e cascatto la neve sopra le case de la peccia ha torro sette case …”; memoria trovata tra le carte della famiglia di Michele Carestia Bandarale (Briciole …, op. cit., pp. 125-126). 139 - Briciole …, op. cit., pp. 203-205. 140 - Ibidem, p. 229; R. Fantoni, A. Papale, A. Regis e M. Sasso, La sappa e la ranza …, op. cit., p. 48. 141 - Briciole …, op. cit., pp. 250-253. 142 - Ibidem, pp. 178-179. 143 - Ibid., p. 5. 144 - Ibid., p. 236. 215
iniziali e data (B1555C) su una pietra del parapetto del versante orientale del ponte del Gallo, demolito per la costruzione della strada carrabile145. Per Riva trascrive le iscrizioni presenti sull’affresco del Giudizio Universale presente sulla facciata della chiesa parrocchiale relative alla esecuzione dell’opera nel 1597 da parte di Melchiorre d’Enrico e al suo restauro eseguito nel 1810 da Giovanni Avondo146. In ambito religioso trascrive gli atti di separazione di Riva da Scopa del 1325, di Alagna da Riva del 1475 e l’aggregazione ad Alagna di Otro e Pie’ d’Otro del 1509147. Interessante risulta l’attenzione dedicata ai toponimi di origine tedesca presenti in alcune località della val Vogna. L’abate copiò, senza commento, da documenti della seconda metà del Cinquecento i toponimi “intus Biju” (alla Peccia), “ad stoch” (alla Peccia), “ad pratum del Vaut” e “intus Theige” (sempre alla Peccia), “ad pasquerium de grirte”, “a schos”, “ad Stoz”, “intus venghes” (In Dinti)148. Nel Saggio di vocaboli … riporta anche le voci “bodma”, località con un campo alla Peccia, e “grabo”.
145 - Ibid., p. 97. 146 - Ibid., p. 190. 147 Ibid., pp. 172-176, 167-169, 160-171. 148 Ibid., p. 237. Questi ed altri toponimi (Wassre, Hoch, Platte, Grabo, Tanne, Stotz, Garte e Scilte) furono segnalati (sulla scorta del Carestia?) da: C. Gallo, In Valsesia. Note di taccuino. 2a ed. con aggiunte e itinerari, Torino, Casanova, 1892; rist. anast., Borgosesia, Corradini, 1973. Recentemente alcuni toponimi walser (fat, fiela, garte, grabo, tanne, venghe) sono stati segnalati anche da P. Carlesi, Indagine toponomastica in Valle Vogna. 1a partearea di Peccia, ‘Notiziario CAI Varallo’, a. 1, n. 1, 1987, pp. 18-24; id., Indagine toponomastica in Valle Vogna. 2a parte-area della Montata,‘Notiziario CAI Varallo’, a. 2, n. 2, 1988, pp. 23-28. Per alcuni toponimi citati esiste anche un’antica attestazione documentaria. La voce grabo, fosso, compare in un documento del 1571 relativo al territorio della Peccia (sASVc, Fondo Notarile Valsesiano, m. 10420). La voce tanne, abete, compare in un altro atto del 1491 nel territorio della Montata (Briciole …, op. cit.). Inoltre due documenti del 1483 (Briciole …, op. cit., p. 23) e del 1589 (sASVc, Museo don Pietro Calderini di Varallo, m. 17) nominano rispettivamente un appezzamento di terra a prato e campo e un croso de Staffo oltre Vogna (R. Fantoni, A. Ferla e P. Carlesi, Guida ad un’escursione in val Vogna. L’eredità tardo-medievale: allevamento e cerealicoltura in una valle alpina, in: R. Fantoni, S. Del Bello, G. Maculotti e J. Ragozzi (a cura di), La cucina delle Alpi tra tradizione e rivoluzione …, op. cit., pp. 227-240. 149 - Nella sua nota segnalava, a quattro metri dalla fossa, la presenza di un lastrone di 130 cm di altezza e di 65 cm di larghezza, infisso verticalmente nel terreno, che essi trovarono parzialmente rovesciato e raddrizzarono; la lastra recava sulla faccia rivolta a sud la data “1303 W F.D.”; su quella rivolta a nord l’iscrizione “W GG 1666 A. 23”. Su un altro masso spaccato e semisepolto era presente la data “1846”, una piccola croce ed una coppella del diametro di 20 cm de della profondità di 15 con le iniziali G. C. (Briciole …, op. cit., pp. 206208). La salita alla Parete Calva è citata anche in una lettera del 3 maggio 1874 a Pietro Calderini (N. 24 lettere dell’Ab.e Cav. Don Antonio Carestia, op. cit.). In questa lettera scriveva, con la solita ironia, che “in mancanza d’Album i visitatori della Parete Calva incisero date ed iniziali fin dal 1666” e segnalava correttamente che la data 1303 era scritta in cifra arabica con “caratteri intermedi tra quelli dal 500 al 600”. Nel 1876 il Carestia formulò anche una “proposta per scavi alla parete Calva” (G. Rotti, comunicazione personale). 150 - R. Fantoni, Preti valsesiani sui monti della Valsesia, in: R. Cerri (a cura di), Patria, scienza e montagna negli anni risorgimentali: una prospettiva valsesiana, Atti del convegno di Varallo Sesia-16 ottobre 2010, Magenta, Zeisciu Centro Studi, 2011, pp. 133-145. 151 - A. Gorret, Ascension de la Becca de l’Aouille (Aiguille) (Valgrisenche), ‘Bollettino trimestrale del Club Alpino Italiano’, n. 9, luglio 1867, pp. 165-167. 216
Sulle orme di fra Dolcino Carestia è patriota (di simpatie garibaldine), storico estemporaneo e scienziato rigoroso, ma non coniuga la montagna alla patria o alla scienza. L’abate Carestia è semplicemente un vagabondo della montagna che nel 1874, seguendo le orme di fra’ Dolcino, sale anche sulla Parete Calva. L’abate visitò questa montagna, con suo cugino Vittorio Jachetti, il 28 aprile 1874; partì dalla frazione Dughera alle sei e trenta e, passando per il ‘sentiero delle capre’, che traversa sopra le Scarpie di Rassa, raggiunse il pianoro in un’ora e mezza. Nel suo manoscritto lasciò un appunto con le sue osservazioni sui massi incisi presenti sulla sommità della montagna, che costituisce la prima documentazione del fenomeno149. Ma l’abate non si limitò ad osservare e riprodurre le incisioni seicentesche inneggianti a fra’ Dolcino. Infatti volle lui stesso lasciare un segno del suo passaggio. Sul suo manoscritto annota infatti: “Incidemmo le iniziali del nostro nome e le cifre dell’anno corrente su un altro masso”. Nell’ultimo disegno allegato alla sua relazione riproduce anche quest’ultimo masso, su cui aveva lasciato le sigle “C.A I.V.” (iniziali di Carestia Antonio e Iachetti Vittorio) e la data “1874”150. Con la sua frequentazione l’abate Carestia offre il miglior tributo alla montagna, che non è soltanto un terreno di conquista alpinistica, un vessillo per la patria o un laboratorio scientifico; come scriveva un altro prete, valdostano, la montagna è un luogo ove la scoperta (alpinistica, naturalistica, storica) “c’est un plaisir toujours nouveau”151.
Il contenuto del presente lavoro deve considerarsi aggiornato al giugno 2012. Si ringraziano: Adriano Negro, per le informazioni ricavate dai registri parrocchiali di Riva relative alla famiglia Carestia nell’Ottocento; Gianfranco Rotti per alcune informazioni inedite sull’attività botanica del Carestia; Attilio Ferla per le informazioni sul beneficio Bertolini e su quello di S. Antonio; Riccardo Cerri per la segnalazione della lettera di Antonio Carestia a Pietro Calderini del 22 settembre 1867. Attilio Ferla e Gianfranco Rotti hanno inoltre contribuito alla revisione critica della prima bozza del testo.
217