photography artwork writing
Romance
M A R C H 2 0 1 3
Wanderer Magazine Wanderer è una rivista online senza scopo di lucro, pertanto non rappresenta una testata giornalistica in quanto i contenuti vengono aggiornati senza alcuna periodicità. Non può quindi considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n°62 del 7.03.2001. La proprietà dei testi e delle immagini è riservata ai rispettivi autori, ne è perciò proibito l’uso, sia per intero che parziale, senza previa autorizzazione. Clarissa Costa Editor-in-Chief Layout Designer Alessandra Balzani Co-editor Translator Leonardo Gatta Co-editor Contributors: Elisabetta Giuliano, Francesca Perticari, Giulia Pezzali, Manila, Caterina Gualtieri, Serena Pirredda, Francesca Baerald, Alain Duquesne, Alessandra Guardigli, Arianna Chierici, Alessandra Leoni
Immagine di copertina: © Caterina Gualtieri
Marzo 2013
“A coloro che, attraverso lenti a vapore, scoprono le stelle, e navigano nel filo del vento� Lord Byron
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CONTENTS PHOTOGRAPHY
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Elisabetta giuliano..............................6 Francesca perticari...........................12 giulia pezzali.........................................18 mANILA........................................................24 caterina gualtieri..............................30 serena pirredda....................................42 ARTWORK
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FRANCESCA BAERALD.............................47 SCRITTURA
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ALAIN DUQUESNE....................................52 ALESSANDRA GUARDIGLI.......................53 ARIANNA CHIERICI...................................57 ALESSANDRA LEONI.................................62
photography
| Marzo 2013
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elisabetta giuliano | photography | Marzo 2013
Elisabetta
Giuliano Italia
www.elisabettagiuliano.com Con la fotografia riesco ad essere totalmente me stessa e posso liberamente comunicare le mie emozioni. La mia timidezza diventa la mia forza dietro l’obiettivo. Il mio stile è sempre in evoluzione e sono ispirata dalle persone che vedo nella quotidianità ma anche da ciò che faccio: leggere libri, vedere film, ascoltare musica... Tutto per me è fonte di ispirazione. Voglio interagire con la gente attraverso questo linguaggio universale.
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Elisabetta Giuliano | photography | Marzo 2013
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Elisabetta Giuliano | photography | Marzo 2013
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Francesca perticari | photography | Marzo 2013
Francesca
Perticari
16 | Civitanova Marche | Italia
http://www.flickr.com/photos/freenflash/ http://www.facebook.com/pages/Freen-Photography/19485 2993909098?fref=ts Non sono mai stata brava a scrivere qualcosa, così ho scelto di fotografare. È un modo diverso per parlare e soprattutto per evadere, fuggire dai giorni monotoni, dalla sveglia delle 6 e dal viavai generale. La fotografia ti da carta bianca, sei tu il pittore, nessun altro. La mia persona è completata dalla fotografia, come se solo attraverso di essa riuscissi ad esprimere la mia parte più nascosta. Catturo attimi per creare e rendere visibile un mondo tutto mio, ricco di emozioni e fantasia. Cerco di incidere gesti, luci, sguardi, sorrisi. Questo per me è la fotografia, questo quello che per me rappresenta.
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Francesca Perticari | photography | Marzo 2013
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Francesca Perticari | photography | Marzo 2013
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giulia pezzalii | photography | Marzo 2013
Giulia
Pezzali
15 | Parma | Italia
http://www.flickr.com/photos/giuliapezzali/ http://www.facebook.com/pages/_Giulia-Pezzali-Photogra phy_/282087875162857?ref=stre am Teoricamente dovrei parlare di me, ma la storia è molto noiosa... e comunque preferisco che le persone capiscano chi sono attraverso le mie foto, perché è per questo che ho iniziato ad apprezzare la fotografia. Ho sempre trovato interessante il fatto che con un “semplice” click, un momento potesse essere immagazzinato “su un pezzo di carta”. Esso racchiude tutte le emozioni che hai provato in quel momento e, anche se il tempo passa, la foto non cambia e i ricordi si conservano per sempre. Per me è questa la fotografia. Io non ho uno stile vero e proprio, so solo che adoro solo fotografare paesaggi!
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Giulia Pezzalii | photography | Marzo 2013
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Giulia Pezzalii | photography | Marzo 2013
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Manila | photography | Marzo 2013
Manila
(JeyPhotography)
Catania | Italia
http://jeyphotography.tumblr.com/ http://www.flickr.com/photos/ jeyphotography
In genere io sono una persona che quando ha una passione o un hobby, e inizia a coltivarlo, poi si stanca e tralascia tutto. Ecco, per la fotografia non è stato affatto così, anzi aggiungerei che senza non saprei come riuscire a esprimere me stessa nel migliore dei modi. Nelle mie foto cerco sempre quell’atmosfera che susciti a me e a chi le guarda qualche sentimento interno, senza quello la foto per me non avrebbe senso, perché la cosa importante non è da quanto tempo scatti, ma la passione e l’amore che ci metti per farlo. Sono un amante della fotografia creativa e dei toni tenui e delicati. In questo percorso sono accompagnata dal mio 50 mm, (da quando l’ho comprato non l’ho più smontato dal corpo macchina).
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Manila | photography | Marzo 2013
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Manila | photography | Marzo 2013
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caterina gualtieri | photography | Marzo 2013
Caterina Gualtieri
20 | Milano| Italia
www.caterinagualtieri.com
Wanderer Magazine: Parlaci un po’ di te. Caterina Gualtieri: A volte si resta bambini e una piccola forza creata dai sogni che giuravamo di realizzare resta nelle nostre vene e spontaneamente cresce. Se raggiunge il cuore da vita alle ambizioni e forse io sono in balia di una di queste. 20 anni e trovarmi a scrivere di me perchè il mio mondo suscita interesse, un mondo che ancora devo costruire e di cui io vedo solo i pilastri, un po’ traballanti. Mi chiamo Caterina e sono italiana, originaria del sud ma adottiva del nord da più di un anno. Io che amo i prati, il sole e il cielo mi ritrovo a vivere nella grigia Milano che ti sorride dai suoi alti tetti. È stato tutto un susseguirsi di cose e di me, con tutta sincerità, non so dire molto. È la domanda più difficile che si possa fare a chi attraverso se stesso cerca di scoprire il mondo!
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Caterina Gualtieri | photography | Marzo 2013
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WM: Come e quando hai iniziato a interessarti alla fotografia? CG: La fotografia ha sempre fatto parte della mia vita, non personalmente nella mia: ero la modella numero uno di mio padre e il soggetto preferito della sua Yashica. Questa amica l’ho conosciuta 5 anni fa e non l’ho lasciata, l’ho impostata come un sogno da realizzare perchè ne ho sentito la liberta come il profumo d’un fiore nuovo: ogni foto scattata, ogni complimento, ogni critica. Le persone che mi ha fatto conoscere, i luoghi che ho potuto immortalare. La fotografia è diventata la capanna sull’albero che da bambina non ho mai avuto.
WM: Come descriveresti il tuo stile? CG: Non penso sia descrivibile, non perché sia particolare ma perché non c’è. È un continuo ripetere ciò che vedo ogni giorno, una specie di riproduzione di foto che ho fatto con occhi e cervello. Poi cerco di riportare tutto questo nelle foto che scatto. Non ci riesco sempre, purtroppo. Però ci provo. WM: Chi o cosa ti ispira? CG: Ok, allora, per il chi ci sarebbe da riempire pagine. Ho dei nomi tra cui Anastasia Volkova, Lina Tesch, Signe Vilstrup, Sara Mautone, Steven Meisel, Julia Petrova e poi, oddio, sono troppi. Come cose, beh, le cose che mi ispirano sono parecchie anche quelle. Può essere una particolare illuminazione della stanza in cui mi trovo o un oggetto che vedo in un negozio. A volte sono dei sogni che faccio, altre delle piccole frasi che scrivo sul mio diario. È casuale il modo in cui le cose, gli avvenimenti e le persone riescano a ispirarmi.
Caterina Gualtieri | photography | Marzo 2013
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Caterina Gualtieri | photography | Marzo 2013
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Caterina Gualtieri | photography | Marzo 2013
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WM: Pensi che la fotografia abbia cambiato le tue abitudini, la tua vita? Se sì, in che modo? CG: Senza ombra di dubbio, sì. Ha cambiato tutto, a partire dalla residenza. Come ho gia detto provengo dal sud Italia, esattamente dalla Calabria, e da un giorno all’altro, preso il diploma, ho deciso di trasferirmi a Milano (ci sono da un anno e mezzo oramai). Poi beh, le abitudini sono totalmente differenti. Lavoro, studio autonomamente per ampliare conoscenze ma anche per capire dove sbaglio e rimediare ai miei errori, passo su Photoshop ore e ore anche solo per imparare nuove tecniche e migliorare quelle vecchie. Cerco foto che possano aiutarmi per moodboards e ampliamento idee e poi vivo totalmente tutto. Ogni respiro, ogni sospiro. È una questione di appartenenza totale ad un sogno che a volte ti uccide, ti fa piangere tanto da far venire la nausea…altre ti fa sorridere come se per tutta la vita il tuo destino fosse alzarti e immortalare i secondi che scorrono
Caterina Gualtieri | photography | Marzo 2013
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serena pirredda | photography | Marzo 2013
Romance Serena Pirredda
22 | Genova| Italia
h t t p : / / w w w. f a c e b o o k . com/pages/Elle-Photography/257840844274063
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Serena Pirredda | photography | Marzo 2013
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Francesca baerald | artWork | Marzo 2013
Francesca Baerald
30 | Reggio Emilia| Italia
http://francescabaerald.deviantart.com/gallery/ http://www.facebook.com/ FrancescaBaerald
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Francesca Baerald: “Sono nata a Modena nella primavera del 1982, della quale conservo l’attitudine ai contrasti, non solo di colore. Ho sempre avuto un animo creativo ed emotivo che ha cercato di emergere fin dall’inizio. Dapprima tramite la musica, con lo studio del pianoforte, chitarra elettrica e violino e suonando in diversi gruppi metal, fino a incidere un cd. Ma è stato solo dopo il liceo scientifico e diversi anni di lavoro in vari rami che ho iniziato a intuire davvero cosa dovevo fare. Non sono mai stata una donna di mezze misure. Nel momento in cui ho deciso che il disegno, la pittura, l’illustrazione sarebbero stati la mia strada, ho lasciato il lavoro e mi sono dedicata completamente a questi. Dopo tutto se si deve fare qualcosa, meglio farlo con convinzione, con sacrificio, o non cominciare per nulla.
Francesca Baerald | artwork | Marzo 2013
Attualmente ho appena concluso il secondo anno di Illustrazione alla Scuola Internazionale Comics con il massimo dei voti e una borsa di studio e mi appresto a iniziare il terzo anno. Nel tempo libero continuo a coltivare il mio interesse per videogame, giochi di ruolo, film, fumetti, serie tv, fantasy, fantascienza e attività sportiva. Nel 2012 ho vinto alcuni concorsi (‘Sexy & Chaotic 2012’ e ‘Succhiasangue Contest’ tra i più rilevanti) e realizzo per diversi autori illustrazioni per giochi di ruolo, copertine di libri fantasy e colorazioni per comics. Le tecniche pittoriche che utilizzo sono di stampo tradizionale, con l’uso di colori acrilici, ad olio, chine e acquerelli.”
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scrittura
| Marzo 2013
Romance
Racconti e poesie scelte dalla redazione
* Saline - poesia di Alain Duquesne * Amore e Morte - racconto di Alessandra Guardigli * racconto di Arianna Chierici * La vita nei fondi di caffè racconto di Alessandra Leoni
buona lettura
NB: I testi non sono stati sottoposti a editing ma solo a lievi correzioni dove è stato ritenuto necessario.
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Alain
Duquesne
salinE
Italia
Che ce ne faremmo di una intimità altra da riconquistarci ancora… Di nuovi granuli d’aborto Di matrigne clessidre e sonnambule Teniamoci stretta la nostra fatica, ghermito il suo storto scrigno di finitezza. Avviluppiamola alla grattugia irta di neve, bucolica sposa caduca e silenziosa. La bolla di vetro ronzante sul caminetto sciolto, come testimonianza di una serata preziosa Che giova alle saline prosciugate, rintuzzando gli aloni smessi del focolare terso. Confido nel fatto che non fraintenderai più Il mio sonno mortale. E forse allora
Pur se vittima noiosa.
perdurerà questa Idea tra noi
Che non c’è cosa peggiore, di uno sguardo complice andato perduto per forza di cose. La più terribile delle torture.
alessandra guardigli | scrittura | Marzo 2013
Alessandra Guardigli
20 | Forlì| Italia
“Figlia di agricoltori, studio chimica all’università ma un giorno mi piacerebbe diventare scrittrice... nel frattempo mi piacerebbe che le mie storie catturassero qualcuno.”
amorE E mortE Esame di stato. Trepidante, scorgo i temi principali assegnati, corro alla ricerca del tema di ordine generale. “Che cos’è il vero amore? Esponi un tuo giudizio al riguardo”. Il vero amore? Ma che significa? Come possono mettere una traccia del genere sperando che gli studenti non cadano nelle banalità? È ovvio. È fatto apposta perché non vogliono temi d’ordine generale. Che cos’è il vero amore? È possibile che non sia un tema così scontato come la gente pensa? Quell’amore di cui parlano nei romanzetti per adolescenti innamorate... il ragazzo bello e dannato che cerca la bella solitaria e timida... di certo non è questo che cercano nel tema... ma allora che cos’è? Frustrato, guardo le altre tracce e scelgo di fare l’analisi del testo proposta…Ungaretti. *°* Sono passati anni da quel giorno. L’esame di stato è stato solo un breve passaggio, niente di insuperabile. La vera vita è qualcosa di totalmente diverso da quello che si crede quando si hanno 14 – 18 anni. Tuttavia mi chiedo se davvero ho vissuto. Ho 30 anni, e sono ancora in tempo per cambiare la
mia vita, ma non so cosa dovrei fare per viverla davvero... Ho amato. Ho amato una ragazza, si chiamava Giorgia Spittero. Avevo pensato di sposarla, di avere dei figli da lei, poi però c’è stato quel terribile incidente. Giorgia, la mia Giorgia, è morta in un incidente d’auto. Io non c’ero, avevamo appena fatto pace dopo un brutto litigio e tornava a casa, da sola, con la sua vecchia auto. Ma sono passati anni da allora: all’inizio il dolore era insopportabile, poi ho imparato a conviverci e ho deciso di rifarmi una vita. Però torno spesso a trovarla al cimitero. Mi fermo davanti alla sua lapide, ci sono poche scritte che non descrivono affatto la sua vita. Però la foto la mostra sorridente, così com’era sempre. Il mio vero amore è un qualcosa che a poco a poco, con la sua morte, si è dissolto, lasciandomi solo un’agrodolce ricordo. Alla sua destra c’è una lapide vuota, bianca... non so se sia perché il tempo ha eroso l’iscrizione o perché non ce n’è mai stata una. Quello che so è che c’è sempre una donna davanti a quella tomba vuota. Una donna dai lisci capelli neri corvini, gli occhi scuri e tristi incorniciati da lunghe e spesse ciglia nere. Porta sempre abiti molto sobri, neri da lutto e mentre aspetta davanti a quella tomba rimane in rispettoso silenzio, ma a tratti la vedo sorridere e accarezzare piano la superficie della tomba, con estrema dolcezza. Ormai sono anni che la ritrovo, ma non le ho mai rivolto la parola se non per brevi saluti di circostanza. Ho sempre pensato che fosse pazza a salutare quella lapide vuota, ma da quando ho iniziato a cercare un significato per la mia vita non ne sono più tanto sicuro. Qual è la differenza tra il rimirare una lapide vuota e il vivere con un lavoro che non dà niente, senza nessuno da amare? Mi avvicino piano alla donna, le chiedo: “Di chi è? Di chi è questa tomba?” “Questa?” mi chiede, sorridendo. “Questa è la tomba del mio Vero Amore. Il mio Cupido che mi ha trafitto il cuore. Vuoi ascoltarmi?
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Ti racconterò una storia.” *°* Geremia e Amanda si conoscevano da quando erano piccoli. Lui era figlio di una serva, lei era la piccola lady della casa. Quando raggiunsero i 14 anni capirono di amarsi. Quando potevano, trascorrevano i pomeriggi insieme. Geremia aveva un cuore impavido e sorrideva alle prove che la vita gli offriva. Le affrontava senza mai tirarsi indietro ed era questo che piaceva ad Amanda. Amanda, dal canto suo, era una romantica: sognava l’amore eterno e si divertiva a fantasticare su storie di fate e cavalieri, di grandi imprese e grandi sentimenti. Per lei Geremia era il cavaliere che veniva a salvarla dalla prigionia dei crudeli genitori, e il ragazzo si divertiva a personificarlo per lei, per vedere il suo sorriso e la brillantezza dei suoi occhi quando si commuoveva. Geremia le rubò il primo bacio in un caldo pomeriggio primaverile, distesi sull’erba del loro nascondiglio nel bosco. Lei era così bella quel pomeriggio, ritrovava i suoi sedici anni nelle curve armoniche del suo corpo cresciuto. Era un angelo quando la vide arrossire e ritirarsi, imbarazzata, solo per riavvicinarsi lentamente alle sue labbra. Da quel giorno Geremia ricercò i suoi baci in ogni angolo nascosto, il tentativo di non farsi scoprire faceva battere i loro cuori in sincrono, a un ritmo vertiginoso e incessante. Gli sembrava di vivere sospeso sulle nuvole, dove poteva guardare quello che gli altri facevano senza però dargli importanza. Erano fatti l’uno per l’altra, si promettevano che niente e nessuno avrebbe potuto dividerli. Ma questa non è una favola, e qualcuno seppe dividerli. I genitori di Amanda la promisero in sposa ad un giovane nobile di città, un giovinetto senza connotati che dalla sua aveva solo i soldi dei parenti. Amanda litigò coi suoi genitori, gridò che non voleva sposarlo e che amava già un altro, li supplicò di ripensarci, ma ottenne solo che i suoi genitori scoprissero la sua relazione col servo,
relazione di cui già sospettavano. La minacciarono di cacciare di casa Geremia, di licenziarlo se non avesse accettato il matrimonio, e quando lei si rifiutò insinuarono che lei avrebbe comunque sposato il nobile e che il servo era licenziato. A nulla valsero le proteste della ragazza, li strapparono l’uno dalle mani dell’altra. Geremia venne gettato in strada, senza casa né lavoro; lei invece, rosa dai rimorsi, seguì quanto richiesto dai genitori. “La nobiltà, i soldi, i genitori, potevano davvero uccidere l’amore?” si chiedeva il servo ormai vagabondo. Cos’erano state per lei quelle giornate luminose in cui bastava gustare le sue labbra per riempire una giornata? Il suo primo pensiero fu quello di arrendersi e lasciarsi morire. Cosa poteva esserci ormai nella sua vita? Poi però ripensò alla fiaba preferita di Amanda, quella del cavaliere che non si arrendeva mai, quindi decise di riconquistarla. Avrebbe guadagnato abbastanza soldi da permetterle di vivere con lui, se davvero lo amava avrebbe accettato di fare dei sacrifici. Negli otto anni che seguirono lavorò solo per lei, finché sentì di potersi presentare al suo cospetto senza vergognarsi. La incontrò, si inginocchiò ai suoi piedi e le chiese di scappare per lui. Aveva portato con sé i suoi vestiti migliori, per farle capire quanto poteva avere. Ma erano passati otto anni, e otto anni cambiano tutti: lei ormai era madre, di figli che amava e che non poteva lasciare. Pensò di lasciarla, di andarsene e di farla finita. Lei però gli prese il volto tra le mani e lo baciò, da lì tutto ricominciò: lei non aveva mai smesso di amarlo, di sognarlo, di desiderarlo. Ricominciarono a rubarsi baci nel buio, e insieme ai suoi baci assaggiò tutto ciò che aveva sempre desiderato. La sentì finalmente sua, solo sua. A volte le chiedeva ancora di scappare: odiava che ci fosse qualcun altro a toccarla, odiava persino che lei fingesse così bene con il marito. Fortunatamente quest’ultimo non sospettava di Geremia, che fu quindi assunto come servo
Alessandra Guardigli | scrittura | Marzo 2013
dalla sua amata. “Vieni con me, Amanda. Vieni con me, sarai felice. Avremo dei figli, nostri, avremo dei figli da amare. Vieni con me.” Geremia guardava spesso con invidia i figli di Amanda. Perché l’antipatico nobile poteva condividere una cosa tanto bella con la sua principessa? “Ripetimelo ancora, mio cavaliere...ripetimelo.” “Ti amo, principessa. Il mio cuore sarà tuo per sempre, ovunque andrai, ovunque andrò, qualsiasi cosa succeda. Non basterà la morte a dividerci, aspetterei in eterno per rivederti ed averti mia.” “Ed io custodirò il tuo cuore in una teca di cristallo, lo bacerò ogni notte prima di addormentarmi. Sarò tua per sempre.” Questa felicità perfetta, però, non durò a lungo, e la storia non ha una fine felice. Il nobile fu avvertito da una cameriera di aver visto Geremia infilarsi nelle camere della padrona, e lì lo trovò, abbracciato a sua moglie. Accecato dall’odio, colpì con la spada il servo, che rimase a terra sanguinante. “Cos’hai fatto? Mio Dio, cos’hai fatto?” Il maritò la picchiò e chiamò le guardie. *°* Adulterio. Era per questo che Amanda veniva portata al rogo. Impotente, Geremia la guardava, trattenuto dalle guardie. Il marito di Amanda non lo aveva colpito a morte e le guardie non avevano potuto arrestarlo, la legge valeva solo contro la moglie adultera. Lei piangeva, mentre la legavano al palo al centro della pira. “Geremia, Geremia, vieni a salvarmi!” mormoravano le sue labbra, quelle labbra che aveva amato baciare. Ma lui non poteva salvarla, non poteva liberarsi dalle guardie. La legna bruciò insieme a lei, tra le sue urla strazianti. Il cuore di Geremia bruciò, stretto tra le calde mani di Amanda. *°* Nessuno era rimasto al cimitero dopo la cerimonia. Nessuno oltre a Geremia, che si era
nascosto per evitare la rabbia cieca del marito. Avanzò e rimase in piedi davanti alla tomba. Pietrificato per ore. Come aveva potuto lasciarlo? Come aveva potuto andarsene da sola? Sarebbe almeno dovuta restare con i suoi figli, era per loro che non lo aveva seguito, no? Non aveva salvato la sua principessa. Lui non era mai stato un cavaliere, solo un inutile servo, e adesso tutto era finito, era finito per colpa sua. Come poteva vivere ancora? Come poteva? Non aveva la forza di procurarsi la morte, perché questa non lo veniva a prendere? Non si sarebbe difeso, e il luogo era adatto. Un luogo dove la morte regnava da sempre, dove ogni amore finiva. *°* Morte guarda da lontano il funerale, appoggiata alla falce. Amore, con i biondi capelli spinti dal vento, non riesce a smettere di piangere, appoggiato alla tomba, e Amicizia gli tiene una mano appoggiata sulle spalle, per consolarlo. Felicità non è venuta al funerale, non c’è riuscita, ha lasciato andare solo sua gemella, Tristezza, che adesso è vicino a Morte. Gelosia, invece, sta davanti alla tomba, nessuna lacrima bagna i suoi occhi verdi mentre si mangia le unghie, frustrata. Un po’ alla volta, tutti i sentimenti se ne vanno, scambiando parole di conforto con Amore. Amicizia è l’ultima ad allontanarsi dal biondo, dopo averlo abbracciato ed aver dato un ultimo saluto alla tomba. Scende la notte, Amore si alza. “C’è nessuno? Vi prego, è rimasto qualcuno? Non vedo niente, il rogo mi ha bruciato gli occhi!” Morte gli si avvicina. Amore sembra splendere nella notte, tanto è bello, anche se il suo volto è sciupato dall’amarezza dell’accaduto. I suoi occhi sono neri, bruciati da Odio che ha fomentato il rogo. “Di chi sono questi passi? Aiutami, ti prego, sono cieco e vedo solo ombre.” “Era tanto tempo che non ti soffermavi qui.” Morte guarda quel bel volto, amandolo sempre di più. Amore, che non può che essere amato,
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che non può che amare, sembra riconoscere la voce di chi gli ha parlato. “Morte, sei tu? Si, era tanto tempo che non ci incontravamo. Ormai è raro che ami qualcuno fino alla sua morte...” “Fino alla sua morte? Puoi anche tu smettere di amare?” “Beh... io amo sempre fino alla morte, ma... forse non capisci, non c’è una morte sola.” “Vuoi uscire?” “Sì, ma il mio cuore sarà sempre qui, lo stringeva tra le sue mani. Prendimi la mano e conducimi fuori, credo che Amicizia mi stia aspettando.” “Amore, Amore, non posso toccarti. Ti ucciderei.” “Allora guidami, guidami con la tua voce.” *°* Geremia continuava ad andare al cimitero, ogni giorno. Guardare la tomba di Amanda lo faceva sempre stare male, sempre allo stesso modo, sempre come se quell’orribile giorno fosse stato il giorno precedente. Erano passati anni, ma non aveva mai rivolto il suo cuore a nessun’altra. Il suo cuore se l’era portato via Amanda nella sua teca di cristallo. Perché ancora dopo anni continuava a soffrire in modo tanto smisurato? Perché non riusciva a smettere di amarla, come facevano tutti gli altri? Perché allora non moriva per raggiungerla? La morte sembrava quasi ignorarlo. Non sarebbe mai riuscito a vivere per se stesso: si odiava terribilmente per l’accaduto. Così viveva per gli altri, donava tutto ciò che guadagnava lavorando a chi ne aveva bisogno, così tutti quelli che lo conoscevano sembravano adorarlo. Era il loro eroe, ma lui si sentiva solo un assassino. Loro erano stati anime gemelle, perché il destino non gli aveva dato la possibilità di vivere con lei e amarla? Perché l’amore gli faceva questo? Perché non la smetteva di straziargli il cuore? *°* Morte si siede accanto ad Amore, davanti alla tomba. “La rimiri per ore... la ami ancora così tanto?”
“Non posso smettere di amare. Amo il suo ricordo. Ma mi ricorda te. Lei mi ricorda te, tu mi ricordi lei. La rimiro per cercare di capirti.” Amore cerca di appoggiare la mano su quella di Morte, ma lei la allontana di scatto. “Perché lo fai?” chiede il biondo, i suoi occhi che poco alla volta stanno tornando azzurri la guardano con una tristezza da far piangere il cuore. “Perché moriresti. Non posso che amarti, non posso che volere che tu sopravviva, ma se ti toccassi tu invecchieresti ed appassiresti, ed un po’ alla volta moriresti.” “Non mi importa quello che succederà. Io ti amo e resterò con te, qualsiasi cosa succeda il mio amore non muterà. Il resto non conta.” “Ma sarò io ad ucciderti!” “Ed io morirò felice. Sfiorami, voglio conoscere la tua pelle. Non avere paura.” *°* Amanda. Geremia adorava il dolore che provava pronunciando il suo nome. Gli ricordava il gusto delle sue labbra. “Amanda. La mia principessa.” E finalmente comprese. Comprese perché continuava a soffrire, perché continuava ad amarla. Ti amo, principessa. Il mio cuore sarà tuo per sempre, ovunque andrai, ovunque andrò, qualsiasi cosa succeda. Non basterà la morte a dividerci, aspetterei in eterno per rivederti ed averti mia. Ed io custodirò il tuo cuore in una teca di cristallo, lo bacerò ogni notte prima di addormentarmi. Sarò tua per sempre. Amanda aveva il suo cuore, e l’avrebbe avuto per sempre. Lo stava aspettando. Quel destino beffardo che li aveva separati in vita, non aveva potuto recidere il legame tra i loro cuori, nemmeno la morte aveva potuto farlo. Ma lei lo aspettava, nelle mani della morte, la morte teneva compagnia ad entrambi. Seduto nel freddo cimitero, per la prima volta dopo anni, sorrise. “Grazie morte, che mi permetti di amarla. Che un giorno mi permetterai di baciarla ancora. Lei è qui che mi aspetta, vero? Lei è parte della morte. È parte di questo cimitero. E, per sem-
arianna chiericii | scrittura | Marzo 2013
pre, sarà parte di me.” *°* “Ti sto consumando.” piange Morte. Amore le accarezza i capelli neri e la bacia. I suoi occhi splendono dell’azzurro più intenso, il colore della vita. “Non mi importa. Il destino non ci separerà mai. Se io morirò, sarò per sempre con te.” *°* Geremia non soffriva più. Ogni giorno continuava ad andare al cimitero, perché lo amava. Lo amava come amava la morte, perché sapeva che era lì la sua principessa. Amava ancor di più la sua sofferenza, perché sapeva che era il segno del suo legame con Amanda, era il segno della loro distanza. Era vecchio ormai, e nonostante il silenzio del cimitero e il freddo della notte, sentiva calore nel suo cuore. La sua amata lo baciava come ogni notte, prima di andare a dormire, ma questa notte Geremia avrebbe dormito con lei. *°* Guardo la tomba vuota accanto alla donna dai capelli neri, aspettando che lei continui. Lei mi sorride e accarezza la tomba. “Sai di chi è questa tomba? È quella del mio vero amore, di Amore. Il vero amore non è un amore che finisce. Il vero amore è semplicemente eterno, la sofferenza non può scomparire, può solo mutare. Per sua natura mi ha amato, per mia natura è morto. Anche se non posso più vederlo sorridere, so che lui sarà sempre con me. È parte di me. Ho respinto Geremia, perché capisse di amarmi e vivesse il suo amore con me, solo così poteva diventare parte di me e tornare da Amanda. L’ho amato e lui adesso vive con me. La morte non uccide il vero amore, lo muta soltanto. Ragazzo, amare la morte non vuol dire buttarsi tra le sue braccia, bensì amare la vita e accettare la morte, che è una parte necessaria della vita, che rende più splendente tutto il resto. Ama tutto ciò che riguarda la vita e vivrai davvero.”
Arianna Chierici
18 | Reggio Emilia| Italia
“Frequento il quarto anno del liceo classico della mia città. Scrivere è da sempre la mia più grande passione. Per me è qualcosa di molto naturale, il modo di esprimermi che più mi si addice. Ho conosciuto Wanderer Magazine grazie a un link nella pagina facebook che ho creato per tenermi in contatto con i lettori delle fanfiction che pubblico ormai da due anni su EFP” ht tp://www.efpfanfic.net/ viewuser.php?uid=132584 Nicholas sapeva che era una pessima idea. Lo sapeva fin dall’inizio, e a maggior ragione considerando i recenti avvenimenti che l’avevano visto protagonista a casa Brice. Quella serata era destinata ad essere un fiasco. Un completo, totale, rovinoso disastro. «Nick? Ti sei impiccato con la corda del cesso?» Nicholas roteò gli occhi, adocchiando un’ultima volta la faccia pallida e terrorizzata che lo fissava di rimando dallo specchio del bagno. Nella peggiore delle ipotesi se la sarebbe data a gambe. Magari avrebbe inventato una scusa: qualcosa come aver bevuto troppo, sentirsi la febbre o essere allergico ai fumogeni. «Nicholas. Se non vieni fuori da lì immediatamente giuro che- » «Ci sono, ci sono.» Uscì dal bagno senza particolare entusiasmo, trattenendosi a stendo dal passare una mano tra i capelli: per una volta che li aveva pettinati non ci teneva a vanificare
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i suoi sforzi. Naturalmente Eleanor era già in piedi di fronte all’ingresso, con una mano appoggiata su un fianco e l’altra stretta a pugno sulla tracolla della borsetta, neanche corresse il rischio di venire scippata all’interno di una proprietà privata. Nicholas non poté fare a meno di notare il modo ossessivo con cui la sua migliore amica fissava le pieghe della gonna vaporosa che stava indossando, come se non riuscisse a credere ai suoi occhi. Eleanor non era mai stata il tipo di ragazza da infilarsi abiti di quel genere. Non era mai stata il tipo di ragazza da nessun genere di abito, in realtà. Ma quella era una serata speciale, quindi Eleanor aveva indossato una gonna, aveva costretto lui a rintracciare nei meandri del suo armadio un paio di pantaloni che potessero essere definiti tali e ora lo fissava con un sorriso tanto entusiasta da rasentare l’inquietante. «Elle... Cominci a farmi paura.» Lei scosse la testa. «Scusa. Sono ancora sconvolta. Voglio dire, Robin Brice, Nick. Robin. Brice!» Già. Robin Brice. La capo cheerleader, popolare e oggettivamente perfetta – almeno fisicamente parlando – Robin Brice. La stessa Robin Brice che quella sera l’aveva invitato alla sua prima vera festa, il che era abbastanza sorprendente considerando che era orgogliosamente riuscito a scampare a quel genere di eventi per tutto il suo primo anno di liceo. Semplicemente, non era il tipo da feste. Esattamente come Eleanor non era il tipo da indossare una gonna. La differenza stava nel fatto che per lui l’invisibilità non era qualcosa con cui imparare a convivere: era perfettamente a suo agio con il suo status sociale, e non gli pesava non essere invitato a sporadiche ammucchiate di adolescenti stupidi e sudaticci, né ricevere qualche insulto nei cambi d’ora. Tuttavia, quel discorso non valeva affatto per Eleanor: ai suoi occhi, la visita di Nicholas a casa Brice e il successivo invito alla festa di compleanno di Robin era stata una vera e propria manna dal cielo. Il fatto che non si fosse mai interessata alla quantomeno curiosa serie di eventi che avevano portato uno come lui e la ragazza più popolare della
scuola – nonché di due anni più grande – ad avere una sorta di appuntamento senza nemmeno essersi mai parlati, non era altro che un sollievo per Nicholas. Quando poteva, cercava di mentire il meno possibile alla sua migliore amica. «... già. Robin Brice.» Eleanor sbuffò e si fece avanti, appoggiando una mano sulla spalla del suo amico. Nicholas si preparò mentalmente a quello che sarebbe seguito: i famosi incoraggiamenti di Eleanor. Un giorno avrebbe dovuto dirle che facevano pena. Forse. «Nick, non devi essere agitato. Lo so che questo è il tuo primo appuntamento, che lei è una cheerleader ed è anche più grande di te... » «Eleanor. Non stai aiutando.» Lei lo fulminò con lo sguardo. «Dico solo che non devi preoccuparti. Troverete sicuramente qualcosa di cui parlare. Sono sicura che anche a lei piacciono quei libri di cent’anni fa che tu- » «Scusa, stiamo parlando della stessa persona? Elle, è Robin Brice. Probabilmente non sa nemmeno leggere.» Eleanor si mordicchiò un labbro per non sorridere e, per sottolineare il suo punto, gli tirò uno schiaffetto sulla spalla. «Non è carino parlare così della tua ragazza.» «Non è la mia ragazza.» Lei gli lanciò uno sguardo esasperato e aprì la porta. Nicholas era talmente abituato ad averla per casa che non si stupì minimamente della disinvoltura con cui estrasse a colpo sicuro le chiavi da dietro il portaombrelli. «Come vuoi, Nick. Piuttosto, credi che Andrew Leakes verrà stasera?» «Andrew Leakes? Il capitano della squadra di basket Andrew Leakes?» «Wow, sai addirittura chi è.» Nicholas la guardò storto. «Già. E comunque sì, ci sarà.» Per un attimo, Nicholas temette che Eleanor gli avrebbe chiesto per quale motivo ne fosse tanto sicuro. Fortunatamente, era troppo presa a fantasticare sulla sua nuova cotta per formulare un qualsivoglia pensiero coerente. *** A Nicholas bastò mettere fisicamente piede in casa Brice per ricordare ogni singola ragione
Arianna Chiericii | scrittura | Marzo 2013
per la quale avrebbe preferito camminare su un braciere di carboni ardenti piuttosto che trovarsi ad una di quelle dannatissime feste. Prima di tutto, faceva caldo. Faceva caldo perché in una stanza che avrebbe potuto contenere un massimo di quindici persone ne erano ammassate più di cinquanta. In secondo luogo, le luci erano troppo basse, c’era un odore insopportabile e la musica sembrava animata dalla volontà propria di far schizzare il cervello di tutti i presenti fuori dalla sua sede naturale. Sempre che qualcuno degli avventori fosse davvero dotato di un cervello da far schizzare fuori. Stava giusto valutando se esporre le sue considerazioni a Eleanor, quando un suo strillo piuttosto acuto – seppur quasi del tutto coperto dal baccano in cui erano immersi – lo distolse dall’idea. Seguì lo sguardo dell’amica, che gli annunciava a gran voce di aver visto Robin, da qualche parte in mezzo a quell’informe massa umana. Dopotutto, individuare Robin significava individuare buona parte della squadra di basket. E individuare buona parte della squadra di basket significavaSì. Era decisamente una pessima idea. «Uhm... Elle, non credo di sentirmi molto bene- » «Nicholas, non fare il coglione e cammina.» Eleanor lo fece letteralmente avanzare a forza di spintoni. Avrebbe solo voluto che uno dei riflettori di dubbio gusto appesi qua e là per il soggiorno cedesse e lo centrasse in piena testa. «Nick, Ellison! Siete venuti.» «Eleanor.» La corresse velocemente Elle, sporgendosi ad abbracciarla come se si conoscessero da sempre. Nicholas era abbastanza sicuro che non si fossero neanche mai rivolte la parola, e il fatto che – quando aveva chiesto a Robin di poterla portare con sé alla festa – lei gli avesse chiesto chi diavolo fosse quella Ellison, era piuttosto significativo. Tuttavia, lasciò che si abbracciassero. E poi la abbracciò a sua volta, deciso a ignorare completamente i ragazzi alla loro sinistra. È imbarazzante trovarsi di fronte a persone che non sanno nulla di te, mentre tu sai praticamente ogni cosa di loro.
Ad esempio, Nicholas sapeva che Andrew Leakes tradiva la sua attuale ragazza con Robin Brice, nel chiaro intento di voler riprodurre un perfetto cliché ambulante. Sapeva che c’era un Luis con una passione imbarazzante per la musica disco e un Colin che si intratteneva in palestra dopo la fine degli allenamenti per non dover fare la doccia insieme a tutti gli altri. Sapeva tante altre cose, perlopiù aneddoti divertenti, stupidaggini. In ogni caso, rimaneva imbarazzante. Inoltre, era piuttosto sicuro che il cuore gli sarebbe schizzato fuori dal petto se avesse continuato a battergli in quel modo. Lanciò una rapida occhiata al suo fianco e – esattamente come temeva – non vide Matt Brice. Matt Brice lo swingman della squadra di basket; Matt Brice il fratello di Robin. Matt Brice, il dannatissimo motivo per cui stava soffrendo le pene dell’inferno in quell’orribile posto. «Ciao, Andrew.» Eleanor, naturalmente, non provava alcun tipo di imbarazzo a chiamare per nome qualcuno con cui non aveva mai interagito e fare così la figura della stalker. Nicholas sperò che la sua non fosse una cotta seria, perché in quel caso le avrebbe dovuto rivelare il prima possibile la simpatica tendenza di Andrew Leakes a frequentare due o più ragazze per volta. «Allora, ragazzi? Vi state divertendo?» «Beh- » «Veramente siamo appena arrivati. Stavamo pensando di ballare un po’. Vero, Nick?» No. Assolutamente no. Era lì per una ragione per precisa, e aveva intenzione di sbrigarsela il prima possibile. E poi darsela a gambe. «Uhm- » «Andrew, perché non fai fare un giro della casa ad Ellison? Io devo scambiare due parole con Nick.» Naturalmente, Robin aveva già intuito la cotta di Eleanor. Naturalmente non la considerava un problema e naturalmente Andrew non si sarebbe fatto sfuggire l’occasione di provarci con un’altra ragazza. Il fatto che la capo cheerleader dovesse parlare con lui lo terrorizzava. E sì, era lì per questo. Ma stava sul serio per succedere, ed era spa-
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ventoso riuscire a sentire le pulsazioni nel suo cervello fin sopra il suono opprimente della musica. Eleanor accettò di buon grado il compromesso e si allontanò con Andrew, senza risparmiarsi di fargli l’occhiolino. Il resto della squadra di basket – una volta perso di vista il suo leader – si disperse per la sala. Robin si voltò e si avviò verso le scale che portavano al piano di sopra. Nicholas la seguì a ruota. Contò i secondi di silenzio che scandivano la loro ascesa, sicuro di star perdendo qualche anno di vita di gradino in gradino. «Dì qualcosa. Per favore.» Lo mormorò sottovoce, senza curarsi davvero che Robin lo sentisse. La seguì passivamente: non aveva bisogno della sua guida per muoversi in quella casa. Aveva avuto tutto il tempo per imparare a conoscerla. «Hai detto alla tua amica che tra di noi c’è qualcosa?» Nicholas si fermò al centro del corridoio che avevano raggiunto, con una fermezza che non aveva. Per poco non tirò un sospiro di sollievo quando Robin si voltò a guardarlo. «Lui dov’è?» Eccola. La singola domanda che l’aveva portato a tanto. La stessa che lo assillava da giorni, per la precisione da quando Robin Brice aveva sorpreso suo fratello Matt – lo swingman della squadra di basket – a baciare la persona più disperatamente impopolare della scuola. Il che per lei avrebbe già costituito uno shock anche senza l’aggravante che la nullità in questione fosse di sesso maschile. «È spaventato, Nicholas- » «Anch’io mi spaventerei se mia sorella entrasse nella mia stanza mentre sono insieme a qualcuno e iniziasse a urlare come una disperata!» Robin spalancò la bocca, indignata. «E come avrei dovuto reagire? Tu non hai la minima idea di cosa significa!» Nicholas attese qualche secondo, giusto per darle il tempo di prendere coscienza di quanto aveva appena detto e rimangiarselo. Tuttavia, Robin si limitava a sostenere il suo sguardo, che si illuminava di secondo in secondo dell’arroganza di chi sa di avere in mano il proprio interlocutore. Nicholas odiava i cliché, sul serio. Infatti era
davvero convinto che qualche scuola del mondo vantasse un corpo cheerleader bello quanto intelligente. Solo, evidentemente non era quello il caso. «Non ne ho la minima idea, Robin? Hai ragione. Non ho idea di come ci si senta ad essere osannati da tutta la scuola per il gran merito di scandire il nome della squadra di football durante le partite, e nemmeno ad aprire l’armadietto senza la consapevolezza che qualcuno te l’abbia riempito di schiuma da barba, o ci abbia infilato dentro una lucertola morta- » «Okay, Nick. La tua vita fa schifo. Ma io ho appena scoperto che mio fratello è... uhm...» «Si dice gay, Robin, non è così difficile. Nemmeno per una come te- » «Una come me? Non ti permetto di parlarmi in questo modo in casa mia!» Nicholas scoppiò in una risata nervosa e parlò sottovoce, con le mani che tremavano dalla rabbia. «Pensi che mi sarei mai presentato di mia iniziativa? Pensi che l’avrei fatto se tu non mi avessi praticamente obbligato a venire qui stasera per parlarmi di Matt? Sono quattro giorni che non si fa vivo, e lo sai perché? Perché l’hai spaventato a morte. Sa perfettamente come vengo trattato io ogni giorno solo perché non mi uniformo alla massa di decerebrati di questa scuola. Se si venisse a sapere sarebbe la fine, Robin. Non tanto per me, ma per lui. Pensi davvero che Andrew e tutti gli altri lo farebbero restare in squadra?» «Nicholas...» «Non siamo a San Francisco, o a New York. Non possiamo permettere che qualcuno lo venga a sapere.» Robin lo fissò per un momento. Quando non disse una parola, Nicholas si rese conto di essere riuscito a toccarla, in qualche modo. Forse non come avrebbe voluto, ma vederla turbata per qualcuno all’infuori di se stessa sembrava già un progresso sufficiente. Prese un respiro profondo, e le parlò più dolcemente. «Non sarei qui se non tenessi davvero a Matt. Lui ha bisogno di sapere che non dirai niente a nessuno.» «Perché non glielo dici tu?» Robin indicò con il pollice la camera di Matt, abbozzando un
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mezzo sorriso. «Io vado a cercare Andrew e la tua amica... Nick?» Lui si voltò, con la mano già stretta alla maniglia della porta. «Mi dispiace per la lucertola morta e tutto il resto. Se mi dici chi è stato posso provare a fare qualcosa.» Nicholas scosse brevemente la testa. «Non importa. Oh, e buon compleanno.» *** Nicholas aveva conosciuto Matt grazie a una bomboletta di vernice. Qualcuno gli aveva scritto sull’armadietto una non troppo fantasiosa serie di appellativi poco carini, cosa di per sé non così inusuale. Ciò che si era rivelato veramente fuori dagli schemi era stato sorprendere il fratello della capo cheerleader, nonché componente della squadra di basket, intento a ripulire le macchie di tintura dalla latta dopo la fine delle lezioni. Quando Nicholas gli aveva chiesto cosa diavolo stesse facendo, Matt – dopo aver sobbalzato per la sorpresa di essere stato colto sul fatto – aveva semplicemente confessato di essersi sentito in colpa, dato che era presente quando il resto della squadra di basket aveva imbrattato l’armadietto. All’inizio Nicholas era stato diffidente. Questo fino a qualche settimana più tardi, quando Matt aveva blaterato qualcosa riguardo al fatto di averlo aiutato con un secondo fine, e poi l’aveva baciato. Cinque mesi prima, nel bagno dei ragazzi, dopo la fine delle lezioni. Da allora si erano visti fuori da scuola, e scambiati qualche rapida occhiata nei cambi d’ora senza che il resto del mondo se ne accorgesse, nemmeno Eleanor. La prospettiva che l’intera scuola venisse a sapere ciò che a volte continuava a spaventare anche loro, era qualcosa che semplicemente non potevano permettersi. E Nicholas sospettava che fosse proprio per quella paura se ora Matt lo guardava ad occhi spalancati, seduto a gambe incrociate sul suo letto. «Gli altri sanno che sei qui?» Chiese subito, senza preoccuparsi di fingersi disinvolto. Nick inarcò le sopracciglia.
«Sono quattro giorni che non parliamo e la prima cosa che dici è questa?» Lui abbassò lo sguardo, come se si vergognasse. Si sentì più colpevole che mai. «Nick- » «No, scusa. Robin ha detto che non lo dirà a nessuno e che è a suo agio con la situazione. Tranquillo.» Matt non disse una parola. Semplicemente, si alzò in piedi e lo abbracciò forte, come se fosse l’ultima volta che poteva farlo. «Matt, ehi.» «Mi dispiace. Non avrei dovuto evitarti, ma...» Nick avrebbe voluto dirgli che andava tutto bene, che non doveva colpevolizzarsi e che nessuno avrebbe saputo niente. Convogliò quelle molteplici intenzioni in un singolo gesto, sfiorando le sue labbra con le proprie. Poi gli sorrise. «Devo andare a cercare Elle, prima che si imboschi con Andrew Leakes. Mi aspetti qui?» Matt annuì in fretta, ancora vagamente scosso dai recenti avvenimenti e – se i sospetti di Nick erano fondati – dalla realizzazione che quell’asociale del suo ragazzo si trovasse davvero a una festa. «Nick?» «Cosa?» «Sono stanco di dovere fare finta di non conoscerti.» Nick sorrise. Perché Matt lo diceva sempre. «Lo so.» Cercò di incanalare tutta la sua comprensione in uno sguardo, senza tuttavia riuscire a nascondere un pizzico di tristezza. Si voltò verso la porta, ma Matt lo trattenne. «Matt? Devo andare a- » «Devi andare a cercare Elle, ho capito. Ti accompagno.» Gli strinse più forte la mano. Nick sorrise.
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Alessandra Leoni
24 | San Felice, Milano| Italia
“Ho iniziato a scrivere un po’ di anni fa, diciamo quasi dieci. Ho scritto un po’ di tutto, racconti di tutti i tipi, ultimamente mi sto dilettando anche a scrivere testi per band musicali. (Tra cui la mia, in arrivo, ma non ditelo a nessuno!). Ho scritto anche un po’ di poesia e ora sto scrivendo il mio primo romanzo. Mi sono laureata il 14 Febbraio in Linguaggi dei Media presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e la mia permanenza nella mia città natale, Milano, ha i mesi contati, perché tra qualche mese mi sposterò a Parma, dove continuerò gli studi in Editoria e Giornalismo. Ho un blog dove parlo di scrittura e libri.” www.talesofalibrarian.com
LA VITA NEI FONDI DI CAFFÈ La mattina e i suoi piccoli riti scivolano sempre via in fretta, troppo in fretta per poterseli godere appieno. Devono essere gesti essenziali, spicci, ma non superficiali. Mai e poi mai devono sfuggire via nell’indifferenza. Necessitano sempre di quel poco che basta per diffondersi in tutto il corpo e rimanerci, come un’ancora di salvataggio verso la vita frenetica di una città che non si ferma mai, che cerca di essere a misura d’uomo, ha la pretesa di essere per tutti, ma vive soltanto per sé. Per le proprie mura, le nuvole di fumo, la neve sporcata dal continuo smog che sbuffa dai tubi di scappamento delle automobili. La neve diventa nera e si trasforma in acqua - e scivola via, persa tra i cigolii dei
tram che percorrono le rotaie e le imprecazioni di coloro che hanno sbagliato a vestirsi quella mattina. Ginevra aveva deciso di fare colazione nel bar-pasticceria sotto casa sua. Ogni mattina, ad esclusione di tanto in tanto nei weekend. Il che implicava l’essere forte abbastanza per alzarsi e rendersi presentabile la mattina presto, per poter assaporare la dolcezza di un croissant all’albicocca sfornato da poco. Fare colazione in quel posto significava ammirare in tranquillità la processione, dalla cucina alla vetrina, di dolci immacolati, non ancora attraversati dalla lama del coltello impastato di glassa e di briciole. Ammirava quel cibo come se se prima di tutto fosse un’opera d’arte, una piccola meraviglia della scultura contemporanea. Coinvolgeva tutti i suoi sensi, in una sorta di danza che culminava nel momento in cui addentava quella dolcezza, quella morbidezza fatta a cioccolato, scaglie di mandorle e fragola. E per ogni umore e stato d’animo, Ginevra aveva dei dolci prediletti. I ragazzi del locale avevano imparato a decifrare come si sentisse, in base alla scelta. Il caffè era la base di tutto, senza la quale la giornata non poteva partire; e lo stesso, senza un cucchiaio di zucchero di canna, poteva essere sintomo di una giornata veramente amara. Poi, i dolci. Quelli al cioccolato erano per le giornate fredde ed impegnative e per le notevoli mancanze dovute alle nuove abitudini, stravolte le antiche, dato che la ragazza si era trasferita da poco in una città molto più grande del suo paesino natale sperduto nel nulla, per studiare all’università. Non era una persona eccessivamente appiccicosa, ma aveva bisogno anche lei, come tutti, di spicciole forme di affetto. E data la sua scarsa vita sentimentale, era giunta alla conclusione che nulla potesse darle più amore del cioccolato, sereno e disinteressato, senza le classiche delusioni, i ripensamenti che attendono dietro l’angolo. Quelli a base di frutta erano per i giorni spensierati, con poche cose da fare e dedicate al relax. Erano i dolci delle giornate a cavallo tra inverno e primavera, i sapori autunnali che danno spazio all’incedere del freddo e del buio. Soli-
Alessandra Leoni | scrittura | Marzo 2013
tamente, una torta di mele era accompagnata da una lunga permanenza in quel posto. Un grosso libro usciva dalla borsa - sempre sul punto di esplodere - e troneggiava trionfante sul tavolino, accanto al piatto, alla tazza colma di caffè, che vuotava subito, per non farlo raffreddare troppo, e poco distante dalla fetta di torta, a volte arricchita da un po’ di panna montata. Si poteva sentire un vago profumo di cannella aleggiare attorno alla ragazza, forchettata dopo forchettata. Un sapore piacevolissimo che andava a depositarsi tra le pagine dei suoi libri - o almeno, così le piaceva pensare. Poi, c’erano i biscottini. Quando ne ordinava una manciata, li faceva mettere in un sacchetto di carta e se li cacciava in quella borsa, sempre più paragonabile ad buco nero. E solo lei, quella ragazza dai capelli perennemente raccolti in una coda di cavallo, sapeva come potessero rimanere integri in mezzo a quel caos. E rimanere tali per una giornata intera. Quando chiedeva i biscottini, quelli con la marmellata, o quelli con le uvette, non era mai una buona giornata. Passava di corsa per il bar-pasticceria, vuotava la tazzina di caffè in piedi, non si levava neppure la giacca, e se ne andava, così com’era venuta, con qualche saluto schivo e gli occhi ed i pensieri ancora rivolti al fondo del caffè, cercando di dar loro una forma sensata. Ma perché mai cercare di raddrizzare una giornata storta, cercando il destino nei fondi del caffè? Erano giorni in cui era costantemente in ritardo, i giorni in cui la malinconia l’attanagliava senza un particolare motivo - era un sinistro presagio di stravolgimenti in arrivo. Un senso di fine imminente - ma fine di che cosa? Erano i momenti in cui Ginevra non cercava il benché minimo contatto umano, giusto il necessario, qualche buongiorno e buonasera sparsi nella giornata e nulla più; il resto era affidato agli auricolari del suo lettore mp3. Cercava la solitudine, quella di un asteroide che si allontana dai pianeti e gode segretamente di quel buio e di quel silenzio cosmico. E Ginevra vagava, vagava per la città, per i vicoli, senza meta, senza una direzione o una idea precisa. Ascoltando musica new age,
abbandonando il rumore delle macchine, dei mezzi pubblici, delle lingue straniere che riecheggiavano attorno a lei. Nel frattempo, sgranocchiava nervosamente biscotti, masticandoli rumorosamente, lasciando briciole sull’asfalto, che non avrebbe utilizzato per tornare a casa, perché non faceva mai la stessa strada due volte. In un giorno particolarmente triste per Ginevra, l’esame attento del fondo del caffè l’aveva fatta trattenere più del solito in pasticceria. Guardava dentro la tazzina, cercando di dare un senso a quel miscuglio di granelli di zucchero e rimasugli indecifrabili. Non che ci credesse particolarmente - e non sapeva nemmeno che esistesse un’arte divinatoria basata su quello - ma era un modo per stimolare la sua creatività, o così pensava. Aveva bisogno di attimi per poter dare sfogo alla sua immaginazione, e benché quello fosse un espediente ingenuo e sciocco, ci si dedicava con divertimento. Più le immagini erano nitide, più la giornata sarebbe stata positiva e ricca di creatività - le piaceva pensare che fosse così. In caso contrario, sarebbe stata una di quelle giornate dove sarebbe stato preferibile il vagare senza meta e l’assoluto far niente. Aveva appena afferrato il sacchetto con i biscotti e stava per andarsene, quando lei era arrivata in vetrina. E Ginevra si dimenticò all’istante di essere selvatica e di cattivo umore . La “Torta della Felicità”, così recitava il cartellino a fianco. Un trionfo di cioccolato, fragole, frutti di bosco. E cioccolato fondente, cioccolato fondente ovunque, con una pioggia di scaglie di cioccolato bianco. La decorazione nel piatto prometteva nuvole di panna, altre scaglie di cioccolato e qualche frutto rosso sparso. Ogni porzione recava un costo significativo, ma non era quello il problema - una felicità simile non aveva prezzo - e il problema non erano nemmeno le calorie. Qualche minuto di beatitudine valevano bene qualche settimana di camminate e di attenzione verso il cibo in più. Sembrava che nessuno volesse mangiarla, solamente ammirarla. Alcuni clienti si erano affiancati alla giovane per ammirare quella meraviglia culinaria, ma scuotevano la testa,
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guardavano l’orologio, si allontanavano mormorando parole di rimpianto, forse. Che cosa potevano essere qualche minuto rubato ad un lavoro che tutto sommato non piaceva, ma costringeva ad essere in piedi presto, quando sarebbe stato molto più preferibile il tepore delle coperte, di fronte ad una fetta di torta, una piccola perla di felicità in mezzo all’indifferenza? Che cosa poteva essere il malumore, l’inspiegabile tristezza che attanagliava il cuore di punto in bianco, di fronte ad un’ondata di buonumore, di un sorriso compiaciuto, fanciullesco e sporco di cioccolato e frutti di bosco? Il tempo non concedeva sconti, non ammetteva strappi ed eccezioni al preciso passare dei minuti. La vita scivolava via, secondo un prima ed un poi, ed il guaio era se ci si ribellava a questo meccanismo. Allora si preferiva andare avanti sulle rotaie, non mancando una tappa od una fermata, senza deviazioni, senza ritardi. Ginevra si fermò, continuando a guardare quella vetrina. Si levò il cappotto ed andò verso il suo tavolino preferito, quello vicino alla finestra che dà sulla strada, per vedere l’esistenza normale e lineare un po’ più da lontano. Là dove la vita scorreva come un mare increspato sempre dallo stesso vento e gli uomini sono solo vegetazione portata via dal flutto. Tirò fuori dalla borsa la bustina di carta con i biscottini dentro e li appoggiò sul fazzoletto messo sul tavolino poco prima. Anche quei poveri dolcetti necessitavano di un trattamento dignitoso, di tanto in tanto. Non aveva libri particolari dietro, soltanto un paio dell’università. Letteratura tedesca e letteratura russa. Letture interessanti ad ogni modo. Quindi tirò fuori il volume di letteratura russa ed iniziò a leggere, pronta a sottolineare tutto con la sua fida matita mangiucchiata e cortissima. E pensò con un sorriso che, forse, avrebbe proprio dovuto concedersi una fetta di felicità, perché in troppi nella vita la guardano, la desiderano, ma troppe poche persone hanno il coraggio di addentarla e di assaporarla davvero. Un paio di capitoli di scrittori russi, di tè rosso e biscottini più tardi, Ginevra si alzò e si diresse al bancone per ordinare la sospirata fetta di torta. E fu in quel momento che vide un altro
coraggioso come lei ordinare quel capolavoro di dolcezza. Il simile riconosce il simile, in fondo - e l’altro spirito coraggioso della mattinata era un ragazzo alto, molto alto per Ginevra, un po’ un figlio dell’ombra, dai capelli neri di media lunghezza e gli occhi neri. Sembrava minaccioso con quel naso aquilino ed in apparenza era molto sgraziato, a prima vista, ma la giovane si ricredette in fretta, pensando che in fondo, quel naso gli stesse bene. E altro che figlio della notte, quel ragazzo aveva un sorriso solare come pochi. Raro, ma dolce, come i suoi occhi neri. E dei modi affabili e gentili. La ragazza si mise in fila, sparendo dietro la schiena di quel ragazzo. Osservò il cappotto nero che aveva ancora addosso, lo guardò muoversi e parlare, mentre la sua mente le suggeriva di averlo già incontrato da qualche parte. “Un ragazzo così mica te lo scordi” ribatté tenace Ginevra alla sua mente, sospirando lievemente, sobbalzando non appena vide la Torta della Felicità venire sfilata dalla vetrina ed essere deturpata dalla lama di un grosso coltello. La fetta era immensa, il cioccolato e la marmellata colavano un po’ dalla porzione, e si fondevano alla panna aggiunta in un secondo momento, per poi confondersi con le gocce di cioccolato e qualche piccolo lampone che rotolava da una parte all’altra del piatto. Le mani del ragazzo strinsero quel piatto, reggendolo come se fosse una reliquia appena strappata dalle grinfie del tempo. Si voltò e sorrise a Ginevra, che lo fissava piena di meraviglia e ansia di capire se si fossero mai conosciuti davvero, in passato. “Ehi, Gin, prendi dell’altro?” gli chiese la ragazza dall’altra parte del bancone. Per tutta risposta, gli arrivò solo un gesto, rivolto verso quello che c’era nel piatto del ragazzo. Ginevra si sedette in modo di non perdere di vista il ragazzo e mangiò, con calma, boccone dopo boccone, rischiando che le andassero di traverso, quando la mente partiva a briglia sciolta e fantasticava, di fatto consentendole di uscire da quello stato d’animo cupo e malinconico.
Alessandra Leoni | scrittura | Marzo 2013
La Torta, comunque, era la Felicità. Tangibile, reale, non era un cumulo di ingredienti male assortiti. Ogni forchettata si scioglieva in bocca ed ogni singolo sapore si alternava all’altro con delicatezza e personalità. “Chissà se anche lui pensa che questa torta sia una delizia suprema, la cosa più buona mai mangiata prima” pensò, mentre un altro caffè il secondo - arrivava al suo tavolino. Il ragazzo mangiava con calma, leggeva il giornale con attenzione, sembrava così assorto e dimostrava più anni di quelli che Ginevra pensava potesse avere. Una tazza vuotata ancora una volta - troppo in fretta e forse non era proprio il caso di prendere un secondo caffè, data l’agitazione - ed i fondi del caffè si ripresentarono nel loro confuso groviglio. La ragazza mangiava e guardava quei fondi, cercando disperatamente una forma sensata che la conducesse ad alzarsi in piedi, ed andare a passo spedito verso quel ragazzo prima che fosse troppo tardi, nella speranza di scambiarci qualche parola e niente di più. Ed il passato si ripresentò nei fondi di caffè, con figure in movimento frenetico e continuo. Un passato remoto, remotissimo, dove probabilmente Ginevra non era nemmeno Ginevra e lui non era nemmeno lui. Ma è pur vero che di fronte a certe persone, si ha quella sensazione di conoscerle da una vita, e ancora non lo sai, non lo sai ancora e combatti con la razionalità, l’unica risorsa che l’essere umano ha veramente a disposizione per non rimanere succube di certe esperienze sconvolgenti. A volte però, quella razionalità sa farsi da parte, non è invadente ed ostile, rimane attenta, ma ti dice di lasciarti andare, di non escludere che qualcosa prima potesse essere veramente successo. “Ma prima di cosa?”. A Ginevra venne quasi da urlare, ma tenne duro, e si aggrappò alla bontà del dolce. Il fondo della tazzina le rispose che semplicemente, l’esistenza è fatta anche di mistero, di un passato che dorme nella nostra mente, assieme a quella parte di noi che l’ha vissuto. E che non c’è niente di sbagliato nel ritrovare qualcuno incontrato in passato. Quando si
era fiamma, quando si era solo pioggia e vento, piccole gocce dalla memoria potenzialmente infinita e di fatto incancellabile. Ginevra pensò che se si fosse alzata e fosse andata a dire a quel ragazzo esattamente quello che i fondi del caffè le avevano appena detto, quella povera creatura sarebbe scappata via a gambe levate, reputando che in quel posto mettessero sostanze stupefacenti nei dolci. Ma è proprio vero che l’esistenza, quella autentica, si annida nei fondi delle tazzine, nei luoghi più impensati, dove la felicità può essere addentata e mangiata con gusto, ed ha un sapore a dir poco divino e che ti fa venire i fianchi più tondi ed un filo di pancia - e non te ne frega nulla se si notano. Questa è la vita, senza che qualcuno più grande e grosso di te ti possa mettere la fretta che sei stufo di avere ogni santo giorno per una vita che avevi da sempre sognato differente, ma che ti hanno fatto credere irraggiungibile. La felicità è una torta di cioccolato libidinosa, dice la mente di Ginevra, è quel ragazzo che si alza lentamente, che anziché leggere il giornale ha passato il tempo a domandarsi se effettivamente quella ragazza piccola e dalle gambe in carne, è una persona a lui nota. E si avvicina a lei. Ginevra va nel panico quando non ha niente sotto controllo, quando non ha risposte chiare e certezze. Lui, semplicemente si fida di quello che sente dentro. E sa che non c’è solo questa vita, ma fiumi sotterranei di esistenze pregresse e future. Lo ha accettato e vive tutto con la massima serenità. Ginevra lo guardò spostare il suo cappotto e la sua borsa-buco nero, ed appoggiarle sull’altra poltroncina. Lo vide sedersi e sistemare il proprio piatto davanti al suo - entrambi erano a metà fetta. Lei stringeva ancora tra le dita la tazzina di caffè, che era tornata ad essere un oggetto quotidiano, ed i fondi erano semplicemente i fondi confusi e senza alcun disegno nitido. Mentre l’appoggiava sul tavolino, per afferrare il piatto, provò a guardarlo negli occhi e incontrò senza troppa paura il suo sguardo dolce e mite. Un sorriso le sfuggì e si rilassò
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all’istante. Mangiò assieme a lui un altro po’ di torta, guardandosi come se tutto quello che importava davvero fosse già stato detto prima, anni prima; come se si conoscessero da sempre e fossero legati da molti anni e si incontrassero nuovamente, dopo essere stati separati a lungo. “Lo sai che ci siamo già amati prima” gli dice il suo sguardo, la piega delle sue labbra, qualche sporadica ruga sulla fronte, rendendo quel ragazzo più vivo ed espressivo che mai. Ginevra scioglie le resistenze e lo sa, n’è certa. Si sono amati. Si potranno amare di nuovo, in questa vita? L’unico modo per rispondere è avvicinare la propria poltroncina alla sua, ed allungare la mano libera verso la sua - che riconosceva già in ogni pregio e difetto - e sorridere ed annuire in silenzio. “Lo so. Bentornato” è tutto quello che gli occhi di Ginevra hanno da dire, senza ombra ed incertezza. Le sue dita s’intrecciano alle sue e si sente a casa in quella città che accoglie tutti ma non accetta nessuno fino in fondo. Come se avesse tenuto stretta la sua mano fino al minuto prima. Mangiano in silenzio, anche se l’appetito di aspettare qualche parola dall’altro è più forte di quello biologico. Ma vuotano il piatto della felicità senza rimpianto, aspettando con un po’ di avidità ed egoismo il prossimo, di cui non conoscono il momento dell’arrivo. La vita è così, a sorpresa ti mette davanti pietanze che dovrebbero saziare istantaneamente, dopo qualche forchettata, ma si va avanti a mangiarle, perché inconsciamente si sa che, nel momento della mancanza, si rimpiangerà non averne goduto appieno e di non aver avuto lo stomaco pieno fino a scoppiare. Perché non c’è nulla di male nell’avere il cuore felice ed ebbro d’amore e lo stomaco che scoppia di felicità.
Marzo 2013
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