2 minute read
EDITORIALE
GLI ALBERI NON POSSONO ANDARSENE
Molti cercano di non pensarci o di distrarsi con i beceri teatrini di una politica che sta tornando a essere una "guerra per bande", senza una visione o un progetto che vada oltre l'occupazione del potere, ma quello che invece sta partorendo la natura è spaventoso e non credo che l'intervento umano possa ormai fare molto. Finché resterà un isolotto a cui aggrappare la nostra pigrizia e il nostro egoismo ci illuderemo di poter mantenere una qualità di vita "civile". Personalmente non appartengo alla schiera di coloro che hanno la certezza messianica che la causa di questo rivolgimento climatico sia da attribuirsi all'uomo e ai suoi comportamenti abitativi e produttivi: ci sono stati rivolgimenti climatici in età storica e in secoli in cui il numero e il comportamento degli umani sulla terra non potevano minimamente scalfire le immani dinamiche della natura e dei suoi cicli. D'altra parte nemmeno vorrei che fosse incoraggiato, magari liquidando con una battuta le preoccupazioni sacrosante degli ecologisti, questo comportamento selvaggio e predatorio nei confronti delle risorse del pianeta, e nemmeno mi consola pensare che gli otto miliardi di individui che oggi compongono il genere umano stanno cominciando un lento declino demografica a partire dai prossimi cinquant'anni. Ma gli alberi non possono andarsene e sono i primi a soffrire il caldo soffocante e il mortale abbraccio del fuoco: che siano banali boschi cedui o le sequoie di Yosemite, l'indifferenza di cui sono oggetto è la misura della nostra disattenta pochezza, quando non di comportamenti criminali. Riguardo i "nostri alberi" invece siamo davvero orgogliosi dell'inaugurazione su questo numero della rubrica creata da Sonia Maritan e Giacomo Goli, coordinatore del SISEF.
Advertisement
Pietro Ferrari
THE TREES CANNOT LEAVE
Many try not to think about it or to get distracted with the vulgar theaters of a politics that is returning to being a "gang war", without a vision or a project going beyond the occupation of power, but what nature is giving birth to is scary and I don't believe that human intervention can now do a lot. As long as there remains an islet to which we can cling to our laziness and our selfishness, we will delude ourselves to be able to maintain a "civil" quality of life. Personally I do not belong to the ranks of those who have the messianic certainty that the cause of this climatic upheaval is to be attributed to man and his housing and industrial behaviors: there have been climatic changes in historical age and in centuries in which the number and behavior of humans on earth could not in the least dent the immense dynamics of nature and its cycles. On the other hand, I would not even like to encourage, perhaps dismissing with a joke thesacrosanct cares of ecologists, this wild and predatory behavior towards the resources of theplanet, nor does it console me to think that the eight billion individuals who make up the human race today are beginning a slow demographic decline starting over the next fifty years. But the trees cannot leave and are the first to suffer from the sweltering heat and the deadly embrace of fire: whether they are banal coppice woods or the Yosemite sequoias, the indifference they are subjected is the measure of our inattentive littleness, if not of criminal behavior. With regard to "our trees", however, we are really proud of the inauguration on this issue of the column created by Sonia Maritan and Giacomo Goli, coordinator of SISEF.