Rapporto dal Territorio_Volume 2°

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RAPPORTO dal TERRITORIO

2016 2° Volume


RAPPORTO dal TERRITORIO 2016 Il Rapporto è prodotto dall’Istituto Nazionale di Urbanistica Responsabile scientifico e Curatore del coordinamento generale Pierluigi Properzi Redazione e coordinamento capitoli Donato Di Ludovico, Carmen Giannino, Simone Ombuen, Pierluigi Properzi I capitoli 8 e 9, a cura del CRESME, sono stati coordinati da Enrico Campanelli in collaborazione con Antonio Mura e Paola Reggio

,E ANALISI SUGLI SCENARI ECONOMICI E DEMOGRAFICI E SUL CONSUMO DI SUOLO SONO IL FRUTTO DELLA COLLABORAZIONE TRA ).5 E #2%3-% E SONO STATE EFFETTUATE DAL #2%3-% UTILIZZANDO IL 3ISTEMA )NFORMATIVO CONGIUNTURALE E PREVISIONALE $%-/ 3I Autori dei testi: Angela Barbanente, Alessandra Casu, Aldo Cilli, Donato Di Ludovico, Isidoro Fasolino, Massimo Gheno, Carolina Giaimo, Carmen Giannino, Luigi La Riccia, Roberta Lazzarotti, Gianpiero Lupatelli, Roberto Mascarucci, Gabriella Negrini, Simone Ombuen, Donato Piccoli, Pierluigi Properzi, Emma Salizzoni, Massimo Sargolini, Ignazio Vinci, Silvia Viviani, Angioletta Voghera, Lorenzo Bellicini, Enrico Campanelli, Paola Reggio Per il reperimento dati relativi alla pianificazione comunale si ringraziano: Coordinamento generale: Simone Ombuen Piemonte, Val d’Aosta, Lombardia, Liguria: Carolina Giaimo (coordinamento) Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli VG: Massimo Matteo Gheno (coordinamento), Franco Alberti Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise: Simone Ombuen (coordinamento), Giulia Angelelli, Nazareno Annetti, Massimo Basso, Achille Bucci, Claudio Centanni, Donato di Ludovico, Luana Di Lodovico Daniele Iacovone, Andrea Santarelli, Simona Tondelli, Vincenzo Zenobi Campania, Basilicata, Puglia, Calabria: Isidoro Fasolino (coordinamento), Anna Abate, Francesco Rotondo, Nico Tucci Sicilia: Giuseppe Trombino, Ignazio Vinci Sardegna: Alessandra Casu Per l’aggiornamento dello stato della pianificazione provinciale, Marco Pompilio Per il flusso costante di informazioni d’aggiornamento sul governo del territorio in Emilia Romagna, ma anche a scala nazionale, Luciano Vecchi Per il loro supporto: Francesco Sbetti, Giuseppe De Luca, Silvia Capurro, Claudio Centanni, Paolo La Greca Cartografie e tabelle: L. Di Ludovico, A. Santarelli, G. Panepucci. Statistiche sulle cittĂ metropolitane: Federica Benelli, UniversitĂ Roma Tre, Dipartimento di Architettura Per i Contributi delle Agende regionali si ringraziano Piemonte: Carlo Alberto Barbieri, Carolina Giaimo, Mauro Giudice; Valle d’Aosta: Richard Zublena, Carolina Giaimo; Liguria: Franca Balletti, Pierluigi Bolgiani, Silvia Capurro, Alessandro Caruana, Antonio Chirico, Anna Colombo, Arcangelo Merella, Tomaso Lanteri Minet, Andrea Pasetti, Silvia Soppa, Andrea Vergano, Daniele Virgilio; Lombardia: Luca Imberti, Francesca Boeri, Pierluigi Nobile; Provincia di Trento: Giovanna Ulrici, Daria Pizzini; Provincia di Bolzano: Pierguido Morello, Michele Stramandinoli; Veneto: Francesco Sbetti, Franco Alberti, Claudio Perin, Fabio Mattiuzzo; Friuli Venezia Giulia: Eddi Dalla Betta, Mauro Pascoli, Paolo De Clara, Gloria Catto, Daniele Orzan, Marco Marmotti, Marino Pavoni, Patrizia Gridel, Serena Marcolin; Emilia Romagna: Elisa Conticelli, Stefania Proli, Simona Tondelli, Sandra Vecchietti Francesco; Toscana: Francesco Alberti, Alessandro Marioni, Chiara Agnoletti; Umbria: Alessandro Bruni, Riccardo Guarnello, Francesco Leombruni, Franco Marini, Marco Storelli, Luca Trepiedi; Marche: Claudio Centanni, Giovanna Rosellini, Achille Bucci, Marinella Topi, Massimo Orciani, Sergio Bugatti, Ludovico Caravaggi, Roberta Angelini, Giovanni Marinelli, Alberto Procaccini, Alessandra Marsili, Gloria Vitali; Lazio: Lucia Fonti, Carmen Giannino, Benedetto Nastasi, Roberto Pallottini, Irene Poli, Chiara Ravagnan; Abruzzo: Donato Di Ludovico, Roberto Mascarucci, Federico D’Ascanio, Emilia Fino, Stefano Mariotti, Donato Piccoli, Andrea Santarelli, Rosalba D’Onofrio, Luana Di Lodovico, Luca Iagnemma, Giulia Taraschi, Francesca Garzarelli, Massimo Palladini; Molise: Luciano De Bonis, Michele Luca Galella, Emilio Natarelli; Campania: Domenico Moccia, Antonio Nigro, Antonia Arena, Corinne Vitale, Ivonne De Notaris, M. Iannucci; Puglia: Carmelo Torre, Fulvio Rizzo, Francesco Rotondo; Basilicata: Lorenzo Rota, Roberto Lo Giudice; Calabria: Domenico Passarelli, Sante Foresta, Cristina Comandè; Sicilia: Paolo La Greca, Ignazio Vinci, Giuseppe Trombino, Marcel PidalĂ , Vincenzo Todaro, Annalisa Giampino; Sardegna: Enrica Campus, Alessandra Casu, Enrico Alfonso Corti, Vincenzo Cossu, Francesco Dettori, Costantino Manca, Italo Meloni, Fausto Alessandro Pani, Verdina Satta, Corrado Zoppi La raccolta dei dati sulla pianificazione paesistico ambientale è stata curata da Ced Ppn (Centro europeo di documentazione sulla pianificazione dei parchi naturali). La raccolta dei dati sulla pianificazione provinciale e regionale e sulla legislazione è stata curata da Lab AnTeA/Aq – Donato Di Ludovico. Si ringraziano: Regioni, Province ed Enti che hanno collaborato al reperimento dei dati. Coordinamento editoriale: M. Cristina Musacchio Idea e Progetto grafico della copertina: Alberto Hohenegger Impaginazione e grafica: Vol. 1 Micaela Bonavia - Pierpaolo Ceccarelli, Vol. 2 Pierpaolo Ceccarelli Stampa: Tipolito 95 - L’Aquila

INUEd - via Castro dei Volsci, 14 - 00179 - Roma ISBN 978-88-7603-153-3 (Opera) ISBN 978-88-7603-163-2 (Vol. 2) Finito di stampare giugno 2017 Il Rapporto è realizzato con il contributo economico di Urban Promo


RAPPORTO dal TERRITORIO 2016

Indice RAPPORTO dal TERRITORIO 2016 2° Volume SCENARI PER LA PIANIFICAZIONE Introduzione Governo del territorio e riforma costituzionale Considerazioni sui processi di urbanizzazione e insediamento La città sostenibile

Pierluigi Properzi Pierluigi Mantini Lorenzo Bellicini Bruno Forte

Capitolo 8 (a cura CRESME) Sviluppo economico e trasformazioni territoriali Sistema economico Scenari demografici Dinamicità del mercto insediativo e residenziale

Metodologia di analisi multivariata Mappe Mappe Mappe

Capitolo 9 (a cura CRESME) Gli scenari socio-demografici dei sistemi insediativi Le Città Metropolitane Le Città Medie I Comuni Minori

Scenari Scenari Scenari

7 11 19 35

41 46 49 52 59 73 95 117

Capitolo 10 Quadri conoscitivi e valutazione strategica I quadri conoscitivi e le piattaforme digitali La Valutazione Ambientale Strategica in evoluzione

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Capitolo 11 Le Mappe del Paese che cambia C.A. Barbieri La nuova pianificazione tra riforme istituzionali e innovazione disciplinare F. Barca Proattivismo nazionale e sperimentalismo democratico A. Balducci L’urbanizzazione regionale in Italia - esiti di una ricerca F.D. Moccia Le giornate di studio napoletane dell’INU F. Sbetti Una Mappatura del Paese attraverso Urbanistica Informazioni

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BOX – Mappe d’Italia. Indice della qualità del futuro A cura di Silvia Viviani e Gianluca Cristoforetti, INU

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BOX – Un impegno continuativo e tre passi contro le macerie A cura di Silvia Viviani, Luigi Pingitore, Carlo Gasparrini, INU

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DAL PROGETTO PAESE AI PROGETTI PER IL PAESE Silvia Viviani

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RAPPORTO dal TERRITORIO 2016

Introduzione

Pierluigi Properzi

Il Rapporto nelle sue precedenti edizioni ha sempre affiancato alla parte ricognitiva, dello stato della pianificazione nelle sue articolazioni istituzionali, due altre componenti: una descrittiva dei fenomeni territoriali (metropolizzazione, consumo suolo, innovazione, etc.) e l’altra, affidata ad autorevoli osservatori dei processi in atto, che propone, in una visione prospettica una interpretazione del “cambiamento”. Il secondo volume del RdT 2016 è dedicato a questa componente che intende verificare una dimensione non solo ricognitiva dei fatti territoriali e dell’urbanistica, ma si pone come raccordo tra fenomeni in atto ed una loro proiezione al futuro, tratteggiando Scenari per la Pianificazione. Il recupero di una dimensione previsiva, che nell’urbanistica di tradizione è venuta meno a vantaggio di quella regolativa, ha inoltre necessità di scenari possibili rispetto ai quali riconsiderare la utilità e l’efficacia dei nostri strumenti. In questo senso il tema centrale resta quello di una “nuova urbanistica” nel superamento sia della ipotesi riformista tradizionale affidata ad una nuova legge quadro, sia alla ipotesi deregolativa incentrata su provvedimenti semplificativi o su progressive settorializzazioni del governo del territorio. A queste due strategie ha corrisposto una visione arroccata e introversa della urbanistica, quella caricaturizzata nei pamphlet di La Cecla, Contro l’Urbanistica e di Settis, Architettura e Democrazia che entrambi derivano dai “disastri” del paesaggio italiano le responsabilità degli architetti e degli urbanisti sottraendo dalle stesse legislatori, politici, amministratori locali, giudici, giuristi-avvocati, promotori imprenditori e i singoli modificatori quotidiani, i comuni cittadini indifferenti alla dimensione “pubblica” del loro agire. Settis e La Cecla in realtà, da intellettuali raffinati, individuano le maggiori responsabilità in capo ai soggetti maggiormente consapevoli ponendo quindi non tanto una questione di esercizio dei ruoli e quindi di potere quanto una questione etica e culturale. Personalmente ritengo fuorviante separare la questione etica dalla sua prassi ordinaria nella ricerca di rinnovate tensioni aggregative in una società liquida ed individualista. La introduzione del bene comune e della sua concezione patrimoniale come contrapposizione al turbo capitalismo ed alla finanziarizzazione della economia rischiano di disperdere una sana concezione di bene pubblico, la sua materialità concreta sulla quale si può ancora misurare la capacità della pubblica amministrazione e impegnare uno spirito “repubblicano” che è quello che deve connotare l’urbanistica quale strumento per la produzione di beni pubblici e gli urbanisti quali progettisti delle loro prestazioni. La introduzione del secondo volume ricomprende tre importanti contributi che intendono inquadrare la complessità di questa fase climaterica della disciplina e che analizzano le componenti più significative del cambiamento. Pierluigi Mantini, che ha costantemente seguito, sia come parlamentare che come responsabile dell’ufficio di presidenza della giustizia amministrativa, l’evoluzione dei tentativi di riforma, descrive sinteticamente una possibile evoluzione del quadro istituzionale a fronte degli esiti del Referendum del novembre scorso. Mantini propone una riflessione su come, a Costituzione invariata, potranno evolvere le componenti del governo del territorio sino ad un suo radicale ripensamento. Punto fondamentale di questo percorso di riforma sono la individuazione di principi unitari nazionali, in riferimento all’ordinamento civile nelle sue implicazioni proprietarie e fondiarie, i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e la definizione delle funzioni fondamentali dei diversi enti territoriali in relazione alle loro dimensioni ed infine una fiscalità territoriale e locale. La pianificazione di Area vasta assume in questo scenario un ruolo ricompositivo delle Tutele e delle Strategie. Ne deriva una diversa interpretazione del “governo del territorio” nella definizione delle competenze dei diversi soggetti: Politiche territoriali locali e Principi legislativi nazionali in una grande azione di semplificazione. A Lorenzo Bellicini si sono richieste Considerazioni sui processi di urbanizzazione ed insediamenti negli anni duemila così da inquadrare le complesse interazioni tra trasformazione urbana e nuova urbanistica. L’urbanizzazione nelle sue diverse forme, quale motore del nuovo ciclo di accumulazione, con pesanti ricadute sull’ambiente, è per Bellicini il principale oggetto di interesse. Nel 2030 due terzi della popolazione vivrà nella città o meglio in 50 “arcipelaghi urbani” ma già ora le città consumano il 60% delle energie prodotte ed emettono il 70% del gas con effetto serra. 7


Le dinamiche in atto, economiche, culturali, tecnologiche, demografiche vanno configurando nuove geografie territoriali e nuove gerarchie infrastrutturali e pongono con necessità l’esigenza di una nuova lettura del modello economico-insediativo italiano, in competizione esterna con i sistemi urbani europei e mondiali, e in competizione interna tra le diverse anime territoriali del paese. In una efficace sintesi Bellicini ci propone un Paese in decrescita demografica, soprattutto nei comuni minori e con variazioni significative della struttura delle famiglie (frammentazione dei nuclei), fenomeni che sosterranno le dinamiche del mercato immobiliare. L’invecchiamento della popolazione (la dipendenza strutturale) passerà in alcune aree del nord ovest dal 30% del 2005 al 42% del 2025. I flussi d’immigrazione rallenteranno, mentre le aree meridionali registreranno fenomeni di migrazione interna che si concentrerà nelle principali centralità economiche del centro Nord descrivendo le tradizionali tre Italie, ma evidenziando ancor più la separazione del sud. Uno scenario demografico negativo, un quadro economico caratterizzato da forte debolezza, dove emergono forti difficoltà nel reggere la competizione, soprattutto misurata in termini di produttività, un paese segnato ancora da una storica grande divisione tra nord e sud, e una partita che sembra sempre più giocarsi sul piano dei sistemi urbani nel contesto di una nuova grande rivoluzione che si è avviata, sono il contesto in cui il paese si muove. In questo quadro sono le città e la pianificazione urbana a rappresentare la fondamentale variabile strategica. Si tratta di una nuova pianificazione che deve tener conto dell’espansione della rivoluzione digitale, della sostenibilità ambientale e della infrastrutturazione degli insediamenti. La capacità della città di disegnare il proprio futuro diviene il terreno sul quale nei prossimi anni si modificheranno gli equilibri territoriali. Anche Monsignor Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, ma spesso acuto articolista del Sole 24 ore, trae dalla lettura dell’enciclica ‘Laudato si’ una riflessione sulla città sostenibile che ripropone in termini alti la questione della eticità ed in particolare il suo ruolo nell’urbanistica. Il Papa si spinge fino a suggerire una ricetta agli architetti e agli urbanisti: “Data l’interrelazione tra gli spazi urbani e il comportamento umano, coloro the progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e città, hanno bisogno del contributo di diverse discipline che permettano di comprendere i processi, il simbolismo e i comportamenti delle persone. Non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco. Anche per questo e tanto importante che il punto di vista degli abitanti del luogo contribuisca sempre all’analisi della pianificazione urbanistica”. Ma pone altresì il grande tema della diseguaglianze rispetto alle quali la solidarietà, la responsabilità, la sussidiarietà divengono allora le componenti essenziali di una nuova civitas che dalla città nomade vada verso la città felice. Nell’ambito della politica e delle istituzioni, la disumanizzazione delle città è frutto di un modo di governare che ha separato l’autorità dell’effettiva autorevolezza dei comportamenti e la rappresentanza democratica dalla reale rappresentatività dei bisogni e degli interessi dei cittadini. Verso questa citta deve tendere l’impegno di ciascuno e di tutti, non mediante progetti ideologici, che forzino la realtà a partire dalla presunzione dell’idea, ma attraverso un continuo passaggio dalle migliori pratiche alle idee possibili, ispirate ai principi etici descritti e realizzate col concorso di tutti, a cominciare da quello del popolo umile dei poveri e dei diseredati della terra. Ciascuno dei tre contributi all’introduzione definisce uno scenario in cui si colloca la nuova urbanistica non più dipendente da un modello di sviluppo predeterminato ma essa stessa strumento per la sua definizione e al contempo per la sperimentazione di nuove forme di democrazia. L’accordo di ricerca con il CRESME introduce quindi nel format del Rapporto una visione al futuro articolata in due parti: cap 8 – sviluppo economico e trasformazioni territoriali e cap. 9 – Gli scenari socio demografici dei Sistemi insediativi che forniscono una serie di Mappe del sistema economico, delle strutture demografiche e del mercato immobiliare. In particolare nel cap. 9 si sono articolati gli Scenari relativamente a: Città Metropolitane, Città Medie e Comuni Minori, in coerenza quindi con i sistemi insediativi per i quali nel primo volume cap. 4 a, b, c,) erano stati analizzati i dati sulla pianificazione. Il Cap 10 affronta in termini documentari alcuni dei processi di innovazione disciplinare commentando l’andamento dei più significativi fattori di innovazione degli strumenti. I due principali campi di innovazione che il Rapporto ha monitorato nel tempo sono quelli relativi alla Conoscenza (impianti conoscitivi condivisi ed istituzionali) ed ai processi di Valutazione. 8


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Si tratta di una lenta ma sostanziale evoluzione del modello “giustificativo” verso quello “valutativo” con tutte le problematiche che questo comporta nel modificarsi dei rapporti tra decisori ed utenti nella forma del Piano, ma in termini più ampi essa coinvolgerà nella loro interazione anche il modello di democrazia in cui l’urbanistica opera, in una fase di sostanziale instabilità dei tradizionali contesti di riferimento: modelli sociali di sviluppo, e sistemi istituzionali ed elettorali. L’evoluzione caotica in corso di questi sistemi può fornire alla pianificazione un nuovo ruolo quale appunto quello di divenire lo strumento dello sperimentalismo democratico (vedi F. Barca nel cap. 11). Nodo centrale di questa nuova funzione della pianificazione sembra essere il Progetto Urbanistico e intorno ad esso la ridefinizione di nuovi standard prestazionali, non derivanti da esercitazioni legislative ma dalla progettazione di spazi pubblici coerenti a nuove domande e da una partecipazione non retorica o coatta alle scelte da parte delle diverse utenze. Le nuove piattaforme digitali, la costruzione di spazi virtuali, la potenza dei motori informatici fanno pensare ad una radicale trasformazione delle nostre discipline nella quale non si riducano le componenti tecniche ma la loro evoluzione ed una maggiore familiarizzazione degli utenti potrebbe viceversa potenziarne la incidenza nel corretto uso degli spazi urbani e dei territori, avviando implicitamente nuove forme di democrazia nelle quali competenza, rappresentanza e delega si contemperino positivamente. Scenari per la pianificazione si conclude con le Mappe del Paese che cambia. Il cap. 10 conferma il rinnovato interesse che la mappatura ha assunto in questa fase climaterica della disciplina nella quale a molti è apparso necessario costruire scenari, quadri e mappe per meglio orientarsi in un mondo nuovo in cui i tradizionali sistemi di riferimento vanno dissolvendosi (istituzioni e impianti regolativi) e il novitisimo offusca lo scenario dell’innovazione (la ricerca del nominalismo di effetto, l’inconsistenza dei contenuti e degli effetti). Il congresso di Cagliari (vedi i contributi di F. Barca e C.A. Barbieri), così come l’ordinaria attività dell’Istituto (le Giornate di Studio di Napoli – Urbanistica informazioni) hanno rappresentato punti di osservazione privilegiati, fornendo attraverso le riflessioni dei loro responsabili (F.D. Moccia e F. Sbetti) un quadro essenziale delle mappe concettuali di riferimento. A fianco di questi scenari si è chiesto ad Alessandro Balducci di sintetizzare per il Rapporto il senso e l’utilità del lavoro che ha coordinato per la realizzazione dell’Atlante web dei territori postmetropolitani. Un mosaico complesso del quale alcune parti sono più chiare e visibili quali il rinnovato interesse per le trasformazioni che l’invecchiamento progressivo del paese, le dinamiche della metropolizzazione, gli effetti delle variazioni climatiche e delle criticità territoriali e ambientali produrranno nei prossimi anni a fronte di una maggiore attenzione per la natura necessariamente progettuale che l’attività urbanistica va assumendo in relazione al fallimento di un approccio solo regolativo e interdittivo. Il Progetto Paese che Silvia Viviani ha costruito in questi anni con l’Istituto e ha proposto nel congresso di Cagliari ha come proprio asse ordinatore questa visione che nel rispetto di una importante tradizione di ricerca, vuole fornire al Paese, attraverso gli urbanisti ed il loro lavoro una rinnovata Urbanistica con contenuti effettuali e non solo teorici se non spesso retorici, con una forte interazione con le società locali che possono utilizzarla più che temerla e subirla, e con un sostengo condiviso dei luoghi di formazione e di discussione la cui reticolarità (competenza e accessibilità) deve prevalere su un evergetismo presuntuoso. In questo senso lo stesso Rapporto, modifica la propria forma e si pone nuovi obiettivi. La collaborazione con il Cresme rinnova l’intenzione di costruire una Rete dei Rapporti di contenuto territoriale nella logica di pervenire ad una “Stanza della conoscenza” (Weinberger 2012) alla quale le società regionali e locali possano referire le proprie diverse strategie declinando le politiche nazionali ed europee, ma anche avviando processi di sperimentalismo (F. Barca – Sabel) come parti coerenti di un proattivismo nazionale. Non essendo più disponibili Modelli sociali di sviluppo derivanti da politiche centrali ed essendo in declino lo sviluppo endogeno alla scala locale, sembra possibile pervenire a modelli macroregionali costruiti introno a Progetti di Territorio e Progetti Urbanistici tra loro coerenti e compatibili con una dimensione responsabile ed etica della conoscenza del luoghi e dei paesaggi. Il nuovo format del Rapporto la cui diffusione sarà prevalentemente digitale apre inoltre ad una maggiore interazione, sia con la ampia schiera dei suoi autori e collaboratori (INU-Ricerca) in un processo di aggiornamento e perfezionamento del Rapporto stesso anche nelle fasi intermedie tra le periodiche edizioni, ma consente una più ampia documentazione attraverso la pubblicazione e il commento dei materiali di base. I Materiali del Rapporto costituiscono un’appendice che documenta sia i casi di studio relativi ad alcuni specifici settori, nel caso specifico i Progetti di Paesaggio, sia la produzione di documenti INU che costituiscono riferimenti disciplinari in particolare sono state pubblicate: • la Carta della Partecipazione • la Carta dello Spazio Pubblico/ Roma 9


• La Carta delle Città Metropolitane /Reggio Calabria • Contributo per CASA ITALIA • Manifesto del Progetto Paese Prendere atto della instabilità del sistema Paese e pensare a Progetti Paese in una dimensione di sperimentalismo democratico non comporta una scelta a-politica, di deriva tecnicistica, un rifugiarsi nel tecnicismo del Progetto per sottrarsi al dibattito politico che viceversa ha sempre costituito l’anima dell’Istituto. Una eccessiva enfasi su questioni “tecniche” proprie della forma degli strumenti, della natura giuridica degli atti regolativi ha infatti spostato sul versante giuridico legislativo l’attenzione del dibattito rallentando la riflessione sui contenuti spaziali e progettuali in attesa di una Riforma generale promessa ma tiepidamente voluta dai diversi governi. Come d’altro canto un generico richiamo ai temi dell’equità sociale, una volta caratterizzanti la sinistra, derivati da una etica della giustizia (regole, standard, ridistribuzione) che ne costituiva la principale rivendicazione oggi naufragata nel giustizialismo si sono esaurite nella soluzione perequativa spesso priva di un reale progetto spaziale. In questo senso sono emersi come elementi centrali di una “nuova urbanistica” le questioni della densità (che non è di destra né di sinistra), del consumo di suolo ad essa spesso impropriamente collegato, dell’accessibilità e della permeabilità, ma anche i grandi temi del cambiamento climatico, degli immigrati, la nuova povertà e la incertezza del mondo del lavoro che rendono meno chiari i nessi di causalità tra problemi e soluzioni tecniche tradizionali. Un mondo nuovo nel quale il problema di fondo è comunque quello delle crescenti diseguaglianze. I Progetti per il Paese si trovano di fronte, in forme diverse e con differenti drammaticità, queste diseguaglianze. L’urbanizzazione come motore dello sviluppo è la più efficace politica per la riduzione delle diseguaglianze, ma è altresì la dimensione spaziale nella quale proprio le diseguaglianze sono più percepibili e in quanto differenziali di crescita esse stesse divengono motore dello sviluppo. Questa contraddizione trova nei fatti urbani la propria soluzione. I Progetti per il Paese, la nuova urbanistica, dovranno risolvere queste contraddizioni recuperando ai fatti urbani, all’uso delle città e del territorio la dimensione di centralità dell’esercizio della democrazia.

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Governo del territorio e riforma costituzionale di Pierluigi Mantini Professore di diritto amministrativo e di diritto urbanistico del Politecnico di Milano, componente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa. 1. Un governo del territorio senza principi comuni

L

a riforma costituzionale, in particolare del titolo quinto relativo alla materia “governo del territorio”, ha suscitato un intenso dibattito1. Alla luce del fallimento della riforma costituzionale a seguito del referendum popolare, è certo attuale e utile una riflessione sul ruolo delle province e sullo stesso assetto della materia “governo del territorio”. Una nozione, questa ultima, già in sé molto problematica poiché indicativa pur sempre di un governo... senza ben precisi governanti, dai contenuti incerti ed assai vasti2, che si aggiunge alla già complessa multilevel governance dell’ordinamento contemporaneo3.

Secondo alcuni commenti, questo mutamento costituzionale avrebbe lasciato in sostanza le cose come stanno; secondo altre opinioni, tra cui quella di chi scrive, la riforma avrebbe potuto contribuire in modo essenziale all’individuazione dei principi generali, nazionali e unitari, delle materie che compongono la polisensa e ipertrofica nozione di governo del territorio. Un impulso notevole alla semplificazione legislativa poteva derivare dalla sostanziale soppressione dell’area della legislazione concorrente e dalla più chiara attribuzione alla competenza legislativa statale del potere di emanare «disposizioni generali e comuni». Rispetto ai “principi fondamentali”, il riferimento alle “disposizioni generali e comuni” avrebbe in ogni caso segnato un rafforzamento delle competenze dello Stato, in quanto alla disposizione è riconosciuto, sul piano precettivo, un valore maggiormente vincolante rispetto al principio. Può in proposito essere richiamata la giurisprudenza costituzionale in materia di norme ‘generali’, cui la Corte costituzionale ha riconosciuto una capacità di incidere sulle competenze regionali più ampia rispetto a quella dei principi fondamentali. In particolare, nella sentenza n. 279/2005, la Corte ha rilevato che «le norme generali in materia di istruzione sono quelle sorrette, in relazione al loro contenuto, da esigenze unitarie e, quindi, applicabili indistintamente al di là dell’ambito propriamente regionale». In tal senso, le norme generali si differenziano dai “principi fondamentali”, i quali, «pur sorretti da esigenze unitarie, non esauriscono in se stessi la loro operatività ma informano, diversamente dalle prime, altre norme, più o meno numerose». In attesa di una nuova stagione di riforme costituzionali, occorre tuttavia agire sulla base dell’assetto attuale. 2 Cfr. Corte cost 1 ottobre 2003, n.303. La pronuncia, intervenuta a due anni dalla riforma del Titolo V, che indica le materie contenute aveva ad oggetto un insieme di provvedimenti legislativi statali (l. n. 443/2001, l. n. 166/2002 e decreti legislativi delegati) contenenti la disciplina dei procedimenti amministrativi finalizzati all’individuazione, localizzazione e realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale per lo sviluppo del Paese. Davvero numerosi i commenti alla sent. n. 303/2003; ex multiis, si segnalano le note di A. RUGGERI, A. MORRONE, Q. CAMERLENGO, E. D’ARPE, F. CINTIOLI, S. BARTOLE, A. D’ATENA, A. ANZON, R. DICKMANN, A. MOSCARINI, L. VIOLINI, M. DI PAOLA pubblicate con la sent. n. 303 cit. in www.giurcost.org. 3 Per una critica della nozione e dei suoi effetti mi permetto rinviare a P. MANTINI, Principi e politiche del governo del territorio nella prospettiva della riforma costituzionale, in Il nuovo diritto amministrativo, 4, 2015, pp. 6 ss., ove peraltro si afferma « È giunto il momento di abbandonare la nozione stessa di “governo del territorio”, di destrutturarla, facendo emergere le materie che la compongono e ritrovando un più appropriato ed efficiente sistema di attribuzioni ad organizzazioni pubbliche e private. Si può fare, certo, con la “riforma della riforma” del Titolo V della Costituzione, ma, con un po’ di coraggio intellettuale, sarebbe già oggi possibile un diverso inquadramento concettuale e costituzionale delle materie a Costituzione invariata. Le politiche territoriali devono essere locali ma i principi legislativi devono essere nazionali e unitari, anche in materia edilizia. L’iperegolazione e l’eccesso normativo, come mostra l’esperienza, non aiutano l’efficienza e la qualità dei risultati». 1

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Ma quale è oggi, dopo il fallimento della riforma costituzionale, lo stato delle cose? Si è tornati allo status quo ante che è utile ricostruire in sintesi. Dalla riforma costituzionale del titolo quinto del 2001, come noto, la materia urbanistica viene denominata “governo del territorio”, di cui l’urbanistica è parte, e diventa una materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni: allo Stato spetta l’emanazione di una legge sui principi fondamentali del governo del territorio, mai approvata, alle regioni spetta la piena autonomia legislativa in materia, nel rispetto dei principi fondamentali dello Stato. Prima della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, l’ordinamento urbanistico italiano era organico e unitario: a) la legge nazionale definiva il sistema giuridico, il regime degli immobili, gli strumenti e le regole di pianificazione; b) quindici leggi per le regioni a statuto ordinario costituivano un perfezionamento o un adattamento locale del quadro normativo nazionale (alcune fatte peraltro molto bene, come la l.r. n. 51/1975 della Lombardia o la l.r. n. 56/1977 del Piemonte “legge Astengo”); c) sei leggi del tutto autonome per le 6 regioni /province a statuto speciale. Dopo la riforma del Titolo V nel 2001, l’ordinamento urbanistico italiano diventa “federale”, ossia con 21 leggi regionali del tutto autonome, una per ogni regione, appena coerenti con l’ordinamento civilistico, proprietario e fiscale nazionale. In assenza dei “principi nazionali” le regioni sono andate a “ruota libera”. A metà degli anni Novanta si è sviluppata, in specie per impulso dell’Istituto nazionale di urbanistica, una proposta di legge nazionale di principi4 che, prendendo atto della crisi dell’urbanistica di espansione basata su piani prescrittivi, vincoli, esproprio, rigido zoning, ha affermato un orizzonte innovativo. La riforma nazionale dei principi fondamentali del governo del territorio, pur approvata dalla Camera nel 2005, nel testo c.d. Lupi-Mantini5, è stata però in seguito abbandonata, per la sostanziale resistenza delle regioni che ha trovato accoglienza nelle forze di maggioranza dell’epoca. In sostanza, i punti innovativi della proposta erano i seguenti. Il P.R.G. viene sostituito dal P.S.C. (piano strutturale comunale) e, in seguito, dal P.G.T. (piano di governo del territorio): a differenza del PRG questo strumento non è prescrittivo, non è vincolistico (se non per le grandi invarianti ambientali e infrastrutturali) ma solo programmatico, non è conformativo dei diritti edificatori; inoltre è uno strumento più semplice, essenziale e meno dettagliato del PRG. Il piano operativo (P.O.) relativo alle trasformazioni urbanistiche è invece prescrittivo, vincolistico e conformativo, ma di durata quinquennale, come quella dei vincoli. Tutti gli interventi sulla città esistente (ampliamento, ristrutturazione, recupero,…) sono disciplinati dal regolamento urbanistico ed edilizio (RUE), distinto dai piani poiché la logica della rigenerazione urbana è ben diversa da quella dell’urbanistica di espansione. L’area vasta (la provincia) è pianificata dal piano territoriale strutturale (PTS). L’esproprio, per quanto ne rimane, viene sostituito dalla perequazione urbanistica, con cui si distribuiscono tra i proprietari i vantaggi dell’edificazione che, insieme alla compensazione urbanistica diventa la modalità ordinaria attuativa dei nuovi piani. In sostanza, e con diverse sfumature, si registra un superamento degli antichi idola (vincoli, rigido zoning, standard quantitativi) in favore di standard reali (piani di servizi) e di una maggiore flessibilità nel riuso delle città. Questo indirizzo riformatore, in assenza di una nuova legge statale, ha trovato accoglimento presso alcuni legislatori regionali, sebbene con diverse impostazioni. In particolare vanno ricordate la legge Regione Basilicata n. 23 del 1997 e successive modifiche; la legge Regione Emilia Romagna n. 20 del 2000 e successive modifiche; la legge Regione Puglia n. 20 del 2001 e successive modifiche; la legge Regione Calabria n. 19 del 2002 e successive modifiche; la legge Regione Veneto n. 11 del 2004 e successive modifiche; la legge Regione Umbria n. 1 del 2015, la legge Regione Toscana n. 65 del 2014, altre sono in via di riforma. Vi è poi il modello relativamente autonomo, ma mosso dalle stesse finalità, della legge Regione Lombardia n. 12 del 2005, con successive integrazioni.

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Mi permetto rinviare, ex multiis, a P. MANTINI, F. OLIVA, La riforma urbanistica in Italia, Milano, 1994. Sul tema v. P. MANTINI, M. LUPI (a cura di), I principi del governo del territorio, Il Sole 24 Ore, Milano, 2005.


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Alcune regioni, inoltre, hanno conservato l’impianto di tradizione, riferibile alla legge fondamentale n. 1150 del 1942 utilizzando però le nuove definizioni proposte dall’INU6. Tra le regioni che hanno mantenuto il modello “tradizionale” possono essere ricordate: la Regione Abruzzo con la l.r. n. 18/1983 e successive modifiche, la Sardegna con la l.r. n. 13/2008, la Sicilia con la l.r. 71/1978 (c’è una riforma in corso), la Liguria con la l.r. 36/1997, la Valle d’Aosta con la l.r. 11/1998. Questa dicotomia culturale e legislativa persiste tuttora nell’ordinamento.

1.1 Un caotico “federalismo” urbanistico

L’assenza di una legge nazionale, almeno sui principi fondamentali della materia del governo del territorio, incide su beni e diritti sostanziali (regime delle proprietà, negoziazione e concorrenza, ambiente ed ecosistemi, ecc.) e impedisce un coordinamento nell’esploso mosaico del federalismo urbanistico italiano. Basti considerare quanto segue: a) il nuovo strumento di pianificazione locale che sostituisce il PRG è denominato in sette modi diversi (PS, PSC, PUC, PUCG, PUG, PAT, PGT) in tredici regioni diverse; b) sotto la stessa definizione vi sono, spesso, strumenti assai diversi, come nel caso della Campania, della Liguria, della Sardegna o della Provincia di Bolzano; lo stesso uso del termine “programmatico” in Emilia Romagna ha un significato mentre in Puglia significa l’opposto; c) il piano operativo , in genere poco utilizzato poiché resiste il modello “di tradizione”, viene definito nei modi più disparati (PO, POC, POT, PI) e quasi mai corrisponde alle finalità riformatrici proprie del “modello duale” (PGT e Piano operativo); d) gli strumenti attuativi, pur essendo in prevalenza quelli della legge urbanistica fondamentale del 1942, assumono le denominazioni più inutilmente disparate: PAC, PAU, PRPC, PUOC, PUO, SA, SUA, PA, PUD); e) persino i Piani d’area vasta, che hanno nella legislazione regionale quasi sempre stessa forma e contenuto, assumono diverse definizioni: PTCP, PTP, PPSCT, PUP, PTCM. Il quadro attuale, confuso e caotico, da un lato si presenta come impermeabile e resistente alle innovazioni legislative nazionali, in materia di rigenerazione urbana, semplificazione amministrativa, regime delle proprietà, perequazione, consumo del suolo, negoziazione urbanistica, poiché tutto deve essere “filtrato” attraverso nuove leggi regionali; dall’altro, evidenzia una summa divisio, una sostanziale dicotomia tra le regioni ancorate all’urbanistica di tradizione della legge 1150/1942 e le regioni che hanno seguito il modello riformatore degli anni più recenti. Si tratta di una situazione evidentemente non più sostenibile. L’Italia non può essere imbrigliata in regimi proprietari, di attività, di tutela, differenziati per regioni: certamente nell’amministrazione ma occorrono almeno “disposizioni generali comuni”. Non occorre condividere analisi radicali “contro l’urbanistica”7, per rilevarne gli eccessi burocratici, i lunghi tempi della gestione, l’inefficienza operativa, oltre che una certa crisi d’identità. Nelle competizioni e nei nuovi bisogni di solidarietà che si sviluppano nella scena globale, l’Italia ha bisogno di sistemi di governo del territorio e dei territori che, ferma l’autonomia amministrativa della pianificazione e della gestione, possano almeno basarsi su principi nazionali, per promuovere innovazione, con politiche unitarie.

2. Il governo del territorio e la Corte costituzionale

Come noto, infatti, il governo del territorio ha sin qui rappresentato una delle materie più controverse di legislazione concorrente, su cui la Corte è ripetutamente intervenuta. Acquisito che il “nucleo duro” della disciplina del governo del territorio è rappresentato dai profili tradizio-

Vedi legge Regione Lazio 22 dicembre 1999, n. 38 e legge Regione Campania 22 dicembre 2004, n. 16. Così il titolo dello stimolante saggio di LACECLA F., Contro l’urbanistica, Einaudi, 2015, p. 13 ove si afferma, tra l’altro, che « l’urbanistica è incapace di conoscere quello che avviene nelle città perché è chiusa dentro parametri numerici e “liste”, perché ha creduto che la realtà sociale sia qualcosa di trasferibile in mappature e percentuali e calcolo delle probabilità. È ovvio che le sfuggano i reali movimenti e le reali motivazioni, quello che la gente che vive in una città pensa e sente di essere e le motivazioni che si dà per viverci». 6 7

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nalmente appartenenti all’urbanistica e all’edilizia8, lo sforzo della giurisprudenza del giudice delle leggi e dei conflitti è stato quello di delimitare, all’interno e all’esterno, una materia molto ampia9, anche alla luce del fatto che alcune materie limitrofe, come porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia sono espressamente previsti quali autonomi titoli di legittimazione legislativa. Per quanto concerne il contenuto interno, la Corte ha ricavato dalla normativa primaria, alla luce del dettato costituzionale, alcuni principi fondamentali interni alla materia10. Al tempo stesso, dalla giurisprudenza costituzionale è emerso chiaramente come il “governo del territorio” incontri anche numerosi limiti provenienti “dall’esterno”, ossia da altre materie con cui inevitabilmente finisce per intrecciarsi. Ciò, in quanto, l’ambito materiale cui ricondurre le competenze relative ad attività che presentano una rilevanza in termini di impatto territoriale va ricercato, non secondo il criterio dell’elemento materiale consistente nell’incidenza delle attività in questione sul territorio, bensì attraverso la valutazione dell’ “elemento funzionale”, nel senso della individuazione degli interessi pubblici sottesi allo svolgimento di quelle attività11. Di qui la notevole difficoltà nel tracciare una delimitazione precisa della materia, che spesso si intreccia ad altri ambiti materiali riconducibili a competenze legislative diverse, quali, in particolare, la tutela dell’ambiente, l’ordinamento civile, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la tutela della salute, l’energia, la protezione civile. La Corte costituzionale, quale giudice del conflitto di attribuzione, è dovuta intervenire in molti casi12, permanendo un quadro di confusione e di continua incertezza che non giova certo all’efficienza delle decisione e degli interventi. La Corte non ha svolto solo un’opera di “regolamento dei confini” delle competenze nelle diverse materie (urbanistica, edilizia, paesaggio, proprietà, beni culturali, infrastrutture, energia, agricoltura, salubrità ambientale, concorrenza, ecc.) ma ha anche dovuto ricavare dalla legislazione i “principi fondamentali” della materia. È proprio questa inevitabile valutazione “casistica” che genera incertezza e anche contraddizioni che si diffondono “a valle, per li rami”. Ad esempio, secondo la Corte, sono da considerarsi principi fondamentali le disposizioni che definiscono le categorie di interventi edilizi perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali13. Sono qualificabili come principi anche: l’onerosità del titolo abilitativo14, la tempestività delle procedure e la riduzione dei termini per l’autorizzazione all’installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica15, la qualificazione delle infrastrutture di reti di comunicazioni elettroniche come opere di urbanizzazione primaria16, il principio della distanza minima tra fabbricati fissata con legge statale, fatta salva la derogabilità in presenza di determinate condizioni riferibili all’assetto del territorio17. In sostanza, la Corte ha dovuto sostituirsi costantemente al legislatore delineando una trama di principi che dovrebbero essere codificati dal legislatore nazionale con una legge generale e nazionale della materia.

Cfr. ex plurimis, Corte cost. 29 maggio 2013, n. 102 e 23 gennaio 2013, n. 6; 23 novembre 2011, n. 309 e 15 giugno 2011, n. 192; 30 dicembre 2009, n. 340; nonché Corte cost. 1 ottobre 2003, n. 303 e 19 dicembre 2003, n. 362. 9 Cfr. Corte cost. 7 ottobre 2003, n. 307 e 28 giugno 2004, n. 196. 10 Cfr. Corte cost. n. 309/2011, 26 novembre 2010, n. 341; n. 340/2009, n. 196/ 2004. 11 Cfr. Corte cost. 14 ottobre 2005, n. 383. Sul tema degli interessi pubblici nel governo del territorio, la letteratura è assai ampia, v. per tutti, V. CERULLI IRELLI, Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1985, pp. 386 ss. 12 Ex plurimis, sentenze nn. 303 e 307 del 2003, nn. 383 e 62 del 2005, n. 6 del 2004, n. 278 del 2010 e n. 165 del 2011. 13 Corte cost. n. 309/2011. L’intero corpus normativo statale in ambito edilizio è costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall’altro. Pertanto, secondo la Corte, la definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato. 14 Cfr. Corte cost. n. 303/2003. 15 Cfr. Corte cost. 28 marzo 2006, n. 129 e 6 luglio 2006, n. 265. 16 Corte cost. n. 336 del 2005 17 Corte cost. 16 giugno 2005, n. 232. 8

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3. Dai principi fondamentali ai principi unitari delle materie che compongono il governo del territorio

L’Italia è attraversata da legislazioni e regole diverse, complesse, che complicano la vita e frenano gli investimenti. Il governo del territorio si aggiunge al già complesso sistema di multi-level governance, ritardando le decisioni, generando conflitti, che giurisprudenza e dottrina cercano con gran fatica di interpretare e risolvere. Ancora oggi la nozione di governo del territorio appare polisensa e onnipotente ma la società e l’economia richiedono più chiarezza e rapidità nelle decisioni, per favorire la crescita e la competitività. Sarebbero maturi i tempi, ma non le condizioni politiche, per superare la nozione di governo del territorio e sostituirla con quella, più limitata e nota, di “urbanistica” attribuendo alla competenza legislativa dello Stato (all’art.117, secondo comma) insieme alla nuova materia “politiche per le città e rigenerazione urbana”. È utile pur brevemente approfondire questa tesi che postula la riscrittura della materia “governo del territorio”, che è di natura politica, più che giuridica. Sono state di recente offerte diverse letture, con una vasta gamma di posizioni, che vanno da chi sostiene ancora la necessità di una legge di principi, a quanti ritengono che essa sia ormai superata da una serie di norme recenti sparse dal legislatore nazionale in leggi diverse (dalla parziale “liberalizzazione” degli standard, alle norme su compensazioni, consumo del suolo, ecc…). Vi sono anche le posizioni intermedie di quanti ritengono utili almeno alcuni principi unitari “delle materie” che compongono la nozione “governo del territorio”. Abbiamo già rilevato18 che i principi normativi devono essere il più possibile cogenti e non meramente ricognitivi delle trasformazioni introdotte dal legislatore regionale, e perciò principalmente riferibili alle competenze esclusive dello Stato previste dell’art. 117 Cost., comma secondo, in materia di proprietà, ordinamento civile, attività economiche e tutela della concorrenza, livelli essenziali dei diritti e delle prestazioni sociali, funzioni degli enti territoriali, nonché dell’art. 119 Cost., terzo comma, in tema di interventi speciali in materia di coesione. Solo in tal modo si può evitare un restyling non meramente formale che, attraverso principi-quadro “deboli”, lascia irrisolti i principali nodi problematici rinviando ancora, per le soluzioni, alla disomogenea legislazione regionale. A ben vedere, è tutta qui la vera sfida dell’innovazione che consiste nel superamento della caotica trama federalista in favore di principi unitari nazionali. Si tratta cioè di passare dalla mera enunciazione dei principi fondamentali del governo del territorio, ai sensi dell’art. 117 Cost., terzo comma, ai principi unitari “delle materie” del governo del territorio, di esclusiva e diretta competenza della legislazione statale, ai sensi dell’art. 117, comma secondo, della Costituzione. Non una disamina dei parametri delle materie (paesaggio, ambiente, urbanistica, edilizia, ecc.) ma dei contenuti giuridici di esse, con riferimento al riparto delle competenze già delineato dalla Costituzione vigente. Naturalmente ciò può comportare, con senso pratico, un accostamento dei “principi unitari” ai “principi fondamentali”, in relazione alle specifiche materie considerate. Ciò premesso, e alla luce di questi presupposti, è possibile concentrare l’attenzione sulle sole definizioni normative dei principi, recuperando a tal fine i migliori contributi della dottrina e della giurisprudenza costituzionale. Il dibattito è stato intenso, le proposte devono essere adeguate e devono riguardare le seguenti materie: a) ordinamento civile, con riferimento ai contenuti della proprietà fondiaria, all’espropriazione, alla compensazione, alla perequazione, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. e), Costituzione; b) tutela della concorrenza, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. e), Costituzione, sviluppando l’ “urbanistica concorsuale”; c) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Costituzione, nozione che deve riguardare anche le prestazioni sociali degli edifici e dei tessuti urbani; d) determinazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e Città metropolitane, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. p), Costituzione, essenziale anche ai fini della spending review degli enti; e) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Costituzione, competenza decisiva anche per la disciplina della riduzione del consumo del suolo; f ) sistema tributario e fiscale, art. 117 Cost., comma 2, lett. f ), leva essenziale per tutte le politiche sul territorio;

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P. MANTINI, Le trasformazioni del diritto urbanistico, Milano, pp.160 ss. 15


g) equilibrio di bilancio e armonizzazione dei bilanci pubblici, ai sensi dei nuovi artt. 81 e 117 Cost., competenza ricca di implicazioni inesplorate, in particolare per semplificare la valorizzazione e la vendita del patrimonio pubblico; h) la sussidiarietà orizzontale, art. 118 Cost., che è il fondamento delle essenziali politiche di partenariato pubblico privato, decisive in materia urbanistica. Non sono queste materie, già di competenza esclusiva statale, il cuore del governo del territorio, pianificazione urbanistica a parte? È possibile, già alla luce di queste considerazioni, spingere oltre il nostro orizzonte per affermare che i tempi sono maturi per ripensare la categoria stessa di governo del territorio che è divenuta, nel tempo, troppo ampia e affollata da interessi differenziati , pubblici e privati, fino al punto di configurarsi come un “sottogoverno” che insidia, per dimensioni oggettive e soggettive, il governo a competenza generale (rectius, i livelli di governo). Sul tema il discorso sarebbe lungo e complesso, in questa sede sono sufficienti pochi cenni. L’ordinamento giuridico-pubblico è attraversato da una crisi di in/decisione anche a causa della presenza “nella” decisione pubblica di troppi attori. Il tema è stato affrontato funditus in un interessante studio19 ove sono state poste a confronto le teorie della new public governance con il diritto amministrativo nel campo specifico del governo del territorio. Qui è sufficiente notare che la complessità del procedimento decisionale si fonda, in sintesi, su altre tre ordini di ragioni: a) la cosiddetta multi – level governance, dai regolamenti comunali a quelli del diritto europeo, passando per la legislazione primaria statale e regionale; b) dalla forte spinta partecipativa che tende a rimettere in discussione la decisione politica, a rinegoziare in permanenza gli interessi, a contrattare il merito e le forme di attuazione delle decisioni attraverso moduli negoziali di diritto privato; c) dal controllo giurisdizionale di legalità che attraverso il giudice amministrativo ma anche attraverso il potere ad libitum di “disapplicazione” del giudice penale, sottopone a “revisione” gran parte delle decisioni, con performance non sempre fisiologiche e coerenti con le necessità. In questo quadro, appena tratteggiato, ove i conflitti tra pluriordinamenti e pluriattorialità generano disfunzioni e impotenza, c’è ancora bisogno del “sottosistema” che definiamo “governo del territorio”? È giunto il momento di ripensare la nozione stessa di “governo del territorio”, di destrutturarla, facendo emergere le materie che la compongono e ritrovando un più appropriato ed efficiente sistema di attribuzioni ad organizzazioni pubbliche e private. Si sarebbe potuto fare, certo, con la “riforma della riforma” del Titolo V della Costituzione, ma, con un po’ di coraggio intellettuale, sarebbe già oggi possibile un diverso inquadramento concettuale e costituzionale delle materie a Costituzione invariata. Le politiche territoriali devono essere locali ma i principi legislativi devono essere nazionali e unitari, anche in materia edilizia. L’iperegolazione e l’eccesso normativo, come mostra l’esperienza, non aiutano l’efficienza e la qualità dei risultati. Queste considerazioni valgono anche per le politiche più attuali ora intitolate alla rigenerazione urbana, al contenimento del consumo del suolo, alla semplificazione edilizia, centrali nell’attuale fase. Dovrebbe risultare chiaro a tutti che queste essenziali politiche non sono oggi praticabili in assenza di principi nazionali univoci in grado di imporsi sulle regolazioni dei governi locali, sia legislative che amministrative. Si possono fare ulteriori esempi della resistenza al cambiamento che deriva dai regolatori locali: tra questi, il più significativo è forse quello del superamento dei regolamenti edilizi comunali pur affermato dall’art. 17 bis legge 164/2014 ma di fatto “rimesso nelle mani” dei legislatori regionali. Una grande azione di semplificazione che rischia di fallire. Occorre riprendere con decisione la via di una legge nazionale di principi unitari non più della materia, bensì “delle materie” che formano, come un fascio, la nozione del “governo del territorio”, sulla base delle attuali competenze legislative statali e dei principi ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale.

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B. GIULIANI, New public governance e diritto amministrativo nel governo del territorio, Bari, 2006.


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4. Trasformazione non abrogazione delle province: un modello governance per la pianificazione di area vasta

Occorre ora affrontare la seconda questione posta dalla mancata approvazione della riforma costituzionale che riguarda, in sostanza, l’esito della pianificazione sovracomunale o di area vasta dopo la mancata abrogazione delle province dall’ordinamento costituzionale. Quale valore attribuire al permanere della parola “province”, nell’articolazione dei livelli di governo delineati dall’art. 114 Cost.? A nostro avviso, fermi i problemi di regime transitorio, il tema resta immutato ossia le province restano nell’ordinamento come enti di secondo grado, anche se non mancano iniziative recenti che ripropongono il tema dell’elezione diretta con un pieno ritorno al passato. Per brevità, non è opportuno soffermarsi sulla varietà di esperienze in corso nell’attuazione della cd. legge Delrio n. 56/201420, essendo scontata l’attribuzione medio tempore alle province della funzione di «pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza» (art. 1, comma 85, lett. a). Occorre al riguardo precisare che la riforma costituzionale sopprimeva il riferimento alle province quali enti costitutivi della Repubblica21 sicchè, nella nuova configurazione dell’art. 114 e dell’art. 5 Cost., le province sarebbero venute meno quali enti costituzionalmente necessari, dotati di funzioni loro proprie. Quid iuris per il futuro? La risposta, occorre subito precisare, è contenuta nell’art. 1, comma 51, della legge Delrio ove compare l’inciso «in attesa della riforma del titolo V della parte II della Costituzione e delle relative norme di attuazione». Ora questa attesa rischia di protrarsi e gli stessi esiti sono incerti ma occorre considerare i seguenti punti fermi. La Corte costituzionale, con la sentenza 24-26 marzo 2015, n. 50 che ha “abilmente” riconosciuto la legittimità costituzionale della legge Delrio e dunque delle province come enti di coordinamento dei comuni ad elezione indiretta, ha individuato nella legge statale l’unica fonte abilitata alla disciplina delle città metropolitane22, specificando che non potrebbe esserci una modalità di disciplina e struttura diversificata da regione a regione, senza porsi in contrasto con il disegno costituzionale di cui al novellato art. 114 Cost. Ciò dovrebbe valere, a nostro avviso, anche per quanto concerne l’ “ente di area vasta” provincia, sebbene il modello organizzativo non possa prescindere, come previsto, da un accordo in sede di Conferenza unificata eventualmente innovativo di quello intervenuto in data 11 settembre 2014 Con tale accordo è stato, in particolare, convenuto tra lo Stato e le Regioni che: • ai sensi del comma 89, Stato e Regioni attribuiscono le funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali secondo le rispettive competenze, per cui lo Stato può e deve provvedere solo per le funzioni che rientrano nelle materie di propria competenza legislativa esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Cost. (oltre che per quelle specificamente a lui attribuite in materia di tutela delle minoranze), mentre alle Regioni spetta di provvedere per tutte le altre attualmente esercitate dalle Province (punto 9, lettera a); • quanto alle funzioni il cui riordino spetta alle Regioni, Stato e Regioni prendono atto e condividono che le funzioni attualmente svolte dalle Province che rientrano nelle competenze regionali sono neces-

Per un commento alla normativa v. Cfr. FURNO E., Il nuovo governo dell’area vasta: Province e Città metropolitane alla luce della c.d. legge Delrio nelle more della riforma costituzionale degli enti locali, in Federalismi.it, Osservatorio città metropolitane, 1/2015; PIZZETTI F., Città metropolitane e nuove province. La riforma e la sua attuazione, in Astrid Rassegna, 13/2014; STERPA A.(a cura di), Il nuovo governo dell’area vasta. Commento alla legge 7 aprile 2014, n. 56, Napoli, 2014; VANDELLI L. (a cura di), Città metropolitane, Province, unioni e fusioni di Comuni. La legge Delrio, 7 aprile 2014, n. 56, Rimini, 2014; VESPERINI G., Il disegno del nuovo governo locale: le Città metropolitane e le Province, in Urb e app., 2014, 8-9, 786 e ss.. 21 Art. 29 D.d.l. Cost. A.S. 1429-B. 22 Per un commento alla pronuncia si veda SALERNO G.M., La sentenza n. 50 del 2015: argomentazioni efficientistiche o neo-centralismo repubblicano di impronta statalista?, in Federalismi.it, 7/2015; SPADARO A., La sentenza Cost. n. 50/2015. Una novità rilevante: talvolta la democrazia è un optional, in Rivista AIC, 2/2015, p. 15 ss.; STERPA A., Un “giudizio in movimento”: la Corte costituzionale tra attuazione dell’oggetto e variazione del parametro del giudizio, in Federalismi.it, 8/2015; VANDELLI L., La legge “Delrio” all’esame della Corte: ma non meritava una motivazione più accurata?, in Quad. Cost., 215, 393. 20

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sariamente differenziate Regione per Regione. Si concorda a tal fine che ciascuna Regione provveda a definire l’elenco delle funzioni fondamentali di cui all’art. 1, comma 85, della legge n. 54 del 2014, e ad operare il riordino nel rispetto dei principi e secondo le modalità concordati nel presente Accordo (punto 9, lettera c); • lo Stato si impegna ad adottare il d.P.C.m. di cui al comma 92 dell’art. 1 della legge, anche per la parte relativa alle funzioni amministrative degli enti di vasta area di competenza statale, contestualmente alla sottoscrizione dell’Accordo in sede di Conferenza unificata, mentre le Regioni si impegnano ad adottare le iniziative legislative di loro competenza entro il 31 dicembre 2014 (punto 10). La Corte costituzionale ha valorizzato l’accordo sancito nella Conferenza unificata dell’11 settembre 2014 ritenendolo espressione del «principio di leale collaborazione da parte dello Stato» che ha agito «non secondo una logica di esercizio di potere unilaterale bensì di garanzia della esplicazione in una posizione paritaria del ruolo dellle Regioni partecipanti all’accordo, e così assicurando il rispetto del predetto fondamentale principio. Sulla base di questi stessi presupposti il giudice costituzionale ha ritenuto legittimo il previsto esercizio del potere sostitutivo dello Stato nel caso di inerzia delle regioni nella specifica materia. La mancata approvazione della riforma costituzionale, in sostanza, ha certamente acuito i problemi politici e organizzativi delle province ma non ne ha alterato la fisionomia, ritenuta costituzionalmente legittima, delineata dalla legge di riforma del 2014. Occorre però osservare che l’intera complessa vicenda depone ancor più in favore dell’assunzione di un modello di governance “di tipo funzionale” delle politiche territoriali di area vasta: in sostanza, all’avvenuto depotenziamento della struttura entificata delle province corrisponde meglio il modello dell’amministrazione “per progetti e intese” in luogo della tradizionale concezione del piano territoriale rigido e gerarchicamente sovraordinato. A nostro avviso, le funzioni di pianificazione territoriale sovracomunale o di area vasta dovranno dunque essere assolte secondo un modello funzionale di governance , che sostituisce quello government della provincia, identificato in una conferenza stabile di pianificazione e intese territoriali, allocata presso gli ex comuni capoluogo di provincia, salvo diverse intese tra gli stessi, ed aperta ai comuni del territorio interessati su base volontaria nonché ai rappresentanti delle amministrazioni dello Stato, della Regione e degli enti territoriali con la possibilità di invitare, caso per caso, le aziende pubbliche e i soggetti pubblici e privati interessati. Gli strumenti di azione sono sostanzialmente due: a) un piano direttore (strategic plan) con le principali invarianti, ambientali e infrastrutturali presenti sul territorio, e l’indicazione dello sviluppo e degli interventi da realizzare; b) l’attuazione e lo svolgimento di tali indirizzi, non vincolanti, attraverso accordi di programma, conferenze di servizi, di natura istruttoria o decisoria, intese (strategic policy issues), tutti atti che hanno già oggi validità e cogenza giuridica. Si dovrà a ciò aggiungere un maggior ruolo da attribuire a quell’organismo oggi definito Comitato dei garanti o Comitato di vigilanza che dirime le controversie tra enti in caso di inadempimento e vigila sulla corretta attuazione degli impegni assunti: in un modello amministrativo basato sulla concertazione e gli accordi è necessario che, anche per gli enti amministrativi, sia fatto rispettare il principio pacta sunt servanda, con poteri di arbitrato e di risoluzione alternativa delle dispute più forti di quelli attuali. Deposto il modello government, verticale e gerarchico (e anche per questo inattuale), il nuovo modello governance delle funzioni di area vasta non potrà che essere orizzontale e consensuale oltre che regolato e responsabile. È una sfida non priva di rischi ma si tratta di un cambiamento che non risponde solo alle attese della spending review ma ai mutamenti più profondi della democrazia sussidiaria, competitiva e solidale. Ho ritrovato miei scritti, con le stesse esatte tesi, di oltre venti anni fa. È forse un segno, tra molti, che il modello di “governance funzionale” della pianificazione di area vasta è possibile anche a Costituzione invariata, anzi, è necessario.

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Considerazioni sui processi di urbanizzazione e insediamento di Lorenzo Bellicini Direttore CRESME

La città “contenitore” leader del nuovo ciclo sistemico di accumulazione

L’

Italia vive oggi una fase di particolare problematicità sul piano economico e sociale. E’ una crisi che dura almeno dagli anni 2000 e che i deboli segnali di ripresa del PIL degli ultimi due anni non possono nascondere. E’ una crisi di capacità competitiva, che si misura anche in termini di produttività e che pone molte domande sul futuro del paese, alcune delle quali interessano anche il modello insediativo, gli investimenti in capitale fisso edilizio e in opere del genio civile, le città, il sistema insediativo diffuso, le aree interne. In breve il territorio. E’ vero che la fase di transizione che l’economia–mondo sta vivendo è particolarmente complessa per tutte le economie avanzate e per l’Europa in particolare, e che potremmo dire che si sta attraversando una di quelle grandi crisi che hanno segnato la storia del modello capitalistico e che David Harvey chiama “crisi globale”1, oppure, per dirla con Giovanni Arrighi, che siamo entrati in una delle turbolente fasi di transizione che segnano il passaggio da un vecchio a un nuovo “ciclo sistemico di accumulazione”2. Ma questo non semplifica le cose per il nostro Paese , anzi lo pone di fronte ad una nuova sfida rispetto alla quale sembra non reagire con successo. Nella storia le cose cambiano sempre, ma ogni tanto, il cambiamento ha livelli di intensità maggiori e determina dei salti di scala nei processi di evoluzione. Arrighi ci mostra come nell’economia occidentale ogni volta che si sono avviati profondi cambiamenti di stato e rivoluzionarie fasi di sviluppo, determinati dall’esaurirsi di un ciclo di accumulazione e dall’emergere di nuove grandi innovazioni tecnologiche in grado di avviarne uno nuovo, si è prodotto un clima di “caos sistemico”, frutto di violente modificazioni nelle gerarchie economico-territoriali, di cambiamenti nelle leadership dell’innovazione e della produzione di ricchezza su scala internazionale, e dell’affermarsi di nuovi “contenitori” politico-territoriali a scapito dei vecchi precedentemente egemoni. In queste fasi, in cui un ciclo storico di accumulazione si va sostituendo con il nuovo, si vive prima una fase di finanziarizzazione dell’economia, che anticipa una grande crisi (spesso testimoniata dallo scoppio di una bolla finanziaria) e in seguito si assiste a una particolare mobilità del capitale che si sposta verso i nuovi settori e soprattutto i nuovi territori dell’accumulazione che si vanno affermando. I cicli sistemici segnano anche nuove stagioni demografiche e insediative e di investimenti in capitale. Arrighi ha descritto, riprendendo e ampliando la lezione di Braudel, l’ascesa e la crisi dei sistemi economici occidentali dalla metà del 1300 ai giorni nostri individuando i “leader economico-territoriali” dei diversi cicli e i caratteri delle diverse fasi evolutive che si sono succedute: ha descritto il ciclo vincente delle “città stato” Italiane (1340-1560) che si afferma e poi decade a vantaggio di quello avviato dalle Provincie Olandesi (1560-1740), ha descritto la perdita della loro leadership a vantaggio dell’Inghilterra (1740-1930), che, a sua volta, ha ceduto il passo agli Stati Uniti (1930-2000). E’ bene notare che la scala economico-territoriale dei cicli sistemici di accumulazione è andata sempre più crescendo, così come il mercato del “contenitore leader” e che al nuovo ciclo espansivo è corrisposta una fase eccezionale di investimenti in nuovi mezzi di produzione e in case, edifici non residenziali e infrastrutture. E soprattutto in città. Oggi, per molti osservatori, nell’era della globalizzazione, della digitalizzazione e di un nuovo livello di finanziarizzazione (tra la fine del XX secolo e i primi dieci anni del XXI è nel settore finanziario che sono

D.Harvey, L’enigma del capitale e il prezzo della sopravvivenza, Milano 2011; vedi anche D.Harvey, The urbanisation of capital. Study in the History and Theory of Capitalist Urbanisation, Oxford 1985 2 G.Arrighi, Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Milano, 1996 1

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avvenute forse le più importanti innovazioni tecnologiche, innovazioni che hanno trasformato, attraverso nuovi modelli matematici, la cartolarizzazione del credito, la gestione di rischi e l’uso della leva finanziaria 3 ) siamo di fronte a una nuova fase di passaggio, ma la cosa interessante sembra essere l’assenza di una sola leadership territoriale in grado di “contenere” il nuovo modello, sempre più si parla di un mondo multipolare, nonostante la chiara presenza di due leader territoriali che hanno avviato la loro sfida per la leadership. Niall Fergusson descrive, il “fantastico mondo di Chimerica - Cina più America- che copre più di un decimo delle terre emerse, ha un quarto della popolazione mondiale e realizza un terzo della produzione globale e più della metà della crescita economica complessiva” 4, e paventa che la rivalità tra America e Cina per la leadership mondiale possa portare, come è già successo cento anni fa tra Regno Unito, centro finanziario mondiale, e Germania, allora maggior potenza industriale mondiale, a una rivalità deflagrante. Ma è altrettanto vero che più osservatori sembrano propendere per un’altra ipotesi: nella complessa fase di ‘ebollizione’ che il mondo sta vivendo è possibile individuare in ‘pezzi di territorio’, nelle città, o meglio nelle grandi aree urbane, il nuovo “contenitore territoriale”; in sostanza il vero “leader economico-territoriale” del nuovo ciclo sistemico di accumulazione sarebbe la città. Questa lettura è sostenuta dai flussi di emigrazione dalla campagna verso le città, dalla creazione di “endless city”5, città senza fine da 40, 50, 100 milioni di abitanti in Asia e America, e da una nuova stagione, visibile chiaramente con una lente statistica che mostra come lo sviluppo economico tenda a concentrarsi più che nel passato nelle aree urbane, non fosse solo perché le città concentrano sempre più, oltre alla popolazione, innovazione, lavoro, conoscenza e relazioni, o per dirla con A.J.Scott, sono il cuore della nuova “cognitive-cultural economy”6; per non dire del fatto che giocano un ruolo sempre più importante nell’allocazione degli investimenti di attori internazionali, pubblici e privati 7. Il XXI secolo, per dirla con Glaeser, è di nuovo il secolo del “trionfo della città” 8, o per citare Scott della “resurgent metropolis”, una nuova versione 4.0 del modello che ha governato il mondo occidentale dal 1350 alla metà del 1500, o di quella dinamica urbana che aveva caratterizzato il processo di urbanizzazione prima dei processi di scomposizione dei cicli produttivi. “Dalla crisi generale del Fordismo negli anni ‘70 e nei primi anni ‘80 – scrive ancora Scott- le città hanno ripreso la loro spirale di espansione di lungo termine, e con l’ascesa dell’economia cognitiva-culturale, una selezione di città in giro per il mondo ha dimostrato una straordinaria capacità di crescita, innovazione e rinnovamento demografico” 9. Ma la crescita non riguarda solo le ‘global cities”, è un ritorno alla crescita di gran parte delle città del mondo e dei sistemi urbani dei quali sono punto di riferimento. Certo, la crescita delle città viene da, e mostra, storie diverse, le città del mondo stanno crescendo a un tasso senza precedenti, ma il modello di crescita è distribuito in modo disomogeneo: “l’Europa e l’America del Nord – si scrive in una ricerca della London School of Economics - hanno avuto la loro importante spinta di crescita nel XIX secolo; le città latino-americane e giapponesi crescevano esponenzialmente alla fine del ventesimo secolo. Nei prossimi 15 anni, l’Asia vedrà una drammatica espansione delle popolazioni urbane, seguita dall’Africa sub-sahariana (dove i livelli di reddito sono ancora molto bassi). Contemporaneamente, le città europee e nordamericane si adattano alle diverse sfide causate dalla deindustrializzazione, dalla globalizzazione e, in alcuni casi, dalla popolazione urbana in declino. Le città sono sempre state basate sul flusso di persone, beni e capitali. L’era dell’informazione ha accelerato il processo di urbanizzazione, piuttosto che ridurne il ritmo10.

L.Bellicini, Immobilaire, debito, città: considerazioni sui primi dieci anni del xxi secolo, in G.Dematteis (a cura di), Venezia 2011. 4 N. Fergusson, Ascesa e declino del denaro. Una storia finanziaria del mondo, Mondadori; Milano 2009 (ed.or. 2008), pp. 248-249. 5 R. Burdett, D. Sudjic (a cura di), The endless cities, Phaidon Press, London 2007. 6 A. J. Scott, Resurgent Metropolis: Economy, Society and Urbanization in an Interconnected World, “International Journal of Urban and Regional Research”, Volume 32.3 September 2008 548–564. 7 Su questo temi, tra molto altro, ricordiamo: R. Dobbs, S. Smit, J. Remes, J. Manyika, C. Roxburgh, A. Restrepo, Urban world: Mapping the economic power of cities, McKinsey, maggio 2011; R. Burdett, A. Colantonio, P. Rode, Transforming Urban Economies Policy Lessons from European and Asian Cities, Routledge, London 2013. Woetzel, J. Remes , J. Law, J. Means, K. Coles, M. Krishnan, Urban world: meeting the demographic challenge, McKinsey, ottobre 2016; P. Khanna, Connectography Mapping the Future of Global Civilization, Random House, New York 2016. 8 E. Glaser, Il triondo della città. Come la nostra più grande invenzione ci rende più ricchi e felici, Bompiani, Milano 2013 (ed. or. 2011). 9 Scott, cit, pag. 563 10 R.Burdet (ed), Innovation’s Europena Cities, London School of Economics and Political Science, London 2014 3

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RAPPORTO dal TERRITORIO 2016

Come è ormai ampiamente noto, secondo l’ONU11 nel 2015 il 54% delle popolazione mondiale vive nelle aree urbane; nel 2030, vale a dire fra tredici anni, la popolazione urbanizzata salirà al 60%; nel 2050 al 66%. Nel Nord America la popolazione che vive nei centri urbani è già oggi pari all’82% del totale e questa percentuale salirà all’84% nel 2030 e all’87% nel 2050. Sempre secondo LSE il 54% della popolazione mondiale genera “circa l’80% del prodotto interno lordo (GDP) globale”. Per McKinsey nel 2007 il 54% del PIL mondiale è stato realizzato in 600 megacities dove vive il 22% della popolazione12; nella proiezione al 2025, i 30.000 miliardi di dollari del PIL delle 600 città sarà salito a 64.000 miliardi di euro. Tra 2007 e 2025 si stima che 2000 città con le loro aree metropolitane realizzeranno il 75% della crescita economica del mondo. Naturalmente lo scenario non è privo di contraddizioni: “Le città sono i motori dell’economia globale e contribuiscono in modo significativo alla riduzione della povertà, ma rischiano di diventare nodi di profonde disuguaglianze sociali. A livello ambientale, le città sono responsabili di circa il 60% del consumo globale di energia e oltre il 70% delle emissioni globali di gas a effetto serra” .13 Parag Khanna14 ha studiato e descritto l’eccezionale investimento infrastrutturale che sta caratterizzando il mondo, un nuovo salto di scala che disegnerà le relazioni tra le diverse economie a livello mondiale: secondo i suoi conti la nuova stagione di investimenti nei prossimi 40 anni vedrà la realizzazione di più infrastrutture “di quanto abbiamo fatto nei passati 4000”, e cambierà il livello delle connessioni non tanto tra paesi, quanto tra sistemi urbani. Connettività e urbanizzazione sono i grandi driver del XXI secolo. Khanna sottolinea che entro il 2030 più di due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle città, ma evidenzia come nel mondo si stiano formando “vasti arcipelaghi” urbani che si estendono per centinaia di chilometri e che rappresentano vere e proprie nuove “nazioni”: • Nell’America del nord, l’area urbana di Vancouver, all’inizio del Cascadia Corridor si estende a sud oltre il confine del Canada fino a Seattle; La centrale tecnologica della Silicon Valley parte a Nord di San Francisco, scende fino a San Jose e attraversa la baia fino a Oakland; l’estensione di Las Angeles ora supera San Diego oltre il confine messicano fino a Tijuana; Oggi San Diego e Tijuana condividono un terminal aeroportuale dove si può uscire in ognuno dei due paesi. Infine, una rete di treni ad alta velocità può connettere l’intera dorsale pacifica. La megalopoli del nordest degli USA comincia a Boston, attraverso New York e Philadelphia fino a Washington. Contiene più di 50 milioni di persone e anch’essa ha progettato una rete di TAV; • In Giappone, l’atea urbana si estende daTokyo a Nagoya a Osaka e contiene più di 80 milioni di persone e quasi tutta l’economia giapponese. È la megacittà più grande al mondo. • in Cina, vi sono agglomerati che si stanno unendo con una popolazione che arriva ai 100 milioni di persone. L’anello di Bohai intorno a Beijing, il delta dello Yangtze intorno a Shanghai e il delta del Pearl, che si estende da Hong Kong a Guangzhou, a nord. E al centro, l’agglomerato di Chongqing-Chengdu, la cui impronta geografica è quasi pari all’estensione dell’Austria. Ognuno di questi agglomerati ha un PIL di quasi 3 bilioni di dollari, che è quasi lo stesso dell’attuale PIL dell’India. • In India, la regione di Delhi e Mumbai. • In Medio Oriente, Greater Teheran sta assorbendo un terzo della popolazione iraniana. • In Egitto quasi tutti gli 80 milioni di abitanti vivono nel corridoio tra Il Cairo e Alessandria. • Nel Golfo Persico, si sta formando una corona di città-stato, dal Bahrain e il Qatar, attraverso gli Emirati Arabi Uniti, a Muscat in Oman. • In Africa c’è Lagos, la città più grande dell’Africa e cuore commerciale della Nigeria. Sta pianificando una rete ferroviaria che la renderà l’ancora di un ampio corridoio costiero atlantico, che si estende in Benin, Togo e Ghana, fino a Abidjan, la capitale della Costa d’Avorio. Ma questi paesi sono la periferia di Lagos. “In un mondo con megacittà - sostiene Khanna- le nazioni possono essere le periferie delle città. Entro il 2030, avremo 50 agglomerati simili nel mondo. Dunque quale cartina ci dice di più? La cartina tradizionale con 200 nazioni separate che sta appesa sulle nostre pareti, o questa cartina di 50 agglomerati?. E tuttavia, anche questa è incompleta perché non si può capire una megacittà senza capire la sua connessione con le altre. La gente si sposta in città per stare connessa, e la connettività è la ragione per cui queste città crescono15”.

United nationes, Department of Economic and Social Affairs, World Urbanization Prospects The 2014 Revision, United Nations. New York, 2015 12 R.Dobbs e alii, Urban world… cit. pp. 9-10. 13 R.Burdet (ed), Innovation’s Europena Cities, London School of Economics and Political Science, London 2014. 14 P. Khanna, Connectography Mapping the Future of Global Civilization, Random House, New York 2016. 15 P. Khanna, How megacities are changing the map of the world, TED Conference, Filmed February 2016. 11

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Il modello insediativo europeo nello scenario di crescita delle città

La crescita demografica non interessa solo le economie emergenti o le 50 agglomerazioni urbane che descrive Khanna. Anche le città europee sono tornate a crescere con una intensità maggiore a quello che spesso si pensa. In Europa, secondo i parametri dell’ONU, la popolazione urbanizzata raggiunge il 74% della popolazione totale nel 2015 e salirà al 77% fra tredici anni e all’82% nel 2050. Sempre secondo l’ONU tra 2000 e 2014 il 77% delle 169 città europee con più di 300.000 abitanti ha visto crescere la popolazione; nella previsione tra 2014 e 2030 la percentuale sale al 96%. Per l’ONU non hanno partecipato alla crescita solo le città dell’Est in transizione. Anche le più recenti analisi di Eurostat16, mostrano uno scenario che evidenzia il ritorno alla crescita della città in Europa, ma l’analisi di Eurostat è del 2016, più recente di quella dell’ONU del 2014, e può prendere in considerazione come dato consolidato anche il 2015 - anno di inversione di ciclo per la crescita di popolazione in alcune importanti nazioni europee, tra cui l’Italia - e evidenzia due dinamiche contrapposte: in Europa la maggior parte delle città cresce, ma vi sono anche città che perdono popolazione, soprattutto negli anni della crisi, e non sono solo quelle dell’est in transizione. I dati Eurostat, relativi alle città spagnole e greche o a città del sud Italia mostrano infatti come la crisi economica colpisca le città dei paesi economicamente deboli, in particolare nel periodo 2012-2015, ampliando le dinamiche demografiche recessive: il saldo migratorio con l’estero rallenta; il saldo naturale crolla colpito anche dalla disoccupazione, le giovani copie che non trovano lavoro non si trasformano in famiglie che fanno figli, i giovani che faticano a trovare lavoro avviano dinamiche migratorie verso città più dinamiche, il peso della popolazione anziana inattiva su quella in età lavorativa cresce pesantemente sino a mettere in discussione la tenuta economica del sistema, ecc. Insomma la crescita demografica è anche funzione della capacità attrattiva ed è variabile dell’opportunità di lavoro e della qualità della vita che la città sa esprimere. E’ però vero, come scrive Balducci, che se lo guardiamo con attenzione il sistema urbano europeo presenta un modello insediativo diverso da quello delle economie emergenti: “(i) due grandi agglomerati urbani (Parigi e Londra); (Ii) un notevole numero di grandi città; (Iii) una fitta rete di piccole e medie città; (iv) aree con pochissimi centri urbani. L’Europa non ha gigantesche mega-città come in Asia e nelle Americhe, né aree “desertiche” non urbanizzate. Invece abbiamo una combinazione di alcuni grandi centri urbani, strutture urbane policentriche e urbanizzazione dispersa. Attraverso questi quattro sistemi urbani si sta producendo l’emergere di mega-città-regioni, che sfocano i confini dei comuni, delle province e delle regioni.”. Balducci, come già Scott, evidenzia che “l’emergere di regioni policentriche (mega) è una realtà storica e geografica, ma senza una vera base funzionale e politica, poiché c’è una crescente disallineamento tra strutture amministrative e urbane”: “il risultato è che mentre Asia e le Americhe sono sempre più continenti di mega-città giganti, l’Europa è il continente con una rete di città medie e piccole, con molte delle debolezze delle megacity, ma allo stesso tempo poca coesione alla macro - scala regionale (a causa di governance e infrastrutture inadeguate) e quindi ne viene compromessa la competitività” 17. Si tratta di un problema che investe l’intero fenomeno che stiamo vivendo, non è un caso che Scott individui come la prima sfide che il processo di “Risurgent Cities” dovrà affrontare – le altre due sono la crescita economica e la disuguaglianza sociale- sia quella che scaturisce dalle difformità disfunzionali e dalle inefficienze che sorgono quando lo spazio intra-urbano “è frammentato politicamente e amministrativamente, in particolare nel città globale diffusa di oggi. E’ di vitale importanza in queste città riconoscere le molteplici interdipendenze e spillover e armonizzare le basi istituzionali della governance urbana. Nonostante questo imperativo di tutto il sistema, le difficoltà di attuazione pratica sono enormi, e sono sempre in grado di vedere tasche di profonda resistenza al più ampio processo di integrazione della politica metropolitana”.

Europa anziana, sud del mondo giovane, attrattività urbana

Una seconda problematicità che caratterizza gran parte dell’Europa, e l’Italia in particolare, da considerare in relazione allo scenario che abbiamo tracciato, è la struttura demografica debole : per molte economie europee la “piramide d‘età” della popolazione è ormai rovesciata; questo determina per la vecchia Europa, nell’attuale modello economico, due sole possibilità: il ‘ripopolamento’; o l’avvio di una stagione di decrescita, un nuovo ciclo economico basato sulla stabilizzazione o sulla riduzione. La debole struttura d’età della popolazione europea, pur nelle diversità che caratterizzano i paesi europei anche su questo piano, si scontra

Eurostat, Projected demographic, Last update: 28-05-2016 A. Balducci, The European urban system, cit. in European Commission, Cities For Tomorrow. Investing cities, Forim Summary report, Bruxelles 2014, p.10 16 17

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RAPPORTO dal TERRITORIO 2016

con le dirompenti dinamiche demografiche delle economie emergenti e di quelle del sud mondo. Sempre secondo l’Onu la popolazione Africana tra 2015 e 2030 crescerà di 33 milioni di abitanti all’anno; nei successivi quindici anni la crescita salirà a 40 milioni di persone all’anno. E’ evidente che i flussi di immigrazione dal sud del mondo sono per l’Europa una eccezionale risorsa e un eccezionale problema. Non è un caso che, da un lato, i settori economici siano consapevoli della necessità di ri-alimentare la base demografica (basti pensare alla politica della Germania) con funzioni di riproduzione della forza lavoro e del consumo, e, dall’altro che l’afflusso di immigrati generi problemi di integrazione, che si traducono in contrasti sociali e nuovi populismi. L’Italia ben conosce questa storia. I flussi migratori esteri e interni guardano alle città; le città non attirano solo stranieri, attirano giovani in età di lavoro. Non sono solo flussi internazionali, sono anche nuovi flussi interni. Le città sono in competizione con il territorio e con le altre città. Il “ripopolamento” si basa sulla capacità attrattiva delle città costruita sull’offerta di due beni sempre più preziosi: lavoro e qualità della vita. Ma potremmo dire più sinteticamente: sulla capacità di offerta di futuro. Del resto l’offerta di lavoro e l’offerta di futuro sono anche i motori del flusso che dalle campagne va verso le città nelle economie emergenti. La capacità attrattiva delle città è oggi uno dei nodi sul tappeto nella competizione internazionale: in Europa sembrerebbe che le città, più che i territori, siano in competizione tra di loro, una competizione da giocare sulla base delle sfide che la trasformazione in atto pone; dipende dalla capacità di funzionare efficientemente, dipende dall’efficienza del sistema di norme che regolano le attività, dipende dall’efficienza del processo amministrativo, da quello della giustizia; dipende dalla qualità della vita, dalla vitalità del tessuto sociale, dalla capacità di innovare, e dipende dalla capacità di pensare e progettare il futuro. In termini economici potremmo dire che dipende dalla “produttività totale dei fattori”. Per molte città le cose sono chiare: “A seguito di un relativo declino vissuto dalla metà alla fine del 20° secolo - si scrive nel piano strategico di Abu Dabhi - le città di tutto il mondo stanno ora sperimentando una grande rinascita; le Nazioni hanno compreso l’importanza di rivitalizzare e allo stesso tempo sviluppare le città, non solo per la loro economia, ma per l’obiettivo di migliorare il benessere generale dei loro popoli... Con un mondo ormai in maggior parte urbano, con sempre più persone che vivono nelle città, i governi devono sapere che le loro città sono in competizione con una vasta gamma di altre città del mondo, grandi e piccole. C’è un reale bisogno di fondere il dinamismo economico delle città con comunità coese e di alta qualità in grado di affrontare i limiti ambientali, economici, culturali e sociali (dello sviluppo)” 18. Il nuovo ciclo sistemico di accumulazione ha al suo centro una competizione urbana, la sfida a cui sono chiamate le città, grandi o piccole che siano, come sostiene Glaeser, sta nella capacità delle città di “reinventarsi”, dato che il fallimento di molte città nella storia “non rispecchia alcuna debolezza delle città nel loro complesso, quanto piuttosto la sterilità delle città che hanno perduto il contatto con gli ingredienti essenziali della reinvenzione urbana” 19. Le dinamiche in atto, economiche, culturali, tecnologiche, demografiche, vanno configurando nuove geografie territoriali e nuove gerarchie infrastrutturali e pongono con necessità l’esigenza di una nuova lettura del modello economico-insediativo italiano, in competizione esterna con i sistemi urbani europei e mondiali, e in competizione interna tra le diverse anime territoriali del paese. Da questo punto di vista ci si dovrà reinterrogare su alcune grandi questioni che da sempre animano il dibattito territoriale nel nostro paese: la perdurante distanza tra nord-centro e sud; il nodo della dimensione delle sue città; la capacità del sistema insediativo diffuso di reggere la competizione sviluppando nuovi modelli di rete; la gerarchia infrastrutturale che disegna mappe di accessibilità troppo diverse, ‘squilibrate’ ; la storica forza dei suoi distretti industriali che con fatica sembra reggere le nuove sfide ; le nuove dinamiche demografiche che fissano scenari di spopolamento, invecchiamento e flussi di immigrazione territorialmente molto diversi, sono tutti temi che devono essere oggetto di reinterpretazione e soprattutto di proiezione verso il futuro. Questi temi però devono fare i conti con alcuni dati di carattere demografico che segnano gli anni che stiamo vivendo e fissano alcuni fattori strutturali con i quali si devono fare i conti.

Abu Dhabi Council for economic development - Abu Dhabi urban palning council, Abu Dhabi Economic Vision 2030, Abu Dhabi 2015, nostra traduzione cit. in l: Bellicini, Una nuova utopia urbana. Dinamiche, investimenti e politiche nelle visions strategiche di 50 città del mondo, in corso di pubblicazione. 19 Glaeser, cit.p.19 18

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Una lettura dello scenario insediativo italiano nei primi quindici anni del XXI° secolo e una previsione sui prossimi dieci (qualche elemento di sintesi) Il lavoro svolto in collaborazione con L’INU per il Rapporto sullo Stato del Territorio , descritto nelle pagine seguenti in dettaglio, ci consente di fissare alcune questioni da offrire al dibattito sul tema delle dinamiche demografiche e economiche, alcune di queste hanno carattere strutturale e segnano l’intero Paese, altre sono territoriali e portano a riflettere sullo scenario evolutivo in termini di differenziazioni geografico-insediative. Nelle pagine che seguono è sviluppata l’analisi nel dettaglio, qui proviamo a elencare, sinteticamente, alcuni delle principali questioni che sono emerse dal lavoro di analisi. 1. La popolazione Italiana ha avviato una fase di decrescita. La popolazione italiana è diminuita nel 2015 e la decrescita è continuata nel 2016. Le proiezioni demografiche elaborate con l’ausilio del sistema informativo previsionale DemoSI-Cresme, disegnano uno scenario evolutivo per il prossimo decennio dato da

Tab. 1 - Popolazione italiana per sistemi insediativi 2006-2025 2006

%

2015

Variazione assoluta %

2025

%

2006-2015

2016-2025

Variazione percentuale 2006-2015

2016-2025

Italia

58.064.214

100,0

60.665.551

100,0

60.166.907

100,0

2.601.337

-498.644

4,50%

-0,80%

Aree Metropolitane

20.904.198

36,0

22.082.613

36,4

22.057.555

36,7

1.178.415

-25.058

5,60%

-0,10%

Città Medie

18.686.707

32,2

19.598.871

32,3

19.451.311

32,3

912.164

-147.560

4,90%

-0,80%

Comuni minori

18.473.309

31,8

18.984.067

31,3

18.658.041

31,0

510.758

-326.026

2,80%

-1,70%

Fonte: DemoSI- CRESME

Fig. 1 - Variazione percentuale popolazione 2005-2015 Rif. Fig. 9.1

Fonte: DemoSI- CRESME

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Fig. 2 - Variazione percentuale popolazione 2015-2025 Rif. Fig. 9.2

Fonte: DemoSI- CRESME

Le nuove previsioni dell’Istat, uscite recentemente, confermano nella sostanza le previsioni elaborate dal CRESME


RAPPORTO dal TERRITORIO 2016

una ipotesi Bassa che, confermando l’attuale tendenza al calo, porterebbe ad una perdita nel 2025 rispetto al 2015 di 1,9 milioni di abitanti (-3,1%); l’ipotesi Alta condurrebbe invece ad un incremento di circa 1 milione di abitanti (+1,6%), rilevante ma decisamente inferiore alla crescita demografica sperimentata nel decennio 2006-2015 (+4%). Tra l’ipotesi Alta e l’ipotesi Bassa, si colloca una ipotesi Centrale che conferma un andamento in calo, sebbene più moderato, con una possibile perdita in tutto il periodo di circa 500mila abitanti (-0,8%)20. La variabile principale che orienta la previsione è quella migratoria, e questa dipenderà da diversi fattori: la crescita economica e l’opportunità di lavoro; le politiche di apertura e chiusura rispetto ai flussi di migrazione. Usando l’articolazione territoriale che ha orientato la struttura di questo Rapporto, Aree metropolitane, Città medie e Piccoli centri, emergono i seguenti elementi: • Nel 2015 la popolazione italiana è omogeneamente distribuita nei tre ambiti insediativi: le aree metropolitane concentrano il 36,4% della popolazione; le città medie concentrano il 32,4% della popolazione, i piccoli centri il 31,3%. Piccoli centri e città medie continuano ad essere il perno del modello urbanistico italiano nonostante le aree metropolitane mostrino una dinamica più attrattiva. Nel 2025 secondo la proiezione centrale lo scenario cambierà solo marginalmente; • le Aree metropolitane hanno infatti registrato i maggiori ambiti di crescita nel periodo 20062015 ( 1,2 milioni di abitanti in più, +5,6%), e nella previsione ‘pagheranno’ meno lo scenario negativo stabilizzandosi (25.00 abitanti in meno, -0,1%); • le città medie hanno tenuto tassi di crescita superiori alla media nazionale (900.000 abitanti in più, +4,9%) e si Tab. 2 - Stima delle nuove famiglie e delle estinzioni prevede una contrazione della popolazione assai contenuta per il decennio 2016 - 2025 e per età (147.000 abitanti in meno, -0,8%); • i comuni minori hanno registrato tassi di crescita diClasse di età Totale mezzati rispetto a quelli delle aree metropolitane (510.000 abitanti in più, +2,8%) e vedono uno scenario previsionaNuove famiglie 430.312 le in calo dell’1,7% (-326.000) abitanti. Distribuzione 100% In sintesi in un quadro di rallentamento demografico contenuto, la struttura insediativa italiana registra diEstinzione di famiglie -347.969 namiche tendenzialmente in linea con quelle internaTotale 82.343 zionali (crescita delle città), ma mantiene una struttura Fonte: stime CRESME (DemoSI) su dati Istat e Banca d’Italia insediativa più diffusa.

Migliaia

Fig. 3 - Variazione media annua del numero di famiglie 378

400

321 280

265

300

190

200 128

112

138

100 0

82 29 1972-1981

1982-1991

1992-2001

2002-2011

Anagrafe pre-censuaria

Stima su pop. ricostruita

Censimento

Scenario Alto

Scenario Centrale

Scenario Basso

2012-2015

2016-2025

Serie post-censuaria

Fonte: elaborazione e stime CRESME su dati ISTAT- previsione CRESME/DemoSI

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2. Poche famiglie in più: tante nuove famiglie, tante estinte, tante case - Un elemento strutturale da considerare riguarda la dinamica delle famiglie. Le dinamiche demografiche incidono in modo rilevante sulla formazione delle nuove famiglie, insieme alle dinamiche economiche. Il primo decennio degli anni 2000 è stato il decennio del più ampio salto di scala nella formazione di famiglie del Paese, il secondo decennio del XXI secolo segna l’avvio di una nuova fase: tra 2012 e 2015 il saldo tra la formazione di nuove famiglie e l’estinzione di quelle esistenti resta positivo, ma si riduce a 112.000 all’anno e lo scenario previsionale ci mostra un’ulteriore forte contrazione: nell’ipotesi centrale nel decennio 20162025 le nuove famiglie all’anno saranno di poco superiori alle 80.000 unità, in quella alta 138.000, in quella bassa 29.000. L’Italia vede ridursi uno dei motori tradizionali della sua società: la famiglia. Ma non è solo un problema di quantità. E’ la struttura della famiglia italiana che risulta in profonda modificazione. Non solo meno famiglie, ma famiglie molto più piccole. Basterà un dato: le famiglie unipersonali tra 2001 e 2011 sono passate da 5,4 milioni a 7,7, e oggi rappresentano il 31% delle famiglie italiane. Le famiglie mononucleari composte da due persone (marito e moglie; madre e figlio; padre e figlio) sono cresciute da 5,9 milioni a 6,6 milioni e rappresentano un altro 27% del totale. Se sommiamo le due tipologie di famiglie nel 2011 il 58% delle famiglie italiane è unipersonale o mononucleare, nel 2001 era il 52%. L’analisi dello scenario previsionale che riguarda le famiglie italiane mostra che la formazione delle nuove famiglie in Italia nei prossimi dieci anni si ridurrà solo marginalmente rispetto al passato, grazie alla frammentazione dei nuclei; di contro crescerà di molto il numero delle famiglie che si estingueranno. E’ questa voce che determina la rapida riduzione dell’incremento dello stock annuo delle famiglie. Con tutto quello che questo presuppone in termini di mercato immobiliare: tante nuove famiglie che si formano e tante vecchie famiglie che si estinguono determinano, tra l’altro un nuovo scenario nel rapporto tra domanda e offerta sul mercato immobiliare. Considerando l’alta percentuale di famiglie in proprietà abitativa del nostro Paese e considerando la dinamica della natalità, descritta più avanti, l’esito della dinamica delle famiglie italiane in termini abitativi potrebbe essere tracciato nel modo seguente: “pochi nipoti con tante case”. 3. Un Paese di vecchi. A fine 2015 le statistiche demografiche contano 13,37 milioni di anziani (65 anni e più), 1,84 milioni in più rispetto a dieci anni prima, un aumento del 16% che ha toccato valori di picco nel Nord-Est (+18,7%) e nelle regioni meridionali e insulari (+17,5%). Lo scenario decennale indica una ulteriore crescita della popolazione anziana, valutabile in circa 1,6 milioni di individui (+12%), con tassi di incremento particolarmente elevati al Sud (+17,3%) e nelle Isole (15,7%), dove si attenuerà lo storico vantaggio rispetto all’Italia Centro-Settentrionale della maggiore incidenza della componente giovanile. Solo dieci anni fa la componente anziana rappresentava circa un quinto della popolazione complessiva (19,9%), tra dieci anni sarà pari ad un quarto (24,9%), con un evidente livellamento tra tutte le aree del Paese. La rilevanza del fenomeno emerge in maniera ancora più allarmante se si osserva il rapporto tra anziani e popolazione in età lavorativa (15-64 anni), l’indice di dipendenza strutturale degli anziani, dal 30% di dieci anni fa, nel 2025 potrebbe giungere il 40%, toccando il 42% nel Centro-Nord, mentre per il Sud il differenziale rispetto al valore nazionale si ridurrà da 4,9 a 2,8 punti percentuali. 4. Più morti che nati - Uno dei principali effetti dell’invecchiamento della struttura demografica è il progressivo deterioramento del bilancio naturale. L’analisi delle statistiche demografiche dell’ultimo decennio evidenzia bene i fattori in gioco: gran parte dell’incremento demografico registrato in Italia tra 2005 e 2015, 2,2 milioni dei 2,6 milioni di residenti in più, è riconducibile al bilancio migratorio. Un’altra componente rilevante è riconducibile invece all’attività di verifica dei registri anagrafici avviata a seguito dell’ultima rilevazione censuaria (2011), che fino al 2015 ha reinserito nelle statistiche ufficiali 923mila residenti, un bilancio contabile, quindi, non corrispondente a spostamenti effettivi di popolazione. Il bilancio naturale, invece, ha contribuito in termini negativi, facendo registrare nel decennio 2006-2015 531mila morti in più del numero di nascite. Il saldo naturale è fortemente peggiorato negli ultimi due anni: nel solo biennio 2015 e 2016 la differenza tra nati e morti è stata di 296.000 persone. Il processo di invecchiamento della struttura demografica non potrà che appesantire ulteriormente il bilancio naturale, riducendo il numero di nascite, conseguenza della riduzione di donne in età fertile (560mila in meno tra 2006 e 2015 e1,5 milioni in meno tra 2016 e 2025) ed aumentando il numero di morti per effetto dell’incremento della popolazione anziana. Il numero di nascite potrebbe passare dai 5,41 milioni del periodo 2006-2015, alle 4,76 milioni del decennio 2016-2025 (-12,2%), mentre le morti potrebbero aumentare dalle 5,95 milioni dell’ultimo decennio, 26


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alle 6,65 del prossimo (+11,9%). In definitiva, nello scenario previsionale il bilancio naturale potrebbe giungere a 1,9 milioni di morti in più dei nati, con un contributo negativo sulla dinamica demografica che dal -0,9% del 2005 potrebbe passare al -3,1% del 2015. Come descritto più avanti, la rappresentazione cartografica su base comunale mostra tra le aree più critiche l’arco ligure, la toscana meridionale, la dorsale appenninica e l’arco alpino, ad eccezione delle alpi trentine. Non mancano però aree in cui il bilancio naturale risulta ancora positivo, e tra queste si distinguono proprio le province trentine, i comuni dell’hinterland milanese, la fascia pedemontana tra Bergamo, Brescia, Ancona e Vicenza e la direttrice della via Emilia, tra Parma, Bologna, Rimini e Ravenna, ma tra le aree più dinamiche anche i comuni dell’hinterland metropolitano di Roma, Napoli, Palermo, Catania e Cagliari e della Sardegna settentrionale. Lo scenario previsionale tuttavia segnala un netto deterioramento della situazione, passando da un valore negativo del bilancio naturale in rapporto alla popolazione pari nello scorso decennio allo 0,9% , al 3,1% di quello a venire, segnando a livello territoriale una forte estensione delle aree critiche, e l’ingresso in territorio negativo dell’Italia Meridionale. 5. La riduzione dei flussi di immigrazione - Contrariamente a quanto si può pensare leggendo i giornali i flussi di popolazione straniera che permangono in Italia si sono ridotti e contribuiscono oggi solo parzialmente a bilanciare i vuoti generazionali derivanti dalla struttura demografica nazionale e dal processo di transizione in atto; questi flussi però selezionano dove andare; l’analisi mostra una forte concentrazione nelle aree economicamente più dinamiche ed attrattive del Paese. Del resto il flusso di immigrazione è un flusso della speranza come sempre accade per le grandi emigrazioni. È nelle regioni del Centro-Nord (Emilia Romagna e Toscana), infatti, che l’incidenza straniera sulla popolazione complessiva tocca valori di picco (11,3%), seguite dalle regioni del Nord-Ovest (Piemonte, Valle d‘Aosta e Lombardia) e del Centro-Sud, con forte concentrazione nel Lazio (Roma). Lo scenario previsionale, tuttavia, per il prossimo decennio assume un ragionevole ridimensionamento dei flussi con l’estero, in rapporto soprattutto al rallentamento delle prospettive di crescita economica dell’Italia e alla sensibile riduzione delle possibilità di inserimento occupazionale. Secondo la proiezioni centrale del sistema informativo previsionale DemoSI-CRESME, al 2025 gli stranieri residenti in Italia potreb-

Fig. 4 - Saldo naturale 2006-2015 su popolazione 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

Fig. 5 - Saldo naturale 2016-2025 su popolazione 2025

Fonte: DemoSI- CRESME

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bero essere circa 6,19 milioni, con una crescita rispetto ai livelli attuali stimata in 1,16 milioni di unità, pari quindi a meno della metà dell’aumento registrato nel decennio passato (2,6 milioni). L’incidenza sulla popolazione complessiva al 2025 giungerà al 10,3%, superando il 12% nelle regioni del Centro e del Nord-Ovest, esattamente il doppio del valore medio delle regioni meridionali ed insulari. E’ una ipotesi previsionale molto più contenuta rispetto a quelle elaborate nel primo decennio degli anni 2000, e tiene conto del forte rallentamento dei flussi registrato negli ultimi anni. La crisi economica del nostro Paese ha inciso con una doppia modalità rispetto ai flussi migratori: da un lato ha rallentato l’interesse per il nostro Paese e per molti immigrati l’Italia resta una piattaforma di accesso all’Europa, ma non un’area in cui giocare la speranza per il proprio futuro; dall’altro non pochi stranieri, principalmente europei con la crisi e la mancanza di lavoro hanno deciso di tornare a casa. 6. Gli italiani che migrano in Italia: dal sud al nord - I dati demografici mostrano come oggi gli unici fattori di crescita della popolazione italiana scaturiscano da due dinamiche: da un lato sono i processi di radicamento delle prime ondate migratorie, che vedono negli ultimi anni, per la storia dell’immigrazione stessa , incrementare significativamente il numero degli stranieri che cambiano cittadinanza e diventano italiani; dall’altro si registrano sempre più consistenti flussi di migrazione interna, che naturalmente producono spopolamento nelle aree da cui provengono. Sud e Isole tra 2006 e 2015 hanno vissuto un esodo di oltre 515mila residenti italiani, 197mila solo dalla Campania, un flusso in uscita che in gran parte è stato intercettato dalle regioni del Centro-Nord, (66mila unità nel Lazio, 65mila in Emilia Romagna, 43mila in Toscana, 11mila in Lombardia), dove l’afflusso di giovani ha contribuito ad attenuare gli effetti più macroscopici dell’invecchiamento strutturale. Per molte aree meridionali, invece, la fuoriuscita di popolazione giovane ha accelerato i fenomeni di declino, gettando le basi per uno scenario decisamente preoccupante. Se da un lato lo scenario demografico risulta chiaramente dipendente dai fenomeni migratori, assegnando al potenziale di crescita economica ed occupazionale

Fig. 6 - Scenario demografico: attrattività demografica 2016-2025

Fonte: DemoSI- CRESME

Fig. 7 - Caratterizzazione economica 2011-2015

Fonte: DemoSI- CRESME

Cfr. CRESME, Scenari demografici a Milano, Monza-Brianza, Lodi: 2001-2034, Cresme-Assimpredil, Roma 2015; vedi anche CRESME, Milano 2025: scenari demografici, città del futuro, ruolo strategico delle aree ferroviarie, CRESMESistemi urbani, Roma 2016 21

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RAPPORTO dal TERRITORIO 2016

dei territori un ruolo determinante nell’arginare l’invecchiamento della struttura demografica, mostra con altrettanta chiarezza gli effetti del processo insediativo dell’ultima fase espansiva, in larga parte caratterizzato da forti dinamiche espansive. I comuni attrattivi, infatti, sono in gran parte situati nel cuore e nell’hinterland metropolitano delle principali centralità economiche italiane: il corridoio della via Emilia, l’area metropolitana romana, la fascia adriatica, la stessa Toscana, e soprattutto l’area metropolitana milanese . Del resto un recente studio del CRESME sul territorio Milanese ha mostrato come tra 2008 e 2015 il comune di Milano sia cresciuto di 131.000 abitanti e l’area metropolitana comprendente oltre al capoluogo la prima e la seconda cintura di 240.000 abitanti21, ma anche il fatto che è cresciuta la fascia di popolazione più giovane ed invece è uscita la fascia di popolazione anziana. Dinamiche stagnanti e recessive hanno invece caratterizzato gran parte delle aree interne meridionali ed insulari e alcuni comuni dell’arco alpino (-0,4%), giungendo a più gravi fenomeni di declino in molte aree appenniniche, della Sardegna centrale e dell’entroterra ligure (-10,5%). Assumendo una ipotesi di permanenza delle dinamiche migratorie in atto nell’ultima fase storica, lo scenario decennale definisce una sensibile inversione di tendenza nell’andamento demografico complessivo (-0,8%), confermando dinamiche di crescita nelle sole aree attrattive (+3,4%), una stabilizzazione nelle aree in crescita (-0,1%), ed una ulteriore consistente riduzione nelle aree stagnanti (-3,8%) ed in declino (-7,5%). 7. Ancora tre Italie: ma il Sud resta il vero problema - La mappa degli indicatori di ricchezza evidenzia bene i cardini nevralgici del sistema economico nazionale, restituendo l’immagine di un Paese che non ha ancora superato gli storici squilibri territoriali. La rappresentazione cartografica dello scenario fissa con chiarezza imbarazzante la divisione del paese, di cui le dinamiche demografiche sono un indice chiaro. Quella che si propone è l’immagine di un Paese in cui la dicotomia Nord-Sud costituisce ancora una chiave interpretativa pregnante. Dei 1.532 comuni compresi nelle Centralità economiche, infatti, ben 1.296 sono collocati al Nord (917 Nord-Ovest e 379 Nord-Est) ed altri 168 nel Centro Italia, in sostanza, il 95,6% dei comuni più ricchi si colloca nel Centro-Nord, disegnando i sistemi territoriali più vitali e dinamici del Paese, l’area metropolitana milanese, con la sua propagazione verso nord, lungo l’asse Como-Varese, verso sud fino a Bologna ed Ancona, lungo il corridoio della via Emilia e in direzione est-ovest lungo l’asse Torino-Bergamo-Verona. Ma tra le aree forti si distingue anche il sistema urbano Firenze-Pisa-Livorno e, più a sud, il sistema metropolitano romano. È altresì evidente l’effetto diffusivo dei sistemi economici principali su un retroterra altrettanto vitale e dinamico. Dei 2.986 comuni del secondo gruppo, definiti aree periferiche ad alto reddito, ben 2.767 sono collocati nel Nord Italia (1.828 Nord-Ovest e 939 Nord-Est), pari al 92,7% del totale, ed aggiungendo i 212 comuni situati in Centro, la quota sale al 99,8% del totale. Il dato territoriale rappresenta quindi un elemento imprescindibile per una corretta valutazione della situazione economica nazionale, perché se è vero che il 56% dei comuni ed il 63% della popolazione è compreso in aree forti, non si può trascurare che il 90% dei comuni sia collocato al nord. I fortissimi squilibri nella distribuzione della ricchezza emergono ancor più chiaramente considerando che nelle centralità economiche del nord si produce il 38% del reddito nazionale ed il 52% del risparmio, a fronte di un peso demografico inferiore al 29%. La geografia economica dell’Italia meridionale e insulare appare punteggiata da sporadiche centralità economiche, Benevento, Caserta, Avellino, Potenza, Matera, Lecce, Enna, Sassari, Cagliari, per lo più isolate in un contesto territoriale molto problematico. Appare altresì evidente la relazione stretta tra livello di ricchezza e scenario demografico, fortemente condizionato dalla capacità delle sistemi economici più forti di attrarre i flussi migratori in uscita dalle aree più deboli, oltre che le migrazioni internazionali. Le aree più dinamiche al sud e nelle isole, attraverso questa analisi, non sono mai sistemi, sono sempre punti, prevalentemente urbani, come se il marchio storico del latifondo avesse lasciato per sempre la sua impronta. Di certo senza la soluzione del problema Mezzogiorno è difficile pensare che il nostro Paese possa avviare politiche di crescita più dinamiche.

Produttività, agglomerazione, crescita: il nodo dell’Italia

La crisi dell’economia italiana è stata pesantissima. In Europa è il paese che ha pagato di più in termini di perdita di PIL dopo la Grecia. Ma l’analisi dei dati economici ci mostra come la crisi italiana non sia solo una questione che riguarda il periodo 2007-2009 e, soprattutto, 2011-2014: la crisi riguarda la capacità del nostro paese di competere nel mondo del XXI secolo. Basterà ricordare che nel periodo 2000 -2011, tra i

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C.D’ippoliti, A.Roncaglia, L’Italia: una crisi nella crisi, Moneta e Credito, vol. 64 n. 255 (2011), 189-227 29


185 paesi inclusi nel database del Fondo Monetario Internazionale, solo Zimbabwe e Libia (paesi, tra l’altro, sconvolti da terribili crisi interne) avevano registrato una crescita del PIL inferiore a quella italiana. Il nostro paese non ha vissuto soltanto una crisi internazionale, ma una propria crisi originale, preesistente, in termini di capacità competitiva, rispetto alla crisi finanziaria ed economica globale. L’Italia è stata ed è, come è stato scritto, “una crisi nella crisi”22 e i pur positivi ma deboli tassi di crescita del PIL nel 2015 e nel 2016, e quelli previsti nel 2017 e nel 2018 non fanno che confermare il problema. E’ dall’inizio degli anni 2000 che l’economia italiana non cresce, e sul corpo debole di questa bassa crescita, la crisi ha colpito con una intensità tale che, tra le economie europee, solo la Grecia ha fatto peggio. Le varie analisi che si sono succedute per spiegare questa difficoltà hanno sottolineato il pesante gap nella crescita di produttività che ha caratterizzato il nostro Paese rispetto agli altri paesi avanzati, un gap, sintetizzato nella fig. 1, attribuito dagli economisti all’inefficienza del sistema burocratico e giudiziario, all’alta tassazione sul lavoro, alla diffusione della corruzione e dell’illegalità e a gravi carenze infrastrutturali. Per quest’ultime è da sottolineare tanto la questione delle infrastrutture fisiche e di trasporto (soprattuto nel sud del paese) quanto quella delle infrastrutture immateriali: comunicazione, istruzione, connettività, innovazione sono tutti ambiti in cui il paese non sembra dare il meglio nel confronto internazionale. Del resto da quando il nostro paese è entrato nel Mercato Unico e nell’Unione Monetaria Europea, non è stato più possibile compensare il divario di produttività con gli altri paesi tramite svalutazioni competitive della moneta e aiuti di Stato alle imprese. Strategia, questa, non solo italiana, ma di tutta l’area mediterranea in gran parte del secondo dopoguerra. Si sono così intrecciate e sovrapposte una dinamica interna, caratterizzata da un lento ma costante declino del potenziale produttivo, e una dinamica europea nella quale tutti gli Stati dell’Europa del Sud (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), perdendo la possibilità di svalutare le proprie monete rispetto a quelle dei paesi della “area del marco” (Germania, Olanda, Benelux), hanno dovuto rinunciare a una delle politiche storicamente usate per riallineare le perfomance competitive. “Le difficoltà dell’industria italiana a fronteggiare il nuovo contesto competitivo globale – si è scritto recentemente in un quaderno della Banca d’Italia23 - devono essere ben analizzate guardando a due fenomeni: l’andamento stagnante della produttività e la perdita di competitività sui mercati internazionali. Il primo suggerisce che le cause del difetto di crescita del prodotto siano da ricercare nelle determinanti della produttività. Il secondo segnala che le carenze in termini di miglioramento dell’efficienza produttiva non sono il riflesso di una domanda interna stagnante, ma discendono da debolezze dal lato dell’offerta”. La produttività viene misurata in queste analisi sia in termini di PIL per ore lavorate, sia in termini di produttività totale dei fattori (PTF)24. Utilizzando i dati OECD per il primo indicatore, l’Italia può essere messa a confronto con alcune altre economie avanzate in un quadro storico, ne emerge un quadro particoalrmente interessante: il prodotto interno lordo per ora lavorata nel 1970 dell’Italia è superiore a quello della Francia, della Germania e della media del G7; nel 1980 il divario a favore dell’Italia è ancora maggiore; nel

Fig. 8 - PIL per ora lavora in dollari 2010 a Parità di Potere d’acquisto

Fonte: Elaborazione CRESME su dati OECD

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RAPPORTO dal TERRITORIO 2016

1990 l’Italia supera il G7 ma è superata da Germania e Francia; e così è nel 2000. Da allora, a differenza degli altri paesi la produttività italiana si stabilizza, non cresce e anzi diminuisce. E’ vero che i tassi di crescita della produttività segnano il passo in molte economie avanzate, e emergono importanti critiche sulla capacità del nuovo sistema economico, della nuova rivoluzione industriale a produrre aumenti di produttività come quelli del passato, ma è innegabile che l’Italia mostra evidenti problemi di tenuta competitiva. L’analisi sviluppata da Banca d’ITalia sulla Produttività Totale dei Fattori evidenzia ancor di più le difficoltà del nostro paese e il ritardo nel confronto con i nostri principali competitors viene individuata “soprattutto nelle variabili che influenzano il progresso tecnico e organizzativo: alcune sono interne alle imprese, altre esterne e connesse anche con carenze nel funzionamento di alcuni mercati e di alcune istituzioni”. L’approfondimento dell’analisi che ne consegue fissa le caratteristiche dell’industria italiana, che possiamo certamente traslare all’intera economia del paese: la debole propensione all’innovazione, la piccola dimensione d’impresa, la struttura proprietaria famigliare, ecc. ma introduce anche una riflessione che per il nostro lavoro appare particolmente interessante su cui ci si vuole soffermare : “le relazioni tra le imprese e l’organizzazione territoriale della produzione”, che potremmo tradurre in le relazioni tra economia e l’organizzazione territoriale della produzione. L’analisi della produttività legata alle diverse aggregazioni territoriali evidenzia come “Per molti anni un’efficiente divisione del lavoro tra piccole imprese specializzate in singole lavorazioni e la loro concentrazione territoriale hanno consentito in Italia di recuperare a livello dell’intera filiera locale quelle economie di scala e quei vantaggi competitivi cui altrimenti sarebbe stato impossibile attingere se non con la grande dimensione, preservando al contempo un ampio margine di flessibilità produttiva.” Ancor oggi i distretti industriali sono uno dei fattori caratterizzanti l’industria italiana, ma le caratteristiche dell’evoluzione tecnologica e la globalizzazione dei mercati hanno fatto perdere ai distretti industriali alcune condizioni vantaggiose: i distretti “-tradizionalmente caratterizzati da dimensioni aziendali ridotte, filiere produttive prettamente locali, modelli organizzativi informali e conoscenze non codificate – hanno sofferto la globalizzazione e il cambiamento tecnologico”… I vantaggi derivanti dall’agglomerazione non sono tuttavia scomparsi; per alcune funzioni la loro importanza si è anzi accresciuta, in un contesto ove innovazione, ricerca e capitale umano sono divenuti centrali per la competitività di un paese avanzato. È questo il caso delle aree urbane, caratterizzate da una elevata densità e varietà di attività economiche, di capitale umano e di servizi ad alta intensità di conoscenza, i cui vantaggi competitivi non si sono ridotti. Sull’intero decennio il premio di produttività della localizzazione in aree urbane è almeno triplo di quello delle aree distrettuali; anche la fonte del guadagno di produttività appare diversa: mentre nel primo caso si concentra nei blue collars, nel secondo trae origine prevalentemente dai white collars. Infrastrutture e servizi pubblici locali efficienti sono indispensabili affinché i benefici dell’agglomerazione urbana non siano troppo presto controbilanciati dai costi di congestione che colpiscono le aree a più elevata densità di popolazione e di attività economiche25.

Per una nuova pianificazione strategica

Uno scenario demografico negativo, un quadro economico caratterizzato da forte debolezza, dove emergono forti difficoltà nel reggere la competizione, soprattutto misurata in termini di produttività, un paese segnato ancora da una storica grande divisione tra nord e sud, e una partita che sembra sempre più giocarsi sul piano dei sistemi urbani, nel contesto di una nuova grande rivoluzione che si è avviata. Il XXI secolo ci accompagna verso una nuova storia, basterà pensare, per stare al mondo industriale e a quello dei comportamenti delle persone, ad alcune innovazioni tecnologiche con le quali ci troviamo a fare i conti sul piano della digitalizzazione, delle nanotecnologie, dell’energia, l’elenco impressiona: internet delle piattaforme mobili, internet delle cose, le tecnologie cloud, l’automazione del lavoro delle menti, lo sviluppo della robotica avanzata, i veicoli autonomi e semi-autonomi nel mondo dei trasporti, le tecnologie additive e le stampanti 3D nei processi produttivi industriali, la genomica di nuova generazione, i nuovi prodotti della scienza dei materiali, le nuove tecniche di ricerca di petrolio e gas, le energie rinnovabili e lo sviluppo delle forme di stoccaggio dell’energia (nuove batterie); sono tutte innovazioni che ridisegnano materiali, componenti, processi dell’industria, modificano i comportamenti e le organizzazioni, ma allo stesso tempo modificano i luoghi dell’abitare e del lavoro, modificano lo spazio urbano. Le città, le costruzioni e le infrastrutture diventano sempre più sistemi di informazioni, “macchine” e “impianti”. Certo mentre avanza la rivoluzione tecnologica, nel pieno di un processo di globalizzazione dell’economia (pur in un quadro crescente di tentativi protezionistici), si moltiplicano le analisi che descrivono anche i profondi limiti dello sviluppo e i fattori critici con cui si devono fare i conti: una forte crescita della popolazione mondiale nelle aree del sud e dell’est del mondo, con esiti migratori dalle dimensioni sconosciute 31


nel passato, che guarda alle città e alle economie occidentali; mentre un rapido processo di invecchiamento della popolazione segna alcune delle principali economie avanzate (Italia, Germania, Giappone e Europa in particolare); l’inquinamento dell’aria e dell’acqua; il nodo dei rifiuti; l’aumento della concorrenza per le risorse scarse; l’aumento delle temperature e il rischio di innalzamento dei mari; il cambiamento nell’intensità delle piogge; l’estinzione delle specie; l’eccesso di pesca che rischia di compromettere l’ecosistema marittimo; la scarsità di acqua e i rischi di desertificazione per alcune parti del mondo; i fenomeni di deforestazione; i processi di polarizzazione sociale sempre più forti; crescenti scenari di instabilità politica in vari territori. Le dinamiche in atto disegnano uno scenario di crescenti di rischi sociali su vari piani, primo tra tutti quello dello squilibrio sociale e territoriale: l’esasperata finanziarizzazione dell’economia, la crescita di global companies dalle dimensioni economiche di stati nazione, lo stesso sviluppo delle innovazioni tecnologiche legate al mondo dell’ICT, di internet e della digitalizzazione determinano una crescente, squilibrata distribuzione della ricchezza; il modello sociale delle economie avanzate basato su un allargamento della classe media è entrato in crisi in occidente; la crisi delle ideologie e le crescenti differenze sociali producono reazioni instabili anche all’interno di società stabili; il senso stesso delle vita viene messo in discussione da fasce marginali della popolazione più numerose del passato; nuovi modelli di crisi geopolitiche producono da un lato l’esasperarsi del modello terroristico, dall’altro derive populistiche e l’emergere di forti momenti di indecisione politica. Non è certo un caso che proprio il radicarsi di una profonda e generalizzata instabilità sociale, di fenomeni di disoccupazione e sottoccupazione e il fallimento delle politiche e della governance a livello globale, regionale e nazionale, rispetto all’emergere delle criticità, sono i rischi di maggiore livello che il World Economic Forum ha individuato nel Global Risk Report 2017. Al centro di questo scenario in grande movimento stanno, come abbiamo visto, le città, le aree urbane, i sistemi urbani: lo dimostra l’eccezionale processo di urbanizzazione che il mondo sta vivendo; lo dimostra il fatto che le città sono destinate a vivere una nuova stagione, che potremmo dire di reinvenzione; lo dimostra il fatto che il World Economic Forum mette tra i principali fattori critici della attuale fase economica anche il fallimento della pianificazione urbana. Ma è proprio sul piano della pianificazione urbana, che sembra emergere nel contesto competitivo internazionale una nuova stagione di pianificazione strategica che si pone come obiettivo disegnare, rispetto alle dinamiche rivoluzionarie in atto, la nuova città, digitale, resiliente, circolare, inclusiva, sostenibile. Sono i prodromi di una nuova utopia urbana. A ben vedere, in sintesi, la crescita della popolazione nelle economie urbane europee, ma la riflessione vale in generale per le città vincenti delle economie avanzate, è dovuta prevalentemente alla capacità attrattiva determinata dalla qualità della vita e , soprattutto, dalla capacità di offrire lavoro. La capacità attrattiva delle città, delle aree urbane, è il nodo oggi sul tappeto e questo dipende dalla capacità di competere con le altre città e con le trasformazione in atto. Le aree urbane consentono migliori performance in termini di Total Quality Productivity. Certo questo dipende dalla loro capacità di funzionare, dipende dall’efficienza del sistema di norme e regole che regolano l’attività, dipende dall’efficienza del processo amministrativo, dalla qualità della vita, dalla vitalità del tessuto sociale, dalla capacità di innovare, e dipende dalla capacità di pensare e progettare il futuro. Le città più dinamiche hanno sviluppato negli ultimi anni e stanno continuando a sviluppare, piani strategici di “adattamento al futuro”, visioni di come saranno fra dieci, quindici venti anni. Sono piani che si trasformano in concreti programmi di investimento. A guardare bene le visioni delle città del futuro, al 2030, al 2050, sono azioni di pianificazione e progettazione dello sviluppo urbano che operano su quattro componenti fortemente integrate tra di loro: la prima è che sono tutti demograficamente piani espansivi, pur basati sulla trasformazione; la seconda è che esiste un piano (o un insieme di piani) per affrontare la rivoluzione della digitalizzazione che si concretizza nel disegno della “smart citiy”; la terza è che esistono, affiancati ai piani strutturali e ai piani della “città intelligente”, i piani della qualità dell’aria, della resilienza al cambiamento climatico, e della difesa rispetto al rischio delle acque: sono i piani della sostenibilità ambientale e della qualità della vita in senso ecologico; la quarta è la definizione di piani infrastrutturali, la parte hard dello sviluppo, che si basano sulla progettazione dell’up-grade di infrastrutture e case. Piani che disegnano una nuova fase con cui fare i conti. Il problema non è più se le città crescono, oggi tutte le città dinamiche vogliono crescere e competere, la vera questione è che vogliono farlo su un piano nuovo, diverso rispetto al passato, le città devono crescere ed essere sostenibili, innovative, solidali. “Una città sostenibile – si scrive in uno dei documenti che disegnano il futuro de “la Grand Paris” - consuma meno e meglio, è il luogo della sobrietà, della tutela delle aree naturali e del miglioramento dell’ambiente in cui vivere. Il futuro sostenibile, è anche una città densa, che integra l’idea di prossimità e facilità di accesso ai servizi essenziali. In questo contesto, la connessione tra luoghi del lavoro e luoghi 32


RAPPORTO dal TERRITORIO 2016

della residenza è prioritario rispetto a una regione dove le persone trascorrono una parte importante del loro tempo nei mezzi di trasporto. Allo stesso modo, la costruzione di nuove abitazioni è un imperativo in un territorio dove è così difficile trovare un alloggio a prezzi abbordabili”. Le città sono sempre più il cuore dell’economia; il progetto di una nuova città, efficiente, in crescita e sostenibile, è il portato della consapevolezza che sono in atto grandi cambiamenti e che è in gioco una esasperata competizione: “Le città – si scrive ancora nella già citata Visione al 2030 di Abu Dhabi- stanno diventando sempre più il motore dell’economia mondiale, mentre l’intensità della competizione economica cresce ogni anno. Fattori quali investimenti, prestigio, istruzione e ingegno sono fattori attraverso i quali le città sono sempre più giudicate. I Global City Indexes ( …) giudicano le città per il loro livello di salute, di istruzione, di disponibilità di alloggi, di ambiente politico e sociale, di condizioni economiche e allo stesso tempo culturali, ricreative e di trasporto. In aggiunta la sostenibilità è ora il principale fattore per attrarre persone, affari, investimenti” . Le città si devono confrontare da un lato con le loro potenzialità, dall’altro con le loro crescenti contraddizioni, alla fine potremmo dire con la loro qualità, all’interno di un quadro competitivo che non è nazionale ma internazionale, in forte movimento e condizionato dai grandi temi del cambiamento : l’impatto della digitalizzazione sul funzionamento della città, sulle sue infrastrutture, sui suoi servizi, sui modi di abitare e lavorare, sul rapporto governo-cittadini; i rischi derivanti dalla condizione climatica-energetico-ambientale e le risposte per mettere in sicurezza persone e attività; le tensioni sociali derivanti dalle epocali dinamiche migratorie e dalla fortissima polarizzazione sociale attivata dalla crisi. Se ci pensiamo bene quella che stiamo vivendo è una nuova stagione che richiede proprio una grande capacità di pianificazione, progettazione, di risposte concrete, di investimenti. La questione è che stiamo attraversando il ponte che ci porta dalla città post industriale dei servizi alla cyber-città: dall’era della città dei trasporti, dell’inquinamento, stiamo entrando nell’era della città delle bio-tecnologie, della nano-tecnologie, dell’elettromagnetismo, dell’attenzione all’inquinamento e al clima. Potremmo dire che stiamo entrando nell’era della sfida della città che diventa verde, sostenibile, dove l’utopia è l’aria pulita nei luoghi della massima densità di popolazione e funzioni; dove edilizia e ambiente diventano piani di azione con obiettivi simili. E’ una nuova fase urbana che richiede come priorità il disegno del futuro. Negli ultimi anni l’elenco delle città che disegnano il loro futuro a 15, 20, 30 anni si è enormemente allungato. Le visioni sono il frutto della consapevolezza che è in atto una selezione tra città che sono in grado di offrire qualità della vita e lavoro e per questo attirano popolazione e giovani, e città che perdono peso e ruolo. Ma opportunità economiche, qualità del funzionamento urbano, qualità della vita sono gli esiti di un processo di innovazione competitivo fatto di scelte, di nuove politiche, di nuovi modelli organizzativi, di nuovi investimenti che sono più importanti del passato proprio per il cambiamento strutturale che la nostra epoca sta vivendo. E’ in questo contesto che diventa più importante “disegnare il proprio futuro”, pianificare lo sviluppo, avviare politiche di investimento e trasformazione, potremmo dire “progettare la rivoluzione” e saper amministrare territori urbani. In sintesi l’analisi di quello che sta avvenendo in termini di visions del futuro, fornisce una lettura interpretativa delle dinamiche urbane su scala internazionale che si può definire innovativa, in particolare rispetto alle letture che vengono date oggi in Italia: in primo luogo perché documenta come il processo di urbanizzazione, di crescita della popolazione nelle città, contrariamente a quanto da molti sostenuto, è in forte accelerazione anche in occidente e in Europa, con l’eccezione parziale dell’est Europa e del sud Europa più colpito dalla crisi economica (Spagna, Sud Italia, Grecia). In secondo luogo, perché l’analisi dei piani per il futuro della città mostra che questi sono tutti demograficamente espansivi, prevedono trasformazioni, densificazione, riqualificazioni, ma anche nuove urbanizzazioni e nuova edilizia. Allo stesso tempo, però, prevedono investimenti e politiche per accelerare il processo di digitalizzazione della città e per attrarre settori economici innovativi; prevedono importanti interventi di resilienza rispetto ai cambiamenti climatici, disegnano azioni per migliorare la qualità dell’aria, ridurre le emissioni di CO2, ridurre i rischi idrogeologici; progettano importanti up-grade di infrastrutture per la mobilità che favoriscono il trasporto pubblico, la bicicletta, la pedonalità o tendono a sostituire l’automobile con l’ascensore. Disegnano in ogni caso un’importante stagione di investimenti nelle città. Ma soprattutto fanno riferimento a un nuovo modello di sviluppo urbano, un nuovo paradigma che i motti e i titoli delle visioni del futuro sintetizzano: la parole chiave nel piano di Abu Dhabi è “ Estidama” che vuol dire in arabo “sostenibilità”, la stessa parola chiave del piano di Sidney “Sostainable 2030”, a Stoccolma si parla di Simbiocity e di “City for everyone”, Parigi deve essere “intelligente e durable”, Londra sarà “Bigger and Better”…. Potremmo dire che le città stanno provando a “progettare la loro reinvenzione” sulla base di un nuovo paradigma, la nuova epoca di infrastrutturazione urbana integra obbligatoriamente sostenibilità – digitalizzazione–crescita; inoltre la produzione della visione del futuro, il lavoro necessario a produrla, serve non 33


solo per conoscere e per decidere cosa fare, ma soprattutto per condividere le strategie tra i diversi portatori di interesse (da soli non si va da nessuna parte) e comprendere che “bisogna giocare d’attacco” per non perdere la partita. Del resto, ancora una volta, come dice Glaeser, la storia insegna che il fallimento di tante città “non rispecchia alcuna debolezza delle città nel loro complesso, quanto piuttosto la sterilità delle città che hanno perduto il contatto con gli ingredienti essenziali della reinvenzione urbana” . Non possiamo non sottolineare che l’Italia su questo piano è in forte ritardo ed è grave per un paese con dinamiche economiche e demografiche come il nostro; allo stesso tempo la stagione che si apre per l’urbanistica e per la pianificazione è oggi quella di una eccezionale, stimolante, occasione di rinnovamento e rilancio. Del resto la questione di un nuovo paradigma per i modelli di sviluppo urbano non può che essere la necessità di un nuovo pensiero, di un nuovo paradigma per l’urbanistica del XXI secolo.

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RAPPORTO dal TERRITORIO 2016

La città sostenibile di Bruno Forte Arcivescovo di Chieti-Vasto

1.

La città ritorna spesso come motivo di riflessione nei testi magisteriali di Papa Francesco: così, nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium del 24 novembre 2013, che può considerarsi il manifesto programmatico del suo pontificato, è dedicata una notevole attenzione alle culture urbane, che muove da una significativa osservazione teologica iniziale: “La nuova Gerusalemme, la Città santa (cfr Ap 21,2-4), è la meta verso cui è incamminata l’intera umanità. È interessante che la rivelazione ci dica che la pienezza dell’umanità e della storia si realizza in una città” (n. 71). Da qui Francesco trae un interessante principio metodologico: “Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata” (ib.). Lo sguardo alla città implica, dunque, l’incrocio di prospettive molteplici: “Nella città, l’aspetto religioso è mediato da diversi stili di vita, da costumi associati a un senso del tempo, del territorio e delle relazioni che differisce dallo stile delle popolazioni rurali. Nella vita di ogni giorno i cittadini molte volte lottano per sopravvivere e, in questa lotta, si cela un senso profondo dell’esistenza che di solito implica anche un profondo senso religioso” (n. 72). A questa complessità si deve corrispondere, senza timori o fughe: “Nuove culture continuano a generarsi in queste enormi geografie umane dove il cristiano non suole più essere promotore o generatore di senso, ma che riceve da esse altri linguaggi, simboli, messaggi e paradigmi che offrono nuovi orientamenti di vita, spesso in contrasto con il Vangelo di Gesù. Una cultura inedita palpita e si progetta nella città” (n. 73). Lo sguardo attento rileva indizi importanti: “Nelle grandi città si può osservare un tessuto connettivo in cui gruppi di persone condividono le medesime modalità di sognare la vita e immaginari simili e si costituiscono in nuovi settori umani, in territori culturali, in città invisibili. Svariate forme culturali convivono di fatto, ma esercitano molte volte pratiche di segregazione e di violenza. La Chiesa è chiamata a porsi al servizio di un dialogo difficile. D’altra parte, vi sono cittadini che ottengono i mezzi adeguati per lo sviluppo della vita personale e familiare, però sono moltissimi i non cittadini, i cittadini a metà o gli avanzi urbani. La città produce una sorta di permanente ambivalenza, perché, mentre offre ai suoi cittadini infinite possibilità, appaiono anche numerose difficoltà per il pieno sviluppo della vita di molti” (n. 74). La visione del Papa è di un realismo assoluto: “Non possiamo ignorare che nelle città facilmente si incrementano il traffico di droga e di persone, l’abuso e lo sfruttamento di minori, l’abbandono di anziani e malati, varie forme di corruzione e di criminalità. Al tempo stesso, quello che potrebbe essere un prezioso spazio di incontro e di solidarietà, spesso si trasforma nel luogo della fuga e della sfiducia reciproca. Le case e i quartieri si costruiscono più per isolare e proteggere che per collegare e integrare… Vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città” (n. 75). Nell’Enciclica Laudato si’ “sulla cura della casa comune”, del 24 maggio 2015, Francesco evidenzia poi “la smisurata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili dal punto di vista della salute, non solo per l’inquinamento originato dalle emissioni tossiche, ma anche per il caos urbano, i problemi di trasporto e l’inquinamento visivo e acustico. Molte città sono grandi strutture inefficienti che consumano in eccesso acqua ed energia. Ci sono quartieri che, sebbene siano stati costruiti di recente, sono congestionati e disordinati, senza spazi verdi sufficienti. Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura” (n. 44), Parlando di “ecologia culturale” Papa Francesco osserva: “Insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. È parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile. Non si tratta di distruggere e di creare nuove città ipoteticamente più ecologiche, dove non sempre risulta desiderabile vivere. Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato 35


luogo, salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio” (n. 143). Quel che deve stare a cuore a tutti è l’impatto che gli ambienti urbani hanno sulla qualità della vita: “L’estrema penuria che si vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezza e possibilità d’integrazione, facilita il sorgere di comportamenti disumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali. Per gli abitanti di quartieri periferici molto precari, l’esperienza quotidiana di passare dall’affollamento all’anonimato sociale che si vive nelle grandi città, può provocare una sensazione di sradicamento che favorisce comportamenti antisociali e violenza” (n. 149). Il Papa si spinge fino a suggerire una ricetta agli architetti e agli urbanisti: “Data l’interrelazione tra gli spazi urbani e il comportamento umano, coloro che progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e città, hanno bisogno del contributo di diverse discipline che permettano di comprendere i processi, il simbolismo e i comportamenti delle persone. Non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco. Anche per questo è tanto importante che il punto di vista degli abitanti del luogo contribuisca sempre all’analisi della pianificazione urbanistica” (n. 150). Ribadendo quanto affermato nell’Evangelii Gaudium il Papa aggiunge: “Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!” (Laudato si’ n. 152; cf. Evangelii Gaudium n. 210). Traducendo il principio che i poveri hanno diritto alla bellezza, Francesco chiede attenzione agli spazi pubblici, bene di tutti: “È necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso di appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro sentirci a casa all’interno della città che ci contiene e ci unisce. È importante che le diverse parti di una città siano ben integrate e che gli abitanti possano avere una visione d’insieme invece di rinchiudersi in un quartiere, rinunciando a vivere la città intera come uno spazio proprio condiviso con gli altri… In tal modo gli altri cessano di essere estranei e li si può percepire come parte di un noi che costruiamo insieme” (n. 151). Il primato del bene comune esige, insomma, la tutela del diritto dei poveri: “Nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri. Questa opzione richiede di trarre le conseguenze della destinazione comune dei beni della terra, ma… esige di contemplare prima di tutto l’immensa dignità del povero… Basta osservare la realtà per comprendere che oggi questa opzione è un’esigenza etica fondamentale per l’effettiva realizzazione del bene comune.” (n. 158). 2. Se ora ci chiediamo quale idea di città emerga da queste riflessioni di papa Francesco, potremmo riassumere la risposta nell’idea del passaggio da compiere fra due modelli: dalla “città nomade” occorre muovere verso la “città felice”. Per comprendere il significato di questa formula è utile partire da una riflessione sulla nascita e il carattere originario delle città. Secondo il libro della Genesi (4,16-17) il primo fondatore di città è Caino, in fuga dall’Eden dopo l’omicidio del fratello. Egli va verso oriente - luogo dell’originario -, nomade nostalgico di una patria perduta, fino a quando, divenuto padre, decide di fermarsi e di costruire una città, cui dà il nome del figlio, Enoch (dalla stessa radice di Hanukka, la festa dell’inaugurazione, delle luci, del nuovo inizio). Il senso del racconto eziologico è chiaro: la città è protezione, difesa, luogo in cui custodire l’identità, che i figli perpetueranno nel tempo. La città nasce, insomma, da un movimento centripeto, da un’esigenza di stabilità, dove la rassicurazione rispetto agli altri si coniuga all’affermazione di sé e della propria discendenza. Il culmine di questo movimento appare nella pretesa degli abitanti di Babele (Gen 11) - uniti dalla stessa lingua, dalle stesse parole-azioni (“debarim”) - di edificare una “tower city” ritta fra la terra e il cielo, che enfatizzi la loro identità contro l’altro, divino o umano che sia. È a questo punto che la città si disgrega: la confusione delle lingue è il segno di un movimento centrifugo, di una pluralità di tensioni che esplode. Babele diventa la metafora della crisi della città, che, nata come antitesi al nomadismo, diventa essa stessa espressione di provvisorietà, mobilità, insicurezza fisica e sociale, fino al culmine di questo processo nelle grandi megalopoli moderne: non più città fortezza, rassicuranti e aggreganti, ma città “nomadi”, segnate dalla fluidità, liquide nei rapporti e nel legame alle radici e ai valori ricevuti. Come si presenta la “città nomade” nell’orizzonte della cosiddetta “modernità liquida” (Zygmunt Bauman)? Tre flussi sembrano attraversarla: il primo è quello dalla persona alla comunità e all’ambiente. Se l’uomo, “essere per la trascendenza” (Karl Rahner), si realizza veramente nell’esodo da sé verso l’altro, che è l’amore, dove questo dinamismo si inceppa, la persona diventa prigioniera di sé, chiusa nell’incomunicabilità e nelle catene delle reciproche esclusioni. Dove questo avviene, la convivenza, specialmente quella urbana, si 36


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trasforma in “folla di solitudini”, agglomerato di ghetti che reciprocamente si rifiutano, in quell’invivibile frantumazione, che caratterizza spesso il tessuto delle nostre città. Si profilano così una serie di interrogativi: come produrre spazi per l’autenticità in un tale tessuto? Come far crescere nella città rapporti veri, coniugati tanto all’apertura verso orizzonti più vasti, quanto alla felicità di ciascuno e di tutti? Come mettere al centro la persona e i suoi bisogni, soprattutto quando si tratta del più debole e del meno considerato? Come stabilire una relazione armoniosa fra la persona e l’ambiente, in un contesto che sia ecologicamente sostenibile? Il deterioramento di questa prima forma di “nomadismo urbano” - quella delle relazioni interpersonali e ambientali - fa emergere l’urgenza di una priorità etica, alla quale ispirare ogni scelta in vista di uno sviluppo umano della città: il primato della persona e delle relazioni solidali. È il “principio solidarietà”, l’unico capace di affermare che i diritti dell’essere umano, chiunque sia e tanto più se debole e sfruttato, sono i bisogni fondamentali connessi alla sua stessa dignità di persona. Una città sostenibile è una città di persone libere, creative e solidali. Il secondo flusso che attraversa la “città nomade” è quello che congiunge la comunità all’istituzione e alla mediazione politica: la relazione fra persone solidali si esprime nelle forme della cosiddetta “società civile”, che è l’insieme delle aggregazioni fondate su comunanza di “ethos” o di servizi, che non si identificano né con la rappresentanza politica, né con i ruoli istituzionali, anche se devono correlarsi ad essi in un mutuo scambio. Dove questo rapporto si inceppa, avanza la “burocratizzazione” delle istituzioni e facilmente la politica si converte in maschera, vuota di incidenza reale al servizio del bene comune, fino a deteriorarsi nel delirio di onnipotenza di protagonisti che si misurano solo sulle proprie ambizioni e sui vantaggi del potere. Le domande che qui nascono potrebbero formularsi così: come può la città favorire l’esprimersi della società civile e la sua integrazione feconda con la mediazione istituzionale e politica? Come può il “government” coniugarsi alla “governance”, l’esercizio del potere all’aggregazione di consenso e di partecipazione vantaggiose per il bene di tutti? E come possono le istituzioni o la politica promuovere il protagonismo dei cittadini nella crescita della qualità della vita per tutti? Si profila un secondo criterio etico, da chiamare in causa per impedire il deterioramento della relazione fra società civile e mediazione politico-istituzionale: il principio responsabilità. Ciascuno è chiamato a sentirsi partecipe del bene di tutti e perciò responsabile nella realizzazione di cammini che implicano tanto crescita e conquista, quanto sacrificio e impegno per tutti. Una città sostenibile è una città di corresponsabili a tutti i livelli, dai singoli alle libere aggregazioni, dalle istituzioni a chi fa esercizio della politica e del potere decisionale che ad essa è connesso. L’etica guidata dal “principio responsabilità” a tutti i livelli, “in primis” quello della vita pubblica, appare la via necessaria per trasformare la città nomade in città felice, accogliente e giusta per tutti. Il terzo flusso, caratteristico dell’odierno “nomadismo urbano”, è quello che si esprime nel rapporto fra localismo e universalismo: l’epoca della globalizzazione ha trasformato l’intero pianeta in un unico villaggio, unificato dalle reti telematiche (il “web”, la “ragnatela”), dai sistemi di informazione di massa e dall’interdipendenza economica e politica, spesso espressa in forme unilaterali di dipendenza dei più deboli dai più forti. Inserire la città in questo orizzonte significa evitare ogni falsa assolutizzazione del “locale”, ma anche farsi carico di domande come le seguenti: come può inserirsi la città in un sistema ecologicamente responsabile per la crescita della qualità della vita dell’intero pianeta? Come essa interviene nel sistema economico, produttivo e di consumo del “villaggio globale”? Oltre il fallimento della città programmata ideologicamente, si va inesorabilmente verso la città frantumata, la città cibernetica, la città virtuale, o c’è spazio per una città a dimensioni eco-regionali, attiva nell’interscambio col sistema totale? Ed in questa prospettiva, come può la città conservare la propria identità, legata alla sua memoria storica e capace di arricchire altri con l’originalità, che le appartiene? Il valore che qui si profila sul piano etico - e non solo economico e politico - è quello della sussidiarietà: ciò che può essere fatto e promosso a livello locale non deve essere demandato altrove, mentre i processi di globalizzazione devono essere attenti a valorizzare la partecipazione dal basso e non solo l’intervento dall’alto. La perdita d’identità delle culture locali è un pericolo per tutti, perché il villaggio globale ha bisogno delle città che mettano in rete le proprie ricchezze, economiche, culturali e spirituali, e beneficino della comunicazione che apporti loro i servizi e le risorse di cui mancano. Una città sostenibile evita tanto l’isolamento quanto la perdita d’identità nella massificazione generale, e partecipa attivamente secondo il principio sussidiarietà - alla vita del grande villaggio del mondo: il locale si unisce al globale in un reciproco interscambio, qualificato ormai frequentemente col termine “glocal”, glocale. I tre flussi descritti, caratteristici dell’attuale “nomadismo urbano”, sono carichi di potenzialità opposte, negative e positive: vale per la “città nomade” l’osservazione di Sant’Agostino, che cioè le due città - la “civitas Dei” e la “civitas vanitatis” - sono “perplexae et permixtae”. In un momento storico drammatico, quale fu l’epoca del tramonto dell’impero romano, a quanti accusavano i cristiani della responsabilità di quella sconvolgente disgregazione, il Vescovo africano non teme di indicare le vere ragioni della crisi: 37


l’impatto esterno dei barbari è per lui un elemento solo concomitante, aperto peraltro a possibilità positive, come quelle delle linfa nuova che essi portavano nel sangue di una civiltà ormai in sfacelo. La profonda causa della crisi della grandezza di Roma è per Agostino di carattere morale: è la tendenza diffusa - avallata dai vertici, ma divenuta mentalità comune - a preferire la vanitas alla veritas. I due concetti sono espressione di logiche opposte: la vanità è connessa alla logica dell’apparenza, a quel trionfo della maschera, che copre interessi esclusivamente egoistici e prospettive di corto metraggio dietro proclamazioni d’intenti altisonanti. La verità è quella che misura le scelte sui valori etici permanenti, e quindi sulla dignità inalienabile della persona umana davanti al suo destino temporale ed eterno. Fra le tante, una citazione dal De Civitate Dei può aiutare a comprendere la differenza intesa da Agostino: al mondo “che si dissolve e sprofonda” (“tabescenti ac labenti mundo”) egli vede opporsi l’opera di Dio, che va radunandosi una famiglia, per farne la sua città eterna e gloriosa, fondata “non sul plauso della vanità, ma sul giudizio della verità” (“non plausu vanitatis, sed iudicio veritatis”: II, 18, 2). L’intuizione è di un’attualità impressionante: di fronte a una civiltà che - nonostante la crisi e nei pur deboli segnali di uscita da essa - continua a perseguire i miti del consumismo e dell’edonismo rampante, si profila una visione alternativa, costruita sulla verità delle cose e sul primato dei valori, cui a nessuno è lecito sottrarsi, in vari ambiti. Nell’ambito della politica e delle istituzioni, la disumanizzazione delle città è frutto di un modo di governare che ha separato l’autorità dall’effettiva autorevolezza dei comportamenti e la rappresentanza democratica dalla reale rappresentatività dei bisogni e degli interessi dei cittadini. Dove l’amministratore o il politico persegue unicamente il proprio interesse, puntando sull’immagine e sulla produzione del consenso indotta per via di favoritismi o di profitti legati a gruppi di potere, lì trionfa la “vanitas” a scapito della “veritas”. Il primato della verità esige invece una prassi politica e amministrativa ispirata alla ricerca disinteressata del bene comune, capace di ascoltare e coinvolgere i cittadini come portatori di bisogni e di diritti, di proposte e di capacità realizzative: l’ideale della così detta “good governance” è inseparabile da una forte tensione etica rispettosa della partecipazione di tutti ai processi decisionali e rivolta al loro servizio e non alla loro utilizzazione strumentale ai fini della produzione del consenso. Sul piano dei modelli culturali e delle risorse spirituali la “vanitas” trionfa lì dove si privilegia la ricerca dell’effimero, sradicando la realizzazione del bene comune dalla memoria collettiva, di cui sono tracce preziose le opere dell’arte e dell’ingegno e le tradizioni spirituali e religiose. Una comunità sradicata dalla sua memoria è al tempo stesso privata della sua identità e rischia di essere esposta a strumentalizzazioni perverse: il trionfo della “veritas” consiste qui nel rispetto e nel recupero del patrimonio culturale, artistico, religioso della collettività, come base per il riconoscimento dei reali bisogni e delle priorità cui tendere. Un’azione educativa capillare, sostenuta da un sistema efficiente di didattica e di ricerca scientifica, è condizione indispensabile per la conservazione dei beni culturali e ambientali. Un terzo ambito, fortemente connesso al precedente, è quello della pianificazione urbanistica, dove può considerarsi prodotto della “vanitas” ogni approccio ideologico, tendente ad imporre alla realtà logiche funzionalistiche, ispirate a modelli preconfezionati, sganciati dall’analisi e dal rispetto del territorio, dell’ecologia, delle risorse umane e delle componenti spirituali. Sarà al contrario sostenuta dalla forza della verità un’urbanistica attenta alla dignità della persona umana come centro e cuore di ogni intervento, tesa alla realizzazione di comunità a dimensione umana, dove la relazione interpersonale sia valorizzata e promossa. Ciò esigerà un’azione sociale e politica volta a superare le sperequazioni sociali, con un’attenzione privilegiata ai più deboli e alle legittime esigenze connesse ai loro diritti di persone e di cittadini. Dove la “vanitas” fa dell’efficienza un assoluto, la “veritas” sceglie il primato dell’equità, sia sul piano della distribuzione delle risorse, sia su quello dell’articolazione dei tempi e del coinvolgimento attivo dei destinatari. L’ambito dell’economia non è meno soggetto alla contrapposizione fra “vanitas” e “veritas”: se alla prima s’ispira un’azione economica orientata al solo profitto e all’interesse privato, alla seconda punta un’economia integrata, attenta non solo alla massimizzazione dell’utile, ma anche alla partecipazione di tutti ai beni, al coinvolgimento dei più deboli, alla promozione dei giovani, delle donne, degli anziani, delle minoranze. Un’economia di comunione, che miri alla messa in comune delle risorse, al rispetto della natura, alla partecipazione collettiva agli utili, al reinvestimento finalizzato a scopi sociali, alla responsabilità verso le generazioni future, può essere un modello significativo della svolta necessaria in questo campo. La città futura non potrà essere programmata e gestita secondo logiche esclusivamente utilitaristiche: o sarà frutto di un’economia integrata, che unisca all’interesse pubblico e a quello privato con esso compatibile il ruolo di un’“economia civile” in grado di valorizzare tutti i soggetti in gioco e di promuoverne la crescita collettiva, o rischierà di accrescere i processi di frammentazione, che producono la disumanizzazione della città. Infine, è l’etica il campo di applicazione più profondo della dialettica proposta da Agostino: a una morale individualista e utilitaristica, finalizzata esclusivamente all’interesse dei singoli o dei pochi, occorre opporre 38


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un’etica della verità, aperta a valori fondati sulla comune umanità e sulla dignità trascendente della persona umana. Questa etica può caratterizzarsi per il primato della responsabilità verso gli altri, verso se stessi e verso l’ambiente, per l’urgenza conseguente della solidarietà, che pone in primo piano i diritti dei più deboli, singoli, gruppi, popoli o interi paesi (si pensi ad esempio alla questione del debito internazionale dei paesi poveri e della necessità del condono, anche come forma di riparazione per i danni ecologici prodotti dal sopra-sviluppo dei paesi ricchi), e per l’apertura ai valori spirituali, che vanno dall’insieme dei beni culturali e artistici, alla libertà religiosa, al rispetto e alla promozione delle esperienze di ricerca, di culto e di testimonianza di Dio. L’opzione di fondo necessaria e urgente in ogni ambito e livello è quella per un’etica della verità, che in tutto privilegi rispetto alla logica della “vanitas” - dell’effimero, dell’apparente, dell’egoistico - la logica della condivisione e del servizio. Il fatto, poi, che l’etica della “veritas” trovi nella tradizione biblica la sua ispirazione più profonda nulla toglie alla sua portata universale: prova anzi che il “grande codice” che è la Bibbia (Northrop Frye), contiene un potenziale di giustizia e di pace a cui tutta l’umanità ha attinto e potrà attingere senza paura di settarismi o di sopraffazioni. Affermarlo è motivo di speranza che ci riguarda tutti, nella misura in cui ci sta a cuore una città futura che sia meno dissimile dalla città di Dio, voluta e sperata dal Signore della storia per l’intera famiglia umana. Occorre dunque uno sforzo sinergico per realizzare la città sostenibile, al servizio dello sviluppo di tutto l’uomo in ogni uomo, nel Nord come nel Sud del mondo. Di una tale città felice, verso cui tendere insieme tutti, dà un’immagine potente il libro dell’Apocalisse: è la Gerusalemme celeste, che coniuga l’identità irradiante all’apertura e all’accoglienza dell’altro. Essa è come una “errante radice” (Franz Rosenzweig), una città attraversata dai flussi della comunicazione più ampia, e tuttavia capace di essere unica e ricca della luce che splende dal suo centro e cuore: “La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte. E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni. Non entrerà in essa nulla d’impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello” (Ap 21,23-27). Verso questa città deve tendere l’impegno di ciascuno e di tutti, non mediante progetti ideologici, che forzino la realtà a partire dalla presunzione dell’idea, ma attraverso un continuo passaggio dalle migliori pratiche alle idee possibili, ispirate ai principi etici descritti e realizzate col concorso di tutti, a cominciare da quello del popolo umile dei poveri e dei diseredati della terra, che sono i più cari agli occhi di Dio, perché - anche se spesso dimenticati nel libro dei conti della terra - sono scritti nel libro della vita dell’Agnello.

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SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO E TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

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Sistema economico Scenari demografici Dinamicità del mercato immobiliare e residenziale

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SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO E TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

Metodologia di analisi multivariata

Nota metodologica

sono meno correlati rispetto al reddito imponibile. È noto infatti, che il dato bancario approssimi solo in parte il reale livello di ricchezza di un territorio. Oltre una certa soglia il risparmio confluisce in varie forme di investimento perdendo il collegamento diretto con il territorio in cui è generato. Per il reddito imponibile invece il legame con il territorio resta più saldo ed anche la correlazione con il contesto sociale in cui si produce è assai più marcata. In particolare, i due indicatori di reddito (imponibile medio per abitante e per contribuente), oltre all’evidente correlazione reciproca, mostrano una correlazione inversa con il tasso di disoccupazione (-0,73 e -0,57) e ed una correlazione diretta con la presenza di capitale umano qualificato (0,34 e 0,45)1.

Tab. 8.1 - Indicatori cluster analysis Fonte

Depositi bancari per abitante Reddito imponibile per abitante Reddito imponibile per contribuente Incidenza popolazione laureata Tasso di disoccupazione

Banca d’Italia, 2015 Ministero Economia e Finanze, 2014 Ministero Economia e Finanze, 2014 ISTAT, Censimento popolazione 2011 ISTAT, Censimento popolazione 2011

Variazione percentuale popolazione Dipendenza anziani (>64/15-64) Ricambio generazionale (>64 /<15) Incidenza stranieri Saldo migratorio italiani 2006-2015 / residenti italiani 2015

DemoSI-CRESME, 2005-2015 DemoSI-CRESME, 2015 DemoSI-CRESME, 2015 DemoSI-CRESME, 2015

Transazioni residenziali / stock abitativo occupato Prezzo medio compravendite residenziali (euro m 2) Prezzo medio locazioni residenziali (euro m 2 mese) Incidenza famiglie proprietarie dell’abitazione in cui vivono Variazione percentuale famiglie

Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), 2013-2015 Stime CRESME su dati Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), 2013-2015 Stime CRESME su dati Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), 2013-2015

Sistema demografico

Sistema economico

Indicatore

DemoSI-CRESME, 2005-2015

ISTAT, Censimento popolazione ,2011

Mercato abitativo

Lo studio delle dinamiche territoriali ed insediative trae vantaggio dall’applicazione delle tecniche di analisi multivariata. I processi di trasformazione socio-economica, infatti, sono il frutto di complesse interazioni tra diversi fattori: investimenti materiali e immateriali sul territorio, livello di qualificazione del capitale umano, dotazione infrastrutturale (produttiva e sociale), dotazione tecnologica, livello di benessere e welfare, gestione dell’ambiente. Sono solo alcuni degli aspetti che concorrono in maniera sinergica a determinare la capacità del territorio di rispondere e adattarsi agli stimoli esogeni (globalizzazione, sviluppo tecnico e tecnologico, politiche economiche e fiscali nazionali e internazionali, crisi energetica, nuovi modelli di sviluppo) ed endogeni (dinamiche demografiche, mutamenti sociali e ambientali, cicli politici), attraendo risorse e generando ricchezza e sviluppo. Per la corretta interpretazione delle dinamiche in atto e la valutazione dei possibili scenari evolutivi, quindi, è indispensabile analizzare un insieme eterogeneo di indicatori, in grado di offrire una lettura realistica degli aspetti economici in rapporto ai fenomeni demografici ed alle dinamiche insediative. Trattandosi di una analisi a grana fine, con unità territoriale minima costituita dal comune, la scelta degli indicatori è condizionata dalla ridotta disponibilità di informazioni statistiche a quella scala. Tra le variabili disponibili è stato definito un set di indicatori, valutando la significatività in rapporto ai temi di interesse e, tra questi, scegliendo quelli più aggiornati. Le informazioni statistiche ufficiali sono state integrate con dati di fonte propria, tra cui DemoSI, il sistema informativo previsionale demografico sviluppato dal CRESME in collaborazione con INU, e quelli sul mercato immobiliare, risultato di stime CRESME su dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle Entrate. I singoli indicatori sono raggruppati in tre ambiti specifici: sistema economico, sistema demografico, mercato abitativo. Tutte le variabili sono state opportunamente standardizzate per consentire i confronti territoriali (cross-sectional analysis) e successivamente è stato calcolato l’indice di Pearson per valutare l’interdipendenza lineare tra variabili. Con riferimento al sistema economico, l’analisi evidenza bene l’esistenza di una correlazione diretta tra ricchezza e livello formativo ed una correlazione inversa con i livelli occupazionali. Tra gli indicatori di ricchezza, i depositi bancari per abitante

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DemoSI-CRESME, 2005-2015

Tab. 8.2 - Correlazione lineare indicatori economici (Indice di Pearson)

Si ricorda che l’indice di Pearson misura la correlazioni tra variabili con valori compresi tra 0 (nessuna correlazione) e 1 (massima correlazione), mentre il segno indica il senso della correlazione con un valore positivo (+) che indica una correlazione diretta ed un valore negativo (-) che indica una correlazione inversa. 1

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RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

L’analisi degli indicatori demografici, invece, evidenzia la forte correlazione tra crescita di popolazione e capacità attrattiva dei territori. La variazione di popolazione, infatti, è in rapporto di correlazione inversa con l’indice di dipendenza degli anziani (popolazione di 65 anni e più, su popolazione in età lavorativa, 15-64 anni) e con l’indice di ricambio generazionale (anziani su giovani con meno di 14 anni), mentre è in correlazione diretta con la presenza straniera e, soprattutto, con l’indice di attrattività delle migrazioni interne. Lo specifico indice, calcolato operando il rapporto tra saldo migratorio di residenti italiani nel periodo 2005-2015 e la popolazione italiana al 2015, mostra un indice di correlazione rispetto alla variazione di popolazione molto elevato (0,73). È evidente quindi che le dinamiche migratorie rappresentino il principale fattore di crescita demografica, raggiungendo i livelli più elevati proprio dove la capacità attrattiva riguarda sia i flussi internazionali sia i flussi interni. L’analisi degli indicatori del mercato residenziale pone invece in evidenza una connotazione caratterizzata da molti gradi di libertà e pochi elementi correlati. La diffusione proprietaria è un fattore assai poco correlato con gli altri, come la vivacità del mercato (percentuale di stock residenziale scambiato tra 2013 e 2015). Un significativo rapporto di correlazione si evidenzia solo tra livello dei prezzi (compravendita e affitto) e variazione del numero di famiglie, che rappresenta una proxy attendibile della domanda primaria. Il fatto non sorprende, considerando che

Tab. 8.3 - Correlazione lineare indicatori demografici (Indice di Pearson)

Tab. 8.4 - Correlazione lineare indicatori mercato (Indice di Pearson)

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l’ultimo ciclo espansivo del mercato ha interessato in prevalenza le realtà urbane più dinamiche ed attrattive, dove il livello dei prezzi risulta notevolmente più elevato. Lo studio prosegue con l’individuazione delle componenti principali, combinazione lineare delle variabili di partenza standardizzate, non correlate e ordinate sulla base della varianza. L’analisi in componenti principali è una tecnica standard della statistica multivariata utilizzata per la semplificazione dei dati. Per ognuno dei tre pilastri in cui è strutturata l’analisi (Economia, Demografia, Mercato), i cinque indicatori esaminati sono stati sintetizzati in due variabili latenti (feature reduction), definendo una quadro analitico di più facile interpretazione. Con riferimento al pilastro Economia, la prima componente, posizionata nel piano cartesiano sull’asse delle ascisse, rappresenta una combinazione lineare degli indicatori di ricchezza (depositi bancari, reddito imponibile per contribuente e procapite). La seconda componente invece, disposta lungo l’asse delle ordinate, condensa le variabili relative al capitale umano (percentuale di laureati, tasso di disoccupazione). La distribuzione dei comuni evidenzia la correlazione tra ricchezza, qualità formativa e dinamicità del mercato del lavoro, ma fa anche emergere la forte caratterizzazione delle principali città italiane, posizionandole fuori dall’area di concentrazione dei comuni medi e piccoli. Un posto di primo piano spetta senza dubbio a Milano, che distanzia nettamente le altre città, sia per livello di ricchezza, sia per qualità del capitale umano. Tra le altre città principali, Bologna, Roma e Firenze si distinguono per livello di ricchezza, mentre per qualità del capitale umano emerge Cagliari, che con il 22% di laureati eguaglia Milano. Sullo stesso livello di ricchezza di Cagliari, anche Torino, Venezia e Genova, ma il posizionamento in termini di capitale umano è più basso. Livello formativo sopra la media, associato ad un indice di ricchezza medio-basso, caratterizza invece le principali città del sud (Bari, Messina, Reggio di Calabria, Palermo, Napoli e Catania). Con riferimento al pilastro Demografia, la prima componente sintetizza gli indicatori di crescita (variazione popolazione) e struttura per età (dipendenza strutturale anziani e ricambio generazionale). La seconda componente, invece, definisce il livello di attrattività del comune, condensando le variabili migratorie (incidenza migrazioni interne italiani e incidenza residenti stranieri). Il posizionamento delle principali città a ridosso dell’area di addensamento, bene evidenzia il ruo-


SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO E TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

lo giocato dai comuni minori, soprattutto quelli dell’hinterland metropolitano. Tra i principali poli attrattori, Roma, Milano, Firenze e Bologna, ma si qualificano città ad elevata attrattività anche Venezia, Genova e Torino, sebbene i rilevanti fenomeni di invecchiamento della struttura demografica ne limitino il potenziale di crescita. In evidente declino invece tutte le altre città del sud Italia, nelle quali l’esodo demografico accelera i fenomeni di invecchiamento strutturale. Il pilastro Mercato Abitativo invece, nella prima componente condensa i fattori di domanda (variazione famiglie, prezzo compravendite e affitto), mentre nella seconda sintetizza i fattori di contesto (vivacità del mercato e quota proprietà). La distribuzione dei comuni disegna un mercato residenziale fortemente focalizzato sulle principali città, dove si concentra la domanda insediativa ed il livello dei prezzi raggiunge i valori di picco. Dominano la classifica città come Roma, Milano, Venezia, Bologna e Firenze, che rappresentano al contempo le realtà economicamente più dinamiche ed attrattive. Il livellamento sull’asse verticale definisce però i caratteri di un mercato maturo, che in termini relativi raggiunge maggiore vitalità nei comuni dell’hinterland metropolitano e lungo alcune aree costiere.

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Figura 8.1 - Componenti principali asse ECONOMIA

Figura 8.2 - Componenti principali asse DEMOGRAFIA

Figura 8.3 - Componenti principali asse MERCATO RESIDENZIALE

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RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Sistema economico L’analisi dei gruppi è una tecnica della statistica multivariata che mediante metodi di raggruppamento (clustering) identifica strutture comuni all’interno di insiemi di dati multidimensionali. Le unità statistiche, nel nostro caso i 7.999 comuni italiani, vengono assegnate a categorie non definite ex ante, per formare dei gruppi omogenei. Considerando le prime due componenti è possibile rappresentare la “forma” dei gruppi che definiscono il sistema economico, per comprendere il criterio seguito dall’algoritmo di raggruppamento. Ogni punto nel grafico 8.2 rappresenta un comune e, in linea di massima, all’aumentare della prima componente, da sinistra verso destra, aumenta tendenzialmente il livello di ricchezza e benessere (reddito imponibile e depositi bancari).

Figura 8.4 - Suddivisione in gruppi

Al crescere della seconda componente invece, ovvero muovendosi verso l’alto nel grafico, migliora la situazione del capitale umano (aumenta il livello di istruzione e si riduce la disoccupazione). Il criterio di classificazione appare quindi evidente: i gruppi 1 e 2, ovvero quelli composti prevalentemente da comuni «ricchi», si posizionano nella destra del grafico, disponendosi lungo una linea ideale che partendo dal basso si dirige verso l’esterno, tagliando il diagramma a 45° rispetto all’asse orizzontale; i comuni più «poveri», quelli dei gruppi 3 e 4, sono invece posizionati a sinistra, e procedendo verso l’interno del grafico si dispongono lungo una linea inclinata a -45°. Una caratterizzazione più precisa dei gruppi è possibile valutando il valore medio dei cinque indicatori di base: Primo Gruppo - Centralità economiche - Con un reddito imponibile di 15mila euro per abitante, 22mila euro per contribuente e depositi bancari per 14mila euro procapite, comprende i comuni più ricchi, cui si associa un elevato livello formativo (10,8% di laureati) ed una buona situazione del mercato del lavoro (disoccupazione al 6,6%). Secondo Gruppo - Aree periferiche ad alto reddito Qui la situazione del mercato del lavoro resta buona (disoccupazione al 6,1%) ma si riduce livello formativo (6,1% di laureati) e ricchezza (13mila euro di imponibile per abitante, 18mila per contribuente e 14mila euro i depositi procapite). Terzo Gruppo - Aree periferiche a basso reddito – Il livello di ricchezza risulta sensibilmente più basso

Tab. 8.5 - Caratterizzazione dei gruppi, valore medio indicatori GRUPPI 1 1.532 14,28 15,38 21,77 10,8% 6,6%

Numero comuni Depositi bancari per abitante 2015 (‘000! ) Reddito imponibile per abitante 2014 (‘000! ) Reddito imponibile per contribuente 2014 (‘000! ) Incidenza popolazione laureata 2011 Tasso di disoccupazione 2011

2 2.986 10,61 13,24 18,38 6,1% 6,1%

3 1.547 5,96 10,35 15,52 7,6% 10,7%

4 1.934 4,39 7,86 12,85 6,6% 18,9%

Tab. 8.6 - Sintesi dei dati statistici principali aggregati per i gruppi dell’asse economia GRUPPI Popolazione 2015 Variazione popolazione 2005-2015 Scenario popolazione 2016 -2025 Incidenza stranieri 2015 Reddito imponibile 2014 (milioni) Depositi bancari 2015 (migliaia)

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1 27.366.516 6,1% 0,3% 10,7% 432.988 808.944

2 10.707.594 4,6% -1,1% 9,5% 142.160 128.176

3 10.439.946 3,8% -2,0% 6,2% 108.478 93.103

4 12.151.495 1,5% -2,2% 3,6% 93.875 69.153

Totale 60.665.551 4,5% -0,8% 8,3% 777.501 1.099.377


SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO E TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

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Figura 8.5 - Sistema economico

Fonte: DemoSI- CRESME

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RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

(10mila euro di imponibile per abitante, 15mila per contribuente e meno di 6mila euro di depositi procapite), sebbene il livello formativo risulti addirittura superiore a quello del gruppo precedente. Il deterioramento del quadro generale dipende però dalla pessima situazione del mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione che balza al 10,7%. Quarto Gruppo – Aree marginali – Sono le più problematiche, nelle quali il basso livello dei redditi (meno di 8mila euro di imponibile per abitante, meno di 12mila per contribuente e poco più di 4mila euro i depositi bancari procapite) si associa ad una situazione occupazionale che assume toni drammatici (disoccupazione al 18,9%). Quella che si propone è l’immagine di un Paese in cui la dicotomia Nord-Sud costituisce ancora una chiave interpretativa pregnante. Dei 1.532 comuni compresi nelle Centralità economiche, infatti, ben 1.296 sono collocati al Nord (917 Nord-Ovest e 379 Nord-Est) ed altri 168 nel Centro Italia, in sostanza, il 95,6% dei comuni più ricchi si colloca nel Centro-Nord, disegnando i sistemi territoriali più vitali e dinamici del Paese, l’area metropolitana milanese, con la sua propagazione verso nord, lungo l’asse Como-Varese, verso sud fino a Bologna ed Ancona, lungo il corridoio della via Emilia e in direzione est-ovest lungo l’asse Torino-Bergamo-Verona. Ma tra le aree forti si distingue anche il sistema urbano Firenze-Pisa-Livorno e, più a sud, il sistema metropolitano romano. È altresì evidente

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l’effetto diffusivo dei sistemi economici principali su un retroterra altrettanto vitale e dinamico. Dei 2.986 comuni del secondo gruppo, definiti aree periferiche ad alto reddito, ben 2.767 sono collocati nel Nord Italia (1.828 Nord-Ovest e 939 Nord-Est), pari al 92,7% del totale, ed aggiungendo i 212 comuni situati in Centro, la quota sale al 99,8% del totale. Il dato territoriale rappresenta quindi un elemento imprescindibile per una corretta valutazione della situazione economica nazionale, perché se è vero che il 56% dei comuni ed il 63% della popolazione è compreso in aree forti, non si può trascurare che il 90% dei comuni sia collocato al nord. I fortissimi squilibri nella distribuzione della ricchezza emergono ancor più chiaramente considerando che nelle centralità economiche del nord si produce il 38% del reddito nazionale ed il 52% del risparmio, a fronte di un peso demografico inferiore al 29%. La geografia economica dell’Italia meridionale e insulare appare punteggiata da sporadiche centralità economiche, Benevento, Caserta, Avellino, Potenza, Matera, Lecce, Enna, Sassari, Cagliari, per lo più isolate in un contesto territoriale molto problematico. Appare altresì evidente la relazione stretta tra livello di ricchezza e scenario demografico, fortemente condizionato dalla capacità delle sistemi economici più forti di attrarre i flussi migratori in uscita dalle aree più deboli, oltre che le migrazioni internazionali.


SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO E TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

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Scenari demografici Una caratterizzazione più precisa dei gruppi è possibile valutando il valore medio dei cinque indicatori di base: Primo Gruppo – Attrattivi – La fortissima crescita demografica (variazione decennale media +12,3%) è sostenuta da una forte attrattività rispetto alle migrazioni interne di italiani (incidenza migrazione italiani su popolazione 7%) e da una presenza straniera su livelli medi. Il buon livello di attrattività contrasta efficacemente i fenomeni di invecchiamento strutturale (indice dipendenza anziani al 32% e indice di ricambio generazionale al 148%). Secondo Gruppo - Crescita – Crescita demografica più contenuta (variazione decennale media +3,5%) sostenuta principalmente dai flussi migratori internazionali (incidenza residenti stranieri al 12%), mentre le migrazioni interne sono tendenzialmente

Figura 8.6 - Suddivisione in gruppi

-

+

Seconda Componente

Applicando la stessa metodologia di analisi allo studio dello scenario demografico, passiamo a valutare la “forma” dei gruppi, considerando che all’aumentare della prima componente, da sinistra verso destra, la struttura demografica dei comuni è più giovane ed aumenta tendenzialmente la crescita demografica. Per la seconda componente, invece, procedendo dal basso verso l’alto, aumenta l’attrattività dei comuni, sia in rapporto ai flussi migratori interni di italiani, sia rispetto ai flussi migratori internazionali. Il criterio di classificazione appare quindi evidente: i gruppi 1 e 2, quelli con più intense dinamiche di crescita, si posizionano nella destra del grafico, disponendosi lungo una linea ideale inclinata a 45° procedendo verso l’esterno. In definitiva, la crescita aumenta secondo un rapporto di proporzionalità diretta con l’attrattività del comune esprime nei confronti delle migrazioni interne ed internazionali, ribadendo la centralità dei fenomeni migratori nella definizione degli scenari di sviluppo. Sulla sinistra del grafico, invece, i comuni a bassa crescita o in declino demografico, quelli dei gruppi 3 e 4, disposti lungo una direttrice immaginaria inclinata a -45° procedendo da destra verso sinistra. La distribuzione trova spiegazione nel fatto che in molti comuni soggetti ad intensi fenomeni di spopolamento e declino demografico, la presenza straniera diviene tendenzialmente assai rilevante, associando dinamiche demografiche in forte calo ad elevati livelli di attrattività rispetto ai flussi internazionali.

Prima Componente

Tab. 8.7 - Caratterizzazione dei gruppi, valore medio indicatori GRUPPI 1 1.532 14,28 15,38 21,77 10,8% 6,6%

Numero comuni Depositi bancari per abitante 2015 (‘000! ) Reddito imponibile per abitante 2014 (‘000! ) Reddito imponibile per contribuente 2014 (‘000! ) Incidenza popolazione laureata 2011 Tasso di disoccupazione 2011

2 2.986 10,61 13,24 18,38 6,1% 6,1%

3 1.547 5,96 10,35 15,52 7,6% 10,7%

4 1.934 4,39 7,86 12,85 6,6% 18,9%

Tab. 8.8 - Sintesi dei dati statistici principali aggregati per i gruppi dell’asse economia GRUPPI Popolazione 2015 Variazione popolazione 2005-2015 Scenario popolazione 2016 -2025 Incidenza stranieri 2015 Reddito imponibile 2014 (milioni) Depositi bancari 2015 (migliaia)

1 27.366.516 6,1% 0,3% 10,7% 432.988 808.944

2 10.707.594 4,6% -1,1% 9,5% 142.160 128.176

3 10.439.946 3,8% -2,0% 6,2% 108.478 93.103

4 12.151.495 1,5% -2,2% 3,6% 93.875 69.153

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Totale 60.665.551 4,5% -0,8% 8,3% 777.501 1.099.377


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Figura 8.7 - Scenario demografico

Fonte: DemoSI- CRESME

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SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO E TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

negative (incidenza migrazione italiani su popolazione -0,8%). L’afflusso di stranieri non compensa efficacemente la fuoriuscita di giovani italiani, evidenziando vistosi fenomeni di invecchiamento strutturale (indice dipendenza anziani al 37% e indice di ricambio generazionale al 180%). Terzo Gruppo - Stagnazione – Popolazione in calo (variazione decennale media -2,5%) per la consistente fuoriuscita di popolazione italiana (incidenza migrazione italiani su popolazione -2,2%), solo in parte bilanciata dall’afflusso di popolazione straniera (incidenza residenti stranieri al 3,7%), con vistosi fenomeni di invecchiamento strutturale (indice dipendenza anziani al 36% e indice di ricambio generazionale al 190%) Quarto Gruppo – Declino – Popolazione in fortissima riduzione (variazione decennale media -12,1%) per la elevatissima fuoriuscita di popolazione italiana (incidenza migrazione italiani su popolazione -5,6%), solo in parte bilanciata dall’afflusso di popolazione straniera (incidenza residenti stranieri al 4,8%), con gravissimi fenomeni di invecchiamento strutturale (indice dipendenza anziani al 55% e indice di ricambio generazionale al 407%). Se da un lato lo scenario demografico risulta chiaramente dipendente dai fenomeni migratori, assegnando al potenziale di crescita economica ed occupazionale dei territori un ruolo determinante

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nell’arginare l’invecchiamento della struttura demografica, mostra con altrettanta chiarezza gli effetti del processo insediativo dell’ultima fase espansiva, in larga parte caratterizzato da forti dinamiche espansive. I comuni attrattivi, infatti, sono in gran parte situati nell’hinterland metropolitano delle principali centralità economiche, la regione metropolitana milanese, il corridoio della via Emilia e l’area metropolitana romana, dove l’incremento demografico è risultato più rilevante (+12,9%). Assai più modesto è risultato l’incremento demografico degli altri comuni in crescita (+5,7%), principalmente localizzate nelle regioni Centro-Settentrionali. Dinamiche stagnanti e recessive hanno invece caratterizzato gran parte delle aree interne meridionali ed insulari e alcuni comuni dell’arco alpino (-0,4%), giungendo a più gravi fenomeni di declino in molte aree appenniniche, della Sardegna centrale e dell’entroterra ligure (-10,5%). Assumendo una ipotesi di permanenza delle dinamiche migratorie in atto nell’ultima fase storica, lo scenario decennale definisce una sensibile inversione di tendenza nell’andamento demografico complessivo (-0,8%), confermando dinamiche di crescita nelle sole aree attrattive (+3,4%), una stabilizzazione nelle aree in crescita (-0,1%), ed una ulteriore consistente riduzione nelle aree stagnanti (-3,8%) ed in declino (-7,5%).

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Dinamicità del mercato insediativo e residenziale Per la corretta interpretazione “forma” dei gruppi di comuni nell’analisi del mercato residenziale occorre considerare che la prima componente, procedendo da sinistra verso destra, descrive l’aumento tendenziale della domanda primaria (variazione del numero di famiglie) e del prezzo delle abitazioni sul mercato (compravendita e affitto). La seconda componente, invece, procedendo dal basso verso l’alto, riporta una maggiore vivacità del mercato (incidenza delle transazioni sullo stock occupato) e dell’incidenza della proprietà. Il criterio di classificazione appare quindi evidente: i gruppi 1 e 2, quelli con domanda primaria più sostenuta e prezzi di mercato più alti, si posizionano nella destra del grafico, disponendosi lungo una linea ideale con una lievissima inclinazione verso l’alto. In definitiva, la vivacità del mercato e la pro-

Figura 8.8 - Suddivisione in gruppi

pensione alla proprietà influiscono sempre meno al crescere del livello dei prezzi e della domanda primaria. La distribuzione trova giustificazione nel fatto che, a domanda consistente, il livello dei prezzi è maggiormente condizionato dalla scarsa disponibilità di beni sul mercato, e l’elevata soglia di accesso alla proprietà, tende ad ampliare il mercato dell’affitto. Sulla sinistra del grafico, invece, i comuni con livello dei prezzi più basso e domanda meno consistente, quelli dei gruppi 3 e 4, e qui la suddivisione è definita da due aree sovrapposte, con una separazione netta tra i comuni con mercato più vivace e quelli con mercato recessivo e forte propensione alla proprietà. Una caratterizzazione più precisa dei gruppi è possibile valutando il valore medio dei cinque indicatori di base: Primo Gruppo – Mercato dinamico fascia alta – Comuni caratterizzati da un prezzo medio delle abitazioni assai elevato (2.122 /m2 per l’acquisto e 7,6 /m2 mese per la locazione) e da sostenuti livelli di domanda primaria (+14,3% famiglie 2005-2015 e scambi sul mercato abitativo 20132015 pari al 7,1% dello stock). L’elevata soglia di accesso al mercato e la forte dinamicità, limitano l’accesso alla proprietà (72,3% di famiglie proprietarie dell’abitazione in cui vivono), ampliando il mercato dell’affitto. Secondo Gruppo – Mercato dinamico residenziale – Comuni caratterizzati da un prezzo medio delle abitazioni assai più contenuti (1.155 /m2 per l’acquisto e 3,4 /m2 mese per la locazione), sebbene la domanda primaria resti su livelli molto elevati (+14,6% famiglie 2005-2015 e scambi sul mercato

Tab. 8.9 - Caratterizzazione dei gruppi, valore medio indicatori GRUPPI 1 1.532 14,28 15,38 21,77 10,8% 6,6%

Numero comuni Depositi bancari per abitante 2015 (‘000! ) Reddito imponibile per abitante 2014 (‘000! ) Reddito imponibile per contribuente 2014 (‘000! ) Incidenza popolazione laureata 2011 Tasso di disoccupazione 2011

2 2.986 10,61 13,24 18,38 6,1% 6,1%

3 1.547 5,96 10,35 15,52 7,6% 10,7%

4 1.934 4,39 7,86 12,85 6,6% 18,9%

Tab. 8.10 - Sintesi dei dati statistici principali aggregati per i gruppi dell’asse mercato abitativo GRUPPI Popolazione 2015 Variazione popolazione 2005-2015 Scenario popolazione 2016 -2025 Incidenza stranieri 2015 Reddito imponibile 2014 (milioni) Depositi bancari 2015 (migliaia)

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1 27.366.516 6,1% 0,3% 10,7% 432.988 808.944

2 10.707.594 4,6% -1,1% 9,5% 142.160 128.176

3 10.439.946 3,8% -2,0% 6,2% 108.478 93.103

4 12.151.495 1,5% -2,2% 3,6% 93.875 69.153

Totale 60.665.551 4,5% -0,8% 8,3% 777.501 1.099.377


SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO E TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

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Figura 8.9 - Dinamicità mercato immobiliare residenziale

Fonte: DemoSI- CRESME

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RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

abitativo 2013-2015 pari al 5,3% dello stock). È un mercato dinamico maggiormente orientato alla residenzialità, con una quota in proprietà notevolmente più rilevante (78,9% di famiglie proprietarie dell’abitazione in cui vivono). Terzo Gruppo – Mercato stagnante – Mercato connotato da modesti livelli di domanda primaria (+3,9% famiglie 2005-2015 e scambi sul mercato abitativo 2013-2015 pari al 4,1% dello stock) e prezzo medio delle abitazioni a livelli medio-bassi (793 /m2 per l’acquisto e 2,3 /m2 mese per la locazione), sebbene elevati in rapporto ai redditi, con conseguente modesta diffusione della proprietà (70,2% di famiglie proprietarie). Quarto Gruppo – Mercato recessivo – Aree soggette ad intensi fenomeni di spopolamento che determinano un eccesso di offerta rispetto a livelli di domanda assai contenuti (+0,3% famiglie 20052015) . Il basso livello dei prezzi (677 /m2 per l’acquisto e 1,6 /m2 mese per la locazione) ed i meccanismi selettivi connessi derivanti dal declino demografico, determinano un forte diffusione della proprietà (70,2% di famiglie proprietarie). L’analisi delle dinamiche demografiche, proxy attendibile della domanda abitativa primaria, spiega con grande chiarezza l’esuberanza del mercato residenziale nello scorso decennio. Tra 2005 e 2015 la popolazione è aumentata del 4,5%, ma il numero di famiglie, per la fattori intrinsecamente connessi all’evoluzione della struttura demografica e l’esplosione delle migrazioni internazionali, è aumentato addirittura del 10,9%, esprimendo una domanda di nuove abitazioni che ha raggiunto livelli assai più rilevanti nelle aree più vitali e dinamiche del Paese. La transizione in atto, tuttavia, propone per il prossimo decennio uno scenario assai diverso. Il vasti fenomeni di invecchiamento strutturale, con il progressivo assottigliamento delle generazioni più giovani, i ventenni e i trentenni che danno origine alle nuove famiglie, e la sempre più consistente liberazione di abitazioni per la scomparsa degli anziani occupanti, produrrà un forte ridimensionamento dell’incremento di famiglie, portando l’incremento complessivo al 3,2%. Il fenomeno interesserà anche le aree storicamente più dinamiche, portando i valori di crescita, rispettivamente, dal 13,2% al 3,1% e dal 14,1% al 4,2%. La crescita si focalizzerà sempre più sulle aree economicamente più dinamiche ed attrattive, in grado di intercettare le migrazioni interne in gran parte costituite da giovani in cerca di lavoro, avviando in alcuni casi processi di rigenerazione della struttura demografica, e tra queste spicca l’area milanese, per la quale si prevede un tasso di crescita non tanto distante da quello dello scorso decennio precedente, ed a seguire, Bolzano, Parma, Trento, Firenze, 54

Bologna, Roma ed Olbia. Per gran parte dell’Italia centro-meridionale, soprattutto le aree interne appenniniche e di Sicilia e Sardegna, l’arco ligure e delle alpi piemontesi e friulane, lo scenario segnala pesanti dinamiche recessive. Oggi il fattore demografico rappresenta il nodo dello sviluppo del Paese. Nell’ultimo decennio la popolazione è cresciuta al ritmo di 300mila residenti l’anno, come negli anni ’50 e ‘60, gli anni della ricostruzione post-bellica e del boom economico, la fase di più intensa di crescita mai sperimentata in Italia. Le statistiche demografiche degli ultimi anni però, segnalando una stabilizzazione nel 2014 (+0,02%) ed una perdita di oltre 130mila residenti nel 2015, indicano con chiarezza che la fase espansiva è da ritenere ormai conclusa. La nuova stagione demografica è caratterizzata infatti da una crescente incidenza della popolazione anziana, con nascite in calo, morti in crescita ed un saldo naturale sempre più pesante (162mila morti in più dei nati nel 2015 contro i 96mila dell’anno precedente), un fenomeno, peraltro, destinato a peggiorare nei prossimi anni. Le proiezioni demografiche elaborate con l’ausilio del sistema informativo previsionale DemoSI-Cresme, disegnano infatti uno scenario evolutivo per il prossimo decennio compreso tra una ipotesi Bassa che, confermando l’attuale tendenza al calo, potrebbe portare ad una ulteriore perdita di 1,9 milioni di abitanti (-3,1%); ed una ipotesi Alta che invece condurrebbe ad un incremento di circa 1 milione di abitanti (+1,6%), rilevante ma decisamente inferiore a quello del decennio passato (+4%). Tra l’ipotesi Alta e l’ipotesi Bassa, si colloca l’ipotesi Centrale, la più probabile e realistica, che conferma un andamento in calo, sebbene più moderato, con una possibile perdita in tutto il periodo di circa 500mila abitanti (-0,8%). Con il passaggio da un modello socio-demografico ad alta natalità ed alta mortalità ad uno a bassa natalità e bassa mortalità, si è avviata una transizione demografica che sta producendo profonde trasformazioni nella struttura demografica. Il progressivo invecchiamento del folto contingente dei nati negli anni ’60 e la sostituzione con le esigue generazioni successive, sta producendo un netto sbilanciamento della struttura demografica verso le classi di età avanzata. Questa trasformazione strutturale, tendente a creare un vuoto nelle classi di età più giovani, si combina con un’altra dinamica che ha caratterizzato gli ultimi decenni, il forte incremento dei flussi migratori esteri, in gran parte costituiti da giovani in età da lavoro, che vanno quindi a compensare,


SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO E TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

anche se solo in parte, i vuoti generazionali prodotti dal processo di transizione demografica. Nelle realtà economicamente più dinamiche ed attrattive del Paese, ai flussi migratori internazionali si sono aggiunti i flussi migratori interni, in prevalenza costituiti da giovani italiani in uscita dalle aree in crisi alla ricerca di opportunità di inserimento occupazionale. È l’effetto di una transizione demografica che con il progressivo invecchiamento del folto contingente di nati negli anni ‘60, sta determinando una profonda mutazione della struttura per età della popolazione, portando il rapporto tra anziani (65 anni e più) e popolazione in età lavorativa (15-64 anni) dal 28% dei primi anni duemila, al 34% attuale, e lo scenario previsionale indica un ulteriore aumento, giungendo al 40% nel 2025 ed al 50% nel 2035. Il vasto processo di invecchiamento della struttura demografica, solo in minima parte bilanciato dai flussi migratori internazionali, in prevalenza costituiti da giovani in età da lavoro, è destinato ad incidere pesantemente sulle dinamiche economiche, mettendo a dura prova la tenuta del bilancio previdenziale, ma il prevedibile aumento della spesa sanitaria e del welfare in generale, sottraendo risorse agli investimenti, rischia di compromettere anche il potenziale di crescita e di innovazione del Paese. La bassa crescita a livello complessivo troverà però riscontro in una forte differenziazione territoriale, in cui giocherà un ruolo determinante l’attrattività economica dei territori ed il conseguente spostamento di popolazione giovane in cerca di lavoro

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dalle aree deboli verso quelle più dinamiche del Paese. Le realtà più dinamiche saranno quindi in grado di realizzare rilevanti fenomeni di rigenerazione della struttura demografica, confermando dinamiche espansive; le aree più deboli, invece, sperimenteranno una forte accelerazione dei fenomeni di declino demografico, approfondendo la loro condizione di marginalità economica. Il vasto processo di invecchiamento della struttura demografica, solo in minima parte bilanciato dai flussi migratori internazionali, in prevalenza costituiti da giovani in età da lavoro, è destinato ad incidere pesantemente sulle dinamiche economiche, mettendo a dura prova la tenuta del bilancio previdenziale, ma il prevedibile aumento della spesa sanitaria e del welfare in generale, sottraendo risorse agli investimenti, rischia di compromettere anche il potenziale di crescita e di innovazione del Paese. La bassa crescita a livello complessivo troverà però riscontro in una forte differenziazione territoriale, in cui giocherà un ruolo determinante l’attrattività economica dei territori ed il conseguente spostamento di popolazione giovane in cerca di lavoro dalle aree deboli verso quelle più dinamiche del Paese. Le realtà più dinamiche saranno quindi in grado di realizzare rilevanti fenomeni di rigenerazione della struttura demografica, confermando dinamiche espansive; le aree più deboli, invece, sperimenteranno una forte accelerazione dei fenomeni di declino demografico, approfondendo la loro condizione di marginalità economica.

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RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Consumo di suolo Per approfondire una apparente contraddizione emersa dal confronto tra i dati ISPRA sul consumo di suolo annuo negli anni della crisi economica e i dati CRESME sulla produzione edilizia nel 2016 il CRESME ha condotto nel 2016 uno studio sul consumo di suolo in Italia di cui si presenta una breve sintesi. Il lavoro dell’ISPRA, presentato nella primavera del 2015, metteva in evidenza il continuo accrescersi del consumo di suolo complessivo nel nostro paese, anno dopo anno, per tutti gli anni 2000, con quantità negli anni successivi al 2007 anche maggiori a quelli precedenti. Se il consumo di suolo fosse da imputare alla sola attività edilizia, o fosse da imputare prevalentemente all’attività edilizia, come siamo naturalmente portati a pensare, i kmq annui consumati tra 2007 (anno picco della fase espansiva) e 2015, avrebbero dovuto ridursi in misura significativa. L’Italia ha vissuto tra 1996 e 2015 un vero e proprio “superciclo edilizio”. Il super ciclo è stato tale sia nella fase espansiva che in quella recessiva. Per avere una idea di quello che è successo basterà ricordare che nel 2000 in Italia si erano prodotti , tra nuove costruzioni

e ampliamenti, 80 milioni di m3 di edilizia residenziale, saliti a 126 milioni nel 2007 e poi scesi a 41 milioni nel 2015; nel comparto non residenziale il picco si tocca già nel 2002 con 206 milioni di m3, per scendere a 50 milioni nel 2015. Tra 2007 e 2015 sono stati realizzati in media in Italia 40mila nuovi edifici residenziali all’anno ma nel 2015 tale valore si attesta a 27mila circa. Sempre secondo il CRESME, in termini di nuove abitazioni, nel 2007 in Italia se ne producevano 299.000 (per avere un’idea nel 1982 erano state 388.000, scese nel 1988 a 197.000) e nel 2015 si scendeva a 86.000. Insomma gli anni 2000 sono stati caratterizzati da una forte fase espansiva e da una fortissima fase recessiva. Questa dinamica si dovrebbe registrare nel consumo di suolo del paese. Cercare di misurare il consumo di suolo strettamente derivante dalla produzione edilizia è stato il lavoro svolto dal CRESME. Un lavoro parziale ma preciso nel suo obiettivo, che è stato perseguito attraverso la seguente metodologia: stima del numero di fabbricati di nuova costruzione realizzati negli anni 2000-2015 per anno di costruzione (Sistema Informativo per l’edilizia residenziale e non residenziale del CRESME); ar-

Tab. 8.11 - Ripartizione della nuova superficie di competenza degli edifici consumata nel 2015 (kmq) Edificio e spazi pertinenza

Standard urbanistici

Strade di impianto

TOTALE

12,8

11,2

4,6

28,6

11,2

7,5

3,9

22,6

5-15 abitazioni

1,2

2,0

0,5

3,7

Oltre 15 abitazioni

0,4

1,7

0,2

2,2

10,3 NON RESIDENZIALE Produttivo 6,1 Commerciale 1,9 Agricolo 1,9 Altro 0,5 23,1 TOTALE EDILIZIA Fonte: stima CRESME su fonti varie, 2016

1,2

1,3

12,7

0,3 0,8 0,0 0,1 12,4

0,6 0,6 0,0 0,1 5,9

6,9 3,3 1,9 0,7 41,3

RESIDENZIALE 1-4 abitazioni

Tab. 8.12 - Il suolo consumato in Italia nel 2015 e nel 2007 Superficie (Kmq/anno) 2007 Edilizia residenziale

27,6

12,8

-53,6

Edilizia non residenziale

29,0

10,3

-64,5

Servizi/standard

35,6

12,4

-65,2

TOTALE EDILIZIA

92,2

35,5

-61,5

14,1

5,9

-58,2

106,3

41,3

-61,1

Stima strade di impianto TOTALE Fonte: stima CRESME su fonti varie, 2016

56

Variazione % 2015/2007

2015


SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO E TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

ticolazione degli edifici stimati per tipologia di edificio (villetta, palazzina, palazzo, edificio produttivo, commerciale, ecc- Sistema Informativo per l’edilizia residenziale e non residenziale del CRESME); stima dei volumi e delle superfici delle diverse tipologie di edificio (Sistema Informativo per l’edilizia residenziale e non residenziale del CRESME); stima per le diverse tipologie della superficie media coperta dall’edificio e della sua area di pertinenza. Questa ultima stima sull’analisi di un campione di oltre 62.000 immobili analizzati a partire dagli annunci di vendita/affitto presenti sul mercato nel 2015, ma con epoche di costruzione diverse. Emerge che il suolo consumato in Italia nel 2015, per le voci prese in esame dalla stima CRESME è pari a 41,3 kmq, dei quali 23,1 sono direttamente consumati da edifici e spazi di pertinenza, 12,4 sono dovuti agli standard urbanistici e 5,9 alle nuove strade di impianto realizzate per raggiungere le nuove costruzioni. Già questo primo dato mette in evidenza un peso molto alto degli standard urbanistici nel consumo di suolo. Dei 23,1 kmq di suolo consumato dagli edifici e dagli spazi di pertinenza nel 2015, ben 12,8 sono dovuti all’edilizia residenziale e 10,3 a quella non residenziale. Dei 12,8 kmq dovuti all’edilizia residenziale, 11,2 sono dovuti all’edilizia mono-bifamiliare, 1,2 a quella media da 5 a 15 abitazioni e 0,4 a quella dovuta agli edifici con oltre 14 abitazioni. Si conferma così il nodo dello sprawl urba-

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no come carattere insediativo italiano e emerge la responsabilità di questa tipologia sul consumo di suolo. Per la costruzione di nuovi edifici non residenziali sono stati utilizzati 10 kmq suddivisi tra edifici produttivi, pari a 6 kmq, edifici agricoli pari a 2 kmq, ed edifici commerciali, pari a 2 kmq. Si ricorda che sono stati presi in considerazione: la nuova produzione edilizia residenziale; la nuova produzione edilizia non residenziale; l’indotto generato dalla nuova produzione edilizia in termini di standard urbanistici e infrastrutture di impianto. La stima non ha considerato: le infrastrutture, le strade in ambito rurale, sterrate e/o asfaltate; le aree di cantiere; le cave; le discariche; il riuso di aree dismesse (aree dove sono stati demoliti e ricostruiti edifici residenziali e/o non residenziali). La stessa metodologia applicata al 2007 (anno di picco della fase espansiva del settore delle costruzioni in Italia), porta a stimare un consumo di suolo dovuto all’edilizia di 106,3 kmq: i 41,3 kmq del 2015 risultano del 61% inferiori a quelli del 2007. In linea con tutti gli indicatori che descrivono la crisi del settore delle costruzioni e della nuova produzione edilizia. L’edilizia residenziale ha utilizzato nel 2007 per la costruzione di nuove abitazioni e loro pertinenze circa 13 kmq, che rispetto al 2015 rappresenta una riduzione di poco inferiore al 54%. Nel 2007 il suolo utilizzato per l’edilizia non residenziale è stato pari a 29 kmq facendo registrare rispetto al 2015 una contrazione del 65%.

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RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Figura 8.10 - Consumo di suolo

Fonte: Elaborazione CRESME su dati ISPRA 2016

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GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI

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Gli scenari socio-demografici dei sistemi insediativi Le Città Metropolitane Le Città Medie I Comuni Minori

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GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI

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Gli scenari socio-demografici dei sistemi insediativi Lo scenario demografico rappresenta sempre più un nodo critico nello sviluppo del Paese e se nell’ultimo decennio la popolazione è cresciuta al ritmo di 300mila residenti l’anno, come negli anni ’50 e ‘60, gli anni della ricostruzione post-bellica e del boom economico, la fase di più intensa crescita mai sperimentata in Italia, le statistiche demografiche più recenti indicano prima una stabilizzazione nel 2014 (+0,02%), poi una perdita di oltre 130mila residenti nel 2015, segnalando che l’ultima fase espansiva è da ritenere definitivamente conclusa. La nuova stagione demografica è caratterizzata infatti da una crescente incidenza della popolazione anziana, con nascite in calo, morti in crescita ed un saldo naturale sempre più pesante (162mila morti in più dei nati nel 2015 contro i 96mila dell’anno precedente), un fenomeno, peraltro, destinato a

peggiorare nei prossimi anni. Le proiezioni demografiche elaborate con l’ausilio del sistema informativo previsionale DemoSI-Cresme, disegnano uno scenario evolutivo per il prossimo decennio dato da una ipotesi Bassa che, confermando l’attuale tendenza al calo, porterebbe ad una ulteriore perdita di 1,9 milioni di abitanti (-3,1%); l’ipotesi Alta condurrebbe invece ad un incremento di circa 1 milione di abitanti (+1,6%), rilevante ma decisamente inferiore alla crescita demografica sperimentata nel decennio passato (+4%). Tra l’ipotesi Alta e l’ipotesi Bassa, si colloca l’ipotesi Centrale, la più probabile e realistica, che conferma un andamento in calo, sebbene più moderato, con una possibile perdita in tutto il periodo di circa 500mila abitanti (-0,8%). Il cambio di passo nella dinamica della popolazio-

Figura 9.1 - Variazione percentuale popolazione 2005-2015

Figura 9.2 - Variazione percentuale popolazione 2015-2025

Fonte: DemoSI- CRESME

Fonte: DemoSI- CRESME

Tab. 9.1 - Serie storica e scenario previsionale della popolazione residente per area territoriale 2005-2015

Nord-ovest Nord-est Centro-Nord Centro-Sud Sud Isole Italia

2005 15.318.858 6.881.364 7.717.025 8.882.831 12.660.955 6.603.181 58.064.214

Popolazione 2015 16.110.977 7.195.455 8.192.544 9.649.918 12.784.258 6.732.399 60.665.551

2025 16.176.113 7.150.632 8.186.187 9.629.402 12.463.690 6.560.884 60.166.907

2006-2015 Val. ass. Val. perc. 792.119 5,2% 314.091 4,6% 475.519 6,2% 767.087 8,6% 123.303 1,0% 129.218 2,0% 2.601.337 4,5%

2026-2025 Val. ass. Val. perc. 65.136 0,4% -44.823 -0,6% -6.357 -0,1% -20.516 -0,2% -320.568 -2,5% -171.515 -2,5% -498.644 -0,8%

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RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

ne è conseguenza del passaggio da un modello socio-demografico ad alta natalità ed alta mortalità ad uno a bassa natalità e bassa mortalità, un fenomeno che tecnicamente si definisce transizione demografica, e che sta determinando profonde trasformazioni nella struttura per età della popolazione. Il progressivo invecchiamento del folto contingente dei nati negli anni ’60 e la sostituzione con le esigue generazioni successive, sta determinando un netto sbilanciamento della struttura demografica verso le classi di età avanzata, un fenomeno di tale portata tale da non trovare adeguato bilanciamento nei flussi migratori internazionali, in gran parte costituiti da giovani in età da lavoro. Oltre al rallentamento della crescita demografica, per la riduzione tendenziale delle nascite e l’aumento delle morti, il

fenomeno inciderà in maniera non trascurabile sulle dinamiche economiche. Senza dubbio metterà a dura prova la tenuta del bilancio previdenziale ma, il prevedibile aumento della spesa pubblica destinata alla sanità ed al welfare in generale, sottraendo risorse agli investimenti, rischia di limitare anche il potenziale di crescita e di innovazione del Paese. A fine 2015 le statistiche demografiche contano 13,37 milioni di anziani (65 anni e più), 1,84 milioni in più rispetto a dieci anni prima, un aumento del 16% che ha toccato valori di picco nel NordEst (+18,7%) e nelle regioni meridionali e insulari (+17,5%). Lo scenario decennale indica una ulteriore crescita della popolazione anziana, valutabile in circa 1,6 milioni di individui (+12%), con tassi di incremento particolarmente elevati al Sud

Figura 9.3 - Indice di dipendenza strutturale 2005

Figura 9.4 - Indice di dipendenza strutturale 2025

Fonte: DemoSI- CRESME

Fonte: DemoSI- CRESME

Tab. 9.2 - Serie storica e scenario previsionale della popolazione residente anziana (64 anni e più) per area territoriale 2005-2025

Nord-ovest Nord-est Centro-Nord Centro-Sud Sud Isole Italia

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Popolazione anziana al 2015 3.756.951 1.605.545 1.982.866 2.131.096 2.501.748 1.391.548 13.369.754

Variazione decennale 2006-2015 2016-2025 15,7% 8,6% 18,7% 13,8% 10,9% 7,7% 16,5% 12,0% 17,5% 17,3% 17,5% 15,7% 16,0% 12,0%

Incidenza su popolazione 2005 2015 2025 21,2% 23,3% 25,2% 19,6% 22,3% 25,5% 23,2% 24,2% 26,1% 20,6% 22,1% 24,8% 16,8% 19,6% 23,5% 17,9% 20,7% 24,5% 19,9% 22,0% 24,9%

Incidenza su età lavorativa 2005 2015 2025 32,2% 36,9% 40,4% 29,6% 34,9% 41,1% 35,9% 38,6% 42,1% 31,3% 34,2% 39,3% 25,2% 29,6% 36,8% 26,9% 31,5% 38,7% 30,1% 34,3% 39,6%


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Gli scenari socio-demografici

(+17,3%) e nelle Isole (15,7%), dove si attenuerà lo storico vantaggio rispetto all’Italia Centro-Settentrionale per maggiore incidenza della componente giovanile. Solo dieci anni fa la componente anziana rappresentava circa un quinto della popolazione complessiva (19,9%), tra dieci anni sarà pari ad un quinto (24,9%), con un evidente livellamento tra tutte le aree del Paese. La rilevanza del fenomeno emerge in maniera ancora più allarmate se si osserva il rapporto tra anziani e popolazione in età lavorativa (15-64 anni), l’indice di dipendenza strutturale degli anziani, che dal 30% di dieci anni fa, nell’arco di un decennio potrebbe giungere al 40%, toccando il 42% nel Centro-Nord, mentre per il Sud il differenziale rispetto al valore nazionale si ridurrà da 4,9 a 2,8 punti percentuali.

Uno dei principali effetti dell’invecchiamento della struttura demografica è il progressivo deterioramento del bilancio naturale. L’analisi delle statistiche demografiche dell’ultimo decennio evidenzia bene i fattori in gioco, gran parte dell’incremento demografico registrato in Italia, 2,2 milioni dei 2,6 milioni di residenti in più, è riconducibile al bilancio migratorio. Un’altra componente rilevante è riconducibile invece all’attività di verifica dei registri anagrafici avviata a seguito dell’ultima rilevazione censuaria (2011), che fino al 2015 ha reinserito nelle statistiche ufficiali 923mila residenti, un bilancio contabile, quindi, non corrispondente a spostamenti effettivi di popolazione. Il bilancio naturale, invece, ha contribuito in termini negativi, facendo registrare nel decennio 531mila morti

Figura 9.5 - Saldo naturale 2006-2015 su popolazione 2015

Saldo naturale 2016-2025 su popolazione 2025

Fonte: DemoSI- CRESME

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Fonte: DemoSI- CRESME

Tab. 9.3 - Serie storica e scenario previsionale del movimento naturale per area territoriale 2005-2025

Nord-ovest Nord-est Centro-Nord Centro-Sud Sud Isole Italia

Nascite 2006-2015 2026-2025 1.430.823 1.291.596 654.080 564.621 708.021 623.072 851.505 758.425 1.170.987 999.211 599.442 519.704 5.414.858 4.756.629

Morti 2006-2015 2026-2025 1.627.746 1.828.596 681.708 766.999 900.445 960.087 943.463 1.074.936 1.149.318 1.304.503 643.254 716.597 5.945.934 6.651.718

Saldo naturale 2006-2015 2026-2025 -196.923 -537.000 -27.628 -202.378 -192.424 -337.015 -91.958 -316.511 21.669 -305.292 -43.812 -196.893 -531.076 -1.895.089

Saldo naturale / popolazione 2006-2015 2026-2025 -1,3% -3,3% -0,4% -2,8% -2,5% -4,1% -1,0% -3,3% 0,2% -2,4% -0,7% -2,9% -0,9% -3,1% 63


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RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

in più del numero di nascite. Il processo di invecchiamento della struttura demografica non potrà che appesantire ulteriormente il bilancio naturale, riducendo il numero di nascite, conseguenza della riduzione di donne in età fertile (560mila in meno tra 2006 e 2015 e1,5 milioni in meno tra 2016 e 2025) ed aumentando il numero di morti per effetto dell’incremento della popolazione anziana. Il numero di nascite potrebbe passare dai 5,41 milioni del periodo 2006-2015, alle 4,76 milioni del decennio 2016-2025 (-12,2%), mentre le morti potrebbero aumentare dalle 5,95 milioni dell’ultimo decennio, alle 6,65 del prossimo (+11,9%). In definitiva, nello scenario previsionale il bilancio naturale potrebbe giungere a 1,9 milioni di morti

Figura 9.7 - Incidenza popolazione straniera 2005

in più dei nati, con un contributo negativo sulla dinamica demografica che dal -0,9% del 2005 potrebbe passare al -3,1% del 2015. La caratterizzazione territoriale del fenomeno ricalca in maniera abbastanza precisa il profilo della struttura demografica locale, individuando tra le aree più critiche l’arco ligure, la toscana meridionale, la dorsale appenninica e l’arco alpino, ad eccezione delle alpi trentine. Non mancano però aree in cui il bilancio naturale risulta ancora positivo, e tra queste si distinguono proprio le province trentine, i comuni dell’hinterland milanese, la fascia pedemontana tra Bergamo, Brescia, ancona e Vicenza e la direttrice della via Emilia, tra Parma, Bologna, Rimini e Ravenna,

Figura 9.8 - Incidenza popolazione straniera 2025

Fonte: DemoSI- CRESME

Fonte: DemoSI- CRESME

Tab. 9.4 - Serie storica e scenario previsionale residenti stranieri per area territoriale 2005-2025

Nord-ovest Nord-est Centro-Nord Centro-Sud Sud Isole Italia

64

2005 893.638 422.398 453.715 404.485 165.173 80.074 2.419.483

Residenti stranieri 2015 1.715.734 698.063 929.698 968.738 483.303 230.617 5.026.153

2025 2.040.792 701.185 1.047.736 1.189.522 822.948 386.424 6.188.607

Variazione decennale 2006-2015 2016-2025 822.096 325.058 275.665 3.122 475.983 118.038 564.253 220.784 318.130 339.645 150.543 155.807 2.606.670 1.162.454

Incidenza su popolazione 2005 2015 2025 5,8% 10,6% 12,6% 6,1% 9,7% 9,8% 5,9% 11,3% 12,8% 4,6% 10,0% 12,4% 1,3% 3,8% 6,6% 1,2% 3,4% 5,9% 4,2% 8,3% 10,3%


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Gli scenari socio-demografici

ma tra le aree più dinamiche anche i comuni dell’hinterland metropolitano di Roma, Napoli, Palermo, Catania e Cagliari e della Sardegna settentrionale. Lo scenario previsionale tuttavia segnala un netto deterioramento della situazione, passando da un valore negativo del bilancio naturale in rapporto alla popolazione pari nello scorso decennio allo 0,9% , al 3,1% di quello a venire, segnando a livello territoriale una forte estensione delle aree critiche, e passando in territorio negativo anche nel bilancio dell’Italia Meridionale. In un decennio la presenza straniera in Italia è più che raddoppiata, passando dai 2,4 milioni di residenti del 2005, agli oltre 5 milioni del 2015, con

una quota di incidenza sulla popolazione complessiva che dal 4,2% è giunta ormai all’8,3%, toccando il 12,8% con nella classe di età compresa tra 15 e 34 anni. La struttura della popolazione è caratterizzata dalla netta prevalenza di giovani, con una età media di 33,1 anni contro i 45,1 della popolazione italiana, ed una incidenza di anziani che non va oltre il 3,3%, contro il 22% della media nazionale. Data la netta prevalenza di giovani in età riproduttiva, nell’ultimo decennio il bilancio naturale ha fatto registrare circa 683mila nascite in più del numero di morti, contribuendo per 13,5% al numero complessivo delle nascite, percentuale che nel corso degli ultimi anni è giunta addirittura al 15%.

Figura 9.9 - Saldo migratorio italiani su popolazione 2006-2015

Figura 9.10 - Cambio di cittadinanza su popolazione 2006-2015

9

Fonte: DemoSI- CRESME

Fonte: DemoSI- CRESME

Tab. 9.5 - Bilancio anagrafico residenti italiani e scenario decennale per area territoriale Popolazione italiana 2015 Nord-ovest Nord-est Centro-Nord Centro-Sud Sud Isole Italia

14.395.243 6.497.392 7.262.846 8.681.180 12.300.955 6.501.782 55.639.398

Saldo naturale 2006-2015 -462.062 -144.067 -326.838 -200.180 -15.895 -64.720 -1.213.762

Saldo migratorio

Incidenza su popolazione

2006-2015

-3,2% -2,2% -4,5% -2,3% -0,1% -1,0% -2,2%

-3.032 -12.852 107.784 80.674 -404.493 -110.659 -342.578

Acquisizione cittadinanza

Incidenza su popolazione -0,0% -0,2% 1,5% 0,9% -3,3% -1,7% -0,6%

2006-2015 294.184 162.195 152.915 120.135 37.201 23.226 789.856

Variazione popolazione

Incidenza su popolazione

2006-2015

2,0% 2,5% 2,1% 1,4% 0,3% 0,4% 1,4%

-0,2% 0,6% 0,0% 2,4% -1,6% -0,3% 0,0%

2016-2025 -1,8% -0,7% -1,7% -2,8% -5,4% -5,0% -3,0%

65


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

I flussi stranieri contribuiscono quindi, anche se solo in parte, a bilanciare i vuoti generazionali derivanti dalla storia demografica nazionale e dal processo di transizione in atto, evidenziando però una forte concentrazione nelle aree economicamente più dinamiche ed attrattive del Paese. È nelle regioni del Centro-Nord (Emilia Romagna e Toscana), infatti, che l’incidenza straniera sulla popolazione complessiva tocca valori di picco (11,3%), ed a seguire le regioni del Nord-Ovest (Piemonte, Valle d‘Aosta e Lombardia) e del Centro-Sud, con forte concentrazione nel Lazio. Lo scenario previsionale, tuttavia, per il prossimo decennio assume un ragionevole ridimensionamento dei flussi con l’estero, in rapporto

soprattutto al rallentamento delle prospettive di crescita economica dell’Italia ed alla sensibile riduzione delle possibilità di inserimento occupazionale. Secondo le proiezioni del sistema informativo previsionale DemoSI-CRESME, al 2025 gli stranieri residenti in Italia sarebbero circa 6,19 milioni, con una crescita rispetto ai livelli attuali stimata in 1,16 milioni di unità, pari quindi a meno della metà dell’aumento registrato nel decennio passato (2,6 milioni). L’incidenza sulla popolazione complessiva al 2025 giungerà al 10,3%, superando il 12% nelle regioni del Centro e del Nord-Ovest, esattamente il doppio del valore medio delle regioni meridionali ed insulari.

Figura 9.11 - Imponibile IRPEF per contribuente 2014

Figura 9.12 - Depositi bancari per abitante 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

Fonte: DemoSI- CRESME

Tab. 9.6 - Sistema del credito ed distribuzione del reddito delle persone fisiche per area territoriale Depositi (miliardi) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud Sud Isole Italia

66

456,4 141,1 157,3 189,6 103,4 51,5 1.099,4

Sistema del credito (dati 2015) Depositi / Impieghi Impieghi / sportello (miliardi) Depositi (milioni) 743,8 163% 48,6 194,3 138% 28,8 246,2 157% 29,1 232,9 123% 39,8 111,0 107% 29,0 62,8 122% 23,2 1.591,0 145% 36,3

Imponibile IRPEF (reddito 2014 anno di imposta 2015) Depositi / Reddito imponibile Imponibile / abitante (miliardi) Contribuente 28.326 19.616 19.197 19.650 8.091 7.657 18.122

250,1 105,0 121,6 126,8 112,8 61,2 777,5

22.335 20.404 20.724 20.259 15.749 16.131 19.720

Imponibile / Distribuzione abitante reddito imponibile 15.524 14.599 14.839 13.137 8.826 9.084 12.816

32,2% 13,5% 15,6% 16,3% 14,5% 7,9% 100,0%


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Gli scenari socio-demografici

Nel quadro tendenziale di generale rallentamento della crescita demografica complessiva, lo scenario evidenzia una forte differenziazione territoriale, in rapporto soprattutto all’attrattività economica dei territori ed alla capacità di intercettare i flussi migratori internazionali e le migrazioni interne, in gran parte costituite da giovani in cerca di opportunità di inserimento occupazionale. Le realtà economicamente più attrattive saranno quindi in grado di realizzare rilevanti fenomeni di rigenerazione della struttura demografica, quelle più deboli sperimenteranno invece una accelerazione dei fenomeni di declino, approfondendo la condizione di marginalità economica. Nell’arco di un decennio il numero dei residenti

italiani è rimasto sostanzialmente invariato, 55,6 milioni nel 2015, solo 5mila in più dal 2005, ma valutando con attenzione le singole voci del bilancio si scopre una realtà diversa. Le attività di verifica dei registri anagrafici seguite all’ultima rilevazione censuaria, tra il 2011 ed il 2015 hanno comportato il reinserimento nelle statistiche demografiche di quasi 760mila residenti italiani non rilevati al Censimento, definendo un fattore di crescita apparente, non corrispondente movimenti effettivi di popolazione. Un contributo altrettanto decisivo è venuto dalle 790mila acquisizioni di cittadinanza italiana da parte di stranieri, conseguenza della storia migratoria più che di fenomeni di crescita endogena.

Figura 9.13 - Vivacità del mercato immobiliare 2013 - 2015

Figura 9.14 - Variazione percentuale delle famiglie 2015-2025

Fonte: DemoSI- CRESME

9

Fonte: DemoSI- CRESME

Tab. 9.7 - Dinamiche del mercato residenziale per area territoriale Scambi sul mercato Incidenza su stock

2013-2015 Nord-ovest Nord-est Centro-Nord Centro-Sud Sud Isole Italia

418.842 126.487 187.521 211.980 205.258 116.513 1.266.601

6,2% 4,3% 5,5% 5,6% 4,4% 4,5% 5,2%

Famiglie per titolo godimento Proprietà 72,1% 75,4% 72,4% 72,8% 68,2% 72,0% 71,9%

Affitto 20,1% 17,3% 18,2% 15,7% 19,0% 14,4% 18,0%

Altro titolo 7,8% 7,3% 9,3% 11,0% 12,8% 13,6% 10,0%

2015 7.262.007 3.072.076 3.637.637 4.217.413 4.916.135 2.748.279 25.853.547

Famiglie Variazione 2006-2015 9,1% 10,2% 10,6% 19,0% 9,0% 8,9% 10,9%

Variazione 2016-2025 2,3% 2,5% 1,7% 3,6% 5,1% 4,0% 3,2%

67


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Il bilancio effettivo della popolazione italiana nell’ultimo decennio segna infatti un risultato negativo, con un saldo naturale di 1,2 milioni di morti in più del numero di nati, e negativo è risultato anche il bilancio migratorio, con circa 300mila trasferimenti all’estero in più dei rientri in Italia. L’unico fattore di crescita della popolazione italiana, quindi, scaturisce dai processi di radicamento delle prime ondate migratorie, trovando ulteriore sostegno nei contesti locali più dinamici, in consistenti flussi di migrazione interna. Sud e Isole nell’ultimo decennio hanno vissuto un esodo di oltre 515mila residenti italiani, 197mila solo la Campania, un flusso in uscita che in gran parte è stato intercettato dalle regioni del Centro-Nord, (66mila unità nel Lazio, 65mila in Emilia Romagna, 43mila in Toscana, 11mila in Lombardia), dove l’afflusso di giovani ha contribuito ad attenuare gli effetti più macroscopici dell’invecchiamento strutturale. Per molte aree meridionali, invece, la fuoriuscita di popolazione giovane ha accelerato i fenomeni di declino, gettando le basi per uno scenario decisamente preoccupante. Le proiezioni di scenario per il prossimo decennio indicano infatti una riduzione dei residenti italiani (nuovi cittadini compresi), stimabile in circa 1,66 milioni di unità (-3,3%), ma nel complesso delle regioni meridionali ed insulari la riduzione sarà notevolmente più rilevante (-5,3%). La mappa degli indicatori di ricchezza evidenzia bene i cardini nevralgici del sistema economico nazionale, restituendo l’immagine di un Paese che non ha ancora superato gli storici squilibri territoriali. Nel Nord-Ovest il sistema del credito raccoglie il 41,5% dei depositi complessivi, mentre gli impieghi giungono addirittura al 46,7% del totale, a fronte di un peso demografico del 26,6%. Con un valore medio di depositi per sportello pari a 48,6 milioni, contro i 36,3 del dato nazionale, il Nord-Ovest, e l’area milanese in particolare, si qualifica come la principale piazza finanziaria italiana. Peraltro, il rapporto tra impieghi e depositi, pari nel Nord-Ovest al 163% contro il 145% della media nazionale, mette anche in evidenza il grande dinamismo di una struttura produttiva dotata di forte propensione all’investimento ed all’iniziativa imprenditoriale. La posizione di vantaggio del Nord-Ovest trova riscontro nel livello dei redditi delle persone fisiche, sebbene senza considerare il reddito d’impresa il differenziale rispetto alle altre aree del Paese si riduce sensibilmente. Il cumulo dell’imponibile IRPEF rappresenta infatti il 32,2% del totale nazionale, ed il valore medio per contribuente, con riferimento ai redditi del 2014, è pari a 68

22.335 euro, valore superiore alla media nazionale (19.729 euro), ma assai più vicino di quanto fosse il dato sui depositi bancari (113% del valore nazionale l’imponibile IRPEF per contribuente, 156% i depositi bancari per abitante). Valutando la propensione all’investimento del sistema creditizio, si distingue anche il Centro-Nord (Toscana ed Emilia), con un ammontare di impieghi pari al 157% dei depositi, quanto a capacità di risparmio, è da rilevare l’allineamento di Nord-Est e Centro su un valore medio dei depositi pari a circa 19mila euro per abitante, mentre per Sud e Isole il valore scende a meno di 8mila euro. Analoga situazione si rileva in termini capacità reddituale, che vede Nord-Ovest e regioni centrali allineati su un imponibile IRPEF per contribuente pari a circa 20mila euro, mentre per Sud e e Isole si scende a circa 16mila. Dopo nove anni in caduta libera, il mercato immobiliare comincia a manifestare decisi segnali di ripresa. I dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (Agenzia delle Entrate), con riferimento al 2016 rilevano oltre milione di compravendite (1.141.012), non accadeva dal 2011, con un aumento del 18,4% rispetto all’anno, passando dal 18,9% degli immobili residenziali al 22,1% dei capannoni industriali. I segnali di ripresa sono quindi ben evidenti e l’analisi dei dati territoriali consente di individuare le aree più dinamiche. Sebbene i dati comunali più aggiornati facciano riferimento al 2015, valutando il numero di scambi del triennio 2013-2015 in rapporto allo stock residenziale, è ugualmente possibile catturare i segnali di maggiore vivacità che caratterizzano alcuni contesti territoriali. Senza dubbio il Nord-Ovest rappresenta l’area più dinamica (6,2%), in particolare il territorio milanese e i comuni dell’arco alpino, al confine con Francia e Svizzera. Buoni segnali anche per Centro-Nord (5,5%) e Centro-Sud (5,6%), in particolare la direttrice emiliana e l’area fiorentina, la fascia costiera tra Toscana e Lazio e l’area metropolitana romana. Più problematica la situazione al Sud (4,4%) e nelle Isole (4,5%), con segnali però di forte vivacità in Puglia, nell’area napoletana e lungo la costa meridionale e nord-occidentale della Sicilia e lungo la costa settentrionale della Sardegna. La mappa delle aree in cui il mercato residenziale sta evidenziando una maggiore dinamicità, ricalca in maniera sorprendente lo scenario decennale delle famiglie definito con l’ausilio del sistema informativo previsionale DemoSI-CRESME. L’andamento delle famiglie, infatti, rappresenta un indicatore attendibile per la stima della domanda primaria di alloggi, e se


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Gli scenari socio-demografici

in termini generali lo scenario previsionale definisce livelli complessivi di domanda assai più contenuti rispetto al passato, con un aumento di famiglie previsto nel prossimo decennio pari al 3,2% contro il 10,9% del decennio passato, il dettaglio territoriale mostra l’esistenza di alcune aree di concentrazione nelle quali i livelli di domanda resteranno assai elevati. Tentare una lettura sinottica dei fenomeni socio-demografici non è impresa facile. L’approccio tradizionale basato sull’analisi dei sistemi tipologico-insediativi (città metropolitane, città medie e comuni minori) letti attraverso la lente geografica (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro-Nord, Centro-Sud, Sud e Isole), fornisce indicazioni utili ma non sufficienti alla interpretazione di fenomeni con elevato grado di complessità. Un prezioso contributo in tal senso viene dall’applicazione dei risultati della cluster analysis (vedi Capitolo 8), che ha consentito di raggruppare i comuni italiani in base ad una caratterizzazione tipologico-funzionale riferita a tre specifici ambiti settoriali (economia, demografia, mercato abitativo).

9

Se già l’analisi tradizionale consentiva di valutare il ruolo economico delle grandi aree urbane individuate con criteri dimensionali, la possibilità di una ulteriore articolazione territoriale basata su aspetti funzionali ha consentito di studiare sia la concentrazione dei fenomeni, sia le interazioni settoriali, valutando gli scenari demografici, ad esempio, attraverso un frame interpretativo definito con criteri prettamente economici. Il rilevo economico delle tredici province metropolitane emerge con chiarezza considerando che a fronte di un peso demografico del 36%, intercettano il 50% del risparmio (depositi bancari 2015) ed il 38% dei redditi delle persone fisiche (imponibile dichiarazioni 2015), con un valore medio per contribuente di 21.449 euro contro i 19.720 euro della media nazionale. Ma limitando l’analisi ai comuni del primo Gruppo del cluster Economia, definiti centralità economiche, si evidenzia meglio il ruolo delle aree forti situate principalmente nel Centro-Nord, dove risiede meno di un quinto della popolazione complessiva (19%) ma si colloca un quarto del reddito nazionale (24,7% dell’imponibile IRPEF) ed il 42% del risparmio.

Tab. 9.8 - Scenario di popolazione, famiglie e popolazione in età lavorativa per tipologia insediativa e gruppo economia Popolazione 2015

2006-2025

Popolazione in età lavorativa (15-64 anni)

Famiglie Var. %

2015

2006-2025

Var. %

2015

2006-2025

Var. %

Aree metropolitane

22.082.613

-25.058

-0,1%

9.565.159

359.803

3,8%

14.278.476

-214.574

-1,5%

1 - Centralità economiche

11.408.541

140.131

1,2%

5.375.132

147.583

2,7%

7.228.636

102.849

1,4%

2 - Periferiche alto reddito

1.670.089

-13.728

-0,8%

716.258

15.592

2,2%

1.061.028

-37.990

-3,6%

3 - Periferiche basso reddito

4.486.917

-89.039

-2,0%

1.804.011

84.162

4,7%

2.972.293

-163.953

-5,5%

4 - Comuni marginali

4.517.066

-62.422

-1,4%

1.669.758

112.466

6,7%

3.016.519

-115.480

-3,8%

Città Medie

19.598.871

-147.560

-0,8%

8.370.008

256.078

3,1%

12.567.092

-398.984

-3,2%

1 - Centralità economiche

11.157.182

-7.817

-0,1%

4.956.593

121.617

2,5%

7.073.971

-131.898

-1,9%

2 - Periferiche alto reddito

3.309.031

-21.581

-0,7%

1.363.586

39.622

2,9%

2.128.671

-70.714

-3,3%

3 - Periferiche basso reddito

2.657.322

-48.706

-1,8%

1.089.636

46.565

4,3%

1.731.369

-95.840

-5,5%

4 - Comuni marginali

2.475.336

-69.455

-2,8%

960.193

48.273

5,0%

1.633.081

-100.533

-6,2%

Comuni minori

18.984.067

-326.026

-1,7%

7.918.380

207.546

2,6%

12.168.370

-560.923

-4,6%

1 - Centralità economiche

4.800.793

-39.427

-0,8%

2.098.010

36.882

1,8%

3.025.882

-91.812

-3,0%

2 - Periferiche alto reddito

5.728.474

-86.770

-1,5%

2.390.047

39.547

1,7%

3.643.158

-168.787

-4,6%

3 - Periferiche basso reddito

3.295.707

-69.904

-2,1%

1.379.500

35.436

2,6%

2.117.080

-122.179

-5,8%

4 - Comuni marginali

5.159.093

-129.926

-2,5%

2.050.823

95.681

4,7%

3.382.250

-178.145

-5,3%

Totale

60.665.551

-498.644

-0,8%

25.853.547

823.427

3,2%

39.013.938

-1.174.480

-3,0%

1 - Centralità economiche

27.366.516

92.887

0,3%

12.429.735

306.083

2,5%

17.328.489

-120.861

-0,7%

2 - Periferiche alto reddito

10.707.594

-122.080

-1,1%

4.469.891

94.761

2,1%

6.832.857

-277.490

-4,1%

3 - Periferiche basso reddito

10.439.946

-207.648

-2,0%

4.273.147

166.164

3,9%

6.820.742

-381.972

-5,6%

4 - Comuni marginali

12.151.495

-261.803

-2,2%

4.680.774

256.420

5,5%

8.031.850

-394.157

-4,9%

69


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Nei comuni del primo gruppo delle aree metropolitane il profilo formativo è più qualificato, il 16% dei residenti risulta in possesso di una laurea contro il 12,5% del complesso delle aree metropolitane ed il 10,8% della media nazionale, ed è notevolmente più elevato anche il reddito per contribuente, 24.565 euro di media, giungendo ai 27.270 euro dell’area milanese. È la situazione del mercato del lavoro, tuttavia, che meglio di ogni altra cosa descrive i divari territoriali, con un tasso di disoccupazione che passa dall’8,4% nella porzione più dinamica delle aree metropolitane, al 24,1% delle realtà più marginali, in larga parte situate al Sud. La mappatura economica può quindi costituire un valido punto di partenza per una riflessione più attenta sugli scenari demografici. Se da un lato le proiezioni del sistema informativo DemoSI-Cresme indicano per il prossimo decennio una riduzione di circa 500mila residenti (-0,8%), con dinamiche in calo sia per le aree metropolitane (-0,1%), sia per città medie (-0,8%) e comuni minori (-1,7%), dall’altro evidenzia importanti dinamiche di crescita localizzate nelle aree economicamente più forti.

Nei comuni del primo gruppo delle aree metropolitane, infatti, si prevede un incremento complessivo di oltre 140mila residenti, quasi 148mila famiglie e, fatto assai importante, poco meno di 103mila abitanti in età lavorativa in più. È evidente che il fenomeno trova spiegazione nei rilevanti spostamenti di popolazione dalle realtà in crisi del Sud e delle Isole verso quelle economicamente più dinamiche dell’Italia Centro-Settentrionale, in grado di attrarre giovani offrendo maggiori prospettive di inserimento occupazionale. Nonostante il calo demografico, tuttavia, il numero di famiglie continuerà ad aumentare, sebbene ad un ritmo assai più contenuto che in passato. Dai 2,5 milioni di famiglie in più fatte registrare nello scorso decennio (+10,9%), lo scenario previsionale stima un incremento decennale di circa 820mila famiglie in più (+3,2%), ed in questo caso, per la forte presenza di giovani, anche le aree periferiche a basso reddito ed i comuni marginali sperimenteranno una rilevante crescita. Gran parte dell’incremento previsto andrà infatti ai comuni del primo gruppo delle aree metropolitane (148mila famiglie) e

Tab. 9.9 - Serie storica e scenario di popolazione e famiglie per tipologia insediativa ed area territoriale POPOLAZIONE 2015 Nord-Ovest Aree Metropolitane Città Medie Comuni minori Nord-Est Aree Metropolitane Città Medie Comuni minori Centro-Nord Aree Metropolitane Città Medie Comuni minori Centro-Sud Aree Metropolitane Città Medie Comuni minori Sud Aree Metropolitane Città Medie Comuni minori Isole Aree Metropolitane Città Medie Comuni minori Italia Aree Metropolitane Città Medie Comuni minori

70

16.110.977 6.344.805 5.615.296 4.150.876 7.195.455 855.696 3.161.797 3.177.962 8.192.544 2.019.179 3.323.049 2.850.316 9.649.918 4.340.474 2.508.674 2.800.770 12.784.258 4.933.554 3.460.580 4.390.124 6.732.399 3.588.905 1.529.475 1.614.019 60.665.551 22.082.613 19.598.871 18.984.067

Variazione assoluta 2006-2015 2016-2025 792.119 65.136 296.872 44.350 347.895 45.640 147.352 -24.853 314.091 -44.823 33.511 -17.458 159.962 -15.201 120.618 -12.164 475.519 -6.357 135.572 67.517 225.754 2.001 114.193 -75.876 767.087 -20.516 541.844 76.812 123.237 -48.041 102.006 -49.287 123.303 -320.568 81.895 -116.904 25.997 -92.117 15.411 -111.546 129.218 -171.515 88.721 -79.374 29.319 -39.842 11.178 -52.299 2.601.337 -498.644 1.178.415 -25.058 912.164 -147.560 510.758 -326.026

FAMIGLIE Variazione percentuale 2006-2015 2016-2025 5,2% 0,4% 4,9% 0,7% 6,6% 0,8% 3,7% -0,6% 4,6% -0,6% 4,1% -2,0% 5,3% -0,5% 3,9% -0,4% 6,2% -0,1% 7,2% 3,3% 7,3% 0,1% 4,2% -2,7% 8,6% -0,2% 14,3% 1,8% 5,2% -1,9% 3,8% -1,8% 1,0% -2,5% 1,7% -2,4% 0,8% -2,7% 0,4% -2,5% 2,0% -2,5% 2,5% -2,2% 2,0% -2,6% 0,7% -3,2% 4,5% -0,8% 5,6% -0,1% 4,9% -0,8% 2,8% -1,7%

2015 7.262.007 3.004.896 2.445.540 1.811.571 3.072.076 375.602 1.390.771 1.305.703 3.637.637 933.133 1.469.427 1.235.077 4.217.413 1.976.261 1.073.308 1.167.844 4.916.135 1.818.145 1.357.699 1.740.291 2.748.279 1.457.122 633.263 657.894 25.853.547 9.565.159 8.370.008 7.918.380

Variazione assoluta 2006-2015 2016-2025 608.422 169.856 255.397 54.889 235.485 80.986 117.540 33.982 283.487 78.124 39.324 3.166 127.602 30.014 116.561 44.944 347.220 62.087 98.423 39.432 146.396 27.707 102.401 -5.053 672.980 151.122 424.683 99.853 128.091 24.126 120.206 27.143 405.636 252.941 125.914 101.878 127.848 65.747 151.874 85.317 224.615 109.297 112.771 60.586 60.621 27.498 51.222 21.213 2.542.359 823.427 1.056.512 359.803 826.043 256.078 659.803 207.546

Variazione percentuale 2006-2015 2016-2025 9,1% 2,3% 9,3% 1,8% 10,7% 3,3% 6,9% 1,9% 10,2% 2,5% 11,7% 0,8% 10,1% 2,2% 9,8% 3,4% 10,6% 1,7% 11,8% 4,2% 11,1% 1,9% 9,0% -0,4% 19,0% 3,6% 27,4% 5,1% 13,6% 2,2% 11,5% 2,3% 9,0% 5,1% 7,4% 5,6% 10,4% 4,8% 9,6% 4,9% 8,9% 4,0% 8,4% 4,2% 10,6% 4,3% 8,4% 3,2% 10,9% 3,2% 12,4% 3,8% 10,9% 3,1% 9,1% 2,6%


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Gli scenari socio-demografici

delle Città Medie (122mila famiglie), ma circa la metà dell’incremento complessivo previsto fa riferimento ai comuni del terzo e quarto gruppo (423mila famiglie in più), con una quota assai rilevante nelle marginali delle province metropolitane, oltre 112mila famiglie in più (+6,7%), caratterizzate da basso reddito (14.848 euro),

9

modesto livello formativo (7,5% di laureati) ed elevata disoccupazione (24,1%), che pongono non pochi dubbi sulla reale capacità di accesso alla casa. Le schede propongono in forma sintetica i dati territoriali principali ed alcuni elementi di scenario.

71


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Figura 9.15 - Città Metropolitane, Città Medie e Comuni Minori

72


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI

9

Le Città Metropolitane

economia - demografia - mercato immobiliare - Mappe Figura 9.16 - Le Città Metropolitane

VENEZIA TORINO

MILANO

GENOVA

BOLOGNA

FIRENZE

ROMA

NAPOLI BARI

CAGLIARI PALERMO

REGGIO CALABRIA MESSINA CATANIA

Fonte: DemoSI- CRESME

73


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Figura 9.17 - Le Città Metropolitane, economia

Fonte: DemoSI- CRESME

Redditomedio medioperpercontribuente contribuente(‘000 (euro) 2014 Depositi per abitante Reddito tasso di euro) Incidenza laureati per abitante Numero comuni Depositi(‘000 euro) disoccupazione Numero Incidenza laureati tasso di disoccupazione 2014 2011 (‘000 2015 euro) variazione 2011 comuni 2011 2011 euro euro variazione 2012-2014 2015 2012 - 2014 TOTALE TOTALE

1.327 1.327

24,66 24,66

21.449 21,45

1,6% 1,6%

12,5% 12,5%

13,4% 13,4%

Centralità economiche centralità economiche

349 349

40,19 40,19

24,56 24.565

1,6% 1,6%

16,0% 16,0%

8,4% 8,4%

Periferiche alto reddito

379

9,35

19,38

1,8%

9,2%

14,0%

periferiche alto reddito Periferiche basso reddito

326 168

9,88 9,86

19.560 18,44

2,6% 1,2%

6,7% 10,5%

7,8% 18,2%

Comuni marginali periferiche basso reddito

431 221

5,99 9,50

14,85 18.648

1,6% 1,0%

7,5% 11,0%

24,1% 19,5%

516 431 243

44,70 5,99 51,67

24,35 14.848 25,20

2,1% 1,6% 2,0%

13,4% 7,5% 14,7%

7,8% 24,1% 7,7%

Periferiche alto reddito

251

9,59

19,97

2,4%

6,6%

8,4%

Periferiche basso reddito

21

6,46

17,19

1,1%

5,5%

9,6%

1

0,00

14,22

-1,4%

5,4%

20,0%

44

18,87

20,39

2,3%

9,9%

7,0%

Nord-Ovest comuni marginali Centralità economiche

74

Comuni marginali Nord-Est


Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Numero comuni TOTALE

Reddito medio per contribuente (‘000 euro) 2014

Incidenza laureati

tasso di disoccupazione

2011 E INSEDIATIVI 2011 GLIeuroSCENARI DEMOGRAFICI variazione 2012-2014

Le Città 12,5%Metropolitane 13,4%

1.327

24,66

21,45

1,6%

Centralità economiche

349

40,19

24,56

1,6%

16,0%

8,4%

Periferiche alto reddito

379

9,35

19,38

1,8%

9,2%

14,0%

Periferiche basso reddito

168

9,86

18,44

1,2%

10,5%

18,2%

Comuni marginali

431

5,99

14,85

1,6%

7,5%

24,1%

516

44,70

24,35

2,1%

13,4%

7,8%

Centralità economiche

243

51,67

25,20

2,0%

14,7%

7,7%

Periferiche alto reddito

251

9,59

19,97

2,4%

6,6%

8,4%

Periferiche basso reddito

21

6,46

17,19

1,1%

5,5%

9,6%

1

0,00

14,22

-1,4%

5,4%

20,0%

44

18,87

20,39

2,3%

9,9%

7,0%

Centralità economiche

13

25,49

21,82

1,9%

12,4%

6,6%

Periferiche alto reddito

26

9,17

18,84

3,1%

6,6%

6,7%

Periferiche basso reddito

5

10,39

16,77

2,8%

6,1%

9,9%

Comuni marginali

0 22,28

22,60

2,2%

14,2%

6,5%

Nord-Ovest

Comuni marginali Nord-Est

Centro-Nord

97

Centralità economiche

54

24,73

23,40

2,1%

15,8%

6,4%

11,34

18,97

2,9%

6,9%

7,2%

121

28,73

23,62

0,8%

16,3%

10,4%

Centralità economiche

25

35,69

25,06

0,7%

18,7%

9,7%

Periferiche alto reddito

5

2,83

18,69

2,9%

6,8%

7,9%

Periferiche basso reddito

89

6,22

18,46

1,0%

8,6%

12,7%

2

0,00

16,43

2,2%

3,2%

19,8%

230

9,43

17,03

1,2%

9,8%

22,7%

Centralità economiche

8

19,91

21,01

0,5%

14,4%

14,9%

Periferiche alto reddito

1

6,70

18,79

2,1%

8,5%

7,0%

Periferiche alto reddito

43

Periferiche basso reddito

0

Comuni marginali

0

Centro-Sud

Comuni marginali Sud

53

11,76

18,55

1,1%

11,7%

21,9%

168

6,04

15,00

1,3%

7,6%

24,7%

319

7,98

17,08

1,3%

10,1%

22,5%

Centralità economiche

6

19,95

23,30

1,6%

19,7%

17,0%

Periferiche alto reddito

53

8,72

19,11

0,5%

12,1%

22,2%

Periferiche basso reddito

0 5,94

14,66

1,8%

7,4%

23,5%

Periferiche basso reddito Comuni marginali Isole

Comuni marginali

260

9

75


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Figura 9.18 - Le CittĂ Metropolitane, demografia

Fonte: DemoSI- CRESME

Numero di comuni

Dipendenza Dipendenza anziani giovani 2015 var 2025 2015 2015 FAMIGLIE Dipendenza anziani Dipendenza giovani 201533,1% 201521,6% 9.565.159 2015 Var. 20253,8%

Famiglie

2015 var 2025 POPOLAZIONE

Numero comuni 1.327

22.082.613 2015

-0,1% Var 2025

Attrattivi Attrattivi

1.327 408 408

22.082.613 3.944.399 3.944.399

-0,1% 4,2% 4,2%

9.565.159 1.614.393 1.614.393

3,8% 10,0% 10,0%

33,1% 28,6% 28,6%

21,6% 23,2% 23,2%

Crescita Crescita

248248

9.816.696 9.816.696

1,1% 1,1%

4.666.011 4.666.011

2,5% 2,5%

36,8% 36,8%

20,8% 20,8%

Stagnazione

500

8.080.035

-3,5%

3.170.078

2,9%

30,5%

21,8%

Stagnazione Declino

500 171

8.080.035 241.483

-3,5% -8,3%

3.170.078 114.677

2,9% -6,3%

30,5% 49,5%

21,8% 17,1%

Declino Attrattivi

516 171 197

6.344.805 241.483 1.181.337

0,7% -8,3% 3,2%

3.004.896 114.677 503.456

1,8% -6,3% 6,3%

38,1% 49,5% 32,4%

21,1% 17,1% 23,1%

Crescita

102

4.180.895

0,9%

2.060.707

1,3%

39,0%

20,6%

Stagnazione

148

898.481

-2,7%

398.173

-0,3%

39,9%

20,7%

69

84.092

-6,5%

42.560

-5,3%

53,0%

17,4%

44

855.696

-2,0%

375.602

0,8%

37,5%

20,3%

TOTALE

TOTALE

Nord-Ovest

76

Popolazione

Declino Nord-Est


POPOLAZIONE

Numero comuni TOTALE

FAMIGLIE

Dipendenza anziani Dipendenza giovani

2015 2015 GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Var 2025 2015 Var. 2025

2015

Le 3,8%

CittĂ Metropolitane 33,1% 21,6%

1.327

22.082.613

-0,1%

9.565.159

Attrattivi

408

3.944.399

4,2%

1.614.393

10,0%

28,6%

23,2%

Crescita

248

9.816.696

1,1%

4.666.011

2,5%

36,8%

20,8%

Stagnazione

500

8.080.035

-3,5%

3.170.078

2,9%

30,5%

21,8%

Declino

171

241.483

-8,3%

114.677

-6,3%

49,5%

17,1%

516

6.344.805

0,7%

3.004.896

1,8%

38,1%

21,1%

Attrattivi

197

1.181.337

3,2%

503.456

6,3%

32,4%

23,1%

Crescita

102

4.180.895

0,9%

2.060.707

1,3%

39,0%

20,6%

Stagnazione

148

898.481

-2,7%

398.173

-0,3%

39,9%

20,7%

69

84.092

-6,5%

42.560

-5,3%

53,0%

17,4%

44

855.696

-2,0%

375.602

0,8%

37,5%

20,3%

Attrattivi

15

184.671

1,2%

75.094

5,5%

30,8%

22,2%

Crescita

Nord-Ovest

Declino Nord-Est

21

545.449

-2,8%

247.594

-0,4%

39,8%

20,1%

Stagnazione

7

111.383

-2,6%

46.797

1,3%

36,9%

18,4%

Declino

1

14.193

-10,7%

6.117

-8,0%

44,8%

16,1%

97

2.019.179

3,3%

933.133

4,2%

39,5%

21,0%

Attrattivi

34

436.153

2,7%

189.848

5,1%

36,1%

22,6%

Crescita

51

1.513.759

3,8%

712.933

4,2%

40,4%

20,5%

Stagnazione

8

61.183

-1,3%

26.344

0,9%

41,8%

20,5%

Declino

4

8.084

-4,9%

4.008

-3,9%

51,3%

15,7%

121

4.340.474

1,8%

1.976.261

5,1%

31,7%

21,4%

Attrattivi

46

810.059

8,2%

343.059

14,9%

26,5%

23,1%

Crescita

48

3.393.836

0,3%

1.576.578

3,0%

32,9%

21,0%

Stagnazione

17

128.876

-0,6%

53.099

2,8%

32,9%

20,8%

Declino

10

7.703

1,8%

3.525

4,5%

48,2%

16,0%

230

4.933.554

-2,4%

1.818.145

5,6%

27,1%

22,9%

Attrattivi

32

544.628

3,3%

195.923

12,9%

22,5%

24,7%

Crescita

19

165.196

10,1%

60.964

19,1%

22,5%

23,3%

152

4.199.261

-3,6%

1.550.017

4,2%

27,8%

22,7%

27

24.469

-6,5%

11.241

-3,7%

46,3%

17,0%

319

3.588.905

-2,2%

1.457.122

4,2%

30,3%

21,4%

Attrattivi

84

787.551

3,9%

307.013

12,7%

25,0%

23,1%

Crescita

7

17.561

11,4%

7.235

14,1%

33,3%

19,7%

168

2.680.851

-3,8%

1.095.648

2,2%

31,2%

21,0%

60

102.942

-10,8%

47.226

-8,6%

48,1%

17,2%

Centro-Nord

Centro-Sud

Sud

Stagnazione Declino Isole

Stagnazione Declino

9

77


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Figura 9.19 - Le CittĂ Metropolitane, mercato residenziale

Fonte: DemoSI- CRESME

Scambi residenziali / stock Numero di comuni occupato Scambi residenziali / 2013-2015 Numero di comuni stock occupato 2013 - 2015 5,8% 1.327

TOTALE

Prezzo medio compravendita Prezzo medio media 2013 -2015 compravendita (euro/mq) (euro/mq)

2013 - 2015 1.146

Incidenza famiglie proprietarie Incidenza famiglie 2011 proprietarie

2011

Incidenza famiglie in Incidenzaaffitto famiglie 2011 in affitto 2011 21,2% 68,8%

Dinamico fascia alta TOTALE Dinamico residenziale

263 1.327 312

6,4% 5,8% 5,7%

2.109 1.146 1.249

67,9% 68,8% 78,1%

23,1% 21,2% 13,6%

dinamico fascia alta Stagnante

263 499

6,4% 4,2%

2.109 819

67,9% 64,8%

23,1% 21,5%

Recessivo dinamico residenziale

253 312

4,8% 5,7%

664 1.249

78,3% 78,1%

8,9% 13,6%

516 499 104 253 137

6,7% 4,2% 6,9% 4,8% 6,2%

1.212 819 2.159

22,6% 21,5% 24,8%

664 1.302

70,3% 64,8% 68,4% 78,3% 79,2%

Stagnante

154

5,0%

877

70,1%

19,9%

Recessivo

121

6,1%

723

79,8%

9,4%

44

6,5%

1.521

76,7%

16,5%

Nord-Ovest stagnante Dinamico fascia alta

recessivo Dinamico residenziale

78 Nord-Est

8,9% 14,1%


Numero di comuni TOTALE

Prezzo medio Scambi residenziali / stock Incidenza famiglie compravendita occupato proprietarie E GLI SCENARI DEMOGRAFICI media 2013 -2015 2013-2015 2011 (euro/mq)

Incidenza famiglie in affitto INSEDIATIVI 2011

Le CittĂ Metropolitane 68,8% 21,2%

1.327

5,8%

1.146

Dinamico fascia alta

263

6,4%

2.109

67,9%

23,1%

Dinamico residenziale

312

5,7%

1.249

78,1%

13,6%

Stagnante

499

4,2%

819

64,8%

21,5%

Recessivo

253

4,8%

664

78,3%

8,9%

516

6,7%

1.212

70,3%

22,6%

Dinamico fascia alta

104

6,9%

2.159

68,4%

24,8%

Dinamico residenziale

137

6,2%

1.302

79,2%

14,1%

Stagnante

154

5,0%

877

70,1%

19,9%

Recessivo

121

6,1%

723

79,8%

9,4%

44

6,5%

1.521

76,7%

16,5%

Dinamico fascia alta

8

7,4%

2.217

72,5%

20,0%

Dinamico residenziale

35

5,4%

1.371

82,0%

12,1%

Stagnante

1

3,7%

1.188

74,0%

17,9%

Recessivo

0

Nord-Ovest

Nord-Est

Centro-Nord

97

6,1%

1.661

70,8%

20,5%

Dinamico fascia alta

50

6,2%

2.011

69,7%

21,5%

Dinamico residenziale

35

5,6%

1.370

77,4%

14,2%

Stagnante

12

5,0%

1.052

72,4%

18,0%

Recessivo

0

Centro-Sud

121

6,7%

1.375

70,3%

18,4%

Dinamico fascia alta

44

6,8%

1.953

69,8%

18,9%

Dinamico residenziale

36

4,8%

1.188

77,4%

11,5%

Stagnante

19

4,4%

1.048

69,0%

16,9%

Recessivo

22

7,4%

808

74,2%

13,6%

230

4,3%

1.103

61,7%

26,5%

Dinamico fascia alta

41

4,6%

2.378

59,3%

30,4%

Dinamico residenziale

21

5,6%

1.086

74,8%

16,3%

Stagnante

158

3,6%

810

61,3%

24,7%

Recessivo

10

2,8%

549

78,7%

7,9%

Sud

Isole

319

4,5%

775

69,4%

16,9%

Dinamico fascia alta

16

5,3%

1.769

72,3%

16,6%

Dinamico residenziale

48

5,2%

1.035

76,5%

12,0%

Stagnante

155

4,4%

722

66,0%

19,5%

Recessivo

100

3,4%

574

79,3%

6,9%

9

79


V

80

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Metropolitane

BARI - DATI DI SINTESI

Bari

Bari

Reddito medio per contribuente (‘000 euro) 2014

variazione 20122014

37,9%

19,6%

22,6%

19,8%

Altre aree metropolitane

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

16,91

0,9%

10,3%

15,9%

21,30

21,17

0,3%

14,9%

15,8%

-

-

-

-

-

periferiche basso reddito

8,99

15,92

1,3%

9,3%

14,3%

comuni marginali

8,65

14,66

1,1%

8,1%

18,3%

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

periferiche alto reddito

Popolazione 2015

Bari

Dipendenza anziani 2015

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza giovani 2015

1.263.820

-0,9%

488.423

7,4%

30,7%

20,9%

Attrattivi

168.849

1,7%

64.564

10,7%

27,4%

21,4%

Crescita

0

-

0

-

-

-

1.094.971

-1,3%

423.859

6,9%

31,3%

20,8%

0

-

0

-

-

-

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Stagnazione Declino

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

Fonte: DemoSI- CRESME

26,8%

Bari

12,06

centralità economiche

Fonte: DemoSI- CRESME

2,4%

51,2% 19,5%

13,3%

Altre aree metropolitane Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

36,5%

19,3%

0,0%

26,8%

Altre aree metropolitane

30,9%

73,2%

Mercato residenziale

0,0%

32,3%

15,2%

27,1%

25,3%

61,0% 2,4%

0,0% Bari

Economia 36,6%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Bari

5,5%

1.151

71,4%

19,9%

dinamico fascia alta

5,7%

1.567

68,9%

23,1%

dinamico residenziale

5,6%

1.086

74,8%

16,3%

stagnante

4,8%

998

71,0%

19,7%

recessivo

3,7%

868

78,7%

10,7%

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%

81


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

BOLOGNA - DATI DI SINTESI

Bologna

Bologna

(‘000 euro) 2014

variazione 20122014

38,5%

19,9%

22,6%

18,9%

Altre aree metropolitane

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

24,87

23,41

2,4%

15,1%

6,3%

centralità economiche

26,78

23,90

2,3%

16,2%

6,2%

periferiche alto reddito

10,14

19,59

3,1%

6,8%

7,0%

periferiche basso reddito

-

-

-

-

-

comuni marginali

-

-

-

-

-

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Bologna

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

1.005.831

3,2%

481.726

3,3%

38,9%

20,9%

Attrattivi

307.900

3,6%

136.221

5,5%

36,2%

22,7%

Crescita

678.864

3,2%

336.692

2,5%

40,2%

20,2%

Stagnazione

15.276

-2,7%

6.829

-0,1%

34,7%

20,0%

Declino

3.791

-8,7%

1.984

-6,6%

49,9%

14,5%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

82

16,4%

Reddito medio per contribuente

Popolazione

Fonte: DemoSI - CRESME

0,0%

Bologna

Bologna

2015

Fonte: DemoSI- CRESME

43,6%

40,0%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

13,3%

30,3%

17,3%

3,6%

3,6%

Altre aree metropolitane

39,2%

Mercato residenziale

50,9%

41,8%

33,9%

17,4%

24,8%

24,0%

0,0%

0,0%

61,8%

Demografia

38,2%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Bologna

6,4%

1.525

68,8%

22,7%

dinamico fascia alta

6,6%

1.952

67,1%

24,5%

dinamico residenziale

5,9%

1.305

76,8%

14,7%

stagnante

4,9%

1.070

72,7%

17,6%

recessivo

-

-

-

-

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Metropolitane

CAGLIARI - DATI DI SINTESI

Cagliari

Cagliari

Reddito medio per contribuente (‘000 euro) 2014

variazione 20122014

39,6%

17,0%

22,9%

20,5%

Altre aree metropolitane

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

11,22

18,93

1,3%

11,9%

18,9%

centralità economiche

24,65

23,40

1,8%

20,2%

17,3%

-

-

-

-

-

periferiche basso reddito

4,18

18,02

0,9%

9,8%

18,5%

comuni marginali

5,51

14,20

1,6%

4,9%

21,4%

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Popolazione 2015

Cagliari

Dipendenza anziani 2015

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza giovani 2015

561.289

-1,4%

242.906

5,9%

31,5%

17,9%

Attrattivi

153.440

3,5%

62.546

13,4%

25,1%

20,1%

Crescita

971

7,4%

506

6,1%

41,1%

13,5%

Stagnazione

394.301

-3,1%

174.059

3,6%

33,5%

17,1%

Declino

12.577

-10,8%

5.795

-6,5%

49,5%

16,5%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

Fonte: DemoSI- CRESME

1,4% Cagliari

Cagliari

periferiche alto reddito

Fonte: DemoSI- CRESME

56,3%

35,2% 7,0%

12,7%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

37,0%

19,7%

1,4%

Altre aree metropolitane

30,7%

49,3%

Mercato residenziale

16,9%

32,4%

30,3%

16,2%

27,6%

71,8%

Demografia

26,0%

25,4%

2,8%

0,0%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Cagliari

4,6%

816

77,7%

12,9%

dinamico fascia alta

5,2%

1.728

74,0%

16,7%

dinamico residenziale

4,6%

1.024

80,3%

9,9%

stagnante

11,9%

262

68,5%

15,4%

recessivo

2,3%

586

83,9%

7,0%

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%

83


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

CATANIA - DATI DI SINTESI

Catania

Catania

(‘000 euro) 2014

variazione 20122014

36,6%

19,3%

23,4%

20,6%

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

16,33

1,5%

9,4%

23,9%

centralità economiche

5,77

22,97

1,1%

18,3%

16,0%

-

-

-

-

-

periferiche basso reddito

2,82

18,75

1,3%

11,9%

21,0%

comuni marginali

7,43

15,64

1,6%

8,6%

24,8%

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Popolazione

Catania

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

1.115.535

-1,2%

445.825

4,9%

28,2%

22,8%

Attrattivi

308.595

4,1%

116.510

12,7%

23,7%

23,8%

Crescita

7.159

3,2%

2.712

6,8%

29,6%

23,6%

791.624

-3,3%

323.032

2,1%

29,8%

22,4%

8.157

-6,7%

3.571

-2,4%

43,8%

18,4%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Stagnazione Declino

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

84

58,6%

Reddito medio per contribuente

Altre aree metropolitane

6,99

2015

Fonte: DemoSI- CRESME

13,8%

Catania

Catania

periferiche alto reddito

Fonte: DemoSI- CRESME

25,9%

1,7%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

13,3%

30,4%

19,4%

3,4%

3,4%

Altre aree metropolitane

36,9%

Mercato residenziale

55,2%

37,9%

30,3%

16,9%

27,2%

81,0%

Demografia

25,7%

12,1%

6,9%

0,0%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Catania

4,5%

801

70,0%

15,8%

dinamico fascia alta

5,0%

1.770

70,1%

17,7%

dinamico residenziale

5,2%

1.112

74,4%

13,7%

stagnante

4,2%

688

67,8%

17,3%

recessivo

4,1%

580

75,9%

8,7%

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Metropolitane

FIRENZE - DATI DI SINTESI

Altre aree metropolitane

Reddito medio per contribuente (‘000 euro) 2014

variazione 20122014

38,6%

19,7%

23,4%

18,3%

0,0%

Altre aree metropolitane

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

19,71

21,76

2,0%

13,2%

6,8%

centralità economiche

22,33

22,79

1,8%

15,3%

6,6%

periferiche alto reddito

11,88

18,69

2,8%

7,0%

7,4%

periferiche basso reddito

-

-

-

-

-

comuni marginali

-

-

-

-

-

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Popolazione

Firenze

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

1.013.348

3,5%

451.407

5,2%

40,2%

21,0%

Attrattivi

128.253

0,6%

53.627

4,0%

35,8%

22,3%

Crescita

834.895

4,2%

376.241

5,6%

40,6%

20,9%

Stagnazione

45.907

-0,9%

19.515

1,2%

44,3%

20,6%

Declino

4.293

-1,6%

2.024

-1,3%

52,5%

16,8%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

Fonte: DemoSI- CRESME

7,1%

Firenze

Firenze

2015

Fonte: DemoSI- CRESME

26,2%

66,7%

38,4%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

13,2%

4,8%

Firenze

17,5%

30,9%

54,8%

Mercato residenziale

14,3%

26,2%

33,5%

23,7%

17,2%

0,0%

0,0% Firenze

25,6%

Demografia

52,4%

47,6%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Firenze

5,8%

1.839

73,0%

18,1%

dinamico fascia alta

5,9%

2.057

72,4%

18,6%

dinamico residenziale

5,1%

1.512

78,3%

13,4%

stagnante

5,4%

996

71,0%

19,6%

recessivo

-

0

-

-

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%

85


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

GENOVA - DATI DI SINTESI

Altre aree metropolitane

Genova

Reddito medio per contribuente (‘000 euro) 2014

variazione 20122014

37,6%

18,7%

24,6%

19,0%

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

21,96

0,4%

13,0%

7,6%

centralità economiche

21,05

22,39

0,2%

14,0%

7,7%

periferiche alto reddito

7,16

19,06

2,0%

6,3%

6,5%

periferiche basso reddito

3,61

15,76

2,7%

4,4%

7,9%

comuni marginali

-

-

-

-

-

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Genova

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

854.099

-7,3%

425.675

-6,1%

47,2%

19,1%

Attrattivi

36.945

-0,4%

17.525

2,5%

38,3%

20,1%

Crescita

661.321

-8,1%

331.569

-6,9%

47,1%

19,1%

Stagnazione

106.326

-3,7%

51.373

-3,4%

47,5%

19,5%

Declino

49.507

-8,0%

25.208

-7,1%

54,5%

17,5%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

86

Altre aree metropolitane

19,23

Popolazione

Fonte: DemoSI- CRESME

37,3% 3,0% Genova

Genova

2015

Fonte: DemoSI- CRESME

25,4%

34,3%

38,1%

Altre aree metropolitane Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

11,8%

18,8%

31,3%

32,8%

29,9%

20,9%

16,4%

34,2%

17,2%

26,3%

22,3%

0,0%

6,0% Genova

Mercato residenziale

Demografia

67,2%

26,9%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Genova

5,6%

1.665

70,2%

22,1%

dinamico fascia alta

5,6%

3.055

69,8%

22,6%

dinamico residenziale

5,8%

1.277

73,5%

17,1%

stagnante

4,7%

1.066

71,4%

19,9%

recessivo

6,9%

712

82,5%

8,1%

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Metropolitane

MESSINA - DATI DI SINTESI Demografia

Messina

Messina

(‘000 euro) 2014

variazione 20122014

34,3%

19,5%

20,8%

25,3%

75,0%

Reddito medio per contribuente

Altre aree metropolitane

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

6,68

16,34

2,2%

11,0%

20,2%

centralità economiche

-

-

-

-

-

periferiche alto reddito

-

-

-

-

-

periferiche basso reddito

8,19

18,54

1,6%

13,2%

20,9%

comuni marginali

4,45

13,37

2,9%

7,8%

19,2%

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Popolazione

Messina

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

640.675

-5,2%

276.328

0,6%

33,9%

19,7%

Attrattivi

68.993

2,5%

30.986

10,4%

28,5%

19,8%

Crescita

3.138

3,6%

1.466

8,4%

36,8%

18,1%

Stagnazione

531.045

-5,6%

225.907

0,1%

33,7%

19,9%

Declino

37.499

-13,3%

17.969

-10,4%

47,8%

16,3%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

Fonte: DemoSI- CRESME

13,9%

Messina

Messina

2015

Fonte: DemoSI- CRESME

2,8%

8,3%

11,7%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

36,1%

32,1%

20,1%

15,7%

Altre aree metropolitane

25,9%

55,6%

Mercato residenziale

2,8%

28,3%

26,7%

16,3%

28,6%

20,4%

0,0%

0,0%

79,6%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Messina

4,2%

818

70,1%

14,0%

dinamico fascia alta

5,8%

1.774

64,4%

15,3%

dinamico residenziale

6,6%

977

73,6%

10,5%

stagnante

4,1%

738

69,9%

14,6%

recessivo

2,7%

644

79,7%

5,2%

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%

87


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

MILANO - DATI DI SINTESI

Altre aree metropolitane

(‘000 euro) 2014

variazione 20122014

41,6%

21,2%

19,1%

18,1%

Altre aree metropolitane

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

69,03

26,71

2,1%

15,1%

7,1%

centralità economiche

74,91

27,27

2,1%

15,9%

6,9%

periferiche alto reddito

9,71

20,88

2,0%

7,3%

8,2%

periferiche basso reddito

8,52

18,36

0,8%

5,9%

10,7%

comuni marginali

-

-

-

-

-

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Milano

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

3.208.509

5,8%

1.525.297

6,5%

35,0%

21,7%

Attrattivi

627.879

4,3%

264.263

7,5%

30,2%

23,6%

Crescita

2.365.178

6,8%

1.169.135

6,6%

36,2%

21,2%

215.452

-0,7%

91.899

2,2%

36,2%

21,2%

0

-

0

-

-

-

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Stagnazione Declino

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

88

2,2%

Reddito medio per contribuente

Popolazione

Fonte: DemoSI- CRESME

0,0%

Napoli

Milano

2015

Fonte: DemoSI- CRESME

62,7%

35,1%

40,5%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

14,3%

0,0%

Milano

16,9%

28,2%

Mercato residenziale

12,7%

53,0%

36,1%

18,4%

25,5%

19,9%

0,7%

0,0%

82,8% 16,4%

Milano

34,3%

Demografia

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Milano

7,3%

1.572

71,3%

22,3%

dinamico fascia alta

7,5%

1.932

68,8%

24,7%

dinamico residenziale

6,3%

1.387

81,4%

12,4%

stagnante

5,0%

1.126

72,9%

19,4%

recessivo

-

-

-

-

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Metropolitane

NAPOLI - DATI DI SINTESI Demografia

Napoli

Napoli

Reddito medio per contribuente (‘000 euro) 2014

variazione 20122014

35,6%

20,5%

25,3%

18,6%

Altre aree metropolitane

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

9,16

17,60

1,1%

9,4%

26,2%

centralità economiche

13,78

20,30

1,3%

12,5%

11,2%

6,70

18,79

2,1%

8,5%

7,0%

periferiche basso reddito

14,01

20,18

1,0%

12,2%

26,0%

comuni marginali

5,88

15,68

1,1%

7,4%

27,1%

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Popolazione 2015

Napoli

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

3.113.898

-2,8%

1.109.942

5,2%

24,9%

24,0%

Attrattivi

340.024

4,2%

117.982

14,2%

19,7%

26,5%

Crescita

126.735

11,3%

45.805

22,0%

19,8%

23,6%

2.647.139

-4,4%

946.155

3,3%

25,9%

23,7%

0

-

0

-

-

-

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Stagnazione Declino

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Napoli

3,9%

1.638

56,6%

31,4%

dinamico fascia alta

4,3%

2.575

56,0%

32,9%

-

-

-

-

stagnante

3,5%

1.115

57,6%

29,3%

recessivo

-

0

-

-

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%

dinamico residenziale

Fonte: DemoSI- CRESME

64,1% 0,0% Napoli

Napoli

periferiche alto reddito

Fonte: DemoSI- CRESME

0,0%

35,9%

35,1%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

13,8%

19,5%

0,0%

19,6%

Altre aree metropolitane

31,6%

72,8%

Mercato residenziale

7,6%

29,2%

26,3%

16,8%

27,7%

15,2%

1,1%

7,6%

76,1%

Economia

89


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

PALERMO - DATI DI SINTESI Demografia

Palermo

Palermo

(‘000 euro) 2014

variazione 20122014

36,9%

17,3%

24,7%

Altre aree metropolitane

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

8,07

17,21

0,6%

9,5%

24,4%

centralità economiche

-

-

-

-

-

periferiche alto reddito

-

-

-

-

-

periferiche basso reddito

11,24

19,91

-0,4%

12,3%

24,6%

comuni marginali

4,21

13,88

1,6%

6,1%

24,0%

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Palermo

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

1.271.406

-1,9%

492.063

4,6%

29,8%

22,5%

Attrattivi

256.523

4,4%

96.971

13,0%

25,5%

25,2%

Crescita

6.293

25,2%

2.551

26,7%

34,7%

17,1%

Stagnazione

963.881

-3,4%

372.650

3,0%

30,1%

22,0%

Declino

44.709

-9,4%

19.891

-8,8%

48,8%

17,9%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

90

21,0%

47,6%

Reddito medio per contribuente

Popolazione

Fonte: DemoSI- CRESME

45,1%

Reggio di Calabria

Palermo

2015

Fonte: DemoSI- CRESME

6,1%

1,2%

12,3%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

36,9%

31,0%

19,8%

22,0%

50,0%

26,8%

Altre aree metropolitane

Mercato residenziale

1,2%

28,5%

17,3%

28,0%

26,2%

7,3%

0,0%

0,0%

92,7%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Palermo

4,7%

666

64,7%

21,6%

dinamico fascia alta

6,1%

1.933

69,1%

16,5%

dinamico residenziale

7,9%

900

69,7%

14,3%

stagnante

4,7%

733

62,6%

23,9%

recessivo

3,7%

530

79,0%

6,1%

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Metropolitane

REGGIO CALABRIA - DATI DI SINTESI Demografia

Altre aree metropolitane

Reggio di Calabria

Reggio Calabria

(‘000 euro) 2014

variazione 20122014

33,4%

19,8%

21,4%

25,4%

90,7%

Reddito medio per contribuente

Altre aree metropolitane

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

4,98

14,73

1,8%

10,7%

20,3%

centralità economiche

-

-

-

-

-

periferiche alto reddito

-

-

-

-

-

periferiche basso reddito

6,69

18,07

1,1%

15,0%

21,0%

comuni marginali

3,75

12,41

2,4%

7,6%

19,8%

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

2015

Reggio Calabria

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

555.836

-3,3%

219.780

3,7%

31,3%

21,7%

Attrattivi

35.755

2,0%

13.377

11,5%

26,3%

23,2%

Crescita

38.461

6,3%

15.159

10,3%

32,2%

22,1%

Stagnazione

457.151

-4,4%

180.003

3,0%

30,8%

21,8%

Declino

24.469

-6,5%

11.241

-3,7%

46,3%

17,0%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

Reggio Calabria

Fonte: DemoSI- CRESME

9,3%

Reggio di Calabria

Popolazione

Fonte: DemoSI- CRESME

0,0%

0,0%

36,2%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

11,7%

32,9%

19,2%

27,8%

12,4%

3,1%

28,3%

26,5%

16,8%

28,4%

85,6% 14,4%

0,0%

0,0%

Reggio di Calabria

Mercato residenziale

56,7%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

3,4%

575

65,6%

16,7%

dinamico fascia alta

-

-

-

-

dinamico residenziale

-

-

-

-

stagnante

3,5%

582

65,3%

17,0%

recessivo

2,4%

513

78,7%

6,5%

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%

91


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

ROMA - DATI DI SINTESI

Altre aree metropolitane

Roma

Reddito medio per contribuente (‘000 euro) 2014

variazione 20122014

39,8%

19,2%

22,9%

18,2%

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

0,8%

16,3%

10,4%

35,69

25,06

0,7%

18,7%

9,7%

periferiche alto reddito

2,83

18,69

2,9%

6,8%

7,9%

periferiche basso reddito

6,22

18,46

1,0%

8,6%

12,7%

comuni marginali

0,00

16,43

2,2%

3,2%

19,8%

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Popolazione

Roma

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

4.340.474

1,8%

1.976.261

5,1%

31,7%

21,4%

Attrattivi

810.059

8,2%

343.059

14,9%

26,5%

23,1%

Crescita

3.393.836

0,3%

1.576.578

3,0%

32,9%

21,0%

128.876

-0,6%

53.099

2,8%

32,9%

20,8%

7.703

1,8%

3.525

4,5%

48,2%

16,0%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Stagnazione Declino

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

92

Altre aree metropolitane

23,62

2015

Fonte: DemoSI- CRESME

15,7%

Roma

28,73

centralità economiche

Fonte: DemoSI- CRESME

18,2%

36,4%

40,0%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

13,3%

30,0%

Roma

16,6%

14,0%

8,3%

39,7%

38,0%

35,6%

10,9%

26,9%

26,6%

1,7%

73,6% 20,7%

4,1% Roma

Mercato residenziale

Demografia

29,8%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Roma

6,7%

1.375

70,3%

18,4%

dinamico fascia alta

6,8%

1.953

69,8%

18,9%

dinamico residenziale

4,8%

1.188

77,4%

11,5%

stagnante

4,4%

1.048

69,0%

16,9%

recessivo

7,4%

808

74,2%

13,6%

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Metropolitane

TORINO - DATI DI SINTESI

(‘000 euro) 2014

variazione 20122014

36,9%

14,7%

25,8%

22,6%

40,0%

Reddito medio per contribuente

Altre aree metropolitane

Incidenza laureati 2011

tasso di disoccupazione 2011

Torino

20,04

21,97

2,7%

11,1%

8,9%

centralità economiche

24,07

22,85

2,7%

13,0%

9,0%

periferiche alto reddito

9,94

19,75

2,7%

6,4%

8,7%

periferiche basso reddito

3,86

15,97

0,3%

5,6%

8,3%

comuni marginali

0,00

14,22

-1,4%

5,4%

20,0%

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

2015

Torino

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

2.282.197

-3,6%

1.053.924

-1,8%

39,2%

20,8%

Attrattivi

516.513

2,1%

221.668

5,2%

34,7%

22,7%

Crescita

1.154.396

-6,2%

560.003

-5,0%

40,5%

20,2%

Stagnazione

576.703

-3,3%

254.901

-0,6%

40,0%

20,6%

Declino

34.585

-4,4%

17.352

-2,7%

51,1%

17,2%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

Fonte: DemoSI- CRESME

33,0%

Torino

Popolazione

Fonte: DemoSI- CRESME

16,2%

10,8%

12,3%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

38,4%

20,1%

14,9%

Torino

Altre aree metropolitane

29,2%

Mercato residenziale

35,2%

35,6%

42,5%

20,3%

14,0%

23,2%

5,1%

0,3%

58,4%

36,2%

Torino

14,3%

Demografia

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Torino

6,3%

962

69,0%

23,2%

dinamico fascia alta

6,7%

1.868

66,8%

26,3%

dinamico residenziale

6,0%

1.161

75,1%

17,4%

stagnante

5,1%

834

69,8%

19,9%

recessivo

6,0%

725

79,5%

9,6%

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%

93


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

VENEZIA - DATI DI SINTESI

Venezia

Altre aree metropolitane

Reddito medio per contribuente (‘000 euro) 2014

variazione 20122014

19,7%

38,8%

21,6%

19,9%

tasso di disoccupazione 2011

Incidenza laureati 2011

20,39

2,3%

9,9%

7,0%

centralità economiche

25,49

21,82

1,9%

12,4%

6,6%

9,17

18,84

3,1%

6,6%

6,7%

periferiche basso reddito

10,39

16,77

2,8%

6,1%

9,9%

comuni marginali

-

-

-

-

-

Italia

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Aree Metropolitane

24,66

21,45

1,6%

12,5%

13,4%

Popolazione

Venezia

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

855.696

-2,0%

375.602

0,8%

37,5%

20,3%

Attrattivi

184.671

1,2%

75.094

5,5%

30,8%

22,2%

Crescita

545.449

-2,8%

247.594

-0,4%

39,8%

20,1%

Stagnazione

111.383

-2,6%

46.797

1,3%

36,9%

18,4%

Declino

14.193

-10,7%

6.117

-8,0%

44,8%

16,1%

Italia

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Aree Metropolitane

22.082.613

-0,1%

9.565.159

3,8%

33,1%

21,6%

Scambi residenziali / stock occupato 2013-2015

94

Altre aree metropolitane

18,87

2015

Fonte: DemoSI- CRESME

0,0%

79,5% 18,2%

Venezia

Venezia

periferiche alto reddito

Fonte: DemoSI- CRESME

2,3%

38,4%

Altre aree metropolitane

Depositi per abitante (‘000 euro) 2015

Fonte: DemoSI- CRESME

13,3%

30,6%

15,9%

Venezia

17,7%

Mercato residenziale

2,3%

47,7%

34,1%

33,6%

16,8%

26,2%

0,0%

23,4%

Demografia

59,1% 11,4%

29,5%

Economia

Prezzo medio compravendita (euro/mq) 2013 -2015

Incidenza famiglie Incidenza famiglie proprietarie in affitto 2011 2011

Venezia

6,5%

1.520

76,7%

16,5%

dinamico fascia alta

7,4%

2.217

72,5%

20,0%

dinamico residenziale

5,4%

1.371

82,0%

12,1%

stagnante

3,7%

1.188

74,0%

17,9%

recessivo

-

-

-

-

Italia

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Aree Metropolitane

5,8%

1.146

68,8%

21,2%


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

Le Città Medie

economia - demografia - mercato immobiliare - Mappe Figura 9.20 - Le Città Medie

Fonte: DemoSI- CRESME

95


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Figura 9.21 - Le Città Medie, economia

96


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

Figura 9.22 - Le Città Medie, demografia

97


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Figura 9.23 - Le CittĂ Medie, mercato residenziale

98


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

CITTÀ MEDIE/NORD OVEST - DATI DI SINTESI

99


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

CITTÀ MEDIE/NORD OVEST - DATI DI SINTESI

100


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

CITTÀ MEDIE/NORD OVEST - DATI DI SINTESI

101


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

CITTÀ MEDIE/NORD EST - DATI DI SINTESI

102


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

CITTÀ MEDIE/NORD EST - DATI DI SINTESI

103


RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

CITTÀ MEDIE/NORD EST - DATI DI SINTESI

104


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

CITTÀ MEDIE/CENTRO NORD - DATI DI SINTESI

105


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

CITTÀ MEDIE/CENTRO NORD - DATI DI SINTESI

106


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

CITTÀ MEDIE/CENTRO NORD - DATI DI SINTESI

107


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

CITTÀ MEDIE/CENTRO SUD - DATI DI SINTESI

108


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

CITTÀ MEDIE/CENTRO SUD - DATI DI SINTESI

109


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

CITTÀ MEDIE/CENTRO SUD - DATI DI SINTESI

110


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

CITTÀ MEDIE/SUD - DATI DI SINTESI

111


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

CITTÀ MEDIE/SUD - DATI DI SINTESI

112


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

CITTÀ MEDIE/SUD- DATI DI SINTESI

113


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

CITTÀ MEDIE/ISOLE - DATI DI SINTESI

114


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI Le Città Medie

9

CITTÀ MEDIE/ISOLE- DATI DI SINTESI

115


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

CITTÀ MEDIE/ISOLE - DATI DI SINTESI

116


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI

9

I Comuni Minori

Figura 9.24 - I Comuni Minori

Fonte: DemoSI- CRESME

117


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Figura 9.25 - I Comuni Minori, economia

118


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI I Comuni Minori

9

Figura 9.26 - I Comuni Minori, demografia

119


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Figura 9.27 - I Comuni Minori, mercato residenziale

120


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI I Comuni Minori

9

I COMUNI MINORI/NORD OVEST - DATI DI SINTESI

121


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

I COMUNI MINORI/NORD OVEST - DATI DI SINTESI

122


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI I Comuni Minori

9

I COMUNI MINORI/NORD OVEST - DATI DI SINTESI

123


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

I COMUNI MINORI/NORD EST - DATI DI SINTESI

Reddito medio per contribuente nel 2014 e variazione rispetto al 2012 - Primi venti comuni Reddito medio 2014 (‘000 euro)

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

Numero comuni

Depositi bancari per abitante (‘000 euro) 2015

(‘000 euro) 2014

variazione 2012-2014

747

15,58

19,18

3,0%

7,8%

5,9%

Centralità economiche

129

23,30

21,20

2,4%

10,8%

6,0%

Periferiche alto reddito

553

11,43

18,28

3,3%

6,3%

5,7%

Periferiche basso reddito

65

10,50

15,53

3,7%

5,5%

8,2%

Comuni marginali

0

-

-

-

-26,5%

25,4

1,3%

Falzes

25,3

3,2%

Cortina d'Ampezzo

24,6

0,9%

Chienes

24,9

4,8%

Bressanone

24,1

2,1%

Mogliano Veneto

23,8

1,8%

Vipiteno

23,2

-0,2%

Varna

23,9

2,9%

Merano

23,3

1,9%

Postal

22,6

0,3%

Lazise

22,4

-0,8%

Corvara in Badia

23,1

3,7%

Egna

21,8

-2,0%

Alonte

23,0

3,7%

Ora

22,2

0,4%

Conegliano

22,7

2,4%

Perca

21,6

-2,1%

Isera

21,6

-1,1%

Lagundo

22,1

1,5%

Quota di comuni per gruppo

Tasso di disoccupazio ne 2011

-

-

Italia

7.999

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Comuni minori

4.261

11,98

17,37

2,8%

8,3%

10,7%

124

22,1

Brunico

17,3% Nord-Est

Incidenza laureati 2011

Agordo

74,0% 8,7% 0,0%

Resto Comuni minori

Nord-Est

Reddito medio per contribuente

2012 2015

10,8% 36,8% 23,8% 28,6%


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI I Comuni Minori

9

I COMUNI MINORI/NORD EST - DATI DI SINTESI

Popolazione residente al 2015 e scenario previsionale al 2025 Primi venti comuni Popolazione 2015

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

Numero comuni

Popolazione

Famiglie

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

2015

var 2025

2015

var 2025

747

3.177.962

-0,4%

1.305.703

3,4%

33,4%

22,2%

Attrattivi

175

706.389

4,4%

285.771

8,9%

28,8%

23,8%

Crescita

239

1.724.745

-0,8%

702.152

2,9%

33,6%

22,4%

Stagnazione

249

644.146

-3,2%

268.812

0,7%

35,4%

20,5%

Declino

84

102.682

-8,1%

48.968

-5,6%

49,2%

16,4%

Italia

7.999

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Comuni minori

4.261

18.984.067

-1,7%

7.918.380

2,6%

35,0%

21,0%

Busto Arsizio

83.106

Vigevano

63.310

0,0%

Sanremo

54.807

-4,7%

Gallarate

53.343

4,6%

Voghera

39.421

-2,0%

Casale Monferrato

34.437

-4,6%

Crema

34.371

2,4%

Alba

31.437

0,8%

Bra

29.737

-1,1%

Desenzano del Garda

28.650

9,2%

Novi Ligure

28.154

-4,6%

Tortona

27.437

0,8%

Montichiari

25.198

7,4%

Fossano

24.739

-2,0%

Ventimiglia

24.310

-10,1%

Albenga

24.213

-0,6%

Castiglione delle Stiviere

23.212

4,1%

Lumezzane

22.644

-11,3%

MondovĂŹ

22.484

-1,5%

Borgomanero

21.735

1,3%

3,6%

Quota di comuni per gruppo

Nord-Est

23,4% 32,0% 33,3% 11,2% Resto CittĂ Medie

Nord-Est

Var 2025

16,4% 24,8% 32,7% 26,1%

125


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

I COMUNI MINORI/NORD EST - DATI DI SINTESI

Transazioni residenziali 2013 – 2015 Vivacità del mercato (incidenza scambi sullo stock) - Primi venti comuni Transazioni 2013-2015

Vivacità

Lignano Sabbiadoro

1.201

37,57%

Bassano del Grappa

886

5,07%

Schio

869

5,34%

Legnago

720

6,93%

Castelfranco Veneto

719

5,65%

Conegliano

685

4,68%

Mogliano Veneto

653

5,69%

Peschiera del Garda

619

14,97%

Montebelluna

616

5,20%

Villafranca di Verona

591

4,61%

Thiene

550

5,93%

Vittorio Veneto

520

4,19%

Valdagno

514

4,64%

Montecchio Maggiore

489

5,45%

Arzignano

476

4,75%

Castelnuovo del Garda

449

9,20%

Adria

443

5,34%

Rosolina

442

15,72%

Valeggio sul Mincio

437

7,76%

Latisana

416

7,22%

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

Incidenza famiglie proprietarie 2011

747

3,8%

1.358

76,8%

15,4%

Dinamico fascia alta

162

2,8%

2.373

71,1%

20,8%

Dinamico residenziale

342

4,3%

1.261

78,7%

13,7%

Stagnante

51

3,9%

938

72,6%

19,7%

Recessivo

192

3,8%

785

82,6%

9,6%

Italia

7,999

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Comuni minori

4.261

4,8%

972

74,0%

14,9%

126

Quota di comuni per gruppo

Incidenza famiglie in affitto 2011

21,7% Nord-Est

Nord-Est

Prezzo medio Scambi residenziali / compravendita stock occupato (euro/mq) 2013-2015 2013 -2015

45,8% 6,8% 25,7%

Resto Città Medie

Numero comuni

7,3% 17,6% 34,9% 40,3%


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI I Comuni Minori

I COMUNI MINORI/CENTRO NORD - DATI DI SINTESI

Reddito medio per contribuente nel 2014 e variazione rispetto al 2012 - Primi venti comuni Reddito medio 2014 (‘000 euro)

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

Numero comuni

Depositi bancari per abitante (‘000 euro) 2015

(‘000 euro) 2014

variazione 2012-2014

350

15,22

18,97

3,2%

8,6%

7,5%

Centralità economiche

69

19,27

20,26

3,1%

10,3%

7,6%

Periferiche alto reddito

215

12,09

18,24

3,3%

7,1%

6,8%

Periferiche basso reddito

65

10,00

16,48

2,7%

7,0%

9,5%

Comuni marginali

1

13,27

10,54

6,1%

2,2%

4,2%

Italia

7.999

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Comuni minori

4.261

11,98

17,37

2,8%

8,3%

10,7%

Lajatico

30,9

15,0%

Forte dei Marmi

27,2

4,9%

Castellarano

23,6

3,9%

Formigine

23,4

3,2%

Sassuolo

22,9

3,5%

Lesignano de' Bagni

22,1

1,5%

Correggio

22,4

3,0%

Langhirano

21,8

0,2%

Maranello

22,6

3,9%

Fiorano Modenese

21,7

-0,1%

Casalgrande

22,0

3,0%

Guastalla

21,9

3,7%

Castelvetro di Modena

22,0

4,4%

Fidenza

21,7

2,9%

Fiorenzuola d'Arda

21,5

2,2%

Vignola

21,0

2,5%

San Martino in Rio

21,4

4,6%

Marano sul Panaro

20,9

2,4%

Carrara

21,0

3,5%

Santa Croce sull'Arno

21,3

6,0%

Quota di comuni per gruppo

Incidenza Tasso di laureati disoccupazione 2011 2011

Centro-Nord

19,7% 61,4% 18,6% 0,3% Resto Comuni minori

Centro-Nord

Reddito medio per contribuente

2012 2015

11,2% 41,7% 21,4% 25,7%

127


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

I COMUNI MINORI/CENTRO NORD - DATI DI SINTESI

Popolazione residente al 2015 e scenario previsionale al 2025 Primi venti comuni Popolazione 2015

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

2015

Famiglie

var 2025

2015

var 2025

-0,9%

70.699

8,2%

Carrara

63.133

-8,3%

Viareggio

62.467

-7,8%

Faenza

58.541

-2,4%

Sassuolo

40.853

-4,0%

Cento

35.686

-4,4%

Riccione

34.965

-4,6%

Formigine

34.323

0,7%

Piombino

34.060

-5,4%

Camaiore

32.513

0,5%

Lugo

32.390

-1,8%

Rosignano Marittimo

31.394

-9,3%

Pontedera

29.223

4,9%

Poggibonsi

29.196

-1,9%

Cecina

28.046

-1,9%

San Miniato

27.934

-3,6%

Fidenza

26.770

6,4%

Correggio

25.897

0,3%

Cesenatico

25.796

-1,2%

Quota di comuni per gruppo

Dipendenza Dipendenza anziani giovani 2015 2015

350

2.850.316

-2,7%

1.235.077

-0,4%

39,1%

20,7%

Attrattivi

60

514.570

0,8%

213.088

4,6%

32,6%

22,3%

Crescita

172

1.838.703

-2,3%

793.852

-0,2%

38,8%

20,9%

Stagnazione

31

260.334

-6,8%

115.356

-4,1%

41,4%

19,1%

Declino

87

236.709

-8,5%

112.781

-7,6%

54,5%

16,4%

Italia

7.999

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Comuni minori

4.261

18.984.067

-1,7%

7.918.380

2,6%

35,0%

21,0%

128

96.758

Carpi

17,1% Centro-Nord

Centro-Nord

Popolazione

Cesena

49,1% 8,9% 24,9%

Resto CittĂ Medie

Numero comuni

Variazione 2025

17,7% 24,0% 34,9% 23,3%


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI I Comuni Minori

9

I COMUNI MINORI/CENTRO NORD - DATI DI SINTESI

Transazioni residenziali 2013 – 2015 Vivacità del mercato (incidenza scambi sullo stock) - Primi venti comuni Transazioni 2013-2015

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

Incidenza famiglie proprietarie 2011

5,2%

1.235

74,2%

15,8%

72

5,9%

2.129

72,4%

16,9%

130

4,8%

1.240

75,8%

14,9%

Stagnante

64

4,8%

952

71,9%

18,5%

Recessivo

84

4,5%

676

78,4%

11,7%

Italia

7,999

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Comuni minori

4.261

4,8%

972

74,0%

14,9%

Dinamico residenziale

4,66%

1.758

6,36%

Comacchio

1.728

16,72%

Viareggio

1.449

5,40%

Faenza

1.302

5,29%

Carrara

1.233

4,51%

Rosignano Marittimo

952

6,51%

Piombino

935

5,96%

Formigine

834

6,25%

Sassuolo

777

4,93%

Cesenatico

777

7,37%

Riccione

761

5,12%

Pontedera

747

6,51%

Follonica

717

7,49%

Camaiore

691

5,16%

Cecina

668

5,55%

Lugo

625

4,59%

Fidenza

596

5,35%

Cento

583

4,13%

Mirandola

581

5,87%

Quota di comuni per gruppo

Incidenza famiglie in affitto 2011

350

Dinamico fascia alta

1.837

Carpi

20,6% Centro-Nord

Centro-Nord

Scambi Prezzo medio residenziali / compravendita stock occupato (euro/mq) 2013-2015 2013 -2015

Cesena

37,1% 18,3% 24,0%

Resto Città Medie

Numero comuni

Vivacità

8,8% 21,2% 31,0% 38,9%

129


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

I COMUNI MINORI/CENTRO SUD - DATI DI SINTESI

Reddito medio per contribuente nel 2014 e variazione rispetto al 2012 - Primi venti comuni Reddito medio 2014 (‘000 euro)

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

Depositi bancari per abitante (‘000 euro) 2015

(‘000 euro) 2014

variazione 2012-2014

567

11,11

16,82

2,6%

9,9%

10,6%

Centralità economiche

46

16,47

18,80

2,2%

13,3%

10,0%

Periferiche alto reddito

47

11,40

17,41

3,9%

7,6%

7,2%

Periferiche basso reddito

394

8,45

15,86

2,6%

8,5%

10,8%

Comuni marginali

80

5,90

13,72

2,4%

7,0%

16,0%

Italia

7.999

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Comuni minori

4.261

11,98

17,37

2,8%

8,3%

10,7%

Fonte: DemoSI- CRESME

130

21,7

0,4%

Camerino

21,0

3,1%

Jesi

20,5

1,3%

Sirolo

20,3

0,7%

Fabriano

20,9

4,5%

Monsano

19,8

0,3%

Fara San Martino

20,1

2,8%

Fano

19,7

2,4%

Osimo

19,5

2,1%

Gaeta

19,6

2,7%

Monterosi

20,0

5,1%

Senigallia

19,5

2,5%

Avezzano

18,9

-0,1%

San Marcello

19,0

1,6%

Foligno

19,3

3,3%

Oriolo Romano

19,1

2,4%

Offagna

19,1

2,7%

Orvieto

19,0

1,9%

Cassino

18,9

1,5%

Formia

18,7

0,7%

Quota di comuni per gruppo

Incidenza Tasso di laureati disoccupazione 2011 2011

8,1% Centro-Sud

Centro-Sud

Reddito medio per contribuente

Numana

8,3% 69,5% 14,1%

Resto Comuni minori

Numero comuni

2012 2015

12,5% 48,7% 13,8% 25,0%


GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI I Comuni Minori

9

I COMUNI MINORI/SUD - DATI DI SINTESI

Popolazione residente al 2015 e scenario previsionale al 2025 Primi venti comuni Popolazione 2015

Comune

Var 2025

Aprilia

73.446

8,2%

Fano

60.888

-22,1%

Foligno

57.155

-0,9%

San Benedetto del Tronto

47.303

-1,3%

Terracina

46.039

5,4%

Senigallia

45.027

1,3%

Avezzano

42.515

2,9%

Civitanova Marche

41.983

5,2%

Vasto

41.087

4,2%

Jesi

40.399

-3,7%

CittĂ di Castello

39.913

-3,7%

Fondi

39.809

8,0%

Spoleto

38.218

-4,1%

Formia

38.127

-1,1%

Cassino

36.142

12,0%

Lanciano

35.444

-6,9%

Osimo

34.977

3,8%

Gubbio

32.216

-6,2%

Fabriano

31.480

-5,9%

Assisi

28.299

3,5%

Fonte: DemoSI- CRESME

Quota di comuni per gruppo

567 2.800.770

var 2025

2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

-1,8%

1.167.844

2,3%

36,6%

20,1%

Attrattivi

82

802.054

3,5%

332.815

8,9%

31,5%

21,2%

Crescita

178

1.153.379

-2,6%

481.049

0,7%

37,7%

20,7%

Stagnazione

144

678.900

-4,9%

277.701

-0,4%

37,5%

19,0%

Declino

163

166.437

-8,0%

76.279

-6,3%

51,7%

15,8%

Italia

7.999

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Comuni minori

4.261

18.984.067

-1,7%

7.918.380

2,6%

35,0%

21,0%

14,5% Centro-Sud

Centro-Sud

2015

Famiglie

31,4% 25,4% 28,7%

Resto CittĂ Medie

Numero comuni

Popolazione

18,2% 25,3% 33,9% 22,7%

131


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

I COMUNI MINORI/CENTRO SUD - DATI DI SINTESI

Transazioni residenziali 2013 – 2015 Vivacità del mercato (incidenza scambi sullo stock) - Primi venti comuni Transazioni 2013-2015

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

Incidenza famiglie proprietarie 2011

4,8%

891

75,3%

12,9%

39

6,4%

1.858

72,5%

15,5%

Dinamico residenziale

127

4,8%

1.076

76,1%

13,3%

Stagnante

165

3,5%

776

73,0%

13,1%

Recessivo

236

3,6%

711

79,7%

8,1%

Italia

7,999

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Comuni minori

4.261

4,8%

972

74,0%

14,9%

132

6,39%

1.356

5,17%

Vasto

1.326

8,85%

Foligno

1.208

5,35%

San Benedetto del Tronto

1.111

5,88%

Senigallia

1.087

5,78%

Terracina

990

5,48%

Civitanova Marche

913

5,81%

Tortoreto

792

17,09%

Cassino

781

5,90%

Spoleto

754

4,89%

Jesi

748

4,42%

Avezzano

723

4,64%

Formia

716

5,15%

Assisi

673

6,31%

Alba Adriatica

642

12,76%

Osimo

639

4,89%

Città di Castello

622

3,90%

Roseto degli Abruzzi

589

6,12%

Tarquinia

561

8,22%

Quota di comuni per gruppo

Incidenza famiglie in affitto 2011

567

Dinamico fascia alta

1.593

Fano

6,9% Centro-Sud

Centro-Sud

Scambi Prezzo medio residenziali / compravendita stock occupato (euro/mq) 2013-2015 2013 -2015

Aprilia

22,4% 29,1% 41,6%

Resto Città Medie

Numero comuni

Vivacità

10,3% 22,5% 30,1% 37,1%


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI I Comuni Minori

I COMUNI MINORI/SUD - DATI DI SINTESI

Reddito medio per contribuente nel 2014 e variazione rispetto al 2012 - Primi venti comuni Reddito medio 2014 (‘000 euro)

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

2012 2015

Soverato

20,3

1,7%

Lagonegro

18,6

0,6%

Santa Maria Capua Vetere

18,6

0,8%

Aversa

18,5

1,2%

Positano

19,8

8,6%

Maglie

18,2

0,9%

Vallo della Lucania

18,0

0,4%

Termoli

18,0

0,2%

Telese Terme

18,2

1,4%

Capua

18,2

2,4%

Montauro

18,2

4,3%

Curti

17,2

-1,1%

San Giovanni Rotondo

17,5

0,8%

Paola

17,6

2,7%

Amalfi

17,8

4,6%

Conca dei Marini

18,2

9,3%

Sirignano

16,9

1,7%

Marsicovetere

16,8

0,8%

Nocera Inferiore

17,0

3,1%

Calvi Risorta

17,1

3,4%

Fonte: DemoSI- CRESME

(‘000 euro) 2014

variazione 2012-2014

825

6,04

13,74

Centralità economiche

9

15,50

Periferiche alto reddito

2

Periferiche basso reddito Comuni marginali

Reddito medio per contribuente

Incidenza laureati 2011

Tasso di disoccupazione 2011

2,4%

8,3%

18,4%

18,27

0,9%

15,2%

13,1%

17,11

19,56

8,8%

7,9%

5,4%

132

8,53

15,81

2,3%

10,6%

15,4%

682

5,26

13,15

2,5%

7,7%

19,2%

Italia

7.999

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Comuni minori

4.261

11,98

17,37

2,8%

8,3%

10,7%

Sud

Quota di comuni per gruppo 1,1% Sud

Depositi bancari per abitante (‘000 euro) 2015

0,2% 16,0% 82,7%

Resto Comuni minori

Numero comuni

14,5% 53,7% 22,4%

9,4%

Fonte: DemoSI- CRESME

133


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

I COMUNI MINORI/SUD - DATI DI SINTESI

Popolazione residente al 2015 e scenario previsionale al 2025 Primi venti comuni Popolazione 2015

Comune

Sud

Popolazione 2015

var 2025

Famiglie 2015

var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

825

4.390.124

-2,5%

1.740.291

4,9%

31,2%

20,8%

Attrattivi

93

692.161

5,3%

267.622

15,7%

24,1%

23,3%

Crescita

33

260.758

3,3%

106.384

11,8%

26,4%

21,3%

Stagnazione

480

3.145.505

-3,9%

1.233.917

3,4%

31,8%

20,6%

Declino

219

291.700

-11,3%

132.368

-8,2%

48,0%

16,0%

Italia

7.999

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Comuni minori

4.261

18.984.067

-1,7%

7.918.380

2,6%

35,0%

21,0%

134

70.714

-0,5%

Cerignola

58.396

1,2%

Manfredonia

57.279

-1,9%

Bisceglie

55.422

-0,8%

Aversa

53.047

-1,7%

Scafati

50.787

-2,7%

Battipaglia

50.786

-1,0%

Martina Franca

49.118

-4,8%

Nocera Inferiore

46.043

-3,8%

Corigliano Calabro

40.427

-1,5%

Eboli

40.115

7,1%

Fasano

39.780

0,9%

Rossano

36.842

-0,6%

Francavilla Fontana

36.641

-4,9%

Pagani

35.834

-2,8%

Angri

34.002

4,9%

Termoli

33.739

2,6%

Lucera

33.724

-4,2%

Santa Maria Capua Vetere

32.802

-2,8%

Nardò

31.564

-4,0%

Quota di comuni per gruppo 11,3% Sud

Numero comuni

Lamezia Terme

4,0% 58,2% 26,5%

Resto CittĂ Medie

Fonte: DemoSI- CRESME

Var 2025

19,2% 31,4% 26,7% 22,7%


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI I Comuni Minori

I COMUNI MINORI/SUD - DATI DI SINTESI

Transazioni residenziali 2013 – 2015 Vivacità del mercato (incidenza scambi sullo stock) - Primi venti comuni Transazioni Vivacità 2013-2015

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

Incidenza famiglie proprietarie 2011

7,27%

Ostuni

1.348

10,55%

Bisceglie

1.340

6,91%

Cerignola

1.045

5,42%

Martina Franca

966

5,01%

Termoli

948

7,23%

Scalea

939

22,82%

Fasano

912

6,17%

Nardò

903

6,91%

Lamezia Terme

816

3,12%

Nocera Inferiore

813

5,20%

Castel Volturno

796

8,91%

Battipaglia

750

4,22%

Rossano

734

5,23%

Aversa

710

3,99%

Gallipoli

678

8,63%

Manduria

676

5,65%

Santa Maria Capua Vetere

648

5,39%

Corigliano Calabro

624

4,44%

Lucera

595

4,83%

Quota di comuni per gruppo

Incidenza famiglie in affitto 2011

825

4,4%

668

72,1%

13,3%

Dinamico fascia alta

23

7,0%

1.866

65,9%

20,5%

Dinamico residenziale

43

6,3%

945

75,6%

13,0%

Stagnante

426

3,9%

670

68,2%

15,3%

Recessivo

333

3,8%

548

79,9%

7,4%

Italia

7,999

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Comuni minori

4.261

4,8%

972

74,0%

14,9%

2,8% Sud

Sud

Scambi Prezzo medio residenziali / compravendita stock occupato (euro/mq) 2013-2015 2013 -2015

1.405

5,2%

51,6% 40,4%

Resto Città Medie

Numero comuni

Manfredonia

11,5%

26,7% 24,8% 37,1%

135


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

I COMUNI MINORI/ISOLE - DATI DI SINTESI

Reddito medio per contribuente nel 2014 e variazione rispetto al 2012 - Primi venti comuni Reddito medio 2014 (‘000 euro)

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

(‘000 euro) 2014

variazione 2012-2014

6,39

13,81

1,8%

Reddito medio per contribuente

2,6%

Alghero

18,2

1,8%

Abbasanta

17,8

2,0%

Macomer

17,5

1,1%

Arzachena

17,2

1,7%

San Teodoro

16,3

-0,8%

Palau

16,9

2,7%

Priolo Gargallo

16,5

1,1%

Perdasdefogu

16,2

0,0%

Melilli

16,6

2,5%

Ghilarza

16,3

2,3%

Carlentini

15,8

-0,5%

Thiesi

16,5

4,2%

Gela

15,7

-0,9%

Arborea

15,8

0,3%

Sorgono

15,9

0,8%

Norbello

16,1

2,9%

Birori

16,6

6,6%

Ozieri

15,8

2,2%

Incidenza Tasso di laureati disoccupazione 2011 2011

7,1%

19,7%

Centralità economiche

0

-

-

-

-

-

Periferiche alto reddito

0

-

-

-

-

-

0,0% 0,0% 17,3% 82,7%

Periferiche basso reddito

48

8,36

17,00

1,9%

8,9%

15,0%

Comuni marginali

229

6,10

13,30

1,8%

6,9%

20,4%

Italia

7.999

18,12

19,72

2,1%

10,8%

11,4%

Comuni minori

4.261

11,98

17,37

2,8%

8,3%

10,7%

136

0,9%

18,4

Quota di comuni per gruppo

Depositi bancari per abitante (‘000 euro) 2015

277

19,6

La Maddalena

Isole

Isole

Augusta

Resto Comuni minori

Numero comuni

2015 2012

12,8% 46,3% 21,4% 19,5%


9

GLI SCENARI DEMOGRAFICI E INSEDIATIVI I Comuni Minori

I COMUNI MINORI/ISOLE - DATI DI SINTESI

Popolazione residente al 2015 e scenario previsionale al 2025 Primi venti comuni Popolazione 2015

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

Isole

2015

2015

83.194

0,3%

Gela

75.827

-5,6%

Vittoria

63.339

4,2%

Mazara del Vallo

51.718

-1,6%

Alcamo

45.307

-4,2%

Alghero

44.019

1,8%

Sciacca

40.928

-4,1%

Licata

37.797

-5,4%

Augusta

36.305

-2,7%

Canicattì

35.698

-0,1%

Castelvetrano

31.806

-0,6%

Comiso

30.156

1,8%

Niscemi

27.558

-6,9%

Lentini

24.085

-2,4%

Noto

23.913

1,0%

Palma di Montechiaro

23.302

-12,1%

Pachino

22.205

0,2%

Piazza Armerina

21.886

-4,3%

Rosolini

21.427

-3,9%

Pozzallo

19.552

-0,9%

Quota di comuni per gruppo

Famiglie

Var 2025

Marsala

Var 2025

Dipendenza anziani 2015

Dipendenza giovani 2015

277

1.614.019

-3,2%

657.894

3,2%

33,3%

20,8%

Attrattivi

22

213.933

4,0%

92.938

11,3%

30,2%

20,3%

Crescita

8

134.348

4,6%

54.439

10,9%

27,8%

22,5%

159

1.168.906

-4,9%

466.439

1,5%

33,4%

21,0%

88

96.832

-9,6%

44.078

-5,5%

48,3%

16,0%

Italia

7.999

60.665.551

-0,8%

25.853.547

3,2%

34,3%

21,2%

Comuni minori

4.261

18.984.067

-1,7%

7.918.380

2,6%

35,0%

21,0%

7,9% Isole

Numero comuni

Popolazione

2,9% 57,4%

Declino

Resto Città Medie

31,8%

Stagnazione

Var 2025

18,3% 27,7% 31,1% 22,9%

Fonte: DemoSI- CRESME

137


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

I COMUNI MINORI/ISOLE - DATI DI SINTESI

Transazioni residenziali 2013 – 2015 Vivacità del mercato (incidenza scambi sullo stock) - Primi venti comuni Transazioni 2013-2015

Comune

Fonte: DemoSI- CRESME

Incidenza famiglie proprietarie 2011

5,22%

1.262

7,01%

Marsala

1.218

3,95%

Augusta

873

6,05%

Vittoria

841

3,79%

Alcamo

823

4,73%

Sciacca

740

4,83%

Licata

720

5,03%

Noto

652

7,22%

Mazara del Vallo

649

3,55%

Canicattì

565

4,31%

Castelvetrano

542

4,11%

Piazza Armerina

477

5,19%

Arzachena

458

9,53%

Castellammare del Golfo

452

7,51%

Lentini

438

4,30%

Comiso

437

3,89%

San Teodoro

431

19,48%

Budoni

403

18,29%

Ribera

352

4,67%

Quota di comuni per gruppo

Incidenza famiglie in affitto 2011

277

4,4%

611

74,1%

10,3%

Dinamico fascia alta

11

9,4%

1.731

71,1%

14,5%

Dinamico residenziale

16

4,5%

904

73,2%

11,0%

Stagnante

70

4,1%

586

71,4%

11,1%

Recessivo

180

3,7%

526

80,0%

7,5%

Italia

7,999

5,2%

1.001

71,9%

18,0%

Comuni minori

4.261

4,8%

972

74,0%

14,9%

138

1.391

Alghero

4,0% Isole

Isole

Scambi Prezzo medio residenziali / compravendita stock occupato (euro/mq) 2013-2015 2013 -2015

Gela

5,8% 25,3% 65,0%

Resto Città Medie

Numero comuni

Vivacità

10,2% 23,7% 30,3% 35,8%


QUADRI CONOSCITIVI E VALUTAZIONE STRATEGICA

10

I quadri conoscitivi e le piattaforme digitali La Valutazione Ambientale Strategica in evoluzione

139



NUOVI STANDARD/QUADRI CONOSCITIVI E VALUTAZIONE

10

I Quadri conoscitivi e le Piattaforme digitali

N

ell’edizione del Rapporto dal Territorio 2010 il tema dei Quadri conoscitivi (Di Ludovico 2010) era stato affrontato in relazione ai contenuti dei nuovi Piani Paesaggistici Regionali (nPPR). Ne era risultato uno scenario che solo in parte richiamava i Quadri conoscitivi istituzionali, previsti cioè dalle Leggi regionali urbanistiche o dai loro Disegni di legge (Magaudda 2010), come ad esempio lo Statuto del Territorio della Toscana, la Descrizione fondativa della Liguria, la Carta Regionale dei Suoli della Basilicata, la Carta dei Luoghi e dei Paesaggi della Regione Abruzzo, etc. Negli ultimi anni, questi apparati conoscitivi, che possono formarsi nel processo di piano (interni) o per il processo di piano (esterni), non hanno avuto evoluzioni significative, neppure quelli nati nell’ambito dei nPPR. A riprova, si vedano le forti difficoltà delle Amministrazioni regionali a portare a compimento i processi di pianificazione paesaggistica e quindi i nPPR verso la prima adozione e l’approvazione finale (Voghera, La Riccia 2016). Le risorse messe a disposizione per i nuovi Piani Paesaggistici hanno consentito di raccogliere e predisporre dati e informazioni molto approfonditi, multidisciplinari, non confinati alle tematiche del paesaggio, a volte integrati a quelli della VAS come richiesto dal DLgs 152/06 e ssmmii, alcune altre (poche) verificate e integrate da processi partecipativi, che presentano alcuni aspetti comuni: • La predisposizione di Atlanti dei paesaggi organizzati per Ambiti di paesaggio. • L’interpretazione del territorio attraverso il riconoscimento di Unità di Paesaggio, alle quali sono stati spesso riferiti gli apparati conoscitivi. • La costruzione di Obiettivi di qualità del paesaggio. • La realizzazione di poderosi Sistemi Informativi Territoriali, pubblicati in WebGis dedicati. La gestione di informazioni e dati è demandata dai nPPR ai SIT regionali che negli ultimi anni si sono arricchiti notevolmente di tematiche. Si tratta però di apparati essenzialmente “statici”, che cristallizzano le conoscenze, che non prevedono né fasi di aggiornamento e né la costituzione di meccanismi di verifica durante l’attuazione del Piano. Tale atteggiamento è confermato dai contenuti della successiva tabella (tab. 10.1), un aggiornamento di quella riportata nel RdT 2010 (Di Ludovico 2010, p. 432-433), in cui si descrive il ruolo del Quadro Conoscitivo nei processi di Piano paesaggistico, di Valutazione e di Condivisione / Partecipazione. In generale, ne risulta un panorama abbastanza variegato, anche nella terminologia utilizzata, in cui il tema della “Condivisione delle conoscenze” non è quasi mai trattato, e quando se ne tiene conto non ha quasi mai ricadute dirette sui processi di valutazione dei nPPR oppure su altri processi di pianificazione / valutazione esterni agli stessi nPPR (ad esempio gli altri livelli di pianificazione regionale). Questo ad esempio non accade per l’Abruzzo, in cui la Carta dei Luoghi e dei Paesaggi (oggi Sistema delle Conoscenze Condivise) nasce anche a supporto degli altri livelli di pianificazione e per la loro valutazione di compatibilità ambientale (lo screening della VAS). Alcuni Quadri conoscitivi dei nPPR, più che essere dei semplici repository di dati e informazioni utili a sostanziare un atto di pianificazione, sono stati progettati per diventare dei veri e propri Sistemi delle conoscenze, dinamici e utilizzabili anche per i processi di Valutazione ambientale (non solo degli stessi nPPR), gestiti attraverso Piattaforme digitali condivise. Ci si riferisce ad esempio al succitato “Sistema delle Conoscenze Condivise” della Regione Abruzzo (http://geoportale.regione.abruzzo.it/Cartanet/viewer), che nei fatti è una evoluzione della Carta dei Luoghi e dei Paesaggi, e alla piattaforma “Puglia.con - Conoscenza condivisa per il governo del territorio” della Regione Puglia e cofinanziato dalla Unione Europea (http:// www.sit.puglia.it/). Vi sono poi altre esperienze, più specifiche ma altrettanto significative, rivolte alla partecipazione dei cittadini come l’“Archivio partecipato” del PPR della Regione Friuli Venezia Giulia, un modulo che ha lo scopo di raccogliere dai cittadini informazioni sul paesaggio locale. 141


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

Tab. 10.1 - I nuovi Piani Paesaggistici. Il ruolo del Quadro Conoscitivo nei processi di Piano, di Valutazione e di Condivisione / Partecipazione

1. Quadri conoscitivi per gli Atlanti • separati (QC del Piano separato dal QC dell’Atlante) • integrati (QC del Piano integrato al QC dell’Atlante) • coincidenti (il QC dell’Atlante = QC del Piano) 2. Quadri conoscitivi e valutazione • separazione (non vi sono procedure esplicite di integrazione QC e VAS) • integrazione (vi sono procedure esplicite di integrazione QC e VAS) 3. Partecipazione e condivisione dei Quadri Conoscitivi • costruzione QC interna al Piano, non condivisa esplicitamente • condivisione QC con la comunità locale, attraverso procedure esplicite

142


NUOVI STANDARD/QUADRI CONOSCITIVI E VALUTAZIONE

11

Infine, è necessario evidenziare che negli ultimi anni molte Regioni hanno aperto le loro banche dati, consentendo il download gratuito delle coperture geografiche attraverso portali “Opendata”, un notevole passo avanti nella direzione della condivisione dei dati e più in generale delle informazioni legate alle tematiche più diverse. Si tratta però essenzialmente di Sistemi Informativi Geografici che non puntano, o lo fanno timidamente, a diventare dei veri e propri Sistemi delle conoscenze integrati a strumenti di partecipazione, di formazione e di valutazione. Piattaforme a cui manca essenzialmente l’interazione, la vera è propria condivisione. L’utente non può interagire, come invece richiederebbe il recente sviluppo del concetto di e-society. In senso più ampio infatti, le piattaforme oggi dovrebbero assolvere al compito di gestire almeno queste tre componenti: le informazioni (di varie tipologie), la partecipazione (con vari strumenti e tecniche) e la governance del Piano/Programma (con vari strumenti). Il loro obiettivo principale dovrebbe essere da un lato costituire un Sistema delle conoscenze possibilmente autonomo dal Piano a partire dalle informazioni, dall’altro quello di generare e valutare modelli e visioni di territori e di città, di capirne e rappresentarne i processi, di sostenerne il dibattito e affrontarne i conflitti. Il Sistema delle conoscenze e queste Visioni possono mostrare gli eventi in corso, quelli che hanno avuto luogo nel passato o che si svolgeranno in futuro, attraverso tecniche bi-tridimensionali, scenari, diagrammi, ideogrammi, etc. (Di Ludovico 2017, p. 312; Hanzl 2007, p. 290). Nel panorama della rete digitale non esiste un esempio compiuto di una siffatta struttura digitale. Esistono però alcune buone pratiche, perlopiù americane, che possono essere prese ad esempio per la sua ideazione e realizzazione. Uno dei tools più interessanti è mySidewalk, uno strumento web che permette a chiunque di visualizzare e condividere i dati anche di tipo geografico. In particolare il tool consente di accedere a numerosissimi dataset, in forma di grafici interattivi, tabelle e mappe; di caricare e visualizzare i propri dati; di verificare la relazione tra due variabili; di creare mappe personali per analisi di confronto; di condividere i dati, anche sotto forma di mappe interattive e attraverso i dispositivi mobili; di comunicare online con i cittadini usando specifici strumenti utili a fare domande, a postare un sondaggio o fare un annuncio; esportare e scaricare tabelle, grafici ed elenchi di dati per ogni area di progetto. Un altro tool, che presenta altre caratteristiche rispetto al precedente e che da maggior rilievo all’utilizzo di scenari, è MetroQuest. Si tratta di una Piatta-

Fig. 10.1 – In alto a sinistra, il Sistema delle Conoscenze Condivise (nPPR Abruzzo), a destra Puglia.con - Conoscenza condivisa per il governo del territorio (PPTR Regione Puglia). In basso a sinistra l’Archivio partecipato (PPR Regione Friuli Venezia Giulia), a destra il sito degli Opendata della Regione Piemonte.

143


V

RAPPORTO DAL TERRITORIO 2016

forma che ha la capacità di mostrare e confrontare gli scenari attraverso mappe, tabelle e grafici, immagini e testo. Si basa sulla cognizione che la pianificazione coinvolge la comunità in più compromessi e nel risultato finale. Il tool cerca di mostrare agli stakeholder come i loro beni sono coinvolti e i relativi aspetti economici e finanziari, e come i diversi risultati possibili possono avere un impatto. Questo tool può aiutare le comunità ad ottenere dati, a visualizzare le alternative, a valutare gli scenari futuri, a comunicare le proprie preferenze, a monitorare i progressi e a rafforzare il sostegno alle politiche e progetti. Sempre in tema di piattaforme digitali, nel campo della Valutazione Ambientale Strategica (VAS) il Progetto europeo Speedy ha sperimentato la cosiddetta SKP – Shared Knowledge Platform (RegAbr 2016). Questa nasce per condividere le Conoscenze sulla VAS e strutturare uno strumento di supporto alla Valutazione di Piani e Programmi transfrontalieri. La piattaforma offre diversi strumenti, come un repository di Good Practices, di Law regulations e di Guidelines sulla VAS, una sezione E-Learning interattiva, una sezione Forum di discussione, una sezione dedicata agli Assessment tools e infine una sezione dedicata alle Videoconference. Nei prossimi anni, lo scenario dei Quadri conoscitivi dovrà quindi evolvere verso Piattaforme digitali in grado di gestire anche strumenti di supporto alla pianificazione (e alla programmazione). Una siffatta Piattaforma ha una struttura più complessa rispetto a quella offerta dai geoportali delle Regioni; potrà essere in grado di contenere dati di diversa natura, geografici, demografici, statistici, multimediali, etc., potrà gestire tool capaci di raccogliere informazioni da database esistenti, di caricare dati da fonti esterne e quindi di rappresentarli in forma di mappe 2d e 3d, tabelle e grafici interattivi, etc. Oltre che negli esempi già citati, tali funzioni si ritrovano in parte, ad esempio, anche in tool specifici come il conosciuto Google earth, o alcune applicazioni web based dei maggiori software GIS. Vi sono anche strumenti digitali dedicati alla pianificazione come UrbanSim, una piattaforma integrata per condividere dati, progettare Piani e scenari alternativi, simularne gli impatti nel corso del tempo, e visualizzarne i risultati in 3D. Altri esempi del genere sono l’applicativo GIS CommunityViz, che include attributi, indicatori, ed equazioni che consentono agli utenti di esaminare come i diversi fattori e variabili di dati interagiscono tra loro, e l’applicativo GIS Index, una suite integrata di strumenti progettati per supportare l’intero processo di community planning (Al-Kodmany 2002) e del relativo sviluppo (Index viene utilizzato per progettare e visualizzare scenari alternativi, analizzare e valutare le loro prestazioni, e confrontare e classificare le alternative). La costruzione dei Sistemi Informativi degli enti territoriali e degli enti locali negli ultimi 30 anni ha avuto il merito di mettere a disposizione dei cittadini e dei professionisti conoscenze altrimenti chiuse nei vari cassetti. I nuovi Piani Paesaggistici Regionali, ma anche altri livelli di pianificazione, hanno avuto dal loro canto il merito di approfondire queste conoscenze e di aggiornarle. Ne sono però risultati Sistemi informativi statici e troppo spesso comprensibili ai soli addetti ai lavori. Nei prossimi anni sarà quindi necessario fare un salto, si dovranno evolvere questi strumenti statici a Piattaforme capaci di combinare le tre componenti di cui si è detto in precedenza: le informazioni, la partecipazione e la governance del Piano, questo attraverso funzioni e strumenti, oggi assenti dai portali, contenuti in un ambiente intuitivo, capaci di rendere esplicito e trasparente il processo di costruzione del Piano. Bibliografia Al-Kodmany K. (2002), Visualization Tools and Methods in Community Planning: From Freehand Sketches to Virtual Reality, in: Journal of Planning Literature, Vol. 17 issue 2, p. 189-211. Di Ludovico D. (2017), Il Progetto urbanistico, prove di innovazione per il futuro della città, Aracne editrice, Roma. Di Ludovico D. (2010), Valutazione e Quadri conoscitivi, in: Rapporto dal Territorio 2010, a cura di Properzi P., INU Edizioni srl, Roma, p. 431-437. Hanzl M. (2007), Information technology as a tool for public participation in urban planning: a review of experiments and potentials, in: Design Studies, n. 28, p. 289-307. Magaudda S. (2010), Leggi Urbanistiche Regionali, Sit e portali cartografici, in: Rapporto dal Territorio 2010, a cura di Properzi P., INU Edizioni srl, Roma, p. 431-437. RegAbr (2016), Operational guidelines on findings and suggestions for the review of Directive 42/2001/EC, in: http://www. speedyproject.eu/documents/10179/0/Findings+and+suggestions+for+the+review+of+Directive+42-2001-EC/6f7813 4b-75c1-4505-820c-0d905db6c3b1?version=1.0, ultimo accesso 21.09.2016. Voghera A., La Riccia L. (2016), Lo stato della pianificazione paesaggistica, in: Rapporto dal Territorio 2016 Vol.1, a cura di Properzi P., INU Edizioni srl, Roma, p. 207-220.

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La Valutazione Ambientale Strategica in evoluzione

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l tema della valutazione ambientale del Piano da qualche anno sembra essere scomparso dall’agenda istituzionale ma anche da quella disciplinare. Dopo una fervida stagione iniziata negli anni ’90, ma anche prima se ci riferiamo alla valutazione prestazionale, oggi l’argomento “Valutazione Ambientale Strategica” è diventato marginale, quasi fosse una pratica scontata, a basso o nullo valore aggiunto, che non può evolvere ulteriormente e che non presenta particolari criticità. L’argomento in realtà è stato ripreso da due studi conclusi nel 2016, che in generale trattano il tema dell’efficacia della Direttiva 2001/42/EC. Il primo deriva dal Progetto “Speedy”, un progetto europeo che trae origine dalle attività effettuate nel 2009 dalla Commissione Europea e culminate nel documento finale della DG ENV dal titolo Study concerning the report on the application and effectiveness of the SEA Directive (2001/42/ EC) (EC-ENV 2009). In questo documento la Commissione Europea invitava gli stati membri ad effettuare delle riflessioni sulla necessità di emendare e modificare la Direttiva 2001/42/EC, e raccomandava e suggeriva di utilizzare per tali studi strumenti innovativi, quali forum e piattaforme, per rafforzare la condivisione e il trasferimento delle conoscenze (Sheate, Partidário 2010) e la cooperazione tra gli Stati comunitari. Il secondo è l’aggiornamento del succitato studio della Commissione Europea (EC-ENV 2009). Si tratta del documento “Study Concerning the preparation of the report on the application and effectiveness of the SEA Directive (Directive 2001/42/EC)” (EC 2016). Pubblicato sempre dalla Commissione Europea nel giugno 2016, ha affrontato l’applicazione e l’efficacia della Direttiva attraverso la somministrazione agli Stati Membri un questionario composto da 10 domande organizzate sulla base di 5 criteri. Le conclusioni dell’analisi comparativa dei questionari conducono in parte a quelle del progetto Speedy, ma aggiungono altri aspetti di cui si vedrà nei successivi paragrafi.

Il Progetto Speedy: fasi e punti chiave

Lo Shared Project for Environmental Evaluation with DYnamic governance – Speedy1, è un progetto Europeo finanziato dell’ambito dell’Adriatic IPA Cross-border Cooperation Programme 2007-2013 e si concentra sull’applicazione della Direttiva VAS - Strategic Environmental Assessment 42/2001/EC nell’area Adriatico-Ionica, in un contesto transfrontaliero simile a quella della Macroregione Adriatico-Ionico (EUSAIR) (EC 2014). Il percorso progettuale si è concluso agli inizi del 2016 con la redazione delle Operational guidelines on findings and suggestions for the review of Directive 42/2001/EC (RegAbr 2016). Le guidelines sintetizzano le aree problematiche e di approfondimento della VAS nel contesto transnazionale e nazionale dei partners emerse nelle diverse fasi, affrontando anche la questione dei temi più frequentemente trattati nella giurisprudenza nazionale e dei casi di diritto della Corte di giustizia europea. Su questa base, le guidelines forniscono alcuni spunti, strutturati per criteri e aree problematiche, che possono essere utili alla EC non solo per la revisione della Direttiva VAS ma anche per allargare la propria visuale sulle tematiche connesse e comprenderne le implicazioni e le necessarie integrazioni. L’obiettivo generale del Progetto Speedy è quello della promozione della cooperazione transnazionale tra le amministrazioni pubbliche al fine di facilitare un processo efficiente di valutazione ambientale nell’area adriatica. L’azione sinergica tra i Paesi confinanti è legata alla considerazione che i problemi ambientali co-

La partnership del Progetto Speedy comprende 10 beneficiari e 2 istituzioni associate: Albania, Serbia, Croazia, Italia e Grecia. Specificatamente i beneficiari sono: Regione Abruzzo (lead beneficiary), Regione Marche, Regione Molise, Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, Fi.R.A. spa, Municipalità di Rakovica (Serbia), Dubrovnik Neretva County Regional Development Agency DUNEA (Croazia), Centre for Research and Development CRD (Albania), National Territorial Planning Agency NTPA (Albania), Region of Ionian Islands/Regional Unit Of Corfu (Grecia). Le istituzioni pubbliche associate sono: Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (Italia) e il Ministero dell’Ambiente della Serbia. 1

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muni possono essere risolti con interventi coordinati e la condivisione delle conoscenze. A questo obiettivo generale conseguono quelli specifici, tra cui quello di proporre suggerimenti utili ad aggiornare la Direttiva 2001/42/EC, di predisporre una piattaforma digitale di supporto ai partners per una corretta applicazione della VAS, di creare una rete di valutazione ambientale permanente, di migliorare le procedure di valutazione e i metodi di applicazione pratica. Il progetto, iniziato alla fine del 2012, è strutturato in 7 fasi (Work Packages - WP) attraverso cui vengono comparati modelli applicativi, pratiche, leggi, regolamenti ed esperienze dei paesi coinvolti e viene predisposta una piattaforma digitale utilizzata per raggiungere gli obiettivi generali e specifici del Progetto (fig. 10.2). Il WP1 e il WP2 riguardano attività comuni e di gestione del progetto (ad esempio la comunicazione) che hanno interessato tutto l’arco progettuale. Gli altri WP riguardano attività tecniche e scientifiche basate sulla cooperazione internazionale e con enti scientifici. Per raggiungere i propri obiettivi il progetto prima di tutto ha analizzato e confrontato i modelli istituzionali dei diversi paesi e le relative pratiche di VAS (WP3). Il risultato di questa Comparative Dynamic Analysis (Dynamic nel senso che l’analisi è stata sottoposta a diverse fasi di feedback) ha permesso da un lato di comprendere le diverse dinamiche che sottendono la VAS nei paesi coinvolti e dall’altra di mettere le basi per la costruzione della Shared Knowledge Platform - SKP, una piattaforma condivisa per la valutazione ambientale strategica (http://www.speedyproject.eu/). A questa piattaforma digitale dedicata al tema della VAS, uno dei principali obiettivi del Progetto Speedy, si è prevenuti attraverso numerosi apporti scientifici multidisciplinari al WP4, in cui è stato individuato il suo modello, al WP5, in cui essa è stata messa a punto e realizzata, e al WP6, in cui essa è stata implementata e sperimentata. Inoltre, la metodologia messa a punto ha sfruttato il potenziale ICT e la dinamicità della rete digitale. L’ultima fase, il WP7, ha perseguito l’obiettivo di tradurre le valutazioni emerse dalla sperimentazione della SKP e dagli strumenti che essa ha messo a disposizione dei paesi coinvolti, in suggerimenti operativi per una più efficacia applicazione della VAS e della relativa Direttiva 42/2001/EC condensati in Operational Guidelines attraverso le quali sono state segnalate le aree problematiche emerse nel progetto e sono stati dati contributi al dibattito europeo per la Valutazione ambientale di Piani e Programmi.

Fig. 10.2 – Le fasi del Progetto Speedy (tratto dalla presentazione del Kick-Off Meeting)

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I principali risultati del Progetto Speedy

I risultati del Progetto Speedy derivano da diverse attività realizzate nell’ambito dei WP. Da un questionario sottoposto ai paesi partner nel WP3, con cui sono state raccolte informazioni sui partner del progetto con l’obiettivo di individuare lo stato dell’arte sulla VAS nella legislazione e fare un primo screening delle questioni critiche sulla sua applicazione. L’analisi comparativa dei questionari ha messo in evidenza molti caratteri che incidono sull’efficacia della valutazione, come le differenze tra i sistemi amministrativi (centralizzati / decentralizzati), il ritardo di alcuni paesi nel recepimento della Direttiva, le differenze dei modelli di pianificazione (performativi / conformativi) e delle loro procedure di adozione / approvazione. Il dibattito nato nell’ambito del progetto ha fatto emergere in particolare la questione della scala e della “forma” di piano (strategico - strutturale / operativo – fondiario (Nelson 2011)) ottimale a cui dovrebbe essere applicata la VAS. La Comparative Analysis ha messo anche in evidenza la mancanza di formazione dei professionisti e della pubblica amministrazione (OECD 2012), che porta ad una inadeguata ed errata applicazione delle sue procedure e alla necessità di documenti di orientamento. Altra questione riguarda la reale integrazione (è risultata solo fittizia) della VAS e delle sue procedure con quella della pianificazione, questione che ne riduce sensibilmente l’efficacia. Altri aspetti critici riguardano le conoscenze, i dati e le informazioni necessari alla valutazione. E’ emerso che non esistono piattaforme organizzate allo scopo (a parte il Sistema delle conoscenze condivise – Carta dei Luoghi e dei Paesaggi della Regione Abruzzo, http://geoportale.regione.abruzzo.it/Cartanet/viewer) e che spesso vengono utilizzati dati da specifiche ricerche o studi (in particolare nei paesi della costa adriatica orientale). Non vi sono neppure set di base regolamentati di indicatori (alcune regioni italiane hanno tentato questa strada, a livello territoriale). Aspetti critici vi sono anche sul tema della consultazione sulla VAS, in cui spesso i partner adottano un approccio caso per caso, rendendo nella pratica questa fase orientabile. Vi è poi la questione del monitoraggio, fase trascurata in quanto spesso non organizzata (in Italia in particolare). In tutti i paesi partner del progetto, sia a livello nazionale che locale, c’è ancora una notevole estraneità agli obblighi della VAS, o comunque non c’è ancora sufficiente comunicazione tra le figure coinvolte nel processo di valutazione, tecnici e autorità competenti, che crea una barriera nell’ottenimento dei dati necessari (Vicente, Partidário 2006). L’implementazione e la sperimentazione della Shared Knowledge Platform – SKP, strumento digitale di condivisione dedicato alla VAS (EU-ERDF 2012; Hanzl 2007), ha approfondito le criticità emerse dall’analisi comparativa dei questionari e le ha messe a punto in “ambiti problematici”. La piattaforma digitale SKP (si veda la fig. 10.3 per i moduli implementati) si propone di condividere, trasferire e comunicare le conoscenze, le strategie e le criticità riscontrate nelle procedure di VAS transazionali (Bonvoisin 2011) e di mettere a disposizione le informazioni ai vari partners divulgando le loro esperienze, al fine di trovare soluzioni condivise ma anche di rappresentare uno strumento di facilitazione della Valutazione accessibile a livello europeo (Sheate, Partidário 2010).

Fig. 10.3 – La Home Page della Shared Knowledge Platform (http://www.speedyproject.eu/)

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La fase di sperimentazione della SKP ha consentito di individuare numerosi punti chiave sull’applicazione della VAS (note, necessità di approfondimento e criticità sull’applicazione della direttiva) che sono stati organizzati in 6 Criteri2 a loro volta riorganizzati in base alle seguenti “aree problematiche” (fig. 10.4): • Incoerenze interne dell’articolato della Direttiva VAS (ad esempio, concetti troppo ermetici e che dovrebbero essere meglio definiti come l’“uso di piccolo aree a livello locale” e “minori modificazioni di piani e programmi” – art. 3 c. 3 Direttiva 2001/42/EC). • Effetti della Direttiva VAS sulle componenti dirette e indirette (impatto reale della Direttiva sulla qualità dell’ambiente, sulla qualità dei Piani / Programmi e delle alternative, l’efficacia della partecipazione, l’efficacia del monitoraggio, l’interazione con le altre Direttive, come la Direttiva VIA, la Direttiva Habitat, etc.). • Effetti esterni della Direttiva VAS (il tema riguarda le questioni critiche che emergono dall’applicazione della Direttiva ma le cui soluzioni consistono nella modificazione di altre Direttive o Regolamenti, ad esempio la formazione professionale e di esperti, la preparazione di linee guida, la partecipazione). • Metodi e tecniche di valutazione (sistemi delle conoscenze, tecniche di valutazione, indicatori e la loro effettiva efficacia e scalabilità, tecniche di partecipazione). • Integrazione del processo di valutazione con quello di pianificazione e programmazione.

Fig. 10.4 – Punti chiave e aree problematiche emersi dalla sperimentazione del Progetto Speedy organizzate con 4 criteri

Screening criteria, b) Quali-quantitative assessment methodologies, c) Environmental Report, d) Participation, e) Environmental Monitoring – Follow up, f ) Planning system & application of the SEA directive, g) Development/review of procedures and continuing education. 2

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Uno dei punti chiave più importante riguarda il significato di “strategico” contenuto nell’acronimo VAS, che riguarda il tipo / livello di pianificazione su cui applicare la valutazione (OCSE 2012). In alcuni paesi, come l’Italia, che non hanno il livello di pianificazione strategica nei propri sistemi nazionali e regionali (tranne rari casi regionali che attribuiscono il carattere strategico al piano strutturale), la VAS è applicata anche ai piani di tipo fondiario, pur se riguardano aree molto piccole già ricomprese negli strumenti generali (ad esempio i piani di lottizzazione, di cui è difficile valutare l’impatto strategico). Tale applicazione a Piani che non hanno carattere strategico ma hanno carattere operativo (Partidario 2015), determina nei fatti una ridondanza del processo di valutazione, una sottovalutazione della ricerca delle alternative e della fase di monitoraggio, ma soprattutto un contesto decisionale in cui la platea degli attori in gioco appare mutevole e legata alle convenienze derivate da equilibri momentanei (spesso, nella pianificazione urbanistica, il consenso degli attori principali (con rilevanza urbanistica) può modificarsi significativamente di fronte a nuove configurazioni spaziali). Il significato della parola “strategica” è chiarita dalla “DECISION II/ 9 - STRATEGIC ENVIRONMENTAL ASSESSMENT” presa al “Meeting of the Parties to the Convention on Environmental Impact Assessment in a Transboundary Context, Second meeting, (Sofia, 26-27 February 2001)”, che riconosce la necessità di un approccio sistematico alla valutazione dell’impatto ambientale delle politiche, dei piani e dei programmi, raccomandando che i principi della stessa valutazione siano applicati alle strategie (UNECE 2001). Nella letteratura, su tale argomento vi sono anche altre posizioni, ma la più ricorrente lega la parola “strategica” della VAS alle strategie di Piani e Programmi.

Lo Studio della EC sull’applicazione e l’efficacia della Direttiva VAS, edizione 2016.

Il documento “Study Concerning the preparation of the report on the application and effectiveness of the SEA Directive (Directive 2001/42/EC)” (EC 2016), pubblicato nel giugno 2016 è in parte un aggiornamento di quello del 2009 (EC-ENV 2009). Lo studio ha affrontato i temi dell’applicazione e dell’efficacia della Direttiva VAS attraverso la somministrazione agli Stati Membri di un questionario composto da 10 domande organizzate secondo i seguenti 5 criteri: (a) Efficacia, (b) Efficienza, (c) Rilevanza, (d) Coerenza e (e) Valore aggiunto della UE. Su tali criteri sono state strutturate le 10 domande che hanno chiesto: (1.a) se i requisiti della VAS hanno influenzato il processo di preparazione dei piani e dei programmi, (2.a) quali fattori principali hanno contribuito a conseguire gli obiettivi della direttiva VAS, (3.b) se la sua applicazione è economicamente sostenibile, (4.b) quali sono i suoi costi e i suoi benefici, (5.c) se la VAS è in grado di perseguire uno sviluppo sostenibile, (6.d) la coerenza della direttiva VAS con le altre politiche o legislazioni europee ambientali e in particolare quelle della VIA e della VINCA, (7.d) l’interazione della Direttiva con le politiche settoriali, (8.d) le potenziali sovrapposizioni che hanno ostacolato l’attuazione della VAS, (9.e) se la direttiva SEA supporta il mercato interno all’UE, (10.e) il valore aggiunto della UE e quale sarebbe la situazione senza la VAS. Tra queste domande, la prima è certamente quella più interessante, cioè l’effettiva influenza della VAS sui piani e programmi. Nelle loro risposte, tutti gli Stati Membri (SM) hanno riconosciuto una “certa” influenza sul processo di pianificazione / programmazione. Tuttavia, le stesse risposte hanno evidenziato che la procedura non ha influito in genere sui piani di sviluppo spaziale, sebbene vi siano SM (quelle del nord Europa) che hanno un modello di pianificazione in cui è più facile identificare alternative locali o tecniche e quindi la VAS presenta un più grande impatto sul processo di pianificazione spaziale. Interpretando le risposte emerge che in molti casi la VAS non produce un impatto significativo sull’opinione pubblica, mentre in taluni casi si arriva addirittura all’influenza negativa della VAS sui processi di pianificazione a causa delle ulteriori incombenze amministrative che spingono il pubblico in disaccordo con il Piano ad agire per bloccarlo o ritardarlo contestando legalmente la procedura della VAS. Di contro, la maggioranza dei SM ha risposto che sono stati percepiti miglioramenti nell’individuazione e nella attenuazione delle alternative. Questo non accade in Italia, dove il sistema di pianificazione, essenzialmente di tipo fondiaria, non agevola l’individuazione delle alternative (EC 2016, p. 105, 107). Sono interessanti anche le risposte alla terza domanda, la sostenibilità economica della VAS. In questo caso gli SM suggeriscono che, in generale, la VAS è percepita come un meccanismo economicamente conveniente per affrontare e valutare gli impatti ambientali. Tuttavia, circa una metà degli SM ha affermato che l’adeguatezza del costo dipende dal tipo di piano e dal modo in cui viene predisposto. In ogni caso, tale costo è giustificato dagli SM in quanto la Direttiva incoraggia la prevenzione dell’impatto anziché il risarcimento dei danni (EC 2016, p. 127, 128). Più in generale, le risposte alle 10 domande del questionario mettono in evidenza diverse criticità emerse anche nel Progetto Speedy. Ad esempio, risulta che alcuni SM nella loro legislazione hanno definito cosa si intende per “Piccole aree a livello locale” (art. 3 c. 3 Direttiva VAS), sebbene la loro interpretazione differisca tra gli SM, infatti come dimensione minima viene utilizzata quella dei Piani di dettaglio, riferiti ad un’area più piccola di quella comunale. Solo pochi SM hanno invece definito il concetto di “Minori modifiche”

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(art. 3 c. 3 Direttiva VAS), come la Spagna che considera modifiche minori dei Piani / Programmi (P/P) quelle che non variano le Strategie degli stessi (EC 2016 p. 58). Viene affrontato anche il tema spinoso delle “ragionevoli alternative” (art. 5 c.1 Direttiva VAS) definite in maniera anche sensibilmente diversa dagli SM. Alcuni di questi sostengono la cosiddetta alternativa “do nothing” chiamata anche alternativa “zero”, senza Piano (gli SM la includono sempre), che viene posta a confronto con la situazione con il Piano. In una simile condizione, l’alternativa “zero” non può essere l’unica alternativa ragionevole considerata, pertanto una VAS che considera solo il progetto di Piano e l’alternativa “zero” in realtà non sta considerando alternative ragionevoli (EC 2016 p. 77, 80). Le risposte riguardano anche la fase di monitoraggio, tema ancora più spinoso del precedente. Infatti non è ancora chiaro se gli SM procedono a controllare gli effetti del P/P sistematicamente, selettivamente o occasionalmente. Non è chiaro neppure quali siano i tipi di informazioni che vengono raccolte e come vengono utilizzate per correggere gli effetti negativi del P/P (EC 2016 p. 97, 98). Altro campo importante toccato dal questionario riguarda l’integrazione della VAS nel processo di pianificazione. La metà degli SM ha risposto che la VAS è svolta parallelamente al processo di pianificazione, mentre alcuni Stati membri hanno confermato che la VAS inizia normalmente solo quando è disponibile una prima bozza del piano o del programma (come generalmente accade in Italia). Sembra inoltre che la procedura VAS si integri maggiormente nei processi di pianificazione dell’uso del suolo, sebbene non ne sia chiara la motivazione. Nel complesso, le risposte hanno dimostrato che alcuni SM hanno un approccio molto aperto all’integrazione della VAS nel processo di pianificazione, mentre altri mantengono le procedure più separate. Infine, in base allo Studio della EC, una delle questioni più impegnative in materia di VAS è la sua tempistica (quella ottimale), in quanto il questionario mette in evidenza la difficoltà degli SM a trovare il giusto equilibrio tra le informazioni già disponibili nel P/P e sufficienti per rendere la valutazione significativa e la finestra temporale adeguata per influenzare la redazione del P/P, e fornire quindi suggerimenti alternativi significativi (EC 2016 p. 111).

Principali linee evolutive della VAS

Le Operational Guidlines del Progetto Speedy (RegAbr 2016) e lo Studio predisposto dalla EC (EC 2016), hanno avuto il merito di sistematizzare criticità e vantaggi della VAS dopo 15 anni di applicazione della Direttiva 42/2001/EC. In particolare sono emersi alcuni aspetti su cui sarebbe necessario intervenire e per i quali sono state definite alcune raccomandazioni, in parte simili nelle due ricerche, che riguardano direttamente la Direttiva ma anche questioni indirette, di contorno. Tali proposte si possono sintetizzare in: • La predisposizione di un glossario con la principale terminologia introdotta a seguito dell’applicazione della Direttiva (cosa significa “Strategica”, “Screening”, “Scoping”, etc.), aggiornando e approfondendo quelli esistenti (Partidario 2012), da affiancare a materiale informativo e linee guida su argomenti specifici come l’individuazione di alternative, i metodi e le tecniche di valutazione, le procedure di screening e di scoping, best practice, etc. (EC 2016, p. 212-213, ISPRA 2015). • Chiarire la relazione tra i vari tipi di valutazione (VAS, VIA e VINCA) e le relative Direttive, con l’obiettivo della semplificazione. • Approfondire e specificare lo scopo della Direttiva in termini di pianificazione urbana e territoriale. Se il modello di riferimento della VAS e la pianificazione strategica, non ha senso predisporre una valutazione ambientale dei piani di tipo spaziale / fondiario. Su tale argomento il Progetto Speedy propone che il livello ottimale di pianificazione a cui applicare la VAS è proprio quello strategico. • L’applicazione della VAS coincide essenzialmente con la definizione di sistemi di indicatori, spesso non coerenti tra loro, a volte non basati su dati affidabili, verificabili e univocamente quantificabili, e in particolare che non sono messi in relazione a soglie riconosciute dalla comunità scientifica. Su tale questione, che riguarda l’applicazione della VAS, è necessario fare un approfondimento, attraverso linee guida e manuali, che si dovranno occupare anche delle principali tecniche e pratiche di valutazione. • Affrontare la questione delle risorse informative e conoscitive (Weinberger 2011; Di Ludovico 2011) e di chi le produce (il proprietario dell’informazione), con particolare riferimento alle procedure, validazione e certificazione dei dati (utilizzando ad esempio la Direttiva Inspire). Questo è particolarmente importante per evitare la duplicazione delle conoscenze. • Chiarire e approfondire i temi delle “ragionevoli alternative” (Therivel 1996) (art. 5 c. 1 Direttiva VAS), “piccole aree a livello locale” (art. 3 c. 3 Direttiva VAS), “minori modifiche” (art. 3 c. 3 Direttiva VAS), che riportano alla questione del livello ottimale di pianificazione a cui applicare la VAS (Strategica? Spaziale? Operativa?). • Valutare l’opportunità di definire profili professionali, esperti di VAS, con una formazione specifica (Partidario, Wilson 2011; IAIA 2005).

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Oltre a questi aspetti, in ordine alle risposte del Progetto Speedy, è necessario valutare anche il ruolo che potrebbero avere, a supporto del processo di valutazione, le piattaforme digitali come la Shared Platform for Strategic Environmental Assessment - SKP (non solo per la VAS ma anche per la VIA e la VINCA). In particolare, l’utilizzo di una piattaforma come la SKP, attraverso strumenti sviluppati per facilitare i processi di valutazione, la partecipazione e la pianificazione / programmazione, consentirebbe: • Un confronto diretto e costante tra i diversi soggetti pubblici del processo di valutazione (non solo della VAS ma anche della VIA e della VINCA). • Lo scambio di esperienze per aggiornare (quale attività continuativa) le leggi nazionali e regionali sulla valutazione ambientale, superando le criticità riscontrate. • Una formazione professionale dinamica e continua attraverso lezioni di e-learning. • La condivisione di documenti, linee guida e procedure. • La costruzione di conoscenze condivise, geografiche, demografiche, statistiche, geo-referenziate ecc., costantemente aggiornabili, misurabili e certificabili. • La creazione di una rete europea di valutazione ambientale. Le due ricerche, in ordine al tema dell’efficacia della VAS, rivelano / confermano la necessità di modelli di pianificazione e programmazione “flessibili”, che non significa “semplificati” (una chimera della pianificazione italiana), significa invece “dinamici”, capaci cioè di modificarsi nel tempo e a seconda delle esigenze ambientali coerenti con quelle sociali, modello coerente con quello “strategico” (da qui la necessità, sempre più impellente, della riforma della Legge urbanistica nazionale n. 1150/42 e quindi l’esplicito riferimento ad un livello strategico di pianificazione). Si deve quindi abbandonare, in Italia, l’approccio “statico” alla pianificazione e cercare meccanismi che integrano dinamicamente conoscenza / formazione, partecipazione / coordinamento e pianificazione / programmazione. Soprattutto si dovrebbero rendere facilmente disponibili i dati e le informazioni, e ridurre i costi della loro produzione (non solo in termini strettamente pecuniari ma anche sociali) motivo spesso di un’elaborazione superficiale di una VAS priva di “ragionevoli alternative”. Bibliografia Bonvoisin N. (2011), Transboundary issues in SEA, in: Handbook of Strategic Environmental Assessment, Sadler B. et alii eds., Earthscan, London-Washington. Di Ludovico D. (2011), Valutazione e Quadri Conoscitivi, in: Rapporto dal Territorio 2010, Properzi. P. eds., INU Edizioni, Roma. EC (2016), Study concerning the preparation of the report on the application and effectiveness of the SEA Directive (Directive 2001/42/EC), Final Study, in: http://ec.europa.eu/environment/eia/pdf/study_SEA_directive.pdf, ultimo accesso ottobre 2016. EC (2014), Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions concerning the European Union Strategy for the Adriatic and Ionian Region, Action Plan, in: http://www.adriatic-ionian.eu/component/edocman/34-action-plan-eusair-pdf, ultimo accesso: ottobre 2016. EC-ENV (2009), Study concerning the report on the application and effectiveness of the SEA Directive (2001/42/EC), Final report, aprile 2009, European Commission, DG ENV, in: http://ec.europa.eu/environment/eia/pdf/study0309.pdf, ultimo accesso: ottobre 2016. EU-ERDF (2012), e-Participation Best Practice Manual, European Union, in: http://eparticipation.eu/wp-content/uploads/2012/10/eCitizeni_manuaal_A4_ENGLISH-1.pdf, ultimo accesso: ottobre 2016. Hanzl M. (2007), Information technology as a tool for public participation in urban planning: a review of experiments and potentials, Design Studies, n. 28, p. 289-307. IAIA (2005), Distance learning and e-learning in SEA, position paper, International experience and perspectives in SEA, 26-30 September 2005, Prague (Czech Republic), International Association for Impact Assessment, in: http://www.iaia. org/pdf/ConferenceDocuments/SEA-Prague/E6%20Distance%20learning.doc, ultimo accesso: ottobre 2016. ISPRA (2015), Indicazioni operative a supporto della valutazione e redazione dei documenti della Vas, in: http://www. isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/manuali-lineeguida/MLG_124_15.pdf, ultimo accesso: ottobre 2016. Nelson P. (2011), SEA and Spatial Planning, in: Handbook of Strategic Environmental Assessment, Sadler B. et alii eds., Earthscan, London-Washington. OECD (2012), Strategic Environmental Assessment in Development Practice, a review of recent experience, OECD Publishing. Partidario M.R. (2015), A strategic advocacy role in SEA for sustainability, Journal of Environmental Assessment Policy and Management, vol. 17, no. 1, p. 1550015/1-8.

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La nuova pianificazione tra riforme istituzionali e innovazione disciplinare Proattivismo nazionale e sperimentalismo democratico L’urbanizzazione regionale in Italia - Esiti di una ricerca Le giornate di studio napoletane dell’INU Una Mappatura del Paese attraverso Urbanistica Informazioni

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La nuova pianificazione tra riforme istituzionali e innovazione disciplinare di Carlo Alberto Barbieri Membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Politecnico di Torino, Presidente INU sez. Piemonte

Una nuova geografia delle istituzioni del governo del territorio?

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n una realtà, pur assai complessa e disomogenea come quella italiana, il principio di sussidiarietà fra le Istituzioni del governo del territorio, che da oltre un quindicennio sembrava in buona parte essere ormai condiviso ed in via di qualche incoraggiante attuazione, ha presentato, con una forte accelerazione soprattutto nel biennio 2014-15, una brusca frenata e forse una vera e propria inversione di tendenza nell’azione di governo e di legislazione nazionale (ma forse anche regionale). Appare quanto meno essersi scolorita la visione positiva della sussidiarietà (e del decentramento) come intelaiatura sostenibile sulla quale poggiare un assetto istituzionale più democratico, policentrico e rispondente alla contemporanea plurale realtà dei sistemi economico-sociali e territoriali, soprattutto in quelli più complessi e che esprimono una più forte domanda di innovazione delle forme di governo-governance e di pianificazione (come lo sono soprattutto quelli metropolitani). Allo stesso tempo è però andata rafforzandosi, in particolare con la riforma Delrio (Legge 56/2014) e l’avvio di una sua attuazione (pur se, trascorsi ormai oltre due anni, più formale che sostanziale) anche la prospettiva riguardante nuove forme di governance1 e rappresentatività; una prospettiva nella quale le forme decisionali ed organizzative del territorio se, da un lato, sono forse più deboli, dall’altro appaiono più flessibili ed adatte a condividere strategie ed a produrre intese ed accordi2. Tuttavia, la tendenza generale di quest’ultimo quinquennio, appare ancora quella di uno Stato, di Regioni, di Comuni3 che sembrano preferire la rivendicazione o la difesa delle proprie “postazioni” di competenze e poteri, invece di interagire con possibili nuove geografie e attori istituzionali (Città metropolitane ed Unioni, forse anche alcune fusioni di Comuni, intese e collaborazioni fra Regioni4), cooperando e coordinandosi nelle politiche e (addirittura) copianificando, nel suo insieme, un dato territorio. Nel periodo trascorso dal Rapporto dal Territorio 2010 dell’INU ad oggi, non solo perdurano ma si sono rafforzate le inerzie e le contraddizioni (peraltro già rilevate nel triennio 2007-2010) nel necessario passaggio verso una reale ed efficace innovazione ed una natura maggiormente processuale della pianificazione per il governo del territorio che, pur affermata dalle numerose leggi regionali dell’ultimo quindicennio (spesso più solo formalmente che sostanzialmente), prima è stata molto indebolita dalla persistente e grave assenza di una legge nazionale di principi per il governo del territorio, poi dall’attesa dell’ entrata in vigore (considerata pressoché certa) della legge di riforma costituzionale del Governo Renzi che, con l’eliminazione di tutte le materie concorrenti e loro “statalizzazione”, collocava anche il “governo del territorio” fra le competenze esclusive dello Stato.

Intendendo con questo termine un processo decisionale non autoritativo, all’interno del quale assumono ruoli attivi una pluralità di soggetti, anche non istituzionali, nelle scelte e nelle azioni. 2 E’ però necessario essere consapevoli sia del fatto che la governance è reale ed efficace se operano governments-amministrazioni che funzionano; sia che entrambe le forme hanno bisogno di regole e qualche procedura; sia che la più generale governabilità è soprattutto sostenuta da una buona interazione fra soggetti con specifiche competenze che si rapportano in un contesto di fiducia, credibilità e collaborazione. 3 Le Province, dal 2012, sono in attesa di “scomparire” dalla Costituzione a seguito della modifica del Titolo V della legge di riforma costituzionale e le Città metropolitane sono entrate, con molte difficoltà in attività solo dal 2015. 4 Sperimentandole, in questo caso, prima di possibili accorpamenti o macroregioni di cui la politica ha recentemente insistentemente parlato (probabilmente traguardando ad un prossimo passo da compiere dopo la legge Delrio e soprattutto la Riforma costituzionale del Governo Renzi). 1

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Ci si riferisce ad una processualità ed ad una filiera di una nuova pianificazione del territorio che possano superare la ben più consolidata natura dell’ancora sostanzialmente vigente “sistema di pianificazione”, fondato su piani prevalentemente di assetto e di regolazione dell’uso del suolo, redatti da livelli istituzionali diversi e fra loro separati e ancora (o nuovamente) in rapporto gerarchico-verticale fra Regione (top) e i Comuni (down). Dunque non un contesto e una demarche favorevoli ad un profilo di tipo più orizzontale e processuale, fondato sulla sussidiarietà, sulla adeguatezza e sulla responsabilità dell’autonomia delle Istituzioni, resa possibile e sostenibile da metodi e procedure di cooperazione fra gli Enti, di reale copianificazione negli atti di formazione ed approvazione dei piani, di concertazione e collaborazione pubblico-pubblico e di partecipazione dei soggetti privati e pubblici. In questa ottica, la sostanziale stasi5 nell’attuazione del Titolo V della Costituzione 2001, che fin da allora ha caratterizzato la criticabile “non-azione” dello Stato, non ha offerto spazio politico, sia da parte del Governo che del Parlamento, per la Legge nazionale di principi per il “governo del territorio” e non ha costituito un contesto favorevole per un plausibile sistema di positiva relazione con le Regioni in una competenza costituzionalmente (e oggettivamente e opportunamente) concorrente come il governo del territorio. L’attesa del nuovo quadro costituzionale, e conseguentemente legislativo ed istituzionale, della XVII legislatura (in corso dal 2013, dopo il suo difficilissimo avvio), ha peraltro accelerato sia una precoce obsolescenza (al di là di molti limiti che comunque presentava) di quella diffusa azione legislativa delle Regioni regionale, innovativa della pianificazione, sviluppatasi soprattutto nei primi anni del quindicennio trascorso, sia disorientando un necessario sviluppo di quella “terza generazione” di leggi regionali di governo del territorio (anche se alcune Regioni come il Piemonte o le Marche, per fare un esempio, sono ancora dotate di leggi sostanzialmente di prima generazione), sia indirizzando in senso più centralistico e forse più complicato (nonostante gli obbiettivi, i contenuti, e gli strumenti nuovi messi in campo) la pianificazione del territorio nelle più recenti leggi regionali (Toscana, Liguria per fare due esempi) od in divenire (Emilia Romagna). Il netto risultato referendario del 4 dicembre 2016 non ha tuttavia confermato il disegno e il contenuto della riforma costituzionale formalizzata nell’aprile 2016 ed ha aperto la crisi del Governo, interrompendone l’azione ed allontanando alcune proposte legislative in corso in Parlamento (fra queste va segnalata quella sul “contenimento del consumo del suolo” AS 2383/2016). Sotto il profilo delle considerazioni qui trattate, ci si sofferma sulla conseguente permanenza del Titolo V del 2001, con il mantenimento delle materie concorrenti (interessa in particolare il governo del territorio) e la non soppressione delle Province6. La riforma costituzionale ha prospettato un cambio di direzione di marcia (per le cui ragioni si è discusso molto di sintomi ed effetti da eliminare ma molto meno delle cause e responsabilità, in realtà più dello Stato che in 15 anni non ha mai legiferato su principi fondamentali di nessuna delle materie concorrenti7, che delle Regioni) e il conseguente disegno di sistema8 che però, dopo il 4 dicembre, non si è determinato. L’argomento che è stato alla base della controriforma9 del Titolo V è stato quello di affermare che esso abbia creato soltanto uno sterile, inutile, dannoso contenzioso fra Stato e Regioni, di fatto, “bloccando il Paese”;

Dal 2001, all’insediamento del Governo Renzi all’inizio del 2014, all’indizione del Referendum confermativo della riforma costituzionale del 4 dicembre 2016. 6 Restano dunque così come sono state modificate in enti intermedi di II grado della Legge Delrio e, dal punto di vista della pianificazione dell’area vasta, ciò fa chiarezza (al netto di altri tipi di problemi, risorse insufficienti a disposizione, ecc.) su una zona d’ombra che la loro soppressione avrebbe determinato sulle oltre 90 aree vaste delle Province non Città metropolitane in cui la utile pianificazione territoriale sarebbe stata assunta (forse) dalle Regioni (a macroregioni?) in rapporto diretto con i Comuni (o le loro Unioni, che al momento ancora la titano e soprattutto non sembrano convinte di occuparsi della pianificazione urbanistica). 7 E’ la condizione posta dal Titolo V 2001 perché, a valle del telaio nazionale e fondamentale delle leggi di principi le Regioni avrebbero dovuto fare buone (e compatibilmente caratterizzate) leggi di contenuto e disciplina di una data “materia concorrente”. 8 Passando da un sistema legislativo sussidiario e caratterizzato da un “regionalismo rinforzato” del Titolo V 2001, all’ossessione della XVI legislatura (conclusasi anticipatamente con le elezioni del febbraio 2013) di una confusa devolution nell’ambito di un eccessivo e non sostenibile federalismo di poteri, all’ inversione verso una configurazione “neocentralista” della riforma costituzionale Renzi-Boschi che non è stata confermata dal referendum del 4 dicembre. 9 Le materie concorrenti introdotte in Costituzione nel 2001 erano certamente troppo numerose e contraddittorie e su di esse era, con tutta evidenza, necessario ritornare criticamente operandone però sia una riforma più meditata ed una mirata riduzione volta a superarne i limiti, sia sensate ed efficaci attribuzioni esclusive. 5

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un giudizio severo che però ha omesso anche la evidente responsabilità dello Stato che, in quindici anni, non ha saputo o voluto redigere e approvare alcuna legge di principi fondamentali. L’abolizione di tutte le materie concorrenti, attribuendole come esclusive allo Stato, non avrebbe comunque dovuto invece riguardare (così ha più volte evidenziato l’INU) il Governo del territorio, giusta materia concorrente10; che sarebbe obbiettivamente difficile attribuire come materia esclusiva allo Stato e che, per motivazioni opposte, altrettanto discutibile sarebbe anche una sua attribuzione esclusiva alle Regioni. Quello che è dunque mancato è il telaio nazionale per il governo del territorio rappresentato da una legge limitata ai principi fondamentali (sussidiarietà, copianificazione, rapporto pubblico-privato, contenimento del consumo di suolo e sostenibilità, fiscalità urbanistica, rigenerazione urbana, perequazione urbanistica e territoriale, rapporto pianificazione-rendita urbana-proprietà privata) per poter fare coerenti innovative ed utili leggi regionali, che avrebbe impedito o fortemente limitato confusione, contenziosi e frammentazione legislativa. Del modello di riorganizzazione istituzionale avviato con la legge Delrio (e in parte pensato in anticipazione della riforma costituzionale del Titolo V del 2016), sotto il profilo del governo del territorio e della pianificazione, è importante saperne riconoscere le potenzialità e soprattutto cominciare ad attuarne la possibile prospettiva di miglioramento ed “accorciamento di filiera” istituzionale (con il secondo grado) e della pianificazione (ripensandone i profili e con procedure di vera copianificazione); una prospettiva al cui interno si devono però sviluppare e praticare sia una coerente innovazione della pianificazione e progettazione territoriale ed urbanistica (e relativi strumenti), sia una definizione di nuove politiche dello sviluppo locale, sia una maggiore efficienza amministrativa e semplicità (per i cittadini, per le attività economiche ed i servizi e pertanto anche una maggior competitività), concorrendo così ad azioni necessarie per far ripartire, proprio a cominciare partire dalle Città metropolitane elettive di secondo grado (dunque rappresentative di comunità e territori), indispensabili processi di crescita sostenibile; promuovendo inoltre, a partire dalle Unioni di comuni minori e da un ruolo nuovo della pianificazione strutturale delle città medie, un fertile processo di costruzione dal basso di un nuovo modello sociale di sviluppo (definendone le prestazioni). E’ dunque la vigente riforma Delrio che deve poter offrire il concreto contesto da cui partire (e ripartire). Essa, in particolare, ha istituito la Città metropolitana quale nuovo “Ente territoriale a finalità assegnate dalla legge” con rilevanti compiti di governo del territorio, rappresentativo dei Comuni, intermedio rispetto alla Regione; in tal modo definisce un rinnovato modello istituzionale ed una geografia delle autonomie fondati su due soli livelli territoriali di diretta rappresentanza dei cittadini e, per ciò, elettivi di primo grado: le Regioni (perché dotate del potere legislativo) ed i Comuni (perché base fondamentale del principio di sussidiarietà) quali perno della democrazia, della cittadinanza, della responsabilità e del fare. Fra Regione e Comuni si inserisce la Città Metropolitana (oltre a rimanere la Provincia, dopo l’esito del referendum costituzionale11), un livello più di governance, oltre che di government, di area vasta, elettivo di secondo grado (così come per le Province), di cui va colto un originale duplice profilo: sia quello “locale” ed intermedio, di più efficace organizzazione dell’attività dei Comuni e delle loro Unioni (quelle obbligatorie stabilite dalla legge Delrio e quelle comunque auspicabili o necessarie), insistenti sul territorio metropolitano; sia, soprattutto, l’innovativo profilo di Ente di tipo “sovranazionale”12, in rapporto ai temi dello sviluppo e delle relazione con altre realtà metropolitane internazionali, essendo un potenziale motore dello sviluppo e laboratorio del cambiamento del Paese, con il proprio territorio, le risorse, le comunità, gli attori (è in questo, in particolare, che la Città metropolitana deve essere visto come un soggetto nuovo e del tutto diverso dalla Provincia).

Tuttavia, nel totale silenzio legislativo dello Stato, dopo il Titolo V del 2001 molte Regioni hanno prodotto leggi di “seconda generazione” sulla pianificazione per il governo del territorio, in un’attesa, mai finita, della obbligatoria Legge di principi fondamentali del governo del territorio da parte dello Stato. A questo proposito va sottolineato la relativa confrontabilità e le non marginali sintonie fra queste leggi regionali, per le quali di fatto ha svolto un significativo ruolo di surroga del telaio di riferimento nazionale, l’elaborazione delle proposte dell’INU a partire dal 1995 e soprattutto dopo il 2001 con la proposta di Principi fondamentali del governo del territorio del 2007-2008. 11 Ciò può fornire una risposta ed un rinnovato terreno di elaborazione, ai non pochi dubbi che la loro abolizione lasciava per il “destino” di una utile intermedia pianificazione di coordinamento e gestione di servizi e infrastrutture delle oltre 90 “aree vaste” non diventate Città metropolitane. 12 Franco Pizzetti, “La legge Delrio: una grande riforma in un cantiere aperto. Il diverso ruolo e l’opposto destino delle città metropolitane e delle province”, in Rivista on line dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 10 luglio 2015. 10

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Innovare la pianificazione e i suoi strumenti è necessario

Vanno allora insieme colte sia l’importanza e la pertinenza, per la riuscita del nuovo modello di governance istituzionale, della funzione fondamentale della pianificazione del territorio (se saprà configurarsi come “offerta” innovativa rispetto a finalità, metodi, procedure e soprattutto strumenti); sia come lo stesso nuovo modello di governance, possa, a sua volta, esprimere una “domanda” di diversa pianificazione efficace e coerente con esso e per una necessaria competitività metropolitana. In altri termini, è necessario e possibile concepire il ruolo della pianificazione come opportunità e azione del successo della Città metropolitana che, dall’inizio del 2015, ha iniziato ad operare, evitando che la pianificazione possa, fin da subito, costituirne invece un ostacolo. E’ un tema che continua a richiedere una diversa valutazione di fondo della natura degli strumenti della pianificazione e da affrontare riconsiderando i rapporti tra Regioni e Città metropolitane e le loro articolazioni in Zone omogenee, Città medie e Regioni senza Città Metropolitane, le Unioni di Comuni e gli altri Comuni con i rispettivi piani e compiti di governo del territorio. Si tratta cioè di sostenere e praticare l’opzione di un insieme interrelato di funzioni differenziate della pianificazione e di una transcalare “filiera di piani”, pensata proprio per una nuova geografia istituzionale, più accorciata, rappresentativa dei territori e più caratterizzata da una maggiore efficacia ed efficienza per il territorio, il suo sviluppo economico e la sua sostenibilità. E’ in questo quadro e questa luce che riemerge l’importanza di concepire e sperimentare l’innovazione della pianificazione (a partire da quella urbanistica) con la sua reale articolazione nelle componenti strutturale, operativa e regolativa. In sintesi, la conferma di questa opzione è opportuna: • per accorciare la filiera della pianificazione e migliorarne l’efficacia a livello locale ed interpretare e praticare correttamente la funzione della pianificazione urbanistica e territoriale delle Unioni di comuni e della Città metropolitana; • per una più efficace transcalarità della pianificazione di qualunque territorio, superando il localismo e il perimetro comunale del PRGC o dei piani e strumenti urbanistici diversamente configurati dalle leggi regionali dell’ultimo quindicennio, sviluppando la pianificazione delle Unioni e soprattutto una copianificazione più efficace e sostanziale; • per costituire un condiviso e stabile riferimento per la pianificazione operativa, la progettazione urbanistica degli interventi e per la loro regolamentazione; • per poter definire basare il rapporto fra pianificazione e progettazione urbanistica degli interventi sul principio più flessibile e dinamico di implementazione per “coerenza” con un Piano strutturale di adeguata dimensione territoriale e non su quello rigido e statico di attuazione per “conformità” a tutto il PRGC, riducendo così la necessità del continuo ricorso alle varianti, snellendo e soprattutto accelerando significativamente le risposte urbanistiche alle necessità della città, dei sistemi insediativi ed all’attrazione di investimenti. Già da alcuni anni, ma soprattutto dalla crisi del 200813, in Italia, è andato via via configurandosi un profilo di indebolimento del contesto della pianificazione per il governo del territorio (fino quasi ad una interruzione o sospensione della pianificazione delle città e del territorio): • con la riduzione, da un lato, delle risorse economiche pubbliche, la cui sempre più tangibile diminuzione non ha impedito la crescita di una spesa pubblica drasticamente accelerata dalla crisi (una spesa che peraltro è risultata più stabile nella sua rigidità di quanto annunciato dalle politiche di spending review); dall’altro, con l’indebolimento delle risorse private, per causa della stessa crisi economica e del suo “effetto domino” in corso; • con la perdurante ed insostenibile mancanza di un telaio di principi e regole fondamentali nazionali14

Su tutto va certamente considerata la grave crisi economica globale e locale (prima finanziaria, ma subito dopo produttiva ed occupazionale e dunque sociale ed inevitabilmente politica) che ci riguarda tutti e che non può che avere anche specifiche ricadute di breve e più lungo periodo sulla pianificazione, sui progetti, sugli investimenti, sul modo di usare risorse e produrre valore, sulla domanda e sulla offerta di città, di ambiente, paesaggio, di lavoro, di servizi e beni, in sintesi sul modello di sviluppo. 14 In assenza di tali riformati fondamenti, soprattutto la sperimentazione ed innovazione della pianificazione locale, oltre che al rischio di una dannosa “babele”, resta ancora esposta al rischio di una “controriforma” dei ricorsi ai TAR ed alle relative sentenze (anche se in misura confortante spesso smontate dalle sentenze del Consiglio di Stato), incerte proprio nel poter trovare riferimenti nella legislazione statale diversi da quelli dell’ancora vigente legge urbanistica. 13

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per sostenere e completare l’innovazione di un pianificare per un governo del territorio, percepibile ed efficace come tale; • con una tradizionale attività legislativa settoriale azione dello Stato (peraltro contraddistinta da una produzione legislativa, spesso opera diretta del Governo o comunque quasi esclusivamente determinata dalla sua agenda) che ha continuato ed accentuato, in particolare in quest’ultimo quinquennio, la sua tradizionale attività settoriale: sia quando operi su un piano che dovrebbe e potrebbe essere più strutturale (dalla fiscalità al consumo di suolo) sia, soprattutto, quando operi su quello congiunturale (Sblocca Italia invece della legge sul governo del territorio ad esempio). Tuttavia sono rilevabili e considerabili anche dinamiche positive o potenzialmente tali che si possono sinteticamente cogliere, ponendo attenzione: • al consolidarsi della nuova pianificazione dei Comuni con l’estendersi del riconoscimento delle diverse nature (strutturale, operativa e regolativa) di essa e dei conseguenti nuovi strumenti; ma se da un lato si fa ancora troppa fatica a non utilizzare i nuovi strumenti di pianificazione come se fossero quelli tradizionali (e soprattutto, appare ancora limitata la capacità di trarre tutte le conseguenze dell’innovazione del Piano e del pianificare stesso), dall’altro risulta davvero cospicua la produzione di nuovi piani comunali (sotto la spinta delle nuove leggi regionali); • ad una più recente vitalità e innovazione della pianificazione su base intercomunale e unionale, con l’avvio in alcune Regioni, di una seconda generazione di piani associati (rispetto alla fallimentare prima generazione costituita dai PRG intercomunali di oltre 30 anni fa) del territorio locale, favorita dalla diffusione di Piani strutturali in luogo dei tradizionali PRG; • ad una maggiore attenzione al consumo di suolo ed allo spreco delle risorse, ai temi dell’efficienza energetica e del comfort ambientale; ciò insieme all’obbligatoria Valutazione ambientale strategica (VAS) nel processo di pianificazione urbanistica, territoriale e paesaggistica; anche se non del tutto conquistate o stabili appaiono sia la necessaria reale integrazione della VAS nella formazione e progettazione dei piani, sia la resistenza di molte Autorità ambientali a cooperare in modo integrato nel processo di pianificazione in luogo dell’esercizio dei propri separati poteri specialistici o settoriali. Vi è però, più in particolare, una sfida da cogliere, a partire dalle tre tipologie di pianificazione che la legge Delrio ha assegnato alle Città metropolitane: non tanto la pianificazione territoriale di coordinamento (competenza ereditata dalla Provincia), quanto la nuova pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali e soprattutto la pianificazione strategica del territorio metropolitano. La sfida riguarda proprio la necessità, di rinnovare il “modello di pianificazione” del territorio nella natura e nei contenuti degli strumenti, oltre che nelle procedure partendo dalla istituzione più nuova. Un’azione che, nel transitorio, potrà anche avvalersi delle esperienze e degli strumenti di piano già disponibili per l’intero territorio metropolitano (i PTCP vigenti) ma che deve concepire ed avviare al più presto un mirato innovativo Piano redatto dalla Città metropolitana e che ne caratterizzi la diversità con la Provincia, che assuma il profilo di un Piano strutturale metropolitano; un piano cioè che indica e configura l’assetto fondamentale del territorio per il medio lungo periodo e costituisca il telaio spaziale della pianificazione strategica triennale, ma che non conforma le proprietà, i diritti edificatori e le destinazioni d’uso (una funzione strettamente urbanistica, quest’ultima, che può invece opportunamente restare in capo ai comuni facenti parte della Città metropolitana). Dunque alla Città metropolitana spetta la pianificazione strategica, di vision ed indirizzo per le politiche e le progettualità15; alla CM ed alle sue Unioni di comuni dovrebbe spettare la pianificazione spaziale strutturale, configurativa del territorio; ai Comuni, in coerenza ed interazione con tali pianificazioni, spetterebbero i piani operativi (se sono previste o promosse trasformazioni urbanistiche significative) e gli strumenti regolativi-gestionali (per tutti e riguardanti anche la rigenerazione urbana), conformativi della proprietà degli immobili. E’ però indispensabile sia una rapida rielaborazione teorico e tecnica del modello costituito proprio dal rapporto Piano strutturale-Piano operativo-Regolamento urbanistico; sia la volontà di innovare anche la stessa

La credibilità del nuovo ente Città metropolitana si gioca, da subito, sulla capacità di esprimere, linee di indirizzo strategico e contenuti strutturali (il cosa) non solo il più rapidamente utilizzabili ma, soprattutto, quale esito di un metodo (il come) inclusivo e partecipato, convergente (dalle zone omogenee e dalle Unioni) e rintracciabile in un’ efficace e operabile duplice sintesi: il Piano strategico metropolitano ed un Piano territoriale (strutturale) metropolitano. 15

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pianificazione e programmazione regionale, interpretando il senso della riforma Delrio, interagendo soprattutto con l’occasione data dalla obbligatoria nuova pianificazione metropolitana strategica e territoriale e opportunamente modificando le diverse leggi regionali16. Si dovrà però individuare un nuovo modello di pianificazione che preveda, con un giusto gradualismo e la “pazienza” del tempo necessario alla sua maturazione e formazione condivisa, un mirato nuovo Piano redatto dalla Città metropolitana come un unico Piano strutturale generale metropolitano17 (ovviamente assorbendo in sè anche la pianificazione territoriale di coordinamento quale funzione ereditata dalla Provincia), lasciando invece ai Comuni competenza e ruolo nella redazione e gestione di Piani operativi e di Regolamenti urbanistici, coerenti con il Piano metropolitano18. Nel complesso si svilupperebbe così un processo di pianificazione del territorio differenziato ed integrato, in una filiera più efficace, basato su rapporti di cooperazione-condivisione e su strumenti quali protocolli, accordi di pianificazione e di programma, perequazione territoriale e urbanistica intercomunale, programmi e progetti complessi, convenzioni. E’ però indispensabile sia una rapida riflessione critica e rielaborazione teorico-tecnica del modello (che sembra ancora il migliore ma, di fatto, è stato finora mal praticato e sostanzialmente non capito nella sua potenzialità innovativa) costituito proprio dal Piano strutturale-Piano operativo-Regolamento urbanistico19. La sfida è però anche quella di saper introdurre nella legislazione (quella di Principi fondamentali dello Stato e quella di disciplina e contenuto delle Regioni) relativa alla pianificazione territoriale ed urbanistica, elementi utili a far assumere ai Piani da innovare modalità e comportamenti pianificatori e progettuali, più orientati al processo e meno al prodotto, capaci di cure “antifragili”20 per la città e il territorio che non possono più essere quelle hard basate sulle grandi trasformazioni urbanistiche (radicali ed una volta per tutte) della fine degli anni 90 e dei primi anni 2000, di prima e seconda generazione21. Questa innovazione sostanziale dei comportamenti e dei processi pur partendo dal campo di sperimentazione delle Città Metropolitane, dovrà interessare anche le Città Medie, le grandi assenze escluse dalla Riforma Delrio, che attivando forme di pianificazione strategica, potranno riagganciarsi ai grandi telai infrastrutturali e potranno articolare la propria pianificazione strutturale in coerenti progetti urbanistici.

Dunque un’ innovativa azione legislativa delle Regioni (peraltro era obbligatoria entro 12 mesi, già trascorsi da quasi due anni, dall’entrata in vigore della Ln 56/2014) opportunamente stimolata ed orienta proprio dalla Città metropolitana e dalle Unioni quali nuovi attori istituzionali. 17 Un Piano che così interpreterebbe correttamente proprio quella “pianificazione territoriale generale” assegnata dalla Legge Delrio. Infatti tale dizione nella legge sembrerebbe evocare un’ inopportuna (e impraticabile) pianificazione urbanistica regolativa metropolitano-intercomunale, conformativa della proprietà (una competenza che invece non può che essere lasciata ai Comuni metropolitani). 18 Si avrebbe dunque un’articolazione caratterizzata da una governance efficace e sostenibile della pianificazione, evitando il rischio di sicure resistenze ad una troppo radicale perdita di sovranità urbanistica dei Comuni, a favore di un’ Istituzione appena costituita che faticherà a non essere percepita come sovraordinata o, peggio, portatrice di una egemonia della Città capoluogo. 19 Vi è la necessità di superare la confusione di Regioni e Comuni che, pur adottando la separazione tra Piano strutturale e Piano operativo hanno mantenuto gli aspetti regolativi del vecchio PRG. In generale in alcune leggi regionali, è stata privilegiata una visione più regolamentativo-vincolistica che proattiva dei nuovi Piani e bisogna capire se si tratta davvero di nuova pianificazione con nuovi strumenti o solo di una babele nominalistica e di stili, ed agire di conseguenza con un necessario percorso di profonda e sostantiva innovazione. E’ però necessario, più in generale, essere ben consapevoli del limite rappresentato da 15 anni di nuove leggi regionali in assenza di una riforma nazionale dei principi del governo del territorio. 20 Vedi a questo proposito il recente libro di Ivan Blecic, Arnaldo Cecchini “Verso una pianificazione antifragile: Come pensare al futuro senza prevederlo”, F. Angeli; Milano, 2016. 21 Trasformazioni caratterizzate da ampi margini di sfruttamento di rendite e surplus derivanti da un mercato urbano pre-crisi, erroneamente ritenuto in continua espansione. 16

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Proattivismo nazionale e sperimentalismo democratico di Fabrizio Barca Fondazione “Lelio e Lisli Basso”, Economista

dall’intervento al XXIX Congresso INU - Cagliari, 29 aprile 2016

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ilvia Viviani ed io ci siamo incrociati in due città italiane: la prima molto difficile, travagliata, assai interessante per i processi sociali istituzionali e politici in atto, Messina; l’altra più tranquilla, ma sfidante, Ancona. E allora spero di non essere arrivato impreparato alla lettura delle vostre tesi o dei vostri appunti come sommessamente sono stati chiamati - un tempo si chiamavano “tesi”. Ho avuto tempo di essere influenzato dalle vostre parole come lo sono stato in passato da altre vostre figure di prestigio: l’attenzione alla diversità, che caratterizza il nostro paese; e di cui dovremmo tener conto nel disegnare strategie che, stabilendo obiettivi e priorità, non abbiano l’arroganza di predeterminare tutto, come se tutto sapessimo in un novello delirio illuministico. Il “piano” di cui ci parlate fissa principi, lasciando poi che siano interpretati, situazione per situazione. Supera le zonizzazioni che determinano rendita, la definizione dall’alto dei confini delle nuove “aree vaste”, lasciando che sia il processo di confronto strategico a determinarli. Tutto questo richiede evidentemente un’elevata discrezionalità nelle decisioni pubbliche, una discrezionalità ispirata da principi e visione, guidata dal settore pubblico, con buone risorse umane innervate di conoscenza dal basso da parte dei soggetti beneficiari ultimi, monitorata costantemente negli esiti e “incalzata” – così giustamente scrivete - da movimenti sociali, da un robusto partenariato sociale – espressione che abbiamo svilito, ma a cui restituire significato - che riequilibri “poteri” – altra parola da reintrodurre con serenità nel nostro vocabolario. Il vostro modo di ripensare l’urbanistica corrisponde a ciò che nel dibattito internazionale sul governo delle decisioni pubbliche chiamiamo – molti di noi chiamano - sperimentalismo democratico. Quello che avete detto oggi, infatti, può funzionare, e possiamo assumerci i rischi di discrezionalità che comporta, se esso si sposa con un nuovo modo di governare la cosa pubblica. Altrimenti la discrezionalità diventa dominio, definitivo dominio dei poteri forti, che in Italia vuol dire poteri della rendita fondiaria antica, della rendita finanziaria e della rendita terziaria e professionale. Questo è il modo in cui io raccolgo e restituisco a voi ciò che ho ascoltato. E’ un percorso che non ha alternative. Ma intraprendendolo, dobbiamo sapere che alla parte pubblica, allo Stato, alla Pubblica Amministrazione, va chiesto una straordinaria, possente, adesione ad un nuovo modo di concepire la gestione della cosa pubblica. Di cui voglio riassumere le caratteristiche in sei punti. Nel farlo sono influenzato anche da un incontro di livello alla London School Economics fra geografi economici, geografi, economisti urbani, istituzionalisti di varie scuole, delle due sponde dell’atlantico. Dove abbiamo discusso del tema che è il vostro di oggi: l’Agenda per le città. Ossia la strategia da darci per capire, per ricercare, luogo per luogo, il modo in cui organizzare la vita associata nel modo migliore per noi, tenendo conto delle profonde trasformazioni che stiamo vivendo e di come quel particolare luogo, con le sue diversità, può al meglio affrontarle. Attenzione. Ogni generazione si convince di vivere un momento straordinario. Ma in questi ultimi 10-15 anni quello che appare decisamente diverso rispetto al lungo precedente dopo-guerra è il livello di confusione, il senso diffuso che le elites economiche e politiche siano “inadeguate alla fase” o comunque la percezione da parte di masse enormi di popolazione di un’inadeguatezza delle loro classi dirigenti. Il livello modesto e in caduta – assai grave in Italia - di partecipazione al voto, la fuga verso personaggi improbabili dagli Stati Uniti all’Austria sono il segno di un giudizio di inadeguatezza sullo Stato, delle classi dirigenti e delle organizzazioni, diciamo tradizionali, che hanno organizzato la politica. Magari, insomma, non è vero che siamo in una situazione straordinaria ma c’è la percezione di starci: la paura forte di non riuscire, e l’aspirazione forse un po’ angosciata a riuscire, nell’organizzare la vita associata in un modo che consenta di affrontare i cambiamenti in atto con il miglior esito possibile per lo sviluppo. Sviluppo vuol dire crescita e inclusione nel sociale, non vuol dire né solo crescita, né solo inclusione sociale. I 161


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cambiamenti sono quelli che Silvia Viviani ha ricordato: demografico, climatico, migratorio, di trasmissione delle informazioni. Ma pesa anche assai la modifica radicale delle preferenze dei consumatori, sia nella veste di consumatori sul mercato che di consumatori di servizi fondamentali. Milioni di esseri umani, raggiunto un certo livello di reddito pro capite, non domandano più una camicia, un pomodoro o una sedia; chiedono una camicia, un pomodoro, una sedia con “determinate caratteristiche”. Non chiedono più di essere istruiti; ma di ricevere una “determinata” istruzione. Non chiedono di essere assistiti o curati per malattie dalla definizione generale; chiedono che sia compresa e affrontata la loro “particolare condizione e patologia”. E ancora. Fra le masse enormi di turisti che si riversano sulle città e nelle aree rurali di ogni parte del mondo cresce la parte che cerca e desidera che sia compresa la propria preferenza, il proprio desiderio di “esperienza”. Di fronte all’insieme di tutti questi cambiamenti, rapidi, la strategia per le città e in generale per il territorio va pensata come una strategia per le persone nei luoghi. Nel campo dell’economia dei territori – o “regionale” come la chiamano gli anglosassoni - c’è uno scontro aspro sul fatto se l’azione pubblica debba essere rivolta alle persone o ai luoghi. La risposta aiuta a darla l’articolo 3 della nostra Costituzione che fa carico alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono alle persone di vivere la vita che desiderano vivere. Quindi, la politica va rivolta alle persone, ma ovviamente tenendo conto delle diverse circostanze del loro vivere, che, oltre alla famiglia di nascita, fortemente dipendono dal luogo di nascita e di vita. Prima di indicare i miei sei punti per costruire, a cavallo delle nostre differenti professioni, un modo nuovo di fare politica pubblica per i territori, lasciatemi richiamare l’ultima lezione che ricavo dall’esperienza di questi anni. Non dobbiamo affidare l’azione pubblica per i territori a un Centro pubblico di competenza che sia aggiuntivo rispetto alle strutture settoriali tradizionali. Così facendo, si potrà forse costruire una strategia concettualmente adeguata, e forse persino attuarla in qualche parte del sistema. Ma se questo disegno, questa nuova sensibilità alla diversità dei luoghi, non diviene patrimonio dei grandi corpaccioni settoriali dell’amministrazione, dove si disegnano la politica per la salute, per l’istruzione, per la mobilità, per l’energia, e via dicendo, il grosso dell’azione pubblica continuerà a essere attuato in maniera cieca ai luoghi, disattenta culturalmente, sistematicamente, alle loro diversità. E noi avremo fatto l’ennesimo buco nell’acqua. Avendolo compreso, ho disegnato in modo radicalmente diverso da ogni tentativo passato la Strategia per le aree interne: che è oggi affidata a una squadra di pubblici amministratori che proviene e opera in tutti i principali Ministeri settoriali. E veniamo dunque ai sei tratti con cui oggi voglio riassumere il metodo dello Sperimentalismo democratico che la Pubblica amministrazione deve adottare per diventare interlocutore del nuovo modo di pianificare che oggi ci avete proposto. Il primo punto, che rintraccio già nella vostra relazione, riguarda gli standard minimi. Torno qui all’articolo 3 della Costituzione, per dire che esso riguarda quella che Amartya Sen definisce ”libertà sostanziale” di una persona: il punto più alto di convergenza dei tre pensieri, liberal-azionista, cristiano-sociale e social-comunista, che hanno plasmato la nascita della Repubblica. Quell’articolo, superando di un balzo i rischi dell’idealismo, carica lo Stato dell’obbligo di raggiungere nei servizi essenziali che segnano la vita di ognuno di noi – istruzione, salute, mobilità e comunicazione in testa – uno standard socialmente accettabile. Ma raggiungere un dato standard vuol dire una cosa diversa in contesti diversi; quindi il primo punto della nostra agenda, di chi ragiona in termini di sperimentalismo, è di fissare principi generali che stabiliscano quegli standard e, assieme a essi, un metodo per attuarli, luogo per luogo. Un metodo che tenga conto delle caratteristiche di ogni luogo, e che consenta di raccogliere e utilizzare il patrimonio di conoscenze locali necessario perché tale “torsione territoriale” dei principi si realizzi. Secondo punto: la metrica dei risultati. Nello scenario di elevata discrezionalità delle decisioni che anche voi prefigurate, è indispensabile che il confronto fra attori privati e pubblici nel territorio e le decisioni discrezionali che ne scaturiranno siano ancorati alla chiara enunciazione dei risultati che si intendono perseguire e alla loro misurazione. I risultati devono ovviamente misurare non le “cose” che si intendono realizzare, ma gli aspetti della qualità di vita delle persone che, realizzando quelle cose, si intende migliorare. La misurabilità e verificabilità di questi risultati è essenziale per comprendere se vi sono progressi e per dare a tutti i soggetti incentivi appropriati. Nel mettere concretamente in atto questo requisito, così lontano e dunque difficile per la cultura amministrativa italiana, possiamo beneficiare dei contributi migliori, e al tempo stesso evitare gli errori, dell’esperienza del New Public Management. Il contributo consiste nella pratica di ricercare sempre, per ogni azione pubblica, l’esplicitazione degli obiettivi in termini di cambiamenti rilevanti per i cittadini e misurabili; e nell’avere prodotto un grande bagaglio di dati e di metodi per farlo. Gli errori riguardano l’ambizione iper-illuminista di potere “imbracare” le multiforme preferenze dei cittadini in panieri di indicatori decisi dall’alto, anziché tradurre in indicatori le preferenze manifestate dai cittadini; e, ancora, la pretesa di legare in modo automatico, contrattuale, al conseguimento di target per tali indicatori il giudizio sulla qualità dell’azione amministrativa, inducendo così gravi distorsioni in questa stessa azione, spinta a perseguire i target anche a costo di produrre 162


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peggioramenti in altri profili anche più rilevanti della qualità dei servizi. Questi errori sono evitabili, come stiamo verificando nella Strategia per le Aree Interne: primo, scegliendo gli indicatori, luogo per luogo, sulla base di un confronto serrato dell’amministrazione con i cittadini; secondo, utilizzando indicatori, target ed esiti per comprendere i modi di funzionamento, i punti di forza, le carenze delle azioni messe in atto. Terzo punto: i confini. Questa è una parola a cui date forte rilievo nella relazione introduttiva, perché l’azione pubblica integrata ha bisogno di confini chiari di riferimento, che per gli attori coinvolti divengono anche confini di responsabilità. Questi confini non devono essere predeterminati normativamente, cosa che invece abbiamo fatto ancora fino a ieri nella legislazione nazionale. Si pensi alla mia città, Roma. Dove, accanto ai suoi gravi problemi, pesa l’incapacità di dare vita, in modo strategico, a una doppia devoluzione: verso l’alto, con la costruzione di un’area vasta per assumere decisioni globali; verso il basso, per dare al livello municipale i poteri, le responsabilità, le risorse per disegnare strategie di servizio in aree coese per omogeneità o complementarità. La strada non è certo quella, prefigurata normativamente, di risolvere la prima devoluzione, verso l’alto, facendo corrispondere la “grande Roma” – non uso il termine “metropolitano”, perché nulla ha a che fare Roma (come tutte le città italiane con l’esclusione di Napoli) col termine metropoli – con la vecchia provincia. Né è quella dell’immobilismo rispetto all’attuale assetto dei Municipi. In entrambe i casi i “confini” devono emergere dal processo che costruisce la Strategia, come abbiamo realizzato, di nuovo, nella Strategia Aree Interne, nel processo di costruzione dei confini delle aree-progetto. Nel caso della devoluzione verso l’alto, ad esempio, metta Roma sul tavolo una strategia, mostri con visioni, argomenti e dati, perché i Comuni confinanti sono essenziali a tale Strategia; li convinca di questo o lasci che essi propongano modifiche alla Strategia stessa a cui subordinare la loro adesione. Ne usciranno “confini di area vasta” non costruiti da burocrati al tavolino ma corrispondenti all’azione pubblica che si intende intraprendere. Quarto punto: le certezze. Visto che Silvia Viviani ha avuto la saggezza e la dolcezza di citare, oltre a Bubi Campos, figura centrale della vostra associazione, fratello di mia madre, e istigatore della mia attenzione al territorio, anche mio padre Luciano, lasciatemi ricordare che proprio Luciano Barca chiamava così il risultato principale che l’azione pubblica si deve prefiggere: dare “certezze” al mercato, che è segnato dalle incertezze. E dargliele, scriveva con i giovani (di allora) della Rivista Trimestrale, attraverso la domanda di beni collettivi, ossia i servizi che lo Stato produce, e attraverso le decisioni relative alle reti, all’energia, ai centri di ricerca, alle regole di uso del territorio. Gli equilibri di un processo di evoluzione capitalistico sono multipli, e non è certo lo Stato che può prevederli e predeterminarli; ma dando certezze può promuovere alcune direzioni di marcia su altre, e nel farlo, se le sue decisioni sono comprensibili e stabili, dà certezza alle stesse decisioni di investimento. Il contrario, insomma, di quello che avviene in un paese che, come ho scritto in “Italia frenata” è sottoposto da trenta anni a “riforme” continue delle regole dei suoi mercati e della pubblica amministrazione. Secondo una logica opposta a quella dello “sperimentalismo democratico”, che chiede invece la fissazione di regole generali di principio stabili nel tempo, da attuare poi con flessibilità e grande capacità d apprendimento. Lo stesso, sia detto per inciso, vale per le regole comunitarie. Ad esempio, per quelle relative all’utilizzo dei fondi comunitari: esse sono dettagliate e rigide – altro che “di principio” – e cambiano ogni sette anni, sconvolgendo e destabilizzando tutti gli attori, privati e pubblici. Sarebbe ora – l’ho proposto – di bloccarne il cambiamento e curarne l’attuazione! Quinto punto: uno spazio di confronto che ridia vita al “partenariato”. Perché quella conoscenza locale che dobbiamo raccogliere e ricombinare con la conoscenza globale - se vogliamo attuare luogo per luogo i principi generali - venga alla luce, perché la ricombinazione abbia luogo, sono necessari “spazi liberi” dove manifestarla e dove il confronto possa avere luogo. Questo è il “vero” partenariato. Non quella “manfrina ossificata” che vediamo celebrare in tanti luoghi, coperta da procedure burocratiche, magari santificate da Bruxelles. Bruxelles stessa, che ha responsabilità gravi in questa degenerazione, ha peraltro prodotto un Codice europeo di condotta del partenariato che enuncia principi nuovi: la partecipazione al confronto di tutti i soggetti “rilevanti”, ossia toccati dagli interventi, non solo di quelli che a un certo punto sono stati riconosciuti come “rappresentativi”; la necessità di ascoltare questo ampio partenariato prima di pubblicare un bando; l’alimentazione di questo confronto con informazioni sui risultati. E’ un passo verso quel metodo di confronto che solo – come ci ha insegnato Amartya Sen in L’idea di giustizia – può liberare conoscenza locale e produrre innovazione: un confronto acceso (perché vi partecipano tutti, anche gli “antagonisti”), informato (perché alimentato da indicatori e informazioni sui risultati attesi), aperto (perché vi partecipano anche i soggetti globali privati, portatori di conoscenza importante), ragionevole (perché ognuno non solo vi porta il proprio ragionamento “razionale”, ossia autoreferenzialmente coerente, ma si misura con le posizioni e i “sentimenti” degli altri). Inutile dire che lavorare in questi spazi sfidanti di confronto richiede all’amministrazione pubblica capacità e competenze nuove; una forte “staffetta generazionale”. Ultimo punto il pro-attivismo (“paternalismo”) nazionale. D’accordo, il centro nazionale, lo Stato, deve rico-

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noscere la propria ignoranza: non sa quali regole, quali strategie, vadano utilizzate in ogni luogo e deve dunque fissare principi generali, lasciando forti responsabilità ai livelli di governo locali e in genere ai cittadini attivi. Ma, attenzione, il centro nazionale ha la responsabilità del metodo. E’ il centro nazionale che deve garantire tutti gli altri requisiti che ho enunciato: che deve assicurare che, luogo per luogo, gli spazi di confronto siano davvero “liberi” e abbiano le caratteristiche che ho appena descritto; che alla fine una decisione stabile, “certa”, sia presa; che dal confronto emergano i “confini”; che sempre siano costruiti e utilizzati indicatori di risultato; che gli standard minimi nazionali siano conseguiti. E tutto ciò vuol dire che il centro nazionale, non solo deve operare nei territori portando metodo, ma che esso deve essere pronto a destabilizzare le elites politiche e amministrative locali. Sono infatti assai spesso proprio queste elites, di cui pure non possiamo e dobbiamo fare a meno, che attivamente resistono il cambiamento. Perché temono, ragionevolmente, che il cambiamento, producendo innovazione, potrà spiazzarle. E queste funzioni delicate il centro nazionale deve sapere svolgere, agendo per conto di tutte le amministrazioni settoriali, non attraverso un’unità territoriale separata: solo così, il supporto che viene dato è coerente con le azioni condotte nei diversi settori, e al tempo stesso le autorità settoriali si vanno gradualmente “piegando”, “curvando” sulle esigenze dei diversi territori. E’ una delle principali lezioni apprese in anni di lavoro e che, come vi ho detto, abbiamo travasato nella Strategia per le aree interne, dove funzionari di settori diversi lavorano, fianco a fianco, nei diversi luoghi del paese. Ecco, queste sono le sei nuove regole del gioco, la mia lettura dello “sperimentalismo democratico” per cui assieme agire. Perché sono l’altra parte, la condizione essenziale, del nuovo modo di concepire il piano che a questo Congresso avete portato alla pubblica attenzione.

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L’urbanizzazione regionale in Italia, esiti di una ricerca di Alessandro Balducci Coordinatore Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale “Territori post-metropolitani come forme urbane emergenti: le sfide della sostenibilità, abitabilità e governabilità” - Polimi. Atlante web dei territori postmetropolitani (www.postmetropoli.it)

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n questi ultimi anni ho lavorato ad una ricerca PRIN dal titolo Territori post-metropolitani come forme urbane emergenti: le sfide della sostenibilità, abitabilità e governabilità. E’ un percorso che abbiamo condiviso al Politecnico di Milano con i colleghi del Politecnico di Torino, Università del Piemonte Orientale, dello IUAV di Venezia, dell’Università di Firenze, della Sapienza di Roma, Università di Alghero, della Federico II di Napoli e dell’Università di Palermo1. Assieme abbiamo deciso di prendere sul serio il titolo del programma che ormai siamo usi citare solo attraverso l’acronimo “PRIN” per intendere quel meccanismo che distribuisce le assai limitate risorse della ricerca di base. Ci siamo detti che se progetto di ricerca di interesse nazionale doveva essere, avremmo voluto mettere a disposizione della comunità scientifica e dei decisori risultati che andassero al di là dei nostri specifici e diversi interessi di ricerca. E’ così che è nata la decisione di lavorare ad un ritratto dell’Italia urbana contemporanea, che partisse dalla messa a disposizione di un Atlante delle trasformazioni del territorio urbanizzato nel nostro Paese. I primi due anni sono stati dedicati alla costruzione dell’Atlante. L’ultimo all’approfondimento di una serie di questioni emergenti a partire dal riconoscimento della nuova forma che assume l’urbanizzazione regionale nel nostro Paese. Il termine post-metropoli, come è noto, fa riferimento alla posizione di Edward Soja, il geografo di UCLA scomparso lo scorso anno, che attraverso il suo libro pubblicato all’inizio degli anni 2000 invitava a dichiarare conclusa la fase metropolitana dello sviluppo urbano (Soja, 2000), spingendo ad osservare una serie di fenomeni nuovi e decisamente contradditori rispetto al tradizionale modello di sviluppo delle grandi città: • l’appiattimento del gradiente di densità urbana, non più rigidamente decrescente dal centro alla periferia; • la progressiva erosione del confine tra urbano ed extra-urbano; l’omogeneizzazione del paesaggio urbano nonché la crescente differenziazione e specializzazione della periferia; • la scomparsa di significative differenze negli stili di vita tra urbano e suburbano; • la combinazione di nuove forme di decentramento e ricentralizzazione; • l’emergere di una nuova forma urbana polinucleare, densamente reticolare e ad alta intensità di flussi di informazione; • l’emergere di una nuova questione urbana che solleva ad una diversa scala problemi di giustizia spaziale di qualità dell’ambiente, di giustizia sociale. Più tardi, in un articolo pubblicato nel 2011 dal titolo “Beyond Postmetropolis”, lo stesso Soja riconosce il carattere prevalentemente strumentale del titolo “Postmetropolis” che aveva dato al suo libro, con l’intento, più che di indicare una nuova forma della urbanizzazione, di spingere ad affrontare e ad interpretare ciò che stava cambiando nelle regioni urbane del mondo (Soja, 2011) e che eravamo portati a non vedere a causa delle nostre categorie invecchiate. E’ lo stesso valore che abbiamo voluto dare al termine postmetropoli nella nostra ricerca, al tentativo di interpretare e misurare i nuovi fenomeni che stanno caratterizzando le regioni urbane in Italia, con molte differenze, ma con la evidente inadeguatezza delle immagini consolidate anche

Il Prin «Territori post-metropolitani come forme urbane emergenti: le sfide della sostenibilità, abitabilità e governabilità» è stato coordinato dal Politecnico di Milano, prof. Alessandro Balducci con Valeria Fedeli, e ha visto la partecipazione di otto unità di ricerca, Piemonte Orientale, prof. Paolo Perulli; Politecnico di Torino, prof. Umberto Janin Rivolin Yoccoz; Università Iuav di Venezia, prof. Luciano Vettoretto; Università degli Studi di Firenze, Prof. Giancarlo Paba; Università di Roma La Sapienza, Prof. Carlo Cellamare, Università Federico II di Napoli, prof. Giovanni Laino; Università degli Studi di Palermo, prof. Francesco Lo Piccolo; Università di Alghero, prof.sa Lidia De Candia. 1

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nelle visioni istituzionali che ancora recentemente sono giunte con la legge Del Rio alla istituzione delle città metropolitane. Non volevamo cioè affermare che in Italia stessero avvenendo fenomeni analoghi a quelli che interessano le grandi metropoli americane, ma volevamo affrontare la varietà delle situazioni urbane nelle nostre grandi città a partire dalla constatazione che il concetto di metropoli, con le sue implicazioni socio-economiche e territoriali e con la sua visione gerarchica, in America come in Italia, risulta del tutto inadeguato ad interpretare le nuove forme dell’urbanizzazione anche nel nostro Paese. Il contesto italiano, indagato attraverso una esplorazione approfondita dei cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni, ha permesso di proporre ipotesi sulle forme della urbanizzazione regionale nel nostro paese, e di verificare convergenze e divergenze rispetto alle realtà urbane indagate dalla letteratura di matrice prevalentemente anglosassone. Il lavoro ci ha permesso quindi di collocare il caso italiano in un contesto più vasto e di confrontarci con altre posizioni autorevoli, come quella espressa da Neil Brenner e Christian Schmid sulla planetary urbanisation, che riprendendo le anticipazioni di Henri Lefebvre, invitano ad abbandonare le concezioni lineari basate sullo spostamento della popolazione dalle zone rurali alle aree urbane, per osservare come ormai tutto il pianeta direttamente o indirettamente debba essere considerato un territorio completamente urbanizzato, dove avvengono implosioni ed esplosioni, concentrazioni e diradamenti, che non ha più senso suddividere secondo le categorie di urbano, suburbano e rurale. O con la concezione delle mega-city-region di Peter Hall (Hall e Pain, 2006), quella sulla endless city di Sennett (Sennett 2007) o quella sul suburbano come forma emergente dell’urbano di Roger Keil (Keil, 2011). Ci è sembrato questo un compito pubblico importante, “di interesse nazionale”, perché la rappresentazione che dell’urbano danno le politiche di livello nazionale (ma anche sovranazionale), è ancora molto legata ad una concezione di città o di metropoli, che non corrisponde più al fenomeno della urbanizzazione di fatto; dove le realtà più dinamiche e problematiche rimangono in ombra a causa di una visione basata su una distinzione fra ciò che viene considerato città o metropoli e ciò che resta fuori da questa definizione che appare del tutto inappropriata nella realtà della città contemporanea.

Un Atlante e dei Regional portrait

Per perseguire questi obiettivi era richiesto un passaggio analitico fondamentale. Molto è stato scritto e detto sulla nuova forma della città contemporanea in Italia (Indovina e al.,1990; Boeri, Lanzani, Marini, 1993; Turri, 2000; Lanzani 2003; Bonomi e Abruzzese, 2004; Secchi, 2005) ma da tempo sono carenti indagini basate su una ricognizione sistematica dei dati che consentano descrizioni aperte a diverse interpretazioni. L’ultima è quella offerta da un’altra ricerca di carattere nazionale, la ricerca Itaten che risale ad oltre 20 anni fa (Clementi, Dematteis e Palermo, 1996). L’Atlante (www.postmetropoli.it) si propone dunque di offrire in forma aperta ed accessibile a tutti una prima lettura comparativa dei principali processi che investono le regioni urbane prese in esame. Il database, costruito a partire da una selezione delle principali fonti statistiche nazionali pubbliche esistenti, offre una serie di elaborazioni originali, alcune più semplici, altre a carattere complesso, basate sulle principali ipotesi di ricerca del progetto. In questo senso lo sforzo dispiegato è consistito nel selezionare dati e indicatori che permettessero di dialogare con le ipotesi di ricerca e di riconoscere qualitativamente come stanno cambiando i territori urbani dell’Italia contemporanea. Tutti gli indicatori sono immediatamente rappresentati in carte tematiche che consentono una facile comparazione ed una identificazione fisica dei fenomeni considerati. Per poter cogliere indicazioni significative sulla nuova forma della città l’Atlante, staccandosi da ogni definizione istituzionale dei confini, propone due originali modalità di accesso indipendenti dalle formalizzazioni consolidate: i tasselli, della dimensione di 100 km x 100 km e i corridoi: nel primo caso si tratta di ampi quadranti all’interno dei quali osservare natura, dimensioni, forma, significatività di alcuni processi di trasformazione sociale, spaziale, ambientale, economica, politica, istituzionale. La collocazione del quadrante è esito di una attenta valutazione non sempre centrato sulla città capoluogo di riferimento. I corridoi ricalcano i principali corridoi infrastrutturali e logistici individuati dalla Unione Europea e intersecano i principali processi di regionalizzazione urbana indagati: si tratta di un altro modo di superare l’ottica centro-periferia e di indagare tali processi in una condizione transcalare e relazionale. I casi pilota analizzati sono Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli e Palermo assieme a due contro-casi di territori a sviluppo diffuso, prevalentemente a carattere turistico: la Gallura e la Sicilia Sud- Orientale. Ci sembra, con questo sforzo analitico disciplinato, che ha seguito un preciso protocollo di ricerca, di aver messo a disposizione uno strumento di lavoro aperto ad interessi di ricerca differenti e che ha suscitato già un vasto interesse, anche in relazione alla prima applicazione della legge Del Rio ed alla problematica identificazione delle città metropolitane con i confini delle vecchie provincie. Questo incrocio tra sviluppo della 166


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ricerca e processo istitutivo delle nuove autorità metropolitan ha spinto ricercatori di Genova, Bologna e Bari, che non erano parte dell’originaria rete di ricerca, ad aderire alla costruzione dell’Atlante con l’obiettivo di promuovere approfondimenti sui relativi casi. L’interesse dello strumento è anche dimostrato dall’accordo di collaborazione che la nostra rete di ricerca ha stabilito con il Dipartimento per lo sviluppo delle economie territoriali e delle aree urbane della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con l’obiettivo, a partire dall’Atlante, di sviluppare una serie di indicatori di policy utili allo sviluppo di nuovi programmi. Quali indicazioni emergono dalla lettura dell’Atlante con riferimento ai temi della nuova forma urbana? In estrema sintesi si possono identificare quattro situazioni-tipo con casi che presentano interessanti convergenze. Emerge in primo luogo una condizione tipicamente post-metropolitana nelle regioni che hanno conosciuto una fase propriamente metropolitana in passato. Si tratta in modo evidente della realtà di Milano e in misura diversa di quella di Napoli. Qui riscontriamo quei fenomeni indicati da Soja e che ho richiamato in apertura: gradienti di densità (insediativa, demografica, economica) che tendono a livellarsi, proliferazione di nuove centralità in luoghi in passato periferici, l’emergere anche nelle aree più esterne di quei fenomeni che fino a ieri avevano caratterizzato solo le aree centrali dei contesti metropolitani, invecchiamento della popolazione, riduzione del numero dei componenti delle famiglie, forte incremento dell’immigrazione; Vi sono poi due regioni urbane caratterizzate da una forma polinucleare della struttura insediativa in contesti come il Veneto e la Toscana, che non hanno conosciuto una vera e propria fase metropolitana, ma dove sono soprattutto le matrici geo-storiche e l’evoluzione dei modelli economici a condizionare una ristrutturazione della diffusione urbana dove è particolarmente evidente la tensione dialettica tra implosione ed esplosione della forma urbana che certamente attraversa i confini delle vecchie provincie e che non a caso ha indotto i nostri ricercatori a non centrare il quadrante di osservazione sui capoluoghi di Firenze e Venezia per poter cogliere le effettive dinamiche territoriali in essere. Un carattere diverso è presentato dai casi di Torino e di Roma, che pur nelle loro profonde differenze, e per ragioni assai diverse, presentano ancora una natura più tradizionalmente metropolitana, con una conurbazione centrale che ancora presenta gradienti di densità assai più elevati rispetto all’intorno e fenomeni meno marcati di omogeneizzazione dello spazio regionale. Anche qui sull’antico tessuto radiale e gerarchicamente organizzato si sta stendendo una nuova geografia di luoghi che fanno riferimento ad una diversa relazione reticolare, ma il processo non ha ancora prodotto effetti che contraddicono il modello originario. Infine, i casi assunti per contrappunto della Sardegna nord-occidentale e della Sicilia sud-orientale ci mostrano la progressiva integrazione di queste aree una volta marginali ai fenomeni della urbanizzazione planetaria, con un forte peso della colonizzazione turistica. Si tratta di contesti che vedono una progressiva sovrapposizione di una forma insediativa fortemente dipendente in termini di connettività e interscalarità delle relazioni sociali ed economiche da un lato, di esplosione dell’urbano lungo la costa e nell’entroterra dall’altro e di una armatura storica di piccoli villaggi nel caso della Sardegna. Oppure, la persistenza di strutture regionali policentriche come eredità di processi di sedimentazione storica da un lato e l’emersione di forme territoriali post-metropolitane dall’altro, in un conteso caratterizzato certamente dall’assenza storica di una fase metropolitana, sia in relazione all’assetto fisico che a quello demografico, sociale e funzionale, come nel caso della Sicilia orientale. In sintesi situazioni molto diverse con alcuni elementi comuni. I confini dei comuni, delle provincie e delle stesse regioni non sono più in grado di descrivere il fenomeno urbano in forma efficace. Questo crea una divergenza progressiva fra unità di governo e pianificazione e caratteri e forme dell’urbanizzazione.

Nuove sfide per la pianificazione del territorio della regional urbanisation

Quali sono le implicazioni per la pianificazione? Si è guardato a lungo ai processi di urbanizzazione come semplice allargamento della città nel territorio che richiede la creazione di nuove istituzioni capaci di ridefinire nuovi perimetri che consentano un cambiamento di scala di un medesimo approccio alla pianificazione; su questo malinteso si è inseguita la istituzione di governi metropolitani fin dagli anni ’60 del secolo scorso, per assumere poteri di pianificazione generale alla grande scala, senza grande successo invero. La pianificazione non è stata in grado di governare il massiccio consumo di suolo che ha caratterizzato la realtà Italiana cambiandone profondamente il paesaggio attorno alle grandi città, nelle aree della dispersione polinucleare come lungo le aree costiere. C’è stata una evidente responsabilità politica e culturale della nostra disciplina, troppo strettamente intrecciata con interessi professionali che hanno spinto (con non molte eccezioni) ad accompagnare il processo di 167


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crescita disordinata piuttosto che controllarlo. L’esito è stato un cambiamento profondo del territorio e i fenomeni di allargamento delle grandi città hanno iniziato a prendere una diversa fisionomia, che la nostra ricerca mette bene in evidenza sia attraverso l’Atlante che i ritratti delle grandi regioni urbane. La nuova città diffusa su cui in Italia avevano ragionato molti anni fa Francesco Indovina e Bernardo Secchi, è una forma urbana dove si combinano effetti di sprawl dalle grandi città, con la capacità propulsive delle città medie, di disponibilità alla trasformazione dei territori privi di presidio perché fatti di piccoli centri, generando la compresenza di sistemi locali e di sistemi fortemente integrati territorialmente. Nell’ultimo decennio il processo di crescita senza confini ha fortemente rallentato, colpito dalla crisi economica e dalla crisi ancor più profonda dell’edilizia, incapace di rappresentare ancora quell’incrocio tra risposta ad una domanda d’uso e una domanda di investimento sicuro che aveva rappresentato per decenni. Ciò ha prodotto una serie di effetti rilevanti dal punto di vista delle sfide che si sono proposte alle competenze consolidate dell’urbanistica. Nei nuovi brani delle nuove periferie metropolitane emerge con forza un problema di qualificazione dello spazio della dispersione, di ricucitura, di costruzione di progetti significativi alla scala territoriale, che però non hanno istituzioni di riferimento (certo non lo potevano essere i comuni nella loro grande varietà), e che quindi si sono affidati all’iniziativa volontaria dei “soft spaces” della pianificazione che come osserva Philip Allmendinger (Allmendinger et al 2015) sono strutture fragili dal punto di vista della governance territoriale, che hanno funzionato forse con qualche maggiore stabilità solo per la istituzione di parchi sovracomunali, ma che raramente sono stati capaci di affrontare il grande problema della costruzione di urbanità, di rendere lo spazio della dispersione più abitabile, più denso di relazioni. D’altro canto le aree della urbanizzazione estesa, a seguito dei vasti processi di ricollocazione della popolazione hanno iniziato a manifestare da tempo come abbiamo visto i problemi tipici delle periferie interne delle grandi città: invecchiamento accentuato della popolazione, concentrazione di immigrazione e di condizioni abitative in degrado, accentuata disuguaglianza e crescita della popolazione in condizioni di povertà, senza avere, al contempo la struttura dei servizi propria della grande città che si può adeguare e trasformare a partire da una più solida base di partenza. In conclusione quello che emerge dalla nostra attività di ricerca è non solo una documentazione ed una rappresentazione della urbanizzazione regionale nel contesto italiano, ma anche la necessità di una nuova agenda per la pianificazione, che deve essere capace e di rinnovarsi in una fase nella quale il tradizionale legame tra territorio autorità e piano è stato superato dalla realtà. Un compito non facile ma affascinante perché richiede responsabilità, creatività e capacità di sperimentazione. Bibliografia Allmendinger, P., Haughton, G., Knieling, J. and Othengrafen, F. (2015) Soft Spaces of Governance in Europe: A Comparative Perspective, Routledge, London Boeri, S., Lanzani, A. e Marini, E. (1993), Il territorio che cambia, Ambienti, paesaggi, immagini della regione milanese, Milano, Aim-Segesta. Bonomi, A. e Abruzzese A. (a cura di), (2004), La città infinita, Milano, Mondadori. Brenner, N. (a cura di), (2014), Implosions/Explosions: Towards a Study of Planetary Urbanization, Berlin, Jovis. Brenner N. (2000), The Urban Question: Reflections on Henri Lefebvre, Urban Theory and the Politics of scale, in International Journal of Urban and Regional Research, 24, 361-378. Clementi A., Dematteis, G. e Palermo, P.C. (a cura di) (1996), Le forme del territorio italiano II. Ambienti insediativi e contesti locali, Roma, Laterza. Keil, R. (2011). “Global suburbanization: The challenge of researching cities in the 21st century”. Public, (43), 54-61. Hall P. and Pain, K (2006), The polycentric metropolis. Learning from mega-city regions in Europe, Earthscan. Indovina F., Matassoni F. Savino M., Torres M. e Vettoretto L. (1990), La città diffusa, Venezia, Iuav-Daest. Lanzani, A. (2003), I paesaggi italiani, Meltemi, Roma. Secchi B. (2005), La città del XX secolo, Laterza, Bari Sennet, R. (2007), “The open city”, in R. Burdett R., Sudjic D. (a cura di), The endless city: the urban age project, by the London School of Economics and Deutsche Bank’s Alfred Herrhausen Society, London, Phaidon. Soja, E., (2000), Postmetropolis: Critical Studies of Cities and Regions . Malden, MA: Blackwell Soja, E., (2011), “Beyond Postmetropolis” in Urban Geography, 32:4, pp. 451-469, Turri, E. (2000), La megalopoli padana, Marsilio, Venezia.

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LE MAPPE DEL PAESE CHE CAMBIA

Percentuale di abitazioni vuote 2001

Fonte: www.postmetropoli.it

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Livelli di perifericità sulla base dell’offerta dei servizi

Fonte: www.postmetropoli.it

(Nel grafo: numero di comuni ricadenti in ogni classe)

(Nel grafo: numero di comuni ricadenti in ogni classe) Classi: < 2 = Polo; 2-3 = Polo intercomunale; 3-4 = Cintura; 4-5 = Intermedio; 5-6 = Periferico; > 6 = Ultraperiferico

Quota di popolazione priva di acceso alla banda larga 2013

Flussi pendolari 2011

Fonte: www.postmetropoli.it

(Nel grafo: numero di comuni ricadenti in ogni classe)

Fonte: www.postmetropoli.it

(Nella mappa: archi dei flussi pendolari)

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QuantitĂ di acqua potabile immessa nella rete comunale 2008

Fonte: www.postmetropoli.it

Indice di frammentazione delle aree urbanizzate 2011

Fonte: www.postmetropoli.it

(Nel grafo: numero di comuni ricadenti in ogni classe)

(Nel grafo: numero di comuni ricadenti in ogni classe)

Contesti poveri e ricchi dei paesaggi rurali

Indice complessivo di accessibilitĂ a strutture e poli urbani

Fonte: www.postmetropoli.it

Fonte: www.postmetropoli.it

(Nel grafo: numero di comuni ricadenti in ogni classe)

(Nel grafo: numero di comuni ricadenti in ogni classe)

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Le giornate di studio napoletane dell’INU, idee in movimento di Francesco Domenico Moccia Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Architettura. Presidente INU Sez. Campania

1. Introduzione: i motivi di fondo

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odici anni fa, quando si tenne la prima Giornata, le conferenze scientifiche in urbanistica non erano così numerose come quelle dei nostri giorni ed erano un’assoluta novità per l’INU il cui momento di elaborazione collettiva si concentrava intorno al Congresso biennale con l’obiettivo di elaborare la linea politico-culturale sulla base della discussione di tesi, talvolta anche contrapposte, e con l’intenzione di guidare l’attività urbanistica del paese. Il profilo accademico delle Giornate le ponevano in una posizione non competitiva con il Congresso e, specialmente all’inizio, in una condizione marginale rispetto all’Istituto in generale. Infatti le loro origini furono più che modesta espressione della Sezione Campania come limitazione geografica, e della durata di un sol giorno, come limitazione temporale. Sebbene il primo limite è stato, poi, superato, come si dirà appresso, il secondo è rimasto elemento fisso e probabilmente imperituro che ne delineano il profilo anche in virtù di un titolo che si deve a Roberto Gerundo. Questo collateralismo fu scientemente programmatico e non serviva tanto a presidiare un terreno da cui l’INU si stava progressivamente allontanando -nonostante avesse annoverato tra i suoi massimi dirigenti del passato i più noti professori universitari d’urbanistica, ingegneria, architettura e storia dell’architettura/ urbanistica - quanto a mantenere viva, al suo interno, una discussione aperta, in grado di esplorare le innovazioni del proprio campo con una libertà che non dovesse condurre immediatamente a delle posizioni ben definite, prima che avvenisse una esplorazione esaustiva dell’argomento e le opinioni si fossero scientemente consolidate tra i soci. Si poneva, in altri termini, una fiducia nei confronti della ricerca e del suo apporto alla determinazione del comportamento degli urbanisti. Non c’è da meravigliarsi che tutto ciò si manifesti solamente all’inizio di questo millennio. Prima di allora, la costruzione della cultura urbanistica si realizzava all’interno delle pratiche amministrative-professionali e gli sforzi di Astengo di promuovere una elaborazione scientifica radicandola nell’università restò un tentativo isolato all’IUAV finché non si ebbe una diffusione nazionale dei corsi di laurea in urbanistica negli anni ’90. Va ancora di più sottolineato lo sviluppo dei dottorati, in cui esplicitamente si poneva il tema della ricerca, e dove iniziava e si andava sempre più diffondendo una produzione scientifica incoraggiata dalle politiche di qualificazione dell’università, fino alla progressiva crescita dell’incidenza della sua valutazione. Quello che allora non si poteva prevedere è che il “mondo INU” si ritrovasse in questi appuntamenti e trovasse sempre più fertile e coinvolgente incrociare studi ed esperienze, riscattando le Giornate da quello che sarebbe potuto diventare un ghetto accademico astratto. L’ibridazione probabilmente non giova al rigore scientifico e rende gli incontri meno seriosi e disciplinati di quanto ci si possa aspettare. Sono del tutto comprensibili i rilievi di confusione e eccessiva concentrazione, specialmente nelle ultime e sempre più affollate edizioni: aspetti da migliorare, senza tuttavia una eccessiva riduzione di quella complessità che, in fondo, dà anche ricchezza ed interesse. Le Giornate hanno mantenuto un profilo riconoscibile il cui disegno si può far risalire fin dalle prime edizioni. Tuttavia hanno anche subito, per altri aspetti, un’evoluzione continua, fortunatamente caratterizzata da una crescita costante, lungo la quale si registrano alcuni balzi di più netto cambiamento che la portano a percorrere tre fasi distinte le cui differenze, di seguito saranno tracciate.

2. I tre periodi delle Giornate

Le nove edizioni si possono raggruppare in tre periodi successivi di cui, di seguito, si tracceranno alcune delle caratteristiche. Come non è stata rispettata la cadenza annuale delle Giornate, non c’è stato neppure un preciso periodo dell’anno dell’appuntamento. Le variazioni si devono sia a motivi esterni, come gli appuntamenti del calendario INU di maggior rilievo, oppure a ragioni interne dipendenti dalle risorse del tutto volontarie offerte dai soci della sezione Campania e dall’ospitalità dell’Università Federico II. In undici anni si sono tenute nove Giornate. 171


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2.1. Il periodo delle innovazioni

Dal 2004 al 2006, le Giornate muovono i primi passi durante la presidenza della Sezione Campania di Fabrizio Mangoni – con il fondamentale apporto organizzativo di un piccolo gruppo di giovani impegnati nell’allora Dipartimento di Urbanistica dell’Università Federico II, tra cui spiccavano Daniela De Leo e Emanuela Coppola – partendo da interessi di ricerca locali (Moccia, Sepe 2003). L’intitolazione alle metropoli del mezzogiorno, tuttavia, sembra ancora attuale, a ridosso della legge Delrio. Allora lo stimolo veniva dall’esecuzione, nel Mezzogiorno delle politiche di coesione europee che avrebbero dovuto attuare lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (1999) e su cui era stata condotta un’importante ricerca ESPON (2004). Metrex, l’associazione dei governi metropolitani europei, si era, a sua volta, impegnata a diffondere le tesi e le conoscenze rivolte alla realizzazione di un equilibrato policentrismo metropolitano. Fin dall’inizio, si stabilisce un partenariato con Urbanistica Informazioni che pubblica gli atti, per i primi due anni, in un CD allegato alla rivista. Lo stile dei call e dei programmi è minimalista e si riassume spesso in una sorta di manifesto alla cui impaginazione grafica è dedicata una certa cura (e una delle maggiori voci di uscita del budget). Il numero dei partecipanti, nonostante sessioni parallele in numero fino alla decina, si mantiene contenuto entro il centinaio con presenze prevalentemente delle regioni più vicine alla Campania e del sud Italia. L’aspirazione a superare il localismo si manifesta però subito nella scelta delle tematiche che cercano di cogliere le sfide innovative per l’urbanistica, anche se queste aperture si traducono, solo lentamente, in una progressiva attrazione di ricercatori provenienti da ambiti geografici più estesi. Nel 2005, poiché si andava diffondendo ed affermando la pianificazione strategica, si proposero le “Visioni di territori, dalle utopie agli scenari” per focalizzare quegli strumenti con i quali si andavano forgiando le proiezioni al futuro a cavallo tra creatività e previsioni mentre si andava ampliando il campo di lavoro dell’urbanistica dal puro governo dell’uso del suolo alle prospettive di evoluzione delle città (Moccia 2000). al singolare

Conteggio delle parole chiave presenti nei paper presentati alla II Giornata di Studi INU

al plurale

immagine

4.181.345

11.509.496

scenario

6.845.399

229.810

progetto

4.863.358

2.551.227

utopia

2.363.323

405.076

mito

1.627.032

338.070

visione

1.392.276

398.235

retorica

182.313

17.229

Il conteggio effettuato sui paper presentati assegna ancora i ranghi più elevati alla creatività figurativa degli urbanisti partecipanti e lascia nella coda quegli strumenti argomentativi che fanno parte piuttosto del bagaglio dei tecnici maggiormente coinvolti all’interno dei processi decisionali, aperti al pubblico. Probabilmente un’analoga indagine ad una decade di distanza troverebbe qualche rivalutazione di termini, tra cui non trascurerei i successi di “visione”. Con “Urbanistica digitale” si apriva a un’ala del nostro settore che incominciava a crescere con l’impiego, nell’urbanistica, degli avanzamenti maturati nel campo informatico e che incominciavano ad avere già delle ricadute nelle amministrazioni e nella progettazione, uscendo da un ambiente di sofisticate conoscenze di nicchia per diventare abilità necessarie ad ogni operatore (Borri et al. 2000, Blecic, Cecchini 2016). Il progresso digitale influenzava la forma della città e del territorio (Castells 1991, Scott 2001), le rappresentazioni, le conoscenze (Simon 1983), la comunicazione, le decisioni (Friend, Hickling 1987).

2.2. Il periodo della rifondazione

Il secondo periodo va dal 2008 al 2012 e corrisponde al passaggio della presidenza della Sezione Campania da Spirito a Gerundo. Il risultato delle edizioni precedenti è che la Giornata ha guadagnato una maggiore centralità nell’attività della sezione anche in virtù di una crescita dei soci accademici e ricercatori i quali si rendono maggiormente disponibili a collaborare per la buona riuscita del convegno. Sebbene il nucleo principale rimane innestato nella Federico II, si affiancano con importanti contributi il gruppo dell’Università di Salerno e del CNR. L’impegno lavorativo nell’università degli organizzatori non comporta chiusura in un lavoro puramente teorico, ma è orientamento generale un altrettanto legame alle prassi come momento di 172


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conoscenza e verifica. Per questo motivo, oltre che a partecipare alle società scientifiche per i temi universitari, cerca, con l’associazione all’INU di spaziare nelle interazioni delle varie componenti e soggetti coinvolti nell’urbanistica del nostro paese. Un altro segno di maggiore coinvolgimento è l’affiancamento al coordinatore di sessione di un discussant, portatore di una diversa prospettiva sull’argomento. Tra le maggiori novità del secondo periodo è la stampa in volume degli atti con la creazione di un’apposita collana presso le edizioni ESI di Napoli, diretta da Roberto Gerundo. L’autore di quest’articolo continua a prendersi la responsabilità della relazione di apertura al convegno e del capitolo introduttivo del volume degli atti. Il call è diventato una piccola brochure di una decina di pagine e cresce il coinvolgimento dei responsabili di sezione con la redazione della propria parte del call. In questa fase si determina anche uno slittamento tematico. Non basta più andare a cogliere spunti innovativi poco conosciuti ma promettenti per le pratiche dell’urbanistica, poiché viene maturando l’idea che l’impegno non si debba limitare a spingere le conoscenze verso nuovi orizzonti che possano arricchire, ampliandolo ed integrandolo, un corpo disciplinare solido e verificato ma solo un poco invecchiato. Piuttosto, sulla base di una più radicale insoddisfazione per l’operare dell’urbanistica e un giudizio più severo delle ragioni della sua crisi, si ritiene necessaria una profonda revisione critica ed un rinnovamento radicale. Su tali basi, si chiamò la comunità scientifica a ragionare sulle convinzioni più di fondo, per lo più lasciate come scontate e immutabili, le quali dovevano essere verificate rispetto alle nuove domande che venivano da una svolta storica che aveva mutato i parametri del moderno, su cui si fondava la nostra dottrina. Perciò non deve sorprendere il titolo filosofico della IV Giornata del 2008, “Urbanistica fra Etica ed Estetica” con la quale s’intendeva richiamare i due impegni fondamentali dell’urbanista. Quello sviluppato attraverso le sue capacità creative e rivolte alla realizzazione della città bella, con tutte le sfumature che quest’appellativo evoca nelle diverse concezioni estetiche come qualità che appagano il benessere, da un lato, e gli obblighi verso la società nell’espletamento dell’attività professionale e di ricerca, dall’altro (Romano 1993, Howe 1990, Lo Piccolo, Thomas 2008). Questa riflessione voleva condurre anche alla condivisione di un codice deontologico degli urbanisti che non è finora emerso con le sue specificità da quello degli ordini professionali di architetto e ingegneri, ma che riveste profili di responsabilità sociale e politica ben diverse e coinvolge tutte le professioni coinvolte nella pianificazione dello spazio delle comunità (Moccia 2011a) Nell’esplorazione delle convinzioni profonde c’era il nesso tra le trasformazioni e il governo del territorio e i cambiamenti e il governo della società, quest’ultima oggetto della politica. In quel periodo si andava sviluppando quell’attività dei cittadini che definisce il quadro dei valori e degli obiettivi che formano la cornice dell’attività tecnica e scientifica dell’urbanistica e gli stessi urbanisti chiamavano a intervenire nei processi decisionali sull’avvenire delle città (Forester 1988, Moccia 1995). La V Giornata si dedicò, all’analisi tra urbanistica e politica la ricognizione dei rispettivi limiti, autonomie e relazioni dispiegando un repertorio articolato di apporti reciproci (Mazza 2009, Moccia 2011b). In quegli stessi anni si andava propagando l’allarme dell’Onu sui cambiamenti climatici e i rapporti di IPCC (2004), successivamente sviluppati dall’UNEP (2007) additavano le città come le fonti principali di produzione dei gas climalteranti. Queste nuove tesi scientifiche mettevano sotto rinnovata luce tutta la questione ambientale e davano una forte spinta per superare l’allora prevalente tendenza alla sola conservazione della natura come essenziale impegno in cui si esauriva la responsabilità dell’urbanistica verso l’ecologia (Moccia 2009). La contaminazione con il progetto di paesaggio se era stato fertile nell’integrazione della città con la natura e la valorizzazione del terzo paesaggio come risorsa ambientale e funzionale, non andava a intaccare la fabbrica di veleni che il funzionalismo aveva messo a punto con la trasformazione della dimora dell’uomo in macchina di produzione e consumo (Sachs 2010). Per affrontare questi problemi, quella volontà di rinnovamento radicale trovò una precisa direzione da additare alla comunità degli urbanisti, in primo luogo in termini di critica, per svelare i danni ambientali prodotti dalle città che continuiamo a progettare. “Città senza petrolio”, nel 2011, fu lo slogan che voleva indurre a quest’analisi accedendo l’attenzione su quanto energia e trasporti fossero determinati per la forma urbana e come una diversa prospettiva indicata l’anno successivo in “La città sobria” potesse spingere a costruire modelli e sperimentazioni per affrontare la crisi (Moccia 2011c).

2.3. Il periodo della leadership

Il terzo periodo è quello che realizza il balzo più sensibile nella storia delle Giornate. Con la mia presidenza della sezione Campania, si crearono le condizioni perché contenuti e organizzazione fossero portati direttamente nelle decisioni del CDN con il coinvolgimento in prima persona della presidente Viviani. La pubblicazione degli atti passò dall’ESI a Urbanistica Informazioni e Francesco Sbetti fu capace di produrli on line in modo che potessero essere accessibili ai partecipanti nello stesso giorno del convegno. INU edizioni, che 173


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aveva appena aperta una collana per saggi scientifici, Accademia, pubblicò il post-conference book, con la sintesi delle maggiori acquisizioni. Alle sessioni di presentazione delle relazioni (sia di ricerche che di piani e progetti) si aggiunsero le tavole rotonde, maggiormente dedicate a discussioni su problemi emergenti. Con esse, che potevano essere proposte in risposta al call, e con l’aumento del numero delle tracce, i protagonisti della Giornata aumentarono e, insieme ad essi l’articolazione e la varietà degli argomenti raggiunse uno spettro ancora più esteso. Si registra anche un balzo notevole del numero dei partecipanti che si avvicinano al mezzo milione, e non mancano presenze straniere e presentazioni in inglese. In accordo con il salto organizzativo, assume anche un aspetto diverso l’argomento della giornata, perché deve ora necessariamente superare tanto gli argomenti di nicchia che quelli più radicalmente innovativi senza perdere con essi la continuità di uno sviluppo il cui approdo non più che essere un impegno più incisivo per il cambiamento della realtà. In questo senso, la svolta tende a una maggiore convergenza con il ruolo dell’INU nell’urbanistica italiana, con quella sua fondativa e sempre desiderata vocazione alla guida, riservando all’urbanistica un ruolo nell’evoluzione della società (Olivetti 1945). L’attualizzazione di questa funzione riguarda tanto l’evoluzione della modalità di leadership, con il grande ampliamento dei suoi connotati partecipativi e comunitari, quanto quello delle domande di cambiamento che vengono dal paese in marcia verso una economia postindustriale in un contesto globalizzato. Una volta che si era indagato intorno al modello di città nelle precedenti tre edizioni, “Una politica per le città italiane” puntava alla rassegna delle problematiche che emergevano dalle conoscenze tecniche e all’individuazione dei temi da indicare al governo e all’opinione pubblica perché determinasse priorità e obiettivi, ricordando come l’urbanistica, in Italia, era stato strumento di trasformazione del sistema urbano del paese secondo gli obiettivi che la collettività nazionale si era data nelle sue diverse fasi di sviluppo nel dopoguerra (Campos Venuti 1990). La IX Giornata ha continuato a seguire questo filone focalizzando su quello che si ritiene il nocciolo dell’urbanistica, la costruzione della città pubblica, che si basa sulle relazioni urbane fisiche e virtuali (Sepe 2013). La sofisticazione crescente dell’infrastruttura delle comunicazioni e che regge, in generale, tutti i tipi di relazione nelle società urbane non solo pone questi fatti al centro dell’adeguamento tecnico per la loro progettazione e gestione nel contesto urbano, ma le rende anche oggetto primario di politiche urbane se si vuole puntare a innovazioni rilevanti. A partire dall’VIII edizione della Giornata, ad essa si affianca il Premio INU della Letteratura Urbanistica

3. Gli elementi di continuità

Nell’evoluzione delle Giornate si è cercato di cogliere degli elementi di crescita nell’attrazione da esse esercitate nei confronti della comunità scientifica, professionale e amministrativa e nel mondo INU. Nonostante i continui cambiamenti, le Giornate hanno mantenuto fissi molte caratteristiche che le fanno riconoscere e distinguere. Tra esse, nonostante la crescita dei partecipanti e la moltiplicazione delle presentazioni, la concentrazione di tutta la manifestazione in 10 ore, si potrebbe ascrivere alla sua accessibilità insieme ai costi sempre estremamente contenuti grazie anche all’ospitalità dell’Università. Probabilmente le avrebbe giovato una formula itinerante capace di coinvolgere più Sezioni regionali e ampliare il numero degli organizzatori, tuttavia l’iterazione sempre nella stessa città di Napoli, ha fissato l’abitudine a un appuntamento, anche uniformandosi ad altre prestigiosi convegni INU tutti con sede stabile come la Biennale dello Spazio Pubblico e Urbanpromo. In questo quadro, la distribuzione geografica già orientata verso il centro e il nord si equilibra con un polo meridionale. In aggiunta, nonostante il peso dell’impegno, e qualche evoluzione della struttura organizzativa locale, dove nell’ultima fase si è affermata la guida di Marichela Sepe, la reiterazione ha favorito una certa professionalizzazione sebbene si tratti sempre e comunque di lavoro volontario. Struttura dei call e programma hanno sempre mantenuto uno schema fisso; l’uno con un tema principale articolato in sottotemi, l’altro con sessioni plenarie in apertura e chiusura e sessioni parallele al centro. Sotteso a queste stilizzazioni, c’è sempre stato lo sforzo di invogliare alla massima partecipazione: selezionando gli argomenti più sentiti dalla comunità urbanistica, articolandola secondo i più diversi approcci, avendo attenzione alle specializzazioni all’interno del settore, richiamando le linee di ricerca che si andavano sviluppando. Ha tenuto assieme tutti questi diversi dispositivi l’unico scopo di fare dei partecipanti i protagonisti delle giornate, facendo grande attenzione allo spazio per comunicare le proprie ricerche e progetti, dando le opportunità di confronto e crescita, mettendo al centro i paper, la loro comunicazione, il loro miglioramento, semmai sacrificando lo spazio dei keynote speakers o una gerarchizzazione del programma e dei suoi tempi. È forse, proprio questa grande cura del singolo e meno noto partecipante che fa la popolarità delle Giornate, sia in termini organizzativi che nel coglierne gli interessi. Su questa linea si dovrebbe continuare a fornire un apprezzato servizio al mondo INU e non solo. 174


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Bibliografia Blecic I., Cecchini A., 2016, Verso una pianificazione antifragile. Come pensare al futuro senza prevederlo, Milano, Angeli. Borri D., Barbanente A., Khakee A., 2000, “Expert and Experiential Knowledge in Planning”, Journal of Operational Research Society, v. 51, p. 776-788. Campos Venuti, Giuseppe, 1990, La terza generazione dell’urbanistica, Milano, Angeli Castells M., 1991, The Informational city, Cambridge, Mass., Basil Blackwell ESPON, 2004, Potentials for polycentric development in Europe, Nordregio, www.espon.eu Forester J. 1988, Planning in the face of the power, Berkley, University of California Press Friend J., Hickling A., 1987, Planning Under Pressure. The Strategic Choice Approach, Pergamon Press, Oxford Howe E., 1990, “Normative Ethics in Planning, Journal of Planning Literature,(November) n. 5, p. 123-150 IPCC 2004, Fourth Assessment Report, Working Group III Lo Piccolo F., Thomas H., 2008, “Research Ethics in Planning: a Framework for Discussion, Planning Theory, (March), n. 7, p. 7-23 Mazza L., 2009, “Pianificazione strategica e prospettiva repubblicana”, Territorio, n. 48, p. 124-132 Moccia F. D. e Marichela Sepe (curatori) 2003, I progetti integrati territoriali. Esperienze avanzate in Campania, Napoli, Graffiti Moccia F. D., 1995, “John Forester e l’urbanista come agitatore politico”, CRU-critica della razionalità urbanistica, n. 4 (secondo semestre), p. 79-91 Moccia F.D., 2000, “Comuni sotto pressione. La risposta della pianificazione strategica”, Urbanistica, a. LII, n. 115 (dicembre), p. 153-159 Moccia F.D., 2009, “L’urbanistica nella fase dei cambiamenti climatici”, Urbanistica, a. LXI, n. 140 (settembre-dicembre), p. 95-102 Moccia F.D., 2011a, “Codice deontologico per la pianificazione”, Urbanistica, a. LXIII, n.147 (luglio-settembre), p.72-76 Moccia F. D., 2011b, “Nuove prospettive nel rapporto tra urbanistica e politica”, F. D. Moccia (curatore), Urbanistica e politica, Napoli, ESI, p. 11-22 F. D. Moccia, 2011c, “Indirizzi operativi per una urbanistica ecologica”, F. D. Moccia (curatore), Abitare La Citta’ Ecologica / Housing Ecocity, Clean, Napoli, p. 113-128 Olivetti, Adriano, 1945, L’ordine politico delle comunità, Ivrea, Nuove Edizioni Ivrea Romano M., 1993, L’estetica della città europea. Forme e immagini, Torino, Einaudi Sachs J. D., 2010, Il bene comune. Economia per un pianeta affollato, Milano, Mondadori Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo, 1999, http://inforegio.cec.eu.int_voce documenti Scott A. J., 2001, Le regioni nell’economia mondiale. Produzione, competizione e politica nell’era della globalizzazione, Bologna, il Mulino Sepe M. 2013, Planning and Place in the City. Mapping Place Identity, London, Routledge Simon H. A., 1983, La ragione nelle vicende umane, Bologna, il Mulino UNEP, United Nations Environment Programme, 2007, Buildings And Climate Change. Status, Challenges and Opportunities.

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Una Mappatura del Paese attraverso Urbanistica Informazioni di Francesco Sbetti Direttore di Urbanistica Informazioni

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primi anni duemila si aprono all’insegna delle riforme urbanistiche promosse dalle regioni. Di fronte all’incapacità dei governi che si succedono di varare la necessaria riforma dell’ordinamento urbanistico ormai vecchio di oltre mezzo secolo sono le regioni che affrontano il tema e lo fanno certamente con una logica innovativa. Si tratta però di una riforma incompiuta perché non tutte le regioni hanno sviluppato un’ipotesi basata su di un piano strutturale non conformativo portatore di una visione strategica e di un piano operativo di durata limitata con una nuova attenzione ai temi del territorio, del paesaggio e agli irrisolti problemi dell’edilizia sociale. Con l’avvio di queste nuove leggi, solo parzialmente soddisfacenti perché in alcuni casi sono norme formali e spesso vanno a confermare la vecchia struttura regolativa del Prg inefficace di fronte agli attuali processi di trasformazione territoriale, si apre comunque una stagione di sperimentazione e di nuovi piani. Una stagione sicuramente interessante e portatrice di una visione che metteva al centro il “governo del territorio” e non più solo le norme per il “governo dell’edificazione”; che ha introdotto studi e regole per la difesa del suolo, la tutela del paesaggio oltre a sperimentare forme perequative per finanziare la città pubblica. La crisi ha scardinato tutto questo impianto perché nella pratica e anche nelle intenzioni il modello era ancora una volta incentrato sulla crescita per espansione e perché le riforme regionali hanno incominciato ad incrinarsi il giorno dopo essere state approvate. Proroghe delle vecchie normative, l’impreparazione tecnica degli urbanisti così come degli istruttori incaricati a valutare i piani, l’incapacità di praticare un processo co-pianificato tra gli Enti piuttosto che gestito in forma piramidale, hanno fatto prevalere gli apparati burocratici e trascurare l’ opportunità offerta dalla nuova concezione dei “quadri conoscitivi”, strumenti di conoscenza condivisa e di saperi esperti per sviluppare le scelte di piano. Questa stagione urbanistica risulta però segnata anche dalla assenza di risorse pubbliche e dalla ridotta possibilità di attrarre risorse private e quindi fortemente condizionata nella possibilità di utilizzare pienamente gli strumenti tradizionali (esproprio) e innovativi (perequazione) per la costruzione della città pubblica e per rispondere alla domanda di edilizia residenziale sociale. Con la crisi il tema del governo del territorio e le politiche di piano diventano completamente assenti dai programmi di governo e dalle azioni amministrative degli Enti Locali. Tutti sembrano pentiti della “stagione riformista” dei primi anni 2000 e preferiscono seguire la strada della “semplificazione” prefigurando una sorta di modello che si stabilizza attraverso interventi “in deroga”, un governo di “scopo” che superi la necessità del piano. Ancora una volta l’urbanistica viene sospesa, l’area vasta viene liquidata come problema assieme alle provincie, le aree metropolitane sembra non interessino nessuno e così la riorganizzazione istituzionale e amministrativa del Paese viene anch’essa lasciata ai comuni i quali stanno cercando di aggregarsi in modo più o meno casuale per raggiungere i 5000 abitanti che le leggi di riduzione della spesa hanno deciso. La stagione delle riforme urbanistiche regionali, in assenza e nell’incapacità di affrontare da parte dello stato la difesa del territorio e la risposta alle domande di qualità urbana, si è caratterizzata come una occasione in gran parte perduta, perche sono arrivate troppo tardi, quando cioè i grandi processi insediativi erano già stati realizzati e perché comunque non sono state in grado di produrre un cambio di rotta, una discontinuità con la politiche di premio della rendita. Ne sono prova e testimonianza la sovrapproduzione edilizia residenziale, produttiva e terziaria del decennio 1998 -2008, l’incapacità di avviare processi di risanamento ambientale e rigenerazione urbana per il mantenimento degli equilibri eco sistemici: forestazione urbana, opere di sistemazione idrogeologica per la messa in sicurezza degli insediamenti, corridoi ecologici. In questo quadro l’unica cosa certa è il progressivo e continuo consumo di suolo. Si tratta di una emergenza rilevante per la quale esistono diversi disegni di legge nazionali e regionali. Consumo di suolo zero non significa occupare ogni spazio libero da edificazioni, quanto piuttosto rispondere alle domande e a tutti i fab177


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bisogni (compresi quelli di verde e di reti ecologiche) utilizzando gli spazi che si sono liberati da funzioni che hanno perso la loro ragione originaria (caserme, fabbriche, scuole, manicomi ...), andando a riconoscere le nuove caratteristiche che ha assunto la città contemporanea sia dal punto di vista ambientale, che economici che propriamente urbanistico. Affrontare il tema della riduzione del consumo di suolo significa affrontare anche il tema dell’agricoltura e dei modi di produzione agricola, troppo spesso estranei al territorio e incuranti dei consumi idrici ed energetici che comportano, così come significa guardare il territorio in chiave ecologica, con attenzione ai processi naturali oltre che alla sempre disattesa difesa del territorio.

Le mappe di Italia così come emergono dall’Osservatorio di Urbanistica Informazioni disegnano un profilo tematico incentrato su poche ma chiare parole chiave.

La prima: rischio, parola chiave che comprende: alluvioni, frane, terremoti, dissesto idrogeologico. Emergenze ambientali che continuano a segnare i nostri territori e continuano perché la difesa del suolo non è stata affrontata con piani e investimenti strutturali. Di fronte ad una situazione che, con frequenza costante, è costretta a registrare “normali” catastrofi che è sempre più difficile etichettare come “naturali” e che contemporaneamente registra le denuncie rituali, di fatto senza risultati, di ambientalisti, geologi e urbanisti per la mancata difesa del territorio, sembra essere impotenti e condannati a piangere le vittime. È proprio a partire dalla riflessione attenta sulle origini delle catastrofi e sulle possibili azioni di prevenzione, che le proposte di “riforma” devono mettere al centro dei piani urbanistici la conformazione del territorio prima della conformazione dei diritti ad edificare. Alluvioni, terremoti e tutte le “calamità naturali” aggravate dal cambiamento climatico impongono una azione e una dotazione di risorse straordinarie per mettere in sicurezza il territorio. Un programma coordinato tra Stato e Regioni per individuare le zone a rischio, imporre nuovi e appropriati vincoli e un piano decennale di interventi fuori dal Patto di Stabilità. La seconda: casa, portato in primo piano da una situazione di crescente emergenza con sempre meno disponibilità di risorse oltre che di politiche per affrontarla. Negli ultimi anni abbiamo costruito moltissimo e oggi disponiamo di tanti alloggi obsoleti, vuoti o troppo costosi presenti sul mercato. Una grande risorsa (circa trenta milioni di unità immobiliari) mal utilizzata che richiede un recupero di qualità e la necessità di dare risposta alla nuova domanda abitativa. La terza parola chiave di questi anni si riferisce alla questione dell’ ambiente e paesaggio, e costituisce la registrazione e la denuncia della continua occupazione di suolo extraurbano e la sua trasformazione in suolo urbano, con intensità e quantità notevolissime rispetto al passato e dall’acuirsi delle problematiche energetiche con la tendenza ad aggravarsi sempre di più nella città che si dilata sul territorio moltiplicando i consumi. Gli anni del secondo decennio del 2000 vedono la dominanza della parola chiave progettazione urbana che comprendente i temi della riqualificazione e rigenerazione indirizzate a promuovere politiche che a partire dalla volontà di intervenire sul consumo sregolato di suolo e della conseguente congestione determinata dai flussi pendolari, agisca attraverso politiche urbane di densificazione e sostituzione. Politiche che necessitano di forte regia pubblica, incentivi e consenso degli abitanti. Considerando lo stato della pianificazione le mappe che emergono una serie di segnali contraddittori: • in alcune regioni si continuano a fare piani (molti, anche se a volte sembrano dei puri adempimenti burocratici), in altre non si fanno proprio e si sceglie di governare senza piano; • si fanno comunque meno piani e si ha meno fretta di farli; venuta meno la pressione edilizia per molti Sindaci non c’è ragione di impegnarsi in avventure costose, lunghe e piene di insidie burocratiche e politiche (le giunte nonostante tutto cadono ancora sui piani); • le deroghe al piano stanno diventando la nuova e vera forma di governo del territorio. Il Piano Casa, anche se con esiti lontani da quelli auspicati, in molte Regioni sta per passare da deroga a norma producendo consumo di suolo ed espansione senza qualità e servizi. Le normative di liberalizzazione all’insediamento delle attività commerciali, così come lo sportello unico per le attività produttive, in nome della libera concorrenza e del sostegno alle imprese per contrastare la crisi, aprono la strada ad un modello insediativo “casuale” dove la regola viene data alla proprietà dei terreni e alle capacità di investimento nelle aree più o meno dismesse. Il panorama è frammentario e complesso, la lettura che si manifesta dalle molte voci che vanno a comporre Urbanistica Informazioni afferma che serve il piano e serve un piano autorevole e capace di governare la complessità della città contemporanea, la urgente necessità della difesa del territorio, attivare risparmio energetico e contenimento del consumo di suolo, tutelare e valorizzare il paesaggio. Piano e politiche per affrontare il tema della mobilità, della congestione del traffico e della carenza infrastrutturale nel trasporto pubblico oltre ad affrontare i fabbisogni abitativi e di servizi tuttora non soddisfatti. 178


LE MAPPE DEL PAESE CHE CAMBIA

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Di fronte a questa domanda la mappa di Italia del piano e delle politiche urbanistiche che affiora è sempre più lontana dal Piano tradizionale, anche dal piano riformato, una pratica che ha a che fare con esperienze sia botton up che top down e che a seconda dei luoghi, delle comunità e delle istituzioni coinvolte propone esperienze e soluzioni che attengono a: • la geografia amministrativa: unioni e fusioni sostenute diversamente dal passato da referendum che trovano il consenso di quasi la totalità dei cittadini; e su un altro versante l’attivismo nel quadro delle nuove dimensioni delle città metropolitane; • progetti di spazio pubblico nel patrimonio dismesso, interventi di rigenerazione urbana negli scali ferroviari, nelle caserme; • sperimentazioni di accordi con riconoscimento di interesse pubblico in piccoli e medi comuni; • la costruzione di alleanze e patti inediti tra territori rurali e metropolitani incentrati sul tema dei servizi tradizionali e delle dotazioni ecologiche; • la frontiera delle infrastrutture verdi e blu come alternativa e complemento alle infrastrutture grigie; • i territori della produzione tra dismissioni, nuovi insediamenti e il ritorno al centro di esperienze innovative. Progetti e politiche che partono dalla necessità di riconsiderare i nuovi scenari che si vanno a delineare e tra questi in primo luogo: • i profondi cambiamenti climatici e l’urgenza di azioni anche locali per contrastarli; • i processi di metropolitanizzazione, la continua espansione che genera alti consumi di suolo, diseconomie di scala e una progressiva disarticolazione delle funzioni urbane; • la minore disponibilità di fondi per gli investimenti sia da parte pubblica che da parte privata.

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BOX MAPPE D’ITALIA: INDICE DELLA QUALITÀ DEL FUTURO Graduatoria delle città italiane con la maggior propensione allo sviluppo. Pianificato, sostenibile e partecipato. A cura di Silvia Viviani e Gianluca Cristoforetti, INU L’idea: una valutazione della qualità del futuro

Oggi esistono nel mondo alcune forme di classificazione delle città come ad esempio “Le città più vivibili del mondo” (The World’s Most Livable Cities), un appellativo questo che viene assegnato alle realtà urbane quando si valutano all’interno di un’indagine (generalmente annuale) sulla qualità di vita. Due fra le classifiche più conosciute, ed autorevoli, a livello mondiale sono quelle della Mercer (società di consulenza con sede a New York) che pubblica l’Indagine sulla qualità di vita (Quality of Living Survey) e dell’Economist, che invece pubblica Le città più vivibili del mondo, e che fa uso comunque dei dati prodotti della Mercer. L’inchiesta sulla qualità di vita fatta dalla Mercer viene pubblicata annualmente, confrontando 215 città basandosi su 39 criteri. In Italia viene pubblicata la classifica sulla Qualità della vita nelle province italiane, grazie alla ricerca realizzata ogni fine anno dal Sole 24 Ore e giunta alla 24ª edizione. In questa ipotesi di collaborazione si propone di valutare e restituire, attraverso una graduatoria, la Qualità del futuro delle città italiane. Una classifica che non fotografa lo stato dell’arte ma che analizza le dinamiche, la propensione allo sviluppo, sostenibile ed intelligente, attraverso una accurata analisi del livello di pianificazione in tutti i settori strategici (dall’IT ai beni comuni) e la relativa capacità di attuazione. INU è sicuramente il soggetto più autorevole per costruire e gestire il percorso valutativo. La comunità come ambiente dover poter realizzare la qualità delle vite, la quantità e la qualità del lavoro. Ecco le due facce dei tasselli del nostro domino futuro, se vogliamo sperare di averne ancora uno. Ma la qualità della vita oggi è anche qualità del futuro? Esiste una modalità più corretta delle altre per mettere a sistema presente e le diverse idee di che cosa possa essere futuro? Valutare le scelte e le azioni messe in atto per determinare il futuro, dal latino futurus, essere. Quindi qualcosa che ci appartiene che è già parte della nostra vita, appunto nella prefigurazione di ciò che crediamo essere giusto per la vita delle nostre comunità. Valutare questa capacità è elemento imprescindibile per capire la “resilienza” delle città agli stimoli globali dell’economia. Il futuro nella concezione relativistica è la parte dello spaziotempo nel quale si trovano tutti gli eventi che ancora non

sono accaduti dato uno specifico sistema di riferimento. Ecco il campo di analisi per restituire una graduatoria della capacità di interazione tra sistema di riferimento (la pianificazione) e reazione (le scelte), senza l’incoerenza della contrapposizione tra velocità e lentezza.

A chi serve questo strumento

L’importanza deve essere data in via prioritaria all’utente della rete, un nuovo “servizio” (in senso lato) che propone un’opportunità per orientarsi e reperire le informazioni senza perdersi in una massa informe di dati sull’argomento (diverse graduatorie, diversi soggetti proponenti, quasi sempre non qualificati, caos mediatico). Questo per non dover essere alla propria scrivania per aver bisogno delle informazioni, che oggi sono di difficile reperimento (pianificazione dei comuni), incomprensibili nella loro evoluzione (attuazione delle pianificazioni), non connessi ad altri criteri di letture delle qualità (positive o negative dei territori). “La società attuale è sempre più mobile e meno disposta ad essere vincolata a un luogo fisso. Tramite i PDA, i telefoni wireless o le loro automobili, gli utenti desiderano che le informazioni vengano verso di loro.” La flessibilità dei tempi e degli spazi è un obiettivo importante: la convergenza dei dispositivi elettronici in dispositivi mobili sempre più miniaturizzati è un’opportunità irrinunciabile. Le informazioni che si possono offrire (rete di link) e la loro valutazione (autorità di valutazione) aprono uno scenario straordinario per professionisti, imprese, operatori dei media e cittadinanza attiva. • Alla città consente di effettuare un assessment per la loro roadmap di sviluppo, di posizionarsi rispetto alle atre città e di supportare con dati concreti e ponderati le scelte amministrative; • Alle regioni consente di realizzare un benchmark delle città sul proprio territorio al fine di valutare i differenti livelli di qualità del futuro e di mettere in campo politiche incentivanti; • Alla domanda ed all’offerta economica; • Ai cittadini/utenti; • Ai media.

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Gli esiti attesi

MAPPE D’ITALIA

Quali azioni quindi si rendono necessarie per un reale contributo alla diffusione della partecipazione creativa on line? “Una prima azione riguarda il riconoscimento, ove possibile, di comunità di intenti, intendendo con ciò comunità di persone che partecipano allo stesso processo o perseguono obiettivi simili. L’individuazione di questo tipo di comunità è funzionale a facilitare il raggiungimento reciproco di un fine comune. I membri di queste comunità si aiutano, spesso, condividendo esperienze, suggerendo strategie e scambiandosi informazioni sul processo in atto. La costruzione di comunità di intenti configura un processo sostanzialmente autogenerato, ma può beneficiare di strumenti, occasioni e opportunità volti a innescarne l’inizio. Comunità di intenti possono generarsi ogni qualvolta un tema sollecita la consapevolezza degli individui riguardo alla sua importanza per loro.” “Si possono poi identificare azioni finalizzate alla costruzione di riconoscibili comunità d’azione, tipiche di situazioni strutturalmente aperte, dove gli attori hanno la possibilità, e la percezione, di indurre un cambiamento. Una comunità d’azione possiede alcune caratteristiche tipiche delle comunità, come il sedimentarsi di un linguaggio comune e un apprendimento frutto delle relazioni tra partecipanti. Nel caso della comunità d’azione il riferimento ad un bene o interesse comune ha carattere più universale, sia nel senso di abbracciare un numero molto maggiore di individui, sia nel senso di affrancarsi dal riferimento contestuale e occasionale a questo o quel ‘problema’ da risolvere”. Le caratteristiche intrinsecamente positive sono la natura volontaria e l’importanza dell’obiettivo comune nel guidare le finalità della comunità. Comunità d’azione sono ad esempio quelle che si mobilitano dinnanzi a

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questioni e decisioni la cui importanza è decisiva per il senso di identità o per le linee di indirizzo generale che governano il piano di sviluppo di un territorio ampio. Temi eticamente sensibili o scelte strategiche di sviluppo sono alcuni dei temi rispetto ai quali la costruzione di comunità d’azione rappresenta uno snodo centrale per una politica autenticamente democratica e non solo blandamente demagogica. Oltre al ruolo auto- organizzativo degli individui, è centrale per la creazione delle comunità d’azione il ruolo di agenti che facilitano la costruzione dello spazio pubblico e la moltiplicazione delle occasioni di confronto e di discussione. Uno spazio sociale come estensione del concetto stesso di spazio pubblico da intendersi come “espace civilisé” territorio come spazio, come relazione di comunità e non confine.” Tipico del concetto di rappresentazione statica del dato. Le città perché: • le città svolgono funzione di gateway in quanto luoghi di accesso ai servizi materiali e immateriali da parte di economie urbane e territoriali e sono inserite in una dinamica competitiva che va oltre la scala locale, come a quella nazionale e internazionale; • il formarsi di vasti sistemi territoriali, che evolvono come piattaforme per offrire una gamma di opportunità di investimento, in cui la creazione di reddito e di occupazione si misura però con problemi di congestione, inquinamento e convivenza multietnica; • l’evolversi di un reale smart planning, neologismo internazionale associato al principio di pianificazione intelligente e sostenibile, che costituisce uno spunto di riflessione multidisciplinare fatto proprio e riproposto anche dalla UE;


BOX UN IMPEGNO CONTINUATIVO E TRE PASSI CONTRO LE MACERIE Il contributo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica 2009-2017 A cura di Silvia Viviani, Luigi Pingitore, Carlo Gasparrini, INU La posizione dell’Istituto espressa all’indomani del sisma del 6 aprile 2009

MANIFESTO degli URBANISTI per la Rifondazione dell’Aquila

L’INU

Istituto Nazionale di Urbanistica, ha messo a disposizione delle Amministrazioni locali abruzzesi ed in particolare del Capoluogo la notevole esperienza maturata dai propri soci (amministratori – professionisti – docenti universitari) nei precedenti eventi sismici che hanno interessato il nostro paese in particolare in quelli dell’Irpinia, del Friuli e dell’Umbria. A questa offerta del tutto gratuita e volontaristica ma al contempo ai più alti livelli disciplinari, nello spirito dello statuto dell’Ente, non ha fatto seguito nessuna richiesta da parte degli enti locali, né della protezione civile pur essendo da tutti riconosciuta l’assoluta eccezionalità dell’evento che ha praticamente distrutto uno dei più importanti centri storici dell’Italia Centrale. Oggi, a tre mesi dell’evento, e a fronte di un incerto quadro operativo caratterizzato da un lato da un dirigismo efficentista proprio dell’intervento emergenziale e dall’altro da una disarticolazione dell’attività delle amministrazioni locali configurata da un Decreto Legge costruito sulla base della separatezza delle fasi temporali e delle fonti di spesa, ma anche su quella delle responsabilità e delle competenze dei quattro commissari

l’Istituto Nazionale di Urbanistica promuove attraverso la diffusione del Manifesto degli Urbanisti italiani una necessaria riflessione sui temi della unitarietà del processo di governo della ricostruzione dell’Aquila. Questo processo deve ispirarsi a criteri di ragionevolezza condivisa, sostenibilità, coerenza ed in particolare dovranno essere garantiti: 1. Il ruolo della conoscenza, della partecipazione e della comunicazione come fattori di reale democrazia e di sviluppo 2. Una Visione guida condivisa nella ridefinizione dei ruoli di una capitale regionale, attraverso la ricostruzione con tecnologie innovative della sua Armatura Urbana e territoriale 3. La città storica e la città consolidata al centro del processo di ricostruzione; il governo dei meccanismi perequativi e premiali

4. La qualità di vita nell’ambiente costruito riferita alla continuità delle reti verdi ed al contenimento del consumo di suolo 5. Un sistema di Governance plurilivello che sostituisca le Ordinanze commissariali

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ONOSCENZA, PARTECIPAZIONE, COMUNICAZIONE - La destrutturazione della società locale prodotta dal terremoto può avere una sua compensazione e un suo nuovo asse ordinatore proprio nel sistema della conoscenza. Conoscere cosa è successo, conoscere quello che viene fatto, conoscere quello che ne pensa la cittadinanza. Costruire il sistema della conoscenza e con esso quello della comunicazione e della partecipazione è il primo impegno anche nella emergenza. Conoscenza condivisa come patto sociale per la ricostruzione, che conferisca identità e senso ai luoghi ma anche come sistema di indicatori per la Valutazione dei rischi (Vedi anche punto 4 - Qualità della vita).

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ISIONE GUIDA – ARMATURA URBANA - Costruire una visione guida attraverso le prassi della conoscenza e della partecipazione alle scelte è il compito primo delle amministrazioni che devono superare la segmentazione imposta dal decreto. La Visione guida dell’Aquila post terremoto non può derivare dalla sommatoria degli interventi e delle “offerte” che oggi non sempre disinteressatamente si accavallano. La definizione di un’armatura urbana che superi le storiche insufficienze di quella pre terremoto e che interpreti un ruolo di capitale regionale sinora dimezzato appare un obiettivo sicuramente strategico al quale pervenire rapidamente con una plurilivello governance (vedi punto 5). Su queste armature urbane e territoriali dovrà essere regolato il processo di ricostruzione pubblico e privato attraverso modalità perequative ed eventuali premialità all’innovazione. Saranno le nuove centralità a definire il ruolo ma anche la dimensione della nuova Aquila.

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ENTRO STORICO - Il centro storico dell’Aquila, di notevolissima estensione (oltre 160 ha) era prima del terremoto abitato da circa 7.000 re-

sidenti e da oltre 8.000 studenti proponendosi piuttosto come un campus universitario diffuso. In questo ambiente denso di monumenti di assoluto valore ma caratterizzato anche da un particolarissimo tessuto urbano il cui valore ambientale era costituito dall’impianto ortogonale della lottizzazione angioina “modificato” da una stratificazione accellerata da precedenti terremoti, sono presenti oltre 800 attività commerciali e moltissimi studi professionali oltre alle sedi di rappresentanza delle amministrazioni e di numerosi enti. Questo impianto urbano complesso e al contempo fragile non può essere “perimetrato” con i meccanismi del Decreto e delle Ordinanze. Si tratta di interpretare i temi simbolici e identitari (conferimento di senso) ma anche quello delle interazioni sociali che governavano questo processo. La garanzia per i cittadini e gli utenti della città storica di “partecipare” alla ricostruzione passa attraverso una chiarezza della modalità di intervento (costituzione di laboratori di “quarto”) evitando lo stravolgimento dei quadri proprietari che costituiscono le matrici delle strutture sociali. Si propone di definire con uno specifico testo legislativo anche regionale le modalità di intervento nei tessuti storici della città e del comitatus, individuando al contempo ulteriori risorse anche comunitarie.

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UALITÀ DELLA VITA - La ricostituzione dell’Ambiente Urbano (non solo quello della città storica) impegna un sistema urbano complesso che si estende per circa 10 km inglobando nuclei storici, tessuti consolidati, parti di città in formazione, aree dimesse e notevoli parti residuali di una naturalità che partecipa dei parchi naturali del Gran sasso e del Velino Sirente. In questo sistema si sono già oggi inseriti elementi di forte impatto paesaggistico ambientale quali gli insediamenti delle C.A.S.E. che alterano sia gli equilibri dei centri minori ai quali sono stati “sovrapposti” sia quelli delle aree agricoli che hanno investito. Le stesse deliberazioni comunali relative alla “liberalizzazione” degli interventi privati emergenziali rappresentano una pesantissima compromissione del territorio in quanto autorizzati anche in deroga ai

vincoli paesaggistici e ambientali. Così come la pressione che la leva fondiaria rappresenta sempre nel dopo terremoto in presenza di strumenti urbanistici superati (PRG 75) o inefficaci (PS 2004), rischia di compromettere pesantemente l’intero sistema ambientale interrompendo la continuità vegetazionale e consumando suolo con uno sprowl di iniziative. Rispetto a questo appare indispensabile definire in coerenza con le iniziative regionali (DdL Norme di Governo del territorio, nuovi Piani Paesaggistici Regionali) un quadro conoscitivo condiviso da assumere a base delle scelte nel breve periodo.

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OVERNANCE PLURILIVELLO - L’intero processo deve assumere la governance plurilivello come modalità decisionale attuando nei fatti il superamento dello “spezzatino” prefigurato dal Decreto. La Governance si potrà sostanziare in “luoghi” di interazione e in particolare dovrà fornire anche con provvedimenti specifici (leggi regionali ) quello che manca nel quadro sino ad oggi prefigurato come è avvenuto nella esperienza del Friuli. I suoi primi impegni saranno la definizione di: • Una Legge sulla città storica. • Criteri omogenei per la valutazione del danno ed un prezziario condiviso anche dall’utenza. • Nuovi strumenti per il partenariato pubblico privato. • Una struttura di controllo e monitoraggio dei processi.

* vedi materiale LAURAq www.laboratoriourbanisticoaquila.eu

Tre passi contro le macerie Documento presentato al Consiglio dei Ministri, Roma 6 settembre 2016 L’esperienza e le conoscenze maturate nell’urbanistica di paesi terremotati e ricostruiti possono essere spese in soccorso e aiuto per evitare gli errori passati. Il nostro compito è rappresentare la complessità della ricostruzione e rendere i passi da compiere più semplici da comprendere e da praticare, distinguendo il breve dal lungo periodo, perché il cambiamento sia efficace e duraturo. Il contrasto alle condizioni di rischio del nostro Paese - in primis quello sismico, geomorfologico e idrogeologico - richiede l’adozione di politiche, piani e progetti fortemente connotati da un approccio adattivo (caso per caso), multiscalare (dalla scala sovracomunale a quella micro locale), multidimensionale (caratterizzati cioè da una elevata capacità di integrazione di saperi, competenze e soggetti).

La scorciatoia delle soluzioni settoriali, affidate a singole discipline specialistiche, ha sempre prodotto un impoverimento delle azioni e una riduzione complessiva della loro efficacia. In questo senso la centralità dell’urbanistica come campo interpretativo e progettuale di convergenza e integrazione tecnico-decisionale costituisce un riferimento essenziale e un terreno di lavoro ineludibile. Ciò peraltro richiede un mutamento sostanziale della disciplina per meglio accogliere le istanze che le condizioni di rischio pongono. La giusta prospettiva che il Governo avanza per una ricostruzione in sito dei centri storici colpiti dal terremoto del 24 agosto è condivisa dall’Istituto Nazionale di Urbanistica: no a New Towns lavorando su alloggi effettivamente transitori, nomina di figure delle istituzioni esperte come

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UN IMPEGNO CONTINUATIVO

Vasco Errani e Giovanni Azzone, coinvolgimento pieno degli enti locali nella ricostruzione sono scelte positive e condivisibili. Sono molte le proposte e le indicazioni che dai soggetti esperti in campi disciplinari diversi stanno arrivando e arriveranno al Governo. Non ripetiamo quanto suggerito, deciso o in corso di elaborazione. L’INU, quale Ente di alta cultura e di coordinamento tecnico giuridicamente riconosciuto, è impegnato da molto tempo sui temi della prevenzione e della ricostruzione urbana, con il pieno e qualificato coinvolgimento della propria base associativa: il mondo delle professioni e quello accademico, gli enti associati. Oggi l’INU risponde con proposte operative all’appello della Presidenza del Consiglio rivolto agli esperti; indica quanto è già disponibile e quanto potrà essere prodotto per fornire in tutto il Paese il medesimo diritto alla sicurezza tramite azioni di governo pubblico e interventi privati, solidali nella consapevolezza del rischio e nella necessità della prevenzione; garantisce l’impegno continuativo per la messa in opera di CASAITALIA; offre la disponibilità a collaborare con il Governo, la struttura commissariale, le istituzioni locali.

Passo 1- conservazione attiva PIANI, PROGETTI, PROGRAMMI INTEGRATI

Politiche per la sicurezza territoriale, il paesaggio, il turismo e le nuove economie, per la tenuta dei centri storici minori, dei piccoli Comuni e per le aree interne hanno tratti comuni: riguardano la conservazione dei valori duraturi come potenziali di sviluppo. La continuità del ruolo e della complessa identità dei centri storici, dei piccoli capoluoghi locali, delle frazioni e dei borghi nei piccoli Comuni si lega all’equilibrio delle funzioni, residenziali e produttive, alle forme e alla funzionalità degli spazi pubblici, alla permanenza delle funzioni civili e culturali. È di questo che si deve occupare la ricostruzione, accompagnando la fisicità della rimozione delle macerie e della riedificazione in condizioni di stabilità, con un complesso di politiche che si occupino delle relazioni materiali (la sicurezza, peraltro non solo puntuale del singolo edificio) e immateriali (le politiche sociali ed economiche). Più che mai è richiesto il superamento dello sguardo edilizio, anche laddove esso, in modo esperto, si occupa di garantire la stabilità dei fabbricati. Un legame vitale è quello con il contesto: è importante riconoscere un ambito di interesse complesso (territoriale, ambientale, economico, sociale e paesaggistico) e ampio, ove sono compresi anche i modelli di uso, le prospettive e le relazioni visive, le pratiche sociali e culturali, i processi economici e le dimensioni intangibili in relazione alla diversità e all’identità, l’accumulo di attività umane che hanno forgiato i caratteri attrattivi, influenzano le

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nostre percezioni, permettono di ricostruire un futuro. Questo approccio serve per cogliere l’interrelazione tra i valori del patrimonio materiale e quelli del patrimonio immateriale costituito dai valori culturali, affettivi, simbolici, che risiede nell’immagine condivisa del proprio territorio. Questa identità è uno dei valori principali del patrimonio dell’umanità, esposto al pericolo, anche a quello della perdita determinabile nei processi di ricostruzione. Un bilancio positivo, nelle tragiche vicende che hanno colpito il nostro Paese, si ha dove le comunità locali hanno gestito consapevolmente le risorse dello Stato; quando si è teso al ripristino dei valori collettivi e degli spazi pubblici; laddove vi è stata unità tra gli organismi di governo e quando sono stati definiti progetti realizzabili perché condivisi con le comunità. Senza una tale idea di città, è difficile immaginare che la ricostruzione si faccia senza ridursi, nel migliore dei casi, a un parziale, episodico e precario “com’era dov’era” di incerta prospettiva. Ciò presuppone una riflessione immediata e strategica sul futuro dei centri colpiti dal sisma per identificare azioni praticabili in grado di consolidare economie fragili ma persistenti e prefigurare nuove direzioni di sviluppo. Turismo culturale e ambientale, nuove forme di economia della cultura, consolidamento delle vocazioni agro-forestali ed eno-gastronomiche possono rendere attrattivi questi luoghi per nuovi abitanti, soprattutto delle fasce giovanili, in una strategia estesa all’intera dorsale appenninica. In questa direzione si ritengono utili la programmazione per progetti d’area previsto dal documento del MEF Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance; l’attivazione della rete dei Comuni; l’utilizzo sinergico dei Fondi Strutturali 2014-2020. La ricostruzione si configura un progetto collettivo e strategico, che ha cura dell’insieme e dei dettagli, delle relazioni e delle pratiche d’uso. Una condizione essenziale è data, pertanto, dalla partecipazione e dalla responsabilizzazione attiva delle comunità nel processo che va dalla progettazione alla gestione. Un’altra è la costruzione di un processo maturo e condiviso che riguarda cause del rischio e loro riduzione, base essenziale per l’efficacia della prevenzione. Vanno innanzitutto messe in opera, con urgenza, modalità interpretative, metodi e strumenti aggiornati e omogenei a livello nazionale, relativi alla lettura integrata delle condizioni di rischio sismico, geomorfologico e idrogeologico. Tale elaborazione potrà essere affidata a un tavolo interistituzionale costituito dai principali organismi pubblici competenti in materia (Ispra, Enea, CNR), dalle Regioni e dalle Autorità di Bacino, in accordo con le Università e le altre istituzioni culturali e scientifiche competenti in materia. Sulla base del lavoro del Tavolo va previsto, in tempi certi, l’adeguamento della pianificazione e programmazione sovraordinata e, contestualmente, avviate campionature mirate alla scala comunale di monitoraggio approfondito delle previsioni urbanistiche comunali vigenti, da estendere progressi-


UN IMPEGNO CONTINUATIVO

vamente e opportunamente al resto del territorio italiano che è a rischio. Il monitoraggio deve essere finalizzato a verificare la congruenza tra previsioni urbanistiche e il complesso delle condizioni di rischio. Ciò potrà consentire, anche in base a una verifica aggiornata del dimensionamento dei piani, la cancellazione dei diritti edificatori e il trasferimento compensativo di quelli non eliminabili in territori già urbanizzati; la demolizione e ricostruzione in siti sicuri di edifici insistenti su aree a rischio attraverso adeguate incentivazioni urbanistiche e fiscali, in coerenza con i principi e gli obiettivi della legge sul consumo di suolo in corso di approvazione alla Camera. Sarà possibile utilizzare al meglio i patrimoni conoscitivi prodotti e producibili dalle attività di pianificazione territoriale e urbanistica, in modo da procedere celermente all’individuazione degli aggregati edilizi per organizzare conoscenze e sopralluoghi riferiti a stati di danno e agibilità. Condizioni che devono essere valutate per edifici (unità strutturali) e all’interno degli aggregati, sulla base di classificazioni delle unità tipologiche (che dovrebbero essere già contenute nella pianificazione urbanistica), di elementi di interruzione nella trasmissione delle forze che consentano la suddivisione degli aggregati in unità comprendenti un minor numero di edifici, ai fini degli interventi di ricostruzione con costituzione di consorzi obbligatori. Queste nuove possibilità, se da un lato dovranno salvaguardare l’integrità e la continuità dei centri storici e i suoli fragili, dall’altro tenderanno a eliminare tessuti o brani di tessuti di recente formazione di scarsa qualità e a indirizzare le azioni di compensazione ecologica e messa in sicurezza del territorio, a partire dalla realizzazione delle infrastrutture blu e verdi, prevedendo adeguate incentivazioni degli enti pubblici coinvolti tramite maggiori trasferimenti statali, maggiori allentamenti dei vincoli di bilancio, finanziamenti straordinari e semplificazioni normative.

Passo 2 - sicurezza urbana diffusa RECUPERO PRIMARIO PER DARE EFFICACIA E QUALITÀ ALLA PREVENZIONE E ALLA RICOSTRUZIONE

La prevenzione riguarda anche lo “spaesamento”, fisico e percepito. Nella pianificazione urbanistica e nelle azioni di governo locale deve prevedersi una “struttura urbana primaria” a cui affidare il compito precipuo di garantire la permanenza della riconoscibilità identitaria urbana, ma anche la precisa definizione degli spazi e dei manufatti che devono svolgere una funzione primaria di sicurezza in occasione di eventi naturali calamitosi e delle fasi immediatamente successive. Oltre al sistema degli edifici pubblici utilizzabili per il ricovero temporaneo degli evacuati, si devono considerare: a. la rete degli spazi pubblici aperti (e dei relativi sottoservizi) destinati temporaneamente all’accoglienza degli sfollati, da

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adeguare a condizioni antisismiche, preidentificati dalla comunità in tal senso, seppur ordinariamente utilizzabili come spazi di vita e relazione sociale b. conseguentemente, il sistema strutturale concatenato dei tessuti storici che deve garantire la massima agibilità degli spazi aperti e che deve essere considerato a tutti gli effetti come un’infrastruttura pubblica da salvaguardare e consolidare. Difatti, l’individuazione delle porzioni di tessuto storico caratterizzate dall’aggregazione e concatenazione morfogenetica e tecno-strutturale di edifici, intese anche come unità minime di intervento, costituisce una delle acquisizioni più importanti delle recenti esperienze di ricostruzione post sisma e di un approccio efficace ai temi della vulnerabilità urbana. Essa consente di enucleare con chiarezza il ruolo svolto dall’intervento primario sull’intero sistema strutturale di ciascuna porzione di tessuto, i cosiddetti “aggregati edilizi”, in passato erroneamente parcellizzato, condizionato dalla frammentazione proprietaria e affidato all’individualità degli interventi sui singoli edifici o addirittura sulle singole unità immobiliari. Così pensato, il “recupero primario” oltre a dare maggiori garanzie di efficacia strutturale esaltando i requisiti di coesione e reciproco sostegno delle porzioni di tessuto ed evitando le alterazioni prodotte da inserimenti puntuali incongrui di manufatti con gradi di elasticità differenti garantisce sensibili risparmi economici e, allo stesso tempo, una riaggregazione della domanda, assai utile per rimettere in equilibrio il mercato immobiliare. E’ anche una prospettiva adattiva per un programma nazionale di prevenzione che consenta di prevedere tempi differenziati per il “recupero secondario” dei singoli edifici e unità immobiliari. Lo scaglionamento nel tempo del “recupero secondario” potrà tener conto di nuove domande abitative agganciate a politiche di sviluppo delle aree interne che possano rendere attrattivi i centri storici anche per nuovi utenti e abitanti. Il superamento della frammentazione proprietaria costituisce anche la condizione necessaria per avere cantieri non eccessivamente polverizzati, con vantaggi dal lato delle economie di scala, per la gestione degli allacci ai sotto servizi urbani (larga banda inclusa), per i controlli di legalità (fiscali, di sicurezza dei cantieri). Il finanziamento “alla pietra” del recupero primario deve perciò prescindere dai requisiti soggettivi dei proprietari in quanto partecipa al consolidamento, come già detto, della “struttura urbana primaria” di cui costituisce un’infrastruttura essenziale per la sicurezza urbana della città intesa come bene comune. Deve inoltre essere raccordato a un sistema di agevolazioni sull’efficientamento energetico e il riciclo delle acque alla scala dell’unità minima dell’intervento. Per questi motivi occorre prevedere specifiche modalità della sua copertura finanziaria straordinaria pluriennale e altrettanto adeguate procedure sostitutive da parte pubblica sulle proprietà private in ragione dell’interesse pubblico dell’intervento. E’ possibile in tal senso immaginare l’acquisizione al patrimonio pubblico, nel caso di proprietari inadempienti e di eccessivo frazionamento pro185


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UN IMPEGNO CONTINUATIVO

prietario, da parte di soggetti ad hoc promossi da unioni di Comuni e agevolati dallo Stato e dalle Regioni, ferma restando la salvaguardia degli abitanti incapienti e anziani. La prospettiva è quella di un utilizzo futuro di tale patrimonio per usi residenziali e produttivi attraverso adeguate politiche pubbliche.

Passo 3 - conoscere per programmare la sicurezza UNA CAMPAGNA DI CONOSCENZA COME GRANDE OPERA PUBBLICA DISPOSITIVI PER LA CONSAPEVOLEZZA CIVICA, LA RAZIONALIZZAZIONE PROCEDURALE E GESTIONALE

La programmazione di interventi diffusi di prevenzione dal rischio sismico, geomorfologico e idrogeologico e i processi ad essa collegati richiedono scelte coraggiose per razionalizzare, snellire e velocizzare le decisioni senza per questo introdurre misure straordinarie che producano una riduzione partecipativa o di ruolo dei soggetti decisionali. Si tratta fondamentalmente di lavorare per un miglior coordinamento e un’applicazione aggiornata di decisioni normative spesso già assunte nella legislazione nazionale, incardinandole all’interno di filiere decisionali innovative e proiettandole in una prospettiva temporale capace di coniugare la dimensione emergenziale con quella ordinaria di medio-lungo periodo. Rispetto alla dimensione ordinaria della gestione urbanistico-edilizia, a partire anche dalla stessa ricostruzione dei centri colpiti dal sisma e dando per scontato un primo aspetto nella necessaria obbligatorietà del “Fascicolo del fabbricato”, un punto centrale è il riallineamento delle basi informative (catasto terreni, catasto fabbricati/DOCFA, catasto elettrico, catasto energetico, dati anagrafici, dati IMU e TARSU, passi carrabili, censimento degli alberi monumentali urbani) e quindi anche un più efficace funzionamento di SUE/SUAP (a livello di unioni di comuni ex L. 56/2014), attraverso una informatizzazione geo referenziata dei dati, alleggerendo le funzioni amministrative di questi uffici a favore delle funzioni di controllo. Tale aspetto è di importanza capitale se si pensa che molti italiani “hanno messo mano” ai loro beni, nel momento in cui hanno potuto economicamente, perché ciò ha significato migliorare la qualità della vita loro e dei propri cari. In quei momenti ha, sì, agìto qualche tecnico di riferimento del luogo con progetti dozzinali e malfatti o un certo lassismo istituzionale degli enti locali ma, soprattutto, sono mancate informazione e consapevolezza tra le persone (e non si sono più avute se non purtroppo dopo ogni evento sismico da chi direttamente ne ha subìto conseguenze). Chi ha costruito una casa nei

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nascenti nuovi quartieri o chi ha rialzato di un piano la vecchia casa dei genitori nel centro storico, non ha avuto cognizione vera sul “cosa fatto e come fare”. Al netto di qualche struttura recente eseguita male, i danni di ora sono la mancanza di quella conoscenza di allora. Occorre che il Governo si faccia promotore di una campagna di sensibilizzazione, almeno verso i cittadini che abitano la “Zona 1” e la “Zona 2” della mappa della pericolosità sismica. Il “Fascicolo del fabbricato” deve perciò essere accompagnato da un momento istruttivo di cui la sfera pubblica deve farsi carico, in quanto informazione e diagnosi sono componenti di riappropriazione collettiva della consapevolezza dei rischi che si corrono. Le strade percorribili sono due: meccanismi di completa deducibilità fiscale delle spese tecniche per la redazione dei fascicoli; oppure, ancora meglio, costituzione di task force di tecnici assunti allo scopo dalla P.A. che, per “ragioni di Stato”, potrebbero fare diagnosi sismiche gratuite casa per casa, delle prime quattro “Zone a Pericolosità alta” ed “elevata” individuate dalla mappa sismica. Il Governo avrebbe il merito di investire in conoscenza, prevenzione vera, buona e qualificata occupazione. Al contempo, l’allineamento e la consultabilità delle banche dati e degli archivi della Pubblica Amministrazione potrebbero così consentire un progressivo e tempestivo aggiornamento del “Fascicolo del fabbricato” senza particolari oneri aggiuntivi per il privato. L’attività edilizia ordinaria (e quindi anche quella straordinaria che si determinerà con i piani di ricostruzione dei centri colpiti dal sisma dello scorso agosto) è altra questione dirimente, condizionata non solo dalla frammentazione proprietaria dei tessuti richiamata prima, ma anche da una frammentazione dei procedimenti autorizzativi - in capo ad una molteplicità di soggetti pubblici (ad esempio pratiche cosiddette “cemento armato”, autorizzazioni paesaggistiche, certificazioni in materia di consumo energetico, ecc.) - che non contempla valutazione di coerenza dei manufatti edilizi nella loro integrità. Per ovviare a questa condizione che produce esiti scarsi e tempi lunghi degli interventi di riedificazione/adeguamento, alcune esperienze di ricostruzione hanno praticato la strada della costituzione di un organismo integrato (a partire dalla Commissione Pareri prevista con l’esperienza della ricostruzione ex lege 219/81 per Napoli) incardinando la responsabilità decisionale in capo agli enti pubblici preposti ordinariamente (Comune, Genio Civile, Soprintendenze). A tale organismo partecipano i diversi soggetti competenti nell’istruttoria e validazione del progetto, con una logica interdisciplinare e un’organizzazione operativa nella quale il RUP comunale sia parte dirigente del processo coordinando anche la partecipazione delle competenze orizzontali dello stesso Comune.


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Dal progetto Paese ai progetti per il Paese di Silvia Viviani Presidente Istituto Nazionale di Urbanistica

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l Rapporto dal territorio 2016 dell’INU offre dati (volume 1), scenari (volume 2) e materiali (volume 3), che contribuiscono a dare una visione del Paese, nella quale il cambiamento in atto, tanto veloce quanto strutturale, richiede l’individuazione degli ambiti e delle forme urbane coerentemente a una prospettiva lungimirante. Essa non può fare a meno della pianificazione, rinnovata, adattiva, multiscalare, multiattoriale, che permetta l’aggregazione intorno a progetti, in un quadro di competenze non più appoggiato ai confini tradizionalmente noti. I vari e diversi rapporti dedicati alle forme urbane e a quelle dell’urbanizzazione in Italia, con approcci e metodi differenti, restituiscono rappresentazioni e basi cognitive per l’elaborazione delle politiche urbane nazionali, convergendo sulla necessità di riorganizzare i modi con i quali le città e gli insediamenti umani sono riqualificati, governati e gestiti. La complessità e la varietà delle forme e degli insediamenti urbani è stata al centro della Conferenza Nazionale Habitat III1, che si è chiusa con la Dichiarazione di Quito, con l’obiettivo di rafforzare l’impegno mondiale sul tema dell’urbanizzazione sostenibile. Il Rapporto Italiano2 si apre con il riconoscimento che nel corso della storia moderna, l’urbanizzazione è stato uno dei principali motori di sviluppo e di riduzione della povertà e che l’identificazione delle aree urbane come scala di intervento cruciale per lo sviluppo costituisce l’esito di un lungo percorso di elaborazione politica e culturale e di sperimentazione progettuale avvenuto a livello internazionale e nazionale. Il Rapporto 2017 dell’ISTAT, dedicato a Forme, livelli e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia, propone una visione continua e multiscalare del territorio, che richiede il superamento dei tradizionali confini amministrativi, svela la difficoltà di dare una definizione univoca di città in una fase storica nella quale si concretizza una molteplicità di evidenze quali le fusioni dei comuni, le città metropolitane, la formazione di macroregioni, che coinvolgono tutti i livelli di scala territoriale. Per ciascuno di questi contesti, l’aspetto fondamentale è rappresentato dalla necessità di individuare nuove politiche basate su una rielaborazione dei criteri di autonomia e sull’integrazione tra territori alle varie scale. L’ISTAT conviene, come il nostro Istituto ha proposto nel primo Festival delle Città Metropolitane (2015) e nel proprio XXIX Congresso (2016), a proposito di geografie variabili e di piani e progetti come racconti consapevoli, sull’opportunità di procedere tramite mappe tematiche e funzionali da utilizzare come lenti per la lettura integrata dei luoghi. L’analisi del Paese, condotta attraverso strumenti e sguardi diversi, nei programmi e nelle strategie in atto, ci dice che urbanità, urbanesimo e urbanizzazione3 sono le parole chiave della contemporaneità, e che esse riaccendono il racconto della città -quasi un eco delle narrazioni del Secolo XIX, richiamando il diritto alla città lanciato da Henry Lefebvre nel 1968 e svelando persino la dimensione emozionale dell’esperienza urbana: le emozioni nella città e per la città sono sempre esistite perché senza di esse non sarebbe possibile alcun rapporto tra la gente e la città e tra la gente e la gente4.

http://www.governo.it/articolo/sviluppo-urbano-sostenibile-il-rapporto-italiano-la-conferenza-internazionale-habitat-iii L’INU ha partecipato alla consultazione intergovernativa per la Conferenza Habitat III svoltasi a New York dal 25 al 29 aprile 2016, dove ha presentato e discusso le principali conclusioni del policy paper #6 (Urban Spatial Strategies: Land Markets and Segregation) coordinato in collaborazione con la Urban Planning Society of China. Inoltre, l’INU ha fornito contributi specifici alle varie sezioni del Rapporto Italiano presentato ad Habitat III (Quito, 2016). 3 S. Viviani, Urbanesimo Urbanizzazione Urbanità, in Urbanistica Informazioni, INU ED., n. 269-270, giugno 2017. 4 G. Amendola, Le retoriche della Città, edizioni dedalo, 2016, pag. 140 1 2

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Emerge un altro dato, costante nella storia dell’urbanistica, che intreccia quella della società: la ricerca delle forme nelle quali organizzare le relazioni fra le persone. Anche la qualità degli spazi appartiene, in altre parole, ai diritti alla vita urbana. Pur in tempi mutevoli e adattandosi alla navigazione -non lineare né circolare- in un oceano di flussi, una miriade di domande e un presente intessuto di istanti5, la stabilità spaziale sembra ancora necessaria per promuovere aggregazione sociale. Il dove, in altre parole, non è marginale, e neanche il come. Non diminuisce la necessità di creare le condizioni (attraverso la pianificazione) e le soluzioni progettuali (attraverso la progettazione urbanistica) per la creazione di spazi capaci di garantire un’esistenza urbana varia, gradevole, dignitosa, accogliente, sicura6. Per raggiungere un certo livello di stabilità spaziale, occorre rappresentare i tessuti sociali, urbani, territoriali e indicare rotte, traiettorie, mappe7. Se le analisi e i progetti disponibili non riescono a restituire un’idea di città e di società convincente e le forme urbane contemporanee sfuggono a ogni parametro tradizionale, che non riesce a elaborarne la complessità, la possibilità di operare in adattamento costante, alternativa alla fissità delle predeterminazioni, ha bisogno di comunanza di linguaggi e solidità degli obiettivi. E’ un quadro nel quale si possono portare a coerenza riforme di assetto, istituzionale e geografico, amministrativo e sociale, economico e culturale, che tendono al miglioramento della convivenza urbana e a forme integrate di sviluppo locale e nazionale. Un quadro che attiene al percorso dedicato al rinnovo della disciplina urbanistica, di cui il nostro Istituto si occupa, a partire da punti fermi del Progetto Paese del XXIX Congresso, per declinare, nel programma che ci siamo dati fino al prossimo Congresso, proposte operative: i progetti per il Paese.

I punti fermi del Progetto Paese - XXIX Congresso dell’INU (Cagliari, aprile 2016)

le attività formative: incremento di qualità della cultura urbanistica i nuovi standard: passare dagli standard pensati per la crescita della città alle dotazioni per la qualità delle diverse forme urbane i nuovi strumenti: riabilitazione del piano: da groviglio procedurale a racconto consapevole e scenario prospettabile, dalle destinazioni d’uso alle attività, dalla predeterminazione all’idoneità ambientale gli apparati legislativi : linguaggio universale; coordinamento delle scelte necessarie alla semplicità e certezza dei codici di comportamento l’assetto istituzionale: il coordinamento delle scelte necessarie alla chiara attribuzione di compiti e responsabilità le geografie amministrative: il coordinamento delle scelte necessarie all’individuazione di ambiti territoriali ottimali per l’erogazione di servizi le riforme: urbanistica e fiscalità: integrazione di misure incentivanti (fiscalità) nelle scelte necessarie all’efficacia degli strumenti (riforma urbanistica): la necessità di una riforma della fiscalità locale, da tempo richiesta dall’INU, rimane questione centrale per disincentivare i processi di nuova urbanizzazione dei suoli agricoli e naturali e per sostenere politiche di intervento sulla città esistente e sulle performance ambientali ed ecologiche. La varietà e la ricchezza delle potenzialità culturali, disciplinari e operative di cui dispone l’Istituto Nazionale di Urbanistica permettono di elaborare in traiettorie distinte ma coerenti e correlate, con capacità di sintesi, tutte le tematiche, coinvolgendo tutti i soci, aprendo alle collaborazioni e alle convergenze degli interessi culturali di altri soggetti per interagire in un dibattito che contribuisca efficacemente all’avanzamento del Progetto Paese.

“Il tempo della comunicazione digitale, nelle sue vertiginose dissolvenze, non consente facilmente riflessioni e meditazioni, rielaborazioni e ripensamenti, che richiedono tempi distesi, pause e dilatazioni impossibili nei tempi veloci, anzi velocissimi, delle informazioni digitali.”, Eugenio Borgna, Parlarsi, Einaudi, 2015, pagg. 71-72 6 “Che fare? Qual è la responsabilità dell’urbanistica in questo quadro che è chiaro, che appare dalle cronache di ogni giorno sempre più tragico, anche al temperamento più ottimista? Noi dobbiamo risolutamente penetrare nella segreta dinamica della terza rivoluzione industriale e procedere con coraggio verso piani coraggiosi.”, in Adriano Olivetti- Noi sogniamo il silenzio, Edizioni di Comunità, 2015, pag. 35 7 “Le mappe sono nate come una vera sfida all’immaginazione, e ancora oggi lo sono”, Simon Garfield, Sulle mappe. Il mondo come lo disegniamo, ed. it. Ponte alle Grazie, Adriano Salari Editore, 2016, pag.18 5

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Gli assi del programma dell’INU per declinare i progetti per il Paese - 2017/2018

Consumo di suolo e rigenerazione urbana (Andrea Arcidiacono) In questi anni l’INU, direttamente e attraverso le attività e le ricerche del Centro di Ricerca sui Consumi di Suolo (CRCS), ha contribuito in modo significativo a porre al centro del dibattito culturale e politico il tema del contenimento del consumo di suolo, a partire dalla necessità di una misurazione quantitativa accurata del fenomeno, alla individuazione delle principali determinanti fino alla individuazione di possibili politiche d’azione, coerenti con le direttive della Commissione Europea, per la limitazione dei processi di antropizzazione e impermeabilizzazione dei suoli. Un percorso di ricerca che ha visto un ruolo attivo del CRCS anche nella costruzione di una rete importante di relazioni con enti di ricerca (ISTAT, ISPRA), associazioni (Legambiente, WWF, FAI, LIPU e altre già coinvolte nell’ambito del progetto People4Soil) e istituti universitari (Politecnico di Milano, Politecnico di Bari, Politecnico di Torino, Università degli Studi di Napoli) ampiamente documentata dagli esiti dei 5 Rapporti che, a partire dal 2009, il CRCS ha realizzato e pubblicato (INU edizioni). Dinamiche di urbanizzazione e impermeabilizzazione della risorsa suolo pongono nuove emergenze ambientali, paesaggistiche e sociali per il governo del territorio: riduzione quantitativa e qualitativa delle superfici idonee alla produzione agricola e all’espressione di biodiversità e di paesaggio; alterazione dei cicli ecologici e impoverimento delle funzionalità ecosistemiche dei suoli; diffusione insediativa e perdita della forma urbana; inefficienza funzionale, energetica e ambientale dei sistemi territoriali. La mancata acquisizione, sul piano culturale, prima ancora che normativo, del significato di “bene comune” che il suolo indubitabilmente assume, è in radice la questione preliminare su cui orientare le strategie di governo del territorio in direzione di un maggiore benessere collettivo. Il lavoro sulla rigenerazione urbana e territoriale, sui nuovi paradigmi del progetto urbanistico per la messa in efficienza della città esistente e per la riqualificazione dei patrimoni dismessi (a scala urbana e territoriale) aprono a un campo di lavoro di grande complessità; in cui il superamento dei modelli recenti e consolidati della trasformazione e riqualificazione urbanistica chiedono la sperimentazione di modelli più aperti e flessibili, attenti alla temporalità e alla indeterminatezza dei processi di rigenerazione delle dismissioni e dei degradi della città, ancora guardando alla priorità dell’efficienza ecologica ambientale della città (che deve coinvolgere anche, senza ideologie, un aggiornamento del tema delle bonifiche) ma anche individuando nuovi modelli di partecipazione e attivazione sociale. Città resiliente e disegno urbano (Carlo Gasparrini) L’INU dedica specifica attenzione al valore e al ruolo innovativo delle infrastrutture blu e verdi come telaio incrementale e resiliente di una nuova città pubblica e campo di lavoro ineludibile di una pianificazione ecologicamente orientata e attenta alla dimensione geo-strategica e sistemica di scala urbana e metropolitana, strettamente connessa ad alcune componenti strutturanti delle geografie urbane e, allo stesso tempo, di una molteplicità di progetti e pratiche diffuse e di processi di compensazione ambientale. Si promuove la sperimentazione di una nuova generazione di interventi integrati di rigenerazione urbana alla scala dei tessuti e degli spazi in-between attraverso interventi di piccola taglia, diffusi e diretti, in cui si misura la consapevolezza e il protagonismo delle comunità locali e delle nuove forme imprenditoriali generate da una economia green alimentata dal riciclo e dalla valorizzazione dei beni comuni, rispondendo in modo resiliente anche alle domande di sicurezza e riduzione dei diversi “rischi”. Due i principali prodotti delle attività dell’INU per questo asse progettuale: 1. la Mappa dell’Italia resiliente in grado di rappresentare, in modo incrementale e aggiornabile nel tempo, le esperienze e gli attori più significativi a scala regionale e locale di piani, programmi, progetti, pratiche, forme di organizzazione e cooperazione fra attori, finalizzate alla costruzione di strategie e tattiche adattive, di fronte alle domande poste dalla questione ambientale nelle città e nei territori; 2. la Carta delle città resilienti, per la definizione di requisiti dell’azione multi-scalare e integrata dei diversi soggetti pubblici, sociali e imprenditoriali impegnati nelle politiche di resilienza urbana, animata da una forte interazione tra obiettivi ecologici e sociali attorno ai beni comuni e a una nuova dimensione circolare dell’economia urbana. Attraverso l’elaborazione della “Carta delle città resilienti”, si contribuirà alla definizione dei nuovi standard, sia dal punto di vista ambientale, come nuove forme di misurazione prestazionale dei processi connessi al trattamento resiliente di acqua, suolo, aria, energia, rifiuti e mobilità, in una condizione di forte interazione tra i rischi e in una fase di cambiamenti climatici; sia dal punto di vista sociale, economico e procedurale come crescita di consapevolezza dei rischi da parte delle comunità locali, di attivazione di nuove economie urbane green e smart, di individuazione di strumenti e processi in grado di garantire il controllo diffuso da parte dei nuovi attori.

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Città storica (Marisa Fantin) La visione del centro storico non può essere solo un piano urbanistico, ma deve essere anche la manifestazione tangibile di un’idea condivisa di città. Centro storico come collettore di sviluppo civico e modello per una città sostenibile contemporanea; spazio vissuto e utilizzato in primo luogo da coloro che, vivendo nella città, godono di condizioni di accesso facilitate e privilegiate; spazio che esplora e propone un nuovo modello integrato in una logica di sviluppo locale, nella quale la cultura non è un momento separato dalla comunità o confinato negli spazi e nei contenitori destinati al tempo libero e all’intrattenimento, ma diviene una componente basilare dei processi di creazione del valore economico e sociale; attrattore nella misura in cui sarà capace di aumentare la visibilità del sistema economico, contribuendo all’orientamento di flussi turistici, di decisioni di investimento, di copertura mediatica. La logica progettuale dovrà avere una matrice aperta e riadattabile, con una filosofia del tutto opposta a quella dell’iperspecializzazione e invece legata all’idea della città come luogo di condivisione e di relazione: un luogo che evita definizioni troppo rigide, perché si presenta come sovrapposizione di livelli narrativi e funzionali differenti. Infine, ma non per ultimo, il tema della messa in sicurezza degli insediamenti storici: esso richiede un avanzamento culturale e sociale adeguato alla complessità della questione, specifici canali di finanziamento ordinari, approcci sperimentali, partecipati e adattivi. Città accessibili (Iginio Rossi) Già nell’ottobre del 2015 il CDN ha approvato un programma per poter lavorare su accessibilità per tutti. L’attenzione è rivolta a esperienze di riferimento, individuazione di percorsi programmatici e progettuali nella pratica nazionale e internazionale. Lo studio riguarda anche gli organismi istituzionali (Osservatori nazionale e regionali, centri assistenziali sociosanitari) per ottenere le mappature da porre alla base di indirizzi per le città italiane e per i processi formativi. L’obiettivo è la definizione di modelli d’intervento, delle modalità attuative per rendere coese le strategie di rigenerazione urbana con quelle finalizzate a rendere le città più accessibili a tutti. Dopo il XXIX Congresso, nel CDN dell’1-2 luglio 2016 è stato deciso di sviluppare “Città accessibili a tutti. Spazio collaborativo su indirizzi, esperienze e prospettive di miglioramento del funzionamento urbano” con un programma di lavoro biennale (2017-2018). La problematica si caratterizza per l’articolazione degli aspetti, per la multisettorialità, per l’interdisciplinarietà, per le forti connessioni con il vissuto sociale e per relazioni e interdipendenze con il funzionamento urbano che pongono innanzi a tutto la centralità della persona senza alcuna distinzione di condizione fisica, sensoriale, percettiva, intellettiva, sociale, culturale, economica. I tre principali assi di lavoro per declinare le tesi del Progetto Paese sono: formazione -l’accessibilità per tutti risulta poco nota tra amministratori, tecnici, professionisti e studenti, conseguentemente è indispensabile l’avvio di percorsi formativi integrati (sinergia di conoscenze e saperi); nuovi standard-mirando al miglioramento della qualità urbana e considerando primaria la relazione tra vitalità-accessibilità per tutti appare inevitabile la ricerca di tradurre questa relazione in obiettivi per i nuovi piani e progetti territoriali; nuovi strumenti, apparati legislativi, riforme (urbanistica e fiscalità): il PEBA, molto datato e disatteso, è una strumento che se utilizzato con modalità integrate e multifunzionale potrebbe essere innovativo. Nello stesso tempo altri dispositivi possono aprirsi alla città accessibile a tutti, quali per esempio programmi complessi, programmi europei. Queste esperienze, se sviluppate con modalità di sperimentazione, potrebbero contribuire a definire meglio i percorsi di riforma urbanistica e fiscale. Spazio pubblico (Marichela Sepe) Il tema dello spazio pubblico costituisce fattore centrale e trasversale nell’ambito delle diverse attività e ambiti di interesse dell’INU e, più in generale, delle discipline afferenti all’urbanistica, alla progettazione urbana, all’architettura. Si intreccia altresì con le tematiche della partecipazione, della sostenibilità economica, sociale ed ambientale, della creatività, delle infrastrutture, delle migrazioni, solo per citarne alcune. Si comprende quindi la complessità e l’importanza del tema, e, allo stesso tempo, le molteplici possibilità di interazioni con soggetti e attori pubblici e privati con i quali poter interagire e scambiare idee e buone pratiche, nonché attivare eventuali collaborazioni. In continuità con il Progetto Paese, per quello che attiene le attività formative, l’expertise sullo spazio pubblico dell’INU sarà portata nell’ambito di corsi a credito libero, seminari, workshop presso università, ordini professionali e diversi enti e soggetti interessati, continuando i rapporti già iniziati e attivandone ulteriori a livello locale, nazionale ed internazionale. In merito ai nuovi standard, l’attività sarà tesa ad aggiornarli per quello che attiene lo spazio pubblico, introducendo parametri legati anche ad aspetti intangibili e alle caratteristiche socio-ambientali dei luoghi. Riguardo ai nuovi strumenti, si intende realizzare un toolkit, che, partendo dalla Carta dello

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Spazio Pubblico e dagli esempi di maggiore interesse presentati nell’ambito del Paese che vorrei e della BiSP, costituisca uno strumento di riferimento per realizzare spazi pubblici di qualità. La costruzione del toolkit comprenderà buone pratiche, con attenzione non solo allo spazio urbano ma anche alle modalità utilizzate per realizzarlo, soggetti coinvolti, tipologie di finanziamento attivate. La costruzione di tale strumento ha il duplice obiettivo di coinvolgere sezioni dell’INU e altri enti interessati, che forniranno i materiali sulle buone pratiche e di attivare o consolidare nuove collaborazioni e sinergie. Nuovi standard (Carolina Giaimo) Nel 2018 si celebra il cinquantennale del Decreto 1444, che ha introdotto gli SU intesi quali aree per prestazioni minime offerte ai cittadini capaci di rispondere alla domanda collettiva di istruzione, sanità, igiene, sicurezza, mobilità, assistenza, cultura, svago, sport e amministrazione, preordinate ad essere espropriate. E’ necessario oggi tornare a riflettere sul ruolo che questo provvedimento ha avuto, con tempi e modalità differenti nelle diverse realtà regionali, nella progettazione e costruzione della città e dei territori italiani e sul tipo di saperi che fino ad oggi se ne sono occupati (nuova conoscenza, ad esempio fondata sui servizi ecosistemici, i cui valori esprimono variazioni di flussi e non di disponibilità di aree). L’attualità del tema degli SU è legata a questioni fondamentali quali l’influenza degli standard nel determinare la configurazione spaziale e la qualità della vita nelle città, nell’assegnare funzioni, significati e valori differenziati agli spazi urbani, nell’offrire dotazioni minime di spazi e servizi pubblici uguali (in potenziale contrasto alla divisione sociale dello spazio); il ruolo della pianificazione e progettazione degli standard urbanistici nel governo locale delle città, con riferimento al rapporto fra politiche urbane, risorse e finanza locale; il ruolo degli standard per un progetto consapevole di città pubblica e welfare urbano, in rapporto all’evoluzione della domanda sociale e del concetto stesso di qualità insediativa e concorrendo alla riduzione delle disuguaglianze. Politiche e servizi per l’abitare sociale (Laura Pogliani) La città esistente è una risorsa preziosa su cui far convogliare idee, progetti e programmi per migliorarne l’abitabilità. Il rischio di ridurre il tema dell’abitare a questioni settoriali (come spesso è stato inteso il problema della casa, in particolare di quella sociale) va definitivamente superato in favore di un approccio selettivo ma integrato alle questioni dell’abitare nelle nostre città, che interroga le politiche pubbliche a tutto campo: welfare, territorio, fiscalità, ambiente e si colloca nel punto di intersezione tra bisogno sociale, mercato immobiliare e finalità pubbliche di governo del territorio. Garantire l’abitabilità del contesto territoriale, all’interno di una città formata da popolazioni diverse, ciascuna con legittime aspettative, progettualità e intenzioni, non può risolversi nella sommatoria degli interventi edilizi, più o meno riusciti, ma è una politica pubblica che comprende interventi forti per l’inclusione sociale, per l’ammodernamento infrastrutturale e dei servizi, per la riqualificazione fisica e percettiva degli ambienti urbani, per la sostenibilità ambientale. Molti sono gli aspetti che ci si propone di indagare, tra cui: le condizioni giuridiche ed urbanistiche efficaci per promuovere la realizzazione di nuova edilizia sociale; le criticità rilevate nell’attuare iniziative di recupero e rinnovamento del patrimonio ERP che oggi versa in condizioni difficili sia per l’obsolescenza fisico-funzionale e di sostenibilità energetica che per gli aspetti gestionali; gli strumenti, le leve ed i vincoli per il reinserimento di una quota dei patrimoni privati sfitti o invenduti e i canali del mercato locativo; la galassia dei nuovi soggetti imprenditoriali legati all’housing e dei promotori finanziari (fondazioni bancarie, CDP, SGR) ed il loro ruolo nel sostenere gli interventi in campo; le dimensioni, gli strumenti e le potenzialità della regia pubblica in capo all’amministrazione comunale; le modalità disponibili nell’attuale quadro congiunturale per il reperimento delle risorse atte a dar corpo a politiche articolate in risposta al quadro variegato della domanda; il contributo delle esperienze pilota rispetto all’innovazione dei processi ideativi e realizzativi e del prodotto (aspetti tipologici, funzionali, costruttivi); la gestione degli alloggi sociali e le forme di welfare connesse all’abitare; l’istituzione, la verifica e l’accreditamento dei cosiddetti gestori asociali anche in rapporto all’evoluzione del sistema delle cooperative; l’individuazione di soluzioni innovative che associno il trattamento di particolari quote di domanda con limiti di reddito e il riuso di quote di patrimonio pubblico obsolescente e quote di patrimonio privato invenduto o sottoutilizzato, configurando anche sistemazioni abitative di tipo innovativo. Paesaggio e biodiversità (Angioletta Voghera) Qualità del paesaggio e biodiversità sono due obiettivi strategici del governo del territorio che necessita di una forte alleanza tra politiche per la natura e politiche paesaggistiche (Gambino, Peano, 2015) in un quadro ancora incerto e caratterizzato da diverse criticità. Il paesaggio appare alle diverse scale dimensione 191


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aggregativa di politiche, piani e interventi, ma si scontra con le difficoltà della stagione di pianificazione paesaggistica post-Codice (si vedano le tesi del Rapporto dal Territorio 2016): una non compiuta integrazione del paesaggio nelle politiche e nella pianificazione territoriale e di settore, un’ancora carente identificazione di soggetti pubblici e privati responsabili della gestione e dell’attuazione, oltre che l’assenza di appropriate risorse finanziarie per l’attuazione. Uno degli aspetti di maggiore criticità è inoltre legato alle Intese tra Stato e Regioni per la redazione dei nuovi piani paesaggistici: da un lato, esse rappresentano un’occasione mancata, in quanto si riferiscono prevalentemente alla tutela dei beni culturali e paesaggistici, mentre avrebbero potuto stabilire indirizzi e criteri più efficaci per la pianificazione e la valorizzazione del territorio; dall’altro, le Intese hanno contribuito ad allungare la “gestazione” dei pochi piani e a promuovere una visione che in alcuni casi tende ad essere “conservativa” del territorio. Rischia di essere messo in crisi anche il ruolo dei parchi come risorsa ambientale e paesaggistica da valorizzare e gestire, con particolare attenzione alle attese delle popolazioni e delle comunità locali (IUCN Durban, 2003; Phillips, 2003), nonché al loro ruolo strategico per la qualità e lo sviluppo di un territorio più vasto. L‘idea di parco sempre più invocata come potenziale motore, anche economico, di sviluppo locale necessita di una maggior attenzione politica e istituzionale e di dotazioni finanziare per non compromettere la conservazione, la valorizzazione e la gestione della natura, della biodiversità e del paesaggio. Infine la realizzazione di reti ecologiche e paesaggistiche è stata uno degli obiettivi centrali della strategia della sostenibilità e della conservazione della biodiversità nonché di politiche per il controllo del consumo di suolo (Voghera, Negrini 2016): molte esperienze si sono infatti stratificate e evolute nel tempo e il concetto di reticolarità ha visto assumere un ruolo crescente nei processi di governo del territorio, sia a livello normativo che pianificatorio. Ciò si è verificato soprattutto nelle politiche e nella pianificazione di area vasta, con meno influenza a livello locale. Si rileva, infatti, a livello locale, ancora una debole prospettiva operativa, necessaria nella direzione di uno sviluppo urbano orientato alla conservazione degli spazi naturali, della connettività ecologica e del paesaggio per cogliere e proiettare in una dimensione di cambiamento i processi legati all’identità e alla comunità (Convenzione Europea del Paesaggio, 2000). Inoltre in Italia si stanno affermando metodi diversi per lo studio della biodiversità e la valutazione dei servizi eco-sistemici, talvolta istituzionalizzati da diversi attori territoriali che possono essere anche conflittuali nello stesso territorio (DGR Piemonte, LLGRE CM Torino per es.) e che possono quindi complessificare il processo di costruzione locale della reticolarità ecologica. In coerenza con questo quadro, saranno sviluppati, con il contributo di rappresentanti delle sezioni regionali e con la collaborazione di esperti internazionali, studi e riflessioni metodologiche sulla situazione delle politiche per il paesaggio e la biodiversità nel nostro Paese a confronto con esperienze europee più mature (Paesi Bassi, Germania, Francia, Gran Bretagna). Saranno organizzate attività formative relative a Pianificazione paesaggistica e progetto urbanistico; piani dei parchi e pianificazione urbanistica: conservazione e sviluppo nel governo del territorio; Biodiversità e servizi ecosistemici: metodi e tecniche di valutazione a supporto della pianificazione. Adattamento climatico e pianificazione del mare (Francesco Musco) La rapida evoluzione dei quadri delle politiche urbane e per l’ambiente a livello europeo, sta aprendo una stagione di rapidi cambiamenti nella pianificazione delle città e dei sistemi ambientali. Gli indirizzi comunitari prima con il Pacchetto Clima-Energia (2008) e poi con il Libro Bianco sull’Adattamento ai Cambiamenti Climatici (2009) hanno apportato una brusca accelerazione da un lato, rispetto all’urgenza dell’incremento di efficienza energetica nelle città e a una produzione edilizia a basso impatto; dall’altro hanno avviato un forte dibattito rispetto alla prevenzione dei rischi da eventi climatici estremi e alla necessità dell’incremento di resilienza dei sistemi urbani. In tutto questo, gli strumenti dell’urbanistica, di fatto, non hanno subito particolari cambiamenti, lasciando sempre più spazio a pianificazioni alternative di natura volontaria (i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile, i Piani di Adattamento nelle varie forme e sperimentazioni) che raramente hanno trovato una relazione formalizzata con il piano urbanistico o con le pianificazioni settoriali. Sul fronte marittimo, con la definitiva entrata in vigore della Direttiva Europea sulla Pianificazione dello Spazio Marittimo (a supporto della Blue Growth) (2014/89/UE GU n.260 del 7-11-2016) l’Italia dovrà dotarsi di un sistema di pianificazione spaziale del mare - in forte correlazione con la pianificazione urbanistica e territoriale ordinaria e settoriale - entro la fine del 2021. Le ricadute attese sui sistemi urbani costieri e i loro quadri di pianificazione risultano rilevanti. Inoltre le professionalità in capo alla progettazione dei piani del mare dovranno dare l’opportuno spazio agli urbanisti-pianificatori, nelle relative linee guida nazionali che saranno licenziate dal Ministero delle Infrastrutture entro la fine del 2017. La necessità di attivare percorsi di sperimentazione e formazione su questi assi, diventa sempre più urgente, come pure la compartecipazione dell’INU dalla revisione dei quadri normativi e alle opportune pressioni nelle sedi istituzionali. 192


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Governance e Diritti dei cittadini – Partecipazione (Donatella Venti) Dal confronto che si è sviluppato durante il Congresso di Genova ed in occasione dalle iniziative in cui è stato attivo partecipante l’Istituto, quali cui, tra le molte, il Primo Festival della Partecipazione (Aquila, 7-10 luglio 2016) e la presentazione del rapporto italiano Habitat 3 (11 luglio 2016), è emerso con forza il ruolo propositivo ed innovativo dell’INU e la sua capacità non solo di lettura della complessa situazione delle città e dei territori italiani, ma anche di mobilitazione e di concreta risposta attraverso un contributo disciplinare fortemente connotato dalla sperimentazione. Tra i molti temi che nel biennio passato sono stati affrontati, quello della Governance dei processi, della partecipazione, dei diritti dei cittadini ha avuto quale concreto strumento la scrittura e promozione, grazie anche alla collaborazione con altre Associazioni, della Carta della Partecipazione. La Carta è uno strumento aperto, che utilizza un linguaggio universale, semplice e declinabile nelle diverse realtà nazionali. La “Carta della Partecipazione”, promossa da INU, Aip2 e Iaf e che vede tra i primi sottoscrittori Cittadinanzattiva, è stata recepita da numerose Amministrazioni Pubbliche, tra cui i comuni di Milano, Firenze, Matera, Ferrara e da un numero considerevole di Associazioni, Enti ed organismi. E’ un documento breve e scorrevole, una sorta di decalogo, che può aiutare a fare chiarezza sulla Partecipazione, definendo, mediante semplici principi generali cosa si intende per processo partecipativo: comprendere i principi che assicurano qualità ad un percorso partecipativo, al di là dei luoghi comuni, rappresenta una necessità per migliorare la cultura e la capacità di tutti coloro che sono impegnati nel promuovere lo sviluppo delle città e dei territori in modo non autoreferenziale, ma funzionale ad un progetto di società. La Carta ha lo scopo di accrescere la cultura della partecipazione dei cittadini alle decisioni e sviluppare linguaggi e valori comuni. I promotori si impegnano a favorire la creazione di una Rete della partecipazione in Italia tra soggetti operativi in ambito locale e nazionale, anche tramite lo scambio di informazioni e la realizzazione di buone pratiche. Ma la Carta non può essere una meta finale, quanto uno strumento di valutazione, ma soprattutto un punto di partenza da cui orientare le attività della Commissione dedicata “Governance e diritti dei cittadini”. Rispetto al tema della qualità (i nuovi standard) la Commissione è dal 2016 impegnata ed attiva nel Tavolo nazionale sui beni comuni (Roma, giugno 2016, Ferrara dicembre 2016), in collaborazione con Cittadinanzattiva. I temi riguardano l’intero percorso di riconoscimento del bene comune, per la maggior parte coincidenti con spazi e contenitori in disuso di proprietà pubblica, fino all’affidamento in gestione, ai rapporti tra la P.A. e la molteplicità dei soggetti interessati. Diverse buone pratiche individuano modalità diverse di intervento, anche profondamente modificando le prassi di gestione e riuso, riconoscendo un valore sociale e anche economico alle nuove funzioni insediate. Smart city/Smart and Ethic Communities (Gianluca Cristoforetti) Investire nelle tecnologie a sostegno della nuova pianificazione: l’innovazione tecnologica incrementa le relazioni fra persone e quelle fra persone e luoghi, incrementa lo scambio di conoscenza e così accompagna il cambiamento socio-culturale, quello del ruolo delle cittadinanze, quello delle economie e del lavoro. In questo mutato scenario, che non vede più al centro del dibattito l’idea della tecnologia pervasiva come unico fattore abilitante, le smart cities 4.0 e le smart communities promuovono la creazione di valore collettivo, in nuove relazioni fra la tecnologia, le comunità e il territorio. Lo smart planning si poggia su una contabilizzazione dell’invisibile resa possibile dalle nuove tecnologie digitali e su una accelerazione dei comportamenti virtuosi favorita da tale contabilizzazione: con la tecnologia digitale è possibile contabilizzare le relazioni che generano valore e definire un modello di ridistribuzione del valore (value back), che alimenta le relazioni all’interno della comunità. Il rapporto uno a uno diviene un rapporto uno a molti, e poiché il comportamento virtuoso del singolo può essere premiato attraverso un value back, questo va ad alimentare una nuova gamma di valori per la comunità. Mobilità urbana e logistica (Mauro D’Incecco) Individuare, diffondere e promuovere buone pratiche e politiche di trasporto innovative è attività fondativa per contribuire a rendere il settore più efficiente, sicuro e sostenibile. L’aumento della concentrazione degli abitanti nelle aree urbane, che in Europa supera il 40%, enfatizza la rilevanza economica e ambientale che gli spostamenti delle persone e delle merci assumono nella nostra società. Per tali ragioni, emerge un’esigenza istituzionale di aiuto alla risoluzione dei principali problemi del settore. La mobilità urbana è caratterizzata da profondi mutamenti dovuti agli effetti combinati della crisi economica e delle politiche ambientali dell’UE: a fronte del contrarsi del tasso di motorizzazione, cresce la domanda per il trasporto pubblico locale e sono in forte crescita i servizi di mobilità condivisa come il bike sharing (accompagnato dall’estensione della densità di piste ciclabili) ed il car sharing 193


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(alimentato anche dai nuovi servizi a flusso libero). A gestire dicotomie e scenari evolutivi di settore è chiamata l’ultima generazione di piani della mobilità locale noti come Piani Urbani di Mobilità Sostenibile. Essi tengono conto dei principi di integrazione, partecipazione e valutazione per soddisfare i bisogni di mobilità attuali e futuri degli individui, al fine di migliorare la qualità della vita nelle città e nei loro quartieri. Le politiche per la mobilità sostenibile a scala urbana trovano recente sostegno da parte dell’Europa con la COM(2009)490 di emanazione del Piano d’Azione sulla Mobilità Urbana e del Libro Bianco Trasporti (2011), ma sono proprio le linee guida per lo sviluppo e l’implementazione dei PUMS, emanate dalla Commissione Europea – Direzione Generare per la Mobilità ed il Trasporto nel 2013, a definirne maggiormente i contenuti. Il superamento dell’approccio rigidamente amministrativo, a favore delle esigenze della “città funzionante”, pone in essere la necessità di ridefinire e coordinare geografie interamministrative per l’erogazione di servizi multimodali e la definizione di strategie a differente orizzonte temporale. L’introduzione di valutazioni di efficienza, non più di mera matrice ambientale, supportano la decisione delle scelte programmatiche orientate anche alla razionalizzazione della logistica urbana, che trova spazio in specifici strumenti attuativi. Politiche infrastrutturali (Sandro Fabbro) In relazione all’assetto istituzionale (coordinamento delle scelte necessarie alla chiara attribuzione di compiti e responsabilità), con l’esito del referendum del 4 dicembre, che riafferma la validità costituzionale del Titolo V della Costituzione italiana, le scelte relative alla infrastrutture strategiche rimangono scelte che devono essere condivise tra Stato e Regioni, mediante lo strumento delle “intese”. Resta tuttavia necessario il chiarimento delle competenze e delle attribuzioni, tramite strumenti legislativi ordinari: una legge quadro di principi, che precisi gli ambiti di intervento dello Stato e quelli di intervento delle Regioni, con lo sguardo agli interessi di città e di territori. In relazione alle geografie amministrative (coordinamento delle scelte necessarie all’individuazione di ambiti territoriali ottimali per l’erogazione di servizi), si dovrà lavorare sull’eredità lasciata nei nostri territori dalla fase dell’espansione quantitativa indiscriminata, quando le infrastrutture inseguivano lo sviluppo edilizio e urbanistico in una corsa senza fine e qualche volta persino lo anticipavano, allargando, su spazi molto vasti, le maglie di sistemi urbani sempre più frammentari. Griglie e reti ereditate dal passato sono state stravolte da sviluppi additivi spesso privi di qualità ed anche di coerenza e senso logico. L’esito è un insieme disordinato di dotazioni squilibrate, monofunzionali, inadeguate rispetto alle sfide socio-economiche più attuali. Occorrono nuovi piani e soprattutto nuove politiche per ridefinire il concetto di infrastruttura pubblica e di rete infrastrutturale negli attuali territori della rigenerazione post-urbana. Area vasta e dimensione macroregionale (Roberto Mascarucci) Il “regional planning” sta vivendo una stagione di nuova centralità in campo internazionale (Europa e dintorni), spesso abbinato a processi di revisione degli assetti di governance locale (riorganizzazione degli assetti amministrativi). In Italia, invece, non solo è difficile condurre a buon fine il processo avviato con la Legge 56/2014 (cosiddetta Legge Delrio), ma è anche colpevolmente trascurata la componente fisico-spaziale della pianificazione dello sviluppo. In campo strettamente disciplinare si avverte la necessità di rivendicare la competenza esperta del pianificatore territoriale nel disegnare gli assetti futuri (di tipo spaziale) da porre a riferimento dei programmi d’azione a scala sovra comunale, con riferimento alla dimensione regionale e macroregionale. Le attuali dinamiche territoriali hanno senza dubbio spostato verso l’alto tutte le scale della pianificazione: (i) la pianificazione strategica deve essere ricondotta alla dimensione regionale; (ii) la pianificazione spaziale degli assetti strutturali deve avere a riferimento le “aree urbane funzionali”; (iii) i piani urbanistici devono essere declinati rispetto ad ambiti intercomunali. In questo processo di “re-scaling” deve riacquistare centralità strategica la componente spaziale dei progetti di futuro: per dare nuovo senso alle dinamiche relazionali di carattere metropolitano, per individuare gli ambiti ottimali di erogazione dei servizi territoriali, per legare le scelte di sviluppo alle suscettività dei luoghi, per affrontare nel modo più corretto un ripensamento strutturale del tema dei rischi territoriali, per garantire ai programmi di sviluppo le condizioni minime di base per l’efficacia. Politiche pubbliche per le città (Carmen Giannino) Molti sono gli strumenti innovativi dedicati alla rigenerazione della città: politiche di coesione 2014/2020, bando periferie, bando aree urbane degradate. Essisi interfacciano con politiche nazionali settoriali che si attuano nelle città e che contribuiscono, o dovrebbero concorrere a farlo, a determinare migliori opportunità e migliori condizioni di vita per i cittadini: politiche sull’innovazione, sull’ambiente, sulle 194


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infrastrutture, sulle pari opportunità, sull’inclusione sociale, sull’istruzione. Esse incidono sui livelli di welfare e di servizi, investono gli apparati legislativi e di riforma in atto, presuppongono o producono scelte localizzative. Esse sono, inoltre, in grado di attivare, se coordinate tra loro e raccordate a finalità di crescita, inclusione e coesione sociale, le sinergie necessarie espresse dalle città, dalle reti urbane e dai soggetti che agiscono nei vari contesti sociali, culturali e produttivi, collegando relazionalità complesse e valorizzando le potenzialità inespresse dei territori. Risorse per i progetti (Franco Marini) Uno dei passaggi fondamentali del nostro Progetto Paese recita che “è necessario completare la transizione e dotare gli interessi pubblici di documenti strategici, che fissano obiettivi e priorità, che interagiscono fra loro non come puzzle di previsioni conformativi sul territorio, ma come vettori di azione in grado di combinarsi secondo il principio di coerenza rispetto a priorità condivise. La pianificazione per obiettivi e progetti è il complemento necessario di una co-pianificazione matura e responsabile dei risultati raggiungibili e raggiunti.” Un simile approccio, legato a una visione dell’urbanistica più progettuale che regolativa, implica l’organizzazione di una “nuova cassetta degli attrezzi” a disposizione degli urbanisti e di chi amministra il territorio. L’INU è ed è stato un riferimento sia a livello nazionale che regionale, per chiunque intendesse metter mano a leggi in materia di urbanistica o di governo del territorio; mentre meno incisiva è stata la sua influenza nella fase di programmazione delle risorse (a livello europeo, nazionale, regionale) destinate a finanziare programmi e progetti per fare urbanistica. Alla ricca produzione culturale, anche in termini di politiche per la città e il territorio, non ha corrisposto una capacità di incidere sui decisori delle politiche. Per tale motivo è opportuno che l’INU investa risorse ed energie per contribuire ed incidere fattivamente nella fase di programmazione delle risorse destinate alla città ed al territorio; in via preliminare nella fase di programmazione delle risorse europee, a cui sono strettamente legate la programmazione delle risorse degli stati nazionali e delle Regioni. Politiche e interventi per la difesa dei suoli (Luana Di Lodovico) Bisogna rafforzare il ruolo della pianificazione territoriale e urbanistica ordinaria, che deve far propri i princìpi di sicurezza territoriale, urbanistica ed edilizia, mitigazione del rischio, rigenerazione, ricostruzione e restauro della città. A tali fini, una necessaria riforma deve tendere a ricomporre i rapporti istituzione/ cittadinanza – piano/sviluppo; semplificare la procedura di approvazione dei piani (meno burocrazia e tempi certi). E’ pertanto essenziale stabilire a priori le responsabilità, ruoli e garanzie di tutti i soggetti convolti in particolare quelle delle istituzioni locali, di quelle regionali e dello Stato centrale. Il nuovo processo di pianificazione deve essere adattativo alle nuove geografie amministrative; deve far propri dettami dei Piani di Protezione Civile, della Microzonazione Sismica, della Condizione Limite per l’Emergenza, incentivare la riqualificazione territoriale attraverso interventi sulle infrastrutture, sul patrimonio pubblico e privato (incentivi crescenti man mano che nella ristrutturazione vengono applicati principi di prevenzione sismica e risparmio energetico); disincentivare nuove edificazioni e recupero di edifici in aree a rischio idraulico o geomorfologico elevato. La necessaria integrazione delle politiche vede nelle fragilità dell’area centrale del Paese, ricca di patrimonio storico e allo stesso tempo caratterizzata dalla marginalità geografica (aree interne), una necessità non rinviabile, che attiene tanto alle misure di prevenzione e alla messa in sicurezza, quanto alle modalità della ricostruzione post sisma. Le recenti esperienze del terremoto dell’Emilia, di quello dell’Aquila e del suo “cratere” e del Sisma Marche-Umbria hanno visto una pluralità di dimensioni (popolazioni coinvolte, entità dei danni) cui hanno corrisposto spesso in via sperimentale diversi modelli di governance. Appare opportuno approfondire due diversi temi: uno che affronti l’irrisolto raccordo fra la natura centrale dell’intervento di emergenza con la pluralità dei comportamenti delle comunità locali nella fase dell’immediato post sisma; l’altro, nel quadro di “Casa Italia”, può configurarsi come un Progetto Territoriale di sviluppo socio economico incentrato sull’adeguamento sismico del patrimonio abitativo storico dei centri minori in una logica di integrazione con le strategie Aree Interne.

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RAPPORTO dal TERRITORIO 2016 Attribuzione testi Pierluigi Properzi .......................................................... Introduzione Pierluigi Mantini ........................................................... Governo del territorio e riforma costituzionale Lorenzo Bellicini............................................................ Considerazioni sui processi di urbanizzazione e insediamento Bruno Forte................................................................... La città sostenibile Enrico Campanelli (CRESME)...................................... Metodologia di analisi multivariata ....................................................................................... Sistema economico ....................................................................................... Scenari demografici ....................................................................................... Dinamicità del mercato insediativo e residenziale ....................................................................................... Gli scenari socio demografici dei sistemi insediativi ....................................................................................... Le Città Metropolitane ....................................................................................... Le Città Medie ....................................................................................... I Comuni Minori Paola Reggio (CRESME)............................................... Consumo di suolo Donato Di Ludovico...................................................... I quadri conoscitivi e le piattaforme digitali ....................................................................................... La Valutazione Ambientale Strategica in evoluzione Carlo Alberto Barbieri.................................................... La nuova pianificazione tra riforme istituzionali e innovazione disciplinare Fabrizio Barca................................................................ Proattivismo nazionale e sperimentalismo democratico Alessandro Balducci....................................................... L’urbanizzazione regionale in Italia - esiti di una ricerca Francesco Domenico Moccia ........................................ Le giornate di studio napoletane dell’INU Francesco Sbetti ............................................................ Una Mappatura del Paese attraverso Urbanistica Informazioni Silvia Viviani ................................................................. Dal Progetto Paese ai Progetti per il Paese

Box Mappe d’Italia. Indice della qualità del futuro................ Silvia Viviani, Gianluca Cristoforetti Un impegno continuativo e tre passi contro le maceri..... Silvia Viviani, Luigi Pingitore, Carlo Gasparrini


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ISBN 978-88-7603-153-3 (Opera) ISBN 978-88-7603-163-2 (Vol. 2)


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