WHY MARCHE MAGAZINE - N.01 NOVEMBRE 2010 - MENSILE - ANNO I - € 1,00
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Marche
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Il Magazine Made in Marche
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Ludica Gioco, quindi sono.
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, CN/AN
ISSN 9772-0387
AMIAMO DAVVERO LA NOSTRA REGIONE? O DOVREMMO FINALMENTE IMPARARE A FARLO? Una riflessione a “penna aperta”
REGALARE UN SOGNO? Strabordo ci prova rendendo accessibile il turismo ai disabili
Le Marche del Presidente
SPACCA
Uniche Imprevedibili Non etichettabili
SERGIO PICCIAFUOCO VOLTO E ANIMA DI UNO DEI PRESUNTI COLPEVOLI DELLA STRAGE DI BOLOGNA
tutte le declinazioni
della nostra Regione IL PIACERE
DI RUBRICAre
Nelle Marche i turismi plurali “raddoppiano” l’Estate! Una regione plurale ha i suoi bei vantaggi: non solo mare e non solo agosto, ma un’infinità di possibilità per tutto l’anno E’arrivata l’estate e sembra proprio che il ritornello di quella vecchia canzone che diceva“per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia e stesso mare”sia più che mai attuale. Secondo un recentissimo sondaggio che compara i prezzi di una vacanza al mare in diverse località italiane, le spiagge marchigiane risultano di gran lunga le più convenienti. Il Sindacato italiano balneari assicura che non sono previsti rincari dei servizi sulle spiagge delle Marche, ed i prezzi rimarranno quindi decisamente inferiori alle medie nazionali, sia per i singoli servizi che per gli abbonamenti. Belle dunque, ben 16 le Bandiere Blu conquistate quest’anno da Maria Pettinari nord a sud dalla costa marchigiana, ed anche economiche. Sarebbe molto più bello però se si potesse portare al mare anche i nostri amici animali. Sì perché sono pochissime le spiagge della regione, circa 4 e nessuna in Provincia di Ancona, che si sono attrezzate per i nostri amici a quattro zampe. Ma non disperiamo! In attesa che burocrazia, politica e buona volontà facciano il loro lavoro, si potrebbe andare in vacanza in collina o ai piedi dell’Appennino, a passeggio nelle nostre città d’arte o alla scoperta di paesini deliziosi. D’altra parte questa nostra decantata“pluralità”regionale ha i suoi bei vantaggi: non c’è solo spiaggia, non ci sono solo collina e Verdicchio - che è comunque già molto - e soprattutto non c’è solo l’estate. Il sentore che le Marche vengono scelte sempre di più come meta di vacanza, lo si è avuto la scorsa Pasqua quando gli agriturismi della regione hanno fatto registrare un 10 % in più di presenze rispetto all’anno precedente. Ma ve lo ricordate? L’anno scorso su alcuni quotidiani nazionali uscì la notizia che il prestigioso AARP, che con 35,6 milioni di abbonati può essere definito la bibbia dei pensionati americani, aveva eletto la nostra regione tra“i cinque paradisi terrestri”dove andare a vivere dopo la pensione. Insomma, stiamo facendo concorrenza alla Florida niente meno! La battuta ora sarebbe semplice: le Marche non sono una regione per giovani! Appunto, battuta semplice e non corretta e noi di Why Marche, nel nostro campo, ne siamo una piccola riprova: staff giovane, intraprendente e creativo per un progetto molto innovativo.
Buona estate a tutte le età, dal monte al mare, passando per le colline e i borghi!
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AGORA’ 6 · Armonie marchigiane ARTE E CULTURA 10 · Il linguaggio dell’arte 12 · Estate con lo Sferisterio Opera Festival 14 · La dea della sabbia CONSUMATORI 16 · Io non voglio il falso IMPRESA 18 · Da Montecerignone all’India
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ECONOMIA E FINANZA 20 · International Open Day ESTERO 22 · Una voce dall’Afghanistan 24 · Non solo architettura 26 · Un sogno bulgaro UNIVERSITA’ 29 · Studiare in Italia conviene?
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FORMAZIONE 32 · Chimica, la nuova frontiera SOCIALE 34 · Amii Steward per Noppaw a Macerata
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Elisa Di Francisca Sul tetto del mondo
N° 06 - Luglio - Agosto 2011
www.whymarche.com Direttore Responsabile: Maria Pettinari m.pettinari@whymarche.com REDAZIONE Caporedattrice: Eleonora Baldi e.baldi@whymarche.com Responsabile di redazione Paola Solvi p.solvi@whymarche.com
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Responsabile Marketing Raffaella Scortichini r.scortichini@whymarche.com Direttore Artistico Silvio Pandurini s.pandurini@whymarche.com
ENOGASTRONOMIA 36 · Spumante di casa nostra
Responsabile Fotografia Massimiliano Fabrizi m.fabrizi@whymarche.com Editor Riccardo Maria Barchiesi Claudia Cinciripini Giampaolo Paticchio Michela Marconi Maila Chianciani Chiara Giacobelli Laura Ghiandoni Roberto Ricci Sara Bolognini Sara Schiarizza Fabio Curzi Marco Catalani Giampaolo Egizii Pamela Pinzi Daniela Abbondanza Silvia Santarelli
INNOVAZIONE 38 · Politica…partecipativa 40 · L’arte del fare ISTITUZIONI 47 · L’importanza degli “antichi mestieri” TURISMO 50 · Alla scoperta di… 52 · I segreti di Osimo sotterranea 56 · La magia dei Sibillini 60 · Attraverso le Marche
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Hi-TECH 64 · Jailbrekkiamo? LUDICA 66 · Mio caro amico Drago MODA 68 · Ad ognuno la sua scarpa
EVENTI 70 · Comunicare la bellezza 72 · Voglia di…Jamboree 75 · Senigallia in Fiera 77 · Alla corte di Re Gurk PERCHE’ 78 · La leggenda del Conero
Illustrazione Monte Conero pag.78:
Marco Bartoli
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Casa Editrice: Theta Edizioni Srl Registrazione Tribunale di Ancona n° 15/10 del 20 Agosto 2010 Sede Legale: Via Villa Poticcio 22 60022 Castelfidardo - Ancona Tel. 0717821259 Fax 07125047377 www.thetaedizioni.it - info@thetaedizioni.it Stampa: Tecnostampa: Via Le Brecce - 60025 Loreto (AN)
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a cura di
Eleonora Baldi
Musica e territorio all unisono 6
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E’ un caldissimo pomeriggio di Giugno quello in cui incontro Marco, seduti a uno dei caffè più rinomati di Porto San Giorgio. La curiosità, ammetto, è tanta: la figura del pianista evoca suggestioni del tutto particolari, ti fa immaginare un uomo quasi perso tra le nuvole, perso tra i tasti neri e quelli bianchi del suo pianoforte anche quando non lo sta suonando. Fin dalle prime parole invece si capisce come Marco sia un grande artista, ma con i piedi ben piantati per terra. Uno che ha studiato tanto e che per diventare un pianista riconosciuto a livello internazionale ha fatto tanta strada, in tutti i sensi! Uno che è innamorato della sua regione e che le ha voluto regalare una manifestazione meravigliosa e sfavillante come “Armonie della Sera” ma che ha anche sperimentato tutte le problematiche legate a quel provincialismo che è un difetto marchigiano a tutto tondo e che più di una volta ha smosso la ferma ancora della sua pazienza.
PONZANO DI FERMO
Armonie della Sera è il Festival di musica da camera più importante delle Marche, conosciuto ed apprezzato ancora di più fuori dai confini regionali e capace di attirare attenzioni internazionali. Un successo nato dalla passione del pianista Marco Sollini, che ce ne racconta con orgogliosa soddisfazione la nascita e l’affermazione. Ma, non è tutt’oro quel che luccica… www.armoniedellasera.it
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Entriamo nel vivo allora: come nasce Armonie della Sera e quali principi ne sono ispiratori?
“Come dicevo, la voglia di organizzare una manifestazione importante per le Marche l’avevo da tempo. Nel 2000 ho acquistato una casa a Ponzano di Fermo, con una vista molto suggestiva. In modo particolare, dal piazzale dove posteggio la mia auto vi è una splendida vista panoramica sulla chiesa di S. Marco: un vero gioiello romanico. E così mi è venuta l’idea: perché non unire la magia della Grande Musica, con quella dell’arte, della cultura, dei paesaggi mozzafiato delle nostre Marche? Da qui è partita l’idea che poi ha portato alla creazione di “Armonie della Sera”, supportata dall’amministrazione comunale. Il principio portante è stata la volontà di non fermarsi a promuovere un festival semplicemente locale, ma creare una serie di eventi itineranti, tutti ispirati alla comunicazione appunto dell’armonia tra uomo, musica, natura ed arte. Le location che si scelgono devono quindi rispondere a questo requisito fondamentale: inquadrare ed incarnare la bellezza, intesa come acustica, storica, paesaggistica. La nostra è quindi una ricerca anno dopo anno di angoli straordinari delle nostre Marche, spaziando tra tutte le cinque province”.
Quindi la scelta della location non è casuale, anzi direi fondamentale!
“Non è semplicemente una scelta, è un processo di creazione. Mi spiego meglio. Niente deve essere preso di per sé. La musica deve essere quella giusta da accostare al paesaggio, così come l’artista deve essere quello giusto per quella particolare sede. Non ci scordiamo il cardine di tutta l’iniziativa: l’armonia! Ogni sede va studiata dal punto di vista del suono. Per esempio, quest’anno è stata inserita una serata alle Grotte di Frasassi, che hanno ovviamente un’acustica del tutto particolare. E non a caso è stato scelto di far eseguire in questa location un concerto con la glassharmonica in duo con la chitarra: la natura crea le condizioni che la musica prodotta dall’uomo sa poi sfruttare per creare una commistione assolutamente suggestiva ed irripetibile”.
E gli artisti invece?
“Sono tutti di grandissima levatura internazionale perché vogliamo di anno in anno regalare al pubblico un cartellone sempre più ricco. Volutamente, gran parte di loro sono italiani. Questo perché a mio parere c’è una diffusa mania esterofila: ciò che viene da “fuori” è comunque migliore di quello che abbiamo in casa; anche un artista italiano assume molta più importanza se si è fatto precedentemente e contemporaneamente apprezzare all’estero. Io non condivido questo modo di pensare e per questo voglio dare spazio anche agli artisti di casa nostra. Credo sia molto meglio fare attenzione al livello di qualità, che deve essere eccelso, piuttosto che al “da dove” provenga questo o quell’artista. Ogni anno cerco di inserire diversi marchigiani in cartellone; anche in questo caso, non semplicemente perché sono conterranei ma perché in grado di restituire una qualità assoluta. Per esempio quest’anno avremo Stefano Ricci, ottimo clarinettista fermano e Lorenzo Di Bella, pianista di Civitanova Marche di caratura internazionale. E’ un peccato che spesso sia più facile farsi apprezzare all’estero che non qui. La regola del “nemo propheta in patria” è spesso tristemente confermata”.
Ci dica qualcosa in più sul programma di Armonie della Sera.
“In cartellone abbiamo 15 appuntamenti ufficiali più tre fuori programma. Come detto, il Festival è itinerante e copre tutte le Marche, in modo particolare le città che ci ospiteranno sono: Capodarco, Castel di Lama, Corridonia, Falconara Marittima, Genga, Gradara, Monte San Pietrangeli, Ponzano di Fermo, Porto San Giorgio, Recanati e Torre di Palme. Per quanto riguarda invece i tre appuntamenti ulteriori, uno è stato il consueto concerto di anteprima che ho condiviso “a 4 mani” con Salvatore Barbatano, un altro quello dedicato al compleanno di Leopardi che mi ha visto accanto a Paola Pitagora quale voce recitante ed infine il concerto come “Armonie della sera on the world”, fissato
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il direttore artistico MARCO SOLLINI per ottobre nella Foresta Nera, in Germania, dopo il successo dell’anno scorso nella meravigliosa cornice dell’isola greca di Santorini. La gran parte delle serate è ad ingresso gratuito, solo tre sulle quindici saranno a pagamento. Molto importanti sono poi i ponti che “Armonie della Sera” è in grado di creare; ad esempio il concerto che terremo alla Foresta Nera, con un programma interamente dedicato ed ispirato a Rossini che proprio a Bad Wildbad trascorreva le sue vacanze termali. Inoltre, sarà realizzato anche un cortometraggio che prende spunto proprio dalle musiche del grande Gioacchino Rossini. Mi preme ricordare ancora una volta, l’attenzione che mettiamo alla qualità: la scelta delle location, la creazione di contatti con l’estero e le collaborazioni con altri festival italiani, la possibilità di avere musicisti di grandissimo calibro: basti pensare che ben quattro degli artisti che si esibiranno sono prime parti dell’Orchestra della Scala”.
Sfatiamo un tabù: la musica da camera è chiamata così perché è noiosa e fa addormentare?
“C’è proprio bisogno di sfatarlo questo tabù! E in realtà, basterebbe fare il passo di assistere ad un concerto per togliersi questa idea dalla testa!La musica da camera è tutt’altro che noiosa; in una parola è emozionante. La prima cosa da fare è spazzare via il pregiudizio insito nel costume culturale della nostra società, che si basa proprio sulla specifica“da camera”. Questa dicitura, ha le proprie origini nella storia, quando nei salotti più buoni dell’aristocrazia e della borghesia illuminata, si incontravano esponenti della vita economica, culturale e politica per assistere a concerti di musica classica. La musica da camera fa parte della Grande Musica ed ha come esecutori o un solista oppure piccoli gruppi strumentali. Partecipare ad una serata del nostro Festival, data anche la possibilità di assistere gratuitamente al concerto, è il modo migliore per scostare i paraocchi che condizionano.“Armonie della Sera”è indirizzato a tutti: ad appassionati che vengono per il concerto e con l’occasione finiscono per conoscere il luogo che ospita la serata come a turisti che si spostano per visitare un determinato borgo e nel contempo si fermano per assistere alle performance degli artisti. Non nego la soddisfazione che ho non solo nel vedere l’ottima risposta da parte del pubblico a tutti gli appuntamenti, ma nel notare come
Sky Classica, Radio Vaticana. Ad essere richiamati da “Armonie della Sera” non sono solo gli appassionati marchigiani, ma si sviluppa un vero e proprio turismo di nicchia attorno a questo nostro progetto. Nonostante ciò, non è affatto facile superare i vari filtri ed attirare l’attenzione e soprattutto la collaborazione delle Amministrazioni, sia a livello locale che centrale. Anzi, capita per assurdo di essere colpiti quando si incontrano sensibilità particolari. Un esempio ne è sicuramente l’amministrazione della Provincia di Fermo ad anche la Fondazione Carifermo che hanno immediatamente capito la ricaduta che un evento di questo tipo ha sul territorio”.
PRIMA DI PARLARE DI ARMONIE DELLA SERA,
parliamo un po’ di Lei! Chi è Marco Sollini?
Un lavoro duro insomma…
NI sempre di più ci siano giovani e anche bambini. Quello che contraddistingue le serate di“Armonie della Sera”, lo ripeto ancora una volta, è proprio l’armonia: il clima festoso, la fusione tra il luogo e la musica”.
Tocchiamo un punto forse dolente: che ruolo giocano le varie Amministrazioni nel progetto “Armonie della sera”?
“Un punto sicuramente delicato. Il nostro Festival ha la particolarità di coprire un territorio diffuso; è quindi ovvio che per noi è importante poter coinvolgere i vari Enti, dalla Regione, alle Province, ai Comuni. Se è vero che ogni anno riusciamo a tirare dentro altri soggetti e ad attirare l’attenzione di nuovi comuni, si verifica però allo stesso modo che alcuni, di anno in anno, decidano di non partecipare più. Il cambio dell’amministrazione molto spesso crea un rottura, perché quanto è stato fatto dal “potere” precedente deve necessariamente essere spazzato via; certo, è possibile anche il contrario, che con un cambio si aprano nuove prospettive di collaborazione. Al di la dei colori politici comunque, ciò che fa la differenza è la sensibilità dell’amministratore rispetto ad iniziative come questa che, non lo dimentichiamo, sono in grado di movimentare un gran numero di persone e di portare benefici a tutto l’indotto: è un’attrattiva culturale e allo stesso tempo turistica, è un importante carta in più da giocare nel nome del marketing territoriale integrato. Anche a scorrere i nostri partner mediatici, si dovrebbe comprendere la grande risonanza che il Festival ha: RAI RADIOTRE,
“Per preparare il Festival, lavoriamo tutto l’anno. E molto del nostro tempo è assorbito proprio dalla ricerca di ottenere l’attenzione degli enti pubblici. Per chiudere alcuni contatti, dobbiamo aprirne 10 volte tanti. Poi capita come quest’anno che due comuni storicamente presenti al nostro Festival si ritirino adducendo motivazioni quanto meno “leggere”: Urbino ed Ascoli. Quando succedono dietrofront di questo tipo, viene quasi da chiedersi se ci meritiamo le bellezze che le Marche hanno; e se sia il caso di organizzare manifestazioni come queste qui, che non hanno a volte l’apprezzamento che meritano. La nostra è una regione molto difficile, appesantita da una mentalità talvolta provinciale. Non nego che a volte mi sia balenato in mente di portare “Armonie della sera” fuori dalle Marche; ma l’amore per questa terra e per le suggestioni uniche che sa creare mi ha sempre trattenuto! Certo, non è che altrove sia tutto facile, però nelle Marche il problema è molto significativo. Per fortuna devo dire che le soddisfazioni arrivano e tante. Anche da alcune realtà illuminate che dimostrano una grande sensibilità ed interesse, penso ad esempio al sindaco Agostini di Porto San Giorgio che da ben 3 anni ci chiede di poter ospitare l’evento di apertura. Quello che vorremo far capire è che se anche non c’è un ritorno economico immediato, il guadagno c’è, e tanto, da un punto di vista di immagine. Aumenta la percezione della qualità dei servizi e delle possibilità offerte ai turisti, si possono pensare percorsi di turismo costruiti ad hoc come tra l’altro facciamo già con l’agenzia “Note in viaggio” di Roma e la “Lilian Travel” di Fermo. Purtroppo però alle tante parole, seguono spesso pochi fatti”.
Però ci credete in “Armonie della Sera” e volete farla crescere sempre di più.
“Su questo non ci sono assolutamente dubbi. “Armonie delle Sera” è un diamante, incastonato in un gioiello di oro puro come le Marche sono. Tutto sta a fare in modo che ci si accorga di questo e magari che anche nelle alte sfere della Regione qualcuno si accorga di noi… la speranza è l’ultima a morire! E noi, anno dopo anno, creeremo sempre qualcosa di migliore per fare in modo che ciò accada!”. WM
“Per prima cosa direi che sono un pianista, innamorato della musica, ed in modo particolare della Grande Musica, di cui quella da camera è una delle espressioni più sublimi secondo me. Ho studiato per un paio d’anni al Conservatorio di Fermo e poi a Pesaro dove mi sono diplomato. Fin dai primi passi della mia attività concertistica ho avuto la fortuna di poter fare tante esperienze all’estero: Svizzera, Sud America, Germania furono le prime tappe fuori dall’Italia. E posso dire che le soddisfazioni maggiori le ho avute proprio fuori dai confini nazionali: sembra che solo se si riesce ad affermarsi fuori, si sia poi meritevoli di riconoscimenti nella propria terra! In pratica ho girato con la mia attività concertistica in tutta Europa, sia come solista che in formazioni cameristiche con grandi artisti. Alcune esperienze molto importanti le ho fatte anche in Nord America ed in Africa. Nonostante però questa empatia molto forte con l’estero, non ho mai rinunciato all’idea di creare qualcosa per le Marche ed i marchigiani. E “Armonie della Sera” è stata la risposta a questa mia volontà, anche se il tutto è nato un po’ per caso!”
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Maxs Felinfer:
un’arte a servizio dell’uomo
di
Claudia Cinciripini
Intervista Intervistaal alpittore pittoreitalo-argentino italo-argentinofondatore fondatoredel delmovimento movimentoSeblie. Seblie.Quarant’anni Quarant’annispesi spesi nell’arte, in una continua ricerca del linguaggio. Una pittura che interroga la modernità nell’arte, in una continua ricerca del linguaggio. Una pittura che interroga la modernità eela laspinge spingeaariflettere rifletteresul sulproprio propriodestino destino
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Quando ha deciso che nella sua vita avrebbe fatto l’artista? “In un testo scrissi: ‘Sono convinto che basta una scintilla per creare l’universo. Basta che si crei l’ambiente giusto e la magia scatta, producendo l’incantesimo dell’immaginazione. A me è bastato, in prima elementare, guardando con inaudito stupore, osservare scorrere i gessetti sulla lavagna ed il mio futuro aveva acquistato un senso definitivo’. Forse anche alcune circostanze della vita mi hanno orientato sin da piccolo verso questa passione: mio zio che lavorava in una società grafica e mi regalava cartoline e gessetti, o il fatto di avere un amico che era nipote della pittrice Blambloquel de Casanovas”. All’età di 22 anni fonda un movimento chiamato Seblie. Cos’è il seblismo e come nasce? “Quando finii l’Università, avevo alle spalle la struttura classico-accademica e davanti la Pop-art e l’Happening. Noi (io e un gruppo di artisti, attori e intellettuali) ci rendemmo conto che quello che realizzavamo non era né arte classica né arte ‘masticata’ dagli Usa. La nostra arte era altro, e poiché era qualcosa di nuovo la chiamammo ‘Seblie’, una parola
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che non significa niente poiché non si riallaccia a nulla di conosciuto. Il seblismo non ha regole e libera l’arte dagli schemi, ponendola al servizio dell’uomo e del suo bisogno di esprimersi. Con questa filosofia, iniziammo a fare performances per avvicinare l’arte alle persone, per coinvolgerle in un gioco di sensibilità. Inizialmente la gente era un po’ impaurita, non capiva cosa stessimo facendo, forse perché era abituata a vedere l’artista su di un piedistallo, ma il risultato finale era sempre positivo: era come se le persone sperimentassero una nuova dimensione, agendo come attori in prima persona nel gioco”. Nell’ultima collezione “PassatoFuturo”, esposta il mese scorso al Palazzo dei Capitani di Ascoli, Lei utilizza componenti elettronici recuperati da vecchi computer e stampanti, e li applica alla sua pittura. Dobbiamo leggerlo come una critica alla tecnologia? “L’intento di questi quadri non è quello di criticare tout court la tecnologia, ma di dare un segnale alle persone. È più che altro un invito alla riflessione sul consumo, sulla superficialità con la quale agiamo nei confronti della tecnologia: non sappiamo più cosa stiamo facendo,
sostituendo continuamente oggetti ‘vecchi’ con dei nuovi. È un’idea che mi scaturì già negli anni Settanta, quando vedevo i primi televisori gettati tra i rifiuti”. Molti dei quadri dell’ultima collezione fanno pensare a città e paesaggi moderni visti dall’alto. Alcuni comunicano un senso di inquietudine e di decadenza post-industriale, altri un segno di rinascita e di speranza. Cosa ne pensa? “Lascio a ciascuno la sua interpretazione, poiché ogni opera d’arte è insieme tre cose: il punto di vista dell’artista, quello dell’osservatore e ciò che l’opera è in sé. In tutti i miei quadri è comunque presente, accanto alla dimensione realista, una dimensione onirica e metafisica, che svela un’ulteriore realtà oltre quella visibile”. Lo scorso 9 giugno Lei, insieme a una ventina di artisti internazionali, ha donato opere all’ospedale di Pescara, in un evento intitolato “Coloriamo l’ospedale”. Cosa rappresenta quest’iniziativa? “Se vivere in una prigione è di per sé limitante per via delle mura, convivere con una malattia è una prigione ancora peggiore, perché comporta dei limiti fisici ed interiori. Mettere quadri in un ospedale significa aprire le finestre dell’anima, far sì che i pazienti possano trovare un ambiente più accogliente e vitale intorno a sé, così da stimolare la loro capacità di guarigione”.
Max Felinfer Come artista straniero e come uomo che rapporto ha col nostro territorio, con le Marche? “Credo che le Marche siano una delle regioni più belle d’Italia: a livello di risorse naturali è di una bellezza infinita. Ciò che mi piacerebbe cambiare è invece la mentalità: troppo chiusa, spavalda e superficiale, troppo attaccata a quella che io chiamo la ‘povera ricchezza’. Questo aspetto, tuttavia, è meno presente nel nord delle Marche, dove la gente è più aperta e gentile”. Nei confronti dell’arte o del rapporto con gli altri? “Entrambe le cose. In fondo chi è aperto all’arte lo è anche nei confronti dell’altro e viceversa. Poiché l’arte è semplicemente un’espressione dell’uomo”. WM
Nato il 22 aprile 1947 a Maciel in Argentina da genitori molisani, Maxs Felinfer giunge in Italia 23 anni fa e risiede attualmente a Monteprandone (AP). La sua carriera artistica comincia nel 1968 e comprende un gran numero di mostre, esposte in Argentina, Uruguay, Brasile, Stati Uniti, Olanda, Germania, Austria, Ungheria e Italia. Nel 1969 il pittore crea un movimento artistico chiamato “Seblie”, che realizza spettacoli e performances coinvolgendo diverse discipline artistiche. A Felinfer e al suo movimento vengono dedicati diversi libri: “Maxs Felinfer, Su Tematica Pictorica” (1983), “Seblie, un linguaggio” (1984) e “Seblie: il ruolo dell’arte” di Patricia Vena, Roberta Lucianetti e Annalisa Piergallini (2005). Dal 2001 l’artista fa parte del Gruppo Europeo d’Arte Contemporanea Frequenzen.
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Lo Sferisterio Opera Festival:
Photo: Alfredo Tabocchini
Libertà e destino
Un titolo accattivante e immaginifico quello scelto per la Sesta edizione dello Sferisterio Opera Festival
di
Chiara Giacobelli
uno degli eventi più importanti della regione per quanto concerne il mondo della lirica. In realtà, i sedici appuntamenti in programma per questa 47esima Stagione, che si svolgerà a Macerata dal 22 luglio all’11 agosto, sono eterogenei e ricchi in ogni singolo aspetto. Si spazierà infatti dall’opera alla danza, dal recital alla musica, senza dimenticare gli incontri con le personalità più eccelse del panorama internazionale.
PIER LUIGI PIZZI
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Il primo incontro, ad esempio, sarà proprio in apertura al Festival e vedrà come protagonista Massimo Cacciari, che il 22 luglio alle 18, presso l’Auditorium di San Paolo, terrà la conferenza inaugurale. Poche ore dopo, lo Sferisterio accenderà le proprie luci, la musica si diffonderà nell’aria, gli interpreti inizieranno a muoversi sul palco ed ecco che prenderà vita “Un ballo in maschera”, capolavoro di Giuseppe Verdi scelto dal direttore artistico del Festival, il Maestro Pier Luigi Pizzi, per “aprire le danze”, nel senso letterale del termine. Sotto la direzione di Daniele Callegari e la regia, scene e costumi di Pizzi, alle 21 del 22 luglio lo splendido spazio dello Sferisterio sarà quindi animato dalle voci di Stefano Secco (Riccardo), Marco Di Felice (Renato), Teresa Romano (Amelia), Elisabetta Fiorillo (Ulrica) e Gladys
Rossi (Oscar). Il programma della 47esima Stagione Lirica di Macerata proseguirà quindi il 23 luglio con una seconda opera verdiana, un classico intramontabile che è impossibile non amare: il “Rigoletto”, diretto da Andrea Battistoni, con regia, scene e costumi di Massimo Gasparon. Seguiranno il 24 luglio “Così fan tutte” di Wolfgang Amadeus Mozart, con direttore Riccardo Frizza e regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi, “Il tempo” di Mahler il 2 agosto e il “Gala di Danza” con Svetlana Zakharova & Étoiles del Bolshoi Ballet l’11 agosto. Se la Stagione Lirica è giunta ormai alla sua 47esima edizione, il Festival è invece più giovane ed è stato fortemente voluto dal Maestro Pizzi sei anni fa, con un’intuizione che nel tempo si è dimostrata assai fortunata.
“Credo che i frutti di questa trasformazione si siano cominciati a raccogliere da subito, sin dalle prime novità – spiega entusiasta il Maestro Pier Luigi Pizzi, a tutti gli effetti anima, cuore e colonna portante dello Sferisterio Opera Festival –. Ad esempio, è stata adottata una diversa strategia di programmazione rispetto al passato, concentrando tutti gli appuntamenti in pochi giorni. Si è infatti notato che per i turisti è più comodo partecipare agli spettacoli se questi sono ravvicinati nel tempo. D’altra parte, le Marche sono una regione meravigliosa e in molti vengono per trascorrere una vacanza all’insegna della lirica, ma anche del mare, della campagna, dell’arte e dell’enogastronomia, in totale libertà e relax”. La libertà, insieme al destino, è proprio il tema dominante di questa 47esima Stagione. “Sì, due concetti astratti che tuttavia intersecano di continuo le fila della nostra vita, nelle decisioni da prendere ogni giorno, nei pensieri, nelle scelte. Li trovo temi di grande attualità, al di là della chiara connotazione storica”. Tanto più che ci troviamo nel 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia.
Photo: Alfredo Tabocchini
“Ovviamente nel concetto di libertà è implicito il riferimento a ciò. Sappiamo bene che la nostra Unità d’Italia è maturata anche grazie al melodramma italiano, Verdi in primis”. Ha infatti scelto due opere verdiane in apertura al Festival. “Le ho volute perché in entrambe entra in modo molto preciso il senso del libero arbitrio, che ci salva dalla rassegnazione e dal fatalismo. Ma per ognuno di noi è poi necessario fare i conti anche con il destino, che gioca sempre l’ultima carta”. Come ogni anno, anche in questo caso le collaborazioni che lo Sferisterio Opera Festival instaura con altre realtà marchigiane sono molte e notevoli. “Sì, a cominciare dal “Rigoletto”, che ha come partner la Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi e il Circuito Lirico Lombardo. Oltre ad essi, saranno presenti anche la Fondazione Teatro delle Muse di Ancona per “Così fan tutte”, Civitanova Danza con il progetto “Danza all’Opera”, la FORM-Fondazione Orchestra Regionale delle Marche, il Coro Lirico Marchigiano “V.Bellini” ed altre importanti realtà”. WM
Pier Luigi Pizzi durante le prove di un ballo in maschera
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Sabbia, musica e … fantasia!
sognatore
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Un gioco fatto di ispirazione ed estrema precisione, di istinto e cura di ogni dettaglio, di materia pura e tecnologia: Silvia Emme ci racconta la sua sabbia
di Eleonora Baldi
Girare in internet è un ottimo modo per venire a conoscenza di realtà speciali che stanno a due passi da casa tua, ma di cui purtroppo non avevi neanche idea: i soliti paradossi della comunicazione! Capita di passare il tempo su youtube e alla fine imbatterti in una ragazza che “gioca” con la sabbia, che crea suggestioni che non puoi non incantarti a guardare, che assoggetta la materia al suo volere con il semplice tocco di una mano. E ti incuriosisci, comincia ad aprire pagine varie, a scoprire che tra le altre cose questa ragazza, che hai scoperto chiamarsi Silvia Emme ed essere di Porto Recanati, ha inviato al Principe William e alla sua consorte Kate un video per il loro matrimonio, che ci racconterà poi sembra sia molto piaciuto tanto che entrambi l’hanno condiviso in twitter. Così provi a contattarla, la incontri, ti siedi in un bar assieme al suo manager Mattia Lorenzetti e ascolti.
Silvia e l’arte…come nasce questo rapporto? “Mio zio e mio nonno erano fotografi, quindi sono cresciuta naturalmente predisposta ed attenta all’immagine, all’inquadratura. Mi viene estremamente facile capire da quale punto è meglio guardare le cose, perché lo faccio fin da quando avevo 2 anni: quando ho preso in mano la mia prima macchina fotografica”. La fotografia immobilizza un attimo; lavorare con la sabbia significa creare e cambiare di continuo. Come è avvenuto questo passaggio? “Il mio percorso è passato attraverso prima l’Istituto d’Arte e poi l’Accademia. Da un lato mi sono concentrata su qualcosa di estremamente tecnologico studiando da grafica pubblicitaria. Però non mi accontentava, era troppo tecnologico, avevo perso il senso delle cose. In Accademia, ho fatto praticamente il passo contrario: il restauro. Volevo imparare il perché delle cose, capire perché una cosa è fatta in una maniera piuttosto che in un’altra. Volevo approfondire lo studio dei materiali. Poi ho visto in tv la pubblicità dell’Eni e mi ha colpito il modo di unire delle procedure
leopardo
tanto tecnologiche, come l’uso del tavolo luminoso e della telecamera, a qualcosa che è materia pura come la sabbia. Mi ha interessato tantissimo questa cosa. E ho iniziato a giocare con la sabbia, a muoverla, a vedere se era possibile anche per me. Tutt’ora non saprei dire da che cosa deriva la capacità di farlo! Credo che se si ha una buona mano per disegnare si può lavorare anche con la sabbia; poi … ognuno ha la sua mano!”. Come nasce un’immagine? “E’ difficile calcolarla prima, le luci, i tratti … realisticamente fino a quando non ti trovi a realizzarla, soprattutto quando sei dal vivo, non sai come finirà. Non è un qualcosa che puoi prevedere, anche perché ogni volta che sposti la sabbia, crei un segno: non puoi fare dei ritocchi continui; il gesto, il tratto, lo fai una volta e basta! Se ci va un filo di sabbia in più, l’immagine sarà comunque diversa rispetto magari a quella che avevi provato. A secondo della telecamera che riprende le mie mani, vedi qualcosa di diverso; così come la percezione che ho io è diversa da quella del pubblico e ancora da quella che vedi sullo schermo. La luce è diversa e restituisce
egitto
grado di separare la testa e la mano: la testa ragiona, la mano mette in pratica. Ma non credo otterrei lo stesso risultato! Ci si può immaginare il mondo, ma poi metterlo in pratica è un’altra cosa e se tutto non fosse legato dalla passione … non credo sarebbe possibile! Ovvio poi che sia fondamentale fare attenzione anche alla parte commerciale, al di la di quello che piace a me. E in questo per fortuna ho Mattia – il suo manager, ndr – che mi aiuta”. Qual è l’esibizione alla quale sei più legata? “Come ti dicevo prima, io adoro il freedom! E comunque, appena realizzata l’immagine non riesco a “legarmi”; piuttosto mi capita riguardando i video dopo tempo. Ad esempio quello che ho realizzato per il matrimonio del principe William e Kate. All’inizio ho concettualmente capito cosa fare e come farlo, ma non mi ci sono affezionata subito. Con il tempo poi, riguardandolo, l’ho vissuto sentimentalmente in maniera molto più forte. E’ stato particolare anche quello realizzato per Dolce e Gabbana. La musica che l’accompagna, che è la stessa utilizzata nella pubblicità, Parlami d’amore Mariù non so più quante volte l’ho ascoltata; e poi i bulloni della borsa: non so più quante volte li ho ridisegnati! Adesso stiamo attendendo di sapere la data dell’esibizione in boutique”. Le aziende delle Marche sono quanto meno tradizionaliste. Hai avuto un buon riscontro nel territorio oppure di più fuori dai confini regionali? “Ad essere sinceri, nelle Marche abbiamo avuto praticamente zero riscontri. Stasera (6 luglio, ndr) parteciperò alla presentazione del libro “Un tempo da ricordare” a Recanati e dopo la mia apparizione sul Tg3 Marche ho ricevuto parecchie richieste. A livello nazionale ed estero, l’approccio è totalmente diverso. Addirittura sono stata contattata per un grande evento che si terrà in Azerbaijan e per un altro a Parigi”. WM
! un’immagine diversa. E’ importantissimo vedere a monitor quello che stai facendo perché così capisci se devi usare dei contrasti più forti o meno, perché alla fine ciò che è importante è quello che fai vedere, non quello che vedi tu. Molto dipende dalla telecamera, dal tecnico che ti affianca. La sfida è riuscire a far vedere agli altri ciò che io vedo nella mia mente. Dal vivo non puoi calcolare, sai qual è l’obiettivo ma il percorso non lo conosci fino in fondo. Coi video montati è diverso, ovviamente”. Da come ci racconti quello che fai, sembra quasi che per te non sia un lavoro ma un divertimento! “In effetti è partito come un gioco, per me è divertentissimo! E’ un modo di esprimersi, è bello dimostrare a se stessi che in maniera rapida, con pochi gesti sei in grado di creare un concetto e comunicarlo. Io ad esempio mi diverto tantissimo a disegnare i delfini, a comunicare lo stile freedom, la libertà. Lo faccio spesso. Se non c’è passione in quello che fai, specie in una cosa come questa che è in continua evoluzione, non riuscire a costruire le immagini … a meno che non si sia in
donna
delfino
delfini
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NO ADICONSUM:
ALL’INDUSTRIADEL
Contraffazione e Made in Italy:
la campagna informativa e formativa che l’Adiconsum Marche sta attuando nell’ambito dei progetti cofinanziati dalla Regione Marche,
con l’obiettivo di sensibilizzare il consumatore sul fenomeno della contraffazione e sulle sue pesanti conseguenze, usando tutti gli strumenti a nostra disposizione per
raggiungere i cittadini al fine di costruire una nuova cultura del consumo
a cura di ADICONSUM MARCHE
che emargini l’illegalità.
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La contraffazione in senso letterale indica l’ utilizzo di un marchio registrato o di segni distintivi senza il consenso del titolare, apponendoli su prodotti non commercializzati dal titolare del marchio; si tratta di un reato penale, sanzionato dal Codice Penale con la reclusione fino a 4 anni e sanzioni amministrative. Centrale dunque il concetto di marchio, che distingue i beni ed i servizi prodotti da un soggetto da quelli similari realizzati da altri; alla registrazione del marchio corrisponde un diritto esclusivo di utilizzo da parte del legittimo titolare e la tutela della proprietà intellettuale ed industriale. Parliamo di marchio commerciale o di fabbrica, ma esistono una molteplicità di marchi che possono essere oggetto di contraffazione. Pensiamo al marchio CE, che certifica la conformità dei prodotti
alle direttive comunitarie, marchi relativi a prodotti alimentari ed agricoli, come IGP o DOP, che certificano la provenienza e l’origine del prodotto in relazione ad una specifica area geografica, il marchio QM della Regione Marche. La contraffazione così definita è un fenomeno complesso ed in continuo incremento, del quale il consumatore diventa complice, consapevole o meno, con le proprie decisioni di acquisto. Fenomeno che danneggia la nostra economia e le nostre imprese, alimenta il lavoro nero, utilizza manodopera clandestina, provoca disoccupazione e limita lo sviluppo economico e la competitività del nostro paese. Pregiudica la tutela dell’originalità e della qualità del Made in Italy, accresce l’evasione fiscale e contributiva a vantaggio della criminalità organizzata e a danno della collettività,
>>> AGCM
http://www.agcm.it
www.dirittoedifesa.it www.adiconsum.it info@adiconsum.it adiconsummarche@virgilio.it
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elementi da considerare CHI COMPERA MERCE CONTRAFFATTA COMPIE UN ILLECITO AMMINISTRATIVO
Dà UN CONTRIBUTO ALLA CRIMINALITà ORGANIZZATA
CONCORRE ALL’EVASIONE FISCALE E ALLO SFRUTTAMENTO DEL LAVORO NERO
METTE A REPENTAGLIO IL SISTEMA PRODUTTIVO
NUOCE ALLA PROPRIA SALUTE E ALLA SICUREZZA
costretta ad impiegare ingenti risorse per combattere il fenomeno. I danni non sono tuttavia soltanto di ordine economico; un forte accento va posto sulla possibile pericolosità dei prodotti contraffatti per la nostra stessa salute. Oltre ai comparti abbigliamento, calzature e accessori moda, i più interessati, oggi l’industria del falso colpisce settori meno “visibili”, ma che impattano fortemente e direttamente sulla salute del consumatore: prodotti alimentari, occhiali, cosmetici, farmaci, ricambi di auto e aerei, apparecchi medicali, strumenti chirurgici, componenti di giocattoli. Bassi costi di produzione, enormi margini di profitto, gravissime conseguenze per la sicurezza e la salute dei consumatori. I materiali utilizzati per la produzione di abiti, occhiali e cosmetici possono essere tossici e provocare allergie e dermatiti; l’utilizzo di farmaci contraffatti può evidentemente causare gravissimi problemi di salute fino a conseguenze estreme; ricambi per aerei e auto contraffatti (solo a titolo di esempio: sistema frenante, pistoni, cuscinetti, cinghie, ecc..) , mettono a rischio la nostra stessa vita; un giocattolo contraffatto, o che reca impropriamente il marchio CE, pone il bambino di fronte a rischi di tipo chimico, per le sostanze con cui è prodotto, rischio soffocamento per le piccole parti che possono staccarsi, rischio ustioni in caso di utilizzo di batterie o materiali infiammabili. E’ dunque evidente che la contraffazione, oltre che essere una vera piaga sociale ed economica, è anche suscettibile di mettere a repentaglio la sicurezza dell’acquirente e dell’utilizzatore. WM
OCCHIO A: Controllare le etichette e verificare la tracciabilità del prodotto. Boicottare i prodotti privi di informazioni. Diffidare dei canali di vendita che propongo bassi prezzi su marchi famosi. Diffidare non soltanto del classico venditore extracomunitario, ma attenzione anche ai canali di vendita tradizionali e ad internet, nuova frontiera in particolare per la vendita di farmaci, ricambi auto e così via. Farsi parte attiva: sia per segnalazioni che per semplici informazioni; oltre alle Autorità preposte è attivo lo sportello Contraffazione Adiconsum
Alcuni Dati * I prodotti contraffatti più acquistati sono abbigliamento ed accessori, profumeria, cd e e dvd . Il principale stimolo all’acquisto del “falso” è il prezzo per l’82,3% del campione, e il 71,2% si dichiara soddisfatto dell’acquisto al punto di pensare di ripetere l’esperienza nei prossimi 2 anni. Il 95,9%, ammette di essere a conoscenza dei rischi per la salute e la sicurezza, ma il risparmio ottenuto è tale da convincerli a perseguire in tale comportamento. Il 90%, con punte del 93% nel Nord Est e Nord Ovest, è a conoscenza delle sanzioni amministrative a carico dell’acquirente (dai 500 ai 10.000 euro, anche per acquirenti stranieri) anche se soltanto il 50% le condivide Il 77% c.a. è invece è a favore delle sanzioni per i venditori. Il risultato forse più indicativo è che è il fattore economico a determinare le scelte del consumatore, tant’è che un’alta percentuale, tra l’87 e il 91%, indica come possibile soluzione e valido strumento deterrente la riduzione dei prezzi dei prodotti originali o l’immissione sul mercato di linee di marca ma a prezzi più contenuti. *(Fonte : sondaggio realizzato nell’ambito del progetto del Ministero dello Sviluppo economico “Io non voglio il falso”, con la collaborazione di 8 associazioni, tra cui l’Adiconsum, su un campione di 4.000 soggetti statisticamente rappresentativo della popolazione italiana per sesso, età, ed area geografica)
Progetto “Io non voglio il falso”: Ministero dello Sviluppo Economico, Acu – Associazione Consumatori Utenti, Adiconsum, Adoc, AU AssoUtenti, Codici – Centro per i Diritti del Cittadino, Federconsumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino
a.it m.it
io.it
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Una famiglia globalizzata: il modello Pascucci Shop La storia del caffè Pascucci parte da Montecerignone, da un’impresa familiare che ha saputo fare di un marketing estero intelligente il proprio marchio di fabbrica Montecerignone, in
provincia di Pesaro e Urbino, è un caratteristico paesello che conta in tutto 670 abitanti. Nel centro storico, abbarbicata su uno sperone di roccia, c’è la fortezza malatestiana che guarda un infinito mare ondulato di colline coltivate, tipico delle nostre zone. Lo splendido panorama accostato alle meraviglie storiche che impreziosiscono il borgo, potrebbero rappresentare tutto quel che di bello c’è da raccontare di questa terra. Ma qui, cullata da un clima mite e asciutto, è sorta una realtà nuova, che ci parla di futuro. Una realtà che racconta di una casa, molto moderna e molto antica, di una famiglia con una lunga storia alle spalle. Un luogo divenuto punto di partenza per viaggiare e conquistare nuovi spazi, scoprire nuove terre, andare…andare… Per farci raccontare questa storia, incontriamo Fabio Andreani, che ci parlerà della grande azienda che ha casa proprio in questo paesino:
di
Laura Ghiandoni
la Pascucci
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Come e quando nacque l’azienda Pascucci? “Nel 1883 nasce l’attività imprenditoriale della famiglia Pascucci, nel commercio alimentare ad opera di Dino Pascucci. E’ però nel 1975 che la Caffè Pascucci si dedica esclusivamente all’ espresso e alle miscele di qualità”. Perché un paese così piccolo è la sede di un’azienda così grande ed in espansione? “La scelta della famiglia Pascucci è stata una scelta di cuore ma non solo. Di cuore perché la famiglia è legata ai territori in cui sono cresciute diverse generazioni di Pascucci e soprattutto per un inserimento in un territorio dove sono radicati e dove tutti si conoscono. C’è un forte legame da parte
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della proprietà con le proprie radici, tanto è vero che circa sei anni fa, di fronte ad una scelta di espansione produttiva necessaria e di rinnovamento della torrefazione, hanno scelto di edificare lo stabilimento a poche centinaia di metri dallo stabilimento vecchio. La seconda motivazione è di carattere qualitativo. Il clima di questo piccolo paese del Montefeltro presenta le condizioni ambientali più adatte per il mantenimento e la conservazione del caffè verde, proprio per la scarsa umidità e i suoi valori costanti”. Quanti Caffè Pascucci sono ora aperti in tutto il mondo e quando avete fatto la scelta di diventare un modello di franchising?
“Ad oggi i Caffè Pascucci Shop nel mondo sono circa 210, di cui almeno 150 sono situati in Corea del Sud in cui Pascucci è diventato un must al pari di altri marchi di caffè di estrema importanza in tutto il mondo. La scelta di aprire il primo Pascucci Shop è di Mario Pascucci, il presidente dell’azienda e figlio di Alberto Pascucci, il titolare e fondatore della moderna torrefazione. Nel 2001 Mario ha avuto la brillante idea di aprire un primo coffee shop a Rimini che ha riscosso subito un grosso successo ed ha incuriosito quegli investitori che hanno creduto e credono tutt’ora nel nostro marchio”. La ditta Pascucci è un’impresa storica d’impronta familiare. Quali membri della
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famiglia sono coinvolti nell’impresa di oggi? E in che modo? “Nell’impresa di famiglia sono coinvolti Alberto Pascucci, che è il titolare dell’azienda, Mario Pascucci, il figlio, che è appunto il presidente dell’azienda e molto spesso l’anima creativa di innovazioni a tema caffè. Infine, ma non per importanza, c’è Francesca Pascucci, la figlia di Alberto e sorella di Mario, che è a capo della parte amministrativa dell’azienda”. Come il concetto di famiglia va a braccetto con il marketing industriale nell’epoca della globalizzazione? “Una conduzione familiare presenta senz’altro i pregi di un’organizzazione maggiormente snella e di una più veloce risposta alle esigenze del cliente intermedio e finale. D’altro canto quando si replicano diversi punti con lo stesso concept e stesse caratteristiche in tutto il mondo, è necessaria una struttura organizzativa ben definita e uno staff di professionisti che riescano ad avere un controllo capillare e a fornire supporto in ogni punto Pascucci”. Cosa si prova a vedere i Pascucci Coffe Shop aperti in India? “Ogni volta è un’emozione diversa e nuova. Nascono emozioni indescrivibili solo osservando i volti soddisfatti di coloro che hanno investito tempo e risorse e hanno
scommesso sul marchio che tu rappresenti. Il fatto, che nonostante il periodo di recessione, ci sia ancora chi ha il coraggio di investire e di mettersi in gioco e che per di più scommetta proprio su Pascucci, è un segnale che ci sta facendo bene”. E per le Marche che cosa riserva Pascucci? “Le Marche insieme all’Emilia Romagna, sono le roccaforti del nostro circuito Ho.Re.Ca. e non possiamo non continuare a ricercare un miglioramento dei servizi di supporto alle attività in essere. Sono periodi duri per i gestori e anche noi, riconoscenti, cercheremo di dar loro una mano. Inoltre cerchiamo di essere presenti con piccoli investimenti in comunicazione e con la presenza in eventi, magari meno blasonati, ma che rappresentano motivo di orgoglio per le comunità locali e per noi”. Qual’è un cocktail Pascucci che non possiamo fare a meno di assaggiare?Come si prepara? “Il Confuso è senz’altro una delle nostre ricette migliori e una di quelle che ci ha fatto conoscere nel mondo. Stiamo parlando di una base di crema tipo Chantilly alla vaniglia preparata al momento nel sifone. Non dovrei, ma vi consegno la ricetta “segreta” e ufficiale”. WM
METODO DI PREPARAZIONE: Erogare direttamente nel bicchiere Confuso un espresso lungo. Agitare energicamente il sifone verso il basso,con il beccuccio tulipano perpendicolare al bicchiere , spumare la crema confuso direttamente sul caffè ; fare molta attenzione che la pressione non sia eccessiva. Colmare il bicchiere lasciando i bordi trasparenti. Spolverare con Pas-ciok in polvere, posizionare con le pinzette un croccantino a lato del bicchiere. Servire con piattino e cucchiaino.
Dino Pascucci
Varcato l’uscio di casa Pascucci, corriamo a casa nostra a preparare la gustosa bevanda.
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Affrontare i mercati esteri con
UBI >< Banca Popolare di Ancona ”International Open Day”: più di duecento adesioni al workshop dell’Esagono.
Per rilanciare le nostre imprese, pronte alla sfida dell’internazionalizzazione “Siamo pronti ad accompagnare le imprese del territorio nel loro processo di rilancio. Se lungo la dorsale adriatica rileviamo una discreta ripresa economica nelle aziende medio – grandi, in quelle piccole la ripresa è ancora troppo lenta. In Italia il rilancio dell’economia va più a rilento che in altri Paesi europei, e le aziende del Nord Est crescono molto più di quelle delle Marche. C’è da colmare un gap del 5% e se la domanda interna non basta a risollevare le imprese dalla lunga crisi, è necessario fare uno scatto e affrontare con decisione, ma anche con strumenti finanziari e partner adeguati, i mercati esteri, che sono più vicini di quanto si possa pensare”. E’ la sintesi fatta da Nunzio Tartaglia, condirettore della BPA, aprendo i lavori del workshop “International Open Day”, organizzato con successo dalla UBI >< Banca Popolare di Ancona, in collaborazione con Regione Marche, Confindustria Marche, Marchet (Camera di Commercio di Ancona) e con il supporto di SPF (Studio Progetti Finanziari) di Roma. All’evento, dedicato alle imprese senza confini, cioè a quelle aziende particolarmente intraprendenti e animate dalla volontà di accettare la sfida dell’internazionalizzazione, hanno partecipato circa duecento fra imprenditori e operatori impegnati sui mercati esteri o in procinto di farlo.
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“Con questa iniziativa – aveva detto in apertura, Luciano Goffi, Direttore Generale della banca - vogliamo aprire delle finestre sul mondo e dare alle imprese che guardano all’estero per ampliare le loro prospettive future, tutto il supporto che un grande gruppo come il nostro (il quarto - quinto in Italia ndr), può garantire”. E mentre si susseguivano gli approfondimenti in sala “Bacci”, all’Esagono, decine di operatori si avvicinavano ai desk informativi, dedicati ai mercati più vivaci e promettenti e cioè quelli di Cina, Russia, India, Brasile, Lussemburgo, Spagna, Germania, Maghreb, Medio Oriente e Europa Centro Orientale. “Siamo in grado di affiancare tutti gli imprenditori, grandi e piccoli, in ognuno dei mercati emergenti”, ha commentato Massimo Terranova, Responsabile del Servizio Estero Commerciale BPA. Ettore Pezzuto, Condirettore Generale UBI Banca International, ha fornito indicazioni sui mercati presidiati da UBI Banca International e cioè: Benelux, Germania e Spagna; Ferdinando Pelazzo, Responsabile dell’Ufficio di Rappresentanza di UBI Banca a Mosca (aperto a pochi metri dalla Piazza Rossa), ha illustrato le modalità di approccio alle autorità governative locali (“sempre molto accoglienti e disponibili, se si opera nella massima trasparenza”), posto che moda e meccanica sono i settori maggiormente appetiti dai russi. WM
Andrea Croci, Responsabile dell’Ufficio di Rappresentanza di UBI Banca ad Hong Kong,
è intervenuto su Cina e Sud Est asiatico. “In Cina ci sono 600 milioni di nuovi ricchi. Là prima si andava per acquistare, ora si va per vendere, il brand italiano”. Nella seconda parte dei lavori, Isidoro Guerriero, Responsabile dell’Ufficio di Rappresentanza di UBI Banca a San Paolo del Brasile ha parlato del Brasile e delle possibilità date da quel mercato, in vista dei Mondiali di calcio (2014) e dei Giochi
Olimpici (2016). Infine, Rajeshree Balsari, Responsabile dell’Ufficio di Rappresentanza di UBI Banca a Mumbay, ha invitato a considerare la crescita esponenziale e prospettica dell’India, alla quale si guarda anche in termini di delocalizzazione produttiva.
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per informazioni 071 5898353
Il Diario di Luca Conti, blogger senigalliese scelto dalla Nato come unico blogger italiano per partecipare ad una missione-reportage sulla situazione afgana
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Architettura e Decrescita: For all the Cows
Il network-thi Definire il lavoro di Francesco è difficile: neanche lui ci riesce bene! Ma quello che gli riesce benissimo è creare ed interessarci alla sua storia: un giovane partito dalle Marche che passando attraverso Parigi e la Spagna ha trovato la sua strada
Urban Social Design Experience 24
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di Eleonora Baldi
di Francesco Cingolani: non so Ciao Francesco! Per conoscere meglio chi sei e cosa fai mi sono fatta un giro in www.immaginoteca.blogspot.com e mi si è aperta la tua “My Project Mindmap”. Ci puoi spiegare meglio cos’è questa mappa mentale? “Faccio diverse cose allo stesso tempo e spesso sono cose molto diverse fra loro. Questa mappa e’ un modo per visualizzarle tutte ed esprime la volontà di andare oltre una semplice lista dei progetti in cui sono coinvolto. L’idea di disegnarla mi è venuta perché sempre più gente - e non solo colleghi, ma anche amici e pure mia madre! - mi rivolge la domanda : “Ma scusa, che lavoro fai?”. Riguardandola oggi, a quasi due anni di distanza, vedo subito che oggi la mia mindmap sarebbe completamente diversa: ci sarebbero cerchi nuovi, e quelli esistenti avrebbero una dimensione diversa. La cosa più significativa di questa mappa é che esprime la necessità di organizzare e comunicare l’informazione con sistemi più efficienti del semplice racconto descrittivo e unidirezionale: credo che oggi la conoscenza debba essere organizzata secondo un modello non lineare e favorendo la molteplicità, la simultaneità e l’aleatorietà”. Definirti semplicemente architetto non è
corretto e comunque limitativo. Dacci tu una definizione della tua professione! “Non lo so! E’ una domanda molto difficile... direi innanzitutto che non sarei di certo capace di costruire una casa! I miei amici, scherzando, dicono che il mio lavoro consiste nel “fare i blog” e “pensare le idee”. Scherzi a parte, lavoro nell’ambito dell’innovazione strategica e della creatività, con un approccio che ultimamente abbiamo definito network-thinking: tutto quello che faccio lo faccio in rete, collegandomi ad altre persone, gruppi, studi e associazioni, secondo strutture orizzontali e aperte. Cose che ho fatto nell’ultima settimana: ho disegnato un logo, ho pubblicato cose in vari blogs, ho twittato, ho dato consigli per la redazione di un contratto, ho gestito il problema delle licenze creative commons, ho progettato il layer digitale di un progetto partecipativo di architettura, ho scritto un articolo sul network-design, ho intervistato candidati per una collaborazione in studio, ho organizzato la campagna di comunicazione per il progetto di un aeroporto, ho scritto un codice per automatizzare un disegno di geometrie complesse (architettura parametrica). In studio, a pranzo, spesso cucino per tutti: mi
piace pensare che, in qualche modo, fa parte del mio lavoro”. Prima Parigi, poi Madrid. Perché non sei rimasto a lavorare nelle Marche o comunque in Italia? “Ho lasciato le Marche quando ero ancora studente. Parigi era un’ottima soluzione per fuggire da un rapporto molto complicato con una ragazza del mio paese. Questo è importante per capire che non sono andato all’estero per cercare lavoro o perché ero stufo dell’Italia, o comunque non più di qualsiasi giovane della mia età. Forse la domanda giusta sarebbe: perché non sei tornato in Italia, poi? Questo ancora non lo so bene: il lavoro che faccio è molto particolare, tant’é che per seguirlo ho dovuto lasciare a malincuore Parigi e venire in Spagna.
speranza e ottimismo. In una recente intervista con il mio amico e collega Domenico Di Siena, raccontavo di come il più bel consiglio che mi abbiano mai dato è stato “Fai sempre quello che vuoi”: me l’ha detto il mio amico Juan, una sera a Parigi tanti anni fa. A lui gliel’aveva detto il padre, anni prima, credo a Madrid. Penso che per affermarci professionalmente dobbiamo capire bene che cosa significhi questo “fare sempre quello che vogliamo” e poi farlo e basta. Credo valga anche per noi giovani italiani”. Hai un’esperienza internazionale ormai piuttosto ampia, che cosa credi si potrebbe fare per valorizzare il territorio marchigiano? “Ah, le Marche! Mi piace che ci siano il mare, le colline e la montagna, e mi piace soprat-
hinking
cose, e a partire da questo spazio generare una rete di riflessione sugli spazi pubblici e un processo di rivitalizzazione della città. Per farlo basterebbero poche cose: un po’ di tempo, uno spazio fisico dove incontrarsi, e uno spazio virtuale per mantenere viva la rete e i contatti”. WM
Verso un' architettura parametrica
on solo un architetto! Ora le cose sono cambiate un po’ e mi piacerebbe, fra non molto, tornare dalle mie parti...anche perché, dopo dieci anni, io e quella ragazza del mio paese siamo tornati assieme, e ora tra di noi le cose sono molto meno complicate di dieci anni fa”. Quali sensibilità, attenzioni, riflessioni mancano nel nostro Paese in tema di architettura e paesaggio? “Non saprei rispondere in modo preciso, perché é una realtà che conosco, pur essendo il mio Paese, da molto lontano. Quello che posso dire é che mi piacerebbe che in Italia ci fosse molta aria nuova, molte nuove idee e soprattutto molta più speranza di quella che percepisco. Anche per questo mi piacerebbe tornare presto: per poter portare un po’ della mia energia in un Paese che amo moltissimo e che mi manca sempre di più”. Parliamo un po’ di “noi giovani”. Ci accusano spesso di essere poco intraprendenti e non disposti a lottare per affermarci professionalmente. Ma non potrebbe invece essere che in realtà il nostro Paese ci mette a disposizione tante chiacchiere ma pochi fatti? “No, non credo che il problema sia da attribuire a quello che il Paese ci mette a disposizione. Credo che ai giovani italiani manchino
tutto che quando spiego da dove vengo alla fine sono sempre costretto a dire “eh, mi spiace, non so spiegarti bene: non c’e’ nessuna grande città li vicino”. Per valorizzare il territorio marchigiano forse basterebbe continuare a fare quello che certe persone già fanno: mi vengono in mente Fabio Curzi e i suoi mille progetti, mi viene in mente l’iniziativa Viaggiare Terra e Mare, il Barone Rampant, l’evento Io (non) mi sento italiano”. Un’ultima domanda. Se ti chiedessimo come ridisegneresti gli spazi pubblici della tua città natale, riusciresti a darci giusto qualche idea innovativa? “A volte le cose che più ci condizionano nella vita sono frasi che qualcuno, magari, ha detto così, senza tanta attenzione. Mentre io ero all’inizio dei miei studi di architettura, Matteo, un mio amico, una volta mi disse “niente di ciò che possiamo costruire può essere più bello di un prato verde”. Questa frase, apparentemente molto naif e sicuramente per niente architettonica, mi ha accompagnato e guidato per anni. Per ridisegnare gli spazi pubblici della mia città, forse l’unica cosa che non farei sarebbe costruire altre cose. Mi piacerebbe proporre uno spazio nel paese dove poter concentrare le energie creative della gente che ha voglia di fare o proporre delle
Biografia Emozionale di Francesco Cingolani
Sono cresciuto in collina a Montencanepino, a metà fra mare e montagna e ho iniziato a studiare ad Ancona, a metà fra architettura e ingegneria. A un certo punto ho conosciuto Valentina e ho vacillato, così sono scappato a Parigi. Lí ho conosciuto Jacques Famery che mi ha insegnato a far diventare l’architettura qualcosa che mi piaceva. Dopo dieci anni sono a Madrid, di nuovo insieme a Valentina, ogni tanto torno a Parigi per lavoro ma non solo. Mi piacerebbe vivere in campagna, avere molto tempo libero ed essere una persona più tranquilla.
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che ti combina, tr
di
Intervista allo chef-cantante ch
Marco Catalani
CON LA TUA TRASMISSIONE SEI DIVENTATO UN AMBASCIATORE DELLA CUCINA ITALIANA IN BULGARIA. PIACCIONO LE NOSTRE RICETTE? LE MARCHE CHE SPAZIO HANNO NEI TUOI MENU?
“In Bulgaria amano molto il mangiare italiano. Do sempre il massimo ai fornelli ma quando mi trovo a preparare ricette tipiche marchigiane cerco di superare me stesso: ultimamente ho preparato anche il brodetto all’Anconetana e gli spaghetti allo scoglio che mi ricordano tanto Portonovo. Sono molto fiero della mia regione, tanto che nel mio programma ho portato tutta attrezzatura dell’Ariston. Per tre anni ho condotto una trasmissione analoga in radio: “La cucina italiana con Leo” ”.
COME è NATA LA PASSIONE PER LA MUSICA?
“Mio fratello Adrio, noto dj, mi fece conoscere da vicino microfoni e casse. A 14 anni scrissi il mio primo pezzo, una instrumental de La Soul, un gruppo rap degli anni ‘80, e un testo scritto da me che parlava della mia comitiva di amici, dei problemi quotidiani: un po’ come funziona nel rap, insomma. Nel crescere, questa musica non è stata più solo un hobby ma si è trasformata in una cultura vera e propria. Fu stupendo avvicinarsi alla scena hip hop anconetana e conoscere i pionieri del rap marchigiano: Stritti, Nasty Mouse, Banana Spliff, Cool Five, Santacrew, Dubbio e tanti altri”.
COME SEI FINITO IN BULGARIA?
“La mia prima vacanza fu nel 1992. Mio padre, mio fratello e mia sorella erano già a Burgas da un anno per aprire una pizzeria. Allora non esistevano italiani emigrati in quella città. Non fu un’esperienza molto positiva: la ricordo molto brutta, grigia. Tornai dopo due anni e provai ad aprire una pizzeria: la chiamai Ancona. Era il 1994: ero un po’ farfallino e con la testa ancora in Italia. Dopo un anno di prova decisi di lasciare il
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Da lavoratore precario a star in Bulgaria. La vita del falconarese Leonardo Bianchi sembra una favola. Nata per caso nel 2005 quando, da ristoratore a Burgas sulla costa del Mar Nero, decide di partecipare alle selezione di Big Brother, il Grande Fratello bulgaro. E’ la svolta. Leo entra nel cuore degli spettatori e oggi incide dischi, fa il testimonial pubblicitario e lavora a un nuovo brano con l’ex Sottotono Tormento. Intanto insegna la cucina italiana in tv nella trasmissione “Che cosa vi combina Leo”: ricette che odorano di Marche e che danno modo di far conoscere la nostra regione anche all’estero.
locale a mio padre e tornare a casa. Nel 2005 incontrai Lucia, la mia fidanzata. Italiana, moglie e buoi dei paesi tuoi (e ride, ndr). La considero l’artefice di questo viaggio della fortuna. Per me era una sfida e il desiderio di tornare in Bulgaria a riprovare con la ristorazione. Il 9 marzo del 2005, il giorno del mio compleanno, partimmo. Affittammo a 6000
euro per tutta la stagione estiva un ristorantino a Burgas. C’erano tantissimi sacrifici da fare: lavorare tutti i giorni dalla mattina alla sera, dormire in una camera singola in due con un caldo da paura. Alla fine della stagione guadagnammo 1000 euro: proprio quello che ci serviva per pagare i documenti e restare in Bulgaria”.
a, tra palco e cucina!
ante che ha conquistato la Bulgaria PROGETTI PER IL FUTURO?
“In tv lavoro sodo e sto facendo bene e se dovesse capitare... perché no: la Bulgaria mi ha voluto bene, ora tocca all’Italia!”.
DENTRO LA CASA TI SEI PIAZZATO AL SECONDO POSTO COL 49% DEI VOTI. CHE è SUCCESSO QUANDO SEI USCITO?
“Vari duetti con cantanti bulgari: con Nikita per “Give me your hands”, nominata agli awards della musica bulgara come rivelazione del 2007, “Pazi Masa”, nomination 2008 ai Bg Radio Awards, in duetto con Deo che ho ritrovato anche in “He Hi” il cui video è stato girato tra la spiaggia di Falconara e lo stadio del Conero di Ancona. Senza dimenticare il duetto con Maria Ilieva per la canzone “Il destino con te” e un singolo da solista che si chiama “Monica”. Il momento più emozionante? Quando nel novembre 2008 ho aperto il concerto di Rihanna a Sofia davanti a 50mila persone. Poi, vari concerti in giro per la Bulgaria, sono stato testimonial nelle pubblicità, sono stato convocato con la nazionale di calcio attori-cantanti bulgari. Poi sono arrivate radio e tv”.
BIG BROTHER TI HA PORTATO BENE, INSOMMA. FARESTI LA PROVA DEL GRANDE FRATELLO ITALIANO?
“Non nascondo che ho fatto un provino a Rimini ma ero sotto contratto con la Endemol Bulgaria e mi hanno fatto capire che tra cani non si mangiano (altro sorriso, ndr): un contratto è sempre un contratto. Il mio è stato un caso su tanti come lo è stato per il compianto Pietro Taricone, Argentero, Laura Torrisi, Johnatan e pochi altri. Il resto? Un po’ nel dimenticatoio”.
TORNIAMO NELLE MARCHE. DEVI CONSIGLIARE UNA VACANZA A UN TUO AMICO BULGARO: CHE TOUR GLI ILLUSTRI?
“Ne ho mandati di bulgari nella nostra regione. Direi decisamente Numana, Sirolo e Portonovo per chi viene d’estate. Una scappata a San Benedetto o a Senigallia. E per vedere qualcosa di particolare le Grotte di Frasassi e l’Appennino in generale. Dai, la nostra regione è stupenda!”.
E TU? QUANDO TORNI, QUALI SONO I POSTI CHE NON PUOI FARE A MENO DI VISITARE?
E POI è ARRIVATO IL SUCCESSO... “Una mattina di agosto trovai una piccola inserzione sul giornale:“Vuoi partecipare al Grande Fratello?”Tutto è nato da quell’articolo. I primi casting, i primi sogni, i primi programmi che facevo con Lucia nel caso fossi stato scelto. Big Brother iniziò senza di me. Nessuno mi aveva chiamato e stop: meglio pensare agli affari. Stavamo aprendo un nuovo ristorante nei pressi dell’università. Un giorno, circon-
dati da muratori e imbianchini, con sedie e tavoli appena consegnati, squilla il telefono e...“Salve, chiamiamo dal Big Brother”. Il giorno dopo sono a Sofia per le visite mediche. Mi dicono:“Resterai in un hotel chiuso per due giorni senza nessun mezzo di comunicazione e poi entrerai nella Casa. Chiama i tuoi e dagli la notizia, bocca chiusa fino al tuo ingresso”. Entrai nel GF”.
“Ancona è magnifica quindi per quel poco che sto in Italia, preferisco godermi tutto ciò che offre il capoluogo”.
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sono tante… 0 20 ma noi non ci siamo! I conti si fanno sempre alla fine, si dice. E allora, per capire lo stato di salute dell’Università italiana e marchigiana ci rifacciamo ad una delle classifiche internazionali più prestigiose in tema di istruzione: quella delle migliori 200 Università a livello internazionale. E scopriamo che…
Credeteci, non è volontà di mostrare il lato peggiore del nostro sistema
universitario la molla che ci spinge a porre nuovi interrogativi e a continuare il lavoro di revisione e proposte che abbiamo iniziato grazie alla preziosa collaborazione dei nostri rettori. Al contrario, la volontà è quella di porre l’accento su quello che va cambiato per restituire ai nostri atenei quell’aura che a loro spetta: quella che appartiene ad una cultura che l’Italia più di tutti gli altri Paesi ha respirato fin dalla sua nascita.
Non possiamo allora non riflettere sulla classifica proposta a fine 2010 dall’autorevole settimanale britannico “The” – Times Higher Education: 200 posizioni da scalare, nelle quali c’è la totale assenza di università italiane.
Un grosso neo, a nostro avviso; un “pugno” allo stomaco di chi ancora crede nel sistema universitario italiano. E, non possiamo non pensarlo, a quello di chi in questo sistema lavora, aggiornandosi ed impegnandosi per offrire la migliore istruzione possibile. E il “problema” diviene ancora più serio se si fa riferimento ai criteri utilizzati per stilare questa graduatoria: la qualità della didattica, la ricerca prodotta nei singoli dipartimenti, gli stimoli creati dall’ambiente accademico, il livello di retribuzione di docenti e ricercatori. Scorrendo la classifica, si può notare facilmente l’egemonia delle Università americane che sono presenti con ben 72 atenei e che conquistano il primo posto con la Harvard University. Ma il livello delle Università europee è comunque ben rappresentato dalle “solite note” Gran Bretagna, Germania e Francia ma anche da outsider se così vogliamo dire come Spagna, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Belgio e Olanda. A farsi largo poi sono anche i Paesi emergenti
come la Cina, la Corea del Sud, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda, l’Egitto, la Turchia e il Sudafrica. Non possiamo non spaventarci del fatto che dell’Italia non vi sia alcuna traccia! Che fine ha fatto la nostra orgogliosa tradizione? Siamo davvero così tanto arretrati rispetto al resto del mondo? Noi che nella culla della civiltà ci siamo nati? E al di là di questi interrogativi filosofici, non possiamo non chiederci: come mai è passata sotto silenzio questa notizia? Si sta lavorando per recuperare la situazione? Che si viva nella società della conoscenza, ormai è appurato. Ma che cosa si fa per appartenere a questa società e non esserne soltanto spettatori? Magari però, stiamo esagerando con la nostra ottica “negativa”. In fin dei conti, come già altre volte sottolineato, quella di chi vi parla è una riflessione avulsa da un contesto universitario che si è conosciuto in fase di formazione personale ma non si è vissuto dall’interno.
Ancora una volta allora, ci affidiamo alle parole dei nostri rettori: la situazione delle nostre Università è davvero così grave? Dobbiamo preoccuparci che tra qualche anno una laurea ottenuta in Italia valga meno di una conseguita in qualsiasi altra parte del mondo? E’ possibile una netta inversione di tendenza?
E UN’ULTIMA DOMANDA PROVOCATORIA:
IN QUESTO MOMENTO, A VOSTRO FIGLIO, CONSIGLIERESTE DI ANDARE A STUDIARE ALL’ESTERO O DI RIMANERE IN ITALIA?
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UNIVERSITA’ DI ANCONA
UNIVERSITA’ DI URBINO
Marco Pacetti Il Contributo del Rettore
Stefano Pivato Il Contributo del Rettore
“L’Italia investe quasi il 40% in meno della Germania, il 45% in meno dell’Olanda ma anche il 15% in meno della Spagna, come l’OCSE segnala nelle più recenti statistiche. Per quanto riguarda il presunto eccesso di offerta formativa, i confronti internazionali segnalano che il numero degli Atenei per milione di abitanti dell’Italia è in linea con il valore degli altri Paesi europei e molto al di sotto dei dati USA; ciò vale “a fortiori“ se si considera che in Italia manca quasi del tutto un settore di alta formazione professionalizzante come le Fachhochschulen o le Grandes Écoles. Un terzo argomento riguarda l’inefficienza del sistema sia in termini di produttività nella formazione di capitale umano che di risultati della ricerca. A parte il deciso miglioramento in termini di numero di laureati conseguente alla riforma, molti dei quali nella durata legale, vanno considerati due fattori non attribuibili agli Atenei quali la mancanza di una vera politica di affermazione del diritto allo studio e l’ assenza di filtri all’ingresso all’Università. La prova di ciò sta nel fatto che se si togliesse dalle statistiche degli abbandoni quel 20% di studenti che si perde tra il 1° e il 2° anno, la produttività sarebbe perfettamente in linea con i paesi OCSE ove tali filtri esistono. Riguardo infine alla produttività della ricerca scientifica basterebbe ricordare che su “Nature” l’analisi di Sir David King, consigliere scientifico del governo inglese, ha mostrato che se si considerano gli articoli scientifici più citati prodotti per singolo scienziato occupato, i ricercatori italiani guadagnano il 3° posto al mondo precedendo USA, Francia e Germania. Le ricorrenti polemiche sulla assenza di Atenei italiani nelle posizioni di vertice nei ranking internazionali sono frutto di analisi affrettate: la qualità media è buona mentre mancherebbero punte di eccellenza. Ma mentre la Germania ha lanciato un programma aggiuntivo per 2 miliardi di euro per creare Atenei eccellenti e in Francia il governo (di destra) ha ripreso un’idea del precedente governo (di sinistra) investendo in 10 atenei 5 miliardi di euro in più, nel nostro Paese la reazione è stata di tagliare del 20% a regime gli investimenti (già bassi) per l’intero sistema universitario”. WM
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““In cauda venenum”, dunque: nella domanda c’è già buona parte della risposta. E’ diventato un luogo comune quello di consigliare l’espatrio ai nostri giovani laureati. Ma per formulare tale consiglio senza superficialità si vuole che sia accompagnato dalla convinzione che i nostri ragazzi abbiano ricevuto una formazione adeguata a competere e primeggiare nel mondo. Dunque, prima di gettare la croce addosso agli atenei va detto che se si parla dei nostri “cervelli in fuga” si parla di laureati. Se ricordiamo che siamo agli ultimi posti dei paesi OCSE con una spesa in ricerca dell’ 1,12% del Pil (studio ISAE 2009) dimezzata rispetto alla media europea, verrebbe da dire che con questi chiari di luna l’università italiana se la cava al meglio. Harvard,che primeggia in tutte le classifiche, ha ricevuto nel 2009 705 milioni di dollari, di cui l’80% di fondi federali, un quinto di tutto l’FFO italiano. Eppure, i dati OECD del 2010 dicono che l’Italia è al 3° posto nel Mondo per articoli ogni 1000 ricercatori, dopo Svizzera e Olanda, e al 19° per articoli pubblicati dai ricercatori, prima ad esempio, di Francia e Giappone. Il totale ci colloca all’8° posto al mondo per qualità dei ricercatori. Questo però non deve sottrarci all’analisi delle criticità. Dobbiamo legare i finanziamenti – certo, non in via esclusiva - alla qualità della ricerca ma anche a quella della didattica. Contiamo sul fatto che l’ANVUR possa essere davvero un organismo capace di agire in questa direzione. Urbino è presente nella graduatoria ICU al 32 posto su 83 atenei italiani, e nei primi mille a livello mondiale su 10.000 valutate. “http://www. universando.com/Classifica_universita.htm”La classifica del Censis 2010-2011 la colloca al nono posto su venti tra le università di media grandezza, migliorando il suo punteggio da 87,3 a 89,2 su 100 con diversi punti di eccellenza. Ma per tornare ai consigli da dare ai nostri ragazzi, è indiscutibile quello di effettuare un periodo all’estero durante il corso degli studi. Anche restando poi in Italia, sarà un’esperienza comunque utile, di crescita umana prima ancora che formativa”. WM
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UNIVERSITA’ DI MACERATA
UNIVERSITA’ DI CAMERINO
Luigi Lacchè Il Contributo del Rettore
Fulvio Esposito Il Contributo del rettore
“La Commissione europea ha dato mandato affinchè si elabori un sistema di valutazione e di ranking delle Università europee, che sia in grado di leggere meglio le peculiarità del modo europeo di fare formazione e ricerca. Le classifiche internazionali partono da principi e criteri tipici del sistema anglosassone. Innanzitutto, quindi, c’è un problema di politica della valutazione. Per certi versi, inoltre, fa sorridere sentir parlare di competizione tra Atenei italiani e stranieri, se si considera l’enorme differenza di risorse a disposizione. Ci dovremmo meravigliare del contrario: le nostre Università, rapportate alla quota di Pil investita, non stanno agli ultimi posti; il Comitato Nazionale di Valutazione stima il nostro sistema universitario al quinto posto in Europa (e al decimo nel mondo) per qualità; i nostri ricercatori sono terzi in Europa per produttività; ogni anno perdiamo migliaia di laureati e di ricercatori, accolti a braccia aperte negli altri Paesi, segno che le nostre Università non sono così male. Occorre, però, porsi il problema dell’internazionalizzazione della ricerca, della didattica e degli standard. Molte Università italiane – anche quelle della nostra regione – offrono un ottimo livello di formazione, senza molto da invidiare agli Atenei stranieri. La differenza sta nell’organizzazione della ricerca e della concentrazione specialistica delle competenze. La nostra Università di massa – perché questo è – stenta a creare profili di eccellenza a livello mondiale. Dobbiamo trovare un punto di equilibrio più avanzato, ma non poco dipende dalle risorse a disposizione”. WM
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“È stato giustamente messo in evidenza dai media che non ci sono università italiane fra le prime 200 al mondo. Ma ancor più mortificante è notare che un Paese relativamente piccolo come l’Olanda, con un territorio che è appena 4 volte quello delle Marche, ha 16 Università e di queste 16 ne piazza ben 10 fra le prime 200! Qual è la ricetta del successo olandese? Semplice: l’Olanda ha un vero ‘sistema universitario’, nel quale le Università non si sovrappongono ma si specializzano. Un’Università Europea delle Marche, questo è il mio sogno, perché non possiamo accontentarci di esser bravini ‘nel nostro piccolo’, dobbiamo essere competitivi su scala globale, questa è la sfida che dobbiamo vincere. Sfida che Unicam ha accettato ed i risultati stanno arrivando: per il settimo anno consecutivo Unicam è al primo posto tra i piccoli atenei, ed al settimo posto assoluto, nell’annuale classifica redatta dal CENSIS; è al quinto posto assoluto tra le Università statali nella classifica ministeriale redatta sulla base del miglioramento di un set di 15 indicatori; i nostri studenti costantemente esprimono un grado di soddisfazione superiore al 90% e, nella stessa proporzione, dichiarano che, se tornassero indietro, si ri-iscriverebbero all’Università di Camerino. I riconoscimenti giungono poi anche a livello internazionale: tra i tanti, tengo a segnalare il recente riconoscimento ufficiale da parte della Commissione Europea, con la concessione del logo Excellence in Research, della strategia UNICAM di sviluppo delle risorse umane per la ricerca (HRS4R), considerata un passaggio cruciale per attrarre verso la professione del ricercatore i migliori talenti. Sono dunque convinto che ci sia una possibilità per il sistema universitario italiano, grazie soprattutto a quelle Università che, come UNICAM, stanno provando, con fatica e tra mille difficoltà, ad intraprendere la strada del cambiamento, ponendo al centro della loro azione gli studenti e le risorse umane per la ricerca, operando con autonomia responsabile. Per questo, nonostante tutto, chi sceglie di studiare in Italia, nelle Marche, a Camerino, non sbaglia”. WM
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La Chimica a Camerino: la nostra storia, il nostro futuro
certificazione Eurobachelor. Il corso di laurea magistrale in Chimica e Tecnologie Chimiche Avanzate è svolto in lingua inglese e permette agli studenti di ottenere un doppio titolo (dual master) grazie all’accordo con il Politecnico di Lisbona. Molto frequentato presso l’Ateneo camerte è anche il corso di laurea magistrale a ciclo unico in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche, appartenente alla Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute. Per ciò che riguarda gli studi superiori, il dottorato di ricerca in Chemical and Pharma-
Il convegno
L’ importante evento è stato promosso dalla sezione di Chimica della Scuola di Scienze e Tecnologie di Unicam in collaborazione con la Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute, nell’ambito delle numerose attività previste dall’Ateneo per l’Anno Internazionale della Chimica, proclamato per il 2011 dall’ONU. “L’ intento del convegno – ha dichiarato la prof. Silvia Zamponi, responsabile dei corsi di laurea in Chimica di Unicam e tra i componenti del comitato organizzatore dell’evento – è proprio quello di far meglio conoscere al pub-
zioni che con gli industriali, per far comprendere al meglio i vantaggi che il territorio può trarre dalla collaborazione con l’Università nonché le opportunità per le aziende nell’avere al loro interno un laureato dell’Università di Camerino, capace di ottimizzare i processi
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E’ stato questo il tema del convegno che si è tenuto a Camerino lo scorso venerdì 1 luglio blico questa disciplina così importante, non solo per la ricerca, ma anche per la nostra vita quotidiana. Abbiamo invitato non solo chimici, ma anche chimici che si sono laureati ad Unicam e che attualmente ricoprono ruoli importanti nella società, non solo in Italia, ma anche all’estero. Posso infatti affermare con soddisfazione che molti nostri laureati stanno svolgendo un ottimo lavoro anche fuori dall’Italia. Abbiamo voluto cogliere anche l’occasione, poi, per avvicinarci e farci conoscere ancora di più sul territorio, sia con le istitu-
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e interagire anche dal punto di vista economico in azienda”. Nel corso dell’evento è stato infatti mostrato, attraverso interventi di illustri ospiti, il ruolo del chimico nella società e della chimica nel territorio. In apertura, dopo i saluti delle autorità, docenti Unicam che hanno fatto la
storia della Chimica N a Camerino ne hanno tracciato un significativo profilo, mentre le conclusioni sono state affidate al prof. Luigi Campanella, dell’Università La Sapienza di Roma. Il corso di laurea triennale in Chimica ha un numero di studenti largamente superiore ai parametri ministeriali e vanta la prestigiosa
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ceutical Sciences and Biotechnology vanta il maggior numero di borse di studio finanziate da privati ed attrae numerosi studenti stranieri. Alcuni tra i migliori ricercatori di UNICAM sono chimici, premiati a livello nazionale ed internazionale. L’elevata qualità della ricerca svolta è testimoniata da alcune prestigiose iniziative quali la Scuola Internazionale di Chimica Organometallica, che il prossimo settembre celebrerà l’ottava edizione, e il Simposio sulla Chimica dei Recettori che si tiene a Camerino con cadenza triennale. Il convegno, realizzato in collaborazione con la Società Chimica Italiana e l’Ordine dei Chimici delle Marche, si è tenuto presso la Sala degli Stemmi del Palazzo Ducale, mentre negli spazi attigui è stata allestita una esposizione di poster ed è stato proiettato un video che racconta la storia della Chimica a Camerino.
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In cammino verso il Nobel alle donne africane Amii Stewart porta a Macerata la campagna Noppaw Macerata, 18 giugno, ore 19. Che non si tratti di un sabato pomeriggio qualunque
lo si capisce dal brulicare di persone che affollano vicoli, piazze e cortili del centro storico per partecipare agli eventi della Controra di Musicultura: a palazzo Conventati si esibisce Maddalena Crippa; nel Cortile del Palazzo municipale la parola a “due ragazzi del ‘900”, Luciana Castellina ed Enrico Vaime; in piazza Cesare Battisti il ritmo è quello country dei Tex Roses. Come da copione, gli appuntamenti pomeridiani della XX edizione del Festival della Canzone popolare e d’autore riempiono la città di reading, poesia, ricordi e, ovviamente, musica. Ma c’è qualcosa di davvero inedito quest’anno: c’è aria di candidatura ad un nobel collettivo.
di
Sara Schiarizza
Procediamo con ordine.
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Cambio di scenario. Hotel Claudiani. Conferenza stampa. Fabrizio Frizzi, presentatore del festival, e Piero Cesanelli, patron della manifestazione, sono già in sala. I giornalisti, ora, attendono lei, l’ ospite internazionale: Amii Stewart. Non si tratta, però, della semplice presentazione della special guest e della sua esibizione di fronte al pubblico dell’Arena Sferisterio prevista per la serata. La prima volta della cantante statunitense a Musicultura fa da sottofondo ad un’altra prima volta: la candidatura delle donne africane, di tutte le donne africane, al Nobel per la Pace 2011. Così, attraverso la voce della Stewart, diventatane testimonial, la campagna http://www.noppaw. org Noppaw, Walking Africa Deserves A Nobel - Nobel Peace Prize for African Women, arriva a Macerata.
L’idea nasce a partire dalla constatazione del ruolo crescente che le donne hanno acquisito nella vita dell’Africa: sono fondamentali sia nello svolgimento delle mansioni quotidiane che nell’attività politica e sociale. “Il progetto — spiega la Stewart — ha lo scopo di candidare per la prima volta al Nobel per la Pace le donne di un Continente, protagoniste dell’attività sociale e politica, che anche nelle piccole operazioni quotidiane di economia informale, spesso in situazioni di grande emergenza, consentono il riprodursi del miracolo della sopravvivenza. L’Africa senza le donne sarebbe un continente sulle ginocchia”. Colonna sonora dell’avvenimento e inno della campagna proprio una canzone della cantante statunitense, (vedi link Youtube)
con musiche scritte da Paolo Casa, pronta ad essere presentata, in serata, sul palco dello Sferisterio insieme alla Walking Band. “Si tratta – ci dice l’artista – di un testo molto diretto. Non c’è la poesia di Branduardi e il messaggio parla di donne che camminano per sopravvivere con grande dignità e sempre con il sorriso”. “Loro sorridono sempre – prosegue la Stewart - perché hanno molta più speranza di noi nel domani, nonostante siano in reale difficoltà. A differenza di chi pensa di esserlo e si dispera per ogni minima cosa”. In sala anche Guido Barbera, presidente di
Solidarietà e Cooperazione http://www.cipsi.it Cipsi - coordinamento di 45 associazioni e Ong che, insieme a http://www.chiamafrica.it Chiama l’Africa, promuove il Noppaw - che racconta: “Sono felice di essere a Musicultura con una canzone dedicata a questa iniziativa. La campagna ben si addice ad un evento musicale, in quanto la musica può cambiare il sorriso delle persone. Walking Africa ha coinvolto tutti i Paesi del mondo, i politici di tutti gli schieramenti e il mondo dello spettacolo. Le donne africane hanno già vinto perché si parla di loro”. Ad accompagnare la candidatura al nobel, poi, altre tre donne: Ines Corti e Francesca de Victor, docenti dell’Università di Macerata, e Federica Curzi, Assessore alle Politiche Giovanili. Quote rosa in rappresentanza di Ateneo e Comune che aderiscono ufficialmente alla campagna. “Con onore e orgoglio – afferma la Curzi omaggiando Amii Stewart di stemma, spilletta del Comune e stampa dello Sferisterio - accogliamo questa campagna e promuoviamo la carovana”. Carovana alla quale si uniscono, da oggi, anche i piedi della città di Macerata, rappresentati proprio dalla spilla che la cantante statunitense porterà con sé nel percorrere, nei prossimi mesi, la strada della sensibilizzazione della comunità internazionale sul ruolo fondamentale, e spesso dimenticato, giocato dalle donne africane per la crescita umana del loro continente. WM
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>>> IL VIDEO DELLA CANZONE www.youtube.com/ watch?v=aD7bsiC-ue8
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Dom Perignon? N Londra 1997. Asta da Sothesby’s. Un libro a stampa del XVII secolo viene acquistato per 14.000 sterline dalla famiglia Lunelli (i produttori dello Spumante Ferrari di Trento).
Sul corposo volume intitolato “De Salubri potu dissertatio” il nome dell’autore: Francesco Scacchi da Fabriano
www.francescoscacchi.it
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Chi era costui?
Perché comprare un libro del 1622 con il titolo traducibile in
“Dissertazione sul bere sano”?
di
Giampaolo Egizii
? No, Francesco Scacchi! Questo volume è strutturato in ventidue capitoli in cui, attraverso una serie di domande, l’autore ci racconta se il vino sia nutriente o no, se le bevande in estate debbano assumersi tiepide, fredde o gelate o quale tra acqua e vino sia il liquido più salubre. In questo libro un’importante testimonianza: circa 50 anni prima del monaco benedettino Dom Perignon, nel 1622, Scacchi descrive le caratteristiche produttive e terapeutiche dei vini rifermentati in bottiglia, antesignani dei moderni Spumanti! Il capitolo XXI infatti della “Dissertazione sul Bere Sano” è intitolato: “Se il vino frizzante, comunemente detto piccante sia utile alla salute”.
Una sorta di mistero aleggiava intorno a questa figura; oggi finalmente c’è molta più chiarezza su questo illustre marchigiano, grazie alla ricerca svolta dal Dottor Alvise Manni che insieme alle Associazioni“GustaFabriano”,“Gruppo Arte, Vino e Musica”e“Mangia come Parli”ha riportato alla luce importanti notizie sul medico fabrianese. Il Manni ci racconta:“Incominciammo nel 2000 ad interessarci di Scacchi organizzando convegni per promuovere l’importanza della sua opera. Io sono il braccio storico del progetto e mi occupo della parte“enostorica”. A disposizione ho la competenza e la bravura del Professor Francesco Sbaffi (il caso vuole che sia anche mio cognato) che cura la parte tecnica essendo lui Enologo, Degustatore, Agronomo e Direttore dell’Azienda Agraria dell’ITAS“G. Vivarelli“ di Fabriano. Suo il merito di avermi coinvolto in queste ricerche riguardanti il suo compaesano. Ci siamo purtroppo imbattuti in inesattezze storiche eclatanti!”. Fonti autorevoli di giornali quotati, come“Il Sole - 24 Ore”che solo una dozzina di anni fa collocavano Francesco Scacchi nel XIV secolo, identificandolo come monaco benedettino umbro. Errori davvero marchiani! Bisognava dunque ridare un’appartenenza storico-geografica corretta a questo illustre corregionale. Per secoli Scacchi è stato scambiato per umbro di Preci (PG) paese famoso fino al tardo 1700 poiché sede di una famosissima Scuola di Chirurgia celebre in tutto il mondo. Il padre di Francesco, Durante, nasce a Preci dove un intero quartiere è dedicato alla loro famosa casata di medici. A malincuore il Dott. Manni ci confessa:“A Fabriano non siamo ancora riusciti a dedicargli una via , nonostante i nostri sforzi.”Storia normale e ridicola di burocrazia italiana. Il padre di Francesco quindi era perugino, e non Francesco, che scrive appunto con orgoglio sul frontespizio della sua opera: “Francesco Scacchi fabrianese”. Durante Scacchi, all’apice della fama tra i medici preciani, si trasferisce nella vicina Fabriano, dove sua moglie diede alla luce ben 13 figli. Il terzogenito Francesco è l’unico che segue le sue orme: diventa medico. Francesco non segue esattamente però l’esempio paterno. Sceglie una disciplina molto attuale: l’igiene. Oggi sarebbe una specie di dietologo. “Di Scacchi non si sapeva quasi niente o lo si era dimenticato da decenni. Abbiamo ritrovato lo stemma della famiglia Scacchi in antiche pubblicazioni, scoperto la sua data di nascita, il suo testamento ed addirittura il suo certificato di morte ricercando negli archivi storici cittadini. Noi, per onor di cronaca, non siamo stati i primi a parlare di Scacchi. Ma siamo stati in pratica i primi a scoprire questi documenti”. Più le cose sono sotto gli occhi e più non si vedono. Il Manni con un po’di imbarazzo mi confessa che nessuno si era preso mai la briga di andare a vedere se nella Biblioteca Comunale
di Fabriano ci fosse una copia dell’opera di Scacchi: naturalmente c’era, ed è stato lui il primo a togliere la polvere dal vetusto volume scritto in latino. Questa attività, fortunatamente, continua tuttora poiché è solo dell’anno scorso la dedica dell’Enoteca Regionale delle Bollicine di Fabriano a F. Scacchi; inoltre fra gli inizio di Agosto e gli inizi di Settembre si svolgerà l’ormai nota manifestazione“Fabriano Spumante www. fabrianospumante.it con premi, degustazioni e convegni. La riscoperta del libro e del personaggio Scacchi, ha fatto sì che fosse recuperata anche una pionieristica piccola attività spumantistica sia nella Città della Carta sia a Cerreto d’Esi (AN), dove si è riscoperto persino un vitigno scomparso da quasi 150 anni: la Vernaccia Grossa detta Cerretana www.studioenologico.it). Si sta mettendo a punto e registrando un metodo di produzione di Spumante ricalcando le orme di questo suo illustre avo: il Metodo Scacchi. Dalla storia alla attualità: Fabriano attraversa una gravissima crisi economica, quindi se si può in qualche modo riattivare una attività imprenditoriale attraverso la cultura del bere e la riscoperta delle radici storiche cittadine, questo non può che essere un binomio di buon auspicio e foriero di prospettive di sviluppo futuro. Ritornando quindi al“confronto”Scacchi-Dom Perignon, possiamo concludere che quest’ultimo sia una figura mitizzata, poiché in realtà non si hanno indicazioni precise neanche rispetto alle date di nascita e di morte; gli viene infatti attribuita la data di nascita e morte del Re Sole. Un mito che non si sa neppure se sia realmente esistito. Di contro, un Francesco Scacchi i cui documenti testuali sono stati trovati e risalgono comunque a 50 anni prima rispetto a quelli attribuiti a Dom Perignon. Una vera e propria partita a“Scacchi”quindi per capire chi per primo parlò di Spumante o Champagne! Ed in vantaggio è Fabriano. A onor di cronaca, se si scava nella storia, neppure Scacchi è il primo a descrivere lo Spumante. Medici del passato dal 1300 al 1500 ne avevano già parlato. Ciò che si vuole sottolineare è la rilevanza della figura di Scacchi, che al contrario di Dom Perignon è un personaggio reale, medico, igienista che naturalmente diceva che bere (troppo) non può fare bene. Scacchi ci consiglia di bere moderatamente e con giudizio:“è più facile ubriacarsi con il vino piccante (frizzante ) perché e così buono che ti solletica”. In definitiva ci dice che è più facile esagerare perché è più buono! Produrre Spumante nel Rinascimento era costoso, allietava i palati di signori altolocati e Scacchi è stato il primo a coniugare espressamente lo spumante alla festa, alla mondanità alle occasioni particolari. Prosit! WM
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di
Daniela Abbondanza
Wikicrazia ed El “L’onestà al di sopra di tutto. Anche quando costa qualche minore o maggiore guaio. Ma nessun guaio è maggiore della compromissione della propria coscienza”. Con questa frase di Indro Montanelli si apriva la presentazione, presso l’Università Politecnica delle Marche, del progetto Elezioni-Wiki, presentato dal quotidiano online di San Benedetto del Tronto Rivieraoggi.it in occasione della tappa anconetana del Tour dei Mille di Working Capital. L’idea di Elezioni-Wiki nasce dal confronto tramite l’ “area 2.0” di Riviera Oggi, dedicata ai commenti da parte dei lettori, tra alcuni cittadini molto attivi e preparati e la redazione della testata diretta da Nazzareno Perotti. Tutto scaturisce dall’attività di ricerca di alcune informazioni per la stesura di un articolo sullo stato di attuazione del programma di mandato dell’Amministrazione Co-
vento di traspa
munale di San Benedetto del Tronto nel periodo 2006-2011. Durante la ricerca il giornalista Pier Paolo Flammini, supportato dal cittadino Alessandro Palestini, si rende conto dell’ “enorme flusso informativo a cui ciascun cittadino è sottoposto nei diversi campi (non soltanto la politica) e che riduce la capacità di approfondimento e di analisi ad una dimensione tipicamente ‘liquida’”. “Lo stesso Bauman, sociologo della liquidità - aggiunge Flammini - evidenzia come l’eccesso di comunicazione rappresenti anche un peso di ‘responsabilità’ difficilmente sopportabile per un qualsiasi cittadino che voglia essere informato e attivo” . Durante il periodo elettorale nasce dunque l’esigenza (più che solo idea) di dotare tutti quei cittadini che vogliono informarsi in maniera indipendente (ed esercitare il pro-
prio diritto al voto consapevole), di informazioni strutturate ed accessibili sull’operato dell’Amministrazione Comunale locale e permettere poi a loro stessi di interagire con contenuti user generated georeferenziati opportunamente verificati e validati dal giornale. Entrano a questo punto nel team del progetto il cittadino Roberto Guidotti ed il webmaster di Rivieraoggi.it Paolo Gabrielli che implementano la piattaforma open
“Ho apprezzato fin da subito l’idea del confronto fra i programmi perché lo trovo utilissimo: significa votare conoscendo ciò che si va a votare. Ho contattato Pier Paolo poiché in passato avevo utilizzato la piattaforma Wikimedia e potevo partecipare a questo progetto. Con il mio background potevo aiutare a sfruttare al meglio la piattaforma e rendere il tutto più semplice da consultare” Ing. Roberto Guidotti PhD. Student presso l’Institute for Advanced Biomedical Technologies - ITAB Department of Neuroscience and Imaging University of Chieti “G. D’Annunzio”
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d Elezioni-Wiki: asparenza source Mediawiki (www.mediawiki. org/wiki/MediaWiki) già ampiamente utilizzata per iniziative Mediawikibased perché molto stabile, testata e facilmente espandibile e molto utile come strumento di e-democracy. Elezioni-Wiki sta pian piano prendendo forma www.elezionisanbenedetto.rivieraoggi.it/index.php/Pagina_principale. Ed una volta ultimata in tutte le sue fasi (siamo al momento alla fase 1), sarà stata in grado di mappare i contenuti del programma di mandato del Sindaco eletto con quelli del programma elettorale, consentendo poi un monitoraggio costante delle promesse elettorali, anche attraverso i contenuti generati dagli utenti. L’economista ed esperto di politiche pubbliche collaborative e online Alberto Cottica, che ha di recente annoverato Elezioni-Wiki tra le prime iniziative di Wikicrazia nazionale nel suo blog www.cottica.net , ha dato
a tutti coloro che tentano di portare avanti progetti di questo tipo il seguente consiglio: “avete bisogno di coinvolgere il sindaco o la giunta, e preparatevi a modellare l’esperimento in modo che loro ci si ritrovino a loro agio, anche se questo comporta rinunciare ad alcune delle vostre idee. […] Per fare open government deve esserci una collaborazione esplicita tra cittadini e amministrazioni”. Riviera Oggi ci sta provando ma necessita dell’appoggio della cittadinanza e dell’interesse da parte di altri territori ed amministrazioni. Il team di lavoro sta anche prendendo accordi con Cottica per organizzare insieme a lui a San Benedetto del Tronto una serata di agosto di dibattito sulla Wikicrazia con diretta in streaming sul web e possibile coinvolgimento di altri esperti italiani ed internazionali. Stay tuned. WM
>>> VIDEO DI PRESENTAZIONE DEL PROGETTO
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Ambasciatori di un futuro i Come si fa una mostra di idee? Come si concretizzano le idee al punto tale da poterle mostrare ad un pubblico?
di
Pamela Pinzi
Una curiosità: le sedie in cartone della Kubedesign (presente al Salone del Mobile di Milano 2011 con il tavolo più lungo del mondo) sono più comode di una poltrona Luigi XVI, con rispetto parlando dell’arte classica.
L’unico modo è farle raccontare da un narratore, un protagonista, tanto meglio se il protagonista è l’autore stesso dell’idea, colui che l’ha vissuta sul serio sulla sua pelle. È un modo romantico e và dritto al segno. Alla Mole Vanvitelliana di Ancona più di trenta realtà eccellenti della nostra economia hanno raccontato quale intuizione li ha resi più ricchi e rinomati. Risorsa è la parola chiave che ha guidato il percorso dello spazio multimediale “La Bellezza delle Cose”, allestito alla Mole Vanvitelliana dal 23 Giugno al 3 Luglio
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scorso. In un palcoscenico di proiettori e arredi di cartone si è potuto assistere al racconto di direttori ed amministratori di società che in due minuti, guardandoci in faccia, ci hanno spiegato come è possibile far diventare un’idea, un prodotto di successo. Lo hanno spiegato uno alla volta con un pezzo registrato che inizia proiettando la figura intera del soggetto di turno, così, scenograficamente, entrano nella stanza che riunisce i visitatori e raccontano le loro esperienze a ciclo continuo. L’appuntamento della Mole è inserito in un disegno più grande, chiamato Territori di risorse: le Marche, che le aziende le ha fatte diventare anche luogo di esibizione artistica, come la storica sede della Manifattura Tabacchi a Chiaravalle, scenario
di una mostra sui prodotti finiti dell’eccellenza aziendale marchigiana mostrata ai cittadini. L’iniziativa, promossa da Symbola, ha coinvolto le maggiori realtà produttive della nostra regione attente all’ambiente naturale e sociale. Le aziende in mostra sono state scelte perché esempio di sostegno alla soft economy ovvero di avanguardia tecnologica con un occhio attento all’ambiente sociale del distretto in cui si produce e si agisce. Risorsa è la parola chiave che unisce il mondo delle idee a quello del settore produttivo. Una buona idea genera un passo avanti concreto
uro intelligente
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per il territorio che la accoglie e la sostiene; infatti un investimento sul talento locale premia sia in campo sociale che economico. Con questo assunto il percorso della mostra ha celebrato i buoni esempi, sia quelli realizzati che quelli in fieri, sostenuti dai nostri enti e dalle nostre associazioni locali più importanti: Regione Marche, Comune e Camera di Commercio di Ancona, l’ADI Marche (Associazione per il disegno industriale), Manifattura Italiana Tabacco, Fondazione Chiaravalle Montessori e le aziende ProgemaDue e Tecnoprint. Risorsa è la parola chiave che punta il riflettore sul capitale umano: il lavoratore che presta la sua opera, il suo tempo e le sue competenze (!) per costruire, insieme alla staff con cui lavora,
SYMBOLA
Fondazione per le Qualità Italiane nasce nel 2005 con l’obiettivo di promuovere un nuovo modello di sviluppo orientato alla qualità in cui si fondono tradizione, territorio, ma anche innovazione tecnologica, ricerca, design. In una sola parola, la soft economy: un’economia della qualità in grado di coniugare competitività e valorizzazione del capitale umano, crescita economica e rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, produttività e coesione sociale. Symbola è un movimento culturale la cui originalità sta nel mettere in rete soggetti diversi fra loro: personalità del mondo economico e imprenditoriale, della cittadinanza attiva, delle realtà territoriali ed istituzionali, del mondo della cultura. È la lobby delle qualità italiane che parla alla politica, all’economia e alle istituzioni per indirizzare lo sviluppo del Paese verso la qualità e la sostenibilità. Attualmente la sua rete associativa raccolta nel Forum degli Associati della Fondazione è costituito da oltre 150 organizzazioni. La Fondazione svolge la sua attività prevalentemente attraverso ricerche, fra cui il PIQ, Prodotto Interno di Qualità e BQI, Banca delle Qualità Italiane - dossier, rapporti, incontri, seminari, azioni di comunicazione e di formazione, corsi e master in collaborazione con istituzioni, enti di ricerca, associazioni pubbliche e private. (testo tratto dal sito www.symbola.net)
un buon prodotto. Symbola ha voluto celebrare la sostenibilità dei progetti più affascinanti sfornati da aziende come 4GEngineering, Claudioforesi, Claudia Ottaviani, CRN, Eclettis, Effettoluce, Elica, Emporium, Energy Resources, FAAM, Faber, Fessura, FBT, Fondazione Chiaravalle Montessori. Ognuna a suo modo ha segnato un successo che i cittadini non avrebbero potuto scoprire senza questa esposizione di idee. Gli imprenditori locali hanno aperto le porte delle loro fabbriche per svelare cosa succede dietro le mura dell’ufficio sviluppo di Fornarina, Guzzini, IFI, Indesit Company, Korg, Krila Design, Kubedesign, Loccioni, Naturino, Poltrona Frau, Rainbow, Rifuse, Roccheggiani,
Scavolini, Spring Color, Stark, TVS, UNO61, Vesmaco. “La Bellezza delle Cose” è stata un evento sui generis, la celebrazione di tutto ciò che in questo periodo storico sembra essere senza speranza: la ricerca sperimentale, il rispetto dell’ambiente, la qualità artigianale e l’appoggio incondizionato delle istituzioni. “La Bellezza delle Cose” è stata una boccata di ottimismo in un’epoca densa di dubbi e giudizi in perenne sospeso. Quella sensazione di lieto fine che è tanto rara da provare quanto necessaria. WM
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A volte è difficile trovare le parole per descrivere qualcuno. Altre volte invece è tremendamente facile, immediato, spontaneo. Quando incontri Elisa Di Francisca, non hai da aspettare più di un secondo: dirompente! Le calza a pennello come descrizione, e lo vedi da come parla di se e della sua vita, da come affronta la fase di preparazione atletica, da come sale in pedana. Non hai dubbi: è una che la vita la divora! Con carattere ed intelligenza, con la voglia di vincere ma senza perdere il contatto con il quotidiano. Un mix di creatività e concentrazione, di consapevolezza e umiltà che l’hanno portata a vincere l’oro mondiale e che la spingono a chiedersi ancora di più!
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Editor e Stylist Marco Scorza - Photo: Francesco Esposito
Niente presunzione, niente maschere:
di
Eleonora Baldi
Elisa è come è!
Incontriamo Elisa nel tempio della scherma jesina, quel Palascherma che ha dato i natali sportivi a Giovanna Trillini, Stefano Cerioni, Valentina Vezzali; che ora guarda a Elisa Di Francisca come la protagonista del fioretto mondiale; che continua a crescere i campioni del futuro. Un posto quasi sacro per chi di questo sport ha fatto un’arte. La campionessa mondiale, oro ottenuto nel 2010 a Parigi, la senti arrivare: una risata carica di energia ci avverte della sua entrata nel palazzetto. Da subito capisco che avrò la fortuna di parlare con una persona e non con un personaggio, con Elisa e non con la campionessa Di Francisca; o meglio, avrò la fortuna di parlare con tutte e due insieme perché – e non sempre accade! – l’una non ha intaccato l’altra. Elisa è rimasta una ragazza, fiera di essere jesina ed innamorata della sua quotidianità, che ama lo sport ma lo vede come parte della sua normalità, che indossa i panni della campionessa mondiale con la leggerezza e la spontaneità dei suoi anni.
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Elisa Di Francisca e la scherma: è stato amore a prima vista? Perché hai scelto la scherma? “In realtà ho iniziato con la danza classica qui a Jesi; per un paio d’anni mi ha anche divertito. Poi, per me era uno sport troppo lento! Non amavo particolarmente neanche i saggi, da piccola ero molto timida e se da un lato ero appagata nel mio essere vanitosa dall’altro l’impatto col pubblico non mi faceva impazzire. E poi, quegli allenamenti alla sbarra…troppo noiosi! Fin da piccolina, la mia attitudine alla competizione era forte: avevo bisogno di uno sport diverso. La scherma a Jesi è da sempre molto famosa e mio padre mi ha dato l’idea di provare. Ammetto che non avevo idea di cosa potesse essere questa scherma, però ho provato. E, sì: è stato amore a prima vista! Il mio maestro era Ezio Triccoli: un mito! Quello che ho amato fin da subito nella scherma è stata la sensazione che ho giorno dopo giorno, dal primo ad oggi, ogni volta che indosso la maschera: quella di una sfida continua con me stessa!”.
Ci dici che hai abbandonato la danza perché non ti piace troppo la disciplina. Eppure anche nella scherma ce n’è tantissima…
“Sì, è molto importante ma non è così “totalizzante” come nella danza. Ovviamente e giustamente è fondamentale il rispetto delle regole e dell’avversario, però non è nulla portato all’eccesso. Un esempio immediato, nella danza tutto deve essere perfettamente controllato: devi mangiare in un certo modo, non saltare neanche un allenamento, eseguire le figure in un determinato modo e solo in quello. Non fa per me! Io voglio decidere tranquillamente della mia vita e la scherma mi lascia lo spazio per farlo. La scherma è uno sport estremamente nobile, il combattimento è elegante. Prima di iniziare ci sono delle regole di base che sottolineano il rispetto dell’avversario come la procedura del saluto e la stretta di mano, che non sono semplicemente gesti fini a se stessi, ma ti insegnano dei valori fondamentali, a competere nel rispetto. E poi, la scherma mi lasciava lo spazio per la mia creatività, per il mio modo di essere”.
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Ognuno ha il suo stile quindi. E qual è il tuo modo di tirare? “Non c’è una regola ben precisa. Ci sono certo delle cose che ti insegnano come
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base, dei tecnicismi diciamo. Ma poi il modo di farle te lo costruisci tu: ognuno tira a modo suo, ci mette estro e fantasia. E proprio questa è la mia qualità più grande: la fantasia. Io mi adatto facilmente ad ogni avversario e il trucco sta nel cambiare, ogni volta che l’avversario dimostra di aver iniziato a capire le tue mosse. Mettere in atto un’azione e poi il colpo successivo una completamente diversa”.
Questa capacità di adattamento ti ha aiutato anche nella vita di tutti i giorni?
“Assolutamente sì: lo sport è vita!Quello che faccio, nel mio caso, in pedana lo metto anche nella vita. La scherma mi ha cambiato ed aiutato nel saper leggere le situazioni, soprattutto nei rapporti a due. E’come gli scacchi, anche se in realtà non so giocarci, è capire prima la mossa che l’altro sta per fare e adattarsi a rispondere nel modo migliore”.
Come si impara a gestire tanto l’euforia della vittoria quanto la delusione della sconfitta?Sempre se si impara!
“Eh, questa è stata una lunga e dura strada! Io non sono nata con una vittoria ai mondiali, subito con grandi successi che mi facessero da spalla. Ho affrontato periodi molto bui e neri nella mia carriera schermistica. Pur allenandomi tutti i giorni, seppure senza sacrificare la mia vita per gli allenamenti stessi, non riuscivo a sfondare. Quel risultato che avrebbe potuto darmi fiducia e consapevolezza nei miei mezzi non arrivava. E questo nonostante le persone intorno a me, gente del calibro del Maestro Triccoli o di Stefano Cerioni, credessero fortemente in me e nelle mie doti, forse molto più di quanto non facessi io. Non riuscivo a capire perché i risultati tardassero a venire. E quando inizi ad entrare in questo vortice, non è facile da gestire. Ti blocchi men-
talmente e questo è il peso più grande: il problema non è fisico, è di testa. Talento ed allenamento ci sono, ma poi la differenza la fa il modo di affrontare la gara, la freddezza, la concentrazione. Nel momento in cui stai perdendo, allora è lì che devi trovare quel qualcosa a cui aggrapparti, quella voce dentro di te che ti riporta alla mente un ricordo, una stoccata, un qualcosa che possa esserti utile; la coscienza che ti dice “no, non puoi perdere!fai questo per vincere!”. Adesso ce l’ho. Per carità non sempre, ma ce l’ho. Ed è arrivata grazie alle vittorie, grazie al mondiale, alle gare di coppa del mondo, ai campionati italiani di questa stagione e alla scorsa. E’ sacrosanto: vincere aiuta a vincere! Perché ti da consapevolezza di te e dei tuoi mezzi,ti da qualcosa in più. Quando magari sono in una fase critica del combattimento, sto perdendo, mi dico “Elisa ricordati chi sei! Puoi fare di più!”. Gara dopo gara impari a conoscerti molto, a capire quali sono i tuoi limiti, cosa far entrare in gioco quando non sai dove aggrapparti. Il maestro può dirti tutto, ma sei tu a fare la differenza”.
Parliamo un po’ del Maestro Triccoli. Quanto è stato importante per te? “Importantissimo! Io ero piccolina, quindi l’ho vissuto meno rispetto ad esempio a Giovanna Trillini che mi parla spesso di che persona era così come le figlie del Maestro con cui sono rimasta in buoni rapporti. Io mi ricordo una figura molto austera. Entrava in palestra sempre elegante, ben vestito. Il mercoledì che per noi era giorno di “gironi”, cioè di gare interne e per cui lui non faceva lezione, indossava sempre dei completi eleganti, con questo fazzoletto al taschino che mi è rimasto come immagine. Era un uomo d’altri tempi. Lui dava e pretendeva il massimo rispetto. Non era solo un maestro di tecnica e di scherma, ma lo era di vita. Serviva da educatore, da esempio. Quando facevo lezione con lui,
Photo: Massimiliano Fabrizi
puntualmente si arrabbiava! Mi diceva “fai questo!” e io…tutto il contrario! Il nostro era un rapporto particolare d’amore e odio diciamo, dato il mio caratterino! Però è stato molto bello, lui credeva tantissimo in me. Quando ho vinto a Rimini il mio primo campionato italiano lui c’era e tutto quello che mi ha detto è stato “Brava. Domani ti alleni!”. Non era uno di quelli che manifestava, ti teneva con i piedi per terra. Ma che avesse grandi progetti per me non ho dubbi. Prima di morire quando mia madre andrò a trovarlo in ospedale, quello che le disse fu “Tua figlia ha l’oro nelle mani. L’importante è che se ne convinca lei.”. ”.
E nel 2010 questa sua profezia si è avverata!Raccontaci: come è stato il processo di avvicinamento a questo oro e cosa ti è esploso dentro dopo averlo vinto? “ Per me era il quarto mondiale. Arrivavo sempre all’appuntamento mondiale e ai ritiri premondiali con un’ansia incredibile, quella che non riesci a gestire. Pensavo “praticamente da sempre faccio gare, alla fine anche il mondiale è una gara come un’altra. Se anche perdo, cosa succederà mai?”. Però dentro di me io ho una forte determinazione quella che rende incapace una parte di me di accettare la sconfitta, quella che mi fa dire che non posso perdere. E questo se è un bene, dall’altro è un difetto, devi gestirlo. A questo mondiale di Parigi invece sono arrivata stranamente quasi tranquilla. Riuscivo ad allenarmi con serenità e ho vissuto il ritiro di Norcia con il giusto atteggiamento di leggerezza, divertendomi con le mie compagne. Era strano per me, tanto che mi sono chiesta se non fosse che avevo preso questo mondiale con troppa nonchalance. E invece…sono arrivata a Parigi e ho vinto! E mi sono detta che forse avevo finalmente trovato l’approccio giusto! Il mio cammino era iniziato sì con una vittoria, ma con un assalto che sapevo di aver tirato male. Ero ansiosa, mi facevano male le gambe e con tante paure. Ma la paura, quando impari a darle il giusto peso, è fondamentale: ti serve per non perdere la concentrazione per stare sempre sul chi va là. In questo mondiale ho finalmente trovato la chiave giusta per affrontare ogni assalto. La finale poi è stata molto particolare, contro Arianna Errigo. Noi ci alleniamo spesso insieme, eravamo
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Photo: Massimiliano Fabrizi
avevano seguito: una sensazione bellissima! Anzi, mi sono quasi sentita imbarazzata a volte, mi sembrava troppo; pensavo “ma dai, sono sempre io!!”. Non voglio che il successo cambi i rapporti, che cambi il modo in cui le persone si rapportano a me; sono una persona semplice e amo la normalità!”.
I mondiali di Catania e Londra 2012: che cosa vuole da questi appuntamenti Elisa Di Francisca?
“Indovina? Ovviamente punterò sul partecipare! No eh, non ci crede nessuno! Voglio salire ogni volta in pedana con la coscienza apposto, sapendo di aver fatto tutto quello che dovevo, sapendo i risultati che ho raggiunto e l’obiettivo che voglio centrare. E’ tutto nella mia mano destra!”.
…Se non ce la fai, stai a casa! E’ il tuo motto: ce lo spieghi?
in camera insieme. Questa è una difficoltà in più del nostro sport. Pur essendo uno sport individuale è allo stesso tempo anche di squadra: oggi ti capita di giocarti la finale mondiale con quella con la quale domani dovrai affrontare la gara a squadre, con quella con cui hai passato il ritiro, hai vissuto delle esperienze insieme. Si respira alla stesso tempo competizione e condivisione e a volte è destabilizzante. In finale ero concentratissima, in un’altra dimensione, non sentivo nessuno. Arriviamo all’ultima stoccata, quella del 15-11. L’arbitro la assegna a me ma Arianna chiede la moviola. Non ho esultato, dovevo aspettare, non potevo perdere la concentrazione. Quando poi l’arbitro ha confermato la decisione, ho liberato la mia gioia e sono saltata addosso a Stefano Cerioni! Poi tutti i festeggiamenti e i brindisi. Ma la festa più bella, me la sono regalata quando sono tornata a casa, da sola con me stessa. Ho staccato per qualche giorno, mi sono rifugiata in un centro benessere: la mia vacanza più bella!”.
“Nasce da dei discorsi fatti con il mio migliore amico. Una sera, eravamo in una discoteca, il vocalist disse appunto “se non ce la fate state a casa!!!”. E abbiamo fatto nostra questa frase e poi mia nel sito. Cosa intendo? Che se non si riesce a sostenere una situazione, tanto meglio non mettercisi neanche. Io sono fatta così, se pensassi di non essere all’altezza di qualcosa, che sia una gara o altro, non mi prenderei neanche l’impegno. Io non sono per i grigi: o bianco o nero!” WM
Tra la Di Francisca - il personaggio, la campionessa – ed Elisa – la persona, la donna – quanto c’è in comune?
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“Ma, in realtà hanno moltissimo in comune. Però quando indosso la maschera e tiro viene fuori quella grinta che non sempre mi ritrovo nelle situazioni di tutti i giorni. Tante volte, e ne è d’esempio la vittoria mondiale, stento a riconoscermi anche io. L’essere un’atleta estremamente forte, lucida e fredda mentalmente. Mi sono sempre vista in un altro modo, magari più fragile, più sensibile. E invece mi sono riscoperta piacevolmente diversa”.
Come riesci ora a ricavarti il tuo spazio?
“E’ dura. Non solo tu, ma anche chi ti sta vicino deve fare dei compromessi; e seppure è vero che ti ha conosciuta così, non sempre è facile. Quando parti spesso, stai fuori tanto, torni un paio di giorni e poi riparti, stai sempre sotto stress. Anche quella piccola finestra di tempo che riesci a tornare a casa, devi fare in 3 giorni quello che avresti fatto in due settimane. Se anche fisicamente ci sei, in realtà non riesci a dedicare il tempo che vorresti agli affetti. E per me, è dura! A volte lo ammetto, ho bisogno di saltare un giorno di allenamento e starmene con i miei genitori, con mia sorella, con il mio fidanzato e ricaricare le batterie. Non riesco ad essere del tutto stakanovista, anche perché senza di loro non sarei quella che sono e voglio dargli il posto e il tempo che meritano!”.
Com’è il tuo rapporto con Jesi?
“Quando sono fuori, mi manca tantissimo. E’ casa mia. E poi gli jesini con me sono adorabili! Quando ho vinto i mondiali, era un continuo di persone che mi fermavano per farmi i complimenti, chiedermi un autografo, dirmi che mi
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PHOTO: Total Look Toy-G
Tutto questo è Elisa!
Tornare indietro per andare
avanti? “crisi”
La parola che evoca in noi occidentali lo spettro di un burrone infinito, è tradotta in cinese con una sola parola che indica anche “opportunità”. E se questa non fosse solo una leggenda, ma l’occasione per recuperare l’inventiva e la capacità adattiva che da sempre sono garanzie di successo? Di fantasmi questo XXI secolo ce ne ha già offerti molti. Di problematiche con cui confrontarci, altrettante. Di punti interrogativi rimasti senza una risposta, anche. Ma per tanti problemi dobbiamo trovare una soluzione. E per alcuni dobbiamo farlo anche presto! Primo tra tutti, il problema della mancanza di lavoro che sembra diventata una malattia endemica che colpisce purtroppo soprattutto i giovani. Quei ragazzi che molto spesso sono figli di genitori che hanno vissuto il boom degli anni ’80 e il benessere dei ’90 quando con la giusta dose di competenza, creatività, capacità di rischiare o semplicemente con una buona manualità e tanta voglia di fare si poteva ottenere quanto meno un buon lavoro, una sicurezza finanziaria e solide basi per il proprio futuro. Adesso lo scenario sembra trasformato: tanti laureati escono dalla porta dell’università col capo ancora cinto d’alloro e si trovano a brancolare tra invii di curriculum via e-mail ai quali nessuno risponde e colloqui di lavoro che finiscono spesso con il “le faremo sapere” che molto spesso si perde via nel vento. Trovare una via d’uscita a questa impasse è fondamentale. Serve un’idea, una scossa, un
sentiero da percorrere. A volte capita che la storia ci venga in aiuto, che il passato dimostri di avere quelle risorse che il presente sembra aver perso di vista. Quale è stata una delle grandi ricchezze delle Marche, e a ben vedere dell’Italia tutta? L’artigiano, quello in grado di fare del proprio mestiere un’arte, di fare delle proprie mani degli strumenti paragonabili al pennello di un pittore o allo scalpello di uno scultore, quelli che producevano meno in termini numerici ma molto e molto di più in termini di valore e di unicità. Insomma, quelli che hanno creato il vero Made in Italy.
E se la soluzione fosse allora quella di incentivare un ritorno all’artigianato?
E se le nostre Istituzioni, a cominciare dalle Province che sono le più presenti sul territorio, potessero lanciare un forte messaggio in questo senso, incoraggiando con corsi di
formazione, workshop, convegni e conferenze sul tema? Se fossero proposte ai nostri ragazzi le esperienze di chi nascendo e rimanendo artigiano ha saputo crearsi una professione e mantenerla nel corso di decenni, proteggendola dall’attacco dell’automazione facile e dei pezzi fatti in serie? Ma siamo sicuri che questa idea non sia poi così innovativa. Che in realtà sul territorio ci siano iniziative di questo tipo e magari anche scuole che decidono di orientare il proprio percorso di formazione proprio in questa direzione.
Starà poi al singolo cercare informazioni su questo tipo di possibilità. Ma intanto, quello che chiediamo oggi ai Presidenti delle nostre province è di aiutarci a capire quali sono le risorse in termini di artigianato dei nostri territori: com’è la situazione delle imprese artigiane? Quale volume di lavoro sviluppano? C’è effettivamente possibilità per i ragazzi di entrare nel mondo del lavoro da questa porta, recuperando gli “antichi mestieri”? E, a quali corsi di formazione è possibile accedere? Whymarche.com 47
INTERVENTo DEL PRESIDENTE DELLA PROvINCIA dI ANCONA PATRIZIA CASAGRANdE
ANCONA
“Storicamente, l’artigianato si dispiega nell’area vasta anconetana come una fitta e variegata trama produttiva, fatta di migliaia di piccole e piccolissime imprese. Un settore in cui la presenza femminile è tanto elevata da incidere positivamente sui dati dell’occupazione di genere e far sì che il tasso di inattività delle donne anconetane sia inferiore rispetto alla media nazionale. Un settore che procede parallelamente fra tradizione e innovazione, che sa rimettersi in gioco all’interno di una cornice economica definitivamente mutata. Non a caso, la nostra provincia è al secondo posto in Italia per numero di imprenditrici che si occupano di riparazione, manutenzione e installazione macchine. Ciò significa che il nostro territorio ha una buona capacità di reazione alla crisi perdurante e diffusa.
Significa che istituzioni come la Provincia, mentre creano le condizioni per contratti di apprendistato o percorsi formativi per giovani e meno giovani, continuano a incentivare sia la creazione di nuove imprese che la modernizzazione delle esistenti. Trattandosi molto spesso di piccole e piccolissime realtà imprenditoriali, il nostro ente ha lavorato, in collaborazione con la Cna e con la Confartigianato, alla costituzione di reti di imprese alle quali fornire finanziamenti e consulenze sia per rivedere processi produttivi e organizzativi interni che per sviluppare gli aspetti del marketing e dell’innovazione. Non dimentichiamo, infine, quanto il settore dell’artigianato sia legato a quello del turismo, valorizzato dal nostro sistema della Marca anconetana con progetti
di incoming che lo vedono come attrattiva principale nelle offerte al visitatore. Né trascuriamo la sinergia tra istituzioni e imprese artigiane per la buona gestione del territorio”. WM
INTERVENTo DEL PRESIDENTE DELLA PROvINCIA dI MACERATA ANdREA PETTINARI
MACERATA
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“Negli ultimi cinquant’anni, il passaggio da economia quasi esclusivamente agricola ad economia prevalentemente manifatturiera ha avuto in provincia di Macerata un protagonista: l’artigiano. Attraverso l’artigianato si è giunti ad un vasto panorama di piccole e medie imprese industriali, ma l’ossatura del nostro sistema economico è tuttavia rappresentata dall’artigianato. In provincia di Macerata, circa un terzo delle 36 mila imprese attive sono artigiane: esattamente il 31,2%, quattro punti percentuali in più rispetto alla media nazionale. E’ naturale, quindi, che l’Amministrazione provinciale abbia una sensibilità particolare verso questo importante settore produttivo. In tutte le azioni di incentivazione all’imprenditoria e all’occupazione, la Provincia pone attenzione all’artigianato, programmando per esso misure
appropriate. Un esempio è il Fondo di garanzia, costituito anche con l’apporto di Camera di Commercio e Comuni, per agevolare l’artigiano ad ottenere crediti dalle banche. Altro intervento è quello dei contributi in conto capitale per la costituzione di nuove attività. La Provincia, inoltre, lavora in questa direzione anche sul fronte dell’occupazione giovanile, attuando progetti di tirocinio e di “borse-lavoro”. Oltre alla salvaguardia degli antichi mestieri, che hanno in Rocca Varano di Camerino un centro estivo di esposizione e valorizzazione, la Provincia di Macerata promuoverà in autunno corsi di formazione nel campo dell’artigianato artistico, settore – quest’ultimo – che in un territorio attento al turismo e alla cultura potrà offrire occasioni per molti giovani. La Provincia di Macerata, inoltre, sta cercando di far accogliere alla Regione Marche
una proposta volta a poter finanziare con quote del Fondo Sociale Europeo destinato alla formazione professionale anche la cosiddetta “formazione di bottega”, cioè periodi abbastanza lunghi di “scuola artigiana” in cui il giovane desideroso di imparare un mestiere manuale possa essere seguito da vicino da un “Maestro artigiano” ”. WM
INTERVENTo DEL PRESIDENTE DELLA PROvINCIA dI PESARO E URBINO MATTEO RICCI
PESARO URBINO
“Resistere e innovare sono state in questi mesi le parole d’ordine della nostra azione di governo. Se da un lato abbiamo adottato misure per famiglie in difficoltà, lavoratori e imprese, dall’altro abbiamo cercato di individuare i settori in grado di creare nuova occupazione, come green economy e turismo e, in quest’ultimo ambito, artigianato artistico e produzioni tipiche. Gli antichi saperi possono tornare alla ribalta se giovani intraprendenti scelgono di dedicarvisi, anche avvalendosi delle possibilità di promozione e commercializzazione offerte dalle nuove tecnologie. Nel territorio provinciale sono 12.789 le imprese artigiane attive nei più svariati settori, alcune nate grazie ai bandi per il sostegno alla creazione
d’impresa promossi dalla Provincia con il finanziamento del Fondo Sociale Europeo, ricevendo contributi a fondo perduto. Collaboriamo anche al progetto “Young & Senior, un team per l’impresa” promosso dalla Cna Pesaro e Urbino, che permette ai giovani di avvalersi nei primi mesi di attività, dell’esperienza e professionalità di artigiani pensionati. Sul versante dei corsi di formazione per artigiani, abbiamo offerto in questi anni varie opportunità: corsi per estetiste; lavorazione della ceramica; restauro oggettistica e lavorazione artistica del legno; tecniche orafe; cucina piatti rurali d’autore. Insieme ai prodotti tipici, le nostre eccellenze artigiane (ceramiche, lavorazioni in cuoio, tessuti, legno
intagliato, pipe in radica ecc.) sono un importante biglietto da visita: a Pesaro, in via Rossini, abbiamo uno spazio per l’esposizione e la vendita ed altri se ne aggiungeranno nelle aree interne”. WM
INTERVENTo DEL PRESIDENTE DELLA PROvINCIA dI FERMO FABRIZIO CESETTI
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“E’indubbio che la caratterizzazione del sistema produttivo della Provincia di Fermo, nell’articolazione territoriale dei suoi 40 Comuni, risenta fortemente della identificazione con il Distretto Calzaturiero, costituito per lo più da imprese artigiane medio-piccole. Per queste aziende la Provincia, attraverso l’utilizzo del Fondo Sociale Europeo sta, ormai già dal 2009, sostenendo indirettamente le piccole medie imprese artigiane integrando, oggi fino al 40%, l’indennità percepita dai lavoratori che sono momentaneamente in sospensione lavorativa. I giovani non sono però occupati solo in questo Distretto ma le imprese artigiane operano anche nei settori della metalmeccanica, dell’edilizia,
dei servizi alla persona, dei servizi amministrativi e contabili e nel terziario. La Provincia, attraverso il migliore strumento di inserimento lavorativo per i giovani fino a 29 anni, e cioè il contratto di apprendistato professionalizzante, intende incrementare ulteriormente il numero dei giovani lavoratori nelle imprese artigiane. Questo contratto, oltre a prevedere una cospicua attività formativa sia interna all’azienda sia esterna, costituisce per le imprese stesse un utile strumento agevolativo in termini di contribuzione. Va letto in questa ottica il recente Avviso Pubblico per ben 14 corsi di formazione rivolti a oltre 200 giovani apprendisti per l’erogazione di quasi 1.700 ore di formazione complessive e
per un finanziamento reso disponibile dalla Provincia di circa 150.000 Euro. Altro intervento fondamentale che impegnerà questo giovane Ente nei prossimi anni, con cospicue risorse, sarà quello di promuovere il“ritorno all’artigianato” già nelle scuole, in collaborazione con i docenti ed in accordo con le associazioni di categoria qualificando, in termini di creatività, di professionalità, di valore aggiunto, di imprenditorialità, gli antichi mestieri”. WM
INTERVENTo DEL PRESIDENTE DELLA PROvINCIA dI ASCOLI PICENO PIERO CELANI
ASCOLI PICENO
“Da sempre studi e statistiche indicano la provincia di Ascoli Piceno come uno dei territori a più alto tasso di densità di aziende artigiane a livello nazionale. Un tessuto di micro e piccole imprese che abbraccia i più svariati comparti manifatturieri da quelli più avanzati della meccanica e dell’elettronica a quelli di più antica tradizione artigiana legata ai saperi locali. E’quindi importante favorire soprattutto nei giovani, specie in un momento di forte crisi occupazionale come quello che stiamo vivendo, la cultura dell’autoimprenditorialità e il recupero degli antichi mestieri superando la logica del posto fisso. In questa direzione, la Provincia svolge un ruolo di rilievo attraverso significative iniziative quali dibattiti, confronti, work
shop, incontri con testimonial di successo come l’imprenditore Nero Giardini. Non solo, l’Amministrazione provinciale è impegnata anche a promuovere specifiche attività progettuali e formative legate ai fondi europei. Ad esempio, è in programma un nuovo bando per settembre, dell’importo di circa 1 milione e 600 mila euro a valere sui fondi FSE 2007/2013 in cui saranno individuate tematiche essenziali come il marketing d’impresa rivolto a piccoli imprenditori artigianali e non solo del territorio che necessitano di affrontare in modo più professionale la competitività dei mercati e la gestione della loro impresa. Tra i settori prioritari d’intervento del bando figura pure l’artigianato artistico nel quale possono essere inclusi ambiti
importanti come la ceramica, il legno, il ferro e il travertino. Tali corsi saranno rivolti a tutta la popolazione in età attiva, sia disoccupati che occupati fuori orario di lavoro”. WM
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Osimo e le sue meraviglie >>>
Osimo
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Qualcuno la sceglie perché è irrimediabilmente attratto dall’esoterismo e gira voce che Osimo sia la cittadina italiana (e forse mondiale) con più simboli misteriosi in assoluto. Qualcun altro è mosso invece dalla fede e si reca in pellegrinaggio alla Cattedrale, dove il 2 luglio 1796 il crocifisso ligneo in essa conservato aprì all’improvviso gli occhi e la bocca, evento che si susseguì poi per diversi mesi. Ma c’è anche chi, semplicemente, ama passeggiare tra belvedere, colline e piazze, alla scoperta di tesori artistici e architettonici ancora conservati in buono stato, di cui la nostra regione è piena. Dai giardini pubblici di via Saffi, ad esempio, la vista di cui si gode è prodigiosa, anche in una giornata di foschia. La Cattedrale di San Leopardo, eretta nel XII secolo in pietra bianca, merita di essere visitata. In particolare, scendere nella cripta è un’esperienza consigliabile a chiunque, al di là della devozione che le reliquie dei Santi Martiri e Vescovi della città possono suscitare. La bellezza stilistica delle colonne, degli archi e delle volte lascia incantato anche il turista più scettico. Il centro storico già da solo conserva una mole di gioielli da far invidia a qualunque Paese. Il complesso principale è senza dubbio il Palazzo Comunale con la Piazza del Comune, un tempo Foro romano della città. Entrando nell’edificio, ci si ritrova a “dialogare” con due file di statue acefale, responsabili dell’appellativo di “senza testa” per gli Osimani. Altro sito archeologico di grande interesse è Fonte Magna, ciò che resta di una più ampia struttura di età romana. E poi, ovviamente, i Palazzi Nobiliari del centro (primo fra tutti il Balleani Baldeschi) e il Teatro Storico “La Nuova Fenice”, tra i più belli delle Marche. Tutto questo esiste sopra, in superficie. E sotto? Quali misteri si celano sotto i vostri piedi, inghiottiti da secoli di storia e tuttavia ancora così incredibilmente vivi? WM
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Chiara Giacobelli di
AbITUATI A VIVERE, CAmmINARE E gUARDARE IN SUPERFICIE, FINIAmo PER PERDERCI I RACCoNTI SToRICI PIù INTRIgANTI:
quelli che custodiscono molte nostre città, nel loro cuore sotterraneo.
come osimo
Quando si imbocca la scala che conduce verso le viscere della terra, là dove anni fa i cittadini si rifugiarono dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale e dove tempo addietro i Romani scavarono per migliorare il sistema idrico di Osimo, si ha quasi l’impressione di profanare un segreto tenuto ben custodito e celato per millenni. In realtà non è così. Le grotte che corrono sotto la città (famosa tra l’altro per la sua forma a pianta di piede) sono da sempre un canale di comunicazione privilegiato: attraverso questi cunicoli, svolte e saliscendi gli osimani hanno camminato senza tregua per secoli. Insieme a quelle di Camerano, le Grotte di Osimo sono in assoluto le più famose (tra quelle artificiali) della regione, utilizzate per molteplici scopi e studiate da professionisti di tutto il mondo. Sembra infatti che in esse siano conservati decine di simboli esoterici
La Cattedrale San Leopardo e templari, prima fra tutti la Triplice Cinta (che qui in realtà conta non tre, ma ben cinque quadrati inscritti). Tuttavia, buona parte del mondo sotterraneo di Osimo resta ancora oggi avvolto nel mistero, non soltanto per quanto riguarda la simbologia, ma anche la quantità stessa degli scavi. Nessuno sa di preciso quante gallerie percorrano il sottosuolo. Di certo, dal censimento parziale del 1988 risultano almeno nove chilometri di passaggi sotterranei, estesi per tutta l’area cittadina e dislocati su più piani. Le grotte vere e proprie sono minimo cento, unite tra loro verticalmente da 162 pozzi (o camini). Di queste, quelle visitabili quasi tutti i giorni raggiungendo lo I.A.T. sono le Grotte del Cantinone, le uniche illuminate da energia elettrica e quindi le più conosciute. 52
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Photo: Bruno Severini
Grotte Cantinone - Il Pozzo
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“Rispetto ad altri siti più problematici, il Cantinone è adatto ad ogni tipo di turista, anche chi presenta alcuni handicap – spiega la responsabile dell’Ufficio I.A.T. Simona Palombarani, esperta in materia anche perché guida turistica della provincia di Ancona – Le pareti sono ricche di date, simboli, bassorilievi e scritte scolpite, risalenti a varie epoche e quindi assai interessanti da decifrare”. Percorrendo le gallerie immersi nella frescura umida del sottosuolo e nell’odore pungente dell’arenaria, sfiorando con il palmo della mano la roccia sabbiosa e soffermando lo sguardo sui segni incisi secoli addietro, la domanda che sorge spontanea è: perché scavare un reticolo simile, tanto da costruire una vera e propria Osimo sotterranea? “La storia ci racconta che le prime grotte furono costruite per scopi difensivi e abitativi addirittura dai Piceni – continua Simona Palombarani – quando poi arrivarono i Romani sfruttarono gli scavi già compiuti per dotare la città di un sistema idrico eccellente, in parte modificandoli e in parte realizzandone di nuovi. In seguito, questi stessi cunicoli furono probabilmente utilizzati come luoghi di preghiera o di riunioni segrete e riti iniziatici. In tempo di guerra invece le grotte costituirono un valido rifugio, fino ad arrivare ai tempi moderni e ad usi meno spirituali: i nostri nonni le utilizzavano come cantine e vi conservavano cibi e vino. Oggi sono un’importante risorsa turistica”.
Grotte Simonetti - Croce templare
Grotte Cantinone - Scorcio Nicchia
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Osimo esoterica Non serve molta fantasia per immaginare quale di questi usi abbia più di ogni altro acceso la curiosità dei posteri, tanto da far muovere ogni anno masse di visitatori pronti a carpire qualche segreto in più circa l’alone esoterico che circonda le grotte. A questo particolare aspetto della città è persino dedicato un intero sito: www.osimoesoterica.it, oltre a svariate pubblicazioni. Ovviamente entriamo qui in un mondo tutto fatto di ipotesi e supposizioni, di credenze e di fitti misteri ancora in buona parte da comprendere. “Sulle pareti delle grotte appaiono molti simboli che la tradizione lega ai Templari o ad altre sette, religiose o profane – racconta il Gran Maniscalco Fabrizio Bartoli, appartenente all’ordine templare moderno OSMTH – Alcuni di essi, come la corona di Maria Maddalena o la Croce Trifogliata, sono ormai stati spiegati e compresi quasi del tutto, altri, come il Doppio Cuore, restano avvolti nell’oscurità del tempo”. Delle migliaia di disegni sacri e pagani lasciatici in eredità, il più celebre è però senza alcun’ombra di dubbio la Triplice Cinta della Grotta Simonetti, che dagli
esperti del settore è considerata la più importante d’Italia. “Questo simbolo è ricco di significati – spiega Roberto Mosca, autore del libro, insieme ad Alfonso Rubino, “La Triplice Cinta. La geometria della bellezza nelle opere dei maestri di ogni tempo” – un’ipotesi sostiene che essa stia ad indicare un luogo della Terra in cui si concentrano energie geologiche particolarmente positive. Ma è anche un regolo geometrico di estrema intelligenza matematica, che permette di calcolare precisamente il valore di Pi greco”. Purtroppo, le grotte più intriganti da un punto di vista esoterico sono le più difficili da visitare: le Simonetti, le Buglioni, quelle di Palazzo Campana, del Duomo e di Piazza Dante. Capita però che in alcune giornate esse vengano aperte per turisti o esperti e allora non si può certo perdere l’occasione per penetrare nei più intimi segreti di Osimo, muniti solo di una torcia e di qualche flebile candela. Può darsi che tra Fate Melusine e Croci Templari, tra volti di Santi, corone e date, riusciate voi stessi a svelare qualche mistero rimasto ancora oggi inaccessibile. WM
Grotte Simonetti - Triplice cinta
Grotte Cantinone - Volta a crociera
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Grotte Cantinone - Altorilievo croce
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<<E che pensieri immensi, Che dolci sogni mi spirò la vista Di quel lontano mar, quei monti azzurri, Che di qua scopro>>
Parco Nazionale dei Monti Sibillini
>>>
http://www.sibillini.net
Deltaplano a Forca di Presta - Zona - Monte Vettore
Turismo naturalistico:
la magia dei Sibillini e un Grande Anello per visitarli tutti
di
Michela Marconi
Un sentiero sicuro si snoda tra valli verdeggianti, borghi preziosi e pendici rocciose in cui riecheggiano leggende ancestrali
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Azzurri ispiratori di sogni, li descriveva il Leopardi ne “Le Ricordanze”; i Sibillini, monti avvolti da un alone di mistero, così speciali da essere, da sempre, ispiratori di versi e leggende. Primo fra tutti quel monte Sibilla che dà il nome alla catena, sulla cui vetta si è cercata, fino a tempi recenti, la grotta della nota maga, la Sibilla Cumana, già cantata da Virgilio nell’Eneide. Qui fu indicata la sua dimora incantata fin dal Quattrocento nel romanzo “Guerin Meschino” di Andrea da Barberino; qui la cercò l’erudito Antoine de La Sale, il cui racconto di viaggio”, Le Paradis de la reine Sibylle”, è oggi conservato nella biblioteca nazionale di Parigi. Per questo e per altre leggende
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antiche, il versante del parco compreso nelle province di Fermo e Ascoli viene detto “della magia”. Un paesaggio quantomai vario comprende un nascosto lago montano custodito da conche glaciali: il Lago di Pilato (l’unico naturale nelle Marche); strette gole in cui i fiumi nei millenni si sono scavati con forza la via tra le rocce, come quella dell’Infernaccio; maestosi castagneti e faggete ad alto fusto; paesini-gioiello dalle inaspettate ricchezze architettoniche stratificatesi nei secoli; antichi sentieri dei mietitori che andavano a prestar la loro opera nei campi delle regioni limitrofe; vette e creste da cui lo sguardo spazia in un panorama infinito che, dopo la fatica della salita, regala una sensazione di
Grande Anello dei Sibillini 120 km per un itinerario a tappe, percorribile in 9 giorni, che abbraccia l’intera catena montuosa, con rifugi escursionistici senza barriere – raggiungibili anche in auto – che forniscono agli escursionisti alloggio e vitto con prodotti tipici e cibi tradizionali della cucina marchigiana.
>>>
http://www.sibillini.net/ chiedi_sibilla/sentieri/index.html
Le Lame Rosse dei Sibillini Letture consigliate Monti Sibillini, Parco Nazionale Le più belle escursioni, A. Alesi, M. Calibani, Edizioni Ser
net
stupore e benessere. Nel versante “fiorito”, a Nord, assolate praterie d’alta quota dalle fioriture straordinarie risuonano di vento, grilli e allodole e dello scampanellìo degli armenti al pascolo; boscose gole custodiscono la memoria di antichi eremitaggi, ritirati e sospesi sulle pendici come nidi d’uccello, come la Grotta dei Frati; fitti boschi cedui di carpini e ornielli conservano le tracce di antichi mestieri; rocce modellate dal vento e dalla pioggia formano paesaggi insoliti come quello delle Lame Rosse. In quello “storico”, a Ovest, detto anche versante “delle guaite” dall’antico nome dei distretti in cui era diviso il suo territorio, la natura ha la sua maestosa espressione nelle aspre pendici rocciose del massiccio del Bove, sorvolate dall’aquila, e nella frondosa gola che fa da letto all’impetuoso fiume Nera. Una storia millenaria trasuda dal territorio ricco di torri di vedetta, borghi cinti di mura di difesa e santuari sorprendenti, come quello bramantesco sull’altipiano di Macereto. Il versante “sacro” o “religioso”, Sud Ovest, comprende le belle Norcia e Preci, in Umbria e i Piani di Castelluccio, ormai noti per i campi fioriti che una volta l’anno sembrano formare un patchwork di “toppe” coloratissime. Un modo unico per visitare il Parco e averne una panoramica generale è senz’altro quello di percorrere (da soli o accompagnati da una guida
autorizzata) il Grande Anello dei Sibillini, un percorso diviso in tappe, più o meno impegnative, che attraversa tutti i versanti e si snoda lungo il confine del territorio rivelandone a poco a poco tutta la varietà. Un parco, questo, da vivere tutto l’anno per godere appieno delle sue bellezze naturali, da percorrere a piedi d’estate e con le ciaspole o gli sci d’inverno. Un parco vivibile da tutti perché ha anche dei percorsi accessibili ai disabili. Un parco da visitare tutto l’anno anche per le bellezze architettoniche dei suoi borghi e per i suoi musei sorprendenti: come quello che conserva i Manoscritti Leopardiani autografi a Visso, la ricca Pinacoteca civica Duranti a Montefortino o quello Antropogeografico di Amandola, museo del paesaggio, che racconta il parco in modo curioso e divertente anche per i bambini, per comprenderlo nella sua complessità. Un parco “da assaggiare” tutto l’anno per conoscere la ricchezza gastronomica che offre, in estate e in inverno: un caffè al Varnelli in una piazzetta vista monti, una colazione col “ciambellotto” o la pizza di un forno di paese, un panino al pecorino divorato all’ombra di una pianta dopo un’arrampicata, una cena con tagliatella ai funghi e tartufo dopo una lunga escursione sono cose che fanno bene all’anima e non vanno spiegate a parole ma vissute. WM
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Come i denti di un pet inTraversando le Marche di Fabio Curzi
A Bolognola era molto caldo e il fontanile per fortuna era in ombra. Ero venuto su da San Lorenzo di Fiastra con un passo veloce, approfittando dell’ombra che i rami proiettavano sulla strada e curva dopo curva mi ero avvicinato al paese. Ho ripreso a salire lentamente, sperando di trovare un passaggio per superare quel muro di tornanti che mi separava da Pintura. Poco dopo il paese un’automobilista mi ha dato un passaggio fino al rifugio. Lì, con lo sguardo che spaziava sulle colline del fermano e dell’ascolano, ho sentito che il viaggio stava per trovare la sua conclusione, anche se mancavano da affrontare ancora tutti i Sibillini.
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Tra l’estate del 2008 e l’inizio del 2009 m’era capitato un po’ di tutto. Mesi di impegni intensi e nuovi nei quali non avevo avuto un momento per fermarmi a riflettere, per decidere se la strada intrapresa era giusta o se invece mi ero addentrato lungo un sentiero sbagliato, per il quale non avevo gambe. Avevo strappato quindici giorni di riposo ad agosto ma non era il momento, per me, di andare al mare in mezzo alla gente. Una sera di luglio, rientrando a casa, mi ero messo sulle mappe di Google e avevo cominciato a fare qualche conto, qualche ragionamento. Così il 24 luglio ho appuntato qualche idea sul blog. Era il momento in cui i comuni dell’alta Val Marecchia si staccavano dalle Marche. Contemporaneamente capivo che dovevo entrare più in profondità nella mia terra, provare a conoscerla meglio, verificare se certe differenze c’erano davvero o fossero solo una bugia che si avverava a forza di ripeterla.
pettine, Così il 31 luglio sono partito da casa e dopo una serata a casa di amici dalle parti di Monte San Vito, il 1 agosto mi sono mosso per entrare nelle Marche da viaggiatore. Per raggiungere Novafeltria, da cui avevo deciso di partire, ero costretto ad arrivare a Rimini ed usare gli autobus dell’Emilia Romagna, perché i marchigiani quasi non ci arrivavano in quell’angolo e mi chiedevo se era sempre stato così o se invece era uno dei primi frutti del referendum che aveva sancito quella secessione che sarebbe diventata operativa proprio il giorno in cui prevedevo di concludere il mio viaggio.
Avevo dato un nome a questo viaggio: inTraverso. Con questa faccenda delle valli a pettine siamo costretti sempre a guardare alla costa per andare da nord a sud e viene più facile alla fine muoversi lungo i denti del pettine, che siano strade di fondo valle o di cresta. L’idea alla fine era di prendere le cose di traverso, provare a guardare da un altro punto di vista e scoprire cosa ci fosse dietro l’angolo.
Novafeltria e poi Pennabilli, Carpegna e i resti di Pietrarubbia e poi Lunano in fondo alla valle. Persone che ancora non conoscevo mi davano consigli via Twitter, dove pubblicavo dal telefonino brevi messaggi con un tag, una parola d’ordine: #inTraverso. Così mi arrivavano suggerimenti su dove andare a mangiare o sulle cose da vedere. L’idea del viaggio non era tutta farina del mio sacco. Enrico Brizzi me l’aveva suggerita con il suo “Nessuno lo saprà”, viaggio dall’Argentario a Portonovo. Ma per lui le Marche, come la Toscana o l’Umbria, erano un territorio da esplorare. Per me dovevano essere un giardino da misurare. Un libro già sfogliato cento volte preso in mano per leggerlo ancora e più attentamente.
A Lunano, appena il tempo di entrare in un bar, si apre il cielo e viene giù tutta l’acqua che non avevo toccato in quella mattina assolata e bruciante lungo un antico sentiero. La barista si guarda intorno e mi trova un passaggio, un muratore diretto a Sant’Angelo in Vado che decide di darmi uno strappo fino ad Urbania. E sul furgone inizia a raccontarmi di come lui, marocchino, avesse lasciato il suo paese negli anni ‘80 perché all’università si era avvicinato alla sinistra e rischiava grosso. Mi raccontava di come, arrivato in Italia, aveva fatto mille lavori e anche il capo operaio in fabbrica ma aveva bisogno di un mestiere suo e si era messo in proprio come muratore e ora aveva tre appartamenti. Poi c’era stata la sera di Urbania fresca e umida del fiume con le piazze da scoprire e il palazzo illuminato da una luna più forte delle nuvole.
Le strade si piegano per costeggiare le montagne, il verde del Corno del Catria e là sopra invisibile Fonte Avellana di cui si sente la presenza e l’odore dei camper lungo le strade solitarie. S’avvicina da lontano una badante russa, che percorreva la mia strada al contrario, sullo stesso lato. Lei diretta verso il paese che avevo appena lasciato. Quando siamo a pochi passi dall’incrociarci alla mia sinistra scatta un rumore di fuga, un capriolo che dal campo di erba medica si tuffa nella macchia senza darmi il tempo di pensare alla macchina fotografica. Pianto la tenda nei cortili degli agriturismi, nei camping, cerco affittacamere senza un programma. Gli australiani quelli così li chiamano backpacker.
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Poi arrivi in un paese (facciamo che questo non lo nomino) e chiedi se ci sono agriturismi dove dormire in direzione di un altro comune, perché ti muovi a piedi e vorresti fare strada prima di sera. E ti dicono, all’ufficio turistico, che loro non conoscono la posizione degli agriturismi, non sanno indicarti dove si trovano gli agriturismi del loro paese e no, non sanno nemmeno dove si trovano quelli del paese vicino. Perché il paese vicino fa parte sì della stessa provincia, ma di un’altra comunità montana, e allora loro non possono darti informazioni. E ci sbatti così, in questa sconsolante cecità, nelle fratture che corrono lungo le valli più in profondo delle differenze tra i dialetti. Eppure la piazza è così bella e la sera anche, che si avvicina tra l’azzurro sempre più cupo e l’arancione ripreso dai fanali, e perfino i turisti meriterebbero di vederla.
A Sassoferrato pranzo in un giardino pubblico, tenuto d’occhio da un gruppo di ragazzini che gioca e con cui divido una fontana pubblica. Quando voglio salire alla rocca Albornoz vengo deviato da una segnaletica turistica lungo una strada lunga e infinita e assolata che capisco poi serve solo alle macchine, non a me che ero già nel cuore del paese. Un segno di mancanza di confidenza coi visitatori? Poi mi raccoglie un’amica che accompagna a Frasassi i suoi compagni d’Erasmus venuti a trovarla e così torno nella Grotta grande del Vento, per la prima volta da quando ero bambino e mi ricordo ancora le foto fatte lungo il Sentino durante il pic-nic di famiglia. La sera, a Fabriano, in casa di un cugino che lavora là, passeggio per i giardini dentro i quali mi perdevo a giocare con gli amici dell’Università, quando si girava per le Marche a trovarci e scoprirci anconetani, fabrianesi, ascolani, montecanepinesi.
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A Pioraco, splendida, capito in bar frequentato solo da donne. Indipendenti, parlano dei ragazzi del paese, delle serate nei locali e per le sagre. Ho trovato anche il tempo di stare due notti a Montelago Celtic Festival, su a Colfiorito dalla parte di Serravalle di Chienti, e il ricordo è un po’ appannato dall’idromele. Forse mi sono divertito. Così la sera del mio compleanno ero a San Lorenzo di Fiastra, da solo, con una tenda sul lago e i fuochi d’artificio appesi sull’acqua. Campeggiatori perugini ed emigrati rientrati per le ferie affollavano le rive e i ristoranti, la chiesa illuminata da un filo di lampadine lungo il tetto. E al mattino dopo la tappa per arrivare a Garulla di Amandola.
A Pintura sono prima andato verso il Fargno, dove una volta ero convinto d’aver visto volteggiare un’aquila e ho fatto qualche fotografia ai boschi, prima di buttarmi giù lungo la brecciata che scende a Garulla. Il paesaggio della Valle dei tre frati sotto gli hotel di Sassotetto e Sarnano schiacciata in basso lasciava il posto ad un arco d’alberi ombroso. Un auto scassata risaliva la strada schivando le pietre, a bordo padre e figlio. Poi giù lungo il sentiero attratto verso il basso dalla gravità e dall’avvicinarsi di un temporale estivo. Anche quella volta l’acqua arriva quando ero già al riparo in un lavatoio. Poi il cielo si apre per un arcobaleno e comincio l’esplorazione di quella manciata di case, dove le assi secche dei fienili e delle finestre dicono da quanto tempo gli abitanti vanno via.
Arrivano due amici quella sera, per affrontare insieme l’ultimo tratto, sul sentiero del Grande Anello dei Sibillini. Dormiamo al rifugio Amandola, sotto un cielo stellato e freddo. Al mattino arriva anche il quarto del gruppo e affrontiamo uno dopo l’altra la discesa e la salita dell’Ambro e dell’Infernaccio. L’acqua ci raggiunge quando siamo seduti sotto i tendoni di una sagra già in vista di Montemonaco, dove dormiremo. Ci sono mille orchestre che girano il fondo dell’entroterra, dai nomi altisonanti, ironici, esotici. I manifesti raccontano ragazze odalische, donne fatali e uomini d’altri tempi.
L’ultimo strappo lo facciamo in due, da Altino a Forca di Presta, lungo la via dei Mietitori. Andiamo leggeri stavolta, dopo dieci giorni lascio in un auto lo zaino che mi precede nel ritorno al mare. Facciamo sosta a Santa Maria in Pantano, sotto il Vettore. Sono i sentieri d’abitudine, delle prime uscite in montagna, delle prime scoperte del piacere di camminare, ma è la prima volta che entro nella galleria verde del sentiero dei Mietitori. I resti della nostra storia emergono con poche pietre tra i ciuffi d’erba. Chiese e ripari lungo le autostrade della pastorizia che era la ricchezza delle nostre montagne. Sentieri dolci, larghi, segnati dalle valanghe che si staccano dal Vettore travolgendo i pini. Guardiamo con il naso all’insù l’Aia della Regina che impressiona, così sospesa e quasi irraggiungibile.
Sediamo in un bar di Pretare quando arrivano a prenderci con l’auto. Dobbiamo tornare indietro per portare il mio amico alla sua moto, lungo le curve del passo del Galluccio e prima di puntare finalmente al mare passando dalla Valdaso al Tronto. Dopo quindici giorni mi muovo da ovest a est. A piedi per la maggior parte e poi in autobus e sui treni diesel delle linee interne e in autostop e sulle auto degli amici, ho intraversato tutta la regione, da Novafeltria ad Arquata del Tronto. Non l’ho mai fatto un bilancio di questo viaggio. Non ho mai pensato di poter fare la somma degli incontri e delle scoperte, tirare una linea e vedere cosa ne veniva fuori. Dopo due anni continuo a guardare lo zaino e gli scarponi e a chiedermi se inTraverso sia davvero finito o se invece questo tempo sia una pausa prima di rimettersi in movimento.
I cambiamenti non cambiano tutti allo stesso modo e nello stesso momento. Trasformiamo i nostri modelli economici, la nostra visione della politica, delle relazioni umane come cambia la lingua. Giorno per giorno parole nuove entrano nel quotidiano a descrivere e definire il nostro mondo e le nostre azioni e non ci facciamo caso. Se guardi l’ombra sembrerà ferma. Tracciando un segno e tornando a guardarla più avanti ti accorgerai di quanto s’è mossa. Così cambiano anche la terra e la gente, poco per volta, nel tempo e nello spazio. WM
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Sì! FINALMENTE E’ REALTA’ da pochi giorni e’ disponibile il Jailbreak di iPhone e iPad; Ma in cosa consiste questo Jailbreak? Vediamolo insieme! Parecchie volte nella vita ci siamo trovati davanti a scelte difficili, che poi si saranno rivelate giuste o sbagliate. Jailbreak: scelta sbagliata o giusta? Forse qualche anno fa decidere era più complicato, ma oggi grazie a Comex la situazione e’ molto diversa! PROVARE PER CREDERE!
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Chris Redfield
Chi è comex?
Si narra che Comex sia un ragazzo, probabilmente neanche maggiorenne quando il 9 Luglio 2011 riesce a trovare l’unica piccolissima, invisibile e inarrivabile falla nei dispositivi iOS Apple! Si: un ragazzino a quanto pare ha battuto l’impero! Ovviamente la Apple e’ corsa subito al riparo, rilasciando immediatamente un aggiornamento in grado di bloccare il PDF che rende libero il dispositivo. Eh già un semplice pdf e una procedura di circa 2 minuti, tra l’altro automatica: non dovrete fare assolutamente niente di complicato per permettere all’iphone o l’ipad di essere libero dalle malefiche restrizioni Apple! Perchè, diciamolo pure i dispositivi iOS sono un poco come una moto depotenziata: vengono rilasciati con dei fermi fastidiosi, quelle piccole cose, quei pochi cavalli che una volta tolti...finalmente il motore riesce a ruggire.
VEDIAMO INSIEME LA PROCEDURA DI SBLOCCO
Prima cosa da fare
Ora siete pronti per il Jailbreak
Se non lo avete ancora fatto, eseguite un backup completo su iTunes dopo aver aggiornato alla versione 4.3.3 ATTENZIONE! Non aggiornare al 4.3.4!! Importantissimo: per la vostra sicurezza futura, salvate l’SHSH in questo modo:
Collegatevi dal vostro dispositivo tramite Browser Safari al link http://www.jailbreakme.com la schermata sarà la seguente
1- Scaricare al seguente link TiNyUmbrella http://thefirmwareumbrella.blogspot.com/ e scegliere la versione WIN o Max o Linux
2 - Cliccate su Save SHSH e il gioco e’ fatto.
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o iPad?
k : questo sarà il vostro problema! Liberi di fare la scelta giusta! Jailbreak 3.0 Cos’e’ il Jailbreak?
Il jailbreak e’ una procedura di sblocco dell’iphone e dell’ipad che ci da la possibilità di installare applicazioni non approvate da Apple. Un’ operazione legale in Italia, ma che puo trovar problemi in situazioni di diritto di garanzia.
Quali sono i plus del Jailbreak e le note negative? L’idea di avere un dispositivo sbloccato, esalta comunque tutti! Noi abbiamo subito avviato le procedure di sblocco sia per iPhone e iPad e in 2 minuti esatti il tutto si e’ concluso con successo: l’applicazione Cydia e’ come per magia comparsa! I plus sono tanti; ne elenchiamo alcuni: accesso alla root del dispositivo, possibilità di thetering e routhing, tweak di svariati generi, aplicazioni per il bluetooth e per personalizzare la springboard e l’utilizzo del CCK come dispositivo HHD. Ci sono però delle prassi e dei processi da seguire prima di fare il Jailbreak importanti per non perdere l’autenticità e l”anima” del tele-
fono ad esempio il salvataggio del SHSH che ci permetterà in futuro o in caso di problemi di ritornare a un firmware originale senza difficoltà e l’installazione a jailbreak avvenuto di un fix per il Camera Connection Kit, perchè di serie il Jailbreak ha questo piccolo bug che non comunica con il CCK . Note negative non ne riscontriamo. Si parla di batteria che si scarica prima, ma si può supporre che sia causato da un aumento nell’ utilizzo del dispositivo. C’è chi lamenta poi di una ricezione wireless diminuita, ma anche in questo caso noi non abbiamo riscontrato questo problema. WM
IMPORTANTE!: iPad 1 - 2 iPhone 4 - 3gs con firmware 4.3.3 già installato
Avvio... Detto... fatto!
Alcuni tweak consigliati
Cliccate sul pulsante FREE e poi successivamente su INSTALL e si avvierà in automatico la procedura di installazione come per una comune applicazione dall’App Store.
il miglior file manager, lo trovate sia in versione gratuita che con maggiori servizi a pagamento.
iFile
Ecco quà il gioco è fatto!
FullForce
Ora avete installata l’applicazione Cydia sul vostro dispositivo.
Fulforce vi permetterà di visualizzare le applicazioni di iPhone su iPad a grande schermo.
Upgrade - Fix necessario Vi consigliamo di fare subito il fix del CCK, aprite l’applicazione Cydia e se non vi darà in automatico l’aggiornamento , cliccate su search e cercate PDF Patcher 2 e installatelo.
MyWi 4.0 Avete jailbrekkato un iphone 4? Bene, ora potrete grazie a Mywi utilizzare la connessione 3g per aprire un ponte WiFi per qualsiasi dispositivo oltre all’iPad.
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Maila Chianciani di
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Simbolo, archetipo, incarnazione del male estremo o del bene supremo, grande saggio o bestia selvaggia, enorme incubo o compagno fatato di giochi, custode di inestimabili tesori e guardiano dei luoghi più inaccessibili, persino ai sogni dell’uomo. Il drago è tutto questo e sicuramente molto, molto, molto di più. È bizzarro come in tutte le culture della Terra si faccia comunque riferimento ai draghi: certo, il loro aspetto cambia in base alla specifica tradizione e con la forma fisica cambia spesso anche il ruolo cosmologico ricoperto, ma alla fine dei giochi sempre di draghi si tratta. Le peculiarità, in fondo, si assomigliano quasi tutte: grandi creature alate, o comunque volanti, che richiamano in qualche modo i rettili e una serie di altri animali, reali o chimerici, che incarnano la forza, la possanza, la saggezza, una grandiosità, insomma, che l’essere umano può solo anelare, invano. È forse questa l’essenza del drago: lui è tutto ciò che l’uomo non è, non può essere e non sarà mai. Il drago ai tempi di Artù e Merlino era perfino immateriale, idealizzato, senza forma e con mille forme, presente in ogni luogo e nel respiro dei mortali, invisibile, ma temuto e ubiquo. I draghi nella visione cristiana sono uno dei
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volti del demonio, una creatura repellente, viscida e feroce, non da domare, ma da sterminare (ah, quanta carità in queste parole… avete notato la sottile astuzia? I buoni di certe tradizioni possono essere tranquillamente dei carnefici senza pietà, purché lo siano solo coi cattivi… ok, lascio perdere, è un terreno pericoloso…); e, guarda caso, questi esseri erano assolutamente rettiliformi, sputanti fuoco (un elemento a caso, direi) e dotati di ali membranose e coriacee, tipiche delle creature volanti notturne (poveri pipistrelli, quanto razzismo nei vostri confronti…) e quindi, manco a dirlo, simbolo del male. In molti popoli orientali, invece, il drago è un lungo serpente con corna regali e maestosa criniera, capace di nuotare in aria, custode degli elementi e delle potenze della natura, portatore di saggezza e illuminazione presso i mortali. Dalle Americhe giunge a noi la figura del Coatl, il Serpente Piumato, con ali caleidoscopiche e aura sfavillante. E così via, attraverso i chilometri, i secoli, i regni, i continenti, le paure e le speranze. Nel meltin’pot moderno, il grande calderone della cultura unificata ha portato a figure draconiche di cui si abusa (letteralmente) nel mondo fantasy e in quello gotico: romanzi, gdr, videogiochi e quant’altro si possa pre-
stare ad essere strumento ludico, tutti assieme hanno utilizzato, inflazionato e stuprato ruoli e figure dei draghi, fino a farli diventare un must, quasi una mascotte (che tristezza, concedetemelo). La cosa si fa terribilmente allarmante proprio nell’ambito dei Giochi di Ruolo (vogliamo dimenticare forse che il capostipite di tutti i giochi si chiama Dungeons And DRAGONS?): ansiosi di sentire tra le proprie dita il potere assoluto, migliaia di master (i narratori delle storie interattive dei giochi di ruolo) disseminano qua e là draghi per rendere impossibile la vita dei loro sventurati giocatori, che però alla fine se ne vanno di solito in giro con collane di denti di drago, armature di scaglie di drago, elmi ricavati da teschi di drago, tesori rubati ai draghi, anelli che soggiogano i draghi, bacchette che evocano i draghi, o magari cavalcando direttamente un drago, ecc. ecc. (neanche Prezzemolo ha così tanto merchandising che lo riguarda!).
E, quindi, che cosa può fare una giocatrice o un giocatore, realmente appassionati e rispettosi, per mantenere viva la vera tradizione e rendere omaggio come si deve a Sua Maestà il Drago?
Fare in modo che i propri personaggi non inciampino su tane di drago ogni 3 passi: il drago è un obiettivo remoto, la sfida finale, non una merenda quotidiana! Far sì che il drago non sia semplicemente una specie di banchiere svizzero il cui unico scopo è quello di accumulare, intermediare o farsi depredare ricchezza aurea; Fare in modo che il drago non sia un semplice dispensatore di mazzate e fiammate, ricordandosi che prima ancora di essere una creatura grossa così, dovrebbe soprattutto essere un’entità pressoché aliena rispetto ai canoni umani, quindi dotata di proprie fisiologie e priorità (le quali non dovrebbero riguardare, tra l’altro, il rapire l’ennesima principessa boccoluta); Muovere i draghi verso e/o contro i personaggi con astuzia e non con semplice brutalità: il risultato ottimale sarebbe che i giocatori saggi fuggano senza voltarsi indietro quando sentono arrivarne uno; In definitiva, se sei un master devi tener presente che devi giocare mille ruoli in ogni partita, e se fra questi c’è quello di un drago, non devi pensare da essere umano, chiaro, no?
Poche parole, queste qui sopra, ma cariche di speranza. Non lasciate morire i draghi in questo modo, per favore! Tornando a noi, a pensarci bene il drago fa parte di noi almeno quanto noi facciamo parte di lui: non esiste un vero e proprio confine che ci possa dividere. Ho detto all’inizio dell’articolo che l’essenza del drago è che lui è tutto ciò che l’uomo non è, non può essere e non sarà mai. Ma è altrettanto vero che in fondo, fino a prova contraria, lui potrebbe essere né più né meno progenie dei nostri sogni, nostro fratello, nostro allievo (che, a occhio e croce, è spesso in grado di superare il maestro): il drago incarna dunque ciò che forse osiamo pensare, ma che non osiamo provare ad essere e a fare noi stessi, è il confine della nostra fantasia, quel “hic sunt leones” che abbiamo posto ai limiti del nostro sognare. “You’ll find the Grail within you, slay the dragon in your dreams, sail away!” Tornerò sull’argomento, statene certi.
Ma per ora, buon divertimento, a prescindere.
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Da Rihanna a Juliette Binoche, da Michael Jackson a Richard Gere tutti “pazzi” per le scarpe di
Rihanna
Cesare Paciotti
s p i V
Da Civitanova Marche a calzando i piedi dei di
Silvia Santarelli
Un uomo elegante e cool,
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creatore di culto per chi ama i tacchi a spillo, di cui ha fatto il suo marchio di fabbrica, naturalmente made in Italy e soprattutto made in Marche. Ci sono donne che per avere nel proprio armadio una delle sue creazioni, sarebbero disposte anche a vendere l’anima al diavolo. Il suo, uno stile descritto in tre parole: elegante, aggressivo, sexy. Nonostante la sua fama, non si è montato la testa, appare sempre disponibile ed appassionato. Appena può, torna nella sua Civitanova, dove vive insieme alla moglie Laura e alla figlia Diamante di poco più di un anno. Marchigiano doc, Cesare Paciotti nasce a Civitanova Marche. I suoi genitori, Cecilia e Giuseppe, nel 1948 creano un’azienda di produzione artigianale di scarpe. Nel 1980 Cesare Paciotti eredita l’impresa familiare, ma anche la passione per le belle calzature, di cui i genitori
RICHARD GERE
s
controllavano personalmente la produzione. Il suo destino, è quindi scritto nel dna: oggi, è lui a controllare tutto. Cesare ci tiene a tramandare il savoir-faire artigianale italiano. La sua prima collezione era dedicata agli uomini. Oggi le sue collezioni donna sono il fiore all’occhiello della produzione. La prima dedicata all’universo femminile, esce nel 1990. La linea, che porta il suo nome, esprime qualità ed eleganza, ma anche creatività. Il tutto, sempre fedele al rigore della produzione artigianale. Le sue creazioni porteranno la Maison al successo, e saranno subito notate dai grandi nomi della moda, con i quali Cesare Paciotti inizierà a collaborare. Il suo segreto? “Metto sempre la stessa passione di un tempo, e questo è sicuramente il segreto del mio successo. Amo quello che faccio, mi sento sempre soddisfatto, ma mai pago”. Da piccolo era appassionato di musica, suonava la batteria con un gruppo di amici. Quella della musica è una
passione che coltiva ancora, insieme a quella del mare. Appena può, Cesare Paciotti si rifugia nel suo yacht al largo di Civitanova Marche. Anche se la sua figura ha poco in comune con quella di un marinaio, lo stilista è un vero lupo di mare, lui stesso si vanta di pulire da solo il ponte della sua Itama 46 da 15 metri. Il tutto, senza il timore di bagnarsi i suoi ambitissimi mocassini. Nel tempo l’azienda ha investito più che mai nella ricerca di nuovi materiali e ha sperimentato nuove tecniche e tipologie di prodotti. Le sue creazioni sono ai piedi delle donne più glamour del pianeta: “La pop star Rihanna l’ho conosciuta a Parigi, la prima volta ci siamo visti nel super glamour ristorante Matisse. E’ stato lì che mi ha chiesto se potevo crearle venti paia di stivali cuissard e naturalmente, con venti interpretazioni diverse. I cuissard dovevano “ambientarsi” a seconda dei cambi di scena che mi avrebbe descritto il suo stylist. Tutti questi oggetti sarebbero dovuti essere realizzati e spediti in una settimana, perchè la pop star potesse
he a Los Angeles, indossarli alla prima del tour mondiale che come prima data prevedeva Los Angeles”. Ma per Cesare Paciotti, quando si tratta di scarpe tutto è possibile. In una sola notte, ha creato un sandalo gioiello per Juliette Binoche: “Una richiesta per la notte degli Oscar. Un sandalo gioiello con swarovsky, raso di seta e smalti. Le serviva del colore del suo abito, se non ricordo male, color malva. La notte è stata lunga, ma al mattino, sono partito per Los Angeles: volevo consegnare io stesso questo “sandalo gioiello” che mi aveva richiesto. Lei, forse la mia attrice preferita, vinse l’Oscar”. Ma nella lunga lista di clienti famosi, non ci sono solo star hollywoodiane: anche dei veri e propri miti. Uno su tutti, il re del pop: “Ricordo Michael Jackson che mi chiedeva lo stesso modello di texano per anni da realizzare nei colori di quella specifica stagione, quelli insomma che facevano
Juliette Binoche
tendenza. La cosa divertente era legata al fatto che un suo famoso vicino di casa il sig. Richard Gere entrava da lui, magari per fare due chiacchiere, e rubava uno di questi oggetti, chiaramente in tono amichevole”. Basta osservare le sue creazioni per capire che Cesare Paciotti non fa differenze: “Creo una scarpa che faccia sentire ogni donna una vera donna, come se fosse sempre sul tappeto rosso”. Sarà il suo carattere o il suo stile di vita che lo portano a creare in continuazione: “Sono un tipo molto curioso, m’ interesso di tutto, viaggio molto e i Paesi e le culture diverse sono per me fonte d’ispirazione. Amo molto la natura, e mi sento molto vicino agli animali, soprattutto i felini. Per esempio questi ultimi mi hanno ispirato le scarpe maculate”. Nessun limite, nemmeno la scomodità: “ I modelli sono molto femminili, con tacchi alti ma sempre comodi: con queste scarpe si può anche correre!” WM
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E venti
Miss e Mister Yacht Club e Why Marche:
una partnership per comunicare la bellezza Parlare del proprio territorio e lavorare alla sua promozione, significa anche organizzare manifestazioni particolari in grado di convogliare l’attenzione del grande pubblico, da un lato, e, dall’altro, scovare queste chicche e darne notizia: ecco il fulcro della collaborazione nata tra
di
Raffaella Scortichini
Why Marche e Miss e Mister Yacht Club
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Dal 2002, anno di nascita del concorso, ad oggi di strada tanta ne ha fatta Miss e Mister Yacht Club. Tanta di riuscire a diventare uno degli appuntamenti più esclusivi tra i concorsi di bellezza a livello Europeo. Unire il mondo patinato delle belle donne e dei bei ragazzi con quello da molti sognato del lusso legato alla nautica, agli yacht club, alle marine e ai porti turistici più conosciuti, è stata la formula adottata dagli organizzatori del concorso che si è dimostrata assolutamente innovativa. Catalizzare l’attenzione sul mondo della nautica e su tutto ciò che ruota attorno ad essa, un indotto che da sempre rappresenta una ricchezza per una regione marinara come le Marche in grado di unire a ciò la presenza di maestranze eccellenti nella creazione di imbarcazioni e dettagli di arredo, è stato l’obiettivo della Yacht Service, società pesarese operante nel settore dei servizi per la nautica. E scegliere di farlo attraverso il concorso di bellezza Miss e Mister Yacht Club è stato un colpo assolutamente vincente. Mancava una miss per la nautica da diporto,
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MISS e Mister Yacht Club
un settore in grande espansione, e ci si è organizzati per colmare questa lacuna in modo originale: tutte le selezioni infatti si svolgono negli approdi e nei circoli nautici. I “padri” di Miss e Mister Yacht Club, Mario Arras – Produttore ed Ideatore – e Luigi Pansino – Direttore Artistico - , hanno creato negli anni un evento riconoscibile, che può godere di location assolutamente particolari per ogni tappa: yacht club, saloni nautici, porti turistici, marine, discoteche, golf club, enti di promozione turistica. E proprio durante l’organizzazione di uno di questi eventi, quello realizzato sabato 4 Giugno presso il Byblos di Riccione, è nata l’idea di avviare una collaborazione tra Miss e Mister Yacht Club e Why Marche: un’eccellenza confermata non solo a livello regionale ma anche a livello internazionale e un’altra che eccellenza spera di diventarlo! Why Marche è dunque stato presente all’evento del 4 Giugno, al quale hanno risposto più di 600 invitati e che ha portato all’elezione di Miss Byblos 2001 Andra Denisa Marge e Mister Byblos 2011 Lorenzo Pierleoni, e seguirà ancora il concorso Miss e Mister Yacht Club che vedrà svolgersi la fase finale nazionale a fine estate. WM
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The American Dream: Summer Jamboree!
a cura di
Eleonora Baldi
Gli anni 40-50 con quelle acconciature pazzesche, quella musica così coinvolgente, allegra, moderna, quel modo di ballare così liberatorio: una piccola parte del sogno americano che ha fatto innamorare tutti e che ogni anno rivive a Senigallia
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Siamo arrivati alla XII edizione ma ne siamo certi: l’ormai “solito” fiume di persone, festanti e colorate, invaderà anche quest’anno il centro ed il lungomare di Senigallia. Un appuntamento segnato su molti calendari, di marchigiani, di italiani, anche di stranieri; di chi si è trovato a passare le vacanze qui ed ha avuto questa piacevole sorpresa come di chi è venuto per partecipare a questo magico festival ed è rimasto colpito dalla terra marchigiana, dai suoi colori, dai suoi sapori. Perché il Summer Jamboree è prima di tutto un incontro di anime, di musica e di passioni; è uno di quegli eventi che come pochi sono capaci di trascinare tutti, indistintamente e liberare il Peter Pan che è in ognuno di noi e aspetta solo di essere risvegliato. Dal 30 Luglio al 7 Agosto, Senigallia smette i suoi panni di cittadina marchigiana, tipicamente balneare seppure culturalmente molto viva, ed indossa quelli di una city americana degli anni ’40 e ’50, diviene una specie di macchina del tempo che ci catapulta in
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una immersione completa e piacevole nella musica e nella cultura di quel meraviglioso periodo. E il ventennio di cui parliamo non è stato solo musica e ballo; è stato anche un momento in cui proprio grazie all’arte, la cultura bianca e quella nera hanno avuto un primo punto di contatto, in un tempo in cui il razzismo era la regola purtroppo quotidiana. E proprio per celebrare il grande apporto che la cultura afroamericana ha saputo dare al rock and roll, l’edizione del 2011 del Summer Jamboree ha deciso di rendere omaggio ai protagonisti del Rhythm&Blues nei vari appuntamenti live che, con oltre 100 ore di concerti, animeranno le serate senigalliesi. Dove potrete ascoltarli? Bhe, in confidenza, quasi usciti dall’autostrada sentirete risuonare nell’aria le note delle band! Ma per essere più precisi, i punti caldi di questo grande appuntamento saranno il main stage del Foro Annonario, il Diner Stage, la Rotonda a Mare e la spiaggia.
Giovedì 4 Agosto all’Acquapazza non potete assolutamente mancare al Big Hawaiian Party on the Beach animato dagli italianissimi Greg, Max Paiella and The Blues Willis.
Bobbettes, le signore americane del R&B, e i The Cleftones, cuore ed anima del movimento doo wop. Un crescendo quello che porterà al momento di culmine della manifestazione: occhi ed orecchie puntate sul 5 Agosto! Ad aprire la serata sarà il giovanissimo talento britannico Si Cranstoun, in grado di liberare un vero e proprio effetto dinamite sul palco. La carica giusta per fare da carburante al grande protagonista della serata: Mr. Personality, Lloyd Price. Pioniere dell’ R&B e eccezionale interprete del rock’n’roll anni ’50, icona conosciuta ed apprezzata da Elvis, Lennon, Costello, Price deve il suo soprannome al suo pezzo più famoso appunto “Personality” conosciuto in tutto il mondo e di cui Mina e Caterina Valente hanno proposto una versione in italiano. Stessa data, stessa carica, stesse emozioni forti, ma diverso palcoscenico! Al Mamamia una serata inevitabilmente destinata ad alzare le temperature quella dedicata al Burlesque Show, con ospite d’onore la “rockabilly Ruby”, al secolo Ruby Ann. La chiusura del Summer Jamboree sarà invece affidata domenica 7 Agosto a una strepitosa voce femminile: Laura B & The Moonlighters. Mi sembra di vedere già gli occhi illuminati di chi legge, la voglia di partecipare ancora o per la prima volta, quasi una sorta di trepidazione. E non è ancora finita qui! Abbiamo lasciato per ultimi alcuni appuntamenti ancora più imperdibili di quelli fin qui elencati! WM
L’onore di aprire il Festival quest’anno sarà concesso alla giovanissima artista americana Lil’ Gizelle, che rapirà tutti con la sua voce calda e vibrante dal palco allestito sabato 30 Luglio al Foro Annonario. A seguire, gli esplosivi Rock’n’Roll Kamikazes, fusione di rock’n’roll, rock’a’billy, rockin’ blues, soul e swing. Giusto il tempo di respirare, e si è di nuovo pronti per la seconda serata: Smokestack Lightnin’ e Red Wagons (romani) per gli amanti del blues, dello swing e della root music. La musica è poesia, e lo è stata in ogni epoca. E come si sa, i francesi sono poeti per antonomasia! Poteva allora mancare anche una band dei nostri “vicini di casa”? Il 2 agosto, sempre presso il Foro Annonario, scaldare l’atmosfera toccherà alla band R&B Nico Duportal and The Rhythm Dudes. E la notte è ancora giovane! A seguire, il “Johnny Cash e June Carter Duette”, con Johnny Trouble e Iris Romen. Se avete impegni per mercoledì 3 Agosto…cancellateli! Sarà infatti la volta di uno degli appuntamenti più emozionanti di tutti i 12 anni di vita del Summer Jamboree. Un esclusivo incontro tra il doo wop e l’R&B, grazie a due quartetti storici e autenticamente anni ’50: The
E ancora, non perdetevi l’appuntamento del dopo festival alla Rotonda a Mare che vedrà protagonista il 6 Agosto Big Sandy affiancato dai Good Fellas.
Il Summer Jamboree, Festival Internazionale di musica e cultura dell’America anni ’40 e ’50 è organizzato dall’Associazione Culturale Summer Jamboree (diretta da Angelo Di Liberto, Andrea Celidoni e Alessandro Piccinini) e promosso dal Comune di Senigallia in collaborazione con Provincia di Ancona, Sistema Turistico Locale Marca Anconetana e altri sponsor privati. Nasce nel 2000 come scommessa e passione, tutto in un’unica giornata alla quale partecipano 4 band di rock’n’roll. La risposta del pubblico è assolutamente sorprendente e convince organizzatori ed istituzioni a creare un progetto più ampio, che coinvolga più giornate e richiami ospiti internazionali. Ora, alle sua XII edizione, può essere definito un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati e una grande fonte di attrazione anche per artisti quotati a livello mondiale.
E adesso diteci… si può mancare
E per concludere…l’appuntamento destinato a rimanere nei vostri ricordi, non solo per la musica ed non solo per i balli scatenati, ma per la meravigliosa location. Il Summer Jamboree trasloca nella notte del 1 Agosto, per il Rock on the Hills e si trasferisce in uno dei gioielli dell’entroterra marchigiano: il borgo medievale di Corinaldo. Qui, tra suggestioni medievali e moderno entusiasmo rock si esibiranno i The Firebirds e i P-51 Airplanes.
al Summer Jamboree???
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E venti
Tutto sull’ E X P O MARCHE Anche quest’anno la Fiera Campionaria di Sant’Agostino ripropone l’eccellenza delle attività produttive marchigiane in mostra
8.000 mq
di superficie occupata, 130 espositori (tra cui 100 appartenenti alla nostra regione), 50.000 visitatori: questi i numeri della Fiera Campionaria di Sant’Agostino che anche quest’anno sarà uno degli appuntamenti imprescindibili dell’estate senigalliese. Dal 20 al 30 Agosto infatti, sarà possibile visitare l’importante fiera ubicata nei pressi dello stadio “G. Bianchelli” evento a chiara marca territoriale data la grande percentuale sul totale di espositori marchigiani. La sinergia operata dall’Expo Marche e dal Comune di Senigallia ha permesso di creare anno dopo anno un’ occasione di incontro tra turisti, cittadini, curiosi ed aziende produttrici del territorio, le quali – specie in un periodo di flessione economica come quello attuale – hanno ancora più bisogno di confrontarsi con il consumatore finale di quanto non ne avessero prima. Una delle particolarità della Fiera Campionaria di Sant’Agostino infatti è quella di essere aperta anche al grande pubblico e non sono agli addetti ai lavori e proprio questa sua caratteristica ne fa un importante strumento di marketing oltre che di visibilità. Per migliorare ancora di più il rapporto tra espositori e pubblico, Expo Marche e Comune di Senigallia hanno deciso di apportare alcune novità per quanto riguarda i servizi messi a disposizione nei giorni di fiera, nel nome di una sempre maggiore eco sostenibilità. In primo
I SETTORI RAPPRESENTATI :
luogo sarà messo a disposizione dei visitatori un servizio di bus navetta che collegherà alcuni punti periferici strategici con la sede della Fiera. Saranno poi introdotte misure speciali riguardanti alcune zone “calde” in termini di viabilità e parcheggio in modo da consentire un’affluenza maggiore e meno congestionata verso l’esposizione. Infine da quest’anno sarà presente all’interno del padiglione allestito per la Fiera Campionaria anche uno stand a cura del Comune di Senigallia attraverso il quale far conoscere il progetto “Città Sostenibile”. In termini di presenze eccellenti, molto spazio sarà dato in questa edizione a tutte quelle realtà che si occupano di energie alternative ed ambiente, non dando spazio solo al fotovoltaico ma anche all’energia eolica, alle biomasse, alla domotica. Come ogni Fiera che si rispetti poi, non può mancare l’attenzione al mangiar bene! Ecco allora riconfermata la presenza del Ristorante Argentino Buenos Aires, che proporrà ricette tipiche accompagnate da musica e folklore tradizionali, e della Bovinmarche che farà gustare a quanti vorranno l’hamburger 100% marchigiano. Continuando nel percorso “mangereccio”, riconfermatissime le Vie del Gusto: un percorso tra le varie regioni italiane e le loro tipicità culinarie. WM
Abbigliamento in pelle e accessori moda Arredo casa e oggetti d’arredo Articoli da giardino e piscine Auto e moto Cancelli Cartoleria e giocattoli Cosmetici e prodotti di bellezza Condizionatori e depuratori Edilizia e infissi Elettrodomestici per la casa Piante e giardinaggio Promozione del territorio Regalistica e gadgets Sistemi di sicurezza Utensileria Calzature ed accessori
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E venti Beh potrei iniziare dicendo che nella botte piccola c’è il vino buono,
almeno mi metto in pace con la mia autostima!
Ma poi nel farvi vedere le mie tre foto del momento, mi accorgo di aver preso tre vip davvero piccoli e quindi ancora più buoni di me…
Comunque, andiamo per ordine e non per altezza!
Ma non perdiamo il filo e parliamo dei tre fantastici funamboli che ho incontrato rispettivamente ad Ancona, Senigallia e Portonovo.
Il primo, in edizione teatrale, è quel Lucio Dalla che come un folletto ripropone il suo mondo musicale
in compagnia del principe Francesco De Gregori: un segnale forte per quelli come me che
sostengono che la condivisione nell’arte come nella società è un ottimo mezzo per ritornare a trasmettere una nuova linfa positiva, fondata sull’esperienza e proiettata a difendere radici e futuro. La nota ancor più positiva per le Marche e per Ancona
è che se Dalla e De Gregori ci scelgono ancora è perché siamo protagonisti nelle proposte artistiche, grazie a capaci organizzatori
che rendono le piazze marchigiane degne di apparire nelle più importanti tournèe nazionali.
La seconda botte piccola della quale ho potuto saggiare la “bontà”
è il cabarettista di Zelig, e non solo, Niba - al secolo Massimo Barbini. A Niba e all’Aeroporto regionale “Raffaello Sanzio”, si deve l’iniziativa “Airport Day” che ha toccato varie piazze importanti delle Marche e che proprio a Senigallia ha concluso questa divertente iniziativa. La finalità era avvicinare i marchigiani al loro
aeroporto: sia il decollo che l’atterraggio sono riusciti!
Quattro piccole botti
Ad una cena di beneficenza in favore dello IOM, offerta da Aldo Roscioni nell’incantevole cornice del Fortino Napoleonico nel suggestivo panorama - termine anche riduttivo - della baia di Portonovo, incontro poi il terzo eccellente“tappo”, tratto da quel cinema cosiddetto di serie B degli anni‘70 della commedia italiana: il mitico“Pierino”Alvaro Vitali. Con il suo umorismo basico e disarmante riesce ancora a far sorridere e dimostra il suo animo nobile dando il proprio contributo ad una cena importante per un impegno umano: l’aiuto ai pazienti e alle rispettive famiglie, colpite da malattie oncologiche. Capirete come in tutto questo, l’attività della quarta piccola botte tende quasi a perdersi nel confronto! “Sua altezza”Re Gurk, concede degli aperitivi in libertà a prezzi molto contenuti proprio a Portonovo fra musica, rock e soul, ottimi vini, pesce e formaggi, in perfetto equilibrio di sapori, immersi in un tramonto che ci ricorda che il paradiso terrestre in fondo non è poi così lontano.
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P erche?
Lâ&#x20AC;&#x2122;anima guerrier a a cura di Giampaolo Paticchio con la collaborazione di Jano Vegas
Illustrazione: Marco Bartoli
I misteri del monte, tra mito e segreto militare
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er a del Conero
o Vegas
Il cuore del Monte Conero, per lungo tempo, ha pulsato a ritmi di guerra.
Quella fredda.
Che il monte non sia soltanto quel paradiso naturale che sporge sullo specchio del mare, come appare al colpo dâ&#x20AC;&#x2122;occhio, lo testimonia il fiorire di numerose leggende metropolitane che lo riguardano. Il senso comune popolare non è mai puntualissimo, ma ha comunque naso per certe cose. Le leggende, tanto quelle antiche che quelle contemporanee, traggono vita da piccoli segnali oggettivi e rimandano sempre a un nucleo nascosto di veritĂ . In questo caso una veritĂ pericolosa, da tenere sottotraccia a tutti i costi, anche quando si manifesta in bella vista sotto gli occhi di tutti. Gli abitanti del Conero ricordano ancora, infatti, il viavai di mezzi militari pesanti e i frequenti trasporti eccezionali, giorno e notte, lungo la strada del monte.
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P erche? Un traffico, durato qualche decennio, che si sarebbe diradato solo dopo la fine degli anni ’80, a Muro di Berlino definitivamente crollato e a Unione Sovietica dissolta. Il Conero conteneva allora una importante base militare della Marina, dai connotati poco chiari; a tutt’oggi la sua vera funzione di quegli anni è avvolta nelle nebbie del segreto militare. Il monte ospita ancora, a vent’anni di distanza dalla fine di quella fase storica, un presidio militare, il 3° D.A.I., Distaccamento Autonomo Interforze, che fa parte di un servizio di informazioni militari; ma le sue dimensioni attuali, il numero degli uomini impiegati, l’attività e l’importanza strategica del sito sono ridotti rispetto ad allora. Oggi, una parte delle postazioni militari che occupavano la superficie del monte e da lì vi si abissavano dentro, sono inattive e in evidente stato di abbandono, seppur ancora inaccessibili in quanto Zona Militare. Nata tra la fine degli anni ‘40 e i ‘50, agli albori della Guerra Fredda, la base doveva probabilmente essere una specie di avamposto ben dotato e proteso verso est, come una vigile sentinella dell’occidente contro il pericolo rosso. Una torre di controllo in incognita del patto atlantico sul blocco sovietico. Le mappe segnavano, dall’una e dall’altra parte dell’Adriatico, Italia e Jugoslavia; ma il vero confine geopolitico di quegli anni era tra Usa ed Urss.
Insomma il Conero, in quei decenni, era un gigante solo apparentemente addormentato, dalla peluria lussureggiante di bosco e dal ventre cavo, anzi svuotato. Quelle carovane di autoarticolati che gli abitanti del Poggio, di Portonovo, di Massignano e di Sirolo vedevano e sentivano transitare rumorosamente sulla tortuosa carreggiata della strada tra Ancona e il Conero, a un certo punto, infatti, sparivano nelle viscere del monte, dove il traffico era probabilmente altrettanto intenso e infrastrutturato.
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Ma la storia del sottosuolo del Conero è molto più antica Il monte è infatti traforato, lungo i suoi quasi 600 metri d’altezza, da una rete di cunicoli e cesellato di numerose grotte, in un lavorio costante della natura e dell’uomo che ha attraversato i secoli: il buco del Diavolo, il Fosso della Tomba, le grotte romane, la grotta del Mortarolo, la grotta dell’Abate e quella del Santone sono solo alcuni dei siti, quelli di cui esistono ancora gli accessi esterni, dal momento che il resto è franato; ma la memoria popolare ne contempla molti altri. Gran parte delle gallerie risale all’epoca greco-romana: si trattava di tunnel e rifugi a scopo difensivo, di passaggi che, secondo la tradizione, sfociavano verso cavità sul mare, come la grotta dei Frati o quella degli Schiavi, crollata negli anni ’30. Ma quel serpeggiare sottocutaneo di gallerie e di vuoti - in parte naturale, data l’origine vulcanica del monte - era servito anche come sistema di approvvigionamento idrico destinato a rifornire la città. La voce di popolo paventa addirittura che esistesse una specie di filo rosso sotterraneo che doveva congiungere sino a Roma e collegare così l’intero Stato Pontificio. Alcune leggende, raccolte da storici locali all’inizio del secolo scorso, ambientano proprio in quei luoghi storie fantastiche di tessitrici mitologiche, di chiocce dai pulcini d’oro, di esploratori, naufraghi e zingare, a testimoniare la probabile esistenza di una vita sottopelle del monte.
Poi, con la fine della seconda guerra mondiale, inizia per il monte un’altra storia, molto meno magica. Una fantascientifica impresa (nel modo in cui fantascientifica fu la Guerra Fredda) diede vita alla base militare: imponenti scavi, gallerie quasi autostradali, androni, lunghi tunnel e budelli di scale. Il monte fu gradualmente svuotato di pietra e di terra e venne invece riempito di sistemi tecnologici molto sofisticati per l’epoca, di apparati radio e radar, di officine, di mezzi. E in seguito anche di personale: soldati, tecnici, meccanici. Probabilmente anche di armi, cannoni e missili pronti per ogni evenienza, come era negli usi e costumi dell’era della deterrenza. L’era del bottone rosso che, premuto, avrebbe scatenato l’attacco missilistico totale.
Tra le dicerie mai verificate, pure quella secondo la quale l’arsenale custodito nella pancia del monte fosse comprensivo anche di qualche decina di testate nucleari. E, nella leggenda metropolitana, il sistema di comunicazione delle gallerie potrebbe condurre, sempre sotterraneamente, addirittura fino ad altre basi militari dell’Emilia Romagna. Mentre, secondo le congetture in cui ci si imbatte frugando quà e là nei forum del web, al largo, in acque internazionali, vi sarebbe stato un tunnel sotterraneo diretto verso il monte, usato per l’ingresso di sottomarini bisognosi di rifornimento. Ma sin qui abbiamo a che fare forse solo con indiscrezioni dietrologiche e supposizioni suggestive, un “sentito dire” di cui non è possibile decifrare il grado di fantasia. Un testimone oculare, invece, oggi più che settantenne, ricorda lucidamente la prima fase dei lavori di edificazione della base, alla quale partecipò lui stesso e per la quale fu utilizzata quasi solo manodopera locale: si trattava di farsi strada dentro al “sasso” a colpi di dinamite, aprendosi lunghe e larghe gallerie. Solo dopo 6 o 7 anni di lavori, quando la base era strutturalmente pronta per l’allestimento strategico e militare vero e proprio, la manodopera del posto fu progressivamente e totalmente rimpiazzata da gente specializzata venuta da fuori. Nessuno dei locali doveva sapere cosa avveniva veramente nei ventricoli della montagna. È la logica del segreto militare.
Nel 1987 il Conero è diventato luogo protetto anche per altri motivi, dal momento che è stato istituito come Parco del Conero, con la creazione di percorsi naturalistici, i cui sentieri a tratti fiancheggiano la parte dismessa dell’area militare, pur sempre off-limits. Così quel territorio ha scoperto la sua vena aurea turistica e naturalistica, che ne ha offuscato e superato, almeno nell’immaginario comune, l’anima militare. I misteri hanno identità molteplici: fanno parte della storia, dell’immaginazione, della leggenda e arricchiscono di fascino i luoghi che li custodiscono. Ma nessun mistero, in uno Stato democratico,
neppure il segreto militare, dovrebbe essere al di sopra della vita, della libertà e della salute dei suoi cittadini. Si spera questo valga, e sia valso, anche per il Monte Conero. WM
Da quegli anni in poi l’attività di trasmissione e ricezione radio, quella di monitoraggio radar e di ascolto elettronico, dovette essere molto intensa se è vero che lo Stato ha in seguito pagato, o sta pagando, indennizzi a persone che vivono in quel territorio, entro un raggio specifico, proprio a causa dei danni da inquinamento elettro-magnetico, dovuto all’emissione di onde non meglio precisate. Il risarcimento, effettuato secondo un criterio catastale (il valore dell’abitazione di residenza), ha però riguardato solo alcune delle famiglie che ne avevano fatto richiesta e solo alcuni dei centri abitati coinvolti, secondo criteri non ben identificabili, poichè i dinieghi non sono mai stati motivati. L’ingorgo di onde dev’essere notevole lassù, se si aggiunge che, dal verde intenso del bosco del monte, fanno capolino altri ripetitori di segnale, tra cui il più visibile è quello della RAI. Whymarche.com 81
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