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30
ANNI
THETA
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dal 1989 al 2019
30 anni non sono pochi... Grazie per aver ricordato e condiviso questo momento con noi!
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E DITORIALE
DI BELLEZZA IN BELLEZZA Il termine bellezza indica splendore, fascino, attrattiva. Lo adoperiamo per identificare persone e luoghi, oggetti. Le Marche stanno facendo della loro bellezza un marchio di fabbrica, che specie durante le ferie estive emerge come da una coltre di nubi: la bellezza del mare, della collina, della montagna, la bellezza del borgo sconosciuto ai più. Il territorio torna protagonista con le attività di promozione, con i percorsi di degustazione, con i prodotti gastronomici, con la storia di un tempo, con l’artigianato artistico in ogni dove. Nel celebre film di Paolo Sorrentino “La grande bellezza” è rappresentata la necessità di non perdere tempo nel vortice della mondanità e di abbracciare lo splendore, il fascino e l’attrattiva soprattutto di un sentimento. Perché in fondo la bellezza è un grande sentimento. Da Pesaro ad Ascoli Piceno, si “stende” un’infinita ricchezza di arte, cultura e paesaggio. Continuiamo a scoprire i nostri dintorni, in attesa della grande mostra su Raffaello, il padre del Rinascimento, che si terrà ad Urbino nel mese di ottobre. Un evento che ci proietterà a livello mondiale.
ALESSANDRO MOSCÈ
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S O M M A R I O
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A GORÀ 10 IL RITORNO DI ALICE
A NIMA 26 DUE GRANDI GENI 30 TEATRI STORICI 36 FESTA DEL COVO 40 TRACCE PAGANE 42 LA MUSA DI BELTRAMI 48 STORIA DEL GELATO 56 PARCO ZOO PARTE II 58 IL BORGO DEL FATIDICO SÌ
Direttore Responsabile: Alessandro Moscè REDAZIONE
P RIMO
Editor Silvia Brunori Fabrizio Cantori Alessandro Carlorosi Stefania Cecconi Ilaria Cofanelli Stefano Longhi Tommaso Lucchetti Elisa Marasca Alessandro Seri
PIANO
50 UN’ESTATE DI MARCA
Marketing & P.R. Raffaella Scortichini r.scortichini@whymarche.com
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I PERCORSI DI WHY MARCHE
Chiuso in redazione il 31 Luglio 2019 Photo copertina - Festa Bella di Spelonga
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A GORÀ
Photo Luigi Bilancio 10 | WHY MARCHE
di Ilaria Cofanelli
ALICE BELLAGAMBA “Orgogliosa di essere marchigiana” Dopo aver calcato i palcoscenici di mezzo mondo, da Firenze a Reggio Emilia, passando per New York e Tel Aviv, Alice Bellagamba, jesina classe 1987, è tornata alle sue radici, alla sua terra; terra che ha voluto omaggiare denominando l’Accademia di danza da lei fondata nella sua città natale proprio “Balletto delle Marche”. Tra danza, tv, cinema e teatro Alice Bellagamba, nonostante la sua giovane età, vanta già numerose esperienze nel mondo dello spettacolo, da fiction televisive come “Un passo dal cielo” con Terence Hill, a film quali “Un fantastico via vai” di Leonardo Pieraccioni, solo per citarne alcuni. Forte della sua determinazione e della voglia di mettersi in gioco, oggi Alice è riuscita a raggiungere gli obiettivi che da sempre si era prefissata. La parola a lei. ALICE, DOPO AVER VISSUTO FUORI DALLE MARCHE PER OLTRE VENT’ANNI, SEI TORNATA A JESI. DI COSA TI OCCUPI ORA?
Sono tornata nel 2018, anche se per tutta la mia vita sono sempre stata con il bagaglio in mano. Sono partita a 13 anni da Jesi alla volta di Firenze, dopo aver vinto una borsa di studio per la Scuola del Balletto di Toscana. Mi sono in seguito trasferita a Reggio Emilia, quando il coreografo Mauro Bogonzetti mi scritturò per la compagnia “Aterballetto” di Reggio Emilia, dove sono rimasta quattro anni e grazie alla quale ho danzato nei maggiori teatri di tutto il mondo: abbiamo fatto tournée meravigliose. Siamo stati in Cina, Nuova Zelanda, Corea, Messico, negli Stati Uniti, a New York, in Finlandia, a Tel Aviv. Terminata l’esperienza teatrale mi sono detta di provare anche l’altra faccia della medaglia, cioè la televisione. Feci il provino per “Amici”, che andò benissimo, arrivai in finale unica ballerina insieme a tre cantanti. Concluso il programma ho iniziato a essere contattata da registi, casting director per sostenere provini come attrice e mi scritturarono. Il primo film che ho girato è stato “Balla con noi”, poi ho recitato in “Provaci ancora prof”, “Non smettere di sognare”, “Che Dio ci aiuti”, “Talent school”. Per circa dieci anni ho vissuto a Roma lavorando proprio come attrice, senza abbandonare mai la danza.
l’accademia me la sono vista crescere, nascere. A fine luglio di quest’anno abbiamo concluso il nostro anno accademico con il Summer Dance Campus, una settimana durante la quale i miei allievi e anche esterni (oltre settanta provenienti da tutta Italia, dalla Valle D’Aosta, dal Molise, dalla Puglia,d alla Sicilia e dalla Campania) hanno potuto studiare con i più grandi esponenti della danza a livello nazionale: Kledi Kadiu, Maria Zaffino, Adriano Bettinelli, Alice Belvederesi. Al termine della settimana di studio ed esperienza, i migliori allievi del campus hanno vinto borse di studio assegnate dagli insegnanti per studiare una settimana o più nelle loro scuole. La mia soddisfazione non è stata solo quella di aver creato un Summer Dance Campus per dare la possibilità agli allievi di lavorare con insegnanti di tale calibro. E’ stato bello anche aver dato vita a un’esperienza di competizione sana, in cui chi
E POI?
A un certo punto ho sentito la necessità di trovare una mia stabilità, un mio luogo sicuro, che interpreto come la mia città natale, Jesi. Qui ho fondato l’accademia del Balletto delle Marche, inaugurata il 29 settembre 2018. Un’accademia in cui metto a servizio dei giovani, degli adulti e dei bambini, le mie esperienze, il bagaglio professionale che ho acquisito in 18 anni di vita e carriera fuori dalle Marche. Per me è un progetto meraviglioso. Sono tutti i giorni qui dentro e
Photo Leonardo Baldini WHY MARCHE | 11
A GORÀ
QUALE DISCIPLINA INSEGNI IN ACCADEMIA?
La mia disciplina più vicina è il contemporaneo, ma mi hanno sempre insegnato a non focalizzarmi su un’unica tipologia. Ho studiato classico, neo classico, moderno e hip hop. Insegno tutte queste discipline.
A PROPOSITO DI HIP HOP, STA TORNANDO IN AUGE QUESTA DISCIPLINA. CHE NE PENSI?
L’hip hop fa parte di una disciplina giovane, nata negli anni Settanta negli Stati Uniti. E’ un tipo di danza che si sta evolvendo: sempre più giovani ascoltano questa tipologia di musica come rap e trap e molti si avvicinano a questo tipo di danza che nasce nelle strade. A differenza della classica che devi studiare nei teatri e in sale, l’hip hop puoi ballarlo anche per strada.
si dimostrava un talento puro avrebbe vinto una borsa di studio. E’ stata un’esperienza unica, i bambini si sono affezionati a noi ed è stato bello portare a Jesi tutto ciò, tanto che la Summer Dance Campus sarà un’iniziativa che riprenderemo.
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QUALI LUOGHI DEL MONDO CHE HAI VISITATO TI SONO RIMASTI NEL CUORE?
Sicuramente la Nuova Zelanda, la parte più lontana rispetto a noi. È una terra incontaminata con le sue distese di verde. Anche osservare il tramonto è una sensazione completamente diversa rispetto all’Europa.
E LUOGHI CARI DELLE MARCHE?
Jesi, Senigallia, Porto Recanati, Sirolo… in realtà nelle Marche abbiamo delle città meravigliose, dei tesori unici. Penso anche alle Grotte di Frasassi: posti bellissimi che tanti non conoscono, a volte dico anche per fortuna, perché così le Marche rimangono una regione pulita, incontaminata, pura.
CHE RAPPORTO HAI CON QUESTA REGIONE?
Sono sempre stata legata alle mie radici e in questi diciotto anni in giro per l’Italia e l’Europa mi sono sentita felice e orgogliosa di provenire dalle Marche, una regione tra le più belle d’Italia, anche se poco conosciuta. Per questo ho voluto denominare la mia accademia “Balletto delle Marche”: per il mio orgoglio di essere marchigiana, di provenire da questa regione.
A LUGLIO È USCITO AL CINEMA UN FILM CHE TI VEDE PROTAGONISTA.
Si tratta di “Welcome home”, girato in Umbria con una produzione interamente americana. Ho recitato a fianco di attori del calibro di Aaron Paul, Emily Ratajkowski, Riccardo Scamarcio. Un’esperienza assolutamente formativa,
indimenticabile. Si tratta di un thriller psicologico dove io interpreto Isabella, un’adescatrice di Aaron Paul.
DANZA O RECITAZIONE? QUALE ARTE ESPRIME MEGLIO LA TUA PERSONALITÀ?
Sono nata con la necessità di esprimermi a livello artistico e ho abbracciato il palcoscenico a quattro anni con le prime recite scolastiche, poi piano piano ho iniziato a iscrivermi a corsi di pattinaggio artistico, ho preso parte al coro delle voci bianche. Per me il palcoscenico è la vita reale, non potrei immaginare un’esistenza senza spettacoli, senza esibizioni; quando sono sul palco o quando porto in scena qualcosa di me, come le allieve della mia accademia, per me è vita pura.
La differenza tra recitazione e danza è minima, è sempre un fluire di emozioni, un raccontarsi in maniera diversa, ma molto, molto simile.
UN CONSIGLIO AI GIOVANI CHE VOGLIONO INTRAPRENDERE UNA CARRIERA ARTISTICA?
Consiglio di perseverare: tutti quanti, io compresa, siamo caduti varie volte, ma se hai un sogno e hai un obiettivo enorme, non bisogna aver paura di cadere. Si deve anzi avere la forza di rialzarsi, anche se la prima volta può sembrare inutile, ma è il cadere che ti forma per il domani. Non c’è vittoria grande senza sconfitta.
PROGETTI FUTURI?
Per ora penso al mio Ferragosto da trascorrere al mare! Sono poi proiettata al nuovo anno accademico della scuola, le cui iscrizioni riapriranno il 2 settembre.
Per contattare la scuola: ballettodellemarche@gmail.com Instagram e Facebook: balletto delle Marche
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A NIMA
A R T O I VIAGG E D A R T S LE E H C I M A R PANO a Tessadori
Photos Andre
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I PERCORSI DI WHY MARCHE
PIOBBICO APECCHIO
PORTONOVO SIROLO
TOLENTINO SMERILLO
SAN GINESIO MONTEFALCONE APPENNINO
MONTE SIBILLA ISOLA SAN BIAGIO
Nell’organizzare un viaggio a volte vale la pena di tenere in considerazione il tragitto che si percorre per raggiungere la destinazione scelta. Il territorio marchigiano, per la sua varietà di paesaggi, regala scorci meravigliosi e panorami mozzafiato che rendono suggestivo e memorabile il viaggio. Difficile, ad esempio, non rimanere affascinati dal percorso tra Piobbico e Apecchio, dirigendosi nella Valle del Metauro costeggiando un sinuoso corso d’acqua, fino ad arrivare alla Gola di Gorgo a Corbara. Scendendo più a sud, nell’anconetano, imperdibili i percorsi della Riviera del Conero, ed in particolare quelli tra Portonovo, Poggio, Massignano sino ad arrivare a Sirolo, un piccolo Comune, un gioiellino con i suoi colori e i suoi angoli fioriti, chiamato anche la “Perla dell’Adriatico”. Addentrandoci all’interno del territorio maceratese, invece, il percorso che congiunge Tolentino a San Ginesio attraversa una zona rurale dal fascino senza tempo, con un’immensa ricchezza di flora e fauna di ogni genere per poi proseguire nel territorio della Provincia di Fermo, con viste che spaziano dai Monti Sibillini fino al mare. Infine, nella parte sud delle Marche, il tratto per eccellenza è quello sul monte che dà anche il nome alla spettacolare catena montuosa: il Monte Sibilla fino a raggiungere il rifugio a 1540 mt di altezza. Questi sono solo alcuni degli esempi. In sostanza il territorio è costellato di infinite opportunità per assaporare l’alternarsi dei paesaggi e panorami fiabeschi e mozzafiato, con soste improvvisate ed incontri inaspettati. La scelta è per ogni tipo di preferenza: a piedi, in moto, in bici, in macchina o anche in camper. Non resta che scegliere!
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A NIMA
C’è
una strada provinciale che si snoda tra tornanti, ponti, vegetazione e gole che noi abbiamo percorso nel tratto da Piobbbico ad Apecchio: è la SP257. Qui lo scenario nei dintorni prende forme diverse: dalle pareti rocciose, ai boschi verdissimi, alle faggete. Un fiume, il Candigliano, che ha iniziato il suo percorso in Umbria, scende e prosegue in queste vallate strette dove alcune colture di girasoli sembrano sorriderci e seguirci. Il Castello di Naro sembra dominare tanta naturale bellezza da lassù.
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SP257
da Piobbico ad Apecchio
I PERCORSI DI WHY MARCHE
PARET I ROCC IOSE , B OSC HI V E R DI S S I M I
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A NIMA
Nel
mezzo di una parte della macchia mediterranea la provinciale del Conero, da Portonovo, si snoda sino a Sirolo. Raggiunta un’ampia rotatoria ci si trova immediatamente sul belvedere della baia che regala un panorama mozzafiato. Le Falesie del Conero cadono a picco sul mare cristallino e da qui è possibile scorgere la spiaggia di Mezzavalle, raggiungibile via mare e a piedi percorrendo il sentiero che parte dalla strada provinciale, poco più in là del belvedere. Risalendo sullo sfondo a sinistra, in alto il Poggio, un luogo dove partono tutti i sentieri per le escursioni sul Monte Conero. E lungo il percorso Massignano sino ad arrivare a Sirolo, ecco “la perla dell’Adriatico”.
SP CONERO
da Portonovo a Sirolo
SIROLO, L A PE RL A DE L L’A DRI AT I CO
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I PERCORSI DI WHY MARCHE
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A NIMA
Dal
Ponte del Diavolo di Tolentino fino alla SP126 lo scenario ubriaca gli occhi ed inebria l’olfatto. Ciò che ci circonda è la tipica campagna marchigiana circondata dalle sue dolci colline. Tra il verde, l’oro e il giallo incontriamo l’incanto di una calda giornata d’estate.
da Tolentino a San Ginesio
SP126
T R A IL VERDE , L’O RO E I L G I A L LO INCONT RIAMO L’I N CA N TO DI UN A CALDA G IO R N ATA D’E STAT E
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I PERCORSI DI WHY MARCHE
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A NIMA
SOT TO I N OST RI O CC HI . . . UN FASC INO PART I CO L AR E
In
da Smerillo a Montefalcone Appennino
un paesaggio pedemontano percorriamo la strada che porta a Smerillo. In cima ad un crinale si scorge un piccolo agglomerato: Monte San Martino. Proseguendo la vallata sotto i nostri occhi ha un fascino particolare: sullo sfondo i Sibillini e al centro il lago di San Ruffino. La curiosità ci porta più avanti ad esplorare un percorso che si può fare solo a piedi ma che vale la pena percorrere. Per ritornare riprendere il cammino sino a Montefalcone Appennino.
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I PERCORSI DI WHY MARCHE
SMERILLO
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A NIMA
In
località Isola di San Biagio, sotta la grotta della Sibilla, si snoda una strada che sale sino a 1500 mt. La vegetazione si spoglia e si fa più montana. Si noteranno una cresta spettacolare con incredibili strapiombi sulla valle del Tenna, il brivido della rocciosa “corona della Sibilla” e il mistero della Grotta della Maga. Da qui panorami ovunque fino al mare.
da Isola San Biagio al rifugio Sibilla
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1.500 mt
I PERCORSI DI WHY MARCHE
L A V EG E TA Z I O N E SI S P O G L I A E SI FA PI Ù M O N TA N A
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A NIMA
Le Marche protagoniste per celebrare i due grandi geni del Rinascimento
MOSTRE per
LEONARDO e
RAFFAELLO 26 | WHY MARCHE
I
l Rinascimento italiano ci ha lasciato tesori inestimabili: edifici, quadri, sculture e libri che rendono il nostro Paese il più bello e ricco di cultura del mondo. Ci ha tramandato anche un amore per l’arte e per il bello come misura dell’esperienza di vita, e l’ha fatto ponendo al centro di tutto l’uomo, e da grandi uomini quell’epoca è stata forgiata. A distanza di cinque secoli si presenta l’occasione di celebrarne due dei più geniali e innovatori, e le Marche si pongono in prima linea mettendo a disposizione il loro immenso patrimonio. I comuni di Urbino, Fano e Pesaro inaugurano infatti il nuovo ciclo “Mostre per Leonardo e per Raffaello”: progetto diffuso e messo in campo di concerto dai tre comuni nell’ambito delle celebrazioni promosse dal MIBAC per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci nel 2019 e di Raffaello Sanzio nel 2020. Dopo il successo delle mostre “Rinascimento Segreto” nel 2017 e “Rossini 150” nel 2018, le tre città tornano unite nel rendere omaggio ai due grandi geni del Rinascimento. Un altro passo avanti nella valorizzazione policentrica del patrimonio locale, con lo scopo di rafforzare l'identità culturale e lo sviluppo turistico. Con il sostegno della Regione Marche, del Comitato nazionale per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio, del Comitato nazionale per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, del Centro Studi Vitruviani di Fano, della Biblioteca Oliveriana di Pesaro e l’organizzazione curata da Sistema Museo, in programma tre appuntamenti concepiti dai comitati scientifici come un percorso con un filo conduttore univoco che racconterà gli artisti e la loro connessione con il territorio. Photos Luigi Angelucci
Madonna del Velo con gli Arcangeli Gabriele, Raffaele e Michele
A Urbino dal 17 maggio è in corso la mostra “Da Raffaello. Raffaellino del Colle”, a cura di Vittorio Sgarbi. Questa esposizione fa da apripista alle celebrazioni urbinati del 2020 per il quinto centenario della morte di Raffaello Sanzio, del quale Raffaellino (1494/97-1566) fu uno dei più fedeli e intelligenti seguaci. La mostra intende ripercorrere l’attività del discepolo del “divin pittore” che, pur essendo stato largamente attivo nelle Marche, necessita di una rivalutazione storica e di una maggiore divulgazione. Per la prima volta si possono ammirare, riunite, alcune delle sue opere più significative provenienti da chiese e musei sparsi in tutto il centro Italia. Il percorso è introdotto da due opere di Raffaello custodite nella raccolta dell’Accademia Nazionale di San Luca a Roma: una tavoletta, pressoché inedita, con la Madonna con il Bambino e l’affresco staccato con Putto reggi festone. Le influenze, le affinità e l’amore di Raffaellino per il grande maestro sono messe in luce alle pareti delle sale, in un suggestivo gioco di rimandi e analogie. Ecco le parole del curatore Sgarbi: “Era giusto fare questa mostra. Per celebrare i cinquecento anni dalla morte di Raffaello, dopo Roma il secondo polo è certamente Urbino, dove Raffaello è nato e c’è una sua presenza ideale. Abbiamo concepito una mostra monografica come quelle di nuova invenzione, dedicata a un intellettuale, scrittore, amico di Raffaello, che muove musica, teatro, cinema. Raffaellino del Colle è un pittore nato a Sansepolcro, ma pronto, già giovanissimo, a sentire lo spirito di Raffaello trovandosi con lui a lavorare nelle stanze vaticane nel 1517. Porta con sé quella luce ed è la nostalgia, quasi come quella di un figlio, verso Raffaello. Sarà come scoprire un pittore inedito, bello e luminoso. Spero sia l’occasione per mostrare un grande artista marchigiano, come all’inizio del secolo avvenne per Lotto”.
di Fabrizio Cantori
Da Raffaello. Raffaellino del Colle Urbino
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A NIMA Leonardo e Vitruvio: oltre il cerchio e il quadrato. Alla ricerca dell’armonia. I leggendari disegni del Codice Atlantico Fano Nel 2019 ricorrono invece i cinquecento anni dalla morte di Leonardo da Vinci, il “genio universale” del Rinascimento. Sono centinaia le manifestazioni e gli eventi di respiro internazionale programmati in tutta Europa in suo onore. Il Comune di Fano partecipa alle celebrazioni con un grande evento. Dal 12 luglio al 13 ottobre 2019 il Museo del Palazzo Malatestiano ospita, nella Sala Morganti, la mostra “Leonardo e Vitruvio: oltre il cerchio e il quadrato. Alla ricerca dell'armonia. I leggendari disegni del Codice Atlantico”, a cura di Guido Beltramini, Francesca Borgo e Paolo Clini. La mostra affronta il multiforme rapporto fra Leonardo e il testo di Vitruvio (I secolo a.C.), il celebre trattato latino di architettura che costituì le fondamenta teoriche della nuova maniera di costruire nel Rinascimento. Lo fa nella città del grande architetto romano, luogo della leggendaria basilica oggetto di recenti indagini archeologiche e su cui si sono misurate intere generazioni di architetti. Al trattato Leonardo attinge per questioni di idraulica e meteorologia, geometria e ottica, materiali e tecniche pittoriche, strumenti di misurazione, o anche solo come un repertorio di metafore e leggende, aneddoti su architetti e ingegneri
dell’antichità, macchine prodigiose: per confrontarsi insomma con l’autorità di una fonte antica da ammirare, imitare e sfidare. L’interesse di Leonardo per Vitruvio è quindi molto più presente di quanto si fosse immaginato, e va ben oltre l’Uomo vitruviano e la teoria delle proporzioni, l’argomento che però sino ad ora aveva preso il sopravvento in ogni discussione a tal riguardo. I visitatori hanno la rara opportunità di un incontro ravvicinato con cinque disegni originali di Leonardo dal leggendario Codice Atlantico conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Si tratta della prima volta nella storia recente che preziosi fogli autografi di Leonardo vengono esposti sulla sponda centro-adriatica d’Italia. Accanto a questi cinque ‘protagonisti’ sono affiancate le principali edizioni cinquecentesche del trattato di Vitruvio: i testi che Leonardo potrebbe aver conosciuto e sfogliato. Alla visione ravvicinata delle opere si affiancano le proiezioni in grande formato dei capolavori grafici e pittorici dell’artista, oltre all’esperienza interattiva tramite appositi spazi forniti di avanzate tecnologie basate sulla realtà virtuale per un’immersione totale durante la visita.
“Agostino Iacurci. Tracing Vitruvio. Viaggio onirico tra le pagine del De Architectura”- Pesaro Il Comune di Pesaro, infine, in collaborazione con l’Ente Olivieri - Biblioteca e Musei Oliveriani, presenta la mostra “Agostino Iacurci. Tracing Vitruvio. Viaggio onirico tra le pagine del De Architectura”, a cura di Marcello Smarrelli, con la consulenza scientifica di Brunella Paolini, in programma a Palazzo Mosca - Musei Civici dal 14 luglio al 13 ottobre 2019. La mostra si snoda partendo dalla facciata di Palazzo Mosca, attraverso il cortile, con spettacolari istallazioni ispirate alle architetture vitruviane e prosegue all’interno dei musei seguendo due fili conduttori. Uno più tradizionale e squisitamente filologico che intende analizzare la fortuna critica e editoriale del testo vitruviano attraverso dieci edizioni rare e preziose. L’altro più libero e visionario, creato da Agostino Iacurci, la cui ricerca attuale è molto vicina ai temi dell’antico e allo studio sull’uso del colore nell’architettura e nelle arti plastiche di età classica. Per accompagnare la presentazione dei volumi del “De Architectura” l’artista ha realizzato un percorso in cui le forme e le creazioni vitruviane sono ridisegnate utilizzando il suo linguaggio pittorico caleidoscopico e surreale. Cariatidi, capitelli, colonne, templi, sembrano rianimarsi, rivitalizzati dall’uso di cromie forti e brillanti, liberando l’antichità classica dall’etereo candore e dall’aura di olimpico equilibrio che il Neoclassicismo ci ha tramandato, restituendoci l’immagine di un’architettura nata da un popolo mediterraneo, fortemente legata al colore, alla luce, sempre in costante tensione tra l’apollineo e il dionisiaco, tra ragione e sentimento. Una mostra innovativa, dal carattere sperimentale, ulteriore testimonianza di come la cultura classica possa rappresentare sempre una fonte d’ispirazione di primaria importanza per un artista contemporaneo e di come Pesaro, con il suo ricco patrimonio, sia un perfetto laboratorio culturale. 28 | WHY MARCHE
A NIMA Nel XVIII secolo, con una popolazione al di sotto del milione, le Marche vantavano ben 113 teatri attivi. Teatri grandi e piccoli, diffusi nelle città e nei paesini di provincia, che ancora oggi sono considerati i piccoli gioielli della regione. Sono tantissimi, infatti, i teatri storici marchigiani che continuano ad essere attivi con spettacoli e rassegne. Tra questi, ce ne sono 10 sotto i 500 posti di capienza che vale la pena conoscere: il Teatro Misa di Arcevia e il Teatro Cortesi di Sirolo in Provincia di Ancona; il Teatro Serpente Aureo di Offida e il Teatro Luigi Mercantini di Ripatransone in Provincia di Ascoli Piceno; il Teatro dell’Iride a Petritoli e il Teatro Vincenzo Pagani di Monterubbiano in Provincia di Fermo; il Teatro La Rondinella di Montefano e il Teatro Nicola degli Angeli a Montelupone in Provincia di Macerata; il Teatro della Concordia di San Costanzo e il Teatro del Trionfo a Cartoceto in Provincia di Pesaro-Urbino.
PICCOLI GRANDI GIOIELLI Il Teatro Misa (dal nome del vicino fiume) è un piccolo gioiello architettonico costruito tra il 1840 e il 1845 all’interno del Palazzo dei Priori di Arcevia su un precedente teatro settecentesco, all’ultimo piano dell’edificio. La ricostruzione ottocentesca venne affidata a Giuseppe Ferroni e Vincenzo Ghinelli, allievi di Pietro Ghinelli, che progettò anche il Teatro delle Muse di Ancona. L’ingresso è collegato all’atrio da una scala dritta, mentre un’altra scala collega l’atrio al foyer. Il teatro è costituito da una sala pianta ad U con tre ordini di palchi, ai quali se ne aggiungono 6 ai lati del proscenio (per un totale di circa 150 posti), con balaustre a fascia separate dei pilastri arretrati. La struttura presenta un grande palcoscenico, rialzato di 1,50 m dalla platea, e un soffitto affrescato con motivi geometrici e floreali: al centro un rosone racchiuso da una stella ad 8 punte, con ai lati raffigurazioni di muse e poeti, opera di Luigi Mancini detto il Sordo. Gli ornamenti delle balaustre a mascherine e listelli dorati sono dello scenografo Cesare Recanatini, autore anche di otto fondali con le quinte di corredo originali. Il macchinista anconetano Daniele Ferretti è autore dell’apparato scenotecnico originale, tuttora conservato. Oggi il Teatro Misa ospita stagioni teatrali di grande interesse, soprattutto di prosa, con un’offerta varia per un pubblico di tutte le età. 30 | WHY MARCHE
TEATRO MISA - ARCEVIA
di Elisa Marasca
TEATRO CORTESI - SIROLO TEATRO DEL SERPENTE AUREO - OFFIDA
Il Teatro Cortesi di Sirolo è stato inaugurato nel 1875, con uno spettacolo di prosa e un intrattenimento musicale. L’edificio è inserito nelle mura urbane, in pietra bianca del Conero. Ha due corpi di fabbrica: il primo accoglie il foyer d’ingresso e gli spazi di rappresentanza, il secondo è destinato alla sala teatrale e al palcoscenico. La sala è a ferro di cavallo, circondata da colonne doriche in legno verniciato su cui si impostano due ordini di palchi (22 in tutto, per un totale di circa 170 posti), intervallati da pilastrini e con balaustre a fascia, ornate da riquadri esagonali con rilievi a stucchi dorati. La volta è decorata con dieci figure femminili danzanti all’interno di riquadri ottagonali disposti in circolo attorno al rosone centrale, da cui pende un lampadario di cristalli. È in questa sala che viene messa in scena la stagione teatrale invernale, un cartellone molto ricco e che offre una varietà di rassegne teatrali, spettacoli di prosa e concerti musicali. In estate gli spettacoli si trasferiscono nel palcoscenico naturale del teatro alle Cave di Sirolo, scavato all’interno delle antiche cave di pietra del Conero.
TEATRO DI RIPATRANSONE Il Teatro di Ripatransone venne inaugurato nel 1843 con l’opera “Lucia di Lammermoor” di Donizetti. Nel 1894 la struttura viene intitolata al poeta risorgimentale nativo di Ripatransone Luigi Mercantini. Gli spazi teatrali sono tutt’ora accessibili dal portico del Palazzo del Podestà: il foyer e la sala, oltre agli ambienti complementari, sono ricavati al livello superiore. La pianta a ferro di cavallo della sala, simile all’impostazione planimetrica del Teatro Serpente Aureo di Offida, fu dovuta probabilmente ad esigenze di spazio. La sala contiene tre ordini di palchi senza loggione, per un totale di circa 250 posti. Forte caratterizzazione della sala è data dal plafone, decorato con motivi floreali e con una serie di medaglioni, alcuni dei quali raffiguranti i volti di Gioacchino Rossini, di Giuseppe Verdi, di Vittorio Alfieri, di Vincenzo Bellini, di Carlo Goldoni, di Pietro Metastasio. Chiuso nel 2008 per lavori di restauro e adeguamenti impiantistici, è stato riaperto il 14 aprile 2012 sulle note del Canto degli Italiani di Goffredo Mameli. Oggi il teatro è valorizzato anche grazie alla Fondazione Luigi Mercantini, che custodisce la struttura storica del teatro per mantenerne il patrimonio nel tempo, promuove la realizzazione di spettacoli teatrali, la comunicazione del teatro ed ogni altra forma connessa alle sue produzioni artistiche.
Il Teatro del Serpente aureo di Offida fu realizzato nel 1820 su progetto dell’architetto Pietro Maggi e poi ristrutturato nel 1862. Il teatro presenta una pianta a ferro di cavallo in pieno stile barocco, con 50 palchi distribuiti su tre ordini con loggione e platea, per un totale di circa 320 posti. Da un atrio neoclassico adorno di statue femminili si accede alla sala con la piccola platea. I decori con stucchi ed intagli dorati su fondo verde sono opera del pittore offidano G. Battista Bernardi, che li realizzò probabilmente alla fine del XVIII secolo, mentre la volta con Apollo e le Muse venne dipinta da un altro pittore offidano, allievo dell’Accademia di San Luca a Roma, Alcide Allevi (18311893). Intorno alla volta, otto medaglioni raffigurano autori della lirica e della prosa: Pergolesi, Verdi, Bellini, Donizetti, Rossini, Alfieri, Goldoni, Metastasio. La sala è illuminata da un lampadario con globi di cristallo. Sul palcoscenico si conserva ancora il sipario del 1826 con dipinta la leggenda del mitico Serpente d’Oro: secondo la leggenda, nel territorio di Offida sorgeva un tempio pagano, che prima dell’epoca romana era dedicato a ophys, una divinità legata al culto del serpente. Sembra che gli offidani, infatti, avessero trovato un serpente d’oro nella campagna e che lo conservassero per lungo tempo in città come amuleto. Oggi il teatro ospita eventi culturali e di intrattenimento, oltre al tradizionale veglione di carnevale, una tradizione consolidata famosa ormai anche fuori regione. WHY MARCHE | 31
A NIMA Il Teatro dell’Iride di Petritoli è stato costruito su progetto dell’ingegner Giuseppe Sabbatini e inaugurato il 20 Maggio 1877. Per la piccola sala il Sabbatini adottò, sopra un alto basamento, un ordine gigante di colonne corinzie che inquadrano i due ordini di palchi sui quali poggia il loggione a balconata, per un totale di 226 posti. Gli interni sono arricchiti da stucchi e dorature delle pareti della sala e dipinti sul soffitto del loggione. Il soffitto, costituito a plafond a curva molto tesa, è circondato da una fascia dipinta con motivi allegorici, figure femminili e quattro medaglioni. Nel 1957 il teatro venne chiuso per motivi di sicurezza e restò inutilizzato fino agli anni ‘80, quando fu oggetto di lavori di restauro che lo restituirono al decoro originario e portarono alla sua riapertura nella primavera del 1982. Da allora il Teatro dell’Iride è stato il centro dell’attività culturale del Comune di Petritoli, con annuali stagioni di prosa, di musica e soprattutto con il Concorso Internazionale per Oboe intitolato al concittadino “Giuseppe Tomassini” (1915-1987) prestigioso oboista nelle orchestre del Teatro dell’opera di Roma e dell’Accademia di Santa Cecilia ed insegnante dello stesso conservatorio. Il concorso, istituito nel 1995, si tiene con cadenza biennale.
TEATRO DELL’IRIDE DI PETRITOLI
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TEATRO VINCENZO PAGANI DI MONTERUBBIANO
Il Teatro Vincenzo Pagani di Monterubbiano fu inaugurato nel 1875, nell’area di un palazzo cinquecentesco detto “Il Palazzaccio” della famiglia Pagani, a cui apparteneva il noto pittore Vincenzo (1490–1568) a cui è dedicato il teatro. Il disegno fu realizzato dall’architetto Francesco Ridolfi di Ancona, mentre la direzione dei lavori fu affidata a Luca Galli. La pianta della sala è a ferro di cavallo con tre ordini di palchi, dove il primo ordine è dotato di un particolare parapetto ligneo con disegno a traforo e decorazione dorate. Sulla volta, ad opera del Maranelli di Sant’Elpidio, si susseguono i tondi con i ritratti di Carlo Goldoni, Vittorio Alfieri, Ludovico Ariosto, Dante Alighieri e poi in pittura monocroma quelli di Raffaello Sanzio e di Vincenzo Pagani. Servono ad inquadrare il tondo centrale dove sono rappresentate tre Muse, probabilmente Erato con la lira, Melpòmene con la maschera e Calliope con lo stilo e il papiro, figure allegoriche in relazione ai personaggi storici rappresentati. Il sipario storico realizzato nel 1881 è opera dello scenografo Alessandro Bazzani: un omaggio a Vincenzo Pagani, raffigurato con gli strumenti del mestiere (tavolozza e cavalletto) in atto di dipingere una tela con sullo sfondo un paesaggio marino con i pini. Il teatro è oggi sede dell’Accademia di canto “Beniamino Gigli”, che promuove attività didattiche, concerti, manifestazioni canore ed opere liriche.
TEATRO LA RONDINELLA DI MONTEFANO Nel 1883 l’amministrazione comunale di Montefano decide la sistemazione definitiva del Teatro La Rondinella, iniziato a fine 700. Questa viene affidata all’ingegnere Virginio Tombolini, già direttore tecnico del teatro La Fenice di Venezia. Il Tombolini progetta un’audace armatura in ferro e colonne in ghisa a sostegno dei 22 palchi divisi in 2 ordini, con galleria al piano terra, per un totale di circa 150 posti. Al termine dei lavori, il 28 agosto 1886, i montefanesi conferiscono all’ingegnere un attestato di riconoscenza per la novità della struttura in ferro, nominandolo cittadino onorario. Questo riconoscimento risulta nella targa posta nel foyer o “sala dei poeti”, sul cui soffitto ci sono sei medaglioni in gesso dedicati a Leopardi, Raffaello, Goldoni, Verdi, Alighieri e Alfieri. I lavori di pittura vengono affidati al pittore perugino Domenico Bruschi (18491910), che affresca la volta del teatro dove vengono rappresentate quattro delle nove muse: Melpomene (tragedia), Talia (commedia), Tesicore (danza) e Euterpe(lirica). Le muse sono intervallate da quattro tondi che ritraggono dei putti con i nomi delle stagioni della vita: Infanzia, Giovinezza, Virilità e Vecchiaia. Il teatro è caratterizzato da una sala ad U a causa delle ridotte dimensioni dell’ambiente (altezza 8,2 m; larghezza 10,1 m; lunghezza 15,8 m). Dal 2005, dopo un restauro corposo, il Teatro della Rondinella è tornato al suo antico splendore e ospita eventi e rassegne.
TEATRO DEGLI ANGELI DI MONTELUPONE
Il Teatro Degli Angeli di Montelupone venne realizzato tra il 1884 e il 1898 su progetto di Giuseppe Sabbatini. Il nome è una dedica all’illustre cittadino Nicola Degli Angeli (1535-1604), autore di opere teatrali e letterarie, segretario del Papa marchigiano Sisto V e amico di Torquato Tasso. Il teatro è parte integrante del palazzo comunale e si apre al pianterreno dell’edificio. Alla sala si accede dopo aver percorso un lungo corridoio rettilineo da cui si arriva all’atrio, poi al foyer. L’architetto Sabbatini, pur mantenendo la sala a pianta ellittica e il loggione a balconata aperta, aggiunse due ordini di palchi (15 in tutto) e il loggione con balaustra a pilastrini. Nel primo ordine le colonne che dividono i palchi sono piuttosto massicce, per diventare poi più snelle nel secondo, dove terminano con capitelli in stile corinzio. Il proscenio, con architrave a curva ribassata, ospita altri quattro palchi, per un totale di 272 posti. Anche il soffitto è a volta ribassata, decorato da Domenico Ferri (1857-1940), pittore piceno docente presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, che rappresentò figure a tempera di angeli e putti musicanti con carattere satirico: i tamburelli suonati dai giovani sembrano rotti per l’eccessiva foga, per cui quella che può apparire inizialmente come un’aggraziata decorazione liberty diventa farsa burlesca. Tutte le decorazioni in stile floreale e i colori bianco e rosso richiamano con molta evidenza lo stile neoclassico. Oggi il Teatro storico Degli Angeli ha ripreso vita con una propria stagione teatrale e sta diventando un elemento di apertura e collaborazione con altre realtà marchigiane e internazionali. WHY MARCHE | 33
A NIMA
TEATRO DELLA CONCORDIA DI SAN COSTANZO
TEATRO DEL TRIONFO DI CARTOCETO
Le prime notizie di un teatro all’interno del castello di San Costanzo risalgono al 18 marzo 1721, quando venne fondata una società teatrale e una sala delle feste viene adattata ad hoc. Il luogo, sin dall’inizio, era aperto alla popolazione, a differenza della prassi comune. Tra la fine del 18º e l’inizio del 19º secolo il conte Francesco Cassi, proprietario del palazzo Cassi al centro del paese e di fronte al castello, soggiornava spesso a San Costanzo con gli amici più intimi, tra cui il conte Perticari con la moglie e il padre di lei Vincenzo Monti. In quegli anni al Teatro della Concordia venivano rappresentate le tragedie dell’Alfieri, “l’Aristodemo” del Monti e le commedie di Goldoni. È molto probabile che in questa struttura fossero rappresentate anche anteprime delle opere del Monti, che hanno preceduto quelle ufficiali delle grandi città. Al teatro si accede dalla porta sud orientale del castello. La sala ha una pianta settecentesca a ferro di cavallo ed è caratterizzata da due ordini di palchi (25 in totale) e un sovrastante loggione a galleria per un totale di 150 posti. Dal palcoscenico nelle giornate terse si può vedere distintamente il mare Adriatico. La sala teatrale odierna è il risultato di due ristrutturazioni: quella del 1935, quando le originarie strutture lignee furono sostituite con altre in muratura, conservando immutata la fisionomia della sala ma cancellando le antiche decorazioni nei parapetti dei palchi e tutt’attorno alla volta, e quella del 1987, che ha adeguato la struttura alle normative di sicurezza. Oggi il teatro ospita diverse rassegne nazionali e locali per adulti e bambini, come “Teatri d’Autore”, stagione nei teatri storici della provincia di Pesaro e Urbino, o Scena Ridens, la prima rassegna comica delle Marche.
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Il Teatro del Trionfo di Cartoceto fu costruito nel 1801 da progettista ignoto. Ha una sala con tre ordini di palchi (37 in totale di cui 11 al primo ordine e 13 al secondo e terzo), per un totale di circa 200 posti. La pianta è a ferro di cavallo, delimitata ai lati del boccascena da due larghe fasce verticali con finte scanalature dipinte. Il piccolo palcoscenico ha ancora il corredo scenico dipinto dal pittore Giulio Marvardi nella seconda metà dell’Ottocento, stessa epoca del sipario, in cui lo scenografo faentino Romolo Liverani ha effigiato un paesaggio agreste con un tempietto classico che ha sullo sfondo una parziale veduta di Cartoceto. Il palco è tutt’ora apprezzato da artisti e musicisti per la particolare acustica creata dalla struttura degli ordini dei palchi. Nel corso del XIX secolo il teatro era il luogo prescelto per la rappresentazione di spettacoli teatrali, in particolare durante il carnevale, con l’obbligo di “tenere in ordine un mastello con acqua” contro i pericoli di incendio. Il Teatro del Trionfo è diventato, negli ultimi anni, un luogo di centrale importanza culturale per Cartoceto. La sua rinascita è legata a “Cartoceto DOP”, il Festival – Mostra Mercato dell’Olio e dell’Oliva, uno dei più importanti appuntamenti della stagione agreste autunnale, nelle Marche così come in Italia.
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A NIMA Il Sacro Cuore di Parigi, 2013
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La spiritualitĂ incontra la maestria artigiana della tradizione rurale marchigiana
di Stefania Cecconi
LA FESTA DEL COVO A
Campocavallo, frazione di Osimo, ogni prima domenica di agosto si tiene la Festa del Covo. Il covo è una vera e propria opera d’arte. Questo carro, che rappresenta sempre un’immagine religiosa. Viene realizzato con maestria dagli abitanti del paese, che durante tutto l’anno lavorano alla sua realizzazione intrecciando spighe di grano. Per gli ottanta anni della Festa del Covo, quest’anno, sono state invitate e sfileranno precedendo i dieci covi in programma, le realtà marchigiane che storicamente organizzano feste legate alla tradizione del grano: la Festa delle Cove di Petritoli (Fm), la Festa delle Canestrelle di Amandola (Fm) e la Festa del Covo di Candia (An), località dalla quale i contadini di Campocavallo trassero ispirazione ottanta anni fa per realizzare la festa locale. Per comprendere l’origine di questa festa che affonda le sue radici nella tradizione contadina marchigiana, nel rapporto stretto e simbiotico tra uomo e natura dove il primo affida a Dio e ai
Festa del Covo, 2018
di CAMPOCAVALLO
Photo Andrea Tessadori
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A NIMA santi il buon andamento del raccolto, occorre risalire ai fatti storici che hanno interessato questa frazione di Osimo. Fino alla fine dell’800 Campocavallo era una pianura che si estendeva fra il fiume Musone e le colline osimane, occupata esclusivamente da case coloniche abitate da contadini dediti al lavoro nei campi. Oltre a queste abitazioni vi era una piccola e semplice chiesetta che a stento si teneva in piedi. La chiesa fu costruita da un uomo molto religioso, Nazzareno Taddioli, che aveva acquistato un appezzamento di terreno in quella zona e desiderava un luogo accanto alla sua casa per soddisfare i doveri religiosi propri e dei contadini che vivevano nei dintorni, altrimenti costretti a fare molta strada a piedi per raggiungere la chiesa più vicina. La messa, in quella piccola chiesa, veniva celebrata allora da don Giovanni Sorbellini, che decise di attuare opere di miglioria cercando di abbellire l’ambiente con alcuni oggetti sacri tra i quali un’immagine religiosa. L’immagine era un’oleografia della Vergine Addolorata che il sacerdote aveva acquistato da un venditore ambulante.
Quella stampa, pur non avendo nessun valore artistico, era oggetto di venerazione da parte dei fedeli che ne erano colpiti per l’espressività del volto della Madonna. Il 16 giugno 1892, giorno del Corpus Domini, al termine della funzione, alcuni fedeli che erano rimasti a pregare davanti all’immagine si accorsero che dal viso della Madonna scendevano delle gocce, come se trasudasse lacrime. La gente gridò al miracolo, anche se non fu che l’inizio: il giorno seguente le persone riunite in preghiera notarono che gli occhi della Madonna si muovevano ed erano rivolti verso i fedeli anziché verso il cielo. Alcuni videro le palpebre alzarsi e abbassarsi, il viso cambiare espressione. Il prodigio si ripeté per circa dieci anni e furono molte le persone testimoni dell’evento. La notizia si diffuse velocemente e a Campocavallo vennero in pellegrinaggio persone da ogni parte d’Italia e dall’estero. Non fu l’unico prodigio che si verificò. Il secondo avvenne con la costruzione di un santuario a opera dell’architetto Costantino Costantini. La cosa straordinaria sta nel fatto che il
santuario fu realizzato esclusivamente con le offerte dei fedeli. Non solo denaro, ma anche manodopera e fornitura di materiali. Operai e scalpellini prestarono la loro forza lavoro mentre i pellegrini trasportarono legname, ghiaia, calce e pietre. Il travertino utilizzato per edificare la facciata del santuario arrivò in pellegrinaggio dal Monte Conero. I lavori di costruzione iniziarono nel 1893 e terminarono nel 1913 con l’edificazione del campanile. Il santuario, dedicato ovviamente alla Beata Vergine Addolorata, fu edificato non lontano dalla chiesetta in cui si verificò il prodigio. L’immagine continuò a essere venerata dai fedeli che la adornavano di gioielli e di una corona di pietre preziose. Il 30 marzo 1938 l’immagine venne trafugata e poi ritrovata senza però i preziosi ornamenti. Dopo il suo ritrovamento l’immagine venne nuovamente adornata dai fedeli che costruirono una corona simile a quella rubata ma interamente fatta di spighe di grano intrecciate, l’oro dei contadini di Campocavallo. E’ in questa offerta alla Vergine Addolorata l’origine della Festa del Covo. La prima edizione della festa si tenne il 13 agosto 1939. L’idea fu concepita da Clemente Ciavattini, un anziano contadino di Campocavallo, che decise di dar vita al progetto con l’aiuto dei suoi figli, delle donne della famiglia e di altri agricoltori della zona. Il primo covo, che fu realizzato nella casa colonica di Ciavattini, rappresentava la Corona dell’Incoronazione, già posta nel santuario di Campocavallo. Da allora la tradizione è rimasta sempre viva e Basilica di San Pietro, 2015
Festa del Covo 2018
Il primo Covo, 13/08/1939
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di Silvia Conti nel corso degli anni si sono succeduti covi che hanno rappresentato santuari, chiese e luoghi di culto di tutto il mondo. Il covo è frutto di un lavoro che richiede grandi abilità, pazienza e competenza. Un lavoro che esalta la grande maestria artigiana dei marchigiani, pazienti e precisi lavoratori. Una vera e propria arte dove le spighe di grano vengono intrecciate e selezionate per colore per realizzare sfumature e differenti tonalità. Un’attività artigiana strettamente connessa alla religiosità rurale, dove la popolazione contadina ringrazia per il buon andamento del raccolto, offrendo il frutto del proprio lavoro nei campi ma anche della propria creatività e capacità artigiana. Negli anni la festa si è evoluta nei contenuti ed ha acquisito importanza, fino ad accogliere covi che rappresentano luoghi religiosi di rilevanza internazionale: Lourdes, Fatima, Assisi, Częstochowa, Cracovia, Betlemme, Santiago de Compostela, Medjugorje solo per citarne alcuni. Spesso le opere raffiguranti famosi luoghi di culto sono state portate in pellegrinaggio al santuario o alla chiesa rappresentata. Nel 2009, infatti, il covo che rappresentava la cattedrale di San Basilio di Mosca, con una delegazione di parrocchiani di Campocavallo, venne trasportato in Russia e fu esposto a Mosca nella Piazza Rossa. La maggior parte dei covi realizzati nelle tante edizioni della festa sono raccolti nel Museo del Covo di Campocavallo, dove è possibile ammirare anche i materiali utilizzati per la costruzione dei manufatti artistici in grano e le originali tecniche usate per la loro realizzazione. L’appuntamento è stato fissato per il tardo pomeriggio di domenica 4 agosto 2019, quando i rintocchi delle campane del maestoso santuario annunceranno l’inizio della sfilata accompagnandola per un lungo giro che la condurrà fino ai piedi della scalinata del tempio mariano. La magia del covo si rinnoverà ancora una volta, trasformando il sacro rito in una dolce e sublime carezza che la Vergine Addolorata poserà sui suoi diletti figli di Campocavallo e sulle migliaia di pellegrini giunti da ogni parte delle Marche … ed il miracolo del covo, ancora una volta, si avvererà!
L’eucarestia, 2011 WHY MARCHE | 39
A NIMA
PIÙ STREGHE CHE SANTI: Il Cristianesimo nei primi secoli d.C. si diffuse solo nelle grandi città dell’Impero attraverso le comunità giudaiche-cristiane giunte via mare dal medio e alto Adriatico e lungo le vie consolari, provenienti da Roma: le vie Faleriense, Salaria e Flaminia. La seminagione del Vangelo e la speranza cristiana di resurrezione del corpo, sciocca e inconcepibile per la tradizione piceno-romana, penetrò nei nostri maggiori centri urbanizzati, direttamente nelle famiglie, in modo talmente efficace da gettare radici vigorose per i successivi secoli della storia. Fu così che dal terzo al sesto secolo, si costituirono nelle Marche venticinque sedi vescovili tutte documentate. Diverse fonti attestano che le donne hanno svolto un ruolo fondamentale nella trasmissione della nuova dottrina; un fattore questo a cui non è mai stata riservata la dovuta attenzione. Erano donne che, grazie al loro prestigio sociale e alla loro condizione economica agiata, poterono utilizzare i propri beni per sostenere i discepoli della nuova fede ed esercitare l’ospitalità dei pellegrini. In principio le case private, quale unità socioeconomica di base della società mediterranea antica, hanno svolto un ruolo centrale diventando delle piccole domus ecclesiae (forse di qui il modo di dire tutto casa-chiesa e chiesa-casa). 40 | WHY MARCHE
LE MARCHE RIMASTE PAGANE D iversa fu la situazione incontrata dai missionari evangelici nelle zone rurali e montane del nostro territorio, dove non poterono promuovere una vera e autentica conversione. Non fu, infatti, compiutamente possibile portare la colta e teologica dottrina cristiana tra i contadini, diffidenti e per natura intimamente connessi da molte generazioni alla terra, per loro divenuta nel frattempo Madre o Grande Madre. Nel nostro territorio, in età arcaica, questa figura fu degnamente rappresentata dalla Dea Bona a Pollenza, divinità della fertilità, divenuta poi Rambona ovvero Ara della Dea Bona; dalla Dea Frigia Cibele importata dai romani e venerata in tutta Italia; dalla Dea Afrodite, il cui tempio si innalzava proprio dove oggi sorge il Duomo di San Ciriaco ad Ancona. Le città di Cupra Marittima e Cupramontana prendono il loro nome dalla Dea Cupra, divinità delle acque e della fecondità. Il teatro Ferronia di San Severino deve il suo nome proprio alla Dea romana Ferronia, protettrice delle belve e della natura selvaggia. Con l’editto di Teodosio del 380 d.C., che rese il Cristianesimo ufficialmente religione dell’Impero, le dee divennero fuorilegge. Ma proprio a causa della diffidenza incontrata da parte dei missionari fu necessario giungere ad un compromesso, una sorta di sincretismo
di Stefano Longhi religioso tra divinità femminili pagane e le nuove divinità cristiane attraverso una improvvisata e spesso forzata analogia estetica con le sante e santi della nuova religione: Santa Tecla, a cui è intitolato il Duomo di Osimo, risparmiata dai leoni nell’arena, sostituì Cibele rappresentata seduta tra due leoni resi mansueti dal potere della dea; San Ciriaco, vescovo di Gerusalemme e martire sotto l’Imperatore Flavio Claudio Giuliano, subentrò ad Afrodite. L’analogia qui è particolarmente sottile: il piacere sensuale e carnale di Afrodite diventerà l’assurdo piacere estatico che i santi cristiani vantavano e sembravano mostrare durante il martirio delle carni. Immancabile la figura della Sibilla Appenninica, la misteriosa signora, la veggente dei “monti azzurri”, (di leopardiana ricordanza), così soprannominata la catena dei Monti Sibillini che, per un effetto ottico ancora oggi evidente, li mostra avvolti in un alone celestiale. Un luogo che in epoca arcaica vantava persino forme di governo al femminile (politiche matrilineari) organizzate in piccoli agglomerati rurali chiamati comunanze. L’azzurra signora delle visioni profetiche fu sostituita sia dal culto della Madonna, la nuova signora cristiana dal mantello azzurro, che da Maria Maddalena, l’ultima immagine del sacro femminile, definita a malincuore la Dea perduta del cristianesimo; colei a cui apparve per prima il Cristo risorto e quindi una veggente
e visionaria, una sibilla che in estasi annuncia il mistero della nuova religione. Ad entrambe sono intitolate tutte le pievi e le chiese della comunità montana dei Sibillini. La Sibilla Conerina, probabilmente impersonata dalla Principessa Picena del Conero, a cui è dedicato il museo archeologico di Numana, fu sostituita insieme alla Dea Cupra dalla vergine nera di Loreto in tutte le edicole votive dove un tempo i contadini mettevano quelle piccole statuine che mostravano gli attributi e le rotondità femminili della Dea: seno, sedere e vulva, quale segno di fertilità e abbondanza. Perfino l’Inquisizione, che cessò solo nel 1860, quando la nostra regione vene annessa al Regno d’Italia, fu scarsa e agì relativamente poco, nel nostro territorio. Solo ad Ancona e a Pesaro si constata una maggiore attività e prevalentemente contro gli ebrei. Questo malgrado la presenza della tradizione leggendaria di sibille, fate, fattucchiere, veggenti, libri del comando, streghe, pratiche rituali contro il malocchio eseguite sistematicamente dalle nostre nonne e le molte feste pagane ancora oggi conservate e nascoste tra le festività cristiane. “Al calar delle tenebre in un crescendo di musica ed effetti pirotecnici, riapparirà la strega che volerà a cavallo della scopa: questa è la formula magica che apre la Notte delle Streghe di Polverigi. Non a caso Corinaldo è definita la capitale della Festa delle Streghe quando tutto il paese si addobba in modo da spaventare gli ignari visitatori, con streghe, fantasmi e strani mostri appesi lungo tutti i vicoli e le stradine. Il 23 giugno, riconvertito dal Cristianesimo nella notte di San Giovanni, si rivive il momento magico del solstizio d’estate e Urbino diventa scenario di una grande festa legata alle magiche tradizioni popolari tra musica, arte, spettacoli teatrali, leggende e tradizione, ai piedi del fiabesco Palazzo Ducale. Un evento culminante un intero weekend da trascorrere nelle campagne del Montefeltro e dedicato alla raccolta delle magiche, afrodisiache e curative “erbe delle streghe”. Dunque la stregoneria (divenuta oggi scienza e tecnica) più che la santità e la prassi pagana più che la colta teologia, sembrerebbero essere il motore originario che agita da sempre l’inconscio collettivo della nostra laboriosa terra, che come una Madre produce, conserva e alimenta la creatività e l’ingegno che ci caratterizzano. Le streghe e le loro tradizioni sono dunque sopravvissute alla crisi del cattolicesimo, diventando nel frattempo una istituzione etica e morale più rivolta alla gestione di beni economici che spirituali. Unito a quel “vivi nascostamente”, di epicureo ricordo, che noi marchigiani abbiamo incarnato più che altrove, ci siamo in fondo protetti dalle culture alienanti e globalizzanti, facendo della nostra regione, ancora oggi, un’isola libera, felice e poco incline alle illusioni. WHY MARCHE | 41
B A NIMA
GIACOMO COSTANTINO
BELTRAMI
GIUSTO NEL MEZZO DELLA MARCA
Giusto nel mezzo della Marca scorre un fiume che ha perso il suo vigore e dell’antico turbinio conserva purtroppo solo il nome: Potenza. Sgorga dalle pendici del monte Vermenone, uno tra i picchi dei Sibillini, quei monti azzurri evocati da Leopardi nelle Ricordanze. Il fiume sfocia poi sull’Adriatico proprio nel Comune di Porto Recanati, orizzonte che, volgendosi verso est, il poeta di certo osservava tanto spesso quanto quell’infinto dell’oltre siepe ben più famoso. Un altro umanista, molto meno noto, ha dedicato un’ode al Potenza. Trattasi del presbitero fiorentino Giovanni Ciampoli, allievo del Galilei, accademico dei lincei e Cameriere segreto di Papa Urbano VIII. Il Ciampoli, seppure in odore
1779 Nasce a Bergamo
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1797 Arriva nelle Marche
1809 Diventa giudice a Macerata
1809 Incontra Giulia De Medici e inizio relazione segreta tra le colline marchigiane
di Alessandro Seri cardinalizio, cavalcò in fuga dalla corte dei papi costeggiando le sponde del Potenza perché esiliato a causa del suo appoggio a Galileo durante il processo finito con l’abiura. Il confino aveva come meta le terre marchigiane nelle diocesi di Civitanova e Jesi. Percorrendo la via Lauretana lungo la valle del Potenza, quella percorsa dal Ciampoli, all’altezza dei confinanti comuni di San Severino Marche, Treia e Pollenza, si sviluppa un’altra leggenda rituale. Tra le colline armoniose a fondo valle si erge oggi, seppur non visitabile a causa del devastante terremoto del 2016, l’abbazia di Rambona costruita sopra le macerie di un tempio dedicato alla dea Bona, figlia integerrima e casta e per questo venerata come simbolo di lussuria bianca, di amori saffici, magici e positivi. Il tempio edificato sulle sponde fertili si contrapponeva di fatto alla sommità della montagnola di 600 metri poco distante, quella che oggi è dominata dal Castello di Pitino. Anche questo come l’abbazia di Rambona innalzato in epoca medievale sopra un importante insediamento risalente al VII secolo a.c. di cui si narra la vicinanza epica alle ritualità marziali e nere degli dei Sethlans e Turms. La contrapposizione millenaria tra bene e male, le leggende sulle ritualità orgiastiche della dea Bona elevate a preghiera contro l’oscuro militarismo degli dei guerrieri devono sicuramente aver colpito molti secoli dopo un idealista rivoluzionario bergamasco di nome Giacomo, sceso a cavallo (anche lui a cavallo) nelle Marche, al seguito dell’armata napoleonica durante la campagna del 1797, l’anno prima della nascita di un altro Giacomo marchigiano. Il diciannovenne bergamasco si chiamava Giacomo Costantino Beltrami e seppure giovanissimo
1820 Morte di Giulia De Medici
scalò velocemente le gerarchie civili dell’amministrazione Bonaparte fino a diventare Giudice a Macerata nel 1809. Nelle Marche Beltrami scelse di stabilirsi tra le mura di un borgo arroccato denominato Filottrano, paese che dista appena dieci chilometri in linea d’aria dal fiume Potenza. Nel frattempo che Beltrami si ambientava al suo nuovo ruolo contrastando il brigantaggio e arrestando il noto Pietro Masi detto Bellente, Napoleone Bonaparte donava al cognato Gioacchino Murat una straordinaria abitazione di campagna nel Comune di Treia, la bellissima Villa La Quiete edificata su progetto dell’architetto Giuseppe Valadier (anch’essa oggi inagibile a causa del terremoto oltreché in stato di semi abbandono da anni). Giacomo Costantino Beltrami a Macerata si inserì subito grazie anche alla sua conclamata ma non esibita adesione alla massoneria del Grande Oriente. La curiosità intellettuale, oltre che il ruolo istituzionale, gli consentirono di entrare a far parte dell’Accademia maceratese dei Catenati, un cenacolo letterario fondato nel luglio del 1574 e di cui fecero parte anche Torquato Tasso, Vincenzo Monti e Nicolò Tommaseo. Nell’ambiente culturalmente stimolante e raffinato degli accademici Beltrami incontrò quella che divenne la sua musa, la sua costante fonte di ispirazione: la marchesa fiorentina Giulia De Medici, maritata al conte, di origini umbre, Giovanni Girolamo Spada che l’aveva conosciuta a Firenze, all’interno di un’altra Accademia famosa, quella dei Georgofili, dove il nobile Spada stava approfondendo i suoi studi in Scienze Agrarie. Dopo un breve fidanzamento i due nobili si sposarono: lei diciassettenne e il conte Spada trentaduenne;
1821 Beltrami si trasferisce a Parigi e poi a Londra
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A NIMA si trasferiscono a Filottrano dove il conte aveva ereditato Villa Montepolesco e tutte le terre che la circondano. Quando Beltrami incontrò Giulia nel 1809 durante uno dei convivi di Catenati lei aveva ventinove anni e lui trenta. La contessa Spada è bellissima e più di altri si fa notare per acume e slancio intellettuale, il rivoluzionario giudice Beltrami ha negli occhi qualcosa di originale e tenebroso. Nel suo sguardo c’è un’idea di futuro, di scoperta, di confine da superare. Si innamorano subito, perdutamente. La rigida morale dell’epoca, la diversa classe sociale, la condizione familiare di lei costrinsero i due a intraprendere una relazione segreta vissuta tra carrozze, giardini, ville e salotti. Le colline marchigiane tra Filottrano e Macerata, tra l’Adriatico e i Sibillini furono il loro teatro. Come nello splendido romanzo The age of innocence di Edith Wharthon, portato di recente sul grande schermo da Martin Scorsese e interpretato da Michelle Pfeiffer e Daniel Day Lewis, tutti nell’alta società della provincia sapevano, ma loro inconsapevoli e ciechi, pensarono di tener segreto ciò che segreto più non era. Furono anni di piogge dorate e isole nascoste, di sguardi e soffi. Non ci è dato sapere di più ed eventuali supposizioni sulle ultime figlie della contessa Spada: Maddalena e Eleonora, restano semplici supposizioni. Eppure quando l’idillio sembra immune dal tempo, Giulia si ammala non si sa bene di cosa, forse un travaso di bile, forse una febbre mal curata e il 1° aprile del 1820 all’età di 39 anni muore. La seppelliscono nel cimitero monumentale di Macerata. Giacomo Costantino partecipa al corteo funebre in disparte, silenzioso, eburneo. Non gli è dato di esplicitare la portata del suo dolore reale, deve simulare tristezza, la disperazione è appannaggio solo dei familiari. I giorni successivi Beltrami scrive lettere ad alcuni suoi corrispondenti tra i quali Luisa di Stolberg-Gedern più nota come Contessa d’Albany e Francois Rene de
1822 Da Liverpool si imbarca per l’America
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Chateaubriand preannunciando loro la sua fuga, la sua volontà di abbandonare il mondo a lui consueto, ormai insopportabile per i continui rimandi alla sua Giulia e intraprende un viaggio senza meta. Nei primi mesi del 1821 parte per Parigi poi va a Londra dove resta qualche mese e dalla capitale inglese si dirige a Liverpool dove, a novembre del 1822, si imbarca per l’America, per Philadephia, portando con sé pochi bagagli e un ombrellino rosso da sole, regalo di Giulia. Dalla Pennsylvania Giacomo si spostò a Saint Luis, nel Missouri e lì intercettò una spedizione militare con a capo un generale chiamato Clark che aveva al seguito un militare italiano, il maggiore Tagliaferro. La compagnia si imbarcò sul vascello a vapore Virginia con lo scopo di risalire il Mississipi ed esplorarlo fino a scoprirne le sorgenti. Sembra che sul battello fosse presente per pura casualità anche lo scrittore James Fenimore Cooper con il quale Beltrami fece conoscenza. La compagnia militare abbandonò la via d’acqua a Fort Sant’Anthony (nei pressi dell’odierna Minneapolis) dove Beltrami attese una nuova spedizione che puntava a nord. Dalla cittadina di Pembina il nostro prosegui, accompagnato da due indiani Sioux, raggiungendo le sponde del Red Lake, aggirandole trovando un piccolo fiume che tornava verso sud. Proseguì da solo fino ad un altro lago, oggi chiamato Itasca. Beltrami, solo e stanco, quel 31 agosto del 1823, mentre a Macerata festeggiavano la ricorrenza del patrono San Giuliano ospitaliere, fu sopraffatto dalla bellezza del posto incontaminato. Si battezzò il lago con l’unico nome che aveva tenuto nel cuore durante tutto il viaggio: nelle notti stellate d’America, sulle onde dell’Atlantico, nelle città e nelle praterie. Per meglio far cogliere il senso di ciò che scrivo utilizzerò le parole che Beltrami stesso scrisse nel suo diario di viaggio. “Il lago ha circa tre miglia di circonferenza: è fatto a forma di cuore e parla all’anima. La mia ne è rimasta commossa.
Era giusto toglierlo dal silenzio in cui la geografia, dopo tante spedizioni, lo lasciava ancora, e farlo conoscere al mondo in maniera chiara. Gli ho dato il nome di quella rispettabile Dama la cui vita”, come disse la sua illustre amica Contessa di Albany – “fu un corso di morale in atto, e la morte una calamità per tutti coloro che avevano la fortuna di conoscerla”. Beltrami proseguì il suo viaggio scendendo e fermandosi prima a New Orleans e poi ancora giù fino in Messico e ad Haiti. Durante il tragitto compilò e pubblicò la stesura del primo vocabolario inglese-sioux e numerosi diari di viaggio. Scelse di tornare in Europa nel 1828 portando con sé una quantità enorme di oggetti della tradizione sioux che oggi sono ubicati nella sezione etnografica del museo di Scienze Naturali “Enrico Caffi” di Bergamo e nel museo Beltrami di Filottrano, ora chiuso per restauro. Insieme a questi reperti Beltrami conservava con cura una prima edizione datata 1826 del romanzo L’ultimo dei Mohicani di Fenimore Cooper il cui personaggio
1823 Risalì il Mississipi fino alle sorgenti e scoprì il lago Itasca. Proseguì con le splorazioni fino in Messico e Haiti
principale, il cacciatore bianco Natty Bumppo Occhio di Falco , interpretato sullo schermo, anche lui, da Daniel Day Lewis, fu creato avendo come riferimento proprio Beltrami stesso. Durante il viaggio di ritorno fece tappa di nuovo a Londra e poi ancora Parigi. Nel 1834 acquistò una villa presso Heidelberg, in Germania, dove soggiornò fino al 1837, anno in cui scelse per nostalgia, di ritornare a Filottrano. Nel frattempo che Beltrami viaggiava per il mondo, il conte Lavinio de Medici Spada, figlio secondogenito dell’amata Giulia, acquistava nel 1828 proprio la villa che Napoleone anni prima aveva regalato a Murat, quella Villa La Quiete edificata a Treia su progetto del Valadier. Lavinio aveva studiato da prelato senza mai prendere definitivamente i voti. La sua città di riferimento era Roma e lì fece carriera in vaticano finché nel 1848 abbandonò la prelatura perché folgorato da una donna: la contessa polacca Natalia Komar che sposò da lì a pochi mesi ritirandosi entrambi a vita privata a Villa Spada di Treia. Natalia Komar,
1828 Ritorna in Europa dopo aver pubblicato il primo vocabolario inglese-sioux e numerosi diari di viaggio
la sposa, è la sorella di Delphine Komar, musa di Friedrich Chopin che le dedicò il “Piano Concerto n. 2 Op. 21” e altre esecuzioni, tra cui il “Valzer in do diesis Op. 64 n. 2”. Le contesse Komar erano state entrambe allieve del compositore polacco e si narra, ma non è certo, che per alleviare le conseguenze della sua malattia Chopin scelse di accettare l’invito a Villa La Quiete Spada per il ricevimento di matrimonio tra Lavinio e Natalia. Sicuramente alla festa, seppure in disparte, seppure ai margini, sconsolato ed eburneo come sempre, partecipò anche Giacomo Costantino Beltrami e nessuno ci vieta oggi di immaginarlo a colloquio con Chopin mentre osservando gli ospiti della festa si scambiano alcune battute sul panorama che da Villa Spada si dipana giù verso la vallata del fiume Potenza, quello stesso fiume delle ritualità orgiastiche della dea Bona per cui il buon Govanni Ciampoli esiliato da Roma descrisse nella “canzone” Al Fiume Potenza nella Città di S. Severino.
“Canzone” al Fiume Potenza Gelida figlia d’Appennin camuto, Che fra rupi, e per valli Porti in ambre, e christalli A l’Adria non lontano il tuo tributo Or che per darti legge Del Tebro il Re m’elegge Pongo il pié nel tuo regno, e ti saluto Se ben di non molt’onde Si grondano le chiome Pur trà piagge feconde Hai d’oro il letto, e di potenza il nome. O con titolo altiero onda tranquilla, che del suo si compiacque Rubbata à stranio rio, pure una Stilla, Il tesor del tuo gielo Tutto è dono del cielo, Che per vene, e per nubi ixi il distilla Che fiumi tributari? Sdegnali, ò verginella, Nel letto illeso appai Men tempestosa, ma non men bella. …]
1837 Ritorna a Filottrano dove morì nel 1855
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A NIMA
GELATO
DALLE ORIGINI PIÙ REMOTE
L’estate è esplosa nella sua canicola più rovente e soffocante ed in tutti i modi da sempre si cerca refrigerio alla calura insopportabile. Al di là delle (relativamente) recenti invenzioni di ghiacciaie prima e frigoriferi e congelatori poi, si è sempre cercato il piacere rinfrescante e rigenerante di qualcosa di gelato, il dolce brivido di creme variamente aromatizzate ed essenze di frutta mescolate a lungo, in consistenze spumose con cristalli di ghiaccio. Prima che ci fosse il boom commerciale dei gelati industriali, portati in trionfo da rutilanti caroselli pubblicitari con testimonial popolari e canzonettari (e così invitanti nelle confezioni colorate ed ammiccanti nelle locandine metalliche agli ingressi dei bar), c’era solo la produzione artigianale, oltre che qualche coraggioso che si avventurava a casa con la lavorazione estenuante nella sorbettiera manuale.
C
hi ha davvero tanti decenni alle spalle ricorda come nei paesini e piccoli borghi dell’entroterra, specie in certe vallate che diventavano fornaci a cielo aperto tra luglio ed agosto, arrivavano indomiti e festanti con i loro carretti o furgoncini tanti intraprendenti gelatai che partivano dalla costa. Tante memorie di campagna ricordano l’arrivo entusiasta di questi portatori di dolce e rinfrescante ristoro. I gusti erano pochi, irrinunciabili crema e cioccolato, spesso limone e fragola, e magari anche caffè. Eppure questi ambulanti della ghiottoneria estiva erano tributati e riconosciuti anche con il nome di battesimo, rimasto incrostato nel ricordo a distanza di molti decenni. Molti di queste figure epiche di quelle estati lontane provenivano da Falconara, tra le più antiche e blasonate spiagge del turismo balneare in Italia, dove nel 1929 viene inaugurata la piattaforma Bedetti, dove si compra il gelato a due soldi. Anche nei decenni a seguire questa manifattura dolciaria estiva si fa sempre più importante in quel piccolo centro della costa, in tanti lo producono e rivaleggiano nell’eccellenza, per la gioia dei bambini 46 | WHY MARCHE
di quei primi anni del dopoguerra che con “monellesca” maestria avevano scoperto i modi ed i tempi giusti per creare agguati ai gelatieri, in modo da rubare un po’ di panna dai contenitori abbandonati per un attimo (salvo poi ritrovarsi un giorno spaventatissimi a sentirsi in bocca dell’acido e straniante yogurt, fatto trovare sostituzione a sorpresa dagli stessi fabbricanti). In realtà nelle campagne si ricorda come anche d’inverno quando cadeva la prima freschissima neve non si resistesse al gusto di raccoglierla nel bicchiere per irrorarla di dolcissima sapa, e creare così un sorbetto rudimentale che anche Artusi ricorda nel suo ricettario. Del resto nei mesi freddi si faceva provvista delle precipitazioni nevose anche per la conservazione del cibo, e se nelle grandi corti come il Palazzo Ducale di Urbino vi erano le neviere, nelle case gentilizie di paese c’erano le grotte a consentire l’accumulo di ghiaccio. I trattati rinascimentali abbondano di frutta ornata gelata, come anche di coppe di libagioni ghiacciate, ed in proposito si ricorda il fabrianese Francesco Scacchi che nella sua dissertazione del 1598
sul bere salubre suggerisce spesso di gustare il vino con la neve, quasi un archetipo del sorbetto (dal termine latino “sorbitium”, un cibo da sorbire). Il sostantivo “sharbet” (da “sharab”, ossia bere) d’ascendenza araba ricorda come alla creatività dei “mori” si debba la codificazione di questa preparazione, apprezzatissima nelle memorie dei viaggiatori occidentali. Secoli dopo, alla fine del XVII secolo Antonio Latini, originario di Collamato di Fabriano, illustra nel suo trattato Lo scalco alla moderna (pubblicato in due tomi tra
di Tommaso Lucchetti
Ma i gelati troneggiavano con tutta la loro superba fierezza anche in ricevimenti ufficiali, come il rinfresco estivo del 25 luglio 1775 per celebrare a Camerino a Palazzo Morelli la nascita ed il battesimo dell’erede: fu “imbandita una sontuosa tavola, con superbissimo ambigu (servizio assortito di ristoro in piedi) di gelati e confetture di moltissime sorte e di finissimo gusto”. Quando invece nel 1782, arrivò in visita ad Ancona Papa Pio VI, il governo cittadino lungo la strada “fece dispensare un lauto e magnifico rinfresco consistente in mattonelle gelate di varie sorti, in quantità di paste di credenza, in vari liquori, e maraschine e tazze di cioccolata”. Ed appunto la ricetta di queste mattonelle gelate di caffè e cioccolata (ed anche di cannella) è presente nella magnifica sezione dedicata ai gelati nel settecentesco Il cuoco maceratese di Antonio Nebbia: vi si spiega come preparare torroni ed agrumi gelati, manieristiche e giocose imitazioni di alimenti alieni al dolce, come finti prosciutti e falsi formaggetti, ricostruiti con creme ghiacciate diverse, colorate ed assemblate ad arte ad imitazione dei modelli originali. Così le creme di base per le composizioni ghiacciate davano luogo ad altre trovate bizzarre, poiché con l’aggiunta di altri ingredienti e coloranti vivaci, e mediante l’uso di stampi particolari, il Nebbia liberava la fantasia in curiose e sorprendenti proposte di gelato, servendo scherzosamente gnocchi, maccheroni gelati, o addirittura una complicata Anguria gelata, con dentro i semini in cioccolato, il bianco della scorza in crema di mandorle, il rosso in conserva d’uva, la scorza esterna ottenuta con una verniciatura di caramello colorato con spinaci. 1692 e 1694) sorbetti di limone e cioccolate agghiacciate, come anche di cannella ed amarena. Il secolo successivo vedrà l’apoteosi di leccornie gelate, imbandite nei sontuosi ricevimenti pomeridiani e serali: ad esempio rappresentavano l’intermezzo ideale per gli intrattenimenti musicali da camera nelle dimore private: una testimonianza iconografica è rappresentata dagli affreschi della cosiddetta Sala del concerto nel settecentesco palazzo Mengoni Ferretti
di Ancona (ora sede della Biblioteca Comunale Luciano Benincasa), dove è raffigurato in trompe-l’oeil nella finta architettura a loggiato (assieme a musici, figurine danzanti, e maschere della commedia dell’arte) un cameriere in livrea con un vassoio di sorbetti e gelati. Del resto si racconta di “arie da sorbetto”, composizioni musicali minori cantate da personaggi di contorno, a fermare la trama nelle opere e fungere da mero accompagnamento mentre nei teatri si servivano queste delizie ghiacciate.
Ad ulteriore conferma dell’interesse per l’arte gelatiera nel 1816 viene pubblicato in Ancona un manualetto stampato ad hoc per la tipografia Sartori, intitolato La pratica del distillatore e confettiere italiano, in cui “s’insegna a far Conserve di Frutti / e di agrumi, ed a formar Gelati, / Marzapani e Rosolj d’ogni qualità, a firma di Giseffantonio (o altrove chiamato Giuseppe Antonio) Landriani, autore di un’altra opera dal titolo simile stampata a Pavia nel 1785 (e poi nei decenni successivi edita anche a Milano e Napoli). WHY MARCHE | 47
A NIMA Il testo illustra i sorbetti, con tanto di descrizione della sorbettiera ottimale (“con attorno un secchio di legno con ghiaccio e sale, facendo attenzione che non penetri nel sorbetto”), per confezionarne varianti “con fiore di latte, con mandorle, rossi d’uova, cioccolata, di limoni, di cedrati, “di bergamotto, di portogalli, di ananasso, d’amarasca cruda” [ma anche cotta e sciroppata], di frambose [lamponi], di persico [pesca], di fragole, meliache [albicocche], agresto [succo d’uva acerba]”. Queste creazioni potevano essere realizzate “nella forma dei vari tipi di frutta”, ma anche “per formare o imitare dei tartufi neri” o “tartufi bianchi”, o anche finti insaccati suini (“Per formare bondiole, salami, salsicciotti”, e “in questa foggia si possono imitare tutte le forme di carni salate”), o formaggi (“per imitare una forma di cacio, detta da Longobardi Stracchino”, “per imitare un cuneo di cacio lodigiano”) e addirittura provviste ittiche (“per formare una trota o qualsivoglia pesce”), ed infine architetture o altri oggetti inimmaginabili “per formare guglie, obelischi ecc.”, o come decori di origine naturale “per formare una spiga di saggina, ossia melica”.
E si arriva pertanto agli anni 2000, quando ad Agugliano nasce il “Festival del Gelato”, con l’appoggio a breve di un’antica e prestigiosa produzione di liquori che nel 2018 ha festeggiato i 150 anni di attività. Ricorda Gigliola Simonetta Varnelli, dell’omonima fabbrica nata dalla spezieria di un suo avo: “In fondo il gelato, senza che noi ce ne rendessimo esattamente conto, era nel nostro dna da sempre, da quando gli abitanti di queste contrade ai piedi dei Sibillini, dove sono stati creati il nostro mistrà, l’amaro Sibilla e
tutti i nostri liquori, hanno cominciato a fare i sorbetti unendo la neve candida, appena caduta, con la sapa, altro antico prodotto di questa terra”. Si torna pertanto alle radici più antiche, rurali, che poi si traducono anche in raffinate invenzioni da caffè, come il “sorbetto al Varnelli”, diventato nel tempo un classico a Maddalena di Muccia. E così, anche la storia del gelato narra il tessuto ricamato e complesso degli scambi e delle identità sociali e culturali di un territorio stratificato come quello marchigiano.
Come dimenticare l’ambito monastico, dove le cronache dei rinfreschi per la vestizione delle religiose e le visite dei cardinali abbondano di sorbetti ed “acque agghiacciate”: in particolare presso le clarisse di San Severino è conservato un ricettario manoscritto per comporre un ricchissimo assortimento di gelati. Giungendo infine al 1900 il cuoco originario di Montappone, Cesare Tirabasso affermatosi come raffinato cerimoniere e maestro di ristorazione per alberghi prestigiosi ed importanti eventi pubblici, nella sua ultima opera La gioia del focolare (1958), propone interessanti soluzioni di dessert al gelato con particolari assortimenti di liquori aromatici, tra cui il “Gelato anisato”.
Gelato di marca – Breve storia del gelato marchigiano (Ancona, Il Lavoro Editoriale,
2018) è una breve ricostruzione storica dell’arte gelatiera nel territorio regionale, a cura di Ugo Bellesi, giornalista e delegato di Macerata dell’Accademia Italiana della Cucina, e Tommaso Lucchetti, docente universitario e storico della cultura gastronomica e dell’arte conviviale. Pubblicato in collaborazione con la distilleria Varnelli, a celebrare i 150 anni dell’azienda, propone un excursus attraverso i secoli fino alla nascita ed all’albo d’oro dei premiati del Gelato Artigianale Festival di Agugliano. 48 | WHY MARCHE
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ESTATE DI MARCA
Le Marche sono un vero palcoscenico all’aperto. Sono innumerevoli le occasioni per entrare in contatto con il racconto sempre vivo e autentico della sua gente e delle sue infinite espressioni artistiche e culturali. Rievocazioni storiche, feste religiose, festival del folclore e della tradizione popolare, rassegne enogastronomiche, spettacoli teatrali, concerti, cabaret, mostre e tante altre manifestazioni che animano i borghi così come le città d’arte e le splendide località della costa. Una narrazione sempre attiva e affascinante, per offrire un’indimenticabile esperienza da vivere con gli amici e in famiglia.
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di Raffaella Scortichini
Rossini Opera Festival - ROF XL Ah, che bel vivere, che bel piacere (che bel piacere) Per un barbiere di qual ita! (di qualita!)… Nella città natale di Gioachino Rossini, quest’anno il cartellone prevede tre importanti titoli operistici nel cartellone: Semiramide, L’Equivoco stravagante e la ripresa di Demetrio e Polibio in programma dall’8 al 20 agosto. www.rossinioperafestival.it Macerata Opera Festival La 55a edizione del festival sarà #rossodesiderio, declinato nei toni della gelosia, del potere e della possessività, evocati rispettivamente da Carmen, Macbeth e Rigoletto, le tre opere in programma allo Sferisterio dal 19 luglio all’11 agosto. www.sferisterio.it
Gigli Opera Festival Alla sua terza edizione accoglierà nel cortile di Palazzo Venieri di Recanati artisti, musicisti e spettatori. Saranno proprio quest’ultimi ad immergersi nella scena “per vivere l’Opera da protagonisti” grazie all’approccio ideato dal Maestro Serenelli. Due le opere in calendario: il 24 luglio “Cavalleria Rusticana” di Mascagni e il 12 agosto “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini. www.teatropersiani.com
Templaria festival La XXX edizione delle magiche notti da medioevo racconta “Ex tenebris Lux – Dal buio alla luce” a Castignano dal 17 al 21 agosto. L’iniziativa celebra il passaggio dal buio alla luce ed è la sintesi perfetta di un percorso che ci ha permesso di raccontare l’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo, di comprendere come mai in così poco tempo i Templari siano entrati prepotentemente nella storia, ma soprattutto di mostrare come quegli anni, a partire dalla prima crociata fino allo scioglimento dell’ordine del tempio, siano un inesauribile serbatoio di suggestioni culturali, religiose e politiche dal quale estraiamo ancora materiale a volontà per racconti e narrazioni di vario genere. La XXX edizione di Templaria, Ex Tenebris Lux, è il riassunto di un lungo viaggio irto di misteri, imprigionato nelle superstizioni, dominato da quel genere di paure che spesso nella storia sono state un potente strumento di manipolazione. Fuori dalle tenebre è la luce di un approdo lucido e consapevole che tenterà di squarciare il buio, di svelare la verità sui tanti luoghi comuni che ancora caratterizzano l’età medievale. www.templaria.it
LE RIEVOCAZIONI STORICHE
I CLASSICI,TRA CONCERTI E OPERE
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La “Festa Bella” di Spelonga Ad Arquata del Tronto torna la rievocazione storica triennale legata alla battaglia di Lepanto: l’edizione 2016 fu bruscamente interrotta dal terremoto. Un tronco di circa 40 metri, tagliato nei boschi dei Monti della Laga, trasportato a mano (per 15 chilometri, seguendo un rituale codificato) e innalzato come “albero maestro” di una nave battente bandiera turca. La sagoma viene ricostruita nella piazza del paese, a ricordo della Battaglia di Lepanto: lo scontro navale del 7 ottobre 1571 tra le forze cristiane e la flotta turca, guidata da Mohamed Ali, di fronte alla Grecia, nel golfo oggi di Nafpaktos. Un’epica pagina storica legata alle crociate che, ogni tre anni, rivive a Spelonga, borgo di Arquata del Tronto (AP) con la “Festa Bella” del mese di agosto. Una rievocazione non estemporanea, ma legata alla partecipazione di 150 spelongani alla battaglia: al loro ritorno, vittorioso, portarono la bandiera turca strappata dalla nave ammiraglia nemica. Il cimelio, più volte autenticato, si trovava nella chiesa di Sant’Agata. È stato custodito, per tre anni, nella sede vescovile di Ascoli, dopo essere stato salvato dal terremoto e riportato nel Centro polifunzionale di Arquata, in occasione della festa. L’ultima edizione del 2016 è stata interrotta dal terremoto, con lo sciame sismico iniziato il 24 agosto, nel bel mezzo degli eventi in programma. Quella del 2019 rappresenta, dunque, non l’ennesima edizione della festa, dalla notevole valenza storica e culturale, ma la “ripartenza” della comunità dopo il terremoto. Dal 2 agosto al 1° settembre www.spelonga.it
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© A. Masnovo
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La Cavalcata dell’Assunta La Cavalcata dell’Assunta di Fermo è la rievocazione storica più antica d’Italia. Riproduce corteo, celebrazioni religiose e tornei legati, fin dal 1182, alle festività patronali della Madonna Assunta. In tardo Medioevo rappresentava un mezzo per ribadire la supremazia della città sul territorio. Lo testimonia una pagina miniata del Messale De Firmonibus (1436) a cui la rievocazione si ispira e che è riprodotta nel gonfalone della Cavalcata. Ieri come oggi, la vittoria nella corsa dei cavalli assegna il Palio dell’Assunta. Nei giorni precedenti, la rivalità tra le dieci contrade di Fermo si esprime sia a tavola nelle hostarie, che nelle sfide dei giochi storici. Precede il Palio del 15 agosto, la Tratta dei Bàrberi e il sorteggio con cui i cavalli sono abbinati alle contrade. www.cavalcatadellassunta.it
La Disfida del bracciale La Disfida del Bracciale a Treia si rifà al periodo storico dei primi anni del XIX secolo, quell’Ottocento foriero di grandi cambiamenti sociali e politici che coincise con la stagione d’oro del bracciale, quella di Carlo Didimi. Nobile treiese, fu grandissimo come giocatore e come uomo. Ricordandone i fasti, la città si tuffa letteralmente in un atmosfera di altri tempi fatta di una minuta ed attenta ricostruzione della vita dell’epoca in tutti i suoi quartieri. Ogni sera dal 24 luglio al 4 agosto il centro storico è animato da spettacoli, musica, animazione, appuntamenti con il teatro. www.prolocotreia.it
Quintana di Ascoli A partire dal XIII secolo le Giostre furono più numerose dei Tornei, trasposizione “ludica” e celebrativa dei tornei, tanto vivo e diffuso fu l’amore per tali feste, che se ne vollero correre dappertutto. Non fa eccezione la città di Ascoli Piceno con la sua “Quintana” in onore a Sant’Emidio, patrono della città. L’appuntamento quest’anno in Piazza Arringo coinvolgerà come suo solito tutta la città dal 14 luglio e 4 agosto. www.quintanadiascoli.it
La Contesa dello Stivale La Contesa dello Stivale è una corsa a staffetta in costume tra i rappresentanti delle contrade. I concorrenti devono essere tutti filottranesi in numero di sei e preferibilmente contradaioli. Possono essere anche di sesso femminile purché idonei fisicamente. Gli staffettisti gareggiano col costume della contrada, pantaloncini e scarpe idonee alla corsa e portano una torcia fatta da stracci pece e cera che deve rimanere accesa lungo l’intero percorso. La contrada vincitrice della staffetta ha l’onore di dar fuoco al fantoccio di paglia che rappresenta l’ignoto cavaliere osimano che si fece sfilare lo stivale fuggendo e di conservare per un anno intero lo stemma dello stivale, come simbolo di vittoria sulle altre contrade. A Filottrano dal 1 al 4 agosto. www.contesadellostivale.com
Contesa del Secchio La leggenda vuole che nel tardo Medioevo Sant’Elpidio a Mare soffriva di penuria d’acqua, e per evitare la quotidiana gazzarra delle donne al pozzo situato nella piazza principale, si indisse un gioco a cui dovevano partecipare le quattro contrade cittadine (San Giovanni, Sant’Elpidio, Santa Maria e San Martino). Ogni contrada doveva schierare una squadra di sei giocatori (più due riserve) formata dai giovani contradaioli più prestanti e atletici, capaci di reggere ai colpi dell’avversario e portare la propria bandiera più in alto delle altre. Infatti la contrada che si aggiudicava il gioco aveva il diritto di attingere per prima all’acqua dal pozzo cittadino mentre le contrade sconfitte dovevano attendere il loro turno e potevano beneficiare dell’uso del pozzo a seconda del loro piazzamento nel gioco. www.contesadelsecchio.org
Palio storico giuoco dell’oca Dal 3 all’11 agosto l’incantevole borgo di Cagli torna a evocare i fasti rinascimentali e un passato di dame e cavalieri che con il palio, una tradizione che in trentadue edizioni ha raccontato e fatto vivere uno dei giochi più antichi e coinvolgenti del panorama folcloristico nostrano. E’ previsto ancora una volta di riunire i quattro quartieri di Sant’Agostino, Sant’Angelo, Sant’Andrea e San Francesco, ognuno con i propri sgargianti colori a rappresentare un pezzo di paese in fibrillazione per un’occasione da non perdere. www.giochistoricidicagli. it/palio-storico-dell-oca/
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UN OCCHIO AI PIÙ PICCOLI E NON SOLO Fiastra Fantasy Fiastra Fantasy è un’iniziativa per tutte le età: per chi vuole vivere un’avventura senza precedenti in uno dei luoghi più suggestivi della regione e per chi ama sperimentare e non rinuncia alla fantasia. Il 14 e 15 settembre 2019 si svolgerà la seconda edizione di questa avventura fantasy tutta ambientata nel cuore dei Monti Sibillini. Tra le rovine del Castello Malagotti di Fiastra, affacciati sull’omonimo lago, si potrà assistere al raduno dell’esercito capitanato dalla generalessa nana Irgendin, che intende fermare l’avanzata del Negromante. Ci si può unire in qualsiasi momento alla storia partecipando a questo originale gioco di ruolo senza regole da seguire, scegliendo se diventare mercenari per dare la caccia al Negromante o se inseguire la vita eterna insieme alle Elfe del bosco. www.lagodifiastra.it
Sibyllarium Festa internazionale delle fate e del popolo magico a Fornara di Acquasanta Terme che dal 24 al 25 di agosto vi permetterà di entrare nella corte della Regina Sibilla, nel suo bosco popolato da animali magici, elfi, gnomi e fate, che vi aspettano per una grande festa in simbiosi con la natura. Dal mattino fino a tarda notte esplorerete tutto ciò che il piccolo popolo ha da offrire: spettacoli, canti, danze, laboratori, esposizioni, mercatini, buon cibo e allegria. La sartoria delle fate è sempre all’opera. Potrete aiutarle a realizzare splendidi abiti per la vita nei boschi. Gli elfi potranno costruire le loro corone e imparare a usare i loro archi. Un falconiere vi illustrerà i magici segreti dei lupi e farà spiccare il volo ad aquile, falchi, gufi e civette. L’erpetologo vi guiderà alla scoperta dei draghi di oggi: i rettili e gli insetti. Potrete inoltrarvi nella tela dorata del re degli aracnidi, osservare animali magici nelle loro metamorfosi e le illusioni che il druido creerà per voi, per poi perdervi nelle visioni magiche delle sfere della Sibilla. Quando la notte scenderà non fuggite, ma accendete la vostra lanterna e restate ad ammirare gli spettacoli che il piccolo popolo offrirà in dono per la grande festa e le stelle che sopra la vostra testa danzeranno. www.sibyllarium.it 54 | WHY MARCHE
The Magic Castle Gradara C’è un’Isola-che-non-c’è per ogni bambino, e sono tutte differenti. (Sir James Matthew Barrie) Immaginate un castello sospeso nel tempo e nello spazio, dove ogni anno si danno appuntamento in una grande festa immensi draghi, luminose fate e mille altri personaggi fantastici. È un’invasione di emozioni, un tripudio di colori, suoni, musiche e profumi. È il luogo del sorriso, della meraviglia, dell’immaginazione. È il luogo dove ogni gioia è possibile dal 4 al 7 agosto. www.gradara.org
Labirinto di Hort Uno dei più grandi labirinti di mais del centro Italia, una location suggestiva immersa nel verde a due passi dal mare, il divertimento più green dell’estate a Senigallia. www.hort.it
Jova beach party Il 3 agosto il Lido di Fermo si trasforma in una città temporanea tutta dedicata al Java beach party. Un villaggio sulla spiaggia, un nuovo format di concerto, un happening per il nuovo tempo. C’è il mare, la musica, la gente, la vita. www.jovanottitour.com/jova-beach-party
INTRATTENIMENTO
Montelago Celtic Festival Dall’1 al 3 agosto 2019 a Serravalle del Chienti. La rassegna di musica e cultura celtica è la più grande d’Italia con tantissimi concerti su tre palchi con i migliori gruppi devoti a questa missione. E ancora laboratori, conferenze, rievocazione, matrimoni, sport, giochi e attività green all’aria aperta all’insegna della tradizione e con tante novità. www.montelagocelticfestival.it
RisorgiMarche Neri Marcorè, con la tenacia tipica del marchigiano doc, organizza per il terzo anno consecutivo l’evento musicale unico nel suo genere, un festival all’insegna della solidarietà per la rinascita delle comunità colpite dal sisma 2016. Tanti gli ospiti anche quest’anno che si esibiranno in palcoscenici naturali delle Marche sino al 7 agosto. www.risorgimarche.it
FESTIVAL ENOGASTRONOMICI
Summer Jamboree Un tuffo nelle atmosfere dell’America anni ’40 e ’50, quando imperavano i jubox e il movimento pelvico di Elvis Presley infiammava le masse. Un tributo alla musica di quegli anni. Un festival internazionale dal 31 luglio al 12 agosto. www.summerjamboree.com
Sagra della Lumaca Giunta alla sua 37° edizione la sagra è un tradizionale appuntamento, particolarmente atteso, che richiama molti appassionati di questa gustosa pietanza, cucinata sapientemente dalle cuoche del posto secondo le ricette tradizionali. Dal 1° al 4 agosto a Cancelli di Fabriano. Festival del Vino Cotto Il vino cotto è un’eccellenza del Comune di Loro Piceno. La manifestazione è una vetrina estiva dove poter conoscere ed apprezzare questo meraviglioso prodotto, utilizzato in svariati ambiti dell’enogastronomia. Vino fruttato, di grande sapore, con cui chiudere i pasti importanti. Il festival è inoltre un’occasione per visitare mostre e musei aperti, stand gastronomici a km zero, musica dal vivo nelle piazze dal 22 al 25 agosto. Ascoliva Festival Una manifestazione di elevato livello qualitativo che nasce per promuovere quello che da molti è considerato il miglior prodotto gastronomico delle Marche: l’oliva ripiena ascolana. Conosciuta in tutto il mondo, rappresenta una ricchezza inestimabile da difendere e tutelare dalle contraffazioni che ne snaturano il sapore, la qualità e la storia. Ad Ascoli Piceno dal 9 al 19 agosto in Piazza Arringo. www.ascoliva.it WHY MARCHE | 55
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L’AMORE E LA CURA PER GLI ANIMALI DEL PARCO ZOO FALCONARA
di Fabrizio Cantori
C
hissà se quando nel 1974 Italo Palanca ospitò il primo leone avrebbe mai immaginato che nel 2019 il Parco Zoo Falconara sarebbe stato considerato un’eccellenza in Italia, riconosciuto come tale anche nel resto d’Europa. Una crescita esponenziale di qualità certificata dall’appartenenza al circuito UIZA (Unione Italiana Zoo e Acquari), che ad oggi conta diciassette associati e si propone di promuovere in Italia l’idea delle strutture zoologiche come strumento di conservazione, educazione naturalistico-ambientale e ricerca scientifica, e dal 2006 a quello dell’EAZA, l’associazione che riunisce i migliori zoo e acquari a livello europeo e sviluppa programmi di riproduzione controllata, promuovendo la collaborazione tra gli associati per la ricerca scientifica e progetti di conservazione in natura. Attenzione precipua alla sensibilizzazione e alla divulgazione caratterizzano lo Zoo di Falconara, ma i protagonisti rimangono sempre loro: gli animali. Benessere e cura delle specie ospitate sono al primo posto tra le priorità dello zoo. Ogni reparto è progettato nel rispetto delle esigenze di vita degli animali che ospita, assecondandone le abitudini del loro stato naturale. Non deve stupire, quindi, che per esempio al leone, animale tanto maestoso quanto pigro, sia dedicato un ambiente meno ampio rispetto al ghepardo, che per questioni fisiologiche ha bisogno di molto spazio. Massima cura è ovviamente posta anche alla loro alimentazione: all’interno dello zoo è addirittura presente una cucina a vista dove i visitatori possono assistere alla preparazione attenta dei pasti. Biologi e veterinari tengono sempre sotto controllo il corretto procedere della vita degli animali e ne studiano le esigenze e la crescita, mentre i keepers si prendono cura di loro quotidianamente distribuendo il cibo e occupandosi della loro pulizia. Animali che, è giusto ricordarlo, non vengono strappati alla natura come ancora qualcuno erroneamente crede: tutte le specie presenti negli zoo qualificati sono nati e cresciuti in cattività, in un’ottica di conservazione delle specie e delle biodiversità. Molti animali infatti, senza l’opera di preservazione degli zoo, sarebbero già del tutto scomparsi. L’attenzione al rispetto degli standard di qualità per il benessere delle specie ospiti è massima, e in questo gioca un ruolo importante anche la comunicazione: i vari zoo italiani ed europei fanno rete e si confrontano costantemente per essere sempre aggiornati gli uni con gli altri. Nel 2018 il rispetto di questi requisiti ha consentito allo Zoo di Falconara, in occasione del suo 50° anniversario, di far arrivare una coppia di okapi, rarissima specie della famiglia dei Giraffidi minacciata di estinzione. Il giardino zoologico marchigiano è il primo e unico in Italia ad ospitare i due animali, che mancavano nel nostro Paese da ben 60 anni, dopo essere stato scelto tra 20 candidati in Europa. Un motivo di orgoglio e di prestigio, che Photos Andrea Tessadori
conferma la voglia di crescere e offrire un’esperienza sempre più affascinante al visitatore, ma anche ragionata. Nel 2019 il Parco avrà infatti un’area dedicata alle foreste, con l’obiettivo di sensibilizzare ulteriormente i visitatori ad una maggiore responsabilità nelle questioni ambientali. In questo contesto si inserisce l’arrivo di due femmine ed un maschio di saki, una scimmia originaria proprio delle foreste brasiliane, tra le più colpite dal disboscamento. Il Parco Zoo non si accontenta: si sta già lavorando per la costruzione di una nuova, grande voliera, oltre alla continua ristrutturazione e riqualificazione delle aree già presenti, seguendo quella visione che punta più alla qualità che alla semplice accumulazione, tanto cara a Renato Piccinini. La volontà di difendere animali e natura permea tutta la politica dello zoo, che in tal senso si è impegnato a ridurre al massimo plastica e prodotti chimici usati nel ristorante e nel resto della struttura. Una giornata nel Parco Zoo Falconara significa quindi immergersi nella natura con i fantastici animali che la popolano, in una struttura all’avanguardia che offre opportunità e divertimenti adatti ad ogni età. L’occhio di riguardo ai bambini non trascura comunque i più grandi a cui sono dedicati l’Aperizoo, un aperitivo seguito da una visita guidata nel dietro le quinte dello zoo, e lo zoobilato, l’addio al nubilato a tema all’interno della struttura. Il tutto, è giusto ricordarlo, in una splendida cornice verde affacciata sullo sfondo cristallino del nostro mare Adriatico, che certo non stona con i paesaggi esotici che le specie presenti nel Parco Zoo sanno evocare.
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A NIMA
Wedding in
ETRITOLI
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ome molti piccoli paesi dell’entroterra, anche Petritoli, comune di 2500 abitanti della Valle dell’Aso, ha vissuto un progressivo spopolamento, la chiusura di aziende agroalimentari e di diverse attività commerciali. Ma è rinato da quando è diventato meta di turisti stranieri che scelgono questo bellissimo borgo medievale per pronunciare il fatidico sì, o meglio yes, oui, ya, да, ecc. Il business è nato in maniera fortuita nel 2007 quando degli operatori turistici del nord Europa, residenti a Petritoli, dopo il matrimonio di una coppia di amici tedeschi, hanno pubblicizzato l’evento e il luogo in circuiti turistici internazionali. Le prime coppie di sposi hanno saputo trasmettere attraverso il semplice passaparola l’unicità dell’evento, la bellezza dei luoghi, la genuinità della popolazione e l’atmosfera tutta italiana che qui si respira. La risposta è stata sorprendente. Ogni anno, tra aprile e ottobre, a Petritoli si celebrano tra i 15 e i 20 matrimoni stranieri sia con rito civile che religioso. Le coppie arrivano da tutto il mondo: Gran Bretagna, Germania, Russia, Australia, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Cina, Giappone accompagnati da una cinquantina di parenti e amici. I segreti del successo? Prima di tutto la posizione nelle tranquille colline tra i monti Sibillini e il mare Adriatico, la bellezza del borgo, accortamente restaurato e valorizzato, l’ospitalità riservata
Photo Sito Comune Petritoli 58 | WHY MARCHE
alle coppie e al loro seguito sia dalle strutture ricettive di alto livello sia dai petritolesi. A ciò si aggiunge un’amministrazione comunale intelligente che ha saputo cogliere immediatamente la palla al balzo stilando linee guida speciali per mettere a disposizione per cerimonie e banchetti gli angoli più suggestivi del borgo. Infatti a Petritoli è possibile celebrare il rito civile oltre che nella sala consiliare anche nei sontuosi interni dell’ottocentesco Teatro dell’Iride, in piazza della Rocca, nel balcone della Torre Civica e nell’Orto dell’Asilo. Per il banchetto viene proposta la piazza principale, proprio sotto la torre, che per l’occasione viene sgombrata, chiusa e splendidamente imbandita. Immaginate quanto possa essere meraviglioso pronunciare il sì all’interno di un piccolo quanto prezioso teatro o di fronte a una vista mozzafiato dai Sibillini all’Adriatico e poi avere tutta la piazza del paese per cenare, festeggiare e ballare! Ma non è tutto. Le coppie straniere sono aiutate nell’intera organizzazione dell’evento da Palazzo Mannocchi e, negli ultimi anni, dalla Cooperativa Tu.Ris. Marche e da altri planner che possono suggerire catering, fotografo, fiorista, auto, addio al nubilato, musica e animazione in linea con il tema del matrimonio e i desideri degli sposi. Inoltre agli invitati che soggiornano per più giorni nello storico Palazzo Mannocchi, o in agriturismi vicini, nei giorni precedenti e seguenti
di Silvia Brunori
Il borgo fermano è da anni la destinazione preferita dalle coppie straniere per celebrare con famiglia e amici il giorno più bello della loro vita in stile italiano, in una magica atmosfera tra architetture medievali, ottimo cibo e vino e un’accoglienza calorosa! Photo Andrea Tessadori
il matrimonio, viene offerta una perfetta vacanza marchigiana: possono essere organizzate escursioni alla scoperta della cultura o della natura variegata, esperienze sportive o di benessere, esibizioni di gruppi folkloristici, visite a cantine e aziende con la degustazione dei prodotti locali. Nel 2016 il caso di Petritoli come destination wedding è stato analizzato nella sua tesi di laurea da Teresa Bentini la quale ha potuto concludere che il progetto è riuscito per l’impatto economico diretto e indiretto che coinvolge non solo Petritoli ma tutto il territorio circostante. Infatti, dopo anni di declino, il centro storico ha visto crescere il numero delle attività commerciali, sono sorti agriturismi e ristoranti, altre attività commerciali si sono risvegliate e il trend demografico si sta invertendo. I petritolesi non sembrano soffrire dell’intrusione dei turisti tra i vicoli e del baccano dei banchetti poiché rivedono, a distanza di anni, molti degli invitati tornare. Per chi non lo conoscesse, Petritoli è un comune della provincia di Fermo formatosi nell’Alto Medioevo dall’unione, per motivi difensivi, dei tre villaggi di Petrosa, Petrania e Petrollavia
attorno al centro monastico farfense ubicato nell’odierna piazza della Rocca. Nel 1800 Petritoli raggiunse il massimo splendore architettonico e culturale con la costruzione dei monumenti più significativi e l’apertura della Stamperia Fabiani. Chi arriva a Petritoli non può non fermarsi ad ammirare i Tre Archi che accolgono il visitatore verso il cento storico. Costruiti nel 1872 in stile neogotico, sostituiscono l’antica porta Petrania, unendo i due bastioni del XV secolo. Il già citato Teatro dell’Iride è ancora il centro dell’attività culturale del comune con la stagione di prosa, di musica e soprattutto, con il Concorso Internazionale di Oboe Giuseppe Tomassini, prestigioso oboista petritolese. Il piccolissimo teatro, inaugurato nel 1875, su progetto dell’ingegner Sabbatini, s’ispira a quello della Fortuna di Fano che ripropone gli schemi più in voga del XVIII secolo. In quello che era il primordiale abitato di Petritoli, il centro monastico, oggi
troviamo piazza della Rocca in cui spicca la torre civica del 1827 sorta sulle fondamenta dell’antica torre della rocca medievale. Con i suoi oltre 40 metri di altezza, domina la piazza e consente di ammirare un panorama da togliere il fiato. La sua architettura eclettica è fortemente simbolica: la base quadrata indica l’uomo ancorato alla terra, il parallelepipedo sovrastante esprime il desiderio di stabilire un rapporto tra terra e cielo, l’ottagono del terzo livello è simbolo di resurrezione. La cupola sferica alla sommità rappresenta la perfezione ma posta sul cilindro che a sua volta appoggia su una base ottagonale, rappresenta l’incarnazione di Gesù, ponte per avvicinarci al grande architetto, cioè Dio. C’è ancora molto da vedere a Petritoli: Palazzo Vitali in gotico veneziano, le splendide chiese, l’antica stamperia Fabiani. Ma ancora più bello sarà perdersi tra le sue vie e ammirare gli scorci verso le colline che la circondano. WHY MARCHE | 59
M ENTE
Le piante della nonna, diventano GREEN CAKE Fiori, piante aromatiche ed erbe spontanee diventano torte green per arredare le tavole, arricchire i menu e riscoprire sapori e proprietà benefiche della tradizione contadina, ma in chiave moderna e simpaticamente POP. “Assaggia”, disse sua nonna.
Prese la pianta che la nonna aveva appena strappato dalla terra nella sua campagna e con una certa titubanza mise in bocca le strane foglie verdi, e lentamente iniziò a masticare scoprendo sempre di più aromi intensi mai esplorati. Era un grugno e da quel giorno la passione per le piante commestibili e non, divenne per Alessandro Magagnini un percorso di vita che insieme all’amore innato per la natura è diventata una professione. Il contatto con la campagna, le nonne e tutte le tradizioni della vita sana, purtroppo non sono più a portata di mano. Trascinati dalla vita indaffarata in città e da alimenti sempre più confezionati fuori dalle nostre case, trascuriamo quel piacere autentico del contatto con la natura e ciò che ci offre per vivere meglio. Se non andiamo in campagna allora la campagna può arrivare sulle nostre tavole anche in modo inedito sotto forma di pizza o di torta green. A far da condimento ci sono i fiori, le piante e le erbe spontanee quelle dell’almanacco della nonna, ma questa volta con precisi abbinamenti a cibi, gelati e vini studiati insieme a chef e pasticceri. Le piante spontanee vivono in natura su pochissima terra, con condizioni estreme e il loro obiettivo è concentrare gli oli essenziali per attirare gli insetti impollinatori, ci svela Alessandro. Così le piante di campagna “non sono
viziate” dall’irrigazione e da troppe cure concentrando gli oli essenziali sprigionando odori e gusti più intensi. Con questo principio le green cake sono la soluzione per avere la campagna al centro di ogni tavola e accompagnare i pasti abbinando la giusta specie vegetale. Dai consigli di Alessandro allora iniziamo a scoprire che nella pianta sono presenti tre profumazioni diverse con tre tipologie di oli essenziali diversi. La foglia è meno ricca di oli essenziali e può essere utilizzata per carni bianche o pesce così il sapore delle pietanze non viene coperto. Poi c’è l’apice del germoglio, quello più intenso perché più giovane, forte e ricco di oli essenziali da utilizzare per le carni grasse come il vitellone o la carne di maiale.Infine il fiore che rappresenta la massima espres-sione della pianta. È la parte più delicata con un retrogusto più dolce da utilizzare per i dolci e le insalate. I fiori di rosmarino si utilizzano per le cheesecake e per dolci con frutti di bosco perché stemperano l’acidità. Ogni stagione ha la sue piante che assecondando i bisogni dell’uomo nelle varie fasi dell’anno. L’estate e il grande caldo mettono a dura prova il sistema vascolare così la natura ci mette a disposizione i frutti rossi che facilitano l’azione cardiaca. Ugualmente la primavera, quando il corpo ha più bisogno di ripulirsi e disintossicarsi dall’inverno, abbiamo a disposizione le erbacee perenni spontanee come il © Foto: Cristina Affede e Martina Marzioli
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di Alessandro Carlorosi
ALESSANDRO MAGAGNINI È laureato in progettazione parchi e giardini presso l’Università di Bologna. Classe 1988, È nato e cresciuto a Recanati nell’azienda florovivaistica di famiglia che dal 2010 conduce con il fratello Massimiliano. Nel 2013 è stato il vincitore giornale del concorso Oscar Green con il prato prêt à porter. Nel 2015 e stato finalista nazionale al concorso Oscar Green nella categoria WeGreen, con le green cake. Dal 2013 è stato ospite televisivo alla trasmissione “Unomattina” su RaiUno e conduce uno spazio su TV2000.
tarassaco e la malva che ripuliscono il fegato e abbassano il contenuto glicemico nel sangue. In autunno possiamo prepararci insieme alla natura con scorte di energia grazie alla frutta più ricca come cachi, melograni e la frutta secca nel pieno inverno. La poca terra e lo strato di sedum della torta green sono la base perfetta per le gustose piante aromatiche spontanee della nonna totalmente edibili. La torta è l’evoluzione della permacoltura dove ogni pianta fa sinergia con le altre vicine in uno scambio continuo di aiuto che finisce
per migliorare la vita di ciascuna. Gli ingredienti delle green cake possono assecondare ogni occasione culinaria e gli appuntamenti di festa. Cocktail a base di vodke possono essere esaltati dal sedum e il rum dalla menta al cioccolato. La parietaria ha più ferro degli spinaci e più potassio delle banane. La sua azione è potentissima e nel medioevo veniva somministrata agli anemici per introdurre il ferro nella dieta soprattutto dei regnanti che usavano accoppiarsi tra loro. La gramigna è ricchissima di silice che oltre all’azione funginea contro l’irritazione, facilita l’assimilazione di calcio nelle ossa per
chi ha problemi di osteoporosi. Salvia alloro e timo serpillo sono la trilogia perfetta contro i malanni di stagione come tosse, mal di gola, raffreddore, disturbi gastrointestinale e dolori mestruali. L’alloro facilita la digestione delle ci polle e delle melanzane. Sottovalutiamo il potere del profumato rosmarino che alza anche la pressione, stimola la memoria e la concentrazione. Ogni green cake è un piccolo grande orto botanico per divertirsi, arredare la tavola e assaggiare le piante aromatiche con abbinamenti sempre nuovi e riscoprire i sapori di una volta. WHY MARCHE | 61
M ENTE
CARTA E FILIGRANA A FABRIANO: L’ESEMPIO DI CARIFAC’ARTE
Novità introdotta dal presidente della Fondazione Carifac Marco Ottaviani
F Il complesso Le Conce - Fabriano
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abriano, un notevole impulso alla valorizzazione della carta e della filigrana, viene fornito dalla neonata Carifac’Arte, il cui quartier generale è ubicato presso il complesso Le Conce, di proprietà della Fondazione Carifac (presidente Marco Ottaviani), società a responsabilità limitata coniata per la diffusione dei saperi antichi. Qui l’arte viene insegnata per divulgare e sperimentare gli antichi mestieri. Carifac’Arte, nel contesto di una convenzione europea “Erasmus +”, ha da poco accolto due studenti francesi del LYPSO, liceo di Saint-Omer a nord di Parigi, per uno stage di due settimane. Ad attenderli i maestri artigiani Bruno Sebastianelli e Sandro Tiberi, i quali hanno insegnato le tecniche per la realizzazione di una filigrana in chiaro che ha riprodotto il logo del liceo. I ragazzi hanno imparato ad incidere il blocco di cera usando bulini affilati con tagli di varie dimensioni fino a giungere alla creazione delle tele assemblate mediante imbastitura con filo di acciaio. L’ideazione della cornice ha completato il foglio d’autore. I ragazzi hanno portato nella loro scuola un’opera
di Alessandro Moscè unica, frutto di anni di esperienza dei maestri artigiani di scuola fabrianese. E’ in programma nel 2020 una rassegna con annesso un Premio Internazionale della Filigrana, che consentirà la frequentazione di corsi di qualificazione professionale per il recupero della figura del Mastro Cartaio e del Filigranista, in partnership con l’Istituto Tecnico Industriale, l’Università degli Studi di Camerino e la Regione Marche. Già nella scorsa primavera, con le giornate del FAI, ben 2.000 persone provenienti da ogni parte d’Italia avevano preso d’assalto i locali della bottega artigiana alle Conce. Ma la carta è anche altro: il dialogo con l’acquarello; con il disegno creativo; con la musica per la costruzione di strumenti a percussione; con gli archivi; con il mondo del libro letterario e d’arte; con la rilegatura; con gli ex libris; con le sculture in carta allestendo workshop permanenti e network days; con Presidente della Fondazione Carifac Marco Ottaviani
la carta regalo stampata a mano ecc. Sinergie da città creative di cluster diversi anche per due eccellenze italiane: il Tartufo bianco d’Alba e la carta filigranata a mano di Fabriano. Preziosi sacchetti numerati hanno avuto l’onore di avvolgere l’oro bianco certificato delle Langhe piemontesi e di essere acquistati in occasione
dell’89° Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba in programma dal 5 ottobre al 24 novembre prossimi. “I prodotti simboli delle città creative Unesco di Fabriano (cluster Artigianato e Tradizioni Popolari) e di Alba (cluster Gastronomia) hanno aumentato, nella reciprocità, le loro rispettive unicità”: questo il commento del presidente della Fondazione Carifac Marco Ottaviani. “I contatti fra noi, la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e l’ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba sono iniziati circa un anno fa. Nel corso dell’Annual Conference Unesco svoltosi a Fabriano abbiamo gettato le basi per una fattiva collaborazione”, aggiunge Ottaviani. “Attraverso la nostra società strumentale, Carifac’Arte, l’accademia per la riscoperta degli antichi mestieri ha prodotto sacchetti di carta filigranata numerati che contenevano i tartufi certificati. Con questa sinergia si rende evidente la linea che la Fondazione Carifac sta portando avanti da tempo. Attraverso una fitta rete di relazioni passiamo da un insieme di progetti ad un progetto di sistema”.
Fontana Sturinalto e Palazzo Podestà Fabriano
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TELEFONIA:
IN ARRIVO RIMBORSI PER FATTURAZIONE A 28 GIORNI
I
l caso delle bollette a 28 giorni è scoppiato nel 2017, quando le compagnie telefoniche con un vero e proprio blitz, hanno cambiato i periodi fatturazione. La fatturazione è così passata da mensile a 28 giorni, con il risultato che gli utenti hanno pagato circa tre giorni in più per ogni mese, in sostanza tredici mensilità l’anno invece che dodici.
Le associazioni dei Consumatori si sono subito rivoltate contro questa prassi, tanto che è stata infine ottenuta una legge che oggi prevede espressamente che la fatturazione deve essere mensile. Ad aprile 2018 l’Agcom ha vietato alle compagnie telefoniche questa pratica scorretta, obbligandole a tornare alla fatturazione mensile, ma con un problema: chi restituisce ai consumatori quello che hanno versato in più? L’Agcom aveva già stabilito che le compagnie dovevano procedere ai rimborsi, inizialmente previsti per dicembre 2018, poi la data è stata spostata a marzo 2019 e infine a maggio 2019. Le compagnie telefoniche hanno fatto opposizione in tutte le sedi, rivolgendosi infine al Consiglio di Stato. Tuttavia, a favore dei consumatori, il Consiglio di Stato ha respinto i ricorsi presentati da Vodafone, Wind 3 e Fastweb, e a breve valuterà anche quello di Tim, analogo e dunque si presume destinato ad avere lo stesso trattamento. Le compagnie telefoniche, dunque, dovranno procedere ai rimborsi, restituendo agli utenti i giorni erosi con le bollette “accorciate” e soprattutto in modo automatico (senza cioè bisogno di presentare richieste). Il Consiglio di Stato ha inoltre confermato la multa già prevista dall’Antitrust, dimezzata dal Tar, pari attualmente a 580mila euro. Le associazioni dei consumatori, in prima linea nelle battaglie su questo fronte, cantano vittoria: gli indennizzi devono essere automatici e immediati e devono prescindere dalle richieste degli utenti. Le compagnie telefoniche non hanno ora più scuse, hanno l’obbligo di provvedere. Per quanto concerne il “quantum” si stima che si tratti dell’equivalente di un importo compreso tra 30 e 50 euro pro capite. Ma occorre fare attenzione: infatti, già dal mese di giugno, le compagnie stanno cercando di evitare il rimborso diretto, offrendo ai propri clienti indennizzi sotto forma di minuti, traffico internet gratis, servizi aggiuntivi gratuiti per un certo periodo. Ma i consumatori devono prestare massima
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attenzione: tali offerte sono infatti a costo zero per le società della telefonia e potrebbero non compensare il credito effettivo per le fatturazioni a 28 giorni. Inoltre è necessario sapere che i consumatori non sono e non saranno obbligati ad accettare le proposte alternative al rimborso. Conviene fare qualche conto, prima di decidere. Una situazione, insomma, che non solo genera confusione, ma rischia di privare gli utenti di un diritto loro riconosciuto, in quanto non tutti conoscono le modalità per accedere ai rimborsi che – lo ribadiamo – devono essere automatici in bolletta.
I consumatori sono liberi di scegliere il servizio gratuito al posto del rimborso in fattura, ma deve essere chiaro che con l’accettazione del servizio gratuito si perde il diritto ad avere il rimborso sotto altra forma; il consumatore può dunque non accettare la proposta della compagnia telefonica e avvalersi invece del rimborso in bolletta. Per quanto concerne il periodo interessato, segnaliamo che il periodo soggetto a ricalcolo e rimborso va dal 23 giugno 2017 fino alla ripresa della fatturazione mensile che deve essere avvenuta non oltre il 5 aprile 2018. Un problema si pone, in particolare, per tutti coloro che hanno cambiato operatore, e che non potranno quindi beneficiare del rimborso automatico: in questo caso è consigliabile inviare reclamo alla vecchia compagnia, richiedendo il rimborso degli importi dovuti e, in caso di diniego, rivolgersi alle associazioni di consumatori. Adiconsum Marche invita pertanto i consumatori a fare molta attenzione, a verificare la convenienza dell’offerta dei servizi gratuiti e anche se rispondono alle proprie esigenze, sapendo comunque che sussiste il diritto di non accettare l’offerta e richiedere il rimborso in bolletta. Ora non ci resta che attendere e verificare come si comporteranno le compagnie telefoniche. Loredana Baldi Adiconsum Marche
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P ERCHÉ
IL SUOLO RADICE DI VITA
Il progetto
ARCA
e le riflessioni di
BRUNO GARBINI
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elle Marche agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso il 75% del reddito prodotto derivava dalle attività agricole, con un’agricoltura e un allevamento misti destinati per lo più all’autoconsumo (frumento, vite, bovini, suini), che occupavano due terzi della popolazione e avevano basse redditività. Era il periodo dominato dalla mezzadria. Come in altre regioni dell’Italia centrale, e soprattutto in Toscana, anche nelle Marche la conduzione dei fondi agrari si è basata per secoli sulla mezzadria, organizzazione di origine medievale imposta dai proprietari borghesi nelle campagne: il mezzadro, coadiuvato nel lavoro dei campi dall’intera famiglia, cedeva al proprietario terriero metà del raccolto, e ne otteneva in cambio il diritto a vivere nella casa colonica e ad essere rifornito di sementi e attrezzi. La scomparsa della mezzadria, a partire dalla metà degli anni Sessanta, ha innescato una serie di grandi mutamenti che hanno portato trasformazioni profonde nei modi di vivere e di produrre. Molti mezzadri hanno scelto di acquistare il podere che già lavoravano, divenendo così a loro volta proprietari e coltivatori diretti, e hanno cercato via via di accorpare i fondi, la cui superficie media si è andata così estendendo e la cui conduzione ha potuto divenire più produttiva con l’aiuto della meccanizzazione. 66 | WHY MARCHE
di Raffaella Scortichini Gli agricoltori (non solo marchigiani) hanno puntato a migliorare le loro rese fondiarie e a volgere le produzioni dal consumo diretto alla commercializzazione senza mai fermarsi a pensare alle funzioni vitali che nel suolo risiedono. Arrivando così all’attuale sistema economico che apre diversi compromessi: Com’è possibile crescere all’infinito in un sistema chiuso come il nostro pianeta? Per quanto tempo possiamo ancora continuare a rapinare impunemente risorse non rinnovabili dal pianeta senza pagarne il conto? È moralmente ed eticamente giusto lasciare l’incombenza alle generazioni future? Possono davvero il mercato e il meccanismo della domanda e dell’offerta rispondere nel tempo correttamente ed eticamente a tutte le nostre necessità comprese quelle salutistiche e ambientali? Non ha forse il pianeta incominciato a mostrarci i primi sintomi della sua insofferenza? C’è chi sostiene che i cambiamenti climatici sono ciclici e non dipendono dalle attività umane. Ma forse non è più corretto affermare che mai prima d’ora il pianeta è stato così affollato, il benessere così diffuso a tutti i livelli e ottenuto purtroppo a scapito del degrado ambientale mai seriamente ed economicamente considerato? È possibile continuare ad affidare la qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo, “triangolo della vita”, a decisori, principalmente il consumatore e l’agricoltore, che sono totalmente inconsapevoli delle conseguenze delle loro scelte? Dati i molti allarmi lanciati dalla quasi totalità degli scienziati, non è forse il momento che ognuno di noi incominci a fare qualcosa in più di quello che già fa, piccolo o grande che sia, per contrastare o allontanare il famigerato “punto di non ritorno”?
Visti i non pochi quesiti emersi ci siamo confrontati durante una calda mattina di luglio con Bruno Garbini, imprenditore marchigiano doc, classe 1947, avanguardista del rispetto ambientale e ideatore nel 1988 del progetto Arca - Agricoltura per la Rigenerazione Controllata dell’Ambiente - con Mino Damato (giornalista, conduttore e politico italiano), Carlo Cesarini da Senigallia (scenografo italiano) e il sindaco Claudio Maria Latini. Bruno Garbini il fare impresa ce l’ha nel sangue, lo si evince dai suoi gesti, dalle sue parole semplici ma concrete. Audace, solitario, innamorato del proprio mestiere, generatore di modelli di rottura degli schemi, ha sempre avuto una grande passione per lo sviluppo sostenibile territoriale. L’omonima azienda Garbini nelle Marche è stata una tradizione: ricorderete sicuramente il Marchigianello e i Polli Garbini. La Garbini è stata sinonimo di innovazione e alta qualità con una visione rivolta al futuro. È proprio guardando al futuro che Bruno ha deciso di raggruppare una serie di idee in un unico grande contenitore chiamato Arca. Ecco cosa dice Bruno: “La curiosità, la lettura di un libro del professor Bonciarelli che descriveva un concetto nuovo di fare agricoltura: l’Agroecologia, un binomio futurista che metteva insieme agricoltura e ambiente. I contatti con Il Club di Roma, un’associazione non-profit di scienziati, economisti, uomini d’affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di Stato di tutti e cinque i continenti. La missione era di agire come catalizzatore dei cambiamenti globali, individuando e analizzando i principali problemi che l’umanità si sarebbe trovata ad affrontare, ricercando al tempo stesso soluzioni alternative nei diversi scenari possibili. A quel tempo, stiamo parlando degli anni Ottanta, vi erano solo due persone che parlavano di rispetto dell’ambiente: Mino Damato e Piero Angela. Ero sempre più convinto che qualcosa dovesse essere cambiato. Facevo un lavoro fortemente collegato all’agricoltura ed era quello
dell’allevatore con un’azienda integrata che andava dai campi fino alla tavola dei consumatori con prodotti già pronti per mangiare. Colsi così questi segnali e iniziai a ragionare. All’epoca avevo anche delle evidenze all’interno della mia azienda. Dovevamo farci garanti di prodotti genuini e naturali, senza compromessi. Avevamo l’impegno di salvaguardare la salute del consumatore e l’intuizione che questa sia imprescindibile dalla salute dell’ambiente, mi portarono a concepire il progetto Arca, che divenne la visione aziendale a cui tutto doveva ruotarvi attorno” - ci spiega Bruno e poi prosegue - “La qualità e la salubrità dei prodotti passa per quella dell’ambiente: “suolo sano, cibo sano, gente sana”, lo affermavo in TV da Mino Damato già 30 anni fa ma i tempi non erano ancora maturi e il progetto fu sospeso
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P E R C H ÉÈ nel 1992. Ed in seguito la Garbini nel 2000 venne venduta. Ho dovuto cambiare vita e per quindici anni ho coltivato la passione per i viaggi culturali e l’arte. Finché nel 2015 con l’amico di sempre Enrico Loccioni e il concorrente storico Giovanni Fileni è scoccata una scintilla inimmaginabile. Siamo tre imprenditori-contadini, innamorati della nostra terra. Così insieme abbiamo deciso di ridare vita al progetto Arca e nel 2016 è nata così Arca Srl una delle prime società Benefit in Italia, caratterizzata dal fatto che insieme agli utili si persegue il beneficio comune.” Oggi Bruno, Presidente di Arca, è impegnato a tempo pieno e con il consueto entusiasmo nell’implementazione del progetto di rigenerazione delle colture e delle culture, crea ponti con i giovani agronomi, coinvolge le istituzioni, le associazioni e i cittadini nella divulgazione di nuovi metodi per un’agricoltura più attenta alla rigenerazione del suolo, alla salute dell’utilizzatore finale, alla sostenibilità economica. Il suo obiettivo più alto: contribuire alla valorizzazione e allo sviluppo del territorio che tanto gli ha dato, creando una nuova consapevolezza del suo valore e delle sue potenzialità.
“Non è il pianeta in discussione ma la sopravvivenza del genere umano. E il progetto Arca è la risposta.” Ci risponde animatamente Bruno analizzando i quesiti iniziali sui quali avevamo concentrato la nostra attenzione. Il progetto Arca parte dal triangolo della vita - aria, suolo e acqua - e dalle politiche di sviluppo sostenibile. Tutte le funzioni ambientali derivano dal suolo, come ad esempio la protezione delle acque sotterranee, la capacità di limitazione del trasferimento di inquinanti nella catena alimentare, la mitigazione degli eventi alluvionali, la capacità di salvaguardare la biodiversità e il contributo positivo all’effetto serra. Tutto parte dalla terra: quello che mangiamo, che beviamo, che respiriamo. Persino la nostra sicurezza. Il benessere
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della persona e del pianeta dipendono da trenta centimetri di suolo, che, se curati e rispettati, hanno la capacità di preservare il nostro eco-sistema. Nel circolo dei flussi della Natura, il triangolo della vita mostra come il suolo maltrattato – sfruttato, inquinato – si impoverisce e genera cibo insalubre, contamina le falde acquifere rendendo impura l’acqua, che evaporando a sua volta contamina l’aria per poi ritornare a terra sotto forma di pioggia acida in un suolo che non riesce più a trattenerla causando problemi di aridità e di dissesto idrogeologico. “Emblematici i fenomeni climatici di questi giorni, avete mai sentito parlare di tornado in Italia prima?” - sottolinea Bruno Dopo aver sorseggiato dell’acqua in un bicchiere che opportunamente ripone in un cassetto dopo l’utilizzo fa una riflessione: “In fondo siamo stati noi che, rincorrendo il benessere, consciamente o inconsciamente, abbiamo portato il pianeta fin qui e ci dispiacerebbe che proprio la nostra generazione, ancora in grado di fare qualcosa per impedire il peggio, fosse in futuro accusata dalla storia di non aver fatto nulla quando invece si sarebbe potuto fare molto. Al ritmo odierno dei consumi, noi bruciamo più risorse di quante il nostro pianeta ne rigenera ogni anno (il coefficiente è 1,4 o 1,7). Ma attenzione, noi del mondo sviluppato non possiamo evitare che Africa, India, Cina e Sudamerica, che hanno complessivamente un coefficiente di circa 0,5, non accedano ai nostri modelli di sviluppo da loro tanto desiderati. L’immigrazione selvaggia è frutto di questo squilibrio. Quindi questo valore è destinato ad aumentare verso un punto di non ritorno, se noi non facciamo nulla o troppo poco. La responsabilità è nostra e non possiamo addossare o delegare solo alla politica la preoccupazione di queste cose. Politica che altro non è che lo specchio di quello che, nolenti o volenti, siamo noi, popolazione nel suo complesso. Se il nostro paese è ridotto così, è solo colpa nostra.” In un’era odierna dove il contadino ha perso il proprio mestiere ed è diventato all’appannaggio dell’industria meccanica prima, chimica poi e a breve dell’elettronica, l’agricoltura 4.0 non coltiva materia prima ma contributi. “Il progetto Arca - ci spiega Bruno - vuole accendere i riflettori sugli unici attori che in tutto questo possono fare qualcosa, anzi molto: gli agricoltori e le comunità di utilizzo. Coinvolgendoli e sensibilizzandoli. Arca vuole creare le condizioni affinché l’agricoltura e l’ambiente diventino parti attive all’interno dell’intero processo compresa la parte commerciale. Gli agricoltori aderenti (è in essere un’attività di selezione nelle Marche) saranno chiamati a partecipare
con una quota capitale. In cambio si tenterà di lavorare e creare strategie adeguate sulla base dei costi di produzione in modo da garantire agli agricoltori stessi un margine giusto e continuo tutto l’anno. All’agricoltore verrà chiesto l’impegno a gestire e salvaguardare l’ambiente. L’agricoltura dovrà essere concepita in modo tale da rigenerare quest’ultimo. In tutto i giovani sono molto aperti a recepire i messaggi di cambiamento e hanno una consapevolezza diversa.” Il progetto Arca è un modello replicabile in aree compatibili. “Le Marche sono perfette perché nonostante le colline creino difficoltà di lavorazione e di rese con costi di produzione diversi da una coltivazione in pianura possono essere salvaguardate attraverso un’agricoltura diversa e caratterizzate da un’immagine evocativa. La morbidezza delle nostre colline è dovuta dalla mano dell’uomo e meriterebbero di essere considerate Patrimonio dell’Unesco. Il paesaggio agrario costituisce l’elemento fortemente caratterizzante nel complesso quadro ambientale delle Marche. Ci corre l’impegno di cambiare questa attività di modellamento sempre più fatto in modo meccanico e non dal lavoro dell’uomo e degli animali come un tempo. Il rischio è dato dal processo di erosione e relativa desertificazione (soprattutto nei crinali) mettendo così a rischio il nostro più grande patrimonio. E ancora una volta Arca vuole farsi carico di questa problematica adottando nuovi modelli. Di qui la limitatezza del bacino (idrografico) di Arca diventa fondamentale perché deve essere misurabile e controllabile. Tra le valli a pettine strette, quella esina è tra le più grandi. È facile immaginare le dimensioni delle altre: danno la possibilità di controllare i benefici delle azioni e il controllo del bacino è il più semplice. Occorre un’agricoltura bioconsevativa non convenzionale. Si parte dal biologico ma si deve andare oltre”, conclude Bruno. WHY MARCHE | 69
S PIRITO
Il dubbio è il padre del sapere Un giorno accadde
18 settembre 1851. Usciva il primo numero del New-York Daily Times (così si chiamava allora il New York Times). Era un quotidiano di quattro pagine, prodotto in ristrettezze economiche in un loft di Manhattan. Acquistato vent’anni dopo dall’editorie Adolph Simon Ochs, divenne tra le testate più importanti d’America.
Ho sognato…
... di nuotare – 54 – Il nuoto è in stretta relazione con il nostro comportamento quotidiano, con il nostro modo di affrontare le vicende della vita. Per molti è anche il simbolo della nascita, della volontà di un soggetto di marciare controcorrente rispetto alle tradizioni ormai consolidate. Nuotare in acque tranquille significa che stiamo bene con noi stessi e abbiamo trovato il passo giusto per vivere serenamente.
Barbanera buongustaio Panzanella pasticciata Tempo (min.): 20 Difficoltà: Facile Calorie per porzione: 330 INGREDIENTI (per 4 persone): 4 fette da 100 g di pane raffermo - 2 ciuffi di basilico - un cucchiaio di origano 10 filetti di acciuga sott’olio - 4 pomodori maturi - una mozzarella - 100 g di tonno sott’olio - mezzo bicchiere d’aceto - mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva sale e pepe. Tagliare il pane a dadini, bagnarlo in acqua fredda e strizzarlo con le mani, sbriciolandolo in un’insalatiera. Condirlo con alici, pomodori e mozzarella tagliati a pezzettini, origano, basilico tritato, tonno sbriciolato, olio e aceto. Salare, pepare, mescolare e servire come primo piatto o in piccole quantità come antipasto.
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BUONE ECOPRATICHE
d’Estate
NO AGLI SPRECHI IN CUCINA
L’ideale, in cucina, sarebbe calcolare le dosi degli ingredienti con precisione tale da non avere avanzi, ma non sempre è possibile. E allora, se avanza del riso, per riutilizzarlo basta impastarlo con burro, formaggio grattugiato e uova, poi sistemare il tutto in una teglia imburrata e far gratinare in forno per circa dieci minuti. Si otterrà una gustosa e insolita torta di riso.
E ANCORA...
Se invece ad avanzare è della pasta corta, la si può mangiare il giorno seguente riscaldata in padella con un po’ di olio. Sarà ancora più gustosa se sistemata in una teglia con una piccola quantità di burro. Dopo avere aggiunto abbondante formaggio grattugiato, si scalda in forno finché la superficie non sarà leggermente abbrustolita. Una vera bontà!
PESCANDO QUA E LÀ!
Preziosi chiodi di garofano Nella cucina mediterranea i chiodi di garofano sono la spezia con le proprietà antiossidanti più efficaci, tanto da lasciare a distanza l’origano, la salvia fitoestrogenica, il rosmarino carminativo e il timo odoroso. Per questo sono un autentico alleato antiage e contribuiscono a bloccare l’azione dei radicali liberi. Gli elevati livelli di polifenoli contenuti nei chiodi di garofano aiutano a rimanere giovani e in salute, e a contrastare colesterolo e ipertensione.
L’oroscopo di Barbanera ARIETE Catturato dal vostro fascino irresistibile, qualcuno vi lancia dei segnali inconfondibili: voi siete gli unici a non accorgervene... o a far finta di non capire.
BILANCIA Vi sentite avvolti in una calda e rassicurante rete di affetti, ma irradiate energia e amore. Concedetevi quello che vi piace senza troppi timori.
TORO Il desiderio di novità vi spinge a buttare l’occhio sulla vetrina dell’agenzia di viaggi: un colpo di testa e ne uscite con una vacanza da sogno già prenotata!
SCORPIONE Alte ambizioni di carriera, anche se il clima vacanziero per ora le tiene in temporaneo stand by. Originali ispirazioni creative da trasformare in opere concrete.
GEMELLI In questa fase lavoro e svago trovano un punto di equilibrio, mentre gli amici vi ricaricano di entusiasmo. Bene gli affari, siete molto abili nelle trattative.
SAGITTARIO Il vostro carattere indipendente ha bisogno di orizzonti nuovi, altrimenti rischiate di perdere le vostre migliori potenzialità. Non parlate dei vostri progetti.
CANCRO Se al lavoro sperate in un avanzamento, buone notizie si affacciano all’orizzonte. Viaggi d’affari faticosi, ma molto proficui e piacevoli quasi come una vacanza.
CAPRICORNO Ottime chance di conquista in amore, ma molto dipenderà da quanto nella vita avete imparato ad ammorbidirvi, vincendo rigidità e orgoglio. Creativi al lavoro.
LEONE Intesa perfetta con i colleghi e nell’operare con uno staff complice e motivato alleggerendo i doveri professionali. Un’amicizia può trasformarsi in qualcosa di più. VERGINE Il vostro lavoro vi piace al punto da far concorrenza alle storie di cuore. Carisma e fortuna vi favoriscono. Belle serate tra amici, l’atmosfera è serena.
ACQUARIO Tra amici, partner e figli, siete circondati da persone che vi vogliono un gran bene, tanto da chiudere un occhio sui vostri colpi di testa. Dinamici anche al lavoro. PESCI Affiatati in coppia, affascinanti e sempre elegantissimi tra amici e conoscenti dove, se siete ancora single, sperate di pescare l’anima gemella tra facce già note.
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EVENTI
AGOSTO - SETTEMBRE 2019
“LA LUCE E I SILENZI:
RISORGIMARCHE fino all’8 agosto Marche
MOSTRA FOTOGRAFICA MAURIZIO GALIMBERTI
dal 01 al 31 agosto Senigallia - Rocca Roveresca (AN)
SAGRA DELLE VONGOLE 45° EDIZIONE
dall’8 all’11 agosto Marina Palmense (FM)
SUMMER JAMBOREE
dal 31 luglio all’11 agosto Senigallia (AN)
Orazio Gentileschi e la pittura caravaggesca nelle Marche dal 1 agosto all’8 dicembre Fabriano - Pinacoteca Civica (AN)
“SUONI DAL PASSATO”
STREET FOOD FESTIVAL
Rassegna organistica della Vallesina fino al 14 dicembre Staffolo (AN)
“SENSI D’ARTE” 2019
V CENTENARIO DELLA MORTE DI RAFFAELLO (1520 -2020)
dal 05 al 07 agosto Porto Sant’Elpidio (FM)
sino al 21 agosto Ancona - Museo Tattile Omero (AN)
21 marzo 2020 Urbino - Palazzo Ducale (PU)
CAMPAGNA ABBONAMENTI 2019
5 NUMERI 9,00
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